L'Italia ai tempi di Antonio

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L'Italia ai tempi di Antonio spettacolo di parole e note di Tersite Rossi, Milo Brugnara e Andrea Robol ispirato al romanzo “È già sera, tutto è finito” di Tersite Rossi con Tersite Rossi (parole) Milo Brugnara e Andrea Robol (note) Intro (con sottofondo Aida) Orale Aida (Rino Gaetano) Musica Raccordo Orale Italia contadina Lettura Raccordo Orale 1968 Lettura Raccordo Orale Non crederò Musica Raccordo Orale Gladio Lettura Raccordo Orale Potere nuovo Lettura Raccordo Orale Aida è adesso grande Musica Raccordo Orale Nasce il Gruppo Lettura Raccordo Orale Spartizione Lettura Raccordo Orale Ancora qua Musica Raccordo Orale Il giornalismo d'inchiesta Lettura Raccordo Orale Ilaria Musica Raccordo Orale Brutta influenza d'ottobre Lettura Raccordo Orale Ulisse aspetta Godot Musica Raccordo (con distribuzione poesia) Orale 40 anni (modena city ramblers) Musica Raccordo Orale Capaci Lettura Via d'Amelio Lettura Raccordo Orale Diario di Caterina Lettura Raccordo Orale Il testamento di Johnny Musica Raccordo Orale Post epilogo Lettura E' già sera, tutto è finito Musica Baci&Abbracci Orale

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Testi dello spettacolo

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L'Italia ai tempi di Antonio

spettacolo di parole e note di Tersite Rossi, Milo Brugnara

e Andrea Robol

ispirato al romanzo “È già sera, tutto è finito”

di Tersite Rossi

con Tersite Rossi (parole)

Milo Brugnara e Andrea Robol (note)

Intro (con sottofondo Aida) Orale

Aida (Rino Gaetano) Musica

Raccordo Orale

Italia contadina Lettura

Raccordo Orale

1968 Lettura

Raccordo Orale

Non crederò Musica

Raccordo Orale

Gladio Lettura

Raccordo Orale

Potere nuovo Lettura

Raccordo Orale

Aida è adesso grande Musica

Raccordo Orale

Nasce il Gruppo Lettura

Raccordo Orale

Spartizione Lettura

Raccordo Orale

Ancora qua Musica

Raccordo Orale

Il giornalismo d'inchiesta Lettura

Raccordo Orale

Ilaria Musica

Raccordo Orale

Brutta influenza d'ottobre Lettura

Raccordo Orale

Ulisse aspetta Godot Musica

Raccordo (con distribuzione poesia) Orale

40 anni (modena city ramblers) Musica

Raccordo Orale

Capaci Lettura

Via d'Amelio Lettura

Raccordo Orale

Diario di Caterina Lettura

Raccordo Orale

Il testamento di Johnny Musica

Raccordo Orale

Post epilogo Lettura

E' già sera, tutto è finito Musica

Baci&Abbracci Orale

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Intro

Provate a immaginare una sera d'estate: 2 scrittori con in tasca il loro primo romanzo, e 1 cantautore che ha tra le dita l'arte di far sognare. Ora immaginate che i 2 scrittori e il cantautore si incontrino per caso, o per destino, e scoprano di aver cercato, con un libro e con le canzoni, di raccontare una storia. La stessa, identica, storia. La storia dell'Italia degli ultimi 60 anni. Un'Italia popolata da eroi, al potere, e da antieroi, disprezzati dal potere. Immaginate, poi, che i 2 scrittori e il cantautore si innamorino di questi ultimi, degli antieroi, degli eterni sconfitti, e che attraverso i loro occhi abbiano deciso di intraprendere un viaggio, di musica e parole. Un viaggio che, oggi, vogliamo fare assieme a voi. Un viaggio che comincia in un piccolo borgo del meridione, negli anni '50, con un bambino di nome Antonio, figlio di contadini, che un bel giorno scopre cosa significa diventare grande. E un viaggio, che prosegue sulla note di un Paese, che molti si ostinano a chiamare Italia, ma che forse sarebbe più opportuno chiamare Aida.

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RACCORDOdopoAida(canzone)Questastoriacominciaconlanascitadell'Italiarepubblicana,l'AidacantatadaRinoGaetano.E con Aida nasce anche Antonio Castellani, figlio di contadini in un sudpremoderno,dovelavitaolamortediunanimalepuòsignificarelavitaolamortediun'interafamiglia.Antonio ha soli dieci anni quando una notte il destino decide che devediventaregrande.E ai tempi della giovaneAida, può capitare di diventare grandi anche per lanascitadiunvitello,operlacorsanotturnaattraversoilbosco,operl'addioadunnonnochecichiededinondimenticarelenostreorigini.

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L'Italia contadina Cutoli, settembre 1956

«Sei grande, Antonio. Hai dieci anni, ormai sei un ometto» gli disse il nonno dopo averlo chiamato a sé, dal letto in cui giaceva da oltre un mese. «Io sto per morire…» Antonio versò subito la prima lacrima, «…e tu devi farmi una promessa». Nonno Vittorio tossì forte, poi proseguì: «Prometti a tuo nonno che non abbandonerai mai la terra». Antonio aveva smesso di guardarlo. Ora guardava il pavimento, chiazzato dalle sue lacrime. «La terra dà da mangiare, agli animali e alle persone. Ricordatelo sempre, Antonio. La terra ci dà il pane. Il resto sono chiacchiere. È sempre stato così, non credere ad altro». Antonio ormai singhiozzava forte. «Non piangere, Antonio, non piangere e guardami». Antonio provò a calmarsi, alzò gli occhi e guardò il nonno: sorrideva, e il suo volto era sereno.

«Prometti?». E Antonio, che era già grande, si asciugò le lacrime e promise.

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RACCORDOdopoItaliacontadina(lettura)

AntonioCastellanihapromessoedèdiventatogrande.E quella promessa non la dimenticherà mai, nemmeno quando si ritrovalontanodacasa,aRoma,astudiareall’università.Lui,figliodicontadini,halapossibilitàdiriscattarelasuafamigliaedimostrarecheancheicosiddetticafonihannotalento.Quandoarrivaall’università,Romaèinsubbuglio.Glistudentioccupanolefacoltà,sfidanol’autorità,sognanolarivoluzione.QuandoAntonioCastellaniarrivaaRoma,c’èil’68adaspettarloenonperdel’occasione.Occupa,sfidaesognaanchelui.Econluiungrandeamico,Carlo,eungrandeamore,Silvia.Maancheisognimiglioripossonoinfrangersi,soprattuttosecisiaccorgechelarivoluzioneètraditadaglistessirivoluzionari.

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1968

Roma, estate 1968

- Devi piantarla di fare il prete, Antonio. La tua morale è disfattista. Stiamo facendo la rivoluzione, mica giocando a dama!

Antonio rimase in silenzio. Guardò fisso davanti a sé, mentre il dito indice faceva disegni a caso sulla sabbia. Il mare di Ostia era una tavola d’olio, quella mattina del giugno ‘68.

- Hai presente Gianni Romedio, il maoista? - Sì, ha finito da qualche settimana, se non sbaglio. - Esatto. Ha passato, in una sola sessione, una decina di esami, a colpi di “voto

politico”. E poi si è laureato. Era parcheggiato a Lettere da sei anni. Adesso fa l’assistente del professore…

Rimasero entrambi in silenzio, per qualche secondo, guardando il mare. - È questa la nostra rivoluzione, Carlo? Carlo non rispose. Si alzò e andò a tuffarsi in acqua. Era fredda. “Abolite il dettaglio, utilizzate l’orgasmo”. Era un altro slogan di quel periodo. A

Silvia, manco a dirlo, piaceva un mondo. - … capisci quello che intendo dire, Silvia? Tutto questo settarismo non ha

senso! Nasconde una chiusura mentale che fa a botte con l’apertura che noi studenti diciamo di voler portare nella società…

Silvia continuò ad armeggiare coi suoi dischi, senza rispondere. - Pensa che oggi, fuori dalla Facoltà, mi si è avvicinato un tizio, che non avevo

mai visto, e mi ha chiesto da accendere. Poco dopo, è venuto da me Franco Malerba - hai presente? quello di Potere Operaio - che ci mancava poco che mi prendesse a schiaffi! “Ma non lo sai che quello parla coi fasci?”, mi ha domandato furioso. “Che cazzo ti viene in mente di dargli da accendere? A quelli sì che bisogna dargli fuoco, ma in un altro senso…”. Ti rendi conto, a che punto siamo arrivati, Silvia?

Lei lo aveva a mala pena ascoltato. Annuì distrattamente, mentre metteva nel giradischi “Satisfaction” degli Stones. Antonio sapeva benissimo cosa voleva Silvia quando metteva su quel disco.

“Abolite il dettaglio, utilizzate l’orgasmo”. Quel pomeriggio, mentre ci stava arrivando, all’orgasmo, Antonio dubitò che forse, con Silvia, aveva abolito qualche dettaglio di troppo. Ma poi l’orgasmo arrivò, e si portò via il dubbio. Solo un dettaglio, pure quello.

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RACCORDOdopo1968(lettura)

Antonio,quandosiaccorgediaverpersodivistaqualchedettaglioditroppo,scopredinoncrederepiùamoltecose.Noncredepiùall’amicizia.Noncredepiùallarivoluzione.Noncredepiùnemmenoall’amore.Quandoalla finedeglianniSettantaAidaèprontaa lanciarsi verso il granderiflusso, Antonio lascia Roma per andare nella Milano da bere a farel’avvocato,sempresulcrinaletraillecitoel’illecito.Einquelmomentosmettedipensareecominciaanoncrederepiùanulla.

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RACCORDOdopoNoncrederò(canzone)

GlianniOttantacorronoveloci,senzafreni,senzapudori.EAntoniocorreconloro.Poi, quando la caduta di un muro sta per cambiare la storia, un urlo delpassatolorichiamaaRoma,ancoraunavolta.Elì,ildolorelocostringearecuperareidettagli.Lascia il lavoro da avvocato, rinnega il suo recente passato, per svolgerefinalmentelaprofessionechehasempreamato:ilgiornalista.Scrive per un settimanale d’inchiesta e tocca a lui, per fortuna o perdannazione, il compito di fare luce sui marciumi della vecchia Aida, sulletangenti,suirapportitramafiaeservizisegreti,sullestragidiStato.Etuttocominciagrazieadunfascista.Ealsuodesideriodivendetta.TuttocominciaconPierluigiRavasio.

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Gladio Cremona, 30 ottobre 1989

- Quello che le dirò glielo dico perché ne ho piene le palle. Ravasio lasciò perdere i convenevoli ed arrivò subito al dunque. - Mi hanno rotto i coglioni. Nessuno di quelli che siedono in Parlamento, oggi in

Italia, può dirsi di destra senza raccontare una gran stronzata. Il Movimento Sociale è una caricatura del passato. Pensano solo alla poltrona, pure loro. Adesso mi hanno proprio rotto i coglioni!

Un fascista. Ravasio era un fascista duro e puro. - Per tradizione familiare. Mio padre è stato un repubblichino ed un carabiniere

paracadutista. E io ne ho seguito le orme. Con orgoglio. Insomma, cosa voleva da lui un fascista? - Voglio togliermi qualche sassolino dalla scarpa. Voglio sputtanare quelle mezze

seghe dei servizi segreti. Pensavo che almeno da loro si potesse lavorare senza condizionamenti. E invece anche lì era un continuo “questo non si può fare”, “bisogna avere pazienza”, “il tempo dell’azione arriverà”, e cazzate simili. Ho aspettato per anni di entrare in azione, e intanto i rossi e i preti si prendevano l’Italia. Che merda.

Cominciò a pensare di aver fatto un viaggio a vuoto. Quell’uomo non gli sembrava altro che un pazzo mitomane. Quando Ravasio gli chiese di seguirlo a casa sua, poiché quello era un luogo troppo affollato per parlare, Antonio si rifiutò. Non c’era motivo di spostarsi, gli disse. Che gli raccontasse lì, in pubblico, quello che aveva da raccontare.

Ma poi cambiò subito idea, non tanto per lo sguardo minaccioso di Ravasio, quanto per la pistola che l’uomo gli fece intravedere da sotto il cappotto.

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RACCORDOdopoGladio(lettura)

MentreAntonioCastellanicercadisvelareiretroscenadrammaticidellastoriadellavecchiaAida,qualcuno ‐nell’ombra ‐hadecisocheè tempochenascaunanuovaAida.Ilcaosdeveemergereperriportareunnuovoordine.E’ormaitempo‐perqualcuno‐cheilvecchiopoterevengaspazzatovia,perlasciarefinalmentespazioaquellonuovo.

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Potere nuovo Località sconosciuta, metà maggio 1992

Il mare calmo aveva avuto il solito effetto ipnotico su di lui. Lo stava fissando ormai da più di un’ora, attraverso la vetrata. Immobile, nel suo studio, seduto di spalle alla scrivania. Igor accucciato per terra, al suo fianco.

Razza fedele, il dobermann. Razza superiore. Frutto di un’accurata selezione, effettuata circa un secolo prima in Germania, per arrivare ad ottenere un esemplare in cui spiccassero qualità, coraggio e resistenza. Peccato che non si potesse farlo anche con gli uomini.

Lo accarezzò sul manto morbido, senza staccare gli occhi dall’acqua. Quando era calmo, piatto come una tavola da biliardo, il mare aveva il potere di rilassarlo totalmente. Gli ricordava l’ordine. E lui amava l’ordine. Più di ogni altra cosa.

Ma sapeva pure che non sempre era possibile mantenerlo. Il potere non si poteva sempre spartire. Un po’ a te, un po’ a me: tutti contenti, tutto in ordine. Ci aveva provato. Ma non gli era andata bene.

Il vecchio potere era troppo logoro per resistere ancora. Stava per essere travolto, i segnali già si vedevano, da più parti. Tangentopoli l'avrebbe presto spazzato via. Era un malato terminale. Inutile provare ancora a tenerlo in vita.

Bisognava accettarlo: il vuoto di potere era arrivato. All’ordine doveva ora seguire, per forza di cose, il disordine. Perché un nuovo potere emergesse, e l’ordine potesse ritornare, ancora una volta.

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RACCORDOdopoPoterenuovo(lettura)

All’iniziodeglianniNovanta,lavecchiaAidaèlogoraeferitaamorte.Qualcuno–nell’ombra–hadecisocheètempodicambiare.Servononuovivolti,nuovislogan,nuovileader.Tuttodevemutare,affinchénonmutinulla.Aida,ormai,èdiventatagrande.

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RACCORDOdopoAidaadessoègrande(canzone)

Il 17 febbraio 1992 a Milano viene arrestato il socialista Mario Chiesa edesplodelarivoluzionediTangentopoli.MentreintuttaItaliasiattendecontrepidazioneilcambiamento,mentreAntonioCastellanistaindagandosuimisteridiAida,nelpiccolopaesediGazzolino,dueamici–SimoneeRoberto–siilludonocheanchelì,inTrentino,lastoriapossacambiare.Il17febbario1992,SimoneeRoberto,dannoavvioall’avventuradelGruppo,un’associazionegiovanilechehal’opportunitàdilasciareilsegno.Semprechelerigideideologieeivecchipoterilopermettano.

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Nasce il Gruppo

- Lunedì 17 febbraio 1992. Ricordatevela bene questa data. Da oggi la nostra vita cambierà. Da oggi certe abitudini dovranno per forza mutare e non ci sarà più la possibilità di dire “non lo sapevamo”. Da oggi la scena sociale del nostro paese verrà travolta da un vento nuovo, un vento di libertà e trasformazione. Un vento che scuoterà le nostre coscienze e spazzerà via il vecchiume di certe abitudini consolidate, nelle quali regnavano solo il silenzio e la conservazione dell’esistente. Oggi si apre un sogno e a noi, proprio a noi, viene concessa la possibilità di avere uno spazio nuovo nel quale possa manifestarsi la nostra sete di cambiamento e la nostra forza di radicamento sociale e comunitario. In questa realtà non vi sarà posto per l’egoismo solipsistico degli interessi privati e del tornaconto dei soliti noti. Oggi ci appropriamo di uno spazio pubblico che noi trasformeremo in modo collettivo in bene pubblico. E’ finita un’epoca. Se ne apre un’altra. E noi ne siamo, e ne saremo, i soli, veri, originari protagonisti.

La solita incomprensibile retorica comunista, pensò Simone, schiacciando al suolo

un sorriso ironico per non farsi vedere dall’amico. Anzi, dal “compagno” Roberto, che rosso in volto vicino a lui stava arringando una folla di una cinquantina di giovani dagli sguardi smarriti e perplessi.

Era la prima volta, da decenni, che un discreto numero di ragazzi e ragazze di Gazzolino si ritrovava insieme per parlare e progettare in comune la gestione di uno spazio tutto loro.

Una data importante, senza dubbio, quel 17 febbraio. E molto lo si doveva a lui, Simone Galassi, 23 anni, panettiere.

Lo sapevano quei ragazzi, scamiciati nonostante la stagione, che la novità passava per la voce e la volontà di Simone il panettiere, di quel giovane dalla barba di due giorni e dai capelli scuri che si attorcigliavano sulla fronte, rincorrendosi in scomposti riccioli ribelli. Era stato lui a farsi portavoce delle loro istanze presso l’intero Consiglio Comunale. E non era stato affatto facile. La politica era una bestia difficile da domare. Ma lui sembrava avercela fatta.

Ora, i ricordi del passato frullavano scomposti nella sua mente, mentre un centinaio di occhi aspettava l'intervento finale. La bocca era secca e avrebbe pagato qualsiasi cifra per un sorso d’acqua. Si alzò in piedi, ringraziò tutti per la partecipazione e comunicò i membri nominati nel direttivo della neonata associazione giovanile “Il gruppo”, che su concessione del Comune avrebbe potuto riunirsi regolarmente presso uno stabile abbandonato, a fianco della caserma dei carabinieri.

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RACCORDOdopoNasceilGruppo(lettura)

Stranacombinazione.Un giorno Simone legge un articolo di un giornalista ‐ un certo AntonioCastellani–chedenuncialaspartizioned’Italiatralamafiaeilpoterenuovo.Stranacombinazione.MaaSimonequell’articolofasorgereunsospetto.CheancheilsuoGrupposiavittimadiunaspartizione.ChenonsiadavveroliberodicambiarelavecchialogicadominantenelpaesediGazzolino.E’giunto ilmomento,perSimoneegli altrimembridelGruppo,diapriregliocchi.

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Spartizione Gazzolino, 23 marzo 1992

- Ma non capite? Non vi dice nulla la parola “spartizione”? Lo scrive chiaramente… come si chiama?… il giornalista… Antonio Castellani! Lo ha detto senza mezzi termini: tutti spartiscono, vecchie volpi e giovani rampanti, politici del nord e mafiosi del sud. Capite? La Lega, cazzo, la Lega vuole vendere mezza Italia alla mafia!

- Dai, Simone, lo dice quel tipo lì! Che ne sai tu? - Aspetta, ragioniamo un attimo. Non so se tutto quello che dice questo Castellani è

vero. Fatto sta che in Italia non si muove nulla senza il consenso dei partiti e degli amici degli amici…

Gli altri rimasero in attesa per vedere dove volesse andare a parare. - … e quelli che comandano sono tutti, o quasi, “amici”. […] La torta è grande e

una fetta non si nega a nessuno. Avete presente gli animali? Se c’è cibo per tutti non si scannano, si accordano. Così hanno fatto i partiti tra loro. Così vuol fare la Lega con la mafia, secondo Castellani. Così fanno tutti, compresi i “nostri”.

Era venuto per Simone il momento di svelare le carte. - Guardiamoci in faccia! Ognuno è qui, in questo direttivo, perché qualcun altro ha

voluto che ci fosse. Sulle sedie qualcuno cominciò ad agitarsi. Simone modulò la voce e continuò: - Qualcuno ha trasformato la nostra associazione in una bella torta e ha proceduto

con la spartizione, come sempre. […] Noi siamo soltanto gli inconsapevoli rappresentanti degli “amici”. Loro ci usano, per dimostrare che in paese non si può far nulla senza il loro consenso. […] Appena c’è qualcosa, scatta la spartizione. Così tutti sono contenti e nessuno rompe. Perché a fare la spartizione sono sempre loro, i soliti noti. E li trovi ovunque. Dalla commissione edilizia alla società sportiva, dalla banda musicale al nostro gruppo.

- Ma questa è mafia! Cazzo, Simone, li stai accusando di essere mafiosi! - In un certo senso… Diciamo che sono mafiosi senza lupara. Dei mafiosi a

parole…

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RACCORDOdopoSpartizione(lettura)

IragazzidelGruppoavrebberopotutomollare.Avrebbero potuto decidere di lasciar perdere, di non sfidare i poteri diGazzolino.Einvecedecidonodiandarecontrocorrente.Dinonrinunciare.Inmododapoterdire“noicisiamo”.Noisiamoancoraqua.

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RACCORDOdopoAncoraqua(canzone)

Perresistere,iragazzidelGruppohannobisognodiesempi.Nondieroi.Dianti‐eroi,incaso.ComeMaurizioPedotti.Ungiornalistache,alculminediunamalattiachelostauccidendo,scriveunaletterachesembrapropriorivoltaaloro.

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Giornalismo d'inchiesta

Sono un giornalista. Ho guardato il mondo con gli occhi di un giornalista e ho cercato di descriverlo. Ho visto l’Italia del ’68 e quella delle stragi. Ho visto l’Italia in mano ai furbi e ai leccapiedi, ai saltimbanco e ai mafiosi. Per questo ho sempre amato la provincia. Perché credevo che questi loschi individui, da noi, non ci fossero. Perché ho sempre creduto che qui la vita lenta della campagna e dei boschi facesse bene alla mente e la tenesse sgombera da quegli spettri.

Mi sbagliavo. In provincia quegli spettri ci sono, forse più opachi, meno vistosi, ma ci sono. La gente che incontro per la strada è convinta di condividere la stessa vita. Si sbaglia. Perché c’è un’altra vita, un altro mondo. Un livello superiore, anche se l’immagine non mi piace. E’ un mondo popolato da uomini che sotto, nella vita nostra, si camuffa, si traveste per celare il proprio vero volto. Che è quello del potere.

Il potere non è qualcosa di metafisico. Il potere è la gestione privata degli affari di tutti, è la possibilità di sapere ciò che gli altri non sanno, è il privilegio di cadere sempre in piedi qualunque terremoto arrivi, è l’opportunità di decidere secondo regole che chiunque sia fuori ignora e non capirà mai. E chi vive in questo mondo parallelo non ha colore che lo distingua dagli altri. Il potere non ha colore. I colori servono per noi che viviamo sotto, nella vita “normale”. Sopra, non esistono.

Capisci, Alfredo, perché adesso che sento che la vita mi sta abbandonando compiango la mia sconfitta? Troppe volte ho finto che la vita fosse uguale, per tutti. Mi illudevo, sbagliavo, dimenticavo.

Si commettono tanti errori nel corso della propria esistenza e sarebbe imperdonabile arrivare in fondo senza ammetterlo e cercare un qualche rimedio. Ci provo. Mi hai sempre detto con ammirazione che sono un cane sciolto perché mordo il potere e non devo rendere conto a nessuno. Troppo buono, non me lo merito. Sono consapevole, invece, di quanto avrei potuto fare di più se solo fossi stato fino in fondo un cane sciolto. Sai, a volte manca il coraggio, purtroppo.

Tuttavia, in questi giorni o mesi che ancora mi restano ho solo una speranza. Che qualcuno si svegli prima di me e abbia la forza che mi è mancata. Per costruire qualcosa di originale, che non nasconda secondi fini, che scuota le persone, oltre le spartizioni. Per mostrare anche al nostro paese che nessuno ha diritto di dire “non sono affari tuoi”. Il potere vive sul silenzio. E chi tace, ha torto. Sempre.

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RACCORDOdopoGiornalismod’inchiesta(lettura)

MaurizioPedottisapevafareilsuomestiere.Cometantialtrigiornalisti,chespessohannopagatoconlavitalalorosetedigiustizia.ComecihainsegnatoIlariaAlpi.

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RACCORDOdopoIlaria(canzone)

IlGruppodeiragazzidiGazzolinohamolteanime.Unadi loro,Massimo,è l’esempiodichistacercandounadirezione,pernonsoffocarenell’ipocrisiadiunasocietàriccaeapatica.Massimosiamotuttinoi,quandociguardiamoallo specchioechi chiediamochisiamo.Epercapirlo,puòservireancheun’influenza.D’ottobre.

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Influenza d’ottobre

Il nostro cane non mi riconosce più… Venditti. Ricordi di infanzia. In bocca quel gusto inconfondibile di latte con i frollini

sbriciolati. I Rigoli del Mulino Bianco, quelli al miele. La lingua di Massimo, nonostante la patina bianca della convalescenza, si inumidì

assaporando un gusto antico, che da troppo tempo mancava. Ricordi di un’infanzia spensierata, quando la madre, prima di mandarlo a scuola, gli preparava il latte nel piatto, quello fondo di nonna decorato d’azzurro, e gli faceva ascoltare la solita cassetta: Sotto la pioggia di Venditti. Che per lui divenne la colonna sonora del latte e biscotti.

Cerco le chiavi di casa, questa non è casa mia, più mia… Sarebbe rimasto in quella casa per sempre? A volte si ritrovava a pensare che da lì non se

ne sarebbe più andato. Se non con un colpo da maestro. Quello che però gli era sempre mancato.

Scrollò il capo. Si alzò dal letto, nonostante la testa gli girasse leggermente. Brutta influenza. Di ottobre, poi. Se fosse stato per lui sarebbe rimasto fuori in mezzo ai profumi d’autunno a farsela passare, ma il medico gli aveva intimato di rimanere chiuso, al caldo.

E così si era ridotto a vagabondare per una camera invasa dai libri di Fisica 1. Sì, brutta influenza, di ottobre. …i libri, quelli li ho portati via… Buona sessione di esami, a settembre. Eppure i successi universitari non lo gratificavano

molto. Se li lasciava piovere addosso, con un sorriso come si conviene, e nulla più. Sarebbe stato un ottimo… ma cosa? Tutti intorno a dirgli “bravo” perché lui el tàse e

laòra, tace e lavora, nel pieno rispetto della tradizione trentina. Affanculo anche il Trentino e quella terra di straccioni vestiti a festa. Ipocriti. Il sangue

della sua terra gli scorreva impetuoso nelle vene e proprio per questo suo straordinario attaccamento ad ogni singola foglia, buccia o goccia, si sentiva in diritto di provare un vago disprezzo per quell’umanità che l’abitava. Gente che aveva perso l’umiltà degli antichi e che non aveva ancora raggiunto l’apertura mentale dei moderni. Gente di mezzo, insomma, vigliacca come la servitù tirolese e infida come i papponi veneziani.

Si chinò per raccogliere un foglio caduto per terra. Brutta influenza, di ottobre. …scopare bene, scopare bene, questa è la prima cosa… Donne. Ma con quella tipa, alla fine, c’era andato o no? Perché lui, di quella sera in riva

al mare, ricordava solo le solite canzoni suonate con la chitarra e poi… poi un braccio intorno alle spalle ed un viso che gli si era accoccolato in grembo, al ritmo delle onde.

Veloce riavvolgimento del nastro. Nessuna speranza che la musica prosegua all’infinito. Una cassetta arriva sempre in fondo, al “clac” che ti fa alzare perché ovviamente ti sei dimenticato di mettere l’auto-reverse.

Ci si dimentica sempre qualcosa. Segno che non si è scopato bene. Sì, brutta influenza, di ottobre.

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RACCORDOdopoInfluenzad’ottobre(lettura)

Massimoèallaricercadiunsenso.E’inattesadiunarisposta,dell'arrivodiqualcuno.Ericordamoltounviaggiatorechesognadifermarsipersempreinunporto,machenonsmettedinavigare.MassimoricordamoltoUlisse,inattesadiGodot.

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RACCORDOdopoUlisseaspettaGodot(canzone)

LamusicaperiragazzidelGruppoèfondamentale.Aiutaadesprimerequelleemozionichealtrimentirimarrebberoimprigionatenelprofondodell’anima.Emagariaiutaanchearaccontarelastoriadeiprimiquarant’annidelproprioPaese.Comeaccaddenelmaggiodel1992,quandounabandsconosciutasitrovòpercasoasuonareinmezzoairagazzidiGazzolino.QuellabandsichiamavaModenaCityRamblersedaquel1992avrebbefattopoimoltastrada.Finoacondividere,sulpalco,voceemelodiaconMiloBrugnara.

[poiscendeadistribuirelapoesia]

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RACCORDOdopo40anni(canzone)

LavecchiaAidaeracorrosadalmaledellestragiedellacorruzione.LagiovaneAidaneripercorrefedelmenteipassi.AcominciaredallaSicilia,dove l’esplosivo togliedimezzochinonsapropriofarsigliaffarisuoi.ComeGiovanniFalconeePaoloBorsellino.

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Capaci

Gazzolino, 23 maggio 1992 In sede era calato un silenzio spettrale. Tutti gli occhi erano puntati sul vecchio Telefunken portato da Roberto. La storia scorreva nelle immagini del telegiornale, in diretta da Palermo. Un quantitativo enorme di esplosivo. Un’autostrada divelta. Tre Croma saltate in aria. Sangue. Morti. Il giudice Giovanni Falcone e sua moglie. Gli agenti della scorta. Una strage. Il Telefunken trasmetteva impietoso quell’eccidio. Nessuno sapeva cosa dire. Nessuno era in grado di realizzare che cosa fosse successo. Anche se avevano capito che la mafia si era sbarazzata di un giudice scomodo. Forse il più scomodo. Ma che cosa si nascondesse dietro quella mattanza, che cosa significasse questo per il Paese in cui vivevano, loro non riuscivano ad immaginarlo. Cinque volti vitrei. Simone, Chiara, Massimo, Diego, Roberto. Cinque sguardi attoniti. Fuori dalla sede venne affisso un cartello con scritto “chiuso per lutto”. Massimo aveva recuperato da casa un vecchio lenzuolo e con gli altri aveva scritto “Il Gruppo non dimentica. Ora e sempre contro la mafia”. Poi insieme l’avevano appeso alla parete esterna della sede, sul lato più visibile dalla strada. Era il minimo che potessero fare.

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Via D’Amelio Gazzolino, 19 luglio 1992 “…un’autobomba è esplosa poco prima delle 17 in via D’Amelio a Palermo…”. Tutti si zittirono improvvisamente e si girarono di scatto verso [il vecchio Telefunken], che proseguiva nella fredda cronaca. “…ci sono diverse vittime tra cui, a quanto pare, il noto magistrato Paolo Borsellino, amico e collega del giudice Giovanni Falcone, anche lui rimasto vittima poco meno di due mesi fa di un terribile attentato nei pressi dell’uscita autostradale di Capaci. Per ora non siamo in grado di darvi ulteriori informazioni…”. Silenzio. Nessuno aveva più voglia di parlare. Dopo Falcone, era toccato a Borsellino. I due magistrati simbolo della lotta alla mafia erano stati polverizzati dall’esplosivo, uno dopo l’altro, in meno di due mesi. Caterina scoppiò a piangere. Elisa cercò di consolarla, ma anche a lei gli occhi brillavano di lacrime. Nemmeno Roberto era in grado di esprimere il suo dolore. Riuscì solo a soffiare a denti stretti: - Bastardi… La sede rimase illuminata fin dopo le 22, quella sera. Si decise di dare un altro segnale, esponendo un nuovo striscione vicino a quello già appeso dopo la strage di Capaci. Era un lenzuolo giallo sul quale, in caratteri rossi, venne impressa un’unica parola, sintesi inequivocabile di quel giorno drammatico: “Resistenza!”.

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RACCORDOdopoCapaci(lettura)

Il1992èunannodisangue.Mailpeggiodeveancoraarrivare.Il1993èl’annodellestragidiFirenze,RomaeMilano.10morti,moltiferitietantapaura.ComequellaraccontataalsuodiariodaCaterina,lapiùgiovaneragazzinadelGruppo,chenonriesceacapirecosastiaaccadendo.Capiscesolocheilpoterestainpiedisulsangue.Anche quello di Nadia, una bambina di soli 9 anni, che abitava in via deiGeorgofili.

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Firenze

Gazzolino, 2 giugno 1993 Caro diario, Pochi giorni fa è successo qualcosa che mi ha tolto il fiato. A Firenze, in via dei Georgofili, è scoppiata una bomba. Dicono che l’abbia messa la mafia. Ha distrutto palazzi e opere d’arte preziosissime e, soprattutto, ha ucciso cinque persone. Perché la mafia lo abbia fatto non lo capisco. Non ho mai letto così tanti giornali come in questi giorni, ma ancora non riesco a capire. Ho chiesto alla mamma e al papà ma anche loro non hanno saputo che dirmi. Sono spaventati, mi dicono che è un brutto periodo questo. Ma perché? Ho letto su un libro una frase stupenda: “il futuro è dei puri di cuore con le mani sporche di terra”. E' un’immagine bellissima. Anch’io voglio essere pura di cuore con le mani sporche di terra. E di polvere e di tutto quello che c’è in questo mondo. Perché io voglio cambiarlo questo mondo. Perché non posso più pensare che continuino a morire persone innocenti solo perché alcuni hanno deciso che il potere deve stare in piedi sul sangue. Non posso più scrivere, caro diario. Non piangere, l’ho già fatto io tante volte, anche per te. Non posso più scrivere perché le parole mi sembrano foglie nel vento in questi momenti. Ho bisogno di impegnarmi, di sporcarmi le mani di terra e di polvere. Il Gruppo mi aiuterà a cambiare il mondo. Lo so. Non so quando lo faremo, ma un giorno accadrà. E allora tornerò a scriverti. Per dirti che ce l’abbiamo fatta. Prima di salutarci, però, voglio lasciarti un regalo, come si fa con gli amici. E’ una poesia. L’ha scritta una delle bambine morte nella strage di Firenze, Nadia, anche se aveva solo nove anni. Si intitola “Il tramonto”. Il pomeriggio se ne va il tramonto si avvicina, un momento stupendo. Il sole sta andando via (a letto). E’ già sera, tutto è finito. Nadia aveva il cuore puro e magari anche le mani sporche di terra. Ed io? Caro diario non ti abbandono, perché so che ci rivedremo di nuovo. Nel bene o nel male, dipende. Ma ci rivedremo. Un abbraccio, Cate

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RACCORDOdopoDiarioCate(lettura)

Ilpoterenuovoèarrivato.Nessunoosametterloindiscussione.AntonioCastellanisi ferma.Smettedi inseguire imisterid'Italia, sconfittodachitramanell’ombra.AncheiragazzidelGrupposiperdonoperstrada,disillusi.Ilsecolovolgealtermine.Semprepiùsbiadito.Finchénellugliodel2001,capitaatuttilorounanuovaoccasione.Antonio,Simone,Roberto,Caterinaetantialtrirecuperanolasperanza.QuellasperanzalacondividonoaGenova,conmilionidipersonearrivatelìpergridareaicapidiStatodelG8cheunaltromondoèpossibile.Chelademocrazia,quellavera,nonsichiudedentrounazonarossaprotettadall’esercito.Nellugliodel2001quellepersonesperanoinunanuovaResistenza.E se tra loro ci fosse stato un vecchio partigiano, avrebbe ricordato il suosacrificioperliberarel'Italia.Equeste–probabilmente–sarebberostatelesueparole.

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RACCORDOdopoIltestamentodiJohnny(canzone)

Il22lugliodel2001,ilG8ègiàfinito.Il 22 luglio del 2001, chi ha creduto in una nuova resistenza è già tornato acasa.Oppureèingalera.Oall’ospedale.Unoèall’obitorio.Il22lugliodel2001chissàdovesitrovanoAntonioeiragazzidelGruppo.EchissàsesiricordanoleparoledellapoesiadiNadia.Il22 lugliodel2001,sequalcunodall’altoavesseosservatoGenova,avrebbecapitosolocheilsoleeratramontato.Pertuttoilrestononc’erapiùtempo.

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Post epilogo

Genova, 22 luglio 2001, tarda sera Vista dall’alto, Genova sembra riposare in una luce sinistra. Un rossore la pervade

tutta, come se la sua naturale pudicizia si fosse un poco offesa. I rumori, le grida, gli spari sono echi lontani. Rimasti, al più, nei volti insanguinati o nei nastri registrati. Ma anche quelli non ci sono più. Distanti.

La città è ancora bella dall’alto, nonostante tutto. Il fumo, diradandosi, lascia agli sguardi innocenti le fioche luci dei lampioni, appena accesi. Sembra un animale ferito che orgogliosamente si pone su un fianco, per rivedere le stelle e lasciarsi accarezzare, ancora una volta. E poi per sempre chiude gli occhi nella serenità eterna.

Il mare lenisce il suo dolore, sfiorando le sponde antiche, memori di navigatori e guerrieri. Allora, come oggi. E come se nulla fosse successo le correnti spingono gocce, miliardi di gocce trasparenti, verso la vecchia lanterna, per giocare a rimpiattino le une con le altre.

La zona rossa se la porteranno via il tempo e le braccia dei netturbini. Il resto rimarrà, in quella luce sinistra del tramonto avanzato, per coprirsi nuovamente di aria e di cielo. Accompagnando i rumori alla porta, come si fa con gli ospiti molesti. Perché la città comincia ad avere sonno e le palpebre si fanno sempre più pesanti.

Il vecchio animale si è addormentato. Non sembra più così ferito. Lo sguardo severo si addolcisce lentamente e le membra si sciolgono nell’abbraccio corroborante dell’estate. Gli alberi troneggiano nell’ombra con le loro chiome. Degli uomini, delle azioni, delle idee, poco importa ormai. Granelli di polvere agitati in disegni e parabole multiformi. E destinati a scivolare via. Come sempre.

Genova, dall’alto. Che cosa avrebbe pensato Nadia, vedendola? “È già sera, tutto è finito”.

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Baci&abbracciGiunti in fondo a questo viaggio, desideriamo ricordare chi ci ha tenutocompagniaA partire da Antonio, Simone, Roberto, Massimo, Caterina e tutti i loroamici,uscitidalromanzo“E’giàsera,tuttoèfinito”,chehaispiratoquestospettacolo.PerproseguireconRinoGaetanoe iModenaCityRamblers, checihannoregalatoduelorocanzoni.E,soprattutto,concluderecon:lafisarmonicadiAndreaRobollavoce,lachitarra,l'armonicaelacreativitàdiMiloBrugnaraleparoleeitestidiMarcoNiroeMattiaMaistri,aliasTersiteRossiDesideriamo dedicare questo spettacolo a tutti gli antieroi che vivono inmodo quasi clandestino e non sono ancora stanchi di cercare una nuovaalba.Eperricordarlovidedichiamoun'ultimacanzone.Grazieatuttivoiebuonastrada