Lo scandalo dei fondi europei

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Lo scandalo dei fondi europei Poin and Pain è il nome con cui vengono definiti i programmi operativi destinati allo sviluppo della cultura per il Sud Italia per il 2007/2013. La UE aveva deciso di destinare per Poin and Pain italiano diversi milioni di euro a seguito di un’analisi effettuata sui bisogni del nostro Paese in materia cultura. Questi soldi non solo non sono mai stati spesi, ma sono stati destinati ad altri ambiti. In una lettera inviata all’allora ministro della Coesione Territoriale , Fabrizio Barca, il presidente della provincia di Siracusa, nonché ex sottosegretario ai beni culturali e membro del Consiglio di sorveglianza Poin, Nicola Bono, denuncia l’incapacità tutta italiana nel redigere progetti con i quali attrarre i fondi utili allo sviluppo della cultura e del patrimonio paesaggistico e culturale. L’ex ministro Barca risponde dichiarando che è vero che sono stati restituiti all’Europa circa 1,5 milioni di euro perché per ben 3 anni si è ragionato su come spenderli invece di pensare a progetti concreti, ma che tuttavia si è ripartiti nel 2012 con solidi progetti per il recupero di Pompei tali da impegnare il 10,29% dei Poin. In realtà il nostro Paese, stando ai fatti aggiornati, restituisce circa 2 milioni di euro perché gli obiettivi dei progetti presentati non sono stati raggiunti. Oggi Fabrizio Barca è dirigente generale al MEF e ha deciso di cambiare metodo di controllo dei progetti. Intanto siamo diventati la barzelletta d’Europa mentre l’immenso patrimonio culturale italiano piange. 1/4 www.avellino5stelle.com Micro interventi a pioggia, per il 40% non c’è una proposta scritta Per rendersi conto di quanto sia grave la situazione sull’uso dei fondi europei basta leggere la relazione della Ragioneria generale dello Stato del 2011. La massa finanziaria destinata all’Italia da Bruxelles per il periodo che va dal 2007 al 2013 è imponente: fra finanziamento comunitario e contributo nazionale ben 59,4 miliardi di euro, di cui ben 47 destinati al Sud. Ebbene, alla fine del 2010 soltanto un quinto di quella somma enorme era stato già impegnato. In tutto 12 miliardi, il 18,9% del totale. Ma i denari effettivamente spesi erano molti, ma molti meno: 5,9 miliardi, ovvero il 9%. Un bilancio imbarazzante, considerando che il primo triennio 2007-2010 era già scaduto. Semplicemente abissale, poi, la differenza fra Sud e Nord. Nelle Regioni meridionali la spesa reale era all’8,2%, contro il 16,3% del resto d’Italia. Tenendo conto delle risorse utilizzabili nel solo primo triennio, pari a 33,5 miliardi, ecco che le otto regioni meridionali erano riuscite a impegnarne il 23,6%, con una spesa effettiva, però, non superiore all’11,4%. E il bello è che le amministrazioni centrali, che tutti noi immaginiamo più efficienti rispetto alle strutture regionali, sono riuscite a fare appena meglio, con impegni pari al 41,2% e una spesa reale del 21%. Per fare un paragone, lo Stato ha realizzato una performance tripla rispetto alla Calabria, che si è fermata al 7%, ma soltanto un po’ più decente di quella della Sardegna, regione che ha speso il 17,2%. Senza riuscire ad avvicinarsi al Veneto, dove l’utilizzo reale dei fondi europei si è attestato a un pur modesto 25,5%. Sulle cause si è discusso a lungo. Spesso si tira in ballo la scarsa (o scarsissima) capacità progettuale delle amministrazioni locali o centrali. Ma non c’è dubbio che ci sia anche il concorso dell’indolenza burocratica e di una certa miopia della politica.

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Gli sprechi di denaro pubblico.

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Lo scandalo dei fondi europei

Poin and Pain è il nome con cui vengono definiti i programmi operativi destinati allo sviluppo della cultura per il Sud Italia per il 2007/2013. La UE aveva deciso di destinare per Poin and Pain italiano diversi milioni di euro a seguito di un’analisi effettuata sui bisogni del nostro Paese in materia cultura. Questi soldi non solo non sono mai stati spesi, ma sono stati destinati ad altri ambiti. In una lettera inviata all’allora ministro della Coesione Territoriale , Fabrizio Barca, il presidente della provincia di Siracusa, nonché ex sottosegretario ai beni culturali e membro del Consiglio di sorveglianza Poin, Nicola Bono, denuncia l’incapacità tutta italiana nel redigere progetti con i quali attrarre i fondi utili allo sviluppo della cultura e del patrimonio paesaggistico e culturale. L’ex ministro Barca risponde dichiarando che è vero che sono stati restituiti all’Europa circa 1,5 milioni di euro perché per ben 3 anni si è ragionato su come spenderli invece di pensare a progetti concreti, ma che tuttavia si è ripartiti nel 2012 con solidi progetti per il recupero di Pompei tali da impegnare il 10,29% dei Poin. In realtà il nostro Paese, stando ai fatti aggiornati, restituisce circa 2 milioni di euro perché gli obiettivi dei progetti presentati non sono stati raggiunti. Oggi Fabrizio Barca è dirigente generale al MEF e ha deciso di cambiare metodo di controllo dei progetti. Intanto siamo diventati la barzelletta d’Europa mentre l’immenso patrimonio culturale italiano piange.

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Micro interventi a pioggia, per il 40% non c’è una proposta scritta Per rendersi conto di quanto sia grave la situazione sull’uso dei fondi europei basta leggere la relazione della Ragioneria generale dello Stato del 2011. La massa finanziaria destinata all’Italia da Bruxelles per il periodo che va dal 2007 al 2013 è imponente: fra finanziamento comunitario e contributo nazionale ben 59,4 miliardi di euro, di cui ben 47 destinati al Sud. Ebbene, alla fine del 2010 soltanto un quinto di quella somma enorme era stato già impegnato. In tutto 12 miliardi, il 18,9% del totale. Ma i denari effettivamente spesi erano molti, ma molti meno: 5,9 miliardi, ovvero il 9%. Un bilancio imbarazzante, considerando che il primo triennio 2007-2010 era già scaduto. Semplicemente abissale, poi, la differenza fra Sud e Nord. Nelle Regioni meridionali la spesa reale era all’8,2%, contro il 16,3% del resto d’Italia. Tenendo conto delle risorse utilizzabili nel solo primo triennio, pari a 33,5 miliardi, ecco che le otto regioni meridionali erano riuscite a impegnarne il 23,6%, con una spesa effettiva, però, non superiore all’11,4%. E il bello è che le amministrazioni centrali, che tutti noi immaginiamo più efficienti rispetto alle strutture regionali, sono riuscite a fare appena meglio, con impegni pari al 41,2% e una spesa reale del 21%. Per fare un paragone, lo Stato ha realizzato una performance tripla rispetto alla Calabria, che si è fermata al 7%, ma soltanto un po’ più decente di quella della Sardegna, regione che ha speso il 17,2%. Senza riuscire ad avvicinarsi al Veneto, dove l’utilizzo reale dei fondi europei si è attestato a un pur modesto 25,5%. Sulle cause si è discusso a lungo. Spesso si tira in ballo la scarsa (o scarsissima) capacità progettuale delle amministrazioni locali o centrali. Ma non c’è dubbio che ci sia anche il concorso dell’indolenza burocratica e di una certa miopia della politica.

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Regione Campania sprechi: spesi solo 2 miliardi su 4,5 disponibili In Campania, al 31 gennaio scorso, il totale dei pagamenti dei fondi comunitari Fesr (Fondo Europeo Sviluppo Regionale) è stato del 43,1% (1,97 miliardi di euro) su una dotazione finanziaria di 4,57 miliardi di euro. Il totale di certificazioni all’Unione Europea (al 31 dicembre 2013) è stato di 1,45 miliardi di euro (31,8%). Sono i dati diffusi dal Centro Studi dell’Ance (Associazione dei costruttori edili) di Salerno che ha analizzato i dati della Regione Campania relativi al percorso attuativo del Por Campania Fesr 2007/2013. Se si entra nel merito degli indicatori relativi ai sette assi di investimento (in base ai dati del Sistema Monitoraggio Monit e del bilancio regionale), il Centro Studi Ance Salerno evidenzia che le percentuali dei pagamenti e delle certificazioni «non superano in nessun caso le soglie del 60% per i pagamenti e del 55% per le certificazioni», secondo i dati pubblicati sul sito www.porfesr.regione.campania.it. Il problema è che in molti casi i fondi non vengono utilizzati perché la crisi economica ha fatto inceppare il sistema di co-finanziamento. Le regole prevedono che i fondi vengano erogati solo se per ogni euro di Bruxelles c’è sul piatto un euro locale, ma molti Governi adesso non hanno le risorse per co-finanziare i progetti. La Commissione Ue ammette in un rapporto interno che i tagli alla spesa pubblica hanno portato alla cancellazione di molti progetti, a volte anche a uno stadio avanzato. Si è creata quindi una situazione paradossale in cui i governi tagliano le spese all’insegna dell’austerity imposta da Bruxelles, mentre sul fronte fondi strutturali la Ue vuole che gli stati continuino a spendere. Se i fondi non saranno utilizzati entro il 2015, saranno persi e torneranno nel calderone di Bruxelles. Per questo, secondo il Financial Times, paesi come la Polonia, che non vogliono perdere i finanziamenti, si sono indebitati per far fronte al co-finanziamento. L’effetto collaterale, certamente non voluto, è che la crisi in queste regioni si aggrava sotto il peso dei debiti e il divario con le regioni ricche si allarga.

Le conclusioni a cui sono giunti i magistrati della Corte dei conti in una recentissima indagine sull’uso dei fondi comunitari nel periodo 2000-2006 da parte della regione siciliana sono illuminanti. Si parla di «eccessiva frammentazione degli interventi programmati e notevolissima presenza di progetti non conclusi, pari al 35 per cento della spesa certificata», che «hanno sfavorevolmente inciso sullo sviluppo locale e non hanno prodotto l’auspicato miglioramento delle condizioni di vita della popolazione». Non bastasse, i ricambi ai vertici delle strutture regionali seguiti alle vicende politiche, «hanno di fatto rallentato la spesa compromettendo l’efficacia del programma regionale» mentre il livello molto elevato di errori e irregolarità «denota la carenza dei controlli e una generale scarsa affidabilità degli stessi». L’Ifel, il centro studi dell’Associazione dei Comuni, sottolinea che gli interventi sono spesso troppo frammentati, con una generale incomprensione fra gestione a programmazione, quando i fondi non vengono utilizzati per progetti non strategici. L’Anci ha calcolato che i Comuni, destinatari di una trentina di miliardi per il periodo 2007-2013, hanno messo in cantiere qualcosa come 2.410 progetti distribuiti per 1.293 municipi. La dimensione media è infinitesima: il valore del 43,5% delle iniziative non supera 150 mila euro. Nella sola Calabria si sono mobilitati, sulla carta, 264 Comuni. La dimensione media è infinitesima: il 43,5% delle iniziative non supera nemmeno 150 mila euro. E poi ci si stupisce che per il 40% dei progetti non ci sia nemmeno una pagina scritta, né un segno sulla carta.

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Un altro problema è il fatto che fondi destinati alle Pmi sono invece finiti nelle casse di multinazionali come Ibm, Nokia Siemens, Fiat, Coca-Cola, British American Tobacco e persino McDonald’s. Johannes Hahn, commissario alle Politiche regionali, sottolinea però che le grandi imprese creano posti di lavoro e che la Ue si trova a competere «a livello globale e intende evitare la de-industrializzazione dell’Europa». La Ue ammette che le accuse principali del Financial Times - mancanza di trasparenza, complessità, difficoltà di stabilire le precise responsabilità, scarsità di controlli, incapacità di punire gli abusi in tempi ragionevoli - sono almeno in parte meritate. Per questo la Commissione ha avviato una consultazione pubblica in vista di una radicale riforma, che preveda una migliore selezione delle priorità di spesa e la definizione di obiettivi precisi da raggiungere. Riforma, quindi, non smantellamento: perché, come sottolinea Hahn, i fondi strutturali sono «parte integrante del grande progetto europeo, dell’idea stessa di Europa».

Il grande spreco dei cacciatori di fondi Ue Noi, condannati a non fare nulla Tanto per cominciare, servivano una laurea magistrale con voto 110 su 110 e la conoscenza delle lingue inglese o francese. E poi un impegno full time per un anno. Ma ne valeva la pena. Il corso Cento giovani per l’ Europa, con «approfondimento specialistico su politiche e strumenti dell’ Unione europea e politiche regionali di sviluppoe coesione» doveva essere il passepartout verso una professione ricercatissima: quella dell’ euro esperto, capace di collegare i Comuni e la Regione Campania all’ Europa e andare a caccia dei fondi strutturali. L’ investimento era importante: 2,5 milioni di euro. «Ma investire nei giovani - diceva Marco Villani, direttore del Formez, centro di formazione studi, organizzatore del corso per conto della Regione Campania - è la più grande soddisfazione che si possa provare. È a loro che le Regioni più illuminate, come la nostra, si rivolgono. Sono loro l’ innesto che serve per rinnovare la vita della nostra società». Peccato che l’ »innesto» non abbia funzionato. Nessuno dei nuovi professionisti è stato chiamato a fare il suo lavoro. In compenso è stato organizzato un altro progetto, stavolta con una spesa di 3,4 milioni. La selezione inizia nell’ autunno 2009. Si comincia con Cinquanta giovani per l’ Europa che sembra la parte prima del progetto iniziale. Della parte seconda non si sentirà comunque più parlare. I giovani aspiranti sono 322, che dopo due selezioni diventano 128 e poi 44. «Attività di team buildind, laboratorio, project work e training on the job e affiancamento consulenziale», in Italia e all’ estero. In aula a Pozzuoli da febbraio a marzo 2010, stage in Paesi europei da giugno ad agosto e fase di tirocinio in enti regionali dall’ ottobre all’ aprile 2011. A sorpresa, arriva una «fase addizionale» di stage, dal giugno al novembre 2011.I corsisti, che per il primo anno avevano ricevuto 10.800 euro lordi come borsa di studio, in quest’ ultima fase, anche se già professionisti, vengono retribuiti con 700 euro al mese. Finalmente, il 31 gennaio 2012, con decreto 118 del Dipartimento funzione pubblica (Dfp) viene formalizzata la “short list”, la lista corta, con i 37 professionisti che sono riusciti a superare ogni prova. Sono costati cari alla società (per ognuno di loro sono stati spesi oltre 50 mila euro) ma adesso le Pubbliche amministrazioni campane hanno a disposizione donne e uomini capaci di cercare un futuro per le loro comunità. «La short list vale tre anni - dice Flaviana Cestaro, una dei 37 - ma in questi quasi due anni non ci risulta che qualcuno di noi sia stato coinvolto in un rapporto lavorativo con le pubbliche amministrazioni. E adesso fanno un altro corso praticamente identico al nostro.

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C’ è soltanto uno sfruttamento delle nostre speranze, del tempo, delle competenze di noi giovani. Ormai siamo solo carne da macello». Il 9 ottobre 2013 «i professionisti della Short list “50 giovani per l’ Europa”» scrivono ai ministri per la Coesione territoriale e per la Pubblica amministrazione e Semplificazione, ai capi del Formez, al presidente della Campania Stefano Caldoro. «A che sono serviti i due milioni e mezzo di euro per questo progetto unico in Italia? Ci sono euro esperti formati e invece di servirsi di professionalità già qualificate la cui certificazione è stata acclarata dagli organi ministeriali e regionali si ricercano società private e professionalità nuove che non hanno altro che la fiducia e il gradimento di soggetti privati». Con i privati è certo più facile scegliere gli amici cui affidare stipendie consulenze. La risposta del Formez, protocollata il 14 ottobre 2013, si potrebbe sintetizzare così: ce ne laviamo le mani. «Il dato che voi evidenziate - scrive il direttore generale Marco Villani - cioè che quell’ iniziativa non ha avuto finora il seguito sperato, ci rincresce molto, per lo sforzo che abbiamo profuso con voi, ma soprattutto perché rischia di essere un’ occasione persa per la PA, pubblica amministrazione, italiana. Non è il Formez, naturalmente, l’ ente responsabile di scelte squisitamente politiche come assunzioni o affidamenti di incarichi da parte delle PA». Lo sconforto - dice il direttore - è certamente condiviso dall’ »illuminata Presidenza» della Regione Campania. Lacrime presto asciugate. Il 13 novembre, a Roma, nella sede del Dipartimento della funzione pubblica, viene presentato il progetto Esperia - che secondo i 37 è la fotocopia del primo progetto - sul tema «Fondi Ue e competenze nelle amministrazioni del Sud». Investimento di 3,4 milioni per creare, guarda caso, «una vera e propria short list di super esperti» da reclutare fra dipendenti delle amministrazioni da qualificare o giovani laureati. Previsto anche un master di II livello per 120 giovani sulle politiche di coesione e sviluppo. Ad illustrare le meraviglie di Esperia sono stati il presidente di Formez Pa Carlo Flamment, il direttore generale Marco Villani e il direttore area formazione Secondo Amalfitano. Sono gli stessi che hanno lanciato e seguito il primo corso dei 50 giovani per l’ Europa. «Non fare tesoro di rilevanti impieghi di denaro pubblico - dice Nicola Coppola, uno dei 37, ora docente e ricercatore presso l’ università di Bournemouth nel Regno Unito - fa male a chi avrebbe voluto lavorare per lo sviluppo del proprio Paese. Il corso era valido, tanti di noi ora lavorano all’ estero dopo essere stati formati in Italia. Un progetto che avevo preparato per i piccoli agricoltori di Avellino mi è stato rifiutato. L’ ho riproposto in Inghilterra, le istituzioni l’ hanno accettato e i produttori agricoli hanno visto aumentare il loro business». «Sono state sprecate risorse - raccontano Mariagrazia Gravina e Caterina Miele - sia in termini di soldi spesi che di intelligenze e di volontà». Ma i corsi a qualcuno danno buoni frutti. Per formare i 37 sono stati chiamati e compensati 60 fra «docenti e testimoni», fra i quali funzionari Formez, dirigenti pubblici, professori universitari, avvocati, magistrati... Nel bilancio 2012 Formez annuncia di avere preparato 164 progetti con un investimento di 46.673.067 euro. I dirigenti non se la passano male. Dal sito www.funzionepubblica.gov.it risulta che il direttore generale Marco Villani ha una retribuzione lorda di euro 175 mila euro. Il responsabile di presidenza Carlo Flamment ha una parte fissa di 161 mila euro più una variabile di 40.300. Secondo Amalfitano (ex sindaco pd di Ravello poi chiamato come consigliere per le Autonomie locali dal ministro Renato Brunetta) prima presidente poi dirigente Formez ha uno stipendio tabellare di 140 mila euro. Per tutti e tre, grazie all’ ottimo lavoro, anche la «retribuzione di risultato», con premi speciali. Per Amalfitano euro 14 mila, per Villani 22.500, per Flamment 31.500

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