Io cambio l'Italia

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Un progetto politico è fatto di tanti “io” che si uniscono, intrecciano le loro coscienze, condividono desideri e sogni. Non c’è progetto vincente che non parta da interiore a un’individuale, quasi interiore, assunzione di responsabilità.

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Io cambio l’Italia Venerdì 22 luglio 2011 – Auditorium Conciliazione, Roma

Un progetto politico è fatto di tanti “io” che si uniscono, intrecciano le loro coscienze, condividono desideri e sogni. Non c’è progetto vincente che non parta da interiore a un’individuale, quasi interiore, assunzione di responsabilità. E noi oggi siamo qui per chiedere questo a tutti gli italiani. Guardate dentro la vostra coscienza e decidete se non è arrivato il momento di rovesciare il tavolo della politica italiana, di travolgere i vecchi schemi, regole, mentalità. Si dice che gli italiani, un po’ indolenti, si muovano solo in ”zona Cesarini”, quando il pericolo è ormai alle porte. Ma il fatto è che siamo già ai tempi supplementari. Siamo oltre la soglia del rischio. L’Euro vacilla. La nostra crescita è vicina allo zero. La povertà aumenta. Il futuro dei giovani è ipotecato. La politica è sempre più sequestrata dalle oligarchie. E l’etica pubblica è stata assassinata da un’orgia di vizi privati esibiti senza alcuna vergogna.

Ma che paese stiamo consegnando ai nostri figli? La nostra sta diventando una terra per vecchi egoisti (per altro in lite tra loro) non più in grado di assicurare ai figli, per la prima volta nella nostra storia, quel passo avanti di benessere che i nostri i nostri padri hanno garantito a noi. Questo film ha un solo titolo: il declino di una grande nazione. Che cos’altro deve succedere per far capire a Berlusconi che deve fare un passo indietro, lasci la scena? La casa brucia. E ogni giorno che passa scherzando con il fuoco è una ferita mortale inferta al futuro. Ecco perché facciamo appello ad una rivoluzione delle coscienze. Anche quando indichiamo il traguardo di un governo di unità nazionale, non parliamo solo di una formula politica, ma di una svolta nel clima della nazione.

Come al tempo nel quale l’Italia non c’era ancora, se non nella fede degli italiani; e tutti coloro che 150 anni fa, sognavano con Manzoni «non fia mai che quest’onda scorra più tra due rive straniere, non fia loco ove sorgan barriere tra l’Italia e l’Italia mai più», seppero unire le loro coscienze, dal Nord al Sud, per regalarci un solo Stato. All’avanguardia c’erano i giovani lombardi, veneti, piemontesi. Non pensavano alla Padania: pensavano all’Italia! Oppure come al tempo nel quale gli italiani, devastati dalla guerra nazifascista, sotto la guida di De Gasperi e di Einaudi, seppero darsi l’un l’altro la mano per sgombrare le macerie e ricostruire. Diventando, in un solo decennio, da ladri di biciclette, una delle prime economie del mondo.

Oggi, in circostanze certo assai diverse, siamo di nuovo di fronte a uno di quei valichi della Storia che chiamano in causa il destino dell’Italia. E torna allora anche il tempo di richiamarsi ai valori di fondo della nostra patria. Responsabilità, onestà, spirito di servizio, solidarietà: devono spodestare la velenosa egemonia della furbizia e del cinismo che ha imperato negli ultimi anni. Tutta la classe dirigente, e ogni singolo cittadino, devono tornare a sentirsi parte di una stessa squadra. In una parola: dobbiamo re-innamorarci dell’Italia. E non è difficile, perché l’Italia è molto bella. Perciò oggi, oltre che ai nostri leader (grazie per il vostro coraggio, il coraggio di rischiare, di andar controcorrente in nome delle proprie idee... coraggio insolito di questi tempi), abbiamo scelto di dar voce non ad altri dirigenti politici, ma a testimoni dell’Italia che crede ancora in se stessa. Appunto, l’unione di tanti singoli ”io”. E voglio ringraziare tutti coloro che hanno accettato di stare oggi con noi. Grazie di cuore.

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Ma permettetemi di salutare anche i dirigenti dei nostri partiti. Non parleranno ma sono il cuore della nostra alleanza. Per noi “partito” non è una parolaccia. Non può esserci democrazia senza partiti. Al contrario, sono i non-partiti padronali o plebiscitari che stanno distruggendo l’Italia. Cito per tutti: Cesa per l’Udc. Bocchino per Fli. Lanzillotta per Api, Reina per l’Mpa. E tutti i parlamentari. E li ringrazio anche per avermi dato il privilegio di aprire i nostri lavori. Abbiamo preparato insieme per la prima volta questo evento, E, come si diceva una volta, ce n’est qu’un début. Non è che l’inizio. Abbiamo imparato a conoscerci, a intraprendere un lavoro di squadra che vale per il futuro ma anche per la politica italiana. Ma soprattutto vorrei ringraziare voi, che siete venuti da ogni parte del Paese. Non avete simboli di partito, ma solo il tricolore. Vedete, in questi anni tutti vanno alla ricerca di nuovi colori, per mascherare la vecchiezza dei loro vessilli. E allora: azzurro, arancione, viola. E chi più ne ha più ne metta. Ebbene, noi non abbiamo bisogno di inventare nulla: il nostro colore è il tricolore. Il verde, il bianco e il rosso. Antico, ma sempre nuovo. Perché siamo l’unico vero polo della nazione.

Il Terzo Polo è dunque in campo. Ed è in crescita, come avete visto anche da un sondaggio pubblicato oggi (ieri per chi legge, ndr) dal «Corriere della Sera». Il fatto è che nessuna delle coalizioni bipolari è in grado da sola di risolvere la crisi. Perciò una nuova storia politica di unità e responsabilità nazionale, è l’unica chance, ripetutamente evocata dal presidente Napolitano per affrontare, con il grande consenso necessario, i drammatici passaggi che ci attendono. Il senso dello Stato delle opposizioni ha permesso di accelerare la manovra e replicare tempestivamente alla speculazione finanziaria. Ma non si può certo continuare così, con l’arte di arrangiarsi. La manovra non ci piace: colpisce il cuore della vita italiana, le famiglie, il loro potere d’acquisto. Ma al di là dell’iniquità sociale, la nostra critica è ancora più di fondo. Gli italiani sono disposti a fare sacrifici: ma bisogna dar loro in cambio un nuovo progetto-Paese. Bisogna spiegare in che modo, stringendo la cinghia oggi, il domani sarà migliore. Questo governo, invece, non ha progetto. Non indica mete. Taglia e mette tasse senza alcuna visione del futuro. Il rigore di bilancio è un obbligo vitale. Ma se esso non sposa la necessità, altrettanto vitale, di riforme per la crescita, i tagli non serviranno a niente. Di soli tagli e tasse un Paese può anche morire. Le cose da fare sono chiare a tutti. In una parola? «L’agenda Draghi». Le proposte avanzate nella sua ultima relazione a Bankitalia, sono la stella polare per unire rigore e riforme. È un’agenda che si può, anzi si deve mettere subito in campo unendo tutte le forze politiche per salvare il Paese e avendo l’occhio ben puntato sul sud perché pasti puntare sul sud. Ma qui l’onere della prova sta alla maggioranza.

Caro Bossi e caro Alfano: non è forse evidente anche a voi che così l’Italia non ce la fa? Mostrate allora, finalmente uno scatto di amor patrio: invece di suicidarvi, con una dose di veleno giornaliera, nella lenta agonia della vostra maggioranza, proponete voi un nuovo governo di unità, con un nuovo leader affidabile per l’Europa. Ma se il cuore non vi regge, andiamo a votare: perché l’Italia non può più perdere altro tempo. Non vedete che ogni giorno che passa cresce il rancore verso l’attuale miseria della politica? Volete morire nello scontro casta-anticasta? Accomodatevi. Noi non vi seguiremo. Noi siamo tra quelli stravaganti che se chiedono sacrifici sono i primi a farli. Sia chiaro: noi siamo un baluardo contro l’antipolitica. Ma contro tutta l’antipolitica. Perché ce n’è due. Quella di Piazza, irritante e qualunquista, del vecchio Di Pietro e del nuovo Belpietro. Al quale consiglierei, orbitando nella stessa area culturale di Fede, di andarci piano con il termine “papponi”. Ma c’è anche l’antipolitica di

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Palazzo, quella degli affaristi che, a destra o a sinistra, hanno invaso governo, partiti e Parlamento. E ai quali è ora di dire: fuori i mercanti dal tempio! C’è tanta gente in Italia che crede nella politica, nella buona politica, e che non è disposta a confonderla con un concorso per vincere una jaguar più una escort.

Presidente Berlusconi e Fabrizio Cicchetto, nei giorni scorsi ci avete rimproverato, ma una cosa è l’immunità parlamentare come la vollero i padri costituenti, altra cosa è impunità come la volete voi. Non sono la stessa cosa. La verità è che la Seconda Repubblica, nata con l’antipolitica, sta morendo di antipolitica. Perché non è stata in grado di corrispondere ad alcuna delle aspettative che aveva evocato. Diciamo la verità: molti di noi hanno creduto che il bipolarismo ci portasse a Parigi, a Londra, a Berlino, a Filadelfia. Ci ha invece condotto a Beirut, in una sorta di balcanizzazione delle istituzioni che ha corroso la dignità della nazione e dello Stato. Il bipolarismo doveva essere la modernità: è invece diventato la forma politica di una nuova guerra ideologica tra gli italiani. Una sorta di remake della guerra fredda: solo con il linguaggio e lo stile del Bagaglino. Coalizioni muscolari, costruite per vincere ma non per governare, hanno sfibrato la Repubblica, ingabbiandola dentro opposti populismi. Perciò siamo di nuovo caduti dentro una grave crisi di sistema. Ma c’è una differenza dagli anni Novanta, onorevole Berlusconi. Allora la politica non aveva predisposto alcun antidoto. Perciò la politica sparì. Travolta ad un tempo dai suoi errori e da quelli della magistratura. Stavolta, nella classe politica, c’è chi sta preparato l’antidoto. E l’antidoto si chiama Terzo Polo. Pensate cosa sarebbe oggi l’Italia senza di noi: la rotta degli eserciti bipolari non avrebbe sbocco. Le forze critiche della destra e della sinistra non avrebbero sponde di interlocuzione. Senza il Terzo Polo, il Capo dello Stato resterebbe isolato nei suoi appelli alla pacificazione e noi saremmo ancora pietrificati dentro questo bipolarismo militare. Anche nelle nostre fila circola una sottovalutazione del nostro ruolo.

Siamo l’unica alternativa alla crisi del sistema. Siamo l’unica leva per uscire dalla paralisi della Seconda Repubblica. L’unico soggetto nuovo che si candida a governare il paese. Perciò, se sappiamo che è difficile mettere insieme partiti e storie diverse, sappiamo anche che non possiamo permetterci di fallire, né di sottovalutare (come pure ogni tanto accade) il nostro ruolo. L’Italia sta cambiando e nulla potrà più rimanere come prima. Ma non tutti l’hanno capito. Alfano, ad esempio: pensa davvero che senza andare oltre il berlusconismo possa esserci un futuro per il Pdl? Il berlusconismo ha significato per molti italiani una speranza. Anche per molti di noi. Ma è folle non accorgersi che oggi quella speranza è ormai alle spalle, che stiamo affogando nel suo fallimento. La verità è una sola: senza discontinuità, Alfano non sarà l’erede di Berlusconi. Ne sarà solo il curatore fallimentare. La Costituente moderata, popolare, riformista che Alfano sogna è già da tempo in cammino. Essa si chiama Terzo Polo. È questa la nuova frontiera della politica italiana. Perché non si può più restare ruminando nei vecchi recinti. E sempre più amici, nel Pdl come nel Pd, guardano al nostro percorso. Perciò i quattro soggetti fondatori del Terzo Polo lanciano da qui un messaggio chiaro: a questi amici, ai movimenti e alle associazioni che sentono l’urgenza di un nuovo impegno. Il Terzo Polo sarà una Rete, ci daremo regole paritarie sul territorio come a livello nazionale. Vogliamo davvero unire il grande popolo dei moderati. Abbiamo un compito storico e non dobbiamo permettere che il germe della divisione che ha contagiato pd e pdl contagi anche noi. Uniti per candidarci alla guida del governo del paese.

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Perché se a destra Atene piange, a sinistra Sparta non ride. Il popolo del Pd è indispensabile per salvare l’Italia. E Bersani è persona seria e affidabile. Ma se quel partito insiste nell’immaginare coalizioni bipolari (e leggi elettorali) per accordarsi con le forze antagoniste, vuoi dire che anche lui ha chiuso gli occhi, che persevera nello stesso errore che ha portato al disastro del governo Prodi. No. Il riformismo non può allearsi con il massimalismo. Gli Ulivi, vecchi o nuovi che siano, non producono riforme e governo: ma solo paralisi. Ho visto che nel sondaggio pubblicato dal «Corriere della Sera» molti cittadini si chiedono quale sia veramente questa nostra via. Siamo pronti a ogni intesa ispirata all’interesse nazionale. Ma non faremo alcuna santa alleanza «di convenienza», né torneremo in vecchie case diroccate. Non vogliamo occupare un residuale spazio di interdizione. Vogliamo mandare a casa i responsabili del fallimento bipolare. E alle prossime elezioni chiederemo i voti perché il Terzo Polo possa ben presto diventare il primo!

Vogliamo ridare dignità alla politica. E vogliamo portare l’Italia oltre le barricate culturali del Novecento. Tra liberismo e assistenzialismo, scegliamo il merito. Tra impunità e giustizialismo scegliamo la legalità. Tra l’affarismo e le ideologie scegliamo le idee. Noi siamo diversi, guardiamo a una società diversa da quella di oggi. Vogliamo uscire dalla volgarità dominante e tornare a dare ai nostri giovani il consiglio che dava Albert Einstein. Non cercare di diventare un uomo di successo. Cerca di diventare un uomo di valore. Solo così l’Italia tornerà grande in un nuovo sentimento popolare di serietà e verità. Viva il Terzo Polo!