La banalità del male

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LA BANALITÀ DEL MALE L'ONDA: LE MASSE E LA VIOLENZA

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L A B A N A L I T À D E L M A L EL ' O N D A : L E M A S S E E L A V I O L E N Z A

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L ' O N D A È U N F I L M T E D E S C O

D E L 2 0 0 8 T R A T T O D A U N

R O M A N Z O A M E R I C A N O D E L

1 9 8 1 , F I R M A T O D A T O D D

S T R A S S E R . A S U A V O L T A

Q U E S T O R O M A N Z O E R A B A S A T O

S U U N E S P E R I M E N T O S O C I A L E .

D A D O V E È N A T O T U T T O

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C O S ' È U N E S P E R I M E N T O

S O C I A L E

• La sociologia è una scienza umana. Studia i fenomeni

sociali, il comportamento delle masse.

• I sociologi sperimentali possono creare degli

esperimenti in una sorta di ambiente controllato per

verificare o smentire le loro teorie.

• Questi esperimenti indicano delle tendenze, non delle

verità, anche perché il comportamento umano può

cambiare nel tempo e in base alle circostanze.

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L A T E R Z A

O N D A

L'esperimento che è alla base

de "L'onda" si chiama "La

terza onda" e fu organizzato

nell'aprile del 1967 in un liceo

di Palo Alto, in California, città

dove oggi hanno sede

Facebook, Hewlett-Packard e

l'università di Stanford. A

organizzare l'esperimento fu

un professore di storia

ventiseienne, Ron Jones.

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I L P R O B L E M A :

C A P I R E I L

N A Z I S M O

Jones non riusciva a far

capire ai suoi studenti come

fosse potuto sorgere il regime

nazista in Germania; non

riusciva a far capire loro come

era stato possibile che la

stragrande maggioranza dei

tedeschi avesse appoggiato

Hitler e il suo progetto

delirante.

Page 6: La banalità del male

I P R I M I T R E

G I O R N I

• Il primo giorno, Jones spiegò ai suoi

allievi che la democrazia era fallimentare

e impose loro come stare seduti, come

alzarsi per porre domande, quante parole

potevano usare per ogni discorso.

• Nel secondo giorno diede al movimento

un nome ("La terza onda", perché quella

più grande e l'ultima di una successione

di onde) e creò un saluto.

• Nel terzo giorno fu assegnata una

tessera ai membri e ognuno ricevette un

compito (servizio d'ordine, disegnatori di

striscioni ecc.).

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L A F I N E

D E L L ' E S P E R I E N Z

A

• Alla fine del terzo giorno Jones

inventò un'iniziazione per i nuovi

membri.

• Nel giro di quattro giorni la

classe si era allargata da 30

studenti a 200 e molti ragazzi si

recavano da Jones per riferirgli

l'inadeguatezza di altri membri.

• Il quarto giorno il professore

interruppe l'esperimento per

paura che gli sfuggisse di mano.

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C O S A D I M O S T R Ò

Q U E L L ' E S P E R I M E N T O

• Che la ferrea disciplina proveniente dall'alto e l'esempio

dei compagni portavano gli alunni a non porsi domande

su quello che stavano facendo e sulla sua legittimità.

• Che i simboli di appartenenza (saluto, tessera, ecc.)

univano il gruppo e lo facevano sentire superiore rispetto

a chi stava al di fuori di esso.

• Che, quando ci sono disciplina e appartenenza, la

violenza non è vista come qualcosa di sbagliato a

prescindere.

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A L T R I E S P E R I M E N T I

• Quello di Ron Jones non è l'unico esperimento del

genere, né quello scientificamente più rilevante: altri ne

furono creati, volti a studiare i meccanismi della

violenza.

• I più famosi sono l'esperimento Milgram del 1961 e

l'esperimento carcerario di Stanford del 1971.

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L ' E S P E R I M E N T

O M I L G R A M

• Nel 1961 lo psicologo americano

Stanley Milgram, ispirato da

alcuni fatti di cronaca di cui

parleremo più avanti, ideò a Yale

un esperimento per calcolare

l'effetto degli ordini sulla violenza.

• Trovò un gruppo di maschi adulti

tra i 20 e i 50 anni, di diversa

estrazione sociale, a cui offrì di

partecipare a un esperimento

scientifico dietro il pagamento di

una piccola somma di denaro.

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G L I O R D I N I

• Milgram fingeva, tramite un'estrazione,

di assegnare ai soggetti il ruolo di

"insegnante", mentre a un suo complice

veniva dato il ruolo di "allievo".

• Dopodiché l'insegnante veniva messo

di fronte a un quadro di controllo con 30

pulsanti che davano delle scosse (lo

stesso insegnante ne sperimentava una

lieve): tali pulsanti erano contrassegnati

con "scossa leggera", "scossa media",

"scossa forte", "scossa molto forte",

"scossa intensa", "scossa molto

intensa", "attenzione: scossa molto

pericolosa", "XXX".

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L E D O M A N D E

E L E S C O S S E

• L'insegnante doveva leggere delle coppie

di parole all'allievo e poi fare domande su

quanto letto.

• La prima volta in cui l'allievo sbagliava,

doveva infliggergli una scossa minima; poi

doveva crescerla al succedersi degli errori.

• L'allievo era in realtà un attore che

simulava gli effetti delle scosse, con

lamenti, urla e svenimenti.

• Milgram, intanto, spingeva l'insegnante a

proseguire, con frasi come "È

indispensabile che lei continui",

"L'esperimento richiede che lei continui".

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L ' E S I T O

• Quando l'insegnante non vedeva né

udiva l'allievo, il 65% dei soggetti

arrivò fino alla scossa più forte.

• Quando lo sentiva ma non lo

vedeva, il 62,5% arrivò alla fine.

• Quando lo vedeva e lo sentiva, il

40% arrivò alla fine.

• Quando, per dare la scossa,

doveva fisicamente mettere il

braccio dell'allievo su una piastra, il

30% arrivò alla fine.

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L A S P I E G A Z I O N E D I M I L G R A M

• Milgram spiegò che la sua autorità e il richiamo al valore scientifico

dell'esperimento avevano spinto gli insegnanti a proseguire con le

scosse. L'obbedienza era spesso più forte del senso di colpa.

• Inoltre, importante era la gradualità delle punizioni: dato che ogni

scossa era solo lievemente superiore a quella precedente, gli

insegnanti si rendevano meno conto della gravità delle loro azioni.

• Infine, l'atto meccanico di premere un pulsante, magari senza vedere

la vittima, distanziava il soggetto dagli effetti di quello che faceva.

• Negli anni la teoria di Milgram è stata messa alla prova in altri

esperimenti, e ha sempre dato all'incirca i medesimi risultati.

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I L C A R C E R E

D I S T A N F O R D

• A Palo Alto – dove insegnava il

professor Jones – sorge anche

Stanford, una delle università

più prestigiose d'America.

• Qui, nel 1971, il professore

italoamericano di psicologia

Philip Zimbardo preparò un

altro esperimento che voleva

indagare i meccanismi della

violenza. Fu chiamato

"L'esperimento carcerario".

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L E P R E M E S S E

• Zimbardo convocò degli studenti

tramite un annuncio, e tra questi ne

scelse 24, di ceto medio, maturi e

poco attratti da comportamenti

devianti.

• Furono poi divisi casualmente in due

gruppi: i primi sarebbero stati i

carcerati, i secondi i carcerieri.

• I prigionieri dovettero mettere una

divisa con un numero e una catena a

un piede, oltre a seguire regole molto

strette; le guardie indossavano divise

kaki e occhiali a specchio, e avevano

manganello, manette e fischietto.

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N E I

S O T T E R R A N E I D I

S T A N F O R D

• I detenuti vennero spostati nei

sotterranei dell'università, a

simulare una vera prigione.

• Dopo pochi giorni essi

cominciarono a strapparsi le

divise, inveendo contro le

guardie; queste replicarono

obbligandoli a pulire le latrine a

mani nude, a defecare in secchi

che non potevano svuotare, a

cantare canzoni oscene.

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V E R S O I L

Q U I N T O G I O R N O

• I carcerati misero in atto poi un

tentativo di evasione di massa, a

stento frenato dalle guardie.

• Infine, mostrarono segni di

disturbi emotivi e di estrema

docilità, mentre le guardie

sembravano trasformate in

personaggi sadici, che umiliavano

spesso i carcerati.

• Al quinto giorno, Zimbardo,

preoccupato per le conseguenze,

interruppe l'esperimento.

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L A S P I E G A Z I O N E D I Z I M B A R D O

• Il professore spiegò i risultati del suo esperimento sostenendo che

il fatto di far parte di un gruppo promosso dall'autorità induceva un

processo di deresponsabilizzazione: le guardie, cioè, non si

sentivano più pienamente responsabili di quello che facevano.

• Così nel gruppo l'individuo tende a non provare paura, vergogna e

senso di colpa.

• Questo effetto (chiamato Effetto Lucifero) secondo Zimbardo si

riscontra in ogni situazione carceraria non controllata, come anche

ad esempio nella prigione di Abu Ghraib, in cui i militari statunitensi

torturarono e seviziarono i prigionieri.

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L A B A N A L I T À

D E L M A L E

• Un libro che, da una prospettiva

storica e filosofica, ha cercato

di affrontare gli stessi temi è il

celebre La banalità del male di

Hannah Arendt.

• Hannah Arendt era una filosofa

ebrea tedesca che scappò dalla

Germania all'avvento di Hitler,

rifugiandosi prima a Parigi e poi

negli Stati Uniti.

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I L C A S O A D O L F

E I C H M A N N

• Il libro della Arendt nasce da un fatto

di cronaca del 1961, che ispirò anche

l'esperimento Milgram.

• In Argentina gli agenti segreti

israeliani catturarono in quell'anno

Adolf Eichmann, un gerarca nazista

che era scappato, sotto falso nome,

in Sud America alla fine della guerra.

• Eichmann era un burocrate di medio

livello, ma importante perché aveva il

compito di organizzare i treni che

portavano gli ebrei ai campi di

concentramento.

Page 22: La banalità del male

I L P R O C E S S O

• Eichmann fu rapito e portato

in Israele, senza che ne

fosse chiesta l'estradizione e

quindi violando varie norme

internazionali.

• Qui lo stato di Israele

organizzò un grande

processo pubblico che venne

usato a fini propagandistici

dal Primo Ministro, David

Ben-Gurion.

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I L

R E P O R T A G E

• Hannah Arendt si recò a

Gerusalemme per conto del New

Yorker per seguire il processo.

• Raccolse poi tutti gli articoli, più

altre riflessioni, nel libro La banalità

del male, pubblicato nel 1963.

• L'idea proposta dalla Arendt è che

Eichmann fosse un uomo banale,

normale, non un mostro, ma che

proprio questa fosse la chiave per

comprendere il suo comportamento.

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I L M A L E

M E D I O C R E

• Nel processo emerse la vita di

Eichmann: un uomo che aveva

abbandonato le superiori, che

non aveva mai letto un libro e

che era entrato nel Partito

Nazista senza nemmeno

crederci, solo perché sospinto da

un amico.

• Un uomo privo di iniziative,

banale, senza alcun spessore

culturale: non un fanatico né un

malvagio, ma un uomo mediocre.

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L A C A R R I E R A

N E L N A Z I S M O

• Eichmann entrò nelle SS per un equivoco

(credeva di poter fare da servizio di

sicurezza alle alte personalità) e qui lesse

il suo primo libro, sugli ebrei.

• Si considerava un amico degli ebrei (e

non capiva nemmeno cosa significasse

quella frase) e parlava per luoghi comuni;

non ricordava granché del suo lavoro, se

non i suoi successi personali, le sue

promozioni.

• In ogni caso non aveva mai avuto un

incarico di alto livello, ma pagò il fatto che

a Norimberga molti gerarchi, credendolo

morto, scaricarono su di lui molte

responsabilità.

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I C A M P I D I

C O N C E N T R A M E N T O

• La prima volta che visitò un campo,

quello di Treblinka, gli mostrarono

un'esecuzione tramite camera a gas e

quasi svenne. Da lì in poi evitò ogni

esecuzione, perché non le

sopportava.

• Non giudicò mai gli ordini che gli

venivano impartiti, perché arrivavano

da superiori di grado e da persone più

istruite.

• Addirittura, durante il processo disse

di essersi attenuto all'imperativo

categorico di Kant, travisandolo

completamente.

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L A

C O N D A N N A

• Eichmann fu condannato a morte per

crimini contro gli ebrei e contro

l'umanità.

• Il processo fu però ampiamente

irregolare, con centinaia di testimoni

ininfluenti e la difesa che non poté

sempre controinterrogare. Oltretutto

Eichmann formalmente non aveva

violato nessuna legge nel suo paese e

in Argentina i suoi reati erano prescritti.

• Eichmann si considerava innocente e

riteneva di pagare per colpe di altri. Non

si sentiva sinceramente responsabile

dell'Olocausto.

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L E D O M A N D E C H E R I M A N G O N O

A P E R T E

• Esiste dunque il male? Esistono le persone malvagie?

• Se davvero le persone banali possono trasformarsi in

mostri, cosa possiamo fare per evitarlo? Cosa

possiamo fare per non essere noi quelle persone

banali?

• Quanto pesano il gruppo e l'autorità nel nostro

comportamento? Siamo liberi o condizionati?