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Lo chiamano Never Sky, è un cielo violento, pervaso dall’Etere, sostanza che causa tempeste continue, morte, distruzione. La vita sicura è possibile solo dentro l’enclave Reverie, un mondo barricato, una biosfera rarefatta e ipertecnologica dove ogni pericolo, persino malattie e invecchiamento, sembrano appartenere a un lontano passato. Fuori invece, dove domina l’Etere, non è dato avventurarsi, nessun abitante di Reverie oserebbe mai, perché la Fucina della Morte è una terra brutale e desolata, infestata da individui assetati di sangue. La bella e giovane Aria vive a Reverie, è lì che lei e i suoi amici possono scegliere, istante dopo istante, di abitare infiniti mondi virtuali, dove provare emozioni e sensazioni di ogni tipo, come in un interminabile videogioco. Anche lei, al pari di tutti, teme l’ignoto che si trova oltre il confine del proprio eden. E quando verrà ingiustamente cacciata dalla sua società di eletti, si ritroverà sola e disperata nella Fucina della Morte, sotto un cielo feroce, in un incubo senza fine. È come essersi risvegliata all’improvviso in un corpo che non riconosce, in balìa di un mondo popolato dai discendenti reietti dell’umanità che, dopo la Grande Catastrofe, non hanno trovato rifugio a Reverie. Solo quando il suo sguardo incrocia quello selvaggio di Perry, un giovane Outsider ribelle, Aria comincia a intuire che quel mondo forse contiene la vita che non ha mai vissuto, le sensazioni che le erano negate nel luogo asettico in cui era cresciuta. Ma anche la morte vera la minaccia da ogni dove. Presto lei e Perry, opposti in ogni cosa, scopriranno di custodire l’uno la chiave per la redenzione dell’altro. E per intraprendere la lunga e avventurosa strada che conduce a unire i destini di Reverie e della Fucina della Morte, fondendo l’ideale con il reale.

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VERONICA ROSSI vive nel nord della California con il marito e due figli. Questo è il suo primo romanzo che inaugura una trilogia di genere, bestseller negli Stati Uniti e in Inghilterra, in corso di pubblicazione in 25 paesi e i cui diritti cinematografici sono stati opzionati dalla Warner Bros.

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Veronica Rossi

Never SkySotto un cielo selvaggio

Traduzione di Marinella Magrì

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EBOOKTitolo originale: Under the Never Sky© 2012 by Veronica RossiAll rights reserved © 2012 by Sonzogno di Marsilio Editori® spa in Venezia Prima edizione digitale 2012ISBN [email protected] Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

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NEVER SKY

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per Luca e Rocky

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Capitolo uno

ARIA

Fucina della Morte, così era detto il mondo esterno alla Biosfera. Dove potevi morire in milioni di modi diversi. Mai e poi mai Aria avrebbe pensato di arrivarci tanto vi-cina.

Osservava il massiccio portale di ferro mordicchian-dosi il labbro. Su uno schermo lampeggiava una scritta a caratteri rossi: AGRO 6 – DIVIETO D’ACCESSO.

Soltanto una cupola di servizio, si disse. A decine rifor-nivano Reverie di cibo, acqua, ossigeno, e di tutto quello di cui una città racchiusa aveva bisogno. AG6 era rimasto danneggiato durante una recente tempesta, ma si presu-meva che i danni fossero lievi. Si presumeva.

«Forse dovremmo tornare indietro» mormorò Paisley accanto a lei, nella camera stagna, tormentandosi nervo-samente una lunga ciocca di capelli rossi.

Gli altri tre ragazzi, accovacciati presso il quadro di comando, armeggiavano per bloccare il segnale così da poter uscire senza far scattare l’allarme. Aria cercava di ignorare il loro costante battibecco.

«Andiamo, Paisley. Cosa potrebbe accadere di peg-gio?»

Aria lo disse per scherzo, ma con voce troppo forte, sicché in coda ci incollò una risata che però suonò leg-germente isterica.

«Cosa potrebbe succedere dentro una cupola danneg-giata?» Paisley contò sulle dita affusolate. «La nostra pelle

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potrebbe imputridire. Potremmo restare chiusi fuori. Una tempesta di Etere potrebbe fare di noi carne affumicata. E i cannibali trasformarci in colazione.»

«Ma non è che un’altra zona di Reverie.»«Dove però è vietato l’accesso.»«Pais, non sei obbligata ad andarci.»«Nemmeno tu» ribatté l’amica. E si sbagliava di

grosso.Aria aveva trascorso gli ultimi cinque giorni in pena

per sua madre. Non si era più messa in contatto con lei. Perché? Non importava quanto la sua ricerca scientifica l’assorbisse, Lumina non aveva mai mancato uno solo dei loro appuntamenti quotidiani. E per avere delle ri-sposte, Aria doveva per forza entrare in quella cupola.

«Te lo dico per la centesima, anzi, per la millesima volta: AG6 è sicuro» intervenne Soren, senza staccare gli occhi dal quadro di comando. «Credi che mi sia sal-tato in mente di morire stasera?»

Aveva ragione. Soren amava troppo se stesso per ri-schiare la vita. Aria posò lo sguardo sulla sua schiena muscolosa. Era figlio del direttore della sicurezza di Re-verie. Vantava quel tipo di corporatura che può solo de-rivare dal privilegio. Era perfino abbronzato, cosa piut-tosto assurda dal momento che nessuno di loro aveva mai visto il sole. In più, era un genio nel violare i codici.

Bane ed Echo osservavano, di fianco a lui. I due fra-telli lo seguivano ovunque. Soren di seguaci ne aveva a centinaia, ma valeva per i Reami. Quella sera dentro la camera stagna erano solo loro cinque. E solo loro cinque stavano infrangendo la legge.

Soren si raddrizzò esibendo un sorrisetto arrogante. «Dovrò dirne due a mio padre a proposito dei suoi pro-tocolli di sicurezza.»

«Ce l’hai fatta?» chiese Aria.Lui fece spallucce. «C’era forse da dubitarne? Adesso

viene il meglio. È il momento di disattivare l’Iride.»

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«Aspetta» disse Paisley. «Pensavo volessi soltanto bloccarli.»

«Li ho bloccati, ma questo non ci concederebbe ab-bastanza tempo. Dobbiamo disattivarli.»

Aria si passò un dito sul dispositivo. Una sorta di mem-brana trasparente attraverso cui accedevano ai Reami, i mondi virtuali dove trascorrevano la maggior parte del loro tempo. L’aveva sempre indossato sull’occhio sini-stro, tenendolo costantemente acceso.

«Caleb ci ucciderà se non torniamo in fretta» dichiarò Paisley.

Aria alzò gli occhi al cielo. «Tuo fratello e le sue se-rate a tema!» Di solito andava qua e là per i Reami in compagnia di Paisley e di suo fratello maggiore Caleb, dopo essere salpati dal loro angolo preferito nella Hall della Seconda Generazione. In quell’ultimo mese Ca-leb aveva organizzato tutte le loro serate a tema. Per il tema di quella sera, le Mangianze, erano partiti da un Reame di Roma Antica dove avevano banchettato con cinghiale arrosto e ragù di aragosta, poi erano passati al banchetto di un Minotauro in un Reame di Mitolo-gia. «Per fortuna ce ne siamo andate prima di arrivare ai piranha!»

Grazie all’Iride, Aria aveva potuto incontrare ogni giorno sua madre, impegnata nel suo lavoro di ricerca a Bliss, un’altra Biosfera a centinaia di chilometri di di-stanza. Fino a cinque giorni prima la distanza non era mai stata un problema, ma improvvisamente il contatto con Bliss si era interrotto.

«Quanto tempo dovremo stare là fuori?» chiese Aria, cui sarebbero bastati solo pochi minuti con Soren. Giu-sto il tempo di strappargli qualche notizia su Bliss.

Bane sogghignò. «Abbastanza per una bella bisboc-cia nella realtà!»

Echo si scostò i capelli dagli occhi. «Abbastanza per una bella bisboccia in carne e ossa!»

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Echo in realtà si chiamava Theo, ma erano in pochi a ri-cordarlo. E quel soprannome gli stava proprio a pennello.

«Possiamo disattivare per un’ora» rispose Soren, am-miccando. «Ma non preoccuparti, poi ti riattivo.»

«Sarà meglio» ribatté Aria con una risata cupa e ci-vettuola.

Paisley le lanciò uno sguardo perplesso, dal momento che ignorava i piani dell’amica. A Bliss era successo qual-cosa. Aria sapeva che Soren poteva aver carpito da suo padre alcune informazioni.

«Ci siamo, solo qualche problemino tecnico. Ancora un attimo di pazienza» annunciò Soren, muovendo le grosse spalle come un pugile che sale sul ring. «Ci spe-gniamo fra tre, due…»

Aria sobbalzò. Dal fondo dell’orecchio le giunse un suono acuto, mentre un muro rosso le si abbatteva sul campo visivo. Stilettate di dolore incandescente le tra-fissero l’occhio sinistro diffondendosi in tutto il cranio, per poi riunirsi nella nuca, scivolarle giù lungo la spina dorsale ed esploderle negli arti. Uno dei ragazzi accolse il sollievo con un’imprecazione a denti stretti. Il muro rosso svanì rapidamente come era venuto.

Aria sbatté più volte gli occhi, frastornata. Le icone dei suoi Reami preferiti erano scomparse. Così come i mes-saggi in coda e le news di solito parcheggiate nella parte inferiore del microvisore. Al loro posto, adesso, soltanto la porta stagna. Appariva opaca, come attraverso un mor-bido velo. Si guardò gli stivali. Grigio chiaro. Una tona-lità che a Reverie rivestiva quasi ogni cosa. Com’era pos-sibile che adesso il grigio apparisse ancora più smorto?

Nonostante in cinque rendessero quasi affollata la pic-cola stanza, provò un senso di solitudine. Stentava a cre-dere che un tempo la gente riuscisse a vivere soltanto nel Reale. Nel mondo esterno i Selvaggi vivevano ancora così.

«Ha funzionato» annunciò Soren. «Ci siamo spenti! Adesso non siamo che carne!»

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«Siamo come Selvaggi!» strillò Bane saltellando su e giù.

«Come Selvaggi!» ripeté Echo. «Siamo Outsider!»Paisley continuava a sbattere le palpebre. Aria avrebbe

voluto rassicurarla, ma non riusciva a concentrarsi con Bane ed Echo che continuavano a sbraitare tutt’intorno.

Soren fece ruotare la sbarra sulla porta. La stanza si de-pressurizzò con un rapido sibilo e un flusso di aria fresca. Aria abbassò lo sguardo, sconcertata nel vedere la mano di Paisley allacciarsi alla sua. Prima che Soren aprisse la porta facendola scorrere sulle guide, ebbe solo un attimo per rendersi conto che da mesi non aveva contatti fisici con qualcuno, da quando sua madre era partita.

«Finalmente liberi» disse Soren, prima di inoltrarsi nel buio.

Il fascio di luce proveniente dalla camera stagna illu-minò un pavimento levigato, lo stesso di Reverie, solo che lì fuori era ricoperto da uno strato di polvere. Con la pi-sta delle impronte di Soren che si allungava nell’oscurità.

E se la cupola non fosse stata sicura? E se l’AGRO 6 fosse stato brulicante di pericoli esterni? Un milione di modi per morire nella Fucina della Morte. Magari, un milione di morbi le avrebbe sfiorato le guance. Anche il solo fatto di respirare le parve di colpo un suicidio.

Udì i suoni di un tastierino numerico provenire dal punto in cui si era eclissato Soren. Segmenti di luci si ac-cesero con una serie di piccoli guizzi, illuminando uno spazio profondo. Filari di piantagioni si allungavano in strisce regolari. In alto, il soffitto era attraversato da tu-bature e travi. Non si notavano squarci, né danni d’altro tipo. Con quei suoi pavimenti sporchi e quella tranquil-lità solenne, la cupola aveva semplicemente l’aria di un luogo trascurato.

Soren riapparve con un balzo davanti alla soglia.«Se questa si rivelerà la notte più meravigliosa della

vostra vita, date pure a me la colpa!» 

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Il cibo cresceva da cupolette di plastica alte fino alla cintura. Filari e filari di frutta e verdura marcescenti si stendevano intorno a lei senza fine. Come ogni altra cosa all’interno della Biosfera, erano geneticamente proget-tati per il massimo rendimento. Non avevano foglie e per crescere non necessitavano di terra, ma soltanto di pochissima acqua.

Aria colse una pesca avvizzita, rabbrividendo per la facilità con cui ne aveva ammaccato la soffice polpa. Nei Reami il cibo cresceva, o fingeva virtualmente di cre-scere, in fattorie dai granai rossi e dai campi assolati. Le venne in mente l’ultimo slogan dell’Iride: MEGLIO DEL

REALE. In questo caso era vero. Il cibo reale nell’AG6 as-somigliava agli anziani prima dei trattamenti per inver-tire l’invecchiamento.

I ragazzi trascorsero i primi dieci minuti rincorrendosi lungo le corsie e balzando da un filare all’altro. Divenne ben presto un gioco che Soren battezzò «Pallamarcia». Consisteva nel lanciarsi addosso frutti e ortaggi. Vi giocò anche Aria, ma dopo essere stata per un po’ presa di mira e bersagliata con violenza da Soren, prima si fece scudo di Paisley e poi si tuffò dietro un filare. Soren allora cam-biò obiettivo, prendendosela con Bane ed Echo. Messi con le spalle al muro, li mitragliò a suon di pompelmi, inchiodandoli sul posto.

«Basta agrumi!» si arrese Bane. «Confessiamo!»Echo lo imitò alzando le mani. «Ci arrendiamo, Co-

glitore di frutti! Confessiamo!»Soren riusciva sempre a far fare agli altri quello che vo-

leva. Godeva di una certa priorità in tutti i migliori Reami. C’era perfino un Reame con il suo nome, Soren 18, creato un mese prima da suo padre per il suo diciottesimo com-pleanno. I Tilted Green Bottles avevano tenuto un con-certo per l’occasione. Durante l’ultimo brano l’acqua di mare aveva inondato lo stadio, trasformando i presenti in sirene e tritoni. Nonostante nei Reami tutto fosse possibile,

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quella era stata davvero una festa d’eccezione. Aveva lan-ciato la moda dei concerti sottomarini. Soren aveva fatto delle pinne caudali qualcosa di seducente.

Di rado Aria si univa a lui dopo le ore scolastiche. Soren impazzava nei Reami di sport e combattimento. Luoghi in cui la gente poteva competere e classificarsi. Mentre lei si intratteneva solitamente fra le arti e la mu-sica in compagnia di Paisley e Caleb.

«Guarda che disastro» si lagnò Paisley, strofinando una chiazza di arancia sui pantaloni. «Non va più via.»

«Si chiama macchia» la corresse Aria.«A che servono le macchie?»«A niente. Ecco perché nei Reami non esistono.» Aria

osservò la sua migliore amica. Aveva un’aria smunta. Il sopracciglio le ricopriva il bordo dell’Iride. «Ti senti bene?»

Paisley agitò le dita davanti al dispositivo. «Non lo sopporto. È sparito tutto. E dove sono gli altri? E perché la mia voce sembra tanto finta?»

«Succede anche a noi. Come se avessimo inghiottito un megafono.»

«Un cosa?»«Un affare conico che la gente usava per aumentare

il volume della voce. Prima dei microfoni.»«Roba da trogloditi» commentò Paisley. Poi si voltò

di scatto, tutta impettita. «Aria, mi dici cosa sta succe-dendo? Perché siamo qui con Soren?»

Adesso, con i dispositivi scollegati, Aria poteva anche confessarle le ragioni del suo improvviso interesse per lui. «Ho bisogno di informazioni su Lumina. E so che lui può carpirle da suo padre. Magari ha già saputo qualcosa.»

L’espressione di Paisley si addolcì. «Forse ci sono solo problemi di collegamento. Vedrai che presto avrai sue notizie.»

«Finora il collegamento si era interrotto solo per po-che ore. Non è mai successo per tutto questo tempo.»

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Paisley appoggiò la schiena contro la cupoletta di pla-stica e sospirò. «Ero allibita quando l’altra sera hai can-tato per lui. E dovevi vedere Caleb. Credeva che avessi saccheggiato l’armadietto dei farmaci di tua madre.»

Aria sorrise. Normalmente non si esibiva, poiché aveva fatto della sua voce un affare privato fra lei e Lu-mina. Ma alcune sere prima, in un Reame di Cabaret aveva interpretato una sensuale ballata per Soren. Nel giro di pochi minuti il Reame si era riempito come un uovo. Con centinaia di persone in attesa che lei can-tasse di nuovo. Aria però se n’era andata. E Soren, pro-prio come lei sperava, da allora aveva cominciato a cer-carla. Quando poi quella sera lui aveva proposto l’idea, lei l’aveva colta al balzo.

«Dovevo attirare la sua attenzione.» Cacciò via un seme parcheggiato sul ginocchio. «Gli parlerò non ap-pena richiama le truppe dalla guerra dei raccolti. Poi ce ne andiamo.»

«Facciamolo adesso. Diciamogli che ci stiamo anno-iando… il che è vero.»

«No, Pais.» Soren non era certo tipo da lasciarsi co-stringere. «Lascia fare a me.»

Il ragazzo apparve improvvisamente in cima al filare di fronte a loro, facendole sobbalzare. In mano, un avo-cado. Il braccio, pronto al lancio. Gli indumenti, chiaz-zati di succo e polpa. «Cosa c’è? Perché ve ne state se-dute qui?»

«Pallamarcia ci annoia» rispose Paisley.Aria trasalì, aspettandosi la reazione di lui. Soren in-

crociò le braccia, le squadrò entrambe da capo a piedi spostando la mascella da un lato all’altro.

«Allora dovreste andarvene. Un momento, dimenti-cavo, non potete andarvene. Mi sa che dovrai continuare ad annoiarti, Paisley.»

Aria lanciò un’occhiata alla porta stagna. E quando l’aveva chiusa? Ricordò che era lui a possedere i codici

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per la porta e per la riattivazione delle loro Iridi. «Non puoi tenerci rinchiusi qui, Soren.»

«Le azioni precedono le reazioni.»«Ma di che sta parlando?» domandò Paisley.«Soren! Vieni qui» gridò Bane. «Vieni a vedere!»«Gentili signore… Si richiede la mia presenza altrove.»E prima di balzare via lanciò in aria l’avocado. Aria lo

afferrò senza riflettere. Le si spaccò fra le dita, trasfor-mandosi in un pasticcio viscido e verdastro.

«Sta dicendo che è troppo tardi, Pais. Ci ha già chiusi fuori.»

 Aria diede comunque una controllata alla porta stagna.

Il quadro comandi non reagiva. Osservò l’interruttore rosso d’emergenza. Era direttamente collegato all’ela-boratore centrale. Se lo avesse premuto, i Guardiani di Reverie sarebbero accorsi in aiuto. Ma li avrebbero an-che puniti per aver forzato l’accesso, con probabile limi-tazione dei loro privilegi nei Reami. In più, lei avrebbe perso ogni speranza di parlare di sua madre con Soren.

«Aspetteremo ancora un po’. Presto ritorneranno.»Paisley si gettò indietro i capelli. «Va bene, ma posso

prenderti di nuovo la mano? Così mi sembrerà di essere in un Reame.»

Aria osservò la sua mano tesa. Le dita leggermente contratte. Gliela strinse e, lottando contro l’impulso di scostarsi, si avviò insieme all’amica verso il fondo della cupola. Lì i tre ragazzi varcarono una porta che prima Aria non aveva notato. Si accese una fila di altri spot. Per un attimo si chiese se non le si fosse riattivata l’Iride e quello in realtà non fosse altro che un Reame. Apparve davanti a loro una foresta, bellissima e lussureggiante. Poi, alzando lo sguardo oltre la cima degli alberi, Aria vide il soffitto bianco ormai familiare percorso da un de-dalo di luci e condutture. Si rese conto di trovarsi in un gigantesco terrario.

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«L’ho scoperto io» disse Bane. «Sono o no il mi-gliore?»

Echo piegò la testa con uno scatto, liberandosi gli oc-chi dalla frangia spettinata. «Eccome no, il migliore! Non ci si crede. Cioè è pazzesco. Una figata… capito cosa in-tendo?»

Tutti e due si girarono verso Soren. «Perfetto» disse lui, lo sguardo fisso. Si sfilò la camicia, la gettò da una parte e si precipitò nel bosco, seguito a ruota da Bane ed Echo.

«Noi là dentro non ci entriamo, vero?» disse Paisley.«Non in quel modo.»«Aria, dài, non scherzare.»«Pais, guarda in che posto siamo.» La frutta putrida

era un conto. Una foresta era invece una vera e propria tentazione. «Dobbiamo andare a vedere.»

Al di sotto del fogliame faceva più freddo, ed era più buio. Aria passò la mano lungo i tronchi, tastandone la ruvida compattezza. La pseudo-corteccia non aderiva alle mani come se stesse per mordere la pelle. Si sbriciolò una foglia secca nel palmo, producendo briciole acumi-nate. Osservò la forma delle foglie e dei rami degli al-beri, immaginando che se solo i ragazzi si fossero zittiti lei avrebbe potuto udirne il respiro.

Mentre si inoltravano nel bosco, teneva d’occhio Soren in attesa del momento buono per parlargli. Cercando di ignorare il calore umidiccio della mano di Paisley. Nei Reami capitava di toccarsi, e le due amiche si erano già tenute per mano. Ma mentre nella pseudo-realtà il tocco le sembrava soffice, adesso lo percepiva come una stretta opprimente.

I ragazzi presero a rincorrersi fra gli alberi. Avevano trovato dei bastoni e, dopo essersi strofinati il viso e il petto con la terra, li stavano utilizzando come lance. Gio-cavano a fare i Selvaggi, come quelli che vivevano nel mondo esterno.

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«Soren!» gridò Aria quando lui le sfrecciò accanto. Lui si fermò e, brandendo la lancia, le rivolse un sibilo. Lei fece un balzo indietro. Soren le rise in faccia e corse via.

Paisley si bloccò. «Mi fanno paura.»«Lo so. Sono sempre molto spaventosi.»«Non i ragazzi. Gli alberi. Ho l’impressione che ci

stiano per piombare addosso.»Aria alzò gli occhi. Per quanto fossero diversi dagli al-

beri che conosceva, quel pensiero però a lei non era ve-nuto in mente. «Va bene. Andiamo ad aspettarli accanto alla porta stagna.» Cominciò a ripercorrere la strada all’in-verso. Ma dopo pochi minuti si accorse che stavano rag-giungendo una radura che le pareva di aver già superato. Una cosa talmente assurda che per poco non la fece ri-dere. Si erano perdute nel bosco. Lasciò andare la mano di Paisley e si strofinò il palmo sudato contro i pantaloni.

«Ci stiamo muovendo in tondo. Aspettiamo qui fin-ché non arrivano i ragazzi. Non preoccuparti, Pais, siamo ancora a Reverie, vedi?» Indicò il soffitto attraverso le fo-glie e subito se ne pentì. Le luci in alto si affievolirono, tremolarono, e tornarono a risplendere.

«Dimmi che non è successo» disse Paisley.«Andiamocene. È stata un’idea molto stupida.» Forse

si trovavano proprio nella parte dell’AG6 che era stata danneggiata.

«Bane! Vieni qui!» gridò Soren. Aria si girò di scatto. Colse un lampo del suo torace abbronzato sfrecciare fra gli alberi. Quello era il momento buono, pensò. Se si sbrigava, avrebbe potuto parlargli. A patto di lasciare Paisley da sola.

«Aria, vai. Parlagli. Ma prometti di tornare subito» concesse l’amica, con un sorriso un po’ incerto.

«Prometto.» Quando lo ritrovò, Soren aveva le braccia cariche di

rami. «Facciamo un fuoco.»

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Aria s’irrigidì. «Stai scherzando. Non vorrai mica… vero?»

«Siamo degli Outsider. E gli Outsider hanno il fuoco.»«Ma noi siamo ancora all’interno. Soren, non puoi.

Questo non è un Reame.»«Appunto. È la nostra sola possibilità di vedere com’è

nel Reale.»«Soren, è proibito!» Nei Reami il fuoco era una luce

sinuosa gialla e arancione, ed emetteva un leggero calore. Ma dopo anni di esercitazioni per la sicurezza all’interno della Biosfera, Aria sapeva che il vero fuoco doveva es-sere diverso. «Potresti contaminare l’aria. Potresti ince-nerire tutta Reverie…»

Quando lui si avvicinò, lei si bloccò. Gli vide la fronte imperlata di goccioline. Rivoli precisi gli attraversavano il viso e il petto. Stava sudando. Aria non aveva mai vi-sto il sudore in vita sua.

«Qui posso fare quello che voglio. Qualsiasi cosa.»«So che puoi farlo. Possiamo farlo tutti. Giusto?»Soren tacque per un attimo, poi: «Giusto».Eccola lì, la sua occasione. Scelse le parole con cura.

«Ci sono cose che sai… tipo i codici che ci hanno per-messo di venire qui… e che noi non dovremmo sapere?»

«Certo.»Aria sorrise. Girò intorno ai rami che lui teneva fra le

braccia. Si issò sulle punte. «Bene, dimmi un segreto» gli bisbigliò sottovoce. «Dimmi qualcosa che non do-vremmo sapere.»

«Tipo cosa?»Un altro sfarfallio delle luci. Un altro scarto del cuore

di Aria. «Dimmi cosa sta succedendo a Bliss» chiese, fa-cendo del suo meglio per suonare disinvolta.

Soren indietreggiò di un passo. Scosse lentamente la testa, stringendo gli occhi. «Vuoi notizie di tua madre, vero? È per questo che sei venuta qui? Ti sei presa gioco di me?»

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Inutile mentirgli ormai. «Dimmi solo perché il col-legamento è ancora interrotto. Ho bisogno di sapere se sta bene.»

Lo sguardo di Soren le scivolò sulle labbra. «Potrei concederti di convincermi più tardi» disse. Poi raddrizzò le spalle e sollevò la fascina di rami. «Per il momento sto scoprendo il fuoco.»

 Aria si affrettò a tornare nella radura da Paisley. Vi

trovò anche Bane ed Echo. I due fratelli stavano accata-stando rami e foglie in mezzo allo spiazzo. Non appena la vide, Paisley le corse incontro.

«Lo fanno da quando te ne sei andata. Cercano di ac-cendere un fuoco.»

«Lo so. Andiamocene.» A Reverie vivevano seimila per-sone. Aria non poteva permettere che Soren mettesse a repentaglio la loro vita. Udì lo schianto dei rami che veni-vano gettati a terra e un istante dopo qualcosa le ghermì la spalla. Soren l’obbligò a voltarsi.

«Da qui non se ne va proprio nessuno. Credevo di es-sere stato chiaro!» gridò.

Gli osservò la mano stretta ad artiglio, si sentì cedere le gambe. «Lasciami, Soren. Noi non vogliamo entrarci.»

«Troppo tardi.» Le dita di lui le affondarono nella carne. Una fitta di dolore le percorse il braccio mozzan-dole il fiato. Bane lasciò andare il grosso ramo che stava trascinando e li guardò. Echo s’interruppe nel bel mezzo dell’azione, gli occhi sgranati, impauriti. Le luci si riflet-tevano scintillanti sui loro corpi. Stavano sudando an-che loro.

«Se te ne vai» disse Soren, «dirò a mio padre che è stata un’idea tua. Con l’Iride spento è la tua parola con-tro la mia. A chi pensi che crederà lui?»

«Sei pazzo.»Soren la lasciò andare. «Zitta e siedi.» Sogghignò. «E

goditi lo spettacolo.»

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