7 Mosse per l'Italia

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7 MOSSE L’ITALIA CON I COMMENTI DI GIOVANNI SOLDINI, UGO ALCIATI, LUCA BAFFIGO, ALESSANDRO BARICCO, MARIO BRUNELLO, MORENO CEDRONI, LELLA COSTA, LUCIANA DELLE DONNE, GUIDO FALCK, GIORGIO FALETTI, BRUNO FIENO, MARIA GIUA, BEATRICE IACOVONI, RICCARDO ILLY, MARELLA LEVONI, MATTEO MARZOTTO, TEO MUSSO, PAOLO NOCIVELLI, PIERGIORGIO ODIFREDDI, SIMONE PEROTTI, FRANCESCO RUBINO, DAVIDE SCABIN, ANTONIO SCURATI, DANIEL WINTELER OSCAR FARINETTI

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Un navigatore e un mercante, aiutati da 5 velisti, accompagnati da 3 grandi chef e da 15 compagni di viaggio – gente di pensiero e di azione che si è alternata di tappa in tappa – si sono confrontati sulle 7 mosse da attuare subito per migliorare il nostro paese. nessuna di queste persone fa politica attiva, né desidera farla. nessuno di loro è pregiudizialmente di destra o di sinistra, lontani anni luce da beghe partitiche: mai “contro”, sempre “per”.

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7 mosse l’italia

con i commenti di giovanni soldini, ugo alciati, luca baffigo, alessandro baricco, mario brunello, moreno cedroni, lella costa, luciana delle donne,

guido falck, giorgio faletti, bruno fieno, maria giua, beatrice iacovoni, riccardo illy, marella levoni, matteo marzotto, teo musso, paolo nocivelli,

piergiorgio odifreddi, simone perotti, francesco rubino, davide scabin, antonio scurati, daniel winteler

oscar farinetti

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7 mosse l’italia

oscar farinetti

un viaggio in barca a vela da genova a new yorkcon giovanni soldini e un po' di amici

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7 mosse per l’italia

© 2011 eataly srl

progetto editoriale:sintagmagroup srldarica martino

finito di stampare nel mese di maggio 2011g. canale & c. spa – borgaro torinese (to)italia

per dimostrare l’impegno alla cura del cliente e per ridurre gli impatti ambientali associati alle proprie attività, la g. canale & c. spa, presso il suo sito certificato imprim’vert, ha conseguito e mantiene le certificazioni uni en iso 9001:2008 e uni en iso 14001:2004, applicando quindi un sistema di gestione qualità e ambiente conforme a queste norme internazionali

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«Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così. Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così. Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso. Qui ad Atene noi facciamo così. Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma che la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così.»

PErICLEDiscorso agli Ateniesi

(461 a.C.)

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indice

le ragioni di un viaggio

alla ricerca del marino di luciano bertello

7 mosse per l'italia – due o tre cose prima di cominciare

la barca

l'equipaggio, di tappa in tappa

diario di una traversata di giovanni soldini

i naviganti

7 mosse per l'italia di oscar farinetti

meno critica, più autocritica – prologo

meno politici, più politica

meno sprechi, più responsabilità

meno bombe, più diplomazia

meno invocazioni, più vocazioni

meno liti, più accoglienza

meno io, più noi

meno leggi, più disciplina – meno chiesa, più gesù

meno maschile, più femminile – epilogo

7 mosse per l'italia – la parola ai naviganti

meno meteore, più perseveranza di ugo alciati

meno merito, più estero di luca baffigo

meno scetticismo, più ingenuità di alessandro baricco

riflessioni da “i love barolo” di mario brunello

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meno teoria, più pratica di moreno cedroni

una mattina mi son svegliata… di lella costa

innovazione sociale = creativitàapplicata al buon senso di luciana delle donne

meno onde, più mare di guido falck

meno leggerezze, più leggerezza di giorgio faletti

meno individualismo, più armonia di bruno fieno

l'albero si giudica dai frutti di maria giua

meno pregiudizi, più umiltà di beatrice iacovoni

meno velleitarismo, più rigore di riccardo illy

meno zavorra, più vento di marella levoni

il viaggio, la navigazione, le 7 mosse di matteo marzotto

più terra, meno facebook di teo musso

meno "status quo", più cambiamenti di paolo nocivelli

modeste proposte sulle 7 mosse di piergiorgio odifreddi

meno manifestazioni, più azioni (individuali) di simone perotti

meno parole... di francesco rubino

meno cervello, più pancia di davide scabin

la cultura a milano (e in italia?) di antonio scurati

meno profitto, più coscienza di giovanni soldini

meno pigrizia, più fantasia di daniel winteler

7 mosse per l'italia – riassumendo

ringraziamenti

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le ragioni di un viaggio

Sono state due le ragioni che nella primavera del 2011, dal giorno della Liberazione (25 aprile) alla festa della repubblica (2 giu-gno), hanno spinto un piccolo gruppo di italiani a trasformarsi in ciurma e ad affrontare l’oceano: 37 giorni per mare, da Genova a New York, su una barca a vela manuale e con una cambusa rifor-nita di ottimi cibi e vini italiani, però razionati. è stato un viaggio vero, avventuroso, e al tempo stesso un viaggio simbolico: la pro-va che insieme si può ancora fare molto per il nostro Paese e per noi stessi, e che si può vivere e convivere in armonia.

Il libro che state sfogliando è il frutto di quel viaggio.

7 mosse l’italiaUn navigatore e un mercante, aiutati da 5 velisti, accompagnati da 3 grandi chef e da 15 compagni di viaggio – gente di pensiero e di azione che si è alternata di tappa in tappa – si sono confrontati sulle 7 mosse da attuare subito per migliorare il nostro Paese. Nes-suna di queste persone fa politica attiva, né desidera farla. Nessu-no di loro è pregiudizialmente di destra o di sinistra, lontani anni luce da beghe partitiche: mai “contro”, sempre “per”.

alla ricerca del marinoè il vento che arriva dal mare. I cibi di grande qualità e tradi-zione nascono dall’incontro tra venti. L’Italia è particolarmente fortunata in questo senso, essendo una penisola stretta e lunga al centro del Mediterraneo. Qui il vento marino che nasce negli oce-ani, filtrato da Gibilterra e da Suez, diventa brezza e si posa sul-le nostre specialità, incontrando l’aria fresca delle colline e delle montagne. In questo modo le rende uniche. Si pensi ai prosciutti italiani, al Grana padano, alla pasta di Gragnano, allo stesso Neb-biolo. Durante questa traversata abbiamo portato molti di questi prodotti con noi, alla ricerca delle origini del vento che li rende meravigliosi, e ogni giorno sono stati utilizzati da un grande chef per creare i piatti che hanno dato corpo alla nostra convivialità.

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alla ricerca del marinodi luciano bertello

antefatto – a righe e a quadrettimontaldo roero, 12 ottobre 1963

Una giornata di pioggia sulla collina. La maestra racconta di eroi-naviganti omerici e di una donna tenace che non rimarrà sola. Di vele e di venti. Di sentimenti e valori scritti dall’ulissiaca prua sul quaderno blu del Mediterraneo.

Un bambino, le mani nascoste sotto il banco, costruisce bar-chette di carta. Barchette a righe e a quadretti. Quando esce, le affida al rivolo d’acqua che scorre nella ripida strada. Le segue; le spinge; le rialza; le rimette nella corrente.

Da casa lo cercano. Lo trovano, fradicio, quasi ai piedi della collina. La mamma, preoccupata, lo interroga. Incredula, lo pro-tegge e lo scalda: cercava la casa dell’acqua e di quel vento che i grandi chiamano marìn.

andar per langaalta langa, 30 dicembre 2010

In una giornata di azzurro terso, due uomini vanno per Langa incontro al marìn.

Intorno, colline epiche e silenziose. L’uno scrive numeri su fogli a righe; l’altro annota pensieri su

fogli a quadretti. Il primo traccia grafici e architetture di mercati fra Langa, Tokyo

e New York; il secondo viaggia tra i secoli di Langa e roero, a caccia di storie di uomini e di terra.

Entrambi sanno di avere il marìn nelle vene. Ma vogliono dar-sene ragione e, allora, lo inseguono nello spazio e nel tempo per capire dov’è la sua casa.

Di una cosa sono certi: quel blu che da Mombarcaro si vede all’orizzonte è il mare.

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il marìnbarolo, 17 marzo 2011

Il marìn è un vento che torna. Incrocia il profumo del mare e del rosmarino con quello di montagna e di neve. Appassiona e sner-va. Accarezza e fa grandi i nebbioli.

Il marìn crea piccoli mulinelli e gioca con le foglie: sembra un gatto che cerca di mordersi la coda.

Mette languori e voglia di porti. Poi, una volta lontano, diventa un richiamo irresistibile e voglia di casa.

Il marìn ama la libertà e gli spazi liberi, ridicolizza confini e fron-tiere, va d’accordo con gli spiriti liberi.

Il marìn è la Langa: libera repubblica e vandea, malora e albero della cuccagna, collina e altrove, Cesare Pavese e Michele Ferrero, Beppe Fenoglio e Giacomo Morra.

Il marìn è il balon: piedi ben piantati in terra e cielo, zembo e ar-càss, Ghindu e Augusto Manzo, Felice Bertola e Massimo Berutti.

Il marìn è il Barolo: legno e tempo, tannini e carezze, vigna e mondo, la marchesa Giulia Colbert Falletti e la Bela rosìn, Barto-lo Mascarello e Angelo Gaja.

… ma per seguir virtute e conoscenzatra genova e new York, 25 aprile – 2 giugno 2011

Dal mare di colline al mare, il passo è breve. Basta seguire il marìn. Da Genova a New York c’è di mezzo il mare. Ma basta inseguire il marìn.

Sulla barca, due capitani coraggiosi. Esperti di navigazioni in solitaria. L’uno, omerico, disegna avventure su coordinate geo-grafiche; l’altro, fenicio, ama dare un’anima ai numeri.

Non fuggono: hanno dentro il marìn e stanno bene dentro al marìn. Si allontanano dalla madrepatria per poterla guardare meglio. Cercano la giusta prospettiva per immaginare prospetti-ve più giuste. Cercano risposte: nel marìn, l’uno nell’altro, nella storia, nei libri.

Cercano valori: tra epica e cronaca, tra mito e futuro. Amici a righe e a quadretti si alternano al loro fianco, per aiutarli

a capire e a dire.

alla ricerca del marino

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7 mosse l’italia

Il magico 7 è bussola e faro.La cambusa è stipata con i sapori eccelsi della madrepatria e i

cuochi sono chef. Due valori li hanno già ritrovati: il tempo e la carezza del marìn.

Gli stessi che sanno trasformare un sapore in saggezza: in Grana padano, in prosciutto crudo San Daniele, in pasta di Gragnano, in Barolo.

La rotta procede sicura e la prua è come un sismografo che registra il respiro del marìn.

Ma il marìn è come il “vento largo” del poeta: «Non soffia mai nella stessa direzione e di conseguenza disorienta molto… è come il vento della vita che ti spinge prima da una parte, poi dall’altra…».

Qualche volta tace.Certi sono soltanto gli estremi del viaggio: il 25 aprile e il 2 giu-

gno. E il 17 marzo è appena più in là.

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7 mosse l’italiadue o tre cose prima di cominciare

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la barca

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l’equipaggio, di tappa in tappa

1 genova – palma di maiorca (25 aprile – 29 aprile 2011)

2 palma di maiorca – gibilterra (30 aprile – 5 maggio 2011)

3 gibilterra – madeira (6 maggio – 11 maggio 2011)

4 madeira – new York (12 maggio – 2 giugno 2011)

soldini, farinetti, alciati, baricco, falck, fieno, iacovoni, illy, levoni, nocivelli, winteler

soldini, farinetti, alciati, brunello, costa, delle donne, fieno, iacovoni, nocivelli, scurati

soldini, farinetti, baffigo, cedroni, faletti, fieno, iacovoni, marzotto, musso, nocivelli, odifreddi

soldini, farinetti, baffigo, falck, giua, iacovoni, nocivelli, perotti, rubino, scabin

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Ho partecipato a questo viaggio come capitano della barca, quin-di ho avuto la fortuna di navigare con tutti i diversi protagonisti di questa avventura. Non è stata una crociera, è stato un vero e proprio viaggio attraverso il Mediterraneo e l’Atlantico.

Non vi nascondo che all’inizio ero un po’ preoccupato: non ero sicuro che tutte queste persone, abituate a lavorare d’intelletto, sarebbero state capaci di venire a patti con la legge del mare e di una barca a vela. Poi è arrivato il giorno della partenza e, come sempre accade, il mare ha messo a posto tutto.

Tutti i membri dell’equipaggio si sono dati da fare, hanno fatto i turni di notte al timone, hanno imparato a convivere in 10 su una barca relativamente piccola, hanno imparato a usare un bagno in cui – per tirare l’acqua – bisogna pompare con una leva 30 volte, hanno fatto i turni per lavare i piatti, hanno capito l’importanza del risparmio dell’acqua dolce, dell’energia e devo dire che tutti mi hanno veramente stupito per la naturalezza e l’intelligenza con cui si sono adattati alle regole e alle esigenze della navigazione.

Ho passato interi turni di notte a discutere e a confrontarmi su temi anche importanti e impegnati con persone completamente diverse da me che mi hanno a volte affascinato, a volte contraria-to, ma sempre arricchito e colpito per il loro spirito positivo.

Non tutte quelle discussioni erano attinenti alle 7 mosse, spesso si è parlato di altre cose, ma sempre con una grande capacità e voglia di essere costruttivi.

Penso che ci sia stata per me, come per tutti, una grande sorpresa, scoprire che uomini e donne così diversi possono apprezzare e vi-vere in armonia le stesse cose, rispettando le esigenze della natura.

Siamo partiti da Genova, il Golfo del Leone ci ha riservato il primo colpo di vento (30/35 nodi al traverso) che ha messo alla prova barca ed equipaggio.

è stato il primo approccio con il mare formato. Anche quella roccia di Oscar ha accusato il colpo, ho persino pensato che si sarebbe calmato anche lui. Illusione durata una mattinata perché

diario di una traversatadi giovanni soldini

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si è subito ripreso ed è tornato quel vulcano instancabile che è nel giro di poche ore.

Nella seconda tappa (da Palma di Maiorca a Gibilterra) ci siamo fermati un giorno ad Alicante per far passare una burrasca forza nove da Ovest nel mare di Alboran. Saggia decisione che ci ha permesso di proseguire il viaggio senza particolari stress.

L’arrivo a Gibilterra, con la rocca che è comparsa d’un tratto nella nebbia, è stato forse uno dei momenti più suggestivi.

Le prime miglia di oceano della terza tappa sono incominciate con l’incontro di pericolose spadare alla deriva vicino alle coste marocchine. Dopo una notte difficile abbiamo agganciato il Nord-Est e, finalmente lontani dalla costa, abbiamo cominciato a ma-cinare miglia su miglia; 600 per l’esattezza, in tre giorni, con un record di velocità di 17 nodi che per una barca come l’Elmos Fire non sono pochi.

Dopo una sosta veloce e un cambio d’equipaggio a Madeira, siamo ripartiti per la tappa più lunga: 2750 miglia fino a New York. L’alta pressione delle Azzorre era posizionata molto a Nord e ci ha regalato giorni di splendido Nord-Est, spinnaker e belle velocità. Condizioni fantastiche che ci hanno spinto veloci per le prime 1500 miglia.

Le ultime 1300 miglia sono state le più difficili, c’era la corrente del Golfo e ci sono state le molte depressioni che nascono davan-ti alla costa degli Stati Uniti e risalgono verso Nord-Ovest.

Ma a questo punto l’equipaggio era affiatato e pronto a supera-re anche le ultime difficoltà.

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ugo alciati luca baffigo

oscar farinetti

alessandro baricco

moreno cedroni luciana delle donne

mario brunello

lella costa

giorgio falettiguido falck bruno fieno

i naviganti

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maria giua riccardo illy marella levonibeatrice iacovoni

matteo marzotto paolo nocivelli

piergiorgio odifreddi

teo musso

simone perotti

davide scabin antonio scurati

francesco rubino

daniel wintelergiovanni soldini

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7 mosse l’italiadi oscar farinetti

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meno critica, più autocritica…

meno politici, più politica

meno sprechi, più responsabilità

meno bombe, più diplomazia

meno invocazioni, più vocazioni

meno liti, più accoglienza

meno io, più noi

meno leggi, più disciplina meno chiesa, più gesù

… meno maschile, più femminile

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Siamo in declino, non vi è dubbio. Non è il caso di essere terroriz-zati, l’umanità ha avuto ciclicamente periodi di declino da quando esiste, e così pure il nostro Paese. Periodi che hanno avuto dina-miche e durate diverse tra loro, ma sempre una caratteristica co-mune: si va in declino quando le posizioni chiave di governo e di amministrazione delle comunità vengono assunte prevalentemen-te da persone mediocri, mentre si cresce quando a dirigere vanno prevalentemente i galantuomini. Per mediocri intendo quelli che, di fronte a una decisione importante, si pongono innanzitutto la domanda: «Che figura farò io?». Il galantuomo ovviamente fa il contrario, pensa subito al bene pubblico. Dell’Italia si potrebbe dire, forzando un po’ le cose, che siamo in declino da 1700 anni: ma senza dimenticare, ad esempio, il rinascimento, o il risorgi-mento, o il miracolo economico del Dopoguerra. Quindi, nessun terrore, ma un po’ di spavento ce lo possiamo permettere. E poi, la scocciatura di beccarcelo proprio noi il declino. Perché se va avanti così, con questa lentezza, saranno altre persone a godersi la rinascita.

Tra declino e rinascita abitualmente avviene qualcosa di trauma-tico. Una rivoluzione, guerre, eccidi. Anche perché non succede mai che un mediocre o un dittatore si dimetta: bisogna cacciarli. Questo, più o meno, dice la Storia. Ma, porca miseria, perché dobbiamo sempre subirla, questa benedetta (o maledetta) Sto-ria? Possibile che non riusciamo a lavorarci un po’? Possibile che invece di subire passivamente gli eventi non ci venga in mente di rimboccarci le maniche in modo da prevenirli con un sano e ribelle programma a tappe forzate che ci tiri fuori dal declino in tempi brevi?

Ecco da cosa nasce la mia decisione di dedicare un piccolo pez-zo della mia vita a pensare a una soluzione. In fondo è un gesto egoista, la voglia che ho di godermela ancora un po’.

Prendetela così: un cittadino italiano che non fa né farà la poli-tica, un mercante – accompagnato e guidato da un navigatore con

meno critica, più autocriticaprologo

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cui condivide lo stile della leggerezza proattiva, rifocillato nella pancia e nella mente da un manipolo di amici, donne e uomini che nella vita hanno dimostrato di finire ciò che incominciano – vi offre la propria soluzione.

Una soluzione, quindi, e non polemiche. rimedi e non solo cri-tiche. Un gesto che non ha niente a che vedere con la destra o la sinistra, ma che nasce semplicemente da ciò che ho imparato os-servando il nostro Paese, con attenzione e passione; un gesto che mi sembra egoista e altruista nello stesso tempo, dettato com’è dal desiderio di vivere (io, noi, tutti) in un Paese migliore.

Non si tratta, me ne rendo conto, di una soluzione esaustiva poiché mancano alcuni capitoli importanti e nodi da sciogliere in vista di un progetto completo. Inoltre, la parte scientifica dei vari capitoli non è volutamente approfondita. Troverete di sicuro imprecisioni e magari anche qualche errore. Tuttavia si tratta di una visione globale e al tempo stesso precisa di come si dovrebbe muovere l’Italia. è un indirizzo forte, netto, che traccia una preci-sa direzione. L’unica, secondo me, che può portarci a risvegliare il nostro Paese.

Se la critica che vi sorge spontanea è: «Non è corretto gettare la pietra e poi non scendere in campo», vi prego di perdonarmi, ma permettetemi di pensarla diversamente. è ora che anche da parte di noi “laici dilettanti” arrivino suggerimenti in positivo e non solo critiche. Ci sarà di sicuro qualcuno tra i politici che, in-vece di guardarmi come rompiscatole, cercherà quel che di bello e giusto c’è in questa proposta e ne trarrà spunto. Ma anche tante persone comuni, come me, alle quali verrà voglia di approfondire e di volgere la propria analisi in una qualche direzione costruttiva. è soprattutto a loro che, insieme ai miei amici, mi sono rivolto. In politica si può e si deve partecipare anche senza essere attori protagonisti.

Se invece vi accadrà di pensare: «Semplicistico, non approfondi-to, ci saranno tensioni sociali, dove li mettiamo tutti questi nuovi disoccupati?», fermatevi. Sono d’accordo con voi. L’unica amara riflessione che vi propongo, una su centinaia, è che prima o poi buona parte dei 27.000 forestali della regione Sicilia non potrà più essere pagata e partiranno le tensioni, per dirvene una.

Forse è meglio prevedere e manovrare una “rivoluzione” più dolce possibile prima che subirne una cruenta poi. Inoltre, tengo

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7 mosse l’italia

a dirvi che la semplicità è l’unica arma possibile per creare un progetto vincente in tempi brevi.

So anche che alcuni di voi penseranno: «Impossibile, troppo complicato, troppo veloce, utopie…», e lì mi verrebbe da dire: allora lasciate perdere. A forza di dire che tutto è complesso, dif-ficile e che occorre tanto tempo il nostro Paese si è ridotto in questo stato. E poi molto spesso la visione del “difficile”, del “serve più tempo” nasconde la mancanza di voglia di lavorare o la strategia di mantenere il potere senza sbattersi per risolvere, arti che purtroppo si sono diffuse invece con grande rapidità e semplicità in Italia.

Infine, ci saranno quelli che penseranno semplicemente: «Fari-netti ha trovato un altro sistema per far pubblicità a Eataly». Lo so. Posso dire solo questo: a un mercante conviene sempre non pronunciarsi. Lui deve vendere a tutti. Con le 7 mosse è sicuro che io perderò clienti. Il fatto è che io cerco di capirli, certi intel-lettuali, ma alcuni di loro non capiscono me. Sono quelli per cui il mercante dovrebbe fare il mercante e basta. Non riescono a immaginarsi che usi la testa per un fine diverso dal fare soldi. Me-glio che si limiti ad affettare salame, pensano. Tanto ci sono loro a denunciare la cattiva politica. Ma voglio dire che, nel frattempo, la politica resta cattiva e non sempre sono sicuro che a loro non vada bene, in fondo, così.

Ancora una cosa. In qualche modo mi sarebbe piaciuto che questa soluzione venisse firmata da tutti i naviganti che mi hanno accompagnato nel viaggio da Genova a New York. Ma i temi af-frontati sono tanti ed era impossibile pensarla, su tutti, allo stesso modo. Tuttavia, mi piace qui testimoniare che nella stragrande maggioranza dei casi ho percepito una precisa idea comune su cosa sia urgente fare e su quali siano gli scogli da superare. E devo anche aggiungere che spesso ragionamenti più saggi dei miei mi hanno fatto cambiare idea. Adoro cambiare idea. Così è stato de-ciso che tutti i partecipanti a questo viaggio scriveranno un pezzo in allegato che troverete al termine di queste 7 mosse: il loro ap-porto personale a questa mia piccola avventura.

Troverete ovunque in questo documento la ferma convinzio-ne, comune a tutti i partecipanti, che occorre tornare alla politica intesa come servizio, passione, missione. Così come occorre ri-portare al centro il valore della competenza, affidando i proble-

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mi a chi, politico o non politico, ha gli strumenti per trovare le soluzioni. Occorre scegliere donne e uomini di grandi capacità, ma anche umili, onesti e pronti a farsi da parte quando sbagliano. Utopia? Ma non è vero! Smettiamola con questa storia dell’uto-pia. Senza sogni non si va da nessuna parte.

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L’uomo è un essere imperfetto e, come tale, non può organizzare sistemi politici perfetti. Ma buoni o anche molto buoni sì, può farlo. Esiste un modo semplice per riconoscere i buoni sistemi po-litici. Sono quelli in cui puoi registrare un sostanziale rispetto per le istituzioni da parte della società civile. Il rispetto nasce dalla stima. Questa oggi manca, ma non è colpa della società civile.

Non combiniamo niente se non riduciamo e cambiamo una parte della classe politica. Troppe persone fanno politica e vivono di essa in Italia. Intendiamo per classe politica non solo gli eletti, ma tutti coloro che di mestiere assumono decisioni pubbliche, anche se non vengono retribuite direttamente dallo Stato. Sono troppi, godono di retribuzioni a volte troppo elevate e detengono troppi privilegi. Questo sistema fa sì che molti, troppi opportunisti si mettano in politica. Persone mediocri, impreparate, egoiste, anche spregiudi-cate. Queste persone dedicano prevalentemente il proprio tempo a mantenere e migliorare il proprio status, prendendo decisioni a sfavore del bene pubblico e dell’efficienza della pubblica ammini-strazione. In Italia esistono circa 1.000 parlamentari non scelti da noi (bensì dai capi-partito), 1.200 consiglieri regionali, 170.000 tra sindaci, assessori e consiglieri comunali, 4.000 tra assessori e consi-glieri provinciali, 5.000 consiglieri circoscrizionali, 4.000 consiglieri di comunità montane, 2.000 consiglieri di camere di commercio e 20.000 sindacalisti a tempo pieno. Poi ci sono gli enti pubblici in cui operano circa 10.000 persone nominate dalla politica. Un esercito di 200.000 persone a cui si aggiungono almeno altre 30.000 che li assistono. Il costo complessivo tra salari, privilegi e servizi – in-dicato come costo al sistema – supera i 5 miliardi di euro. I salari di questi politici sono sperequati: 250.000 euro per parlamentari e consiglieri regionali. Un sindaco di una grande città, come Torino, percepisce la metà di un consigliere regionale. Il Paese è ammini-strato su troppi livelli e troppe istituzioni che confliggono tra loro. è necessario risolvere una volta per tutte e in modo semplice il tema del conflitto di interesse, dei contributi vari ai partiti e del rap-

meno politici, più politicala riforma della politica

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porto politica e mezzi di comunicazione in un quadro di riforma complessivo che favorisca il ricambio. In tempi brevissimi si può mettere a punto la riforma della politica secondo questo schema:

1. rami del parlamento: parlamentari -50%, stipendi -50%, pri-vilegi -50%;

2. regioni: consiglieri -50%, stipendi -50%, privilegi -50%; 3. provincie: abolizione; 4. comuni: consiglieri -50%; 5. nuovo progetto di retribuzioni ai politici che assumono re-

sponsabilità (proporzionali alle responsabilità); 6. comunità montane e circoscrizioni: abolizione; 7. camere di commercio: abolizione di quelle provinciali (solo

una per ogni regione); 8. sindacati: -50% sindacalisti; 9. abolizione di qualsiasi immunità per i politici; 10. creazione di un sistema elettorale che consenta ai cittadini di

poter scegliere chi eleggere; 11. favorire il ricambio con una legge che impedisca di fare poli-

tica per più di 15 anni in totale, anche passando attraverso diverse istituzioni, con un massimo di 2 mandati per le più alte cariche;

12. andare in pensione dopo 40 anni di lavoro, come i comuni mortali;

13. introduzione di un tetto massimo sui contributi elettorali pub-blici e privati ai partiti in modo da determinare una soglia massima invalicabile nelle spese elettorali, allo scopo che non sia favorito chi possiede ingenti patrimoni;

14. abolizione dei contributi pubblici ai quotidiani o altri media dei partiti;

15. raddoppiare il numero di firme necessarie per indire i referen-dum, abbinarli sempre per legge alle più vicine elezioni politiche o amministrative e abolire il quorum;

16. vietare la politica a chi è proprietario, direttamente o indiret-tamente, di mezzi di comunicazione di massa;

17. indipendenza dei mezzi di comunicazione (pubblici e privati) dai partiti.

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L’Italia spende circa 80 miliardi in più rispetto alle proprie entrate. Ciò avviene ormai da molti anni, a volte più a volte meno, ma sempre in disavanzo. Questo fatto ha prodotto un debito che si è accumulato nel tempo fino a 1.800 miliardi e più. Il cosiddetto pil, che è il valore complessivo di tutti i beni e i servizi prodotti in un anno, è di circa 1.500 miliardi. Quindi si può dire che l’am-ministrazione dello Stato ha prodotto più debito di quanto noi cittadini produciamo in un anno. Occorre che l’amministrazione pubblica torni rapidamente in attivo e faccia fronte al debito fatto di anno in anno. Altrimenti toccherà a noi cittadini pagarlo e sarà molto doloroso perché vorrà dire per molti perdere i risparmi di una vita.

Lo Stato italiano ha entrate per circa 700 miliardi e uscite per 780. Quindi occorre fare come farebbe una famiglia, incassare di più o spendere meno o, meglio ancora, fare entrambe le cose. Il grosso se ne va in spesa corrente, cioè stipendi e costi generali.

In un mese di lavoro si può mettere a punto una strategia di diminuzione delle spese. Questa però non può essere della stes-sa misura in tutti i settori, ma dovrà basarsi sulle priorità e sulle vocazioni, proprio come farebbe una famiglia, la quale magari decide di non risparmiare sul cibo, bensì di farlo sull’abbigliamen-to, sui viaggi ecc. Ma soprattutto la famiglia si concentrerà sugli sprechi.

Per quanto riguarda le vocazioni entreremo nei particolari con le prossime mosse, qui ci limitiamo agli sprechi.

La riforma della politica (prima mossa) porterà in automatico alla cancellazione di molte inefficienze:

1. eliminazione drastica di tutti gli enti inutili e ridimensiona-mento delle spese di quelli utili;

2. abbiamo circa 4 milioni di dipendenti statali. In alcuni settori è possibile effettuare tagli consistenti;

3. mettiamo un tetto massimo alle pensioni. La pensione deve assicurare la dignità di vita, non la continuazione all’arricchimen-

meno sprechi, più responsabilitàridurre la spesa corrente (come si fa in famiglia)migliorare le entrare (chiedere per stimolare)

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to. Questa mossa farà risparmiare un sacco di soldi da spalmare sulle pensioni minime. Occorre allo scopo ripensare il meccani-smo dei versamenti previdenziali su retribuzioni elevate, di cui una parte importante dovrà essere destinata allo stato sociale.

Tasse, argomento spinoso. Lo Stato incassa circa 700 miliardi per anno attraverso le tasse.

In Italia si evade molto per 3 ordini di motivi. Primo, chi evade è considerato un furbetto anzichè un furfante. Secondo, le aliquote sono elevate e sperequate. Terzo, non esiste una politica che favo-risca chi investe. Bisogna lavorare su questi 3 fattori demotivanti. Sul fronte delle aliquote occorre armonizzare il prelievo fiscale su tutte le categorie di fonte di reddito: profitto aziendale, lavoro dipendente e reddito da patrimonio. Occorre applicare una tassa maggiore sui redditi da patrimoni. Si tratta di un sacco di soldi in nuove entrate e poi, è ingiusto che chi investe in finanza paghi meno di chi fa impresa. Naturalmente occorre accompagnare a ciò una politica che impedisca la fuoriuscita dei patrimoni. Chi non paga le tasse è un delinquente perché fruisce dei servizi co-muni senza contribuire come gli altri a mantenerli. Dobbiamo vivere questo fatto come un’ingiustizia, una vergogna. Dobbiamo insegnarlo a scuola e poi dobbiamo fare in modo che chi evade debba essere messo in condizione di vergognarsene. Un uso in-telligente di televisione, internet e giornali può attuare un cambio di mentalità in men che non si dica. è avvenuto alla grande per evoluzioni negative, perché non può succedere in positivo?

Infine, bisogna stimolare chi reinveste, chi decide di intrapren-dere, chi assume, insomma chi crea nuova ricchezza. Non è giu-sto che chi lascia tutti i profitti in azienda per finanziare sviluppo e nuovi posti di lavoro paghi la stessa aliquota di chi se li prende per godersi la vita.

Le mosse 1 e 2 genereranno nuovi disoccupati, l’unico modo di reagire è quello di creare un ambiente favorevole allo spirito di impresa. La rinascita può avvenire solo favorendo la voglia di intraprendere che è congenita in buona parte degli italiani. Niente di meglio di una sana politica di sgravi verso chi ha vo-glia di sbattersi.

Se da un lato non sarà possibile abbassare le aliquote a breve termine, dall’altro è necessario introdurre la possibilità di detrarre dalle tasse molti più costi rispetto a quelli detraibili oggi. Quindi:

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1. stessa aliquota sui redditi da patrimoni rispetto a quelli in essere sui redditi d’impresa e da lavoro;

2. insegnare che è bello e giusto pagare le tasse nelle scuole ele-mentari e medie attraverso un nuovo programma di educazione civica vissuta come materia primaria;

3. forte campagna di comunicazione sui media “chi paga le tasse è bella gente, chi non le paga è brutta gente”, con varie declinazio-ni legate ai valori positivi come la famiglia, i figli, il futuro ecc.;

4. gli evasori totali e gli evasori gravi (chi fa “nero”, chi esporta capitali, chi crea sedi nei paradisi fiscali ecc.), devono essere col-piti duramente e su di essi deve essere concentrato il grosso dei controlli. L’evasore occasionale deve essere educato a non farlo più, ma colpito duramente in caso di ricaduta;

5. forti sgravi fiscali per chi crea una nuova impresa e assume, sgravi significativi sugli utili reinvestiti;

6. aumentare il numero dei costi deducibili (tutto ciò che è utile al lavoro e alla salute).

Questo progetto completo è da affidare a specialisti. Può essere stilato in un mese di lavoro.

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Spendiamo circa 26 miliardi l’anno in spese militari, l’1,7% del nostro pil. La Svizzera che è un Paese neutrale, ma molto ben equipaggiato, spende lo 0,8% per la difesa e l’ordine interni. La Germania che, come noi, ha perso l’ultima guerra, spende l’1,3%.

Abbiamo un esercito dispendioso, continuiamo ad acquistare armi, navi, elicotteri e aerei per miliardi di euro e siamo impegna-ti in diverse missioni militari molto costose, non solo in termini monetari ma anche e molto più tristemente in termini di giovani vite umane.

Siamo in Europa, ma non abbiamo ancora instaurato sinergie in campo militare.

Poiché ormai è provato che nessuna guerra è giusta, che con le guerre non si esporta la democrazia, allora dovremmo pensare a come smettere di farle, le guerre. Anche alla luce del fatto che le guerre moderne uccidono soprattutto i civili.

Altra attività da svolgere è la riforma della diplomazia. Abbiamo numerosi consolati inutili nel mondo da chiudere, mentre dob-biamo potenziare l’attività diplomatica delle nostre ambasciate e dei grandi consolati utili puntando sulla nota capacità di media-zione della nostra diplomazia.

Alle ambasciate occorre, inoltre, demandare un maggior impe-gno sul fronte della promozione nel mondo delle nostre voca-zioni (vedi mossa 4).

Quindi: 1. riduzione delle spese militari del 60% con la sostanziale ri-

nuncia a tutte le attività militari, se non la difesa del nostro terri-torio e l’ordine interno;

2. affidare eventuali interventi militari esterni a un esercito eu-ropeo (da crearsi);

3. forte ridimensionamento del numero dei militari 4. chiusura di tutti i consolati inutili 5. riforma della diplomazia con potenziamento delle attività di-

meno bombe, più diplomaziasmettiamo di giocare alla guerra

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plomatiche delle nostre ambasciate verso i seguenti obiettivi: la pace nel mondo, le attività umanitarie e l’esaltazione della qualità dei nostri beni e servizi esportabili o godibili per chi ci visita.

In un mese di lavoro un gruppo di specialisti può mettere a punto la riforma delle forze armate e della diplomazia.

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Con le prime 3 mosse abbiamo messo da parte un bel po’ di quattrini e creato un bel po’ di nuovi disoccupati. Ora dobbia-mo pensare dove investire per creare posti di lavoro e favorire i consumi.

Questa mossa è un po’ lunga e ce ne scusiamo, ma gli investi-menti sono molto importanti.

Le nostre vocazioni sono il turismo, l’agroalimentare, la cultura e i beni culturali, il design e le moda, l’indutria manifatturiera e di precisione e la logistica. In 4 parole il gusto, la bellezza, l’ingegno e la posizione geografica. Dobbiamo investire subito in questi settori.

Tutto il mondo vorrebbe mangiare come noi , vestirsi come noi, cantare come noi, visitare le nostre meraviglie. Le potenzia-lità sono immense, ma noi le sfruttiamo solo in minima parte. roma ha 10 milioni di turisti stranieri per anno, un terzo di New York, la metà di Londra, il 60% in meno di Parigi.

In tutto il mondo imitano le nostre eccellenze alimentari, ma noi non riusciamo a diffonderle nelle dovute quantità e al meri-tato prezzo. I nostri meravigliosi musei non sono visitati come meritano né mantenuti per il livello di ciò che contengono. La no-stra arte, in tutti i campi – dalla letteratura al teatro, al cinema, alla musica, alla pittura, alla scultura – è ferma, quasi morente. Certo non per colpa di tanti bravi operatori e artisti di cui il nostro Paese è ancora fortunatamente ben dotato.

Basta contributi. Basta assistenzialismo demagogico e di scam-bio. Bisogna restituire spirito di impresa e dignità alla cultura e all’arte italiana. Occorre coinvolgere i capitali privati i quali, oltre-ché per spirito sociale disinteressato, debbono anche essere favo-riti con una speciale detassazione dei contributi verso la cultura e le attività di servizio pubblico.

Il nostro programma intende ridare vita alla creatività italiana, ma non più attraverso l’assistenzialismo, bensì attraverso il recu-pero di spirito di impresa e di propensione al rischio.

meno invocazioni, più vocazioniinvestiamo sulle nostre vocazioni

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La Scuola deve diventare una delle nostre eccellenze, specializ-zandosi sulle nostre vocazioni. Non solo. In tutte le mosse note-rete la nostra visione della scuola come elemento strategico per superare i problemi e cambiare in meglio la nostra società. Non commettiamo l’errore di vedere la scuola come una strategia a lungo termine che darà frutti solo alla prossima generazione. Un bambino che torna a casa e domanda alla mamma perché mai ha comprato le arance in estate farà cambiare le abitudini alimentari alla sua famiglia.

La nostra industria di precisione manifatturiera è la migliore del mondo. Conviene investire dove già siamo bravi. Occorre favorire la ricerca da parte delle nostre industrie attraverso una politica di incentivi mirati e non dispersi. L’Italia, per la sua particolare posi-zione al centro del Mediterraneo, può essere favorita nel traffico delle merci da tutto il mondo verso l’Europa e dall’Europa verso il mondo. Partendo da ciò che già esiste occorre creare 4 grandi porti altamente specializzati e di un’efficienza senza pari. Inoltre sarà necessario creare, partendo da ciò che già esiste, una rete fer-roviaria espressamente dedicata che trasferisca rapidamente e a costi concorrenziali queste merci nel cuore dell’Europa, da dove altre merci possano raggiungere l’Italia per essere imbarcate verso il mondo.

Di fronte a una struttura così efficiente l’Asia, l’Africa, ma an-che le Americhe, non potranno che scegliere l’Italia.

Questa mossa porterà molti nuovi posti di lavoro e ricchezza per il nostro Paese. Occorre dirottare investimenti previsti, ma meno urgenti, verso questo progetto, coinvolgere privati e met-tere a capo del processo di sviluppo persone altamente specializ-zate nella logistica mondiale che in Italia esistono, eccome. Con un mese di lavoro ostinato il capo progetto può mettere a punto il piano industriale. Per ciascuno di questi 6 settori va messo a capo una persona di grande competenza che abbia dimostrato di saperci fare, di accettare e vincere le sfide. Queste persone si tro-vano anche nel settore privato, ne abbiamo in abbondanza, anche giovani. Ciascuno di loro, dopo un mese di analisi, sarà in grado di definire un programma preciso con le mosse e i tempi per rag-giungere l’obiettivo sul quale sarà misurato. Queste persone non devono occuparsi di politica partitica. Quindi:

1. una forte campagna nel mondo che faccia venir voglia di

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visitare il nostro Paese, puntando sui principali punti di forza in-contestabili e attrattivi;

2. una politica nazionale che armonizzi con autorevolezza il la-voro delle regioni e che aiuti le infrastrutture a essere a disposizio-ne del turismo in modo proattivo. Alberghi, aeroporti, trasporti e ristoranti. Un potente portale unico Italia Wellcoming che armo-nizzi l’offerta delle infrastrutture (già sappiamo che esiste Italia.it, ma chi lo usa? perché non funziona?);

3. una politica che – censite le strutture, i musei, le città e i panorami – le metta in condizione di essere considerate le più suggestive al mondo;

4. inserire giovani leve. Devono essere preparate, colte, attente, disponibili e sorridenti. A esse va chiesta la massima professio-nalità e sostituite quando non la mettono in campo. Ma ciò che più conta è mettere a capo del turismo una persona che capisca di turismo, che abbia un esperienza mondiale e fortemente specia-lizzata nel settore;

5. censire le eccellenze mondiali di ogni regione italiana. Eli-minare l’assistenzialismo e favorire un nuovo spirito di impresa nei contadini. Le aziende agricole devono ricominciare a paga-re le tasse come qualsiasi impresa. Ma quelle che producono qualità e investono sull’esportazione di eccellenze conclamate godranno di incentivi attraverso sgravi fiscali e coinvolgimento in attività di marketing supportate con professionalità e senza sprechi;

6. creare un marchio 100% italiano su cui investire in comunica-zione, da installare sui prodotti che lo sono veramente (dalla ma-teria prima quando è qualitativamente possibile, alla manifattura e al packaging). Il miglior simbolo è la bandiera italiana. L’Italia che è proprietaria dell’immagine della sua bandiera deve riservarne severamente l’uso solo a chi lo merita;

7. semplificare le leggi di controllo sull’agroalimentare. Elimi-nare istituti inutili. Semplificare le denominazioni. Rivedere le funzioni e le attività dei consorzi. Oggi non si capisce più niente, con disposizioni di istituti che si contraddicono tra loro. Ma la cosa più grave è che è il cliente non capisce più;

8. favorire il packaging povero, biodegradabile ed evidenziare gli ingredienti. 100% italiano, riportante la bandiera italiana, deve avere un packaging unico, innovativo e identificativo;

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9. inserire l’educazione alimentare e all’agricoltura come materia sco-lastica primaria nelle scuole elementari e medie;

10. investire nella Scuola. L’Italia deve avere scuole statali effi-cienti, votate alle proprie vocazioni, con un’autorevolezza mon-diale su alcuni temi. La scuola italiana non può essere generica, si deve specializzare sulle nostre vocazioni. Occorre, allo scopo, raddoppiare i fondi pubblici dedicati agli investimenti nella Scuo-la. Nella scuola dell’obbligo vanno inserite 4 nuove materie pri-marie: Educazione alimentare e all’agricoltura, Educazione al rispetto dello Stato, Le grandi vocazioni dell’Italia, Energia e ambiente;

11. investire nella cultura e nell’arte italiana. Favorire la grande prosa, la grande musica e il cinema italiani attraverso nuovi mo-delli di impulso, lontani dai carrozzoni e dai contributi a pioggia, anche attraverso l’apertura ai capitali e all’ingegno di privati, i qua-li potranno portare un approccio nuovo. Questi privati dovranno essere favoriti da una nuova fiscalità dedicata, dovranno impe-gnarsi con serietà nel mondo della cultura;

12. raddoppiare gli investimenti nel fus (fondo unico dello spet-tacolo) senza però aumentare la cifra, in termini assoluti, dedicata alla lirica che è già elevata. Da dare più spazio alle altre specialità dello spettacolo italiano che ora sono in difficoltà. Anche in que-sto settore occorre accorciare la filiera dando la possibilità agli artisti di essere più vicini possibile al mercato. Importante è, cer-to, tutelare il patrimonio, salvaguardare la tradizione, ma, anche in campo culturale, bisogna incentivare la produttività culturale offrendo spazio a nuova creatività originale e a forme diffuse di fruizione proattiva;

13. favorire le imprese mercantili e produttive che investono all’estero su agroalimentare, turismo, design, moda, arte e mani-fattura di precisione italiana;

14. lanciare i marchi disegnato in Italia e inventato in Italia per con-trassegnare i prodotti da lanciare nel mondo. Lo Stato deve aiuta-re l’attività di ricerca delle industrie e delle aziende in generale che si occupano delle vocazioni;

15. la mentalità che deve accompagnare tutte queste operazioni deve essere “noi siamo i più belli del mondo, facciamoglielo ve-dere”. Questo modo di pensare e agire deve essere trasferito con energia dai capi di ogni settore fin giù verso l’ultimo degli addetti. Ben presto contagerà l’opinione pubblica mondiale;

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16. individuare il capo progetto di Italia porto d’Europa;17. censire gli investimenti già approvati sulle grandi strutture

(abrogare quelli meno urgenti da dirottare verso questo progetto); 18. aggiungere le risorse necessarie create con i risparmi effet-

tuati in altri campi e da nuove entrate;19. coinvolgere società private specialiste, anche straniere; 20. realizzare, partendo da ciò che già esiste, i 4 porti all’avan-

guardia; 21. realizzare la linea ferroviaria dedicata; 22. mettere in moto una forte campagna mondiale, anche pre-

ventiva, per attrarre investitori e clienti.

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Iniziamo dalla giustizia. I cittadini hanno bisogno di una giustizia razionale, rapida, prevedibile, omogenea sul territorio. Oggi non è così. A fronte di oasi nelle quali essa funziona c’è una situazione generale di grave carenza, inaccettabile per una società moderna. La crisi del sistema-giustizia è, secondo tutti gli osservatori spe-cializzati anche internazionali, una crisi di tempi assai più che di qualità e di contenuti. Il dibattito politico si appunta sulla asserita necessità di un riequilibrio tra politica e giustizia. Non è questo di cui hanno bisogno i cittadini che entrano ogni giorno nei tri-bunali o che non ci vanno perché sfiduciati. Occorre cambiare radicalmente registro e lanciare la sfida di un anno della giustizia, finalizzato a darle effettività. In un anno non si riscrivono i codici e neppure le molte leggi organiche che pure lo richiederebbero (a cominciare da quelle su stupefacenti e immigrazione che, pro-mettendo un impossibile governo repressivo di grandi fenomeni sociali, hanno l’unico effetto di criminalizzare condotte che non lo meritano e di ingolfare fino a renderli ingestibili il sistema pe-nale e il carcere). Ma in un mese si può stendere il progetto, e poi un anno è sufficiente per avviare un percorso virtuoso di cambia-mento e per raggiungere alcuni significativi risultati. Sempre che vi siano volontà politica e un progetto di interventi legislativi e amministrativi. Occorre lavorare nella seguente direzione:

1. riduzione di due terzi dei tribunali e delle procure con costi-tuzione di nuovi uffici dotati di organici non inferiori, rispettiva-mente, a 20 giudici e 8 sostituti. Sembra provocatorio chiedere una riduzione degli uffici per migliorare il servizio. Ma non è così. Attualmente ci sono in Italia 165 tribunali con 221 sezioni stacca-te e altrettante procure della repubblica (ben 64 tribunali hanno un organico inferiore a 15 giudici). Moduli di uffici così piccoli non possono funzionare, bastano scoperture minime a impedire persino la formazione dei collegi. Mentre al contrario c’è, in caso di pieno organico, uno spreco di risorse. Un accorpamento ra-zionale è possibile e già indicato, in modo sostanzialmente coin-

meno liti, più accoglienzala giustizia e l’integrazione

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cidente, dal Ministero della Giustizia e dal Consiglio Superiore della Magistratura. L’accorpamento sarebbe una riforma a costo zero, comporterebbe un aumento di produttività stimato nel 10% e non provocherebbe alcun “allontanamento” della giustizia dai cittadini, data l’attuale facilità di spostamenti e, comunque, l’am-pia possibilità che il tribunale tenga udienza anche in località di-verse dalla propria sede istituzionale;

2. taglio delle spese inutili e recupero delle risorse disponibili. La quantità di risorse impiegate nella giustizia è insufficiente, ma anche accompagnata da sprechi che, ove eliminati, consentireb-bero un significativo ricupero di fondi. Un esempio per tutti: le spese per le intercettazioni telefoniche, ingenti pur se inferiori a quelli indicate sui media. Abolendo, come avviene in diverse realtà europee, i compensi alle società concessionarie che costitu-iscono una ingiustificata rendita di posizione (essendo i costi delle telefonate già sostenuti da chi le effettua) e centralizzando, con un contratto nazionale, il noleggio degli apparecchi per le inter-cettazioni si risparmierebbero decine di milioni di euro l’anno de-stinabili ad altri settori. In parallelo risorse significative possono essere reperite sia provvedendo all’effettiva riscossione di spese di giustizia (multe e ammende) – attività oggi del tutto carente – sia curando, attraverso uffici ad hoc, l’accesso ai fondi comunitari per il finanziamento di progetti specifici;

3. copertura degli organici dei magistrati e del personale ammi-nistrativo. Si parla di coprire gli organici, non di aumentarli. At-tualmente mancano oltre 1.000 magistrati su 10.000 e oltre 6.000 unità di personale amministrativo su poco più di 40.000. Se si considera che, in entrambi i casi, gli organici si collocano nella fascia europea medio-bassa è agevole cogliere l’effetto di queste carenze sulla funzionalità del servizio (che, con organici comple-ti, avrebbe un incremento di definizione degli affari almeno del 10%). La copertura dei posti vacanti richiede – soprattutto per i magistrati – tempi lunghi ma la definizione di un calendario e l’avvio delle procedure necessarie deve avvenire da subito;

4. definizione di standard organizzativi razionali. Ci sono alme-no tre settori che, adeguatamente percorsi, possono determinare un significativo salto di qualità. L’uso appropriato di tecnologie informatiche. Oggi è limitato a poche esperienze pilota frutto per lo più dell’iniziativa di singoli, mentre per il resto l’informatica è

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usata poco più che come banca dati e insieme di macchine evo-lute per scrivere. La formazione del personale amministrativo, da convertire in figure professionali capaci gestire le nuove tecnolo-gie. La responsabilizzazione per l’organizzazione del servizio, di funzionari apicali da affiancare ai dirigenti magistrati;

5. affiancamento al giudice di un ufficio per il processo. Oggi al giu-dice è richiesto, di fatto, un complesso di attività materiali estre-mamente ampio, a scapito della funzione giurisdizionale in senso proprio. Tra queste attività, molte possono essere delegate a un ufficio apposito, con grande vantaggio nei tempi e nella stessa qualità delle decisioni. Per esempio, la ricerca dei precedenti dot-trinali e giurisprudenziali, la redazione della motivazione riassun-tiva degli argomenti e richieste delle parti, il rapporto con il pub-blico e le stessi parti del processo, la distribuzione delle udienze, la formazione e la tenuta dell’archivio informatizzato dei provve-dimenti emessi. L’onere economico di tale introduzione sarebbe più modesto di quanto si pensi tenuto conto della possibilità di impiego, oltre che del personale ausiliario, di giudici onorari, ri-cercatori, stagisti;

6. riduzione dell’area dell’intervento penale. I processi penali per reati gravi sono in Italia sei volte quelli dell’Austria, quattro volte quelli della Spagna, due volte quelli della Francia e della Germania. A essi deve essere destinata la quota prevalente delle risorse. Ciò impone una riduzione del carico penale con la rinun-cia a perseguire i fatti di minor rilevanza e senza vittima o con danno di speciale tenuità per la persona offesa. La strada maestra per tale riduzione è, ovviamente, la revisione del catalogo dei re-ati, ma in epoca di profonde divisioni come quella attuale ciò ap-pare difficile. Un effetto analogo si può, peraltro, raggiungere in concreto, aumentando il numero dei reati perseguibili solo se c’è querela della parte offesa e, soprattutto, introducendo nel sistema la non perseguibilità dei fatti di scarsa rilevanza sociale. L’effet-to deflattivo sarebbe dirompente. Per fare un solo esempio: su 76.000 processi a carico di imputati noti iscritti nel 2010 presso la Procura di Milano, ben 10.000 (pari al 13%) hanno riguardato reati “formali” previsti dal testo unico sull’immigrazione;

7. previsione di soluzioni alternative al contenzioso civile. An-che nel settore civile i carichi dei tribunali italiani superano di gran lunga quelli di altri Paesi europei. Tre volte quelli di Austria e

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Germania, due volte quelli di Francia e Spagna, raggiungendo cir-ca 5.000 cause annue ogni 100.000 abitanti. Inevitabile, in questa situazione, l’introduzione di un ricorso obbligatorio a organismi di conciliazione da attivare prima della causa e la creazione di filtri a livello amministrativo con decisioni semplici e rapide. Si può così risolvere, con immediatezza e soddisfazione delle parti, una quota significativa della domanda civile;

8. differenziazione della giustizia del lavoro. L’attesa di anni per la definizione di controversie in cui è in gioco la tutela o il ripristi-no del posto di lavoro è uno degli scandali del sistema. La ragione risiede essenzialmente nel numero esponenziale, in particolare nel settore della previdenza, delle cosiddette cause seriali (cioè dei processi – in numero di decine di migliaia – in cui è dedotta la stessa questione di diritto). Prevedere per queste controversie la soluzione delle questioni giuridiche comuni in modo anticipato e definitivo da parte della Corte di Cassazione realizzerebbe un vero e proprio abbattimento dei tempi di decisione con ricadute virtuose su tutta la giustizia del lavoro;

9. modifica del sistema delle impugnazioni e sospensione dei processi nei confronti degli imputati irreperibili. Nel processo pe-nale ci sono due settori riformabili in tempi brevi senza incidere sul sistema delle garanzie e realizzando un grande risparmio di tempi ed energie. I processi a carico di imputati irreperibili (sono il 15% del totale). Si tratta, per lo più, di processi a fantasmi, destinati, anche in caso di condanna, a restare puramente sulla carta (sospenderli e riprenderli solo in caso di sopravvenuta ma-terializzazione dell’imputato). L’altro settore è quello delle impu-gnazioni, il 25% delle condanne di primo grado. è una garanzia fondamentale che il giudizio sia adeguatamente controllato, ma è inutilmente dispendioso che il giudice di appello sia reinvestito dell’intero giudizio. Più garantista e meno dispendioso sarebbe prevedere che i giudici delle impugnazioni si limitino al control-lo, con formalità ridotte, delle conseguenze della affermazione di responsabilità, in particolare l’entità della pena e della correttezza del processo di primo grado, disponendo, nel caso in cui siano accertate gravi violazioni, un nuovo giudizio totale o sui punti che lo richiedono;

10. introduzione del processo civile telematico e informatizza-zione del sistema delle notifiche. Il processo civile è essenzialmen-

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te curato da avvocati. è dunque possibile e necessario condurlo interamente in via informatica, limitando la presenza fisica dei difensori e delle parti alla sola fase della assunzione di testimoni o di prove orali. Questo meccanismo è estensibile, almeno per quanto riguarda le notifiche, anche al settore penale.

Secondo punto, l’immigrazione. Incominciamo col dire che un flusso epocale di persone da sud

verso il nord del mondo nel prossimo decennio è lo scenario più probabile tra quelli possibili. Il diffondersi dell’informazione e dei media in generale ha fatto scoprire ai popoli dei paesi poveri che esiste un pezzo di mondo dove la qualità della vita e le op-portunità di crescere sono immensamente più elevate. Da sempre gli umani migrano e sempre con la stessa motivazione, cercare condizioni di vita migliori. Il modello di vita che trasmettiamo attraverso i nostri canali televisivi è dorato, spesso finto e for-temente attrattivo per chi ha difficoltà addirittura a guadagnarsi da mangiare. Nel nostro Paese già vivono 7 milioni di stranieri, molti altri arriveranno e, secondo noi, non si potranno fermare. La stessa cosa accadrà per le altre nazioni ricche dell’Europa. Sa-ranno fortemente avvantaggiate quelle che riusciranno ad attuare riforme tali da far ripartire la propria economia e creare nuovi posti di lavoro. I nuovi lavoratori giunti da altre terre giocheranno un ruolo fondamentale nella crescita del benessere di questi Paesi. Fino a ora gli immigrati hanno risolto non piccoli problemi in Italia, dove la demografia è ferma e gli italiani non vogliono più svolgere i lavori cosiddetti umili. D’altra parte non possiamo non notare che esistono problemi di integrazione. In particolare in una nazione che non cresce più, da un lato aumentano gli egoi-smi, dall’altro il disadattamento.

Sul problema dell’immigrazione è difficile avere una posizione secca. è uno di quei temi dove il dubbio è più sano delle certez-ze. L’unica cosa certa è che arriverà un sacco di gente e converrà accoglierla. Per loro e per noi. Nessuna politica protezionistica potrà fermare l’impulso irrefrenabile a cercare speranze di vita migliore. La nostra generazione ha ed avrà a che fare con questo fenomeno, non potremo fermarlo. Forse conviene incominciare a parlare di interazione anziché integrazione. La sana convivenza implica altruismo e reciproca comprensione volta al reciproco mi-

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glioramento (stare su questa barca in oceano con gente diversa e non ben conosciuta insegna). Certo non è facile quando non c’è lavoro per tutti. Ecco perché dobbiamo assolutamente impegnarci seriamente per far ripartire sul serio l’economia. Tuttavia, in spre-gio alla nostra chiara incertezza su questo immenso tema, provia-mo a proporre alcune cose da fare subito e altre nel tempo:

1. più aperti agli afflitti. Nei momenti di gravi tensioni sociali, guerre, eccidi occorre essere più larghi nell’accoglienza verso i popoli interessati da questi fenomeni cruenti. La solidarietà tra umani deve essere superiore alle difficoltà contingenti. Abbiamo inoltre il dovere storico di essere ancora più disponibili verso le nostre ex colonie;

2. accogliamo i migliori. Creiamo una scuola di accoglienza obbli-gatoria per chi chiede permessi di soggiorno in Italia. Lo scopo è quello di insegnare a rispettare le nostre leggi. Siamo convinti che chi si reca in un Paese diverso ne debba rispettare le leggi, come è libero di esercitare i propri usi e costumi purché non in contra-sto con le nostre leggi. Dopodichè, diventandone residente, potrà concorrere pacificamente a modificarle qualora non le condivida. L’esito dell’esame finale e del comportamento tenuto nella scuola di accoglienza darà diritto all’ottenimento o meno del visto. La scuola non terrà conto solo della cultura generale ma soprattutto della disponibilità del singolo ad armonizzarsi attraverso il lavoro e al sano comportamento nel nostro Paese. Immaginiamo una durata breve di un mese a tempo pieno. Verificando la possibilità di svolgerne la metà del tempo nella nazione di origine, attraverso la nostra ambasciata;

3. impariamo a conoscerli. Le religioni e le abitudini degli altri ci fanno sempre paura. Ecco un’occasione per la nostra scuola di rendersi utile e aprire i nostri ragazzi alla conoscenza delle re-ligioni e degli usi e costumi delle altre principali popolazioni del mondo. Se li conosciamo non avremo più stupide paure e saremo maggiormente pronti a interagire. Capiremo quanto è più sana l’interazione che non l’integrazione. Nel mondo esistono 24 prin-cipali religioni ma, di queste, 4 sono praticate della maggioranza dei popoli religiosi. Vanno studiate nelle scuole medie insieme ai principali usi e costumi di quei popoli;

4. diciamo loro chi siamo veramente, comprese la nostre dif-ficoltà. Può succedere che anche un grande altruista non possa

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aiutare certe volte il prossimo perché si trova in un momento di difficoltà. L’Italia si trova in un momento in cui non può investire ingenti risorse su questo fronte a causa di forti problemi interni di economia ferma e disoccupazione. Occorre che le persone in procinto di espatriare lo sappiano. rai International può svolgere un ruolo sensibile su questo fronte. Vorremmo che rai Interna-tional fosse più vera e attuale rispetto a come è fatta oggi. Le no-stre ambasciate possono trovare anche altri metodi di comunicare nei Paesi oggetto di forte espatrio;

5. serve un piano europeo. Non dimentichiamo mai che siamo in Europa. L’Italia è uno dei paesi più importanti e deve farsi promotrice di un accordo generale sul tema dell’immigrazione che armonizzi i comportamenti degli Stati membri. Questo ac-cordo deve naturalmente tenere conto delle singole potenzialità, ma anche del fatto che l’Italia – per la sua particolare posizione geografica – è la più vocata ad attrarre un certo target di emigranti dal sud del mondo, anche solo per il transito.

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Qui si parla di energia. A partire da una convinzione: una poli-tica energetica virtuosa deve portare ogni cittadino a diventare responsabile e competente. Basta energia passiva che non sai da dove arriva, né quanto costa; sia in termini monetari che di in-quinamento e pericolosità. Ogni singolo individuo si deve sentire parte costruttiva, sapendo come creare energia, come e quando consumarla e che fare per risparmiarla.

Il futuro prossimo, molto prossimo, sta nella creazione di ener-gia da fonti naturali, sia attraverso centrali comuni sia, e soprat-tutto, attraverso impianti individuali, di cui la famiglia e l’azienda, divenuti produttori/utilizzatori di energia, conoscano il funzio-namento, le potenzialità, le possibilità di migliorie. Solo in questo modo potrà essere messa in funzione la leva chiave su cui insiste la soluzione del problema energia, e cioè il risparmio.

Continuiamo con il dire che siamo nettamente contrari all’ener-gia nucleare. Potremmo qui elencare una lunga serie di motiva-zioni tecniche e di opportunità. Ci limitiamo ad affermare che è arrivato il momento di smetterla di dedicare tempo e risorse a progetti che, come tutti ben sappiamo, non si potranno mai realizzare.

Il sole, il vento e l’acqua possono fornirci via via l’energia ne-cessaria a sostituire quella proveniente da fonti fossili di cui non conosciamo bene le disponibilità residue, mentre tristemente co-nosciamo le caratteristiche di inquinamento e pericolosità. Proseguiamo ancora con l’affermare che siamo favorevoli all’ener-gia eolica e cioè alle tanto vituperate pale. Uscendo dal porto di Barbate abbiamo ammirato una nuova installazione di una cen-trale eolica, posta su una costa in leggero declivio sul mare, e ci è sorto naturale il paragone con una centrale a carbone o a petrolio nella stessa posizione paesaggistica. Tutti abbiamo negli occhi le immagini di Gela, Taranto, La Spezia. Esistono sempre due modi di giudicare: valutare o comparare. Conviene utilizzare entrambi.

Il nostro Paese ha condizioni geografiche tali da sfruttare me-

meno io, più noil’ambiente e l’energia (meno io, più ambiente)

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glio di ogni altra nazione europea il sole, il vento e l’acqua. Inco-minciamo a farlo con maggiore determinazione.

Oltre l’80% dell’energia in Europa viene prodotta da fonti fos-sili, petrolio, carbone e metano. Solo il 10% va in elettricità. Il resto viene consumata soprattutto in trasporti e riscaldamento.

La prima strada da intraprendere è intervenire subito su quel 30% del consumo di energia da fonti fossili destinata al riscalda-mento domestico. L’Italia è, tra i Paesi europei, quello che ha le abitazioni più colabrodo, dal punto di vista energetico. Abbiamo quindi amplissimi margini di miglioramento. Un’abitazione media italiana consuma, all’anno, circa 220kwh per metro quadro. Una casa in classe B, che è lo standard in molte parti d’Europa, ne consuma 55, cioè un quarto. Occorre mettere in atto una cam-pagna mediatica che informi gli italiani di questa reale possibilità. Inoltre, bisogna far venir voglia ai cittadini e alle imprese di inve-stire subito in questa direzione attraverso una politica di incentivi e di sgravi veramente attrattivi.

Nel campo delle energie naturali rinnovabili gli incentivi, quelli sani e cioè proporzionali ai costi, hanno prodotto effetti positi-vi. Vere e proprie economie di scala e risorse per la ricerca, che hanno determinato il crollo del costo del silicio di grado solare e l’ingresso sul mercato di nuove tecnologie a film sottile, con enormi riduzioni di costi.

Ciò impone un ragionamento. Concentriamo le energie e gli in-vestimenti che avevamo previsto per il gigantesco programma sul nucleare italiano (che non si farà, non foss’altro che per la sicura indisponibilità dei Comuni a essere individuati come siti) verso 2 direzioni nel campo delle energie naturali rinnovabili: incentivi proporzionali ai costi verso il produttore/utilizzatore di energia e fondi per creare e finanziare un’istituto di ricerca leader al mondo. Quest’ultimo è un punto determinante. L’Italia può avere questa netta vocazione di ricerca. La tecnologia corre, tra non molto (e comunque in tempi più brevi di quelli che erano stati previsti per l’attuazione del programma nucleare italiano) risolverà alcuni nodi che faranno finalmente esplodere il mercato delle rinnova-bili, come quello dell’intermittenza e la possibilità di accumulo, oltre che a continuare con velocità esponenziale nella corsa verso il “più piccolo, più bello e più potente”. Partirà sicuramente una rete internazionale di approvvigionamento, saranno messi a pun-

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to nuovi progetti di design e di collocazione paesaggistica per l’eolico.

L’Italia è ancora in tempo per porsi in una posizione da play maker su questo fronte, ma deve partire subito. Abbiamo grandi menti in Italia, altre cerchiamole nel mondo, mettiamole insieme e creiamo il più innovativo istituto di ricerca sulle energie naturali rinnovabili del mondo.

Sui trasporti occorre rafforzare pesantemente la ferrovia e il mare. Portiamo le merci il più possibile con i treni, che posso-no essere alimentati con elettricità e creano economie di scala utili ad abbattere i costi. Occorre rafforzare la rete ferroviaria e obbligare determinati trasporti a ricorrere ai treni. Per i lunghi tragitti dal nord verso il sud Italia debbono essere rafforzati i trasporti marittimi.

Per quanto riguarda gli scarichi industriali, molti passi sono stati fatti. Le leggi esistono, bisogna farle rispettare.

I rifiuti urbani restano una spina nel fianco per alcune regio-ni italiane. La strada intrapresa verso la raccolta differenziata e i termovalorizzatori è quella giusta. I nodi da affrontare sono quel-lo della sensibilizzazione dei singoli (scuola, scuola e poi ancora scuola), la buona volontà, la competenza, la determinazione e il coraggio dei politici (riforma della politica), la fermezza nel con-trastare la criminalità organizzata (spezzare i legami e le conni-venze con la politica). Quindi:

1. inserire nella scuola dell’obbligo Le energie naturali rinnovabili e la cura dell’ambiente come materia primaria;

2. abbandonare definitivamente il progetto italiano per la co-struzione delle centrali nucleari;

3. investire tutto sulle energie rinnovabili favorendo con incen-tivi tangibili e duraturi, almeno fino a quando non saranno au-tonomamente convenienti, i singoli produttori/utilizzatori e con sgravi le imprese produttrici/utilizzatrici;

4. favorire la ristrutturazione di immobili esistenti e la costru-zione dei nuovi verso standard di risparmio energetico, almeno classe b. Incentivi e/o sgravi debbono essere tali da convincere i proprietari a investire in questo senso;

5. definire un progetto ventennale di costruzione di nuove cen-trali di energie rinnovabili;

6. puntare sull’eolico, oltre che sul fotovoltaico e sull’idrico, utiliz-

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zando al massimo i nostri architetti paesaggisti e di design per tro-vare nuove soluzioni estetiche a minor impatto. Anche per quanto riguarda la scelta dei luoghi di installazione del fotovoltaico;

7. creare un Istituto di ricerca sulle energie naturali rinnovabili nazionale ai massimi livelli mondiali, trovando anche il modo di portare in Italia le migliori menti del mondo in questo campo

8. creare un nuovo progetto per i trasporti che favorisca quelli ferroviari a consumo elettrico, a scapito di quello su strada a con-sumo fossile.

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Siamo diventati un Paese complicato, lento, pieno zeppo di bu-rocrazia. Il pesce puzza dalla testa e noi siamo figli della nostra politica. In questo senso la prima mossa, indispensabile, porterà in modo automatico enormi benefici nella direzione della sempli-ficazione e della velocità.

Tuttavia è necessario mettere a punto un piano preciso, dedi-cato a smantellare la cattiva burocrazia. In ogni campo occorre realizzare un progetto di semplificazione delle leggi e una razio-nalizzazione degli istituti delegati a controllarne l’attuazione. Vi portiamo un esempio per tutti. Parliamo della produzione del vino, che è un settore strategico dell’agroalimentare, un’eccellen-za che concorre in modo determinante alla nostra immagine nel mondo. Chi produce vino in Italia oggi è sottoposto a direttive e controlli da 10 diversi enti. Le commissioni agricole dei Comuni controllano la denuncia delle uve. L’Ispettorato agrario provin-ciale applica il controllo dei vigneti. L’assessorato all’Agricoltura della regione collabora a legiferare, riceve ed esamina documenti e filtra per il ministero. La Camera di commercio provinciale con-trolla e aggiorna l’albo dei vigneti e decide l’idoneità. Valoreitalia distribuisce le fascette (cavolo, ancora le fascette!!!). doc e docg, inoltre, attua piani di controllo delle cantine). I consorzi di tutela girano le carte, gestiscono le appellazioni e i disciplinari. Le asl controllano i locali e verificano l’igiene. I nas, che sono carabi-nieri, controllano il rispetto delle regole. La Guardia di Finanza applica controlli di tipo fiscale. La Forestale controlla la corret-tezza dei vigneti e dell’uso del territorio. Intendiamoci, tutta brava gente, spesso competente. Ma succede sovente che questi istituti si contraddicano tra loro nell’interpretazione delle norme, le quali sono una moltitudine. Tutto questo lavoro in Francia, dove il vino non è meno importante, è svolto da 4 istituti: l’aidac (ex inao) controlla la qualità delle doc, la repressione frodi (come da noi), la dogana per le questioni fiscali e il civc (controllo della qualità sullo scaffale).

meno leggi, più disciplinameno chiesa, più gesùcontro la burocrazia, verso la laicità

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Abbiamo citato il vino ma non c’è inferiore complicazione in altri settori come la carne o il latte, e così pure in settori non alimentari o dei servizi come le banche. Occorre creare imme-diatamente alcuni gruppi di lavoro monotematici per macroca-tegoria, composti da specialisti di settore, presi anche dal mondo delle imprese, ai quali affidare il compito di stilare un progetto di semplificazione delle leggi, armonizzazione nonché diminuzione degli istituti, velocizzazione delle pratiche. Potremmo chiamare questi gruppi di lavoro gli sburocrati. In un mese di lavoro serrato, questi gruppi potrebbero compiere l’analisi e svolgere la costru-zione progettuale. Sarà poi compito dei politici scelti dal popolo riunire i diversi progetti in una riforma completa della burocrazia. Si potrebbe anche proporre che, in certi settori, per ogni nuova norma se ne abroghino almeno due.

Altro argomento è quello dei rapporti con la Chiesa cattolica. In Italia risiede il Papa e la struttura di governo della Chiesa cattolica mondiale. Ciò implica un rapporto particolare tra Stato e Chiesa che di certo porta con sé molti benefici, ma spesso danneggia l’indipendenza della politica. La Chiesa intesa come gerarchia ec-clesistica che in molti casi della storia ha dato un contributo forte al prevalere del bene sul male, come l’azione di molti vescovi du-rante la resistenza, a volte dimostra una natura neofoba. Anche in questo caso la storia lo dimostra, da Copernico al preservativo. La Chiesa ha naturalmente il diritto di esprimersi sulle questioni che riguardano l’etica e la morale ma non deve intervenire nella politica. L’Italia deve poter operare in totale indipendenza, essere uno Stato laico e totalmente immune dalle visioni di tipo religio-so. Per ottenere rapidamente ciò è necessario abolire i privilegi e le contribuzioni che l’Italia riserva alla Città del Vaticano. Va assolutamente rimarcato qui il lavoro straordinario svolto da tanti sacerdoti e suore nel campo dell’accoglienza, della sanità e della educazione. Queste persone meravigliose vanno sostenute dallo Stato ma, finché esisterà una relazione economica e assistenziale tra i due poteri ufficiali, il Vaticano continuerà a incidere nelle scelte della politica. L’esperienza mondiale e la storia dell’umanità dimostrano che quanto più le religioni incombono nella politica, tanto più vi è arretratezza e tensioni. Questa posizione non im-plica affatto la mancanza di rispetto verso le religioni. La nostra Costituzione è molto chiara su questo punto e non necessita di

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modifiche, né integrazioni. D’altra parte i valori base della cri-stianità come la bontà, la generosità, il rispetto del prossimo, il perdono, l’onestà, la fedeltà, debbono diventare base anche della sana politica. Ciò che serve è più Gesù e meno Chiesa. Quindi:

1. creare gruppi di lavoro, composti da specialisti, per la sem-plificazione;

2. armonizzare i progetti di semplificazione dei vari gruppi di lavoro in una riforma della burocrazia italiana;

3. abrogare il privilegio riservato alla Chiesa cattolica relativo all’esenzione dall’ici e alle tasse sulla compravendita di immobili;

4. i finanziamenti e i contributi a istituti cattolici per l’educa-zione e la sanità debbono essere trattati con lo stesso criterio e richieste di standard degli istituti privati di tipo laico;

5. l’ora di religione deve essere sostituita con Religioni, usi e costu-mi dei popoli;

6. per quanto riguarda l’8 per mille deve essere rispettata la vo-lontà del contribuente. Alle Chiese devono essere versati solo ed esclusivamente gli ammontari delle dichiarazioni con la volontà espressa. In assenza di ciò, i quattrini restano entrate pure dello Stato.

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Non tutte le scimmie sono diventate esseri umani. Già possede-vano scienza e conoscenza, ciò che mancava loro era la coscienza. è stata l’assunzione di coscienza a trasformare parte di loro in uomini. Questo nostro piccolo lavoro punta a scuotere un po’ proprio questa parte di noi che ci rende umani: la coscienza.

Avrete notato temi ricorrenti. Uno di questi è la velocità. Un mese. Un mese per scrivere in barca queste sette mosse. Un mese per mettere a punto in modo scientifico il progetto di cia-scuna mossa.

Questo “mese”, che incombe dovunque in ogni Mossa, vuole assurgere a emblema della velocità. Abbiamo bisogno di mag-giore velocità. Un mese ci sembra un tempo breve per realizzare cose importanti, ma contemporaneamente ci pare sufficiente, se vi è impegno, per non sbagliare nel progettarle.

La scuola. Lo strumento della scuola come elemento chiave del cambiamento. Una nuova educazione ai ragazzi in funzione an-che di un virtuoso contagio alla famiglia.

La moderazione. La ricerca di un linguaggio moderato, ma de-terminato. Abbiamo tutti molto bisogno di moderazione.

Il dubbio. L’assunzione del valore del dubbio inteso come umil-tà, voglia di approfondire e disponibilità a cambiare idea quando è il caso.

Infine i meno e i più. Il nostro modo di semplificare ed esempli-ficare, pur mantenendo l’emozione.

Abbiamo sempre cercato, non sempre riuscendoci, di mettere un po’ di infantile innocenza vicino al nostro impegno. Abbiamo accolto con gioia l’idea di Lella di chiudere con Meno maschile più femminile. Non confondetela con una rivendicazione femminista. Prendetela come un invito alla determinazione, alla pervicacia, alla coerenza, al senso del dovere, allo spirito di sacrificio; insom-ma, all’impegno. Caratteristica molto più diffusa tra le donne che nei maschi.

Molte delle proposte qui contenute possono apparire già dette,

meno maschile, più femminileepilogo

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già pensate. Può essere. Qualcuna addirittura già fatta o almeno si è tentato di farla. Può essere.

Tuttavia, siamo certi che la proposta nella sua interezza possa essere considerata originale e, magari dai più, una grande utopia. Per questo abbiamo scelto di passare le Colonne d’Ercole verso le Americhe, sullo stesso cammino di un’altra grande utopia che, molto più ambiziosa della nostra, 500 anni fa si è trasformata in realtà. Benedette siano le utopie. Ma, in ogni caso, andiamo loro incontro con leggerezza.

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Se provo ad andare sul sito stelledelpiemonte.net, il web mi ri-sponde: expired, scaduto. E specifica: sito web non rinnovato. Il guaio è che non soltanto il sito non è stato rinnovato: è il progetto – bellissimo e partito con lustrini e fanfare – a essere, oggi, expi-red: scaduto. La mia domanda è: perché?

Allargando la questione all’intero Paese, non posso non chie-dermi (e chiedere): perché un progetto importante, e come que-sto tanti altri, è solo una meteora di passaggio che finisce in una bolla di niente? Naturalmente non pretendo di travalicare i miei confini, e dunque lo domando per quanto mi compete – la ristorazione e il turismo – anche se temo che un certo, e per me incomprensibile, vizio italiano a non perseverare, a “mollare”, a fermarsi sempre un po’ prima del traguardo, non danneggi solo la mia categoria, ma penalizzi tante altre professioni e altrettanti comparti produttivi. Ed è qui che il legislatore e l’amministra-tore pubblico dovrebbero esserci, ed esserci con forza, invece che latitare.

Per chi non conosce la storia di Stelle del Piemonte, eccone un promemoria. è la storia di un progetto partito con le migliori intenzioni e mai portato a termine; ma è anche la metafora di troppe cose – iniziate e non finite – che rallentano la crescita e lo sviluppo dell’Italia.

Stelle del Piemonte era un’iniziativa della regione Piemonte, nata nel 2005 e realizzata dall’assessorato al Turismo. Riuniva i “top chef ” del territorio (tra loro, anch’io) allo scopo di promuo-vere le eccellenze culturali e artistiche regionali attraverso i suoi tesori enogastronomici.

All’inizio c’è stata tanta buona stampa. Tanti viaggi all’este-ro, Londra, New York. Tanti applausi. Tanti progetti correlati, come quello di creare a Costigliole d’Asti una scuola – unica al mondo – i cui docenti sarebbero stati 40 (e ripeto: 40) Stelle Michelin piemontesi.

Avremmo attirato ragazzi da tutto il mondo, perché la cucina

meno meteore, più perseveranzadi ugo alciati

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italiana non la si può inventare né copiare; però la si può impa-rare, magari declinandola ciascuno con le proprie attitudini, la propria storia, la propria manualità e – soprattutto – con le ma-terie prime a disposizione. Avremmo anche attirato più turismo enogastronomico – che è, poi, cultura – e così anche il mercato dei piccoli produttori avrebbe ricevuto una domanda che oggi comincia, drammaticamente, a scarseggiare. Da chef, non posso non chiedermi dove troverò – tra qualche anno – il cardo gob-bo di Nizza Monferrato, peraltro oggi presidio Slow Food. E la gallina bianca di Saluzzo, il castelmagno delle valli cuneesi, il co-niglio grigio di Carmagnola. Se nessuno li chiederà più, nessuno li produrrà più. E anche la mia cucina ne risentirà, così come ne risentirà la nostra tradizione e la nostra cultura.

Sarebbe stato così difficile finire quanto iniziato? Far sì che un’idea, ben partita, e un progetto divenissero prima realtà e poi consuetudine?

ricordo che nel nostro vecchio ristorante, Guido a Costigliole, avevamo dovuto acquistare un frigo in più, destinato ai turisti che venivano a mangiare da noi: questi, infatti, si presentavano con il “sacchetto della spesa” pieno di leccornie locali e ci chiedevano di tenerle al fresco. Ne eravamo contenti, perché i prodotti della nostra regione sarebbero andati “in giro per il mondo”, alimen-tando quel circolo virtuoso che è turismo, certo, perciò ricchezza; ma è anche – come ripeto sempre – cultura. Purtroppo nel nostro nuovo ristorante, Guido a Pollenzo, quel frigo non ce lo chiede più nessuno.

Tornando a Stelle del Piemonte, quel progetto avrebbe fatto circolare di nuovo e ancor più il Made in Italy enogastronomico, permettendo ai piccoli produttori di continuare a esserlo. Pur-troppo, oggi, tutto questo è expired, scaduto. Così come lo sono tante altre buone intenzioni, che non sono divenute fatti perché mancano le leggi e – quando queste ci sono – ne mancano le ap-plicazioni da parte di chi amministra la cosa pubblica.

Perciò abbiamo tanti proclami, cioè meteore, mentre stiamo perdendo la cultura del perseverare. La mia presenza sulla barca di 7 mosse è stato anche il mio modo per dire, nel mio piccolo: attenzione, non diamo forfait, andiamo avanti. Non lasciamo che le cose finiscano come quel sito. Expired, scadute.

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Mi trovo in pieno accordo con il contenuto delle 7 mosse: non troppo dettagliate per non perdere il dono della semplificazione e non troppo superficiali per risultare banali.

ritengo che queste rappresentino una buona base di partenza per poter poi approfondire i temi nelle sedi opportune.

ritengo, inoltre, fondata la paura di molti nel vedere la scarsa applicabilità di molte delle 7 mosse a partire dalla prima.

In questo senso l’unico vero aiuto è l’ampio consenso degli ita-liani e a loro volontà a vederle realizzate (o comunque a vedere realizzato un cambiamento) nel più breve tempo possibile, senza troppi e lunghi compromessi.

A quanto già detto e scritto aggiungerei due suggerimenti, uno più generale e l’altro più operativo.

Da un punto di vista generale suggerirei maggiore attenzione sul tema della meritocrazia, seppur già presente in maniera tra-sversale in tutto il documento.

Da un punto di vista operativo suggerire maggiore apertura del-la politica al mondo estero, in una sua accezione più “moderna”.

Mi spiego meglio. Negli ultimi anni la discussione mercato/regole ha spesso par-

torito forme di salvaguardia degli interessi di pochi a danno della collettività. A volte richiamando i pericoli di un eccessivo libe-ro mercato, a volte strumentalizzando le liberalizzazioni, sempre con un supporto bipartisan.

Ci ricordiamo tutti della mancata attualizzazione delle “lenzuo-late” di Bersani. Una grande occasione persa a favore di lobby an-tiche e perlopiù inutili.

Il merito, quello vero, è spesso assente dalle scelte politiche, dal lavoro dei giovani, dalle regole aziendali. Il merito è alla base di qualsiasi energia lavorativa; è la luce in fondo al tunnel; è sapere che la vita è un film a lieto fine; è il sogno di chi non ha e domani può avere. Il merito è una cultura trasversale che deve impregnare tutti i livelli della società.

meno merito, più esterodi luca baffigo

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Così sarebbe bello vedere politici che hanno meritato la poltrona perché eletti dai cittadini; sarebbe bello andare allo sportello delle poste e dialogare con un “postino” che si è meritato quel posto.

Sarebbe bello avere uno stato che si merita di ricevere le tasse come cittadini che si meritano la cittadinanza di uno stato, magari perché pagano tutte le tasse.

Chiediamoci tutti e sempre se stiamo godendo di qualcosa che ci siamo meritati grazie al nostro impegno.

“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” e sul merito. Così potrebbe essere cambiata la Costituzione.

Il tema più operativo riguarda invece il rapporto con l’estero.Possiamo risanare e sviluppare la nostra economia solo se mi-

glioriamo la bilancia commerciale con l’estero. Questo può essere realizzato se:

1. rendiamo indipendente la nostra partita energetica che appe-santisce molto la bilancia commerciale;

2. aumentiamo le esportazioni dei prodotti interamente realiz-zati in Italia, quelle delle nostre sei eccellenze;

3. aumentiamo i ricavi del turismo estero, questa è l’occasione per il nostro paese;

4. aumentiamo gli investimenti esteri nelle nostre società private e pubbliche, se si vuole apertura bisogna dare apertura.

Sul primo punto è stato detto molto e magari è già stato avviato. Molto, invece, deve essere fatto sugli altri tre.

Io vedo tre super-ministeri con portafoglio (del Commercio estero, del Turismo, degli Investimenti esteri) capitanati da mi-nistri seri e competenti, valutati su obiettivi quantitativi chiari e definiti.

In un maggiore scambio della nostra politica con l’estero, sug-gerirei anche di “importare” qualche risorsa umana. Penso alla possibilità di aprire alcune funzioni o ruoli istituzionali, di sup-porto a quelli principali o cosiddetti tecnici, a persone che vengo-no da altri paesi. In un mondo globalizzato dove la buona cultura corre su binari veloci, avere la possibilità di copiare o importare best practice già avviate da altri è un ottimo modo per risparmiare tempo e denaro.

Faccio un esempio: la gestione dei trasporti in Giappone è la migliore al mondo per efficenza e qualità del servizio. Un posto dove i treni sono numerosi, arrivano puntuali e sempre puliti.

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7 mosse l’italia

Perché non portare dei giapponesi nelle sedi opportune a lavora-re con noi per insegnarci a fare meglio. Insomma sarebbe bello avere qualche straniero nella squadra di governo. Avrebbe pochi amici da salvaguardare e molti meriti da dimostrare.

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Non userò queste righe per aggiungere qualche mia mossa alle sette di Farinetti perché, in verità, non ne ho. Avrei giusto da dire qualcosa sull’unica cosa che conosco abbastanza bene, cioè il modo che abbiamo di spendere i nostri soldi per educare il Paese. E so con sufficiente esattezza cosa potrebbe cambiare le cose. Ma ho già avuto altre possibilità di spiegarmi e d’altra parte qualche punto significativo nelle 7 mosse c’è, e mi tro-va perfettamente d’accordo. Dunque soprassiedo e preferisco dedicare queste poche righe a dire ciò che penso del lavoro di Oscar Farinetti. Non mi riferisco a quello di ammucchiare soldi con idee geniali e facendosi un mazzo così, ma quello di provare a scrivere in sette mosse quel che secondo lui bisognerebbe fare per salvare questa Italia.

La prima cosa mi è venuta in mente sentendo discutere Oscar Farinetti e Riccardo Illy in barca. Si parlava di riforma della politica. Farinetti è per la soppressione dell’immunità parlamentare. Illy gli ricordava, con la puntigliosa intelligenza che ho scoperto essere una sua adorabile qualità, che l’immunità è sancita dalla Costitu-zione è ha un suo senso preciso e condivisibile. In un certo senso avevano ragione tutti e due. Ma il modo di aver ragione di Fari-netti era particolare e mi ha insegnato una caratteristica delle sue mosse che va compresa. La riassumerei così: le 7 mosse funzione-rebbero in un Paese in cui si fossero già attuate le 7 mosse. In que-sto io riconosco quel miscuglio di illogicità e di feroce determina-zione che sempre noto nel pensiero degli utopisti (chiarisco che utopisti non è per me un eufemismo per fessi, ma un sinonimo laico di profeti). In genere pensano cose che non si potrebbero fare nel mondo così com’è ma che, se realizzate, costruirebbero un mondo in cui cose del genere sarebbe naturalissimo farle. Se uno pensa ad esempio alla politica come servizio, l’immunità di-venta inutile. Ma se uno pensa alla lotta politica di oggi, l’immu-nità rappresenta una garanzia quasi necessaria. E d’altronde: se si togliesse l’immunità la politica avrebbe più possibilità di diven-

meno scetticismo, più ingenuitàdi alessandro baricco

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tare servizio e basta. Oscar Farinetti tende a proporre soluzioni che saltano le obiezioni prefigurando un paesaggio in cui quelle obiezioni non avrebbero più senso. Per usare un gergo contadi-no che non gli dispiacerebbe, “mette il carro avanti ai buoi”. Per quel che ne capisco io, è l’unico modo di pensare, se quello che vuoi ottenere è una qualche rivoluzione. Il sistema, quando è così marcio, non si modifica registrandone alcune viti un po’ lasse. Lo si sposta di forza oltre se stesso. Senza violenza, inutile e contro-producente. Ma con un’acrobazia del pensiero che salta qualche passaggio e rimette tuti i pista in un campo da gioco diverso.

La seconda cosa che mi attira delle mosse di Oscar è che capo-volgono i termini del problema. I più, oggi, in Italia, credono che il problema sia politico, di leadership, di mancanza di un proget-to politico maggioritario. Le 7 mosse invece partono dal basso: quelli sono i problemi, queste potrebbero essere le soluzioni. Poi, semmai, dopo aver lavorato duro, verrà il momento di capire se quella rete di soluzioni ha un colore politico o addirittura una sua matrice culturale, se non addirittura ideologica. Ma intanto si trat-ta di far tornare dei numeri, di risolvere problemi, non di imma-ginare alleanze elettorali. Forse in un altro momento storico una posizione del genere mi avrebbe insospettito. Ma qui ci troviamo a mollo da anni in un dibattito muro contro muro in cui due italie contrapposte si occupano sostanzialmente di delegittimarsi reciprocamente, nella quasi completa assenza di programmi che producano soluzioni e non consenso elettorale: un sano ritorno a uno sguardo pragmatico non mi suona così male. Con vigilanza, ma lo sto ad ascoltare.

Terza cosa. Quasi in ogni mossa si invoca un ritorno alla com-petenza. Facciamo fare le cose a chi le sa fare. E quasi sempre chi le sa fare è gente che viene dalla società civile e le ha fatte con successo, rischiando sulla propria pelle. Il famoso “tecnico”, si dirà. Non so. A me piace la suddivisione dei compiti. I politici a creare il consenso necessario, a coagulare la sensibilità collettiva, a salvaguardare gli equilibri istituzionali del Paese, e dei superma-nager che per pura passione gestiscono piccole rivoluzioni e poi se ne tornano a casa. Non è un modello male. Finita la bufala del premier imprenditore, e del Paese-azienda, nel modo di pensare di Farinetti si affaccia un modo di impostare le cose che peraltro non è solo suo e che comunque merita un po’ di attenzione. Una sor-

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ta di bilanciamento tra il talento politico e quello manageriale. Se non altro è una soluzione che difende con fermezza il ruolo della politica, pur smussandone il primato. E crede nelle istituzioni, pur imponendogli la sponda di una più dinamica società civile.

Ultima cosa. Mi piace che le 7 mosse credano in un Paese mo-derno. Quando si parla si smilitizzare il Paese, di promuovere una nuova cultura rispetto ai problemi dell’energia, di affermare il pri-mato della laicità o anche solo quando si esorta a sburocratizzare il Paese, io leggo di un’Italia che non ho mai conosciuto e che in fondo era quella che volevo da giovane con una rabbia che adesso riservo, forse sbagliandomi, ad altre cose. Ci leggo il coraggio di scegliere scenari dove il futuro non è una malinconica illusione, ma l’unico terreno possibile dove seminare il presente.

Per tutte queste ragioni leggo le 7 mosse e non è una lettura che mi lascia indifferente. Riesco pefino a dimenticarmi le tante debo-lezze che hanno e che nenache Farinetti si nasconde. A me suona particolarmente imperdonabile l’assenza di un problema come quello della delinquenza organizzata: come pensare di salvare un Paese senza incominciare a recuperare la metà di Paese che quelli, bene o male, tengono in ostaggio? Così come mi sembra peri-coloso (non utopistico, quello sarebbe un pregio) il modello di velocità che si pensa di poter imprimere al Paese. La velocità è bellissima, ma fa fuori i più lenti e la lentezza non è sempre una prova di stupidità, ma spesso la conseguenza di una fragilità che è di molti, a cui sarebbe assurdo farne una colpa. Voglio dire che un Paese è fatto di milioni di singolarità e pensare di spararlo a tavoletta su per rivoluzioni che cambiano il mondo in un mese suona molto bello, ma non necessariamente è il modo migliore di tenerlo insieme, quel Paese.

Cionondimeno qualcosa resterà, di queste 7 mosse, ne sono con-vinto. Seminate in questo modo un po’ guascone, da vero mer-cante di talento, germoglieranno in qualche modo entrando nel sistema sanguigno di questo Paese, nel momento in cui, come mai in passato, c’è bisogno di idee, ingenuità, coraggio e ottimismo.

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prologo

Subisco da sempre il fascino dell’ “imprenditore”, colui che parte scommettendo su di sé e sulle sue idee. Naturalmente i fini pos-sono essere i più svariati, ma quando sono sani, la figura dell’im-prenditore si identifica meglio con la radice del termine impresa.

Così, attratto dall’impresa, ho partecipato alla traversata, al viaggio verso una sana utopia. Sono salito sulla barca fiducioso di trovare buona compagnia e due certezze: il comandante Soldini, uno che sa domare il vento, e il comandante Farinetti che invece di accon-tentarsi del più o meno cerca il meno e più. Purtroppo solo una breve tratta, ma abbastanza per capire che c’è veramente tanta voglia di vivere in un Paese migliore, una voglia che potrebbe diventare con-tagiosa (se la politica ritornasse ad ascoltare le esigenze dei cittadini e tornasse a essere un vero servizio per il Paese).

Sulla barca ho portato il mio violoncello perché volevo che la musica fosse presente anche fisicamente in queste 7 mosse. Ho condiviso in linea generale tutti gli argomenti delle 7 mosse, per-ciò non voglio aggiungere niente al documento finale, semmai qualche puntualizzazione di carattere personale che non sposta il senso del documento. Penso però di approfittare (mi scuserete) di questo spazio per insistere sul dare voce alla musica, provando a inserirla, dove possibile, ed esserne rappresentante anche in que-sta sorta di progetto per una Italia migliore.

meno politici, più politica

D’accordo su tutta l’analisi della situazione in cui la politica sta operando, sul fatto che in troppi vivano di politica per fini per-sonali e anche sulle soluzioni di drastico, ma opportuno dimez-zamento dei numeri. rimane una “stonatura” per me, il fatto di coinvolgere in questo taglio i sindacati. Non posso dimenticare

riflessioni da “i love barolo”di mario brunello

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la storia e il valore di conquista sociale di questa voce in rappre-sentanza dei diritti del lavoratore. rimane il fatto che in troppi hanno abusato anche di questo legittimo diritto. Nel mondo della musica, di tutta la musica: meno musicanti, più musicisti. Nel senso che a tutti i livelli dirigenziali del mondo della musica ci vogliono persone oltre che competenti, anche che amino la musica e che ne comprendano profondamente il valore di umanità, di universalità, di ricchezza culturale e non vedano solo il lato esteriore di evento o, peggio ancora, solo il lato economico.

meno sprechi, più responsabilità

Proprio come si fa in famiglia, e come non essere d’accordo!Una proposta per la musica: ridurre i cachet. In nessun altro Pae-

se d’Europa si pagano onorari così alti come in Italia. Una giusta riduzione per allinearsi alla media farebbe risparmiare un bel po’. Una piccola percentuale dell’onorario dovrebbe poi essere lascia-ta su un fondo per la diffusione della musica in asili, scuole ecc. Non è giusto che chi prende soldi pubblici limiti la sua perfor-mance a una piccolissima parte della popolazione: tutti i cittadini hanno pagato con le loro tasse quell’esibizione. è anche per l’arti-sta stesso una sorta di investimento sul suo pubblico futuro. Sulle tasse: non pagare le tasse deve essere tabù.

meno bombe, più diplomazia

Aggiungerei un testo da studiare a scuola: Il Disertore di Boris Vian.

In piena facoltà egregio presidente le scrivo la presente che spero leggerà.

La cartolina qui mi dice terra terra di andare a far la guerra quest’altro lunedì

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Ma io non sono qui egregio presidente per ammazzar la gente più o meno come me

Io non ce l’ho con lei sia detto per inciso ma sento che ho deciso e che diserterò.

Ho avuto solo guai da quando sono nato i figli che ho allevato han pianto insieme a me.

Mia mamma e mio papà ormai son sotto terra e a loro della guerra non gliene fregherà.

Quand’ero in prigionia qualcuno mi ha rubato mia moglie e il mio passato la mia migliore età.

Domani mi alzerò e chiuderò la porta sulla stagione morta e mi incamminerò.

Vivrò di carità sulle strade di Spagna di Francia e di Bretagna e a tutti griderò.

Di non partire più e di non obbedire per andare a morire per non importa chi.

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Per cui se servirà del sangue ad ogni costo andate a dare il vostro se vi divertirà.

E dica pure ai suoi se vengono a cercarmi che possono spararmi io armi non ne ho.

Si parla di tagli, no? E allora sospendere la produzione e la ven-dita di tutti i videogiochi di guerra.

Poi va a finire che i nostri ragazzi, una volta cresciuti, giocano sul serio “alla guerra”.

meno invocazioni, più vocazioni

Trovo questa mossa la più efficace, è una vera “mossa”, di rapida esecuzione, efficace perché sorprendente nella sua semplicità.

In barca c’è stata un tentativo di cambiare l’ordine delle vo-cazioni (cultura per iniziare). Questo non avrebbe cambiato il contenuto del documento, ma “l’armatore” ha giustamente fatto valere le sue ragioni.

Al punto 11, una piccolezza: non metterei cultura e arte ita-liana, lascerei cultura e arte in generale. Penso che la vocazione non debba essere limitata a un “prodotto” italiano, ma cogliere l’essenza della cultura, che è dialogo con la modernità e il nostro tempo ormai non ha frontiere.

Altra cosa sono i beni culturali italiani che vanno promossi sia dentro sia fuori dal nostro Paese.

La musica, ma tutta l’espressione artistica, dovrebbe essere uno dei veicoli privilegiati per la valorizzazione di innumerevoli luoghi legati alla nostra storia, palazzi, chiese, siti, archeologia industriale e gli interventi a sostegno dell’organizzazione di iniziative dovreb-bero essere programmati seriamente, facilitando gli investimenti per il riutilizzo e l’uso di questi luoghi.

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meno liti, più accoglienza

Sulla seconda parte, l’immigrazione: anche qui la musica (tutta la musica) dovrebbe entrare come una delle soluzioni all’inte-grazione. Premiare e sostenere con incentivi chi si adopera per inserire nelle manifestazioni opere nuove o di tradizione di Paesi da cui provengono gran parte dei nostri immigrati. Beethoven, per quanto universale, non può unire tutte le genti con il suo Inno alla gioia.

meno io, più noi

Energia e ambiente. Forse un’attenzione in più sui rifiuti, proble-ma enorme. Si dovrebbe cambiare il termine “rifiuti” con “mate-riale”. Nell’immaginario i rifiuti sono spazzatura, ma spazzatura è il miscuglio sporcato dal rifiuto umido. Diamo importanza al “materiale” come elemento di ricchezza per tutti – se differenzia-to e riciclato – e non di inutilità, se “sporcato”.

meno leggi, più disciplina meno chiesa, più gesù

Spalmerei il testo della prima parte “meno leggi più, discipli-na” sulle mosse precedenti per lasciare così tutta l’attenzione su “meno Chiesa, più Gesù”. Quest’ultima mi sembra una mossa indispensabile per dare uno slancio vero, libero, al nostro Paese che, a causa di questa presenza, per ogni progetto di costruzione del futuro e per ogni adeguamento all’Europa deve subire il peso di un giudizio preventivo.

epilogo

“I love Barolo”, grazie!

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Cari tutti, sicuramente rendo meglio con una padella in mano che con una penna, ma cercherò di mettere lo stesso impegno nella scrittura in queste poche righe. All’inizio della mia carriera di ri-storatore – quasi ventisette anni fa – quando venivano giornalisti di guide gastronomiche avrei voluto trasformarmi in un cuoco bravo dell’epoca. Che so, un Marchesi o un Vissani. Ora vorrei trasformarmi in un bravo scrittore e quindi penso senza indugio a Faletti… anzi, Giorgio, se vedi qualche errore correggilo pure!

Da uomo di mare ho scoperto un mio tallone d’Achille soffren-do per una giornata abbondante il mal d’oceano, ma le emozioni ricevute hanno di gran lunga ripagato il fatto. Senz’altro sono quello che da questa esperienza ha ricevuto più di quello che ha dato. Che volete, ho dato alcuni sapori della mia infanzia, ho fat-to assaggiare a tutto l’equipaggio il brodetto che mia madre mi metteva anche nel biberon. Io che nascevo nel famoso chilometro zero senza saperlo, dove dietro casa la nonna allevava animali da cortile e coltivava ortaggi e davanti il mare offriva i suoi frutti.

Quello che ho ricevuto è stato veramente intenso e tanto, un bombardamento sotto ogni aspetto (intellettuale, umano e senso-riale), dove persone mai viste o viste in televisione e sui giornali sembrava di conoscerle da una vita. Questa la forza della barca, la foza del mare, la forza della natura, la forza dell’intelligenza.

In questo contesto le 7 mosse rappresentano un modo per lan-ciare messaggi importanti. Pensando al momento storico sicura-mente l’ago della mia bilancia va più verso le difficoltà che verso le positività, ma dopo aver conosciuto tutti voi e leggendo i com-menti di chi non ho avuto la fortuna d’incontrare, dico invece che è il momento giusto per farci sentire. è il nostro momento!

Per quello che riguarda il mio piccolo, appoggio in pieno il fatto di istruire fin dalle scuole primarie i nostri figli alle ricchezze della nostra terra come alle religioni del mondo. Vorrei che i nostri ristoranti fossero come le botteghe dove una volta si imparava il lavoro, implementare stage e apprendistato.

meno teoria, più praticadi moreno cedroni

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Quando mi è stato imposto di fare un corso come tutor per un apprendista, la perdita di tempo è stata totale. In più il ragazzo era uscito dall’alberghiero e doveva rifare i corsi appena fatti a scuola. Che perdita di energie e soprattutto di denari, ma la cosa che mi aveva segnato era venir tacciato come quello che assumeva un apprendista per non pagare i contributi. In quei momenti mi sono sentito veramente uno straccio da pavimento.

Le scuole alberghiere hanno drasticamente ridotto le ore di pra-tica e gli stage sono ridotti a pochi giorni. Come pensano i nostri politici che i nostri ragazzi possano imparare il mestiere? Ricevo come tutti i miei colleghi decine di richieste al giorno di stage, ma posso accettarne solo il 10% del personale a tempo indetermina-to, questa è la triste realtà. Penso a quanti ragazzi potrei motivare e far uscire dal loro profondo, quello che Ferran Adrià ha fatto uscire in me, quel talento nascosto che ha bisogno di messaggi forti per venire allo scoperto e che potrebbe anche per sempre rimanere nascosto. Ma non lo posso fare perché chi ci governa non ce lo permette e ci considera come uno dei tanti posti di ristoro che cercano manovalanza a poco. Mai come in questo mo-mento in Italia c’è un forte gruppo di cuochi tra i 40 e i 50 anni che si rispettano, che parlano la stessa lingua, che cercano di por-tare la cucina italiana a rapportarsi alla pari con Francia, Spagna, Germania, Danimarca. Pensate che esercito di ragazzi potremmo motivare, e non solo in cucina, perché non dimentichiamoci che con questa esposizione dei cuochi ci stiamo perdendo i camerieri che rappresentano il patrimonio dell’ospitalità. Già quando ero presidente dei jre (Jeunes restaurateurs d’Europe, ndr) avevo lan-ciato la domanda “troviamo un nuovo nome ai camerieri”. Ora lo lancio anche a voi, cari amici, hai visto mai!

Concordo che la politica deve essere come un’azienda, deve produrre e deve costare il giusto. Tutte le agevolazioni in termini di stipendi e pensioni che si sono costruiti i politici nel corso degli anni sono veramente troppo importanti. E poi ognuno nel nostro lavoro rischia e spesso ha l’ansia da prestazione, loro no!

Grazie Oscar, e grazie Giovanni, spero che le rotte prese e le rotte che prenderanno le 7 mosse possano smuovere qualcosa. Ne abbiamo tutti stramaledettamente bisogno.

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Una mattina mi son svegliata – o bella ciao, bella ciao, bella ciao – e ho trovato Farinetti, Oscar Farinetti (da pronunciare con la stessa intonazione di “Bond, James Bond”). Non mi è apparso in sogno, non si è fatto teletrasportare come il Capitano Kirk, mi ha semplicemente mandato una mail, ma è stata comunque un’epifa-nia, una rivelazione. In cinque righe mi raccontava dell’idea delle 7 mosse, del viaggio per mare, e mi chiedeva di esserci.

In cinque righe e altrettanti minuti gli ho risposto entusiastica-mente di sì (e d’altra parte, sono o non sono diretta discendente della Gertrude manzoniana?). Con l’unico rimpianto di non poter fare anche la traversata oceanica, perché non sembra ma anche le soubrette come me hanno degli impegni, a volte perfino degli obblighi. Morali, addirittura. Da non crederci.

Facili, quasi banali i commenti: bella forza, una vacanza gra-tis, su una barca bellissima, col mitico Giovanni Soldini come capitano-mio-capitano, una cambusa (e una cantina…) da film di Ferreri, chef formidabili ma anche simpatici come cuochi, com-pagni di viaggio vari, eventuali e tendenzialmente stimolanti e in più anche la causa nobile, l’elaborazione teorica, il think-tank, il brain storming, il bene del Paese, la difesa dei valori, la riforma della politica, dell’economia e della giustizia. Mancava giusto il risanamento delle Ferrovie e di Alitalia. Cialtroni, illusi, patetici, arroganti, retorici, velleitari, saccenti. Utopisti. Radical-chic.

Eh no. Cioè, a me lo possono anche dire, mi vien da ridere ma pazienza, in fondo forse me lo merito. E suppongo che anche a qualche altro navigante delle 7 mosse la definizione possa vaga-mente calzare. Ma definire radical-chic Farinetti, Oscar Farinetti, è peggio che un insulto: è una stronzata.

Oscar Farinetti è una delle persone più solari, trasparenti, entu-siaste ed entusiasmanti, autentiche, concrete, travolgenti, inarre-stabili, generose e incredibili che abbia mai incontrato. Qualcuno potrebbe forse definirlo naïf e in un certo senso è vero: la sua ca-pacità di stupirsi, di guardare le cose con gli occhi di un ragazzino

una mattina mi son svegliata...di lella costa

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è assoluta e spiazzante. Poi dai un’occhiata al suo curriculum e ti domandi se ci è o ci fa. Be’, ci è. Totalmente e per nostra imme-ritata fortuna.

è lui, e lui soltanto a rendere credibile e condivisibile l’avven-tura delle 7 mosse. Lui che inesorabile arrivava in piena bolina con un sorriso: «ragazzi, scusate ma dobbiamo lavorare un po’». E via coi meno e coi più, le discussioni e i distinguo, gli stimoli e le provocazioni. Lui prontissimo ad ascoltare e recepire sug-gerimenti, ma adamantino nel tener fede al progetto. Lui capace di cambiare punto di vista in corso d’opera, ma sempre saldo e coerente nella visione d’insieme.

Per questo credo sia stata giusta la sua scelta di assumersi inte-ramente la responsabilità del documento finale: è tutto spiegato perfettamente nel prologo e ribadito nell’epilogo che condivido fin nella punteggiatura. Di più, rileggendo ora a piè fermo (in tutti i sensi) quelle frasi, ritrovandone non solo il senso ma anche il profumo e la musica, mi rendo conto che sì, magari qualche det-taglio non mi trova totalmente d’accordo; certi temi sono stati un po’ “tirati via” e altri, al contrario, hanno avuto troppo spazio, ma alla fine della fiera io mi ci ritrovo eccome in queste 7 mosse. So-prattutto ci ritrovo un’idea di Italia, di futuro, di progetto comune che mi assomiglia moltissimo. Mi piacerebbe viverci, in un Paese così. Mi piacerebbe soprattutto che ci vivessero le mie figlie.

Per questo sono e sarò per sempre grata a Oscar Farinetti e sarò pregiudizialmente dalla sua parte qualunque cosa faccia, qualun-que rotta intraprenda. Per questo e anche per quella sua capacità di entusiasmarsi senza ritegno, che si trattasse di uno spettacolo della natura («la più bella stellata che abbia mai visto»), di una bottiglia di vino («il miglior barolo che abbiate mai bevuto»), di un’esibizione di Mario Brunello («il miglior violoncellista del mondo»), di tapas («le più buone d’Europa e probabilmente anche delle Americhe») o di una manovra ben riuscita («la più straordi-naria virata nella storia della vela»).

Grazie, Oscar. Io so far poco ma sono abbastanza brava con le parole, soprattutto quelle degli altri. Così ti saluto con qualcuna delle citazioni che mi sono più care. Comincio con Calvino, le Lezioni americane, ovvero le cinque qualità che lui riteneva indi-spensabili per il nuovo millennio: rapidità, molteplicità, visibili-tà, leggerezza, esattezza. Tu le possiedi tutte insieme ed è questo

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che ti rende speciale. Perché molteplicità senza visibilità “germi-na oscuro intrigo, puzza di corridoi dove scorrono giusquìamo e cicuta come acque nere nelle fognature”, e rapidità e leggerezza senza esattezza “sono calunnia come bora che spazza, sono inno-centi in galera e assassini che cantano vittoria”. Il virgolettato non è mio, ma di William Shakespeare.

E finisco con un verso di Robert Frost che sembra scritto per te e per le 7 mosse: «Non bisogna accontentarsi di quello che è a portata di mano, altrimenti a cosa servirebbe il cielo?».

Hasta siempre, comandante.

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Condivido il documento delle 7 mosse per l’Italia, le modalità e sopratutto la possibilità di sognare. In Spagna, in questi giorni, durante l’occupazione pacifica delle piazze, uno degli slogan gri-dato dai giovani è: «Se non ci lasciano sognare non li lasceremo dormire». Vorrei essere con loro e con i nostri ragazzi italiani, alimentando i sogni e per un risveglio della democrazia, fonte di speranza fantastica per il futuro.

più indignazione, meno omertà

Ecco, dopo i sogni, il risveglio. E noi, non possiamo più dormi-re sereni. Non dobbiamo, e, se non interveniamo nel raddriz-zare la rotta, saremo tutti peccatori e colpevoli di omissione e di omertà.

Queste 7 mosse nella loro semplicità testimoniano quanto possa essere facile applicare il buon senso. Sì, perché sono tutti accorgi-menti di buon senso, ma bisogna essere d’accordo che lo svilup-po passa sempre dal benessere comune e le leggi, le istituzioni, devono garantirne l’attuazione. Aggiungerei qualche punto di at-tenzione, qualche sogno in più, più vicino al nuovo mondo che frequento da qualche anno e che, in silenzio e un poco in ombra, cerco di portare avanti; quello dell’inclusione sociale e salvaguar-dia ambientale. E vorrei ricominciare proprio dalle nuove genera-zioni (dall’infanzia ai giovani d’oggi).

più ascolto, meno rumore

Coloriamo il presente e il futuro dei giovani, quelle generazioni invisibili. Ascoltiamo le loro passioni, ma non sentiremo nulla, non ne hanno o non si fidano di nessuno.

Restituiamogli allora il presente rubato, come?

innovazione sociale= creatività applicata al buon sensodi luciana delle donne

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più filosofi, meno ingegneri

Creiamo un ambiente sano per il progresso (del poco e del giusto) dell’individuo. Stimoliamo curiosità alla conoscenza. realizziamo una “fabbrica della cultura”, per quella cultura da tutelare e quella da produrre e utilizziamo al meglio ciò che già abbiamo e, come già evidenziato nelle 7 mosse, seguiamo le nostre vocazioni, dia-mo valore al capitale intellettuale, esportiamo i nostri valori e for-se anche i nostri giovani parleranno…

più passione, meno furbizia

restituiamo la dignità del lavoro a tutti. La nuova frontiera della ricchezza è il donarsi, il darsi. Il lavoro non deve necessariamente arricchire, ma deve rendere la vita degna di essere vissuta, sti-molata nell’apprendimento, nella crescita e nel raggiungimento di obiettivi sfidanti. La dignità di essere umano appartiene alle persone oneste, ma anche a quelle persone disoneste che pagano l’errore della loro vita in prigione.

più sole, mai più nucleare

Il cambiamento ha due vie: gesti piccoli e quotidiani (dal basso) o gesti istituzionali (dall’alto). In tutti e due i casi l’individuo è sem-pre artefice del cambiamento. Ma il più impegnativo è quello da compiere dentro di noi. E non è più tempo di aspettare che qual-cun altro faccia qualcosa per noi. Cominciamo noi. Cominciamo a costruire una coscienza di appartenenza a un pianeta vulnerabi-le. In sintesi: difendiamo il nostro pianeta o si difenderà da solo.

più coraggio, meno egoismo

Uniamoci, in percorsi che non conoscono ideologie politiche, ma che, nel rispetto delle individualità di ognuno, operino in inizia-tive congiunte, stiamo uniti e focalizzati in modelli di sviluppo sostenibile concreti.

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Valorizziamo le diversità femminili, intese come valore (cre-atività, sensibilità, flessibilità, tenacia, intuito, capacità di creare sinergie…) e rivolgiamo il nostro sguardo al Mediterraneo, impe-gnandoci a favorire la nascita di reti culturali, scientifiche, econo-miche e sociali tra i vari Paesi che si affacciano su questo mare, attraendo e trattenendo persone di talento – anche con idee e bagagli culturali diversi – puntando a trasformare questa cultura in punti vincenti per il cambiamento, con conseguente ricchezza che si trasferisce sul territorio.

Ecco, ho detto anche io la mia. Grazie mille per avermi dato la voce.

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Mi sento di scrivere questo alla fine della nostra traversata atlanti-ca, che è stata agitata (le onde) e bellissima (il mare).

Mi sono imbarcato in questa avventura perché sono convinto, come Oscar, che “senza sogni non si va da nessuna parte”: senza sogni (e senza Soldini, per essere onesto) non saremmo arrivati qui, dall’altra parte dell’Atlantico.

Le onde e il mare permettono di pensare. E adesso mi è tutto più chiaro, in questa notte stellata che ci guida a New York: di-pende da noi. Il futuro del nostro Paese dipende da ciascuno di noi. Non c’è bisogno di essere d’accordo con tutte le proposte delle 7 mosse: qualcuna è più innovativa, altre meno; qualcuna è realistica, altre non lo sono. Ma è importante afferrarne lo spirito generale: siamo ancora in grado, come cittadini italiani, di salvare l’Italia. Dipende da ciascuno di noi.

Abbiamo una classe politica in gran parte da buttare. Nella mossa n° 1 si propone in effetti di buttarne via una notevole quantità. Ma questo non basterà: la classe politica non cambierà e non cambieranno le politiche, se noi, i cittadini italiani, non decideremo davvero che il futuro dell’Italia ci interessa. è il no-stro futuro.

L’Italia sarà migliore quando ciascuno di noi dimostrerà di avere a cuore il bene comune e non solo il proprio interesse individuale. L’eredità dell’America migliore – mentre ci avvici-niamo alle coste orientali degli Stati Uniti, è la nostra meta che si avvicina – spinge le vele in questa direzione: perché un Paese funzioni, deve esistere una relazione positiva fra i progetti indi-viduali e il destino della nazione.

Le 7 mosse sono questo: l’incontro fra i sogni individuali di un gruppo di persone che vogliono ancora sentirsi italiane e il sogno della nazione. Un sogno collettivo che dobbiamo rein-ventare. è il 150° anniversario della nascita del nostro Paese. è il momento giusto per tentare uno sforzo: di ciascuno e di tutti. Da giovane imprenditore, vedo lo sforzo per salvaguardare il

meno onde, più maredi guido falck

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futuro dell’Italia in una competizione globale sempre più dura, come una grande joint-venture. La mia definizione di nazione, in fondo, potrebbe essere questa. Una partnership pubblico/pri-vata, ideale e sostanziale.

Gli italiani potranno viaggiare e potranno vivere nel mondo globale. Ma non resteranno italiani senza avere alle spalle l’Italia. Possiamo darci un Paese migliore.

Come? Le 7 mosse dicono tante cose: il punto è che una nazione è un eterno progetto in costruzione. Una specie di casa comune che non sarà mai finita. Una casa che deve poggiare su fonda-menta molto solide e deve avere un impianto etico: i nostri diritti e i nostri doveri. Ma verrà poi costruita giorno per giorno. Co-struire la casa è un lavoro quotidiano. Quando un Paese si “siede” è finito. Per questo c’è bisogno di onde, di mosse: per liberare le energie individuali.

è in questa chiave che aggiungo una mia proposta. è una pro-posta che rientra nella mossa n° 2 (meno sprechi, più responsabilità) e nella sua logica generale: combattere l’evasione fiscale e migliora-re le entrate, per potere pensare a sgravi futuri per chi crea nuove imprese, creando così posti di lavoro. Uno dei modi essenziali per reagire alla sindrome del declino, infatti, è di creare un ambiente favorevole allo spirito di impresa: spirito che è sempre esistito negli italiani, ma che oggi si scontra con una serie di difficoltà (dai tempi burocratici per creare una start-up, alla questione della cri-minalità, allo scarso volume degli investimenti esteri, alla politica fiscale). Si aggiungono i comportamenti privati: dall’imprendito-ria all’arricchimento, il passo è stato breve; si è consumato nello spazio di un paio di generazioni.

Nella stessa visione della mossa n° 2, ed essendo un giovane imprenditore, avanzo una proposta molto semplice: prevedere nuovi aiuti fiscali alle imprese creando un “fattore di virtuosi-tà aziendale”. Questo strumento di agevolazione fiscale sareb-be rivolto alle imprese giovani per definizione; in quanto create da giovani e appena nate. E ne premierebbe il comportamento virtuoso. Definisco virtuoso il comportamento di imprese giovani che non distribuiscano gli utili, ma li reinvestano nella società per farla crescere, creando posti di lavoro. L’imprenditorialità privata di una parte dei giovani italiani, incentivata anche dalle politiche pubbliche, permetterebbe quindi di affrontare uno dei problemi

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più gravi dell’Italia di oggi (e dell’Europa nel suo insieme): i tassi di disoccupazione giovanile.

A queste condizioni di virtuosità aziendale, l’impresa giovane non dovrebbe essere equiparata fiscalmente ad aziende che divi-dono gli utili tra gli azionisti e che hanno un fattore di crescita di fatturato, di indotto e di occupazione minimo o nullo. Incentivato fiscalmente, il fattore di virtuosità di un’impresa la renderebbe so-stenibile nel tempo e permetterebbe di aumentarne gradualmente le dimensioni.

Senza questo incentivo fiscale, la crescita di imprese giovani resta invece molto difficile. Con l’attuale tassazione, infatti, dif-ficilmente un’azienda onesta, ancora piccola e in fase di crescita, una volta pagate tutte le tasse, può ancora permettersi di investi-re nel proprio decollo. Il risultato è che si svilupperà molto più lentamente, contribuendo quindi poco alla ripresa complessiva del Paese.

Il fattore di virtuosità aziendale, come criterio della politica fi-scale, permetterebbe anche di distinguere fra imprenditori votati alla crescita (come bene comune) e persone che puntano solo sull’arricchimento personale. Gli incentivi fiscali finirebbero per incentivare il numero degli imprenditori virtuosi; e di diminuire gli evasori “per necessità di crescita”, con benefici conseguenti per tutto il Paese.

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Quando ho visto emergere a poco a poco dall’orizzonte la meta e ho capito che eravamo arrivati, ho realizzato in pieno la bellezza dell’esperienza che avevo appena vissuto. Siamo stati, a fasi alter-ne, dei gruppi di persone che hanno viaggiato insieme diverten-dosi e usufruendo di una buona cucina, pur con i limiti restrittivi della legge di bordo, la famosa regola dei 4,5 euro. Sono stati momenti di aggregazione umana molto piacevoli e a tratti, per la magia della vela e l’arrivo dei delfini, addirittura incantati. Tutta-via, in questa leggerezza, credo che ognuno abbia trovato rimedio alla superficialità partecipando attivamente e dando il suo contri-buto creativo alle discussioni sulle famose 7 mosse; quelle che il professor Odifreddi, genio della matematica e dell’umorismo, ha sottolineato essere in realtà nove.

Ho letto i commenti finali di alcune persone che ritengo tec-nicamente più qualificate di me a trovare delle lacune nel testo definitivo. Tuttavia, a prescindere da qualunque eccezione possa essere sollevata, a prescindere da qualunque problema di fatti-bilità o di incostituzionalità, questo documento ha un indubbio vantaggio: è l’ulteriore espressione di un disagio che proviene da differenti direzioni, che persone diverse per estrazione e cultura sono state a loro modo in grado di raccogliere e testimoniare.

Il nostro Paese si trova indubbiamente in una situazione molto critica. Non disperata, ma molto critica. Da un punto di vista eco-nomico, se da una parte l’Italia si può appoggiare a una solidità legata al risparmio, dall’altra si ritrova nell’incapacità di crescere. Francia e Germania lo stanno facendo, forti di una più equa di-stribuzione della ricchezza. Dal punto di vista politico, non credo sia necessario sottolineare quanto si sia abbassato il livello dello scontro, quando basta sfogliare le pagine dei giornali per rendersi conto che è il clamore del gossip a farla da padrone a discapito dell’argomentazione e del confronto sui temi e sui programmi. Ho sempre sospettato che lo scopo prioritario di un uomo politi-co sia quello di continuare a esserlo e che a questa velleità venga

meno leggerezze, più leggerezzadi giorgio faletti

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spesso sacrificato quello che tutti definiscono “il bene del Paese”. Temo che gli ultimi avvenimenti e il confronto con i miei com-pagni di viaggio abbiano trasformato quest’ipotesi in una concla-mata certezza.

Penso da sempre che la democrazia di un paese, fra le altre cose, si rivela dalla giustizia del suo sistema fiscale. Questo significa che ogni cittadino deve, a seconda delle sue possibilità, contribuire al mantenimento dello Stato. Ma, nello stesso momento, signi-fica che le classi più deboli, grazie al maggior prelievo effettuato presso le classi più abbienti, possono avere accesso a servizi che altrimenti sarebbero loro preclusi. Quando questo non succede, o non succede nella misura in cui sarebbe possibile, allora ci sono criteri che vanno pesantemente rivisti. Magari prendendo esem-pio da Paesi dove:

a. la presenza dello Stato è molto più tangibile nell’erogazione di servizi;

b. le aliquote sono più basse, maggiori le spese detraibili ma inesorabile la punizione in caso di evasione.

Ad esempio, mi pare di ricordare che in Svezia l’evasione fiscale sia considerata un reato gravissimo e che non siano previsti scon-ti di pena per buona condotta in caso di detenzione per questo motivo. ricordo che da noi, come risposta, è stato depenalizzato il falso in bilancio…

Vorrei chiudere questo breve commento ricordando e ricordan-domi che i giovani sono la forza a cui si appoggiano le speranze e il futuro di una nazione. Sono l’unico modo che abbiamo per truffare il tempo. A loro vanno dedicate cure e attenzioni perché diventino dei cittadini e non dei pesi per se stessi e per la società. Questo significa diritto all’istruzione, opportunità uguali per tutti, una speranza che sia possibile per tutti trasformare in realtà. Ma soprattutto l’esempio, da chi è demandato a dare tale esempio: la famiglia, la scuola, la società, le istituzioni.

Aggiungerei, per mia personale inclinazione, due componenti apparentemente ludiche: la musica e lo sport. Dare ai ragazzi la possibilità concreta di suonare uno strumento musicale o di pra-ticare uno sport significa mettere loro a disposizione un’ottica alternativa, una cultura di confronto e non di scontro, il modo di trasformare un concetto sterile di disciplina che arriva dall’ester-no in auto-disciplina. Va da sé che non tutti diventeranno Mario

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Brunello o Roger Federer o Alberto Tomba, non tutti arriveranno a fare di queste pratiche la loro fortuna o semplicemente il loro mestiere. Ma ci saranno per loro momenti di facile aggregazione per tutta la vita, nel momento in cui si accorgeranno che molti de-gli esseri umani che li circondano possono essere persone con cui suonare invece che litigare e che quello che hanno di fronte su un campo di tennis o di calcio non è un nemico da distruggere, ma solo un avversario da battere. La musica e lo sport sono linguaggi universali, perché un Do maggiore o una schiacciata a pallavolo sono uguali ed emozionanti in tutte le parti del mondo. E ci sono concetti che, quando sono veicolati dalle emozioni, nel corso del tempo si radicano al punto da diventare regole di vita.

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Bene, il viaggio è giunto a compimento, le 7 mosse anche. Sono orgoglioso di aver avuto il privilegio di partecipare a questa ini-ziativa interessante, complessa, articolata, inedita; e per questo sorprendente, per l’armonia che si è creata a dispetto delle diverse anime dei partecipanti.

Il silenzio e la vastità del mare, la lontananza dalla vita di tutti i giorni hanno favorito la possibilità di riflettere, di discutere, di approfondire argomenti che, in linea di principio, coinvolgono ciascuno di noi.

Il senso di questo viaggio è stato anche usare il buon senso per giungere a delle conclusioni. Forse alcune possono apparire trancianti ma di fatto intendono essere delle suggestioni, delle riflessioni, dei punti di partenza intorno a cui lavorare allo scopo di migliorare la gestione della cosa pubblica – anche attraverso la riduzione degli sprechi che non possiamo più permetterci –, di ra-gionare del benessere individuale ma, soprattutto, collettivo, della socialità a scapito di questo nefasto individualismo dilagante.

Grazie ai compagni di viaggio per questa bella avventura che ha avuto anche il sapore di una splendida vacanza. E un grazie spe-ciale a chi ha contribuito alla realizzazione di tutto questo stando dietro le quinte.

meno individualismo, più armoniadi bruno fieno

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Ho iniziato a entrare nel viaggio che mi sta portando da Madeira a NewYork ben prima della mia partenza. L’invito di Oscar e Giovanni si è fatto strada dentro di me senza che io me ne ac-corgessi andando a risvegliare pensieri, domande, desideri che già vivevano in me e suscitandone altri.

Questa prima settimana di navigazione mi ha permesso anche altre riflessioni, proprio a partire dalla condizione in cui mi sono trovata.

Sono partita sapendo benissimo di patire il mal di mare, ma fiduciosa del fatto che, essendo una lunga tratta, mi sarei abitua-ta. E poi, quando mai mi sarebbe capitata un’altra occasione del genere?

Così, in realtà, mi sono ritrovata a star male quasi tutti i giorni e a dover chiedere aiuto quasi tutti i giorni; a fare i conti con la mia fatica, ma anche con quella degli altri.

Ho capito però una cosa fondamentale: chiedere può essere una grande occasione per ambedue le parti.

Domanda/offerta: pongo l’accento sull’offerta. Credo sia l’of-ferta a generare la domanda e questo implica un altro passaggio, quello del saper ricevere, condizione da cui tutti partiamo.

In questo noi donne possiamo essere avvantaggiate dalla dif-ferenza sessuale: il passivo non diventa condizione di mancanza, ma di capacità di ricevere. La dissimmetria diventa possibilità, incremento.

rimettendo quindi al centro di tutto l’individuo in quanto rap-porto con l’altro, in quanto capacità di rapporto con l’altro, penso che, alla base di una reale ripresa economica, sociale, culturale, politica, ci debba essere questo pensiero: rapporto = amore = la-voro su lavoro (incontro di due lavori) = 1+1 deve fare minimo 3 (e qui mi rifaccio soprattutto a Freud, Gesù e Giacomo Contri).

1+1 = 3 vuol dire applicare un pensiero economico di soddisfa-zione a tutti i rapporti, di qualsiasi contenuto essi vogliano trattare.

Vuol dire pensare che trattare bene l’altro è conveniente; che

l’albero si giudica dai fruttidi maria giua

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non è buonismo, ma è porre condizioni favorevoli, al fine di tro-vare partner e collaboratori possibili.

Vuol dire che lavorare al proprio giardino, come diceva Voltaire, fa rapporto e soprattutto fa pace. Vuol dire pensare che la guerra non conviene mai; senza andare tanto lontano, a partire dal rap-porto con i propri amici, familiari, prossimi.

Vuol dire attenzione alle esigenze proprie e altrui, vuol dire in-teresse alla conoscenza (la conoscenza rende liberi), vuol dire di-fesa, tutela del bene comune.

Perché ciò sia possibile bisogna partire da un lavoro personale, che mai può prescindere dal “ricapitolare una collettività” (Freud diceva: «L’ontogenesi ricapitola la filogenesi»).

Ho pensato anche a un’altra cosa, che la leggerezza è un frutto del pensiero, è rimandare la propria bussola a questa massima che mi pare davvero rivoluzionaria: «L’albero si giudica dai frutti».

Coltiviamo il nostro giardino insieme!

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Ho passato gli ultimi 25 anni a portare gente per mare. Come potete immaginare ne ho viste di tutti i colori. Le reazioni delle persone non abituate a stare su una barca, che per quanto grande non può che riservare pochi metri quadri a ciascuno, sono le più disparate, spesso inconsulte. Confesso che ero molto preoccupa-ta per questa traversata. Nessuno di loro era mai stato in Oceano, la maggior parte non aveva mai navigato, addirittura due non sa-pevano nuotare. Tutti venivano da attività di intelletto.

Questa era una barca su cui bisognava lavorare di braccia. A parte il lavoro tecnico di portarla, che non si può fare in due soli 24 ore su 24, c’era da tenerla in ordine, pulire, cucinare.

Ecco, proprio a proposito del cucinare, volevo proprio vederli questi cuochi stellati nella nostra microcucina, con il piano cottu-ra basculante, la barca piegata e ondeggiante, a cucinare per 10, a volte 11 persone. Che poi non si fossero immaginati che avrei fatto io da sola tutti i lavori domestici per oltre un mese!

Insomma, mi aspettavo il peggio. E poi, francamente, questo programma di far riunioni in pieno oceano per discutere sostan-zialmente di politica, con la velleità di scrivere le nuove regole per risollevare l’Italia, mi sembrava pura fantasia.

Noi, gente di mare, tendiamo a essere molto pratici e, ammetto, spesso cinici. è la natura che ci porta a essere così. Vista da fuori, a suon di foto e filmati di tramonti e delfini che giocano, la natura del mare appare una meraviglia. In effetti lo è, ma accanto alla sua bellezza infinita ci sono la forza e l’imprevedibilità, con le quali non si scherza, non si deve scherzare mai. Il mare esige rispetto, non si deve mai prendere sotto gamba e debbo ammettere che questo gruppo di intellettuali, imprenditori e cuochi mi sembrava una piccola armata Bracaleone di incoscienti e presuntuosi.

Ho dovuto ricredermi. è la prima volta, in 25 anni dicevo, che non ho visto nessuno andare fuori di testa. Tutti hanno lavorato, sottoponendosi anche alle attività più umili. Sulla barca ha regnato un’armonia vera, concreta e poi li ho visti sgobbare come ossessi

meno pregiudizi, più umiltàdi beatrice iacovoni

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su questa loro idea delle 7 mosse, segno che ci credevano sul serio. La barca si è dimostrata un piccolo catino di varia umanità.

Dall’imprenditore bresciano serio e preciso che ha rispettato come un’orologio i suoi turni, al cuoco che pativa il mal di mare ma non si schiodava dalla cucina fino a che tutti erano sazi. Dal ragazzo figlio d’arte, che rispettava senza brontolare i miei ordini a volte anche troppo severi, al produttore di birra famoso nel mondo che lavava piatti e pentole a doppio turno. Dallo scrittore di gran fama, che mi avevano descritto come un concentrato di supponenza e che invece si è rivelato un dolce simpaticone, al pit-tore che non sa nuotare ma ha accettato di buon grado la mia im-posizione a doversi trascinare sempre legato come un cagnolino al guinzaglio. Dal famoso musicista, che diceva di voler suonare il violoncello in navigazione (già mi veniva da ridere) e poi, cavolo!, lo ha fatto (una delle più grandi emozioni della mia vita di mare, sentirlo suonare Bach davanti alla rocca di Gibilterra che spunta-va dalla nebbia), al mitico tostatore di caffè pregiato che diceva di saper navigare, e ho dovuto ammettere che era vero.

Così, potrei continuare per ore a descrivere ciascuno dei 23 che abbiamo ospitato sulla nostra barca. Tutte persone magnifiche, alle quali mi sono affezionata.

Permettetemi di chiudere con un appunto personale sulle 7 mosse. Forse sarebbe stato meglio invitare anche un rappresen-tante del mondo del lavoro più umile, ma non meno importante, come un operaio, un contadino vero (Farinetti dice a volte di fare il contadino, ma vorrei sapere quante volte si è piegato veramente verso la terra, che in Langa mi dicono essere bassa quanto dalle mie parti in Lazio); o addirittura un disoccupato o un cassainte-grato. In cuor mio penso che una persona così avrebbe dato un contributo importante, avvicinando maggiormente i contenuti del documento alla realtà del nostro Paese.

Ne ho parlato con Farinetti, che ha ammesso questa lacuna, e ha promesso che, alla prossima impresa, il mondo del lavoro sarà meglio rappresentato.

Oscar non sarà un vero contadino, come a volte sostiene, ma è una persona speciale. Lui e capitan Soldini sono stati veri maestri di armonia in questa bellissima traversata.

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Cari naviganti, ribadisco che condivido l’obiettivo e l’impostazio-ne generale delle 7 mosse per il rilancio dell’Italia e che è stato bellissimo discuterne in mezzo al mare, in un contesto amiche-vole e informale. Dalla lettura del documento finale traggo l’im-pressione che l’assenza per quattro tappe di Cartesio (come mi ha ribatezzato Oscar) abbia consentito a Pascal (cioè Oscar, ma forse non era il solo…) di avere il sopravvento; poi, con qualche esempio, motiverò l’affermazione.

Credo che il documento 7 mosse, per essere credibile, debba ispirarsi ai principi della chiarezza, del rigore e della coerenza, con la realtà e con le norme che regolano il nostra patria. Diversamen-te, rischiamo di fare come il nostro attuale premier che ci ha rega-lato una legge elettorale che non solo non ci consente di scegliere i parlamentari, ma è pure fuorviante o addirittura incostituzio-nale. Essa prevede, infatti, l’indicazione del nome del candidato premier sulla scheda elettorale; ma la Costituzione italiana vuole che i parlamentari non abbiano vincolo di mandato. Se l’avesse-ro, per l’elezione del premier la legge sarebbe incostituzionale. Siccome non ce l’hanno, ma gli elettori pensano di sì, ecco che la legge è fuorviante. Un pateracchio, insomma! E noi non abbiamo bisogno di altri pateracchi. E allora, per ribadire o segnalare, se i temi sono nuovi, solo le incongruenze più macroscopiche:

1. abolire le province è quasi impossibile. Ne parlò per primo il ministro La Malfa, una quarantina di anni fa, ne ha discusso la Commissione bicamerale una decina di anni fa, salvo decidere in-fine di rinunciare. Ciò che si può fare è copiare dalla Spagna, dove le province sono amministrate dall’Assemblea dei sindaci, senza avere quindi organi elettivi. Lo stesso vale per le comunità monta-ne: in montagna, zona altamente (in tutti i sensi…) svantaggiata, servono! E allora non proponiamo di abolirle, ma lasciamo che i sindaci le autogovernino, eliminando ogni inutile vincolo o co-strizione normativa;

2. i nostri illuminati padri fondatori della Costituzione, se han-

meno velleitarismo, più rigoredi riccardo illy

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no previsto l’immunità parlamentare, l’avranno fatto per qualco-sa. è, da un lato, vero che sono cambiati (in parte) i tempi e che oggi il rischio di vendette politiche si è ridotto, ma quell’istituto serve a garantire il funzionamento indipendente dei poteri dello Stato, cioè quello legislativo, esecutivo e giudiziario (quello religio-so, citato nella mossa sette non è un potere), senza intromissioni dell’uno nell’altro. Se il potere giudiziario può restringere senza filtri la libertà dei parlamentari, l’indipendenza va a farsi friggere;

3. abolire il quorum nei referendum significa rischiare, da un lato, la dittatura legalizzata delle minoranze (ciò che già oggi av-viene con lo strumento delle manifestazioni violente) e, dall’altro, contraddire il principio fondante della democrazia. Infatti, una minoranza di cittadini potrebbe abrogare una legge approvata dalla maggioranza dei parlamentari, a loro volta eletti dalla mag-gioranza dei cittadini;

4. affermare che i mezzi di comunicazione debbano essere in-dipendenti dalla politica è sacrosanto, ma è un’utopia. Nemmeno i nostri politici più illuminati (De Gasperi incluso) sono mai riu-sciti a dire come si fa. Se vogliamo lasciare quel punto dobbiamo dire come attuarlo;

5. applicando la stessa aliquota fiscale del reddito d’impresa alle rendite finanziarie, nessuno comprerebbe più i titoli di Stato ita-liani e l’Italia andrebbe in default, e poi fallirebbe. Aumentare i tassi d’interesse, per ridare a monte ciò che si toglie a valle, cree-rebbe una distorsione grave sui mercati finanziari. Applicare una aliquota fiscale ridotta sui titoli sarebbe incostituzionale. Io non trovo altre soluzioni; inoltre se vi fossero Tremonti o prima di lui Visco, che sono molto più preparati di me in materia, le avrebbe-ro già adottate;

6. usare gli oneri previdenziali dei ricchi per aumentare le pen-sioni minime è incostituzionale. Per fare ciò bisogna usare la tas-sazione ordinaria e per farlo bisognarebbe aumentarne le aliquote che sono già molto elevate (43%). Questo incentiverebbe mag-giormente l’evasione fiscale;

7. ridurre così drasticamente il numero dei tribunali è certa-mente efficiente per la giustizia, ma probabilmente non lo è in termini complessivi. Infatti i cittadini, per difendersi o per fare una causa, dovrebbero compiere spostamenti e sostenere oneri molto maggiori;

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8. sospendere i processi agli imputati irreperibili vuol dire fare un favore ai latitanti, mafiosi e camorristi in testa;

9. non perseguire i reati di scarsa rilevanza sociale credo sia incostituzionale: la legge è uguale per tutti, non può essere più uguale per la collettività rispetto al singolo individuo. Direi anche pericoloso. Già oggi i reati minori contro le persone e il patri-monio, che sono quelli che creano più scontento tra i cittadini, vengono scarsamente perseguiti per mancanza di risorse;

10. c’è una contraddizione tra proporre la semplificazione da un lato e sgravi o incentivi fiscali dall’altra. Entrambi aumentano, e di molto, la burocrazia, sia in sede di erogazione che di controllo;

11. la Chiesa svolge anche un ruolo supplente dello Stato nell’erogare servizi a persone in condizioni di disagio. Far pa-gare l’ici alla Chiesa significa, da un lato, aumentare le entrate e, dall’altro, aumentare, forse più che proporzionalmente, i costi per questi servizi sociali.

Voglio in conclusione condividere un ultimo pensiero: pri-ma delle 7 mosse si sono occupati di questi problemi tantissimi politici. Molti erano incapaci, taluni addirittura farabutti, ma un congruo numero era di valore e senza interessi personali. Se non hanno trovato o non hanno potuto attuare le soluzioni, è stato un po’ per il contesto politico della loro coalizione e un po’ perché, il nostro, è davvero un Paese complicato. Le soluzioni che noi proponiamo devono essere particolarmente creative e professio-nali. Bisogna essere consapevoli che le potrà attuare solo una co-alizione molto coesa e forte, tale da superare le opposizioni della struttura e gli inevitabili legami tra componenti della maggioranza e soggetti che, dalle riforme, verrebbero penalizzati. Per chiudere con una metafora marinaresca: disincagliare l’Italia sembra facile ma, come sa Giovanni Soldini per le barche, ci vuole intelligenza, forza e perseveranza.

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Una premessa al mio intervento è d’obbligo.Sono entrata a far parte dell’equipaggio delle 7 mosse pochi

giorni prima della partenza della barca da Genova, attratta so-prattutto dalla scritta che si trova su una delle vele: Alla ricerca del Marino. Il Marino è il vento che soffia dal mare sulle terre della nostra meravigliosa penisola e che rende uniche numerose delle sue specialità gastronomiche.

Il mio lavoro e quello della mia famiglia, da 100 anni, si svolge proprio in questo campo e partire su una barca a vela alla ricerca del Marino mi è sembrato come il richiamo irresistibile di una sirena.

Prima di aderire al progetto, però, ho valutato anche l’altro, fon-damentale, tema che avrebbe accompagnato questa avventura: le 7 mosse per l’Italia.

Non ero e non sono tuttora d’accordo su tutte le sfumature di queste proposte, ma fin dall’inizio e con sempre maggiore con-vinzione, concordo pienamente con lo spirito che ha mosso i due capitani: smettiamola tutti di lamentarci e proviamo a fare qual-cosa per aiutare il nostro Paese.

Anzi, valorizziamo questo atteggiamento nella nostra vita di tutti i giorni e cerchiamo di essere costruttivi in tutto quello che facciamo.

Avrei potuto focalizzare la mia attenzione sugli aspetti su cui non ero d’accordo, essere negativa e restarmene a terra. Questo è il tipo di approccio che, invece, tutti dobbiamo evitare. Senza essere semplicistici o superficiali, cerchiamo di vedere il positivo che c’è in ogni cosa e proviamo a moltiplicarlo.

Di proposito non entrerò nel merito delle singole mosse, non ritengo di avere le competenze per dire se una soluzione sia miglio-re di un’altra. Lascio questo compito agli esperti di ogni specifico argomento e mi aspetto che ne traggano degli spunti importanti.

Vorrei piuttosto che il mio suggerimento fosse visto come quel-lo di una cittadina italiana che lavora, ha un marito e due figlie e si preoccupa di quello che sarà il loro domani.

meno zavorra, più ventodi marella levoni

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la parola ai naviganti

Vorrei che l’insegnamento delle 7 mosse non fosse considerato solo come un documento per chi fa politica, per chi dirige o governa.

Vorrei che fosse uno spunto di riflessione e di rassicurazione per tutti i cittadini di buonsenso e, soprattutto, che possa conta-giare anche chi pensa che: «Tanto, non c’è niente da fare» e si fa trascinare dalla corrente.

Sulla barca delle 7 mosse abbiamo dimostrato che con una meta chiara, un buon capitano e una ciurma affiatata (nonostante le onde e il vento non sempre favorevoli) la barca si può condurre in un porto sicuro.

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Da anni cerco di capire e di capirmi. Cerco un equilibrio e in questa ricerca (a tratti quasi disperata) ho capito che mettermi alla prova è uno strumento efficace. La curiosità, l’umanità, l’etica, l’imprenditorialità, il coraggio, la paura, la fisicità, la spiritualità, lo sport, la competitività, l’umiltà. Tutte parole, forse; ma tutte cen-trali nella mia vita e in questo Viaggio (di questo si tratta nel senso più filosofico del termine) con la maiuscola, a cui sono felice e grato di essere stato invitato.

Le 7 mosse sono spesso, volutamente, provocatorie, a tratti forse velleitarie, non è necessario essere d’accordo su tutto, ma si può certamente convenire che il momento storico con le sue grida più o meno forti richieda una sferzata, una consapevolezza, una vo-lontà e possibilmente una posizione. E senz’altro esse generano una riflessione. Forte, nell’unico modo in cui ci si aspetterebbe da uno come Oscar Farinetti. Che, secondo me, non è poco in questi tempi confusi tra eccessi (di democrazia, di velocità, di informa-zione), qualunquismo e superficialità.

Ho trovato stranamente facile l’amalgama, l’energia che si è cre-ata in un ambiente così particolare qual è una barca a vela che va fatta navigare (non va certo da sola, grazie Bea, grazie Giò) sull’oceano, tra donne e uomini così diversi per esperienze e for-mazione. E questo dice molto sulla visione della vita di Farinetti.

Le mosse affrontano temi che fanno tremare, molti dei quali ri-chedono una formazione e una cultura che io certamente non ho, ma che sembra proprio non avere la classe politica di oggi e, se andiamo avanti così, nemmeno di domani. Il nostro è un Paese ter-ribilmente difficile; rimanere ottimisti è però utile, conveniente e gratis. Nella vita c’è sempre una via alternativa e virtuosa. Sempre.

Le 7 mosse affrontano alcuni temi cui mi sento particolarmen-te vicino e li affrontano con coraggio: la burocrazia (un mostro invincibile), la giustizia (centinaia di migliaia di leggi che si accu-mulano, da interpretare invece che da applicare), la governance (se vogliamo chiamiamola politica), la sostenibilità ambientale e non

il viaggio, la navigazione e le 7 mossedi matteo marzotto

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la parola ai naviganti

solo. Ma forse quello che mi ha maggiormente entusiasmato è la scuola, come strumento di formazione ma anche di selezione. Molto più autorevole con un pizzico di autorità in più mi pare ter-ribilmente necessaria ai nostri giovani. Che formi insegnando da dove veniamo e dove possiamo aspirare ad andare. Che selezioni (bello il passaggio sull’immigrazione) perché il merito è sempre in attesa di essere raggiunto (anche al secondo o al terzo tentativo), in modo pulito e perché poi l’esempio sarà il più potente degli strumenti. Che evidenzi le nostre vocazioni che sono lì, davanti al nostro naso, e che andiamo invece a cercare in mondi e culture che non ci appartengono. Che torni a dirci e a dire a chi vorrà vivere da noi, che i diecimila campanili e i loro dialetti sono valore aggiunto e non un freno allo sviluppo. Che mostri che le regole ci sono e che è bello osservarle come stile di vita. Che accogliere sorridendo è meglio (anche turisticamente parlando). Che am-biente e paesaggio non sono una risorsa infinita.

Non tutto di 7 mosse mi ha convinto e qualcosa anche un pò confuso, come nel caso per esempio degli investimenti nella forza armata o ancor più sulla Chiesa. Ho amato ascoltare l’acume, la cultura e l’autoironia del mio amico Piergiorgio Odifreddi, ma non mi ha persuaso: mi tengo Gesù e la sua forza e influenza, in tutto ciò che di buono siamo. Anzi, il professore mi ha promesso di venire con me a Lourdes!

Il nostro è un Paese di individualisti e di criticoni polemici; perciò, caro Oscar e cari amici, prepariamoci a cannonate da tutte le parti. Qualcuno disse qualcosa riguardo a chi fa e ai suoi sbagli.Qui da noi, che tu faccia o non faccia, un modo per dirti che hai sbagliato lo trovano sempre. E a proposito di faccia mi pare che mettere la propria non sia poca cosa e nemmeno propriamente lo sport nazionale.

Se poi fossi colto da un improvviso attacco di cinico pragma-tismo, direi che anche solo ottenere il 20 o 30% di quello che compone le 7 mosse, sarebbe già “tanta roba”.

Abbraccio il capitano, il comandante, il professore, lo scrittore-attore-comico-cantante, il birraio, il cuoco, l’amministratore de-legato, e tutti gli altri amici delle 7 mosse ricordando un pensiero (del 1957) di mio nonno Gaetano, un gigante che mi spinge con la sua visione e il suo esempio ad andare avanti con coraggio. Nonostante tutto.

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7 mosse l’italia

«Scarpe bone, bel vestito – vito sano – vin sincero – bele case – svaghi onesti, la fameia, i tosi, i veci – fede in Dio – mutuo rispeto – pace e bona vo-lontà. Lavorar con atension, con impegno, in dignità. Buon guadagno e cuor contento – vita agiata, ma el risparmio che xe sempre necessario per formar la proprietà. Sempre usar moderasion, toleranti co la zente, boni amissi solidali ne la gioia e nel dolor. Andar drio per la so strada, no far ciacole per niente, no badarghe ai fanfaroni, ai busiari, ai mestatori. Sempre pronti ai so doveri, far valere i so diriti, e difender tuti uniti, patria, vita e libertà».

Grazie Oscar, grazie amici. Grazie Italia.

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Cari compagni di viaggio, sono rientrato e come avrete capito dalla mia totale assenza mi sono trovato immediatamente immer-so in un altro liquido con tante bolle che più mi è consono.

Questo, in realtà, non è stato sufficiente a staccarmi mentalmen-te dai momenti trascorsi insieme e soprattutto dalla traversata!

Nella mia vita “nomade” alla ricerca di me stesso, ho fatto di-verse esperienze simili, quali i venti giorni di camminata nel de-serto, il raggiungimento del campo base Everest e l’Anapurna. Ma non so se per l’elemento a me non così congeniale (anche se ci lavoro ogni giorno) o se per una maturità diversa, devo dire che mi ha segnato!

Forse, se devo rappresentare questa sensazione, posso rias-sumerla nell’essermi sentito piccolo, ma molto piccolo. Penso che ogni tanto prendere coscienza di questo non possa fare che bene.

Sotto l’aspetto della condivisione di un micro-spazio, nel bel mezzo di questa forza imponente della natura, devo dire che l’aria che si respirava a bordo era così pulita da non renderla difficile, ma da fonderci e scoprirci in modo sano. Quindi, mi sento di dire di avere dei nuovi amici e trovo questo un altro elemento di riflessione.

ritorniamo al mio rientro. Ho passato quasi tutto il mio tempo tra una nuova birra, che sto mettendo a punto, e i campi di orzo e i filari di luppolo per vedere com’è l’annata, che nella nostra zona è stata molto arida, ma “grazie a Dio” (citazione dedicata all’ami-co Odifreddi) ho una parte di colture in Basilicata, dove invece l’orzo è stupendo.

Sono nato in una famiglia contadina, tra il profumo del fieno, l’oro del raccolto dei cereali, le giornate passate nei filari e mio padre che, a 87 anni, segue ancora le sue vigne, una vite dopo l’altra, ogni giorno come un monaco zen!

I tempi cambiano ma penso che sia fondamentale non dimen-ticarsi della terra!

più terra, meno facebookdi teo musso

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Dopo questo preambolo, passiamo alle 7 mosse, discusse e con-divise già durante il viaggio. Mi sento di appoggiarle, direi appie-no, e soprattutto sotto l’aspetto rimarcato della possibile velocità di attuazione con figure giuste al posto giusto. Velocità che oggi fa ormai parte del nostro tempo e del nostro “fare impresa”.

Vorrei portarvi solo a fare una delle tante considerazioni che mi passano nella testa e che non vuole essere nient’altro che una riflessione.

Pur essendo un analogico, non disapprovo anzi, penso che il futu-ro sia tracciato dall’informatica e credo nell’enorme potenzialità di questo strumento, entrato in modo forte nella nostra vita.

Nella mia vita ho creato locali, fatto bevande, organizzato con-certi, spettacoli, mostre, ho fatto una scuola di musica per far co-noscere il vero linguaggio internazionale. Tutte queste cose con un solo pensiero, quello di dare la possibilità di socializzare e di vivere momenti di condivisione e di confronto.

La mia paura spero infondata è quella di scoprire tutti davanti a uno schermo disegnando il proprio “profilo sognato”, a condivi-dere e instaurare rapporti virtuali.

conclusione

E se mettessimo nelle scuole superiori l’obbligo di fare l’orto per un anno, confrontandosi su chi fa crescere meglio un pomo-doro o una patata e vedere sotto un aspetto diverso la possibilità di abbronzarsi con il sole dell’estate? Non pensate che questo possa far riflettere sulla distinzione tra vero e virtuale?

Vorrei, in chiusura, aprire una riflessione anche sul femminile. Appoggio totalmente il punto aggiunto in merito e credo che nel nostro sistema la distinzione debba fondarsi sui valori e non sul sesso.

Un abbraccio grande e grazie per avermi fatto vivere questo momento. Il sentirmi così piccolo mi ha reso più forte.

Viva l’Italia!

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Quando il mio amico Oscar mi propose di partecipare a quest’av-ventura, circa tre mesi fa, subito aderii con grande entusiasmo. Ero spinto dal desiderio di riscoprire i valori fondamentali del vivere umano e, da velista, mi affascinava l’idea di attraversare l’oceano.

Questo era uno dei sogni della mia vita e, in realtà, avevo colto maggiormente il lato avventuriero di questa impresa.

Mi sono imbarcato a Genova su questa meravigliosa “barca dei pensieri”. Ora, dopo aver percorso 3.300 miglia per quasi un mese di navigazione, dopo avere cambiato per tre volte i compa-gni di viaggio e dopo numerose riunioni sulle 7 mosse, mi rendo conto che l’essenza del nostro viaggio è stata proprio nella stesura di questo documento.

Alla sua formazione hanno partecipato con grande impegno tante persone: donne e uomini di grande ingegno, che ho avuto la fortuna di conoscere meglio e apprezzare.

Tutti noi, guidati da Soldini e sotto la regia di Oscar – che ha dedicato a questa impresa tutta la sua capacità e il suo impegno – e accompagnati da acqua e vento, costretti a condividere spazi esegui in un ambiente estremamente informale tra una manovra a vela, un bucato, e il lavaggio dei piatti a fine pasto, siamo giunti a mettere ordine tra i pensieri e a formulare le nostre osservazioni su un documento firmato dal nostro comandante.

In questo mio commento vorrei limitarmi ad alcuni punti sui quali ritengo di poter dare un modesto contributo di libero citta-dino e imprenditore, non impegnato politicamente, ma certo non di sinistra.

Dando per scontato che il nostro Paese sia in declino e che ci sia bisogno di una svolta, condivido pienamente che un vero cambiamento non potrà avvenire in mancanza di una profonda riforma della politica.

Proprio la prima delle 7 mosse (meno politici più politica), per quanto utopica possa apparire, ritengo sia la colonna portante di

meno "status quo", più cambiamentidi paolo nocivelli

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questo cambiamento. La sottoscrivo al cento per cento, in parti-colare ai punti 10, 11, 12, 15, relativamente a un sistema elettorale che consenta al cittadino, e non alle segreterie dei partiti, di sce-gliere; all’abolizione delle posizioni “a vita” dei politici e all’equi-parazione del sistema pensionistico dei politici a quello di noi comuni mortali. Tutto per far sì che il politico sia una missione e non un mestiere altamente privilegiato.

Infine, circa i referendum, rendere più importante e vincolante il parere degli elettori. L’esito di un referendum deve obbligatoria-mente trasformarsi in legge entro una breve scadenza temporale. Troppe volte in passato abbiamo visto la classe politica ignorare gli esiti dei referendum popolari.

Il secondo punto che intendo sottoscrivere (seconda mossa), sia pure non integralmente, è quello relativo alle entrate dello Stato.

Concordo pienamente sulla lotta all’evasione. è essenziale che le tasse vengano pagate da tutti ed è altresì essenziale una riforma che non penalizzi il fare rispetto all’avere. Sono pertanto d’accor-do nell’equiparare la tassazione sulle attività finanziarie a quel-la sulle attività produttive. A proposito di queste ultime, ritengo opportuno eliminare l’irap (l’imposta regionale sulle attività pro-duttive) una tassa che, calcolata sul costo del lavoro, grava sulle imprese indipendentemente dal risultato economico, rendendo ancora più penalizzante il fare impresa in Italia.

Il tema delle tasse è di estrema delicatezza nel nostro Paese. Purtroppo, l’alto indebitamento dello Stato non consente gran-di spazi di manovra, ma tre interventi sostanziali sono possibili: la lotta all’evasione, l’equiparazione delle aliquote per le rendite delle attività finanziarie a quelle per le attività produttive e la rein-troduzione parziale dell’ici potrebbero rendere disponibili risorse per migliorare sensibilmente il bilancio dello Stato.

Anche sul tema delle vocazioni del nostro Paese sono sostan-zialmente d’accordo: turismo, design e moda, agroalimentare e cultura sono settori sui quali si può e si deve fare molto di più. A tal proposito ritengo indispensabile una maggiore salvaguardia del territorio, meno cementificazione selvaggia, più valorizzazio-ne delle bellezze naturali del “bel paese”.

Per quanto riguarda l’industria, credo che ancora grandi spazi ci siano, ma sono necessarie meno incombenze normative e fiscali, più vera flessibilità del lavoro.

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Infine, la mossa relativa all’ambiente e alla produzione di ener-gia. Concordo con la proposta di abbandonare il nucleare: trop-pi soldi e troppo tempo prima di arrivare all’effettiva produzio-ne di energia. Puntiamo tutto su energie rinnovabili e risparmio energetico.

Il risparmio energetico va perseguito con determinazione, fa-vorendo inizialmente prodotti con consumi inferiori, fino ad ar-rivare alla messa al bando di tutti i prodotti che consumano di più (e ciò sia per gli apparecchi domestici che consumano energia elettrica o gas, sia per gli automezzi che consumano idrocarburi).

Lo stesso vale per le abitazioni: rendere obbligatorio, in caso di nuove costruzioni o ristrutturazioni, prima con incentivi e poi con sanzioni, l’adeguamento agli standard richiesti dalla classe a o b; più installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda, più pompe di calore con efficienze elevate, con il duplice obiettivo di ridurre le emissioni in ambiente e produrre calore con energia rinnovabile; meno consumi di idrocarburi, gas meta-no nel caso specifico.

Dal lato della produzione di energia, concordo con le proposte della sesta mossa, integrandola con incentivi e finanziamenti af-finché vengano installati obbligatoriamente, con le dovute ecce-zioni, impianti fotovoltaici su tutti i tetti dei nuovi capannoni in costruzione. Più fotovoltaico sui tetti dei capannoni e meno foto-voltaico a terra, ma specialmente più eolico, idrico, geotermico e nuove tecnologie, meno idrocarburi e nucleare.

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è stato un piacere aver condiviso una tappa del progetto delle 7 mosse e un onore aver dato un piccolo contributo a una grande idea. Il documento finale, elaborato in una serie di discussioni so-spinte dal vento e dal mare, rispecchia in larghissima parte ciò che penso anch’io. Non tanto perché vi sono confluite le mie idee o le mie proposte, ma perché spesso ve le ho trovate già enunciate da altri; a dimostrazione del fatto che Farinetti ha riunito una “ciur-ma”, come ci chiamava generosamente Soldini, tanto variegata nella composizione sociale quanto omogenea nella disposizione intellettuale.

Se mi permetto di aggiungere un paio di considerazioni al do-cumento finale, è per il motivo già espresso da Farinetti nel suo prologo: l’unanimità è sempre difficile da ottenere, eccetto nei casi in cui è superflua. La mia prima obiezione è di natura nu-merica: intitolare 7 mosse un documento che ne presenta nove, non può che sollevare le ferme rimostranze di un matematico! Naturalmente, Farinetti conosce perfettamente la differenza tra sette e nove, se no non sarebbe l’imprenditore di successo che è. E in fondo, si tratta solo di un’espressione metaforica, come dire che si partecipa a una tavola rotonda, quando in realtà si è seduti a un tavolo rettangolare.

Ma visto che di metafore si tratta, io la prenderei come un invito a sottolineare, con più vigore di quanto non si sia fatto nel docu-mento, la necessità di potenziare la cultura scientifica nel nostro Paese. Anche la recente riforma scolastica del ministro Gelmini penalizza questa cultura, continuando ad esempio a proporre e sponsorizzare un liceo scientifico con “più latino, meno scienze”, mentre avremmo bisogno esattamente del contrario: più scienza, meno umanesimo. E non perché l’umanesimo sia anacronistico e da buttare, ma semplicemente perché l’attenzione che esso riceve nel-le scuole e da parte dei media è completamente sproporzionata ri-spetto a quella che viene prestata alla scienza, che pure costituisce il fondamento della nostra civiltà tecnologica.

modeste proposte sulle 7 mossedi piergiorgio odifreddi

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Una particolare incarnazione dell’umanesimo antiscientista è ovviamente la religione. Il motto precedente andrebbe dunque specificato, nel caso particolare, in più scienza, meno religione. Inutile dire che trovo assolutamente insufficiente la mossa meno Chiesa, più Gesù; così come troverei assolutamente insufficiente una mos-sa “meno magia, più Harry Potter”. Nel mondo tecnologico non abbiamo bisogno di maghetti o di profeti, e l’unica cittadinanza che possiamo loro riconoscere è quella letteraria: leggiamo pure le loro avventure nei romanzi o nei Vangeli, ma ricordiamoci che sono opere di letteratura, e non di architettura sociale.

Capisco naturalmente le buone intenzioni della settima mossa, ma preferirei che la laicità dello Stato venisse affermata in ma-niera più drastica: libertà di religione per gli individui, in cambio di libertà dalla religione per lo Stato. In particolare, abolizione dell’articolo 7 (guarda caso) della Costituzione. Abolizione dell’8 per mille. Abolizione dei privilegi fiscali per le opere religiose. Abolizione dei finanziamenti statali per le attività gestite da reli-giosi. Abolizione delle trasmissioni di propaganda o di agiografia religiosa nella tv pubblica. Abolizione dell’ora di religione nelle scuole. Eccetera.

Poiché la Chiesa e il Vaticano posseggono un quinto del patri-monio immobiliare italiano, e ricevono finanziamenti dallo Stato per miliardi di euro l’anno, questa mossa avrebbe utili ricadute sul nostro bilancio. Ma ancora maggiori ricadute si avrebbero da una più generalizzata abolizione dei privilegi fiscali a coloro che oggi ne usufruiscono. In questo campo, credo che la mossa meno spre-chi, più responsabilità si sia anch’essa mantenuta molto al di sotto delle necessità.

Non possiamo infatti dimenticare che, per quanto riguarda i redditi dichiarati dalle persone fisiche nel 1993, i dipendenti pesa-vano il 56,2 per cento, i pensionati il 19,7, gli imprenditori il 13,2 e i professionisti il 7,6. Quindici anni dopo, nel 2007 (anno dei dati più recenti), il peso complessivo delle prime due categorie è ulteriormente aumentato: i dipendenti pesano il 51,8 per cento, i pensionati il 26,8, mentre gli imprenditori sono scesi al 5 per cento e i professionisti al 4,2.

Per quanto riguarda i redditi lordi medi, i lavoratori autonomi dichiarano 37.124 euro, e le altre tre categorie redditi medi prati-camente uguali fra loro: i dipendenti 19.335 euro, gli imprenditori

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18.968 e i pensionati 13.448. Quanto ai redditi medi dichiarati per categorie professionali autonome, a fronte di una media naziona-le di 18.900 euro, pari al reddito di un insegnante di scuola, par-rucchieri e barbieri dichiarano solo 10.400 euro, i tassisti 13.600, i meccanici 15.400, i gioiellieri e gli orologiai 15.800, i dentisti 45,100, gli avvocati 49.100, eccetera.

Un’evasione così sistematica e persistente è, ed è stata, possi-bile solo con la compiacenza e la connivenza dello Stato, che ha indebitamente vessato i ceti deboli e produttivi e sistematicamen-te privilegiato quelli forti e speculativi. è probabile che noi non siamo le persone adatte a fare le proposte radicali, drastiche, e magari anche cruente, che sono necessarie per riequilibrare il fi-sco, con l’obiettivo di far pagare le tasse in maniera direttamente proporzionale al reddito, invece che inversamente proporzionale come ora.

Noi, fortunati partecipanti all’avventura delle 7 mosse, siamo infatti tutti, chi (molto) più e chi (molto) meno, appartenenti al ceto privilegiato: in particolare, dunque, siamo noi i beneficiari dei privilegi. Ma, pur con gli inevitabili paraocchi che ci derivano dalla nostra condizione, dobbiamo e possiamo comprendere e accettare che la costruzione di un’Italia più giusta e sana passi an-che, se non soprattutto, attraverso l’abolizione di questi privilegi. La perdita di alcuni dei nostri interessi personali sarà ampiamente compensata dal guadagno degli interessi collettivi, e credo (anzi, so) che tutti siamo pronti a fare la nostra parte.

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Ho aderito al progetto di 7 mosse per due motivi. Il primo è l’amo-re per la vela e l’invito ricevuto da Giovanni Soldini. Il secondo è la lettura del documento di Oscar Farinetti che ho trovato ruvido, concreto, diretto, scritto con trasporto. Giovanni e Oscar sono due uomini trasportati: come dire di no? Con Oscar e gli altri compagni di viaggio tra Genova e New York, in particolar modo con il terzo e con il quarto equipaggio, ci siamo confrontati e ab-biamo discusso. Quanto al principio ispiratore del documento, lo condivido integralmente. Stessa cosa per molti dei punti specifici, in larga parte.

Trovo che manchi, tuttavia, una seria critica al consumismo, a questo sistema economico, e l’esigenza di una pesante, decisa re-sponsabilizzazione dell’individuo. Nulla cambia senza che il sin-golo uomo, la singola donna, si muovano:

1. la cultura marxista e cattolica ci hanno sempre portato a “parte-cipare”. Che fosse alla messa o alle manifestazioni di piazza, siamo sempre stati invitati, incalzati, a far parte del gregge, che fosse di fedeli o di lavoratori poco importa. La conseguenza di questo è che disprezziamo, generalmente, l’azione individuale. La consideriamo ovvia, utile solo quando fa parte di un disegno collettivo, quando assume le forme classiche del consenso. Nessuno o quasi, da noi, pensa che la società è un insieme di individui. Nessuno sente di dover fare lui per primo quel che è opportuno per cambiare. Con la conseguenza che, infatti, nulla cambia da troppo tempo;

2. occorre recuperare il concetto di responsabilità individuale. Ogni individuo è l’elemento eversivo su cui può poggiare ogni rivolta, ogni processo di cambiamento. Il cambiamento di un individuo che sia poi in grado di testimoniare la sua differenza, è quel che il sistema del potere teme maggiormente. è questo il primo passo, il tassello fon-damentale e decisivo del processo di modifica dello stato attuale del-le cose. La realtà appare immutabile proprio perché chi la dovrebbe cambiare resta eternamente in attesa di qualcosa che venga dall’alto (che sia la Provvidenza o la rivoluzione), che mai si verificherà;

meno manifestazioni, più azioni (individuali)di simone perotti

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3. il primo cambiamento è dunque quello dell’individuo. Nes-suno di noi oggi, da troppo tempo, dedica una parte sufficiente della sua giornata all’auto-analisi, alla comprensione di quanta di-stanza ci sia tra le sue parole e i suoi fatti, di quanto margine di lavoro ci sia per tentare, quotidianamente, di avvicinarsi all’idea che ha di se stesso, cioè alla propria autenticità. Nessuno si sente malato se non ha una passione, se non ha un sogno a cui lavora-re. Tutti si lamentano, sono pronti a sputare su quel che vedono, sulla società, senza accorgersi che, spesso, loro sono peggio della società; o ne hanno almeno fattezze, sembianze, comportamenti. Perfino la nostra pessima politica, in questi decenni, non è stata peggiore del Paese; anzi, lo ha egregiamente rappresentato;

4. qualunque individuo che voglia partecipare al processo col-lettivo del cambiamento deve prima cambiare lui, agendo su di sé, comportandosi secondo le regole del mondo che vorrebbe e mettendole in pratica, pagando il prezzo della propria differenza, essendo pronto a dire dei no, uscendo dalle logiche più perverse di questo sistema fondato sul consumo, sullo spreco, sulla distruzio-ne dell’ambiente, sull’abbattimento delle relazioni, del tempo del-la vita. Un individuo che non intraprenda questo lungo percorso perde perfino la prerogativa e il diritto alla lamentela;

5. abbiamo tutti bisogno di occuparci della nostra vita per di-ventare più saldi psicologicamente, meno coercibili dalla pubbli-cità e dai sistemi occulti di persuasione commerciale, più capa-ci di senso critico originale, individuale, avendo dunque diritto a un’opinione ed essendo finalmente in grado di elaborare un nostro personale progetto di emancipazione dalla schiavitù dei simboli economici e dal lavoro come fine. Abbiamo tutti il dovere di perseguire una nostra, propria direzione “ostinata e contraria” per disarmare strumenti e uomini dediti alla nostra omologazio-ne, al nostro controllo. Per farlo dobbiamo essere capaci di ab-bassare la soglia dei bisogni, innalzando semmai quella dei desi-deri. Uomini con pochi bisogni tendono a una maggiore libertà, e sono capaci di dire no con maggior coraggio. Non sono ricattabili dal sistema economico e finanziario, dunque da quello politico e del consenso;

6. in questo modo sarà possibile rifiutare il consumismo, la vera piaga del sistema capitalista, dedicarci a quel che è meglio per noi, vivere in altri luoghi da quelli imposti, frequentando le perso-

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ne che desideriamo incontrare, ripopolando campagne e borghi dove le case costano 350 euro a metro quadro, lavorando quanto serve per i denari di cui abbiamo realmente bisogno, dicendo sì alla nostra vita in modo originale e autentico. Con questa nuova solidità e la libertà che consegue alle nostre scelte, vivendo già oggi in modo diverso, più simile a come vorremmo il mondo, possiamo partecipare testimoniando, cioè dimostrando che esi-stono altre vite, altre scale di valori, la cui applicazione non è né utopistica né folle, solo difficile e lunga. Un buon motivo per iniziare il prima possibile.

Quel che ho molte volte affermato sui media, nei miei libri e sulla barca, non ha dunque nulla a che vedere con l’individuali-smo o il rifiuto di una prospettiva politico-filosofica sociale. Al contrario. Tuttavia, non può esistere prospettiva politica senza individui che la pensino, la sentano, la vivano, la incarnino, la te-stimonino, la rappresentino, se ne facciano emblemi. è avvenuto per oltre sessant’anni, e il risultato è sotto i nostri occhi.

Il vero individualismo da cui dobbiamo fuggire come la peste nera è l’ipocrisia di andare alle manifestazioni a urlare il nostro dissenso e poi tornare a casa e vivere come prima, facendo da spalla al sistema, sostenendolo con il nostro consumismo, il no-stro spreco, la nostra superficialità, il nostro asservimento alle logiche del profitto smodato. Il vero individualismo è quello di pensare a un mondo migliore e, al tempo stesso, metterne in pra-tica uno peggiore. Le persone non devono essere solo una massa orientabile. Se si vuole fare qualcosa di concreto per il cambia-mento occorre sollecitarle individualmente, chiamarle alla loro responsabilità.

Il nostro Paese è povero, e si è illuso di essere ricco. Noi italiani siamo deboli, e ci immaginiamo forti. Siamo schiavi che ripetono uno schema prefissato assai più di quanto non siamo innovatori che cerchino una soluzione originale. è urgente, se non smettere di manifestare, urlare, lamentarsi, almeno associare a questi stru-menti il lavoro, l’azione, individuale e concreta, che cambi la nostra vita da subito. Ognuno dentro di sé, poi sulla propria pelle, dun-que nel suo perimetro. Per ogni perimetro che cambia, la geografia del Paese cambia. Per ogni uomo che cambia il mondo cambia.

Occorre lavorare nelle famiglie, nella scuola, nel mondo delle associazioni, sui luoghi di lavoro, nella politica, e parlare di re-

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sponsabilità individuale. Occorre proseguire la rivolta già iniziata, quella delle migliaia di persone che si sono tirate fuori, che hanno detto no, che già oggi vivono in modo diverso, senza paura dei rischi della disomologazione, col coraggio della creatività. Vite diverse, ognuno la sua, ma tutte non più a sostegno di questo sistema. Si può e si deve decrescere, consumare meno, sprecare meno, essere più liberi. è possibile.

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meno parole...di francesco rubino

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2511. Sono già trascorsi 98 anni dalla terza guerra planetaria per gli ogm e 132 da quella per la realtà virtuale. I vincitori di quest’ul-tima si erano alleati con i vincitori della prima; i quali, in seguito, assunsero il controllo dell’alimentazione mondiale, possedendo la produzione sia terrestre che lunare dei prodotti agroalimentari. L’acqua era storia passata, gli uomini impiegarono 75 anni, dal 2196 al 2271 per spartirsi i cinque grandi centri di raccolta. La rete dei condotti che teneva in comunicazione i bacini d’acqua, di fatto segnava anche i confini dei cinque grandi distretti in cui era stato ripartito il mondo.

Il denaro non esisteva più, la moneta di scambio erano dei vc (virtual credits), con i quali ci facevi le stesse cose che cinquecento anni prima facevi con l’euro, con la differenza che te li potevi anche “stampare”, cioè avevi la possibilità di procurarti “denaro” fatto in casa. Andavi nella tua virtual room e grazie ai “program-mi” ricevuti come salario, decidevi se stampare crediti per acqui-stare beni di consumo o fotterti il cervello di realtà virtuale. I pro-grammi non si esaurivano, quindi continuavano a produrre crediti all’infinito. Con questo sistema erano state eliminate la fame, la delinquenza e la malattia; in quanto, avendo a disposizione tutto ciò che serviva, non si avevano più necessità primarie da soddisfa-re, se non una: quella di voler il più possibile rimanere all’interno della propria camera virtuale.

I salari erano retribuiti in base all’iq e all’applicazione che ne fa-cevi, determinando quindi programmi con caratteristiche diverse che davano accesso a livelli di realtà virtuale, che andavano da un minimo di uno a un massimo di dieci e determinavano, di fatto, i dieci livelli di fascia sociale

In quasi 100 anni i “Signori degli ogm”, grazie all’alleanza con i “Signori del Virtual”, erano riusciti, attraverso continui program-mi di convincimento, a portare l’umanità a cibarsi e a poter sce-gliere tra cinque soli piatti, cinque cibi che riunificavano e, allo stesso tempo, dividevano il mondo in cinque gusti.

meno cervello, più panciadi davide scabin

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rimanevi la maggior parte del tempo chiuso nella tua camera virtuale, senza mai la necessità di uscire se non per cibarti, ma cibo significava ormai scegliere tra quei cinque piatti, dei pasti unici, delle sbobbe monocromatiche, che ormai si stavano stabi-lizzando anche come distribuzione. Cioè, se vivevi nel distretto del Mediterraneo, difficilmente avresti mangiato il cibo che ve-niva distribuito nel distretto delle due Americhe: non ne avevi interesse, curiosità, necessità, provenivi da dieci generazioni che si erano cibate dello stesso “gusto” e che ormai erano divenute popolazioni stanziali.

Verso il 2400 i cuochi andavano misteriosamente scomparendo, si diceva che venissero deportati su di un’isola per essere elimi-nati in quanto rappresentavano un ostacolo per l’espansione della World Food Company, la multinazionale che controllava tutti gli ogm e che iniziava a diffondere i cinque Absolute Food. Di fatto era vero che venivano deportati; però non per essere eliminati, ma piuttosto convinti a cucinare per i Signori, in cambio di privi-legi che neanche i possessori di “programma10” avevano.

Vivevano con i Signori in isole paradiso coltivate a prodotti na-turali e metodi biodinamici da contadini anch’essi deportati de-cenni prima. Quasi nessuno faceva uso del virtuale e pochi ave-vano il permesso d’uscita dalle isole, che erano tenute nascoste al resto del mondo.

C’era un cuoco, particolarmente creativo, che era riuscito ad avere, tramite sue conoscenze non del tutto raccomandabili, dei pomodori ogm provenienti dalla Luna, destinati alla preparazio-ne dell’Absolute Food per il Mediterraneo. Preparò una salsa di pomodoro e basilico che servì su dei fusilli fatti a mano ai suoi Signori; questi, oltre a non accorgersi che non aveva usato i po-modori del loro orto, furono così colpiti dal piatto che, per otte-nere dal cuoco l’impegno di continuare a preparare gli stessi fusilli una volta alla settimana, gli regalarono in cambio un viaggio fuori dall’isola.

Il cuoco aveva a questo punto due problemi: svelare la verità, oppure, in occasione del viaggio offertogli per i suoi fusilli, cer-care di scappare e diffondere nel mondo quel gusto della salsa di pomodoro fatta con gli ogm.

Dopo una settimana di notti insonni, decise, con la complicità di un suo amico contadino e pescatore, che sarebbero fuggiti in-

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sieme; lui con il suo libro di ricette di cucina e il contadino con poche manciate di semenze dei prodotti coltivati sull’isola.

Si dice che riuscirono a fuggire, trovarono un mercante e un navigatore, e con altre persone libere riuscirono, in 7 mosse, a far assaggiare a molti uomini quei fusilli al pomodoro grazie ai quali, in pochi decenni, l’umanità si risvegliò, capì di possedere un gusto e di poter scegliere il proprio bene.

3011, sono un cuoco che ringrazia tutti quelli che parteciparono a quelle 7 mosse, perché oggi posso cucinare per tutti un piatto di fusilli fatti a mano al pomodoro… e non sono ogm!

Il resto lo potrete leggere o vedere nella trilogia che seguirà, dal titolo… non lo so ancora.

Davide, cuoco in Rivoli

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«Come faccio a far capire a mia moglie che, mentre guardo fuo-ri dalla finestra, sto lavorando?», si chiedeva Joseph Conrad al principio del XX secolo. Oggi, al principio del XXI secolo, sono moltissimi, non soltanto i romanzieri, a “lavorare” quando guar-dano un film, un mostra, un programma televisivo, andando a un concerto, a un convegno, navigando in internet, affacciandosi alla nostra finestra sulla proteiforme esperienza metropolitana.

Alla fine del secolo che ci siamo lasciati alle spalle, infatti, si è verificata una discontinuità epocale con l’affermazione di un nuovo modello socio-economico, abitualmente definito “post-in-dustriale”, centrato non più sulla produzione di beni materiali ma di beni immateriali: informazioni, servizi, simboli, valori, estetica. Tra le più significative conseguenze di questa svolta, vi è il fatto che le attività culturali divengono il motore di un nuovo tipo di sviluppo, allineato alla longevità della popolazione, alla perdita di centralità del lavoro in favore del tempo libero, alla priorità di bisogni qualitativi, all’ibridazione delle tre dimensioni della vita attiva – lavoro per produrre ricchezza, studio per produrre co-noscenza e gioco per produrre benessere – alla maggiore pro-duttività economica delle prestazioni intellettuali rispetto a quelle materiali.

Nel mondo contemporaneo – e futuro – la ricchezza si produce e si produrrà o attorno agli avallamenti della manodopera a basso costo o attorno ai picchi del lavoro tecnologicamente, cogniti-vamente e culturalmente evoluto. Nei secondi non possiamo e non vogliamo essere ricacciati, verso i primi dobbiamo tendere e ascendere.

Questo quadro inizia, fortunatamente, a essere abbastanza chia-ro almeno a una parte politica (e ci auguriamo di cuore che lo diventi anche all’altra). Ma, probabilmente, sarà il quadro di riferi-mento di una nuova coscienza politica ancora da venire.

Ne discendono, in estrema sintesi, quattro principi teorici e quattro correlati concetti pratici:

la cultura a milano (e in italia?)di antonio scurati

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1. la cultura non è un costo economico ma una risorsa (concezio-ne del finanziamento alla cultura come investimento produttivo);

2. la cultura non è un orpello ma un grimaldello (concezione strategica della cultura e non estetizzante);

3. la cultura è un diritto di tutti e non un privilegio di pochi (concezione dell’iniziativa pubblica nel campo culturale in quanto attinente alla sfera pubblica e non alla sfera privata governata dal principio di proprietà);

4. la cultura non è un’attività antiquaria/obituaria ma viva e vi-vificante (concezione proattiva dell’iniziativa culturale, stando alla quale la salvaguardia del patrimonio culturale e la circolazione-trasmissione-consumo dei beni culturali non devono mai andar disgiunti dallo sforzo verso una nuova produzione culturale. Det-to in altri termini: si dà storia della cultura antica, medioevale e moderna ma la cultura è sempre e solo contemporanea a se stes-sa, anche e soprattutto quando si curva riconoscente e amorevole sul proprio passato).

Proprio in questi giorni, dopo decenni di mefitica bonaccia, soffia finalmente un vento nuovo. E soffia da Milano. Vorrei, perciò, circoscrivere un poco (ma non di tanto) l’orizzonte della mia breve riflessione sulle buone politiche culturali e sulla buona cultura politica, alla città in cui vivo, sviluppando quelle premesse in alcune proposte per Milano:

1. Milano capitale dell’editoria. Milano non ha e deve avere un grande evento culturale adeguato al suo rango di capitale dell’edi-toria italiana. Lo deve avere per iniziativa pubblica in collabora-zione strettissima con i grandi gruppi editoriali privati, e non limi-tandosi all’editoria del libro ma allargando il raggio al giornalismo quotidiano e periodico;

2. Milano capitale della moda, del design e della pubblicità. Non si può e non si deve dimenticare che grande parte della creatività di Milano è, nella tradizione della contemporaneità, legata a que-ste tre ambiti. Ma è necessario che realtà di straordinaria eccellen-za come, ad esempio, “Il salone del mobile”, sviluppino tutto il loro potenziale di eventi culturali non settoriali;

3. Milano capitale del finanziamento privato alla cultura. Molti dei principali, e dei più illuminati, finanziatori e promotori privati della cultura hanno sede a Milano, e da qui irradiano la loro azio-ne su tutto il Paese, e persino all’estero. rifuggendo da qualsiasi

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tentazione di dirigismo o di accentramento, questa risorsa deve essere ulteriormente valorizzata da un dialogo più fitto con le istituzioni pubbliche;

4. Milano capitale del “terzo settore culturale”. Esistono nella nostra città, talora poco visibili, una moltitudine di iniziative cul-turali che provengono “dal basso”, cioè da piccole organizzazioni che agiscono secondo le logiche culturali più evolute ma non con la priorità del profitto, e danno già oggi vita a manifestazioni di assoluto valore artistico. Vanno sostenute, messe in rete tra loro e con le prestigiose istituzioni culturali quali la Scala e il Piccolo, elevate alla razionalità di sistema, e, soprattutto, trasformate in occasioni di lavoro stabile e affidabile per chi le realizza;

5. Milano capitale della televisione (pubblica e privata). Si nota spesso, e giustamente, che andrebbe rilanciato il centro di produ-zione Rai di Milano. Lo si deve fare, a mio giudizio, con specifico riferimento alla programmazione culturale. Si dimentica, però, al-trettanto spesso, che Milano è la sede della principali televisioni private del nostro Paese. I loro dirigenti ricordano che si tratta di una risorsa dell’Italia intera e non solo di un gruppo imprendito-riale o, peggio, di una parte politica. è giusto. Il modo migliore per dimostrarlo, secondo me, è di pensare a Mediaset o La7 come grandi industrie culturali. Perché invece di limitarsi a rimprove-rare alla rai di non assolvere più alla sua funzione di servizio pubblico non cominciamo a pensare a un modo innovativo per sviluppare e valorizzare lo statuto di azienda privata di pubblico interesse caratteristico di Mediaset e il suo ruolo implicito di po-tente produttore di cultura socialmente condivisa?

Mi fermo qui. Non mi rimane che augurare a tutti i naviganti che questo nuovo vento, come si dice tra chi va per mare, sia un buon vento.

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Molti punti delle 7 mosse sono condivisibili. resto forse perplesso sull’effettiva possibilità che ci sia qualcuno nel nostro Paese che abbia veramente l’intenzione di impegnarsi per il bene comune, e che quel qualcuno sia anche in grado di conquistare il potere per farlo.

La mia speranza comunque è che questo documento e questo viaggio simbolico siano un primo passo per il risveglio della co-scienza comune.

è ora che la gente incominci a discutere e a partecipare alle scelte che bisognerà fare.

Rifletto spesso su cosa potrebbe pensare un extraterrestre im-mortale che osserva la Terra dall’alto della sua postazione. Pro-babilmente gli apparirebbe chiaro che, dopo migliaia di anni di storia, il nostro pianeta negli ultimi 100 anni ha subito una specie di malattia e che una cellula impazzita si sta mangiando ogni cosa, sta distruggendo gli equilibri e le risorse, senza altro criterio che continuare a mangiare e a distruggere sempre di più.

Penso veramente che viviamo in un momento difficile e che, se non saremo in grado di metterci d’accordo tutti per una gestione più equa e intelligente della Terra e delle sue risorse, i prossimi decenni saranno decenni drammatici.

Abbiamo vissuto per troppi anni con un modello di sviluppo schizofrenico che ha smesso di farci fare scelte giuste e buone per il futuro e che ci ha portato a scegliere sempre la strada più red-ditizia. Abbiamo sostituito la coscienza, la cultura, il buon senso con il profitto a breve termine. Siamo anche riusciti a esportare il nostro modello di sviluppo in tutto il mondo. Il dio denaro ha conquistato culture millenarie, che in molti casi avevano valori ben più saggi per la vita su questo pianeta.

Dobbiamo partire da noi stessi. Noi singoli, noi come gruppo, come appartenenti a una nazione come l’Italia, e poi noi come europei. Solo cambiando tutti insieme possiamo sperare di poter aggiustare il tiro di questa folle corsa.

meno profitto, più coscienzadi giovanni soldini

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Ho partecipato a questa avventura nella speranza che un viaggio simbolico e un documento del genere possano contribuire anche solo un pochino al risveglio delle coscienze e a fare in modo che le persone ricomincino a parlare e a occuparsi delle cose importanti.

Per quanto riguarda le 7 mosse so bene che molti penseranno che è un progetto utopico e molto difficile da attuare, ma so altret-tanto bene che se smettiamo di immaginare e perseguire cose che ci sembrano irraggiungibili non andiamo da nessuna parte. Siamo arrivati a un punto di svolta, dobbiamo incominciare a cambiare rotta se vogliamo lasciare un mondo vivibile ai nostri figli.

Mi dico sempre che una barca è un piccolo mondo e su una bar-ca in mezzo al mare ci si rende subito conto di quali sono le cose importanti per la sopravvivenza dell’equipaggio e per la buona riuscita del viaggio.

Come principale priorità metterei sicuramente la gestione intel-ligente delle risorse, prima di tutto quelle energetiche, poi quelle alimentari, l’acqua, il cibo. Il risparmio energetico costituisce sicu-ramente una grande opportunità. è lì che si può fare la differenza senza troppa fatica, creando anche una enorme occasione di svi-luppo. Le energie rinnovabili sono un’altra grande opportunità; in fondo, l’uomo sino a pochi decenni fa ha vissuto e si è sviluppato utilizzando solo quelle.

Dobbiamo semplicemente usare la nostra conoscenza per sfrut-tare al meglio ciò che la natura ci regala, il vento, il sole, l’acqua, la geotermia e tutto il resto.

Altro tema importantissimo sono le risorse alimentari: smettia-mola di pensare che siano infinite. Con la pesca intensiva abbiamo massacrato i nostri mari e, se non riusciremo a creare delle regole condivise da tutti e delle zone dove i pesci si possano riprodurre, finiremo con un pugno di mosche e i mari sempre più deserti.

Dobbiamo imparare a vivere dando il giusto valore alla natura, al nostro pianeta e alle sue ricchezze. Se non riusciremo a fare un sistema di regole condivise da tutti finiremo a fare guerre assurde per accaparrarci le ultime risorse.

Ma alla fine per fare qualsiasi cosa bisogna partire dalla coscien-za, dalla riforma della politica e dalla partecipazione impegnata dei cittadini che con il loro buonsenso, se bene informati, saranno in grado di scegliere la direzione giusta.

Il tema dell’informazione nelle nostre democrazie moderne è

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sicuramente centrale, se la gente è male informata o addirittura ingannata dall’informazione ufficiale come fa a fare scelte pon-derate?

Un esempio per tutti: in questi anni abbiamo fatto guerre ter-ribili sulla base di informazioni false e i popoli delle più grandi democrazie del mondo sono stati ingannati.

Condivido in pieno il concetto della centralità della scuola pub-blica e laica e di un uso molto diverso della televisione, che deve smettere di essere la musa che ci spinge a consumi inutili e che promuove disvalori e modelli negativi. Deve invece diventare il contrario: la paladina dei valori veri e dei modelli positivi. Serve una grande rivoluzione culturale.

Una mia grande amica mi ha detto, tempo fa, che Napoli è come un deserto in cui ci sono due tribù: una ha l’acqua e vuole la pace, l’altra vuole l’acqua. Be’, io credo che tutto il mondo sia un po’ come quelle due tribù.

Quelli con l’acqua siamo sicuramente noi, gli occidentali. Ab-biamo tutto da perdere e solo la strada dell’equità, della giustizia e della condivisione potrà garantirci un futuro in cui sia possibile vivere senza scannarsi, l’uno contro l’altro.

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Ho aderito all’iniziativa di Oscar Farinetti e Giovanni Soldini – che desidero ringraziare per la splendida esperienza vissuta – per due ragioni principali. Da un lato c’è la sfida affascinante con il mare: il mare come “mezzo” di conoscenza del mondo, non solo paesaggio, ma – come lo celebrava Baudelaire – come specchio dell’anima, riflesso dei turbamenti e dei conflitti dell’individuo e quindi luogo di ricerca dell’altro e dell’altrove. Inoltre, mi è sem-brato un passo in termini di impegno civile, per dar voce ad un malessere diffuso, che troppo spesso ritrovo anche nel mio lavoro, quando mi scontro con le sovrastrutture e le lentezze dell’appara-to burocratico che governa il Paese, da cui si staglia l’immagine di uno scenario asfittico, immobile.

Questo quadro impone un cambiamento, ma soprattutto si av-verte la necessità di fare qualcosa per riportare l’eccellenza italia-na al centro delle scene internazionali, per far emergere la cre-atività, la bellezza e l’ingegno che ci contraddistinguono e che, paradossalmente, il mondo ancora ci riconosce perché la nostra identità è comunque migliore della nostra immagine. Il turismo, come condiviso in viaggio, è certamente uno dei settori da cui si può partire per il rilancio del Paese, non solo perché è una risorsa “a portata di mano” (e questo spesso ha significato più un limite che un’opportunità, perché non ha spronato all’azione, al fare), ma soprattutto perché è una straordinaria risorsa occupazionale; quindi consente di costruire, guarda al futuro.

Affinché queste potenzialità si facciano realtà occorre però par-tire da una completa riforma della governance, che significa meno burocrazia ma più responsabilità, meno sprechi, ma più semplifi-cazione. Vuol dire rendere l’Italia un Paese che attrae investimen-ti, in cui le imprese, italiane e internazionali, scommettono perché trovano buone condizioni, economiche, sociali e professionali.

Il turismo è una materia complessa, di difficile gestione, per la molteplicità dei soggetti coinvolti nelle azioni: è un settore, per sua stessa natura, interdisciplinare; quindi dovrebbe interagire

meno pigrizia, più fantasiadi daniel winteler

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la parola ai naviganti

con tutte le politiche del Paese, dai trasporti alle infrastrutture, dall’istruzione ai beni culturali. Il turismo è input e output di tutto il sistema, per questo dovrebbe integrarsi con le altre politiche italiane, sviluppando una prospettiva coerente ed coordinata.

Troppo spesso si pensa al turismo solo in un’ottica di prodotti (il volo, il pernottamento in albergo ecc.) dimenticando che il tu-rismo vuol dire principalmente servizio, dialogo, incontro tra le persone ed è per questo fondamentale formare dei professionisti capaci di sviluppare la cultura dell’accoglienza, in grado di rico-noscere le esigenze di chi viaggia e fornire le risposte adeguate, andando incontro alle aspettative e ai desideri di un viaggiatore. Perché il viaggio – che sia un weekend o il giro del mondo – è fondamentalmente sogno, ricerca, conoscenza ed è in questa di-rezione che bisogna ragionare quando si parla di offerta turistica. La parola chiave è esperienza, si parla addirittura di “economia dell’esperienza”, perché ciò che ciascun individuo sceglie è pro-prio l’idea di vivere un’esperienza, unica, irripetibile, emotivamen-te appagante. Abbiamo dibattuto a lungo con i miei compagni di viaggio su quanto una certa tipologia di vacanza rischi di essere un prodotto di massa, che toglie spazio alla fantasia. Credo sia vero solo in parte, nel senso che occorre anche mettere in evidenza qual è stata la conseguenza più evidente della standardizzazione di certi servizi, di aver cioè consentito a fasce sempre più ampie di individui, anche a chi ha budget contenuti, di confrontarsi con il mondo; quindi, hanno attivato un certo processo di democra-tizzazione dell’esperienza di viaggio.

La pratica del viaggiare dovrebbe quasi essere un diritto/dove-re di tutti, perché è una straordinaria occasione di arricchimen-to personale e culturale, di abbattimento dei pregiudizi, perché il viaggio – parafrasando Alain De Botton – è come una “levatrice del pensiero”. Con la stessa logica si deve sradicare anche un altro luogo comune, che difficilmente si torna nello stesso posto per-ché lo si conosce già: ebbene, il vero salto di qualità lo si fa pro-prio puntando sulle esperienze differenti che ogni destinazione può realizzare. Forse 20 anni fa si visitavano roma e Parigi per il loro patrimonio artistico e culturale; magari oggi, conoscendo già ciò che di “classico” offrono, le si continua a scegliere attratti da qualcosa di assolutamente soggettivo: una mostra d’arte, un tor-neo di tennis, un presidio enogastronomico, un concerto. Motiva-

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zioni che difficilmente un viaggiatore avrebbe citato anni fa, ma che oggi sono assolutamente valide e attuali. La vera riflessione oggi, parlando di viaggi, non è tanto il dove ma il perché, come la stessa teoria di Marc Augè sui “non luoghi” ci insegna: “Il futuro del turismo è dove la gente possa riconoscersi”.

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7 mosse l’italiariassumendo

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meno critica, più autocritica (prologo)

Siamo in declino, non v’è dubbio. Non è il caso di essere terroriz-zati, ma preoccupati sì.

Se devo cercare di capire come sia potuto accadere, mi viene in mente innanzitutto una cosa che ci insegna la Storia: si va in de-clino quando le posizioni chiave di governo e di amministrazione delle comunità vengono assunte prevalentemente da persone me-diocri, mentre si cresce quando a dirigere vanno prevalentemente i galantuomini. Per mediocri intendo quelli che, di fronte a una decisione importante, si pongono innanzitutto la domanda: «Che figura farò io?». Il galantuomo ovviamente fa il contrario, pensa subito al bene pubblico.

Basta questo a spiegare tutto? No, c’è dell’altro. E lo descrive-rei così: i primi colpevoli siamo noi, la gente d’Italia. Sembriamo intontiti. Non ci sono più reazioni, emozioni. Critichiamo, prote-stiamo, questo sì. Ma non proponiamo, non approfondiamo. Ce lo meritiamo, questo declino, se non ci diamo una mossa.

Sette, ho pensato. 7 mosse per sbloccare l’Italia. E ne è nata que-sta avventura: l’idea di dedicare un piccolo pezzo della mia vita a pensare delle soluzioni, più possibile veloci ed efficaci, ai problemi principali del nostro Paese. In fondo è un gesto egoista, la voglia che ho di godermela ancora un po’ e di vedere se faccio in tempo a vivere la rinascita del mio Paese. Prendetela così: un cittadino ita-liano che non fa né farà la politica (un mercante) accompagnato e guidato da un navigatore con cui condivide lo stile della leggerezza costruttiva, rifocillato nella pancia e nella mente da un manipolo di amici, donne e uomini che nella vita hanno dimostrato di finire ciò che incominciano, vi offre la propria soluzione.

Una soluzione, non polemiche: rimedi e non solo critiche. Un gesto che non ha niente a che vedere con la destra o la sinistra, ma che nasce semplicemente da ciò che ho imparato osservando il nostro Paese, con attenzione e passione; un gesto che mi sembra

riassumendo

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egoista e altruista nello stesso tempo, dettato com’è dal desiderio di vivere (io, noi, tutti) in un Paese migliore.

Ho già in mente le obiezioni, tutte (o quasi) legittime. Lo so, le 7 mosse potrebbero essere più esaustive, più dettagliate, più equili-brate. D’accordo, sono d’accordo con voi. L’unica obiezione che proprio non condivido è quella che dice: «Impossibile, troppo complicato, utopistico». A forza di dire che tutto e complesso, difficile e che occorre tanto tempo, il nostro Paese si è ridotto nel-lo stato che sappiamo. E poi molto spesso la visione del difficile, del “serve più tempo”, nasconde la mancanza di voglia di lavorare o la strategia di mantenere il potere senza sbattersi per risolvere, arti che purtroppo si sono diffuse invece con grande rapidità e semplicità in Italia. Utopia? Ma non è vero! Smettiamola con que-sta storia dell’utopia. Senza sogni non si va da nessuna parte!

meno politici, più politica

Non combiniamo niente se non riduciamo e cambiamo una parte della classe politica. Troppe persone fanno politica e vivono di essa in Italia. Intendiamo per classe politica non solo gli eletti, ma tutti coloro che di mestiere assumono decisioni pubbliche, anche se non vengono retribuite direttamente dallo Stato. Sono troppi, godono di retribuzioni a volte troppo elevate, e detengono trop-pi privilegi. Questo sistema fa sì che molti, troppi opportunisti si mettano in politica. Persone mediocri, impreparate, egoiste, anche spregiudicate. Bisogna tornare invece a un’idea di politica come servizio, come impegno civile: cittadini capaci che offrono al proprio Paese, per un tempo definito e senza interessi privati, il proprio tempo, la propria competenza e la propria buona vo-lontà. Che fare:

1. tutto a metà. Numero dei politici, stipendi, privilegi. Tutto ridotto a metà;

2. immunità parlamentare, pensioni di parlamentari e consiglie-ri regionali, province, comunità montane, circoscrizioni, camere di commercio: tutto messo in discussione, e, nel caso, abolito o ridimenzionato;

3. ridurre a metà anche le rappresentanze sindacali;4. trovare un sistema elettorale che consenta ai cittadini di sce-

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gliere direttamente i propri rappresentanti;5. favorire il ricambio con una legge che fissi a 15 anni il tetto

massimo della durata dell’impegno politico.

meno sprechi, più responsabilità

Lo Stato italiano ha entrate per circa 700 miliardi e uscite per 780. Quindi occorre fare come farebbe una famiglia, incassare di più o spendere meno, o meglio ancora fare entrambe le cose. Incomin-ciamo dalle entrate, cioè dalle tasse.

In Italia si evade molto per 3 motivi. Primo, chi evade è con-siderato un furbetto anzichè un furfante. Secondo, le aliquote sono elevate e sperequate. Terzo, non esiste una politica che favorisca chi investe. Bisogna lavorare su questi 3 fattori demo-tivanti. Che fare:

1. i punti 2 e 3 si risolvono con opportune correzioni tecniche che si possono rendere operative in tempi brevi. Si otterrebbe un risultato importantissimo: sfumare l’immagine del fisco come nemico ingiusto, e ricollocarla dove deve stare, uno strumento della convivenza civile, equilibrato e amico. Questo aiuterebbe ad affrontare il primo punto, quello davvero difficile, cambiare la testa agli italiani. Una rivoluzione culturale che implica un tempo lungo. Ma se non si inizia, non si finirà mai. Quindi è l’ora di iniziare. Per quanto possa sembrare ridicolo bisogna insegnare a scuola il valore della correttezza nei confronti dello Stato, e la fierezza dell’onestà di fronte al fisco. Per quanto possa sembrare grottesco, bisogna riraccontare, con tutti i mezzi, la semplice ve-rità che chi evade è un delinquente. E per quanto possa sembrare impopolare, bisogna punire chi delinque e farlo in modo veloce, trasparente e memorabile. Se state pensando alle manette state sottovalutando la vostra fantasia.

Poi si tratta di spendere meno. La riforma della politica propo-sta nell prima mossa già porterebbe a casa un significativo rispar-mio. Ma non basta;

2. eliminazione drastica di tutti gli enti inutili e ridimensiona-mento delle spese di quelli utili;

3. abbiamo circa 4 milioni di dipendenti statali. In alcuni settori è possibile effettuare tagli consistenti;

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4. mettiamo un tetto massimo alle pensioni. La pensione deve assicurare la dignità di vita, non la continuazione all’arricchimen-to. Questa mossa farà risparmiare un sacco di soldi da spalma-re sulle pensioni minime. Occorre ripensare il meccanismo dei versamenti previdenziali, su retribuzioni elevate, di cui una parte importante dovrà essere destinata allo Stato sociale.

meno bombe, più diplomazia

Sempre a proposito di sprechi. Abbiamo un esercito dispendioso, continuiamo ad acquistare armi, navi, elicotteri e aerei per miliardi di euro e siamo impegnati in diverse missioni militari molto costose non solo in termini monetari ma anche, e molto più tristemente, in termini di vite umane. Siamo in Europa, ma non abbiamo ancora instaurato sinergie in campo militare. Poiché ormai è provato che nessuna guerra è giusta e che con le guerre non si esporta la demo-crazia, dovremmo pensare a come smettere di farle, le guerre. An-che alla luce del fatto che le guerre moderne uccidono soprattutto i civili. Dunque, meno esercito e più diplomazia. Che fare:

1. riduzione delle spese militari del 60% con la sostanziale ri-nuncia a tutte le attività militari se non la difesa del nostro terri-torio e l’ordine interno;

2. affidiamo eventuali interventi militari esterni ad un esercito europeo (da crearsi);

3. riforma della diplomazia con potenziamento delle attività di-plomatiche delle nostre ambasciate verso i seguenti obiettivi: la pace nel mondo, le attività umanitarie e l’esaltazione della qualità dei nostri beni e servizi esportabili o godibili per chi ci visita.

meno invocazioni, più vocazioni Con le prime 3 mosse abbiamo messo da parte un bel po’ di quat-trini e creato un bel po’ di nuovi disoccupati. Ora dobbiamo pen-sare dove investire per creare posti di lavoro e favorire i consumi. La mossa da fare è concentrarsi sulle nostre vocazioni. Facciamo quello che sappiamo fare e facciamolo bene.

Sono sei gli ambiti in cui in Italia possiamo fare e spesso fac-

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ciamo meglio degli altri: turismo, agroalimentare, cultura e beni cuturali, design e moda, industria manifatturiera di precisione, logistica. è su questi settori che dobbiamo investire soldi, com-petenza e lavoro. Che fare: affidare ciascuno dei sei settori a una persona di grande competenza che abbia dimostrato di saperci fare, di accettare e vincere le sfide. Queste persone si possono trovate facilmente nel settore privato, ne abbiamo in abbondanza, anche giovani. Ciascuno di loro, dopo un mese di analisi, sarà in grado di definire un programma preciso con le mosse e i tempi per raggiungere l’obiettivo sul quale sarà misurato. Queste perso-ne non devono occuparsi di politica partitica. Molte mosse sono già prefigurabili adesso:

1. un unico piano globale, che fissi obbiettivi strategici comuni, dando gli strumenti legislativi e finanziari per raggiungerli. Un unico portale Italia Wellcoming che armonizzi l’offerta globale. Una strategia di comunicazione che promuova con grande efficacia ed energia, nel mondo, l’immagine dell’Italia. Inserimento delle gio-vani leve, più motivate e vicine alla sensibilità contemporanea;

2. censire le eccellenze di ogni regione italiana. Per quanto ri-guarda l’agricoltura, eliminare l’assistenzialsimo e favorire nei contadini un nuovo spirito di impresa. Creare un marchio 100% italiano. Semplificare le leggi di controllo sull’agroalimentare. In-serire l’educazione alimentare come materia primaria nelle scuole elemantari e medie;

3. nvestire nella scuola; deve diventare una delle nostre eccellen-ze, specializzandosi sulle nostre vocazioni. Investire nella cultura e nella creatività italiana. Basta contributi, basta assistenzialismo demagogico e di scambio. Bisogna restituire spirito di impresa e dignità alla cultura e all’arte italiana. Occorre coinvolgere i capitali privati i quali, oltreché per spirito sociale disinteressato, devono anche essere favoriti con una speciale detassazione dei contributi verso la cultura e le attività di servizio pubblico;

4. per la sua particolare posizione al centro del Mediterraneo, l’Italia può essere favorita nel traffico delle merci da tutto il mon-do verso l’Europa e dall’Europa verso il mondo. Partendo da ciò che già esiste occorre creare 4 grandi porti altamente specializ-zati e di una efficienza senza pari. Inoltre sarà necessario creare, partendo da ciò che già esiste, una rete ferroviaria espressamente dedicata che trasferisca rapidamente e a costi concorrenziali que-

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riassumendo

ste merci nel cuore dell’Europa, da dove altre merci possano rag-giungere l’Italia per essere imbarcate verso il mondo. Insomma, varare un progetto “Italia porto d’Europa” e convogliare su di esso il grosso dei nostri investimenti relativi alle infrastrutture.

meno liti, più accoglienza

Dove si parla di giustizia e di immigrazione.Iniziamo dalla giustizia. I cittadini hanno bisogno di una giusti-

zia razionale, rapida, prevedibile, omogenea sul territorio. Oggi non è così. La crisi del sistema-giustizia è, secondo tutti gli osser-vatori specializzati (anche internazionali), una crisi di tempi assai più che di qualità e di contenuti. Il dibattito politico si appunta sulla asserita necessità di un riequilibrio tra politica e giustizia. Non è questo di cui hanno bisogno i cittadini che entrano ogni giorno nei tribunali o che non ci vanno perché sfiduciati. Occor-re cambiare radicalmente registro e lanciare la sfida di un anno della giustizia, finalizzato a darle effettività. In un anno non si “riscrivono i codici” e neppure le molte leggi organiche che pure lo richiederebbero. Ma in un mese si può stendere il progetto e poi un anno è sufficiente per avviare un percorso virtuoso di cambiamento per raggiungere alcuni significativi risultati. Sempre che vi siano volontà politica e un progetto di interventi legislativi e amministrativi. Che fare:

1. riduzione di due terzi dei tribunali e delle procure con costi-tuzione di nuovi uffici dotati di organici non inferiori, rispettiva-mente, a 20 giudici e 8 sostituti;

2. taglio delle spese inutili e recupero delle risorse disponibili;3. copertura degli organici dei magistrati e del personale ammi-

nistrativo (attualmente manca il 10% dei magistrati necessari e la situazione è anche più critica nel settore amministrativo)

4. definizione di standard organizzativi razionali (un esempio su tutti: è necessario un uso generalizzato e appropriato delle tecno-logie informatiche);

5. affiancamento al giudice di un ufficio per il processo (un aiuto per tutte quelle attività materiali che non rientrano nelle sue funzioni giusridizionali in senso proprio);

6. riduzione dell’area dell’intervento penale;

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7. previsione di soluzioni alternative al contenzioso civile;8. l’attesa di anni per la definizione di controversie in cui è in

gioco la tutela o il ripristino del posto di lavoro è uno degli scan-dali del sistema. Occorre sveltire i tempi con una regolamentazio-ne ad hoc per le procedure che riguardano la giustiza del lavoro;

9. il 25% delle condanne di primo grado vengono impugnate. Occorre trovare un sistema che snellisca, senza svuotarlo, il giu-dizio di secondo grado;

10. introduzione del processo civile telematico.Secondo punto, l’immigrazione. Sul problema dell’immigrazio-

ne è difficile avere una posizione secca. è uno di quei temi dove il dubbio è più sano delle certezze. L’unica cosa certa è che arriverà un sacco di gente e dovremo accoglierla. Nessuna politica prote-zionistica potrà fermare l’impulso irrefrenabile a cercare speranze di vita migliore e d’altra parte bisogna comprendere che il lavoro degli immigrati giocherà un ruolo fondamentale nella crescita e nel benessere del nostro Paese. Forse conviene incominciare a parlare di interazione anziché integrazione. La sana convivenza implica altruismo e reciproca comprensione volta al reciproco miglioramento (stare su questa barca in oceano con gente diversa e non ben conosciuta insegna). Che fare:

1. solidarietà, sempre e comunque. Dunque tutta l’accoglienza possibile per chi scappa dalla miseria, dalla guerra, dalla violenza;

2. creiamo una Scuola di Accoglienza obbligatoria per chi chiede permessi di soggiorno in Italia. Lo scopo è quello di insegnare a rispettare le nostre leggi. Accogliamo, sempre, ma anche chiedia-mo di conoscere e accettare le regole del nostro Paese;

3. impariamo a conoscerli. A scuola, da subito. Sapere chi sono e da dove vengono ci aiuterà a non temerli;

4. diciamo loro chi siamo veramente. Il modello di vita che trasmettiamo attraverso i nostri canali televisivi è dorato, spes-so finto e fortemente attrattivo per chi ha difficoltà addirittura a guadagnarsi da mangiare. Cerchiamo di comunicare un quadro della situazione più realistico, per non promettere paradisi che non potremo mantenere;

5. serve un piano europeo. Prendiamo noi l’iniziativa e portia-mo l’Europa a maturare una strategia coerente e condivisa.

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meno io, più noi

Qui si parla di energia. A partire da una convinzione: una poli-tica energetica virtuosa deve portare ogni cittadino a diventare responsabile e competente. Basta energia passiva che non sai da dove arriva nè quanto costa (sia in termini monetari sia di inqui-namento e pericolosità). Il futuro prossimo, molto prossimo, sta nella creazione di energia da fonti naturali, sia attraverso centrali comuni, sia – e soprattutto – attraverso impianti individuali, di cui la famiglia e l’azienda, divenuti produttori/utilizzatori di energia, conoscano il funzionamento, le potenzialità, le possibilità di mi-gliorie. Siamo inoltre nettamente contrari all’energia nucleare. Po-tremmo qui elencare una lunga serie di motivazioni tecniche e di opportunità Ci limitiamo ad affermare che è arrivato il momento di smetterla di dedicare tempo e risorse a progetti che, come tutti ben sappiamo, non si potranno mai realizzare. Il sole, il vento e l’acqua possono fornirci via via l’energia necessaria a sostituire quella proveniente da fonti fossili di cui non conosciamo bene le disponibilità residue, mentre tristemente conosciamo le caratteri-stiche di inquinamento e pericolosità. Che fare:

1. l’Italia è, tra i Paesi europei, una di quelle ad avere le abitazio-ni più colabrodo dal punto di vista energetico. Abbiamo quindi ampi margini di miglioramento. Occorre soltanto convincere gli italiani a prendere sul serio la faccenda. Quindi sgravi fiscali, in-centivi economici e campagne mediatiche per sensibilizzare l’opi-nione pubblica. Tutto ciò ha un prezzo? Usiamo i soldi che non spenderemo per il nucleare;

2. puntare sull’eolico, oltre che sul fotovoltaico e sull’idrico, uti-lizzando al massimo i nostri architetti paesaggisti e designer per trovare nuove soluzioni estetiche a minor impatto;

3. abbiamo grandi menti in Italia, altre cerchiamole nel mondo, mettiamole insieme e creiamo il più innovativo istituto di ricerca sulle energie naturali rinnovabili del mondo;

4. sui trasporti occorre rafforzare pesantemente la ferrovie. Portiamo le merci il più possibile con i treni, che possono es-sere alimentati con elettricità e creano economie di scala utili ad abbattere i costi. Per i lunghi tragitti dal Nord verso il Sud Italia debbono essere rafforzati i trasporti marittimi;

5. i rifiuti urbani restano una spina nel fianco per alcune regioni

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italiane. La strada intrapresa verso la raccolta differenziata e i termo-valorizzatori è quella giusta. I nodi da affrontare sono quello della sensibilizzazione dei singoli (scuola, scuola e poi ancora scuola), la buona volontà, la competenza, la determinazione e il coraggio dei politici, la fermezza nel contrastare la criminalità organizzata.

meno leggi, più coscienza meno chiesa, più gesù

Siamo diventati un Paese complicato, lento, pieno zeppo di buro-crazia. In ogni campo occorre realizzare un progetto di semplifi-cazione delle leggi e una razionalizzazione degli istituti delegati a controllarne l’attuazione.

Un Paese più agile, dove muoversi sia più facile, è quello che vogliamo. Che fare: abbiamo bisogno di affidarci a degli sburocrati, persone che se ne intendono, che conoscono bene il loro settore e che in un mese di lavoro serrato possono compiere l’analisi ne-cessaria e svolgere la costruzione progettuale. Sarà poi compito dei politici scelti dal popolo riunire i diversi progetti in una rifor-ma completa della burocrazia. Si potrebbe anche proporre che, in certi settori, per ogni nuova norma se ne abroghino almeno due.

Infine, quello che vogliamo è un Pese più laico. L’Italia deve poter operare in totale indipendenza, essere uno Stato laico e to-talmente immune dalle visioni di tipo religioso. D’altra parte i valori base della cristianità come la bontà, la generosità, il rispetto del prossimo, il perdono, l’onestà, la fedeltà, debbono diventare base anche della sana politica. Che fare:

1. abrogare il privilegio riservato alla Chiesa cattolica relativo all’esenzione dall’ici e alle tasse sulla compravendita di immobili;

2. i finanziamenti e contributi a istituti cattolici per l’educazione e la sanità debbono essere trattati con lo stesso criterio e richieste di standard degli istituti privati di tipo laico;

3. l’ora di religione deve essere sostituita con Religioni, usi e costu-mi dei popoli;

4. per quanto riguarda l’8 per mille deve essere rispettata la volon-tà del contribuente. Alle Chiese devono essere versati solo ed esclu-sivamente gli ammontari delle dichiarazioni con la volontà espressa. In assenza di ciò i quattrini restano entrate pure dello Stato.

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riassumendo

meno maschile, più femminile (epilogo)

Insomma, ciò che serve è: velocità, incominciare e finire bene le cose nel minor tempo possibile; scuola, è centrale per ognuno dei cambiamenti che proponiamo; moderazione, abbinata alla determi-nazione ci porterà lontano; dubbi, il sano dubbio che fa ascoltare e migliorare; impegno, è un senso che le donne hanno più sviluppato dei maschi; utopie, deriva da “eu-topos” e vuol dire luogo bellisi-mo. Fidatevi. Infine leggerezza: quella musica interiore che ci aiuta a stare meglio in compagnia.

Oscar Farinetti

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ringraziamenti

Questo viaggio non sarebbe stato possibile – e non sarebbe stato ciò che è stato – senza l’impegno e l’aiuto di molte persone.

Il primo grazie va ai nostri main sponsor, com’è consuetudine chiamarli, ma che per noi sono anche e soprattutto amici: Fon-tanafredda, Mirafiore, Borgogno e Consorzio Tutela Grana Pa-dano. Grazie anche ai marchi Kappa, Robe di Kappa e K-Way, che ci hanno vestiti nel migliore dei modi, e a Lumberjack, che ci ha calzati. Senza Canon, infine, non ci sarebbero stati filmati e fotografie: cioè memoria.

Grazie ai nostri media partner, Ansa e Sgs Tracking, che hanno permesso di tenere tutti costantemente aggiornati su dove erava-mo e su che cosa stavamo facendo. E grazie alla Mortara rangoni Europe: fortunatamente il defibrillatore che ci avevano offerto in dotazione non è servito.

Grazie a Luca Ghielmetti per averci regalato la bellissima can-zone Antes que muda el mar, colonna sonora della nostra traversata; a Francesco rubino, autore di tutte le illustrazioni contenute in questo volume, copertina compresa; ai fotografi Isabella Balena, autrice dell’immagine della barca di 7 mosse, e Giovanni Gastel, autore della foto di Matteo Marzotto.

Un grazie speciale alle migliaia di italiani (96.428 utenti unici) che ci hanno seguiti attraverso il sito www.7mosse.it, spronando-ci, sostenendoci e ispirandoci: senza di loro questo progetto non avrebbe avuto senso. Ma il grazie più grande va a tutti coloro che hanno lavorato dietro le quinte e ai quali, troppo spesso, dimen-tichiamo di dire: grazie.

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7 mosse l’italia…

un navigatore e un mercante, aiutati da 5 velisti, accompagnati da 3 grandi chef e da 15 compagni di viaggio – gente di pensiero e di azione che si è alternata di tappa in tappa – si sono confrontati

sulle 7 mosse da attuare subito per migliorare il nostro paese. nessuna di queste persone fa politica attiva, né desidera farla. nessuno di loro è pregiudizialmente di destra o di sinistra, lontani anni luce da beghe partitiche: mai “contro”, sempre “per”.

… alla ricerca del marino

è il vento che arriva dal mare. i cibi di grande qualità e tradizione nascono dall’incontro tra venti. l’italia è particolarmente fortunata in questo senso, essendo una penisola stretta e lunga al centro del mediterraneo. qui il vento marino che nasce negli oceani, filtrato da gibilterra e da suez, diventa brezza e si posa sulle nostre specialità, incontrando l’aria fresca delle colline e delle montagne. in questo modo le rende uniche.