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L’internazionalizzazione del sistema industriale italiano Una sfida vincente delle PMI e dei Distretti Italiani I libri di CRANEC CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICA E SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE I libri di I libri di L’internazionalizzazione del sistema industriale italiano I libri di N ei suoi cinque anni di vita, Economy ha sempre riservato grande attenzione al Made in Italy. Uno dei risultati di questa costante vicinanza è stata la decisione – inedita nel panorama della stampa italiana - di dedicare al tema una se- zione in più pagine, intitolata proprio Made in Italy. Ogni settimana, Economy analizza in media quattro imprese (spes- so medio-piccole e quasi mai note al grande pubblico) che vengono scelte per le loro caratteristiche doti di eccellenza, oppure perché particolarmente proiettate sui mercati inter- nazionali. Lo studio contenuto in questo libro, che viene presentato in occasione del quinto anniversario di Economy, segue questa medesima filosofia e mostra che il Made in Italy è tutt’altro che «maturo», è tutt’altro che una realtà «in declino», come più volte hanno cercato di sostenere osservatori anche stranie- ri (e spesso interessati). La ricerca, che su proposta di Economy è stata realizzata dal CRANEC, il Centro ricerche in analisi economica, economia internazionale e sviluppo economico dell’Università Cattolica di Milano, dimostra al contrario come dal 2002 il Made in Italy si sia straordinariamente ristrutturato nei processi e nei prodotti per affrontare due nuove difficili sfide: l’euro forte e la competizione globale. L’esito di queste ristrutturazioni è stato a dir poco sorpren- dente: tra 2002 e 2005 le esportazioni italiane sono cresciu- te in media del 2,4% all’anno. Ma negli ultimi due anni il «boom» dell’export manifatturiero è stato clamoroso: è cre- sciuto del 9% nel 2006 e del 10% nel 2007. E alla base di questo successo il CRANEC pone il «teorema delle due I»: Internazionalizzazione e Innovazione. COPERTINA INTERNAZIONALIZZAZIONE DEF.indd 1 21-05-2008 13:37:51

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L’internazionalizzazione del sistema industriale

italiano Una sfi da vincente

delle PMI e dei Distretti Italiani

I libri di

CRANECCENTRO DI RICERCHE

IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO

INTERNAZIONALE

I libri di

Nei suoi cinque anni di vita, Economy ha sempre attribui-to grande importanza al Made in Italy. Uno dei risulta-

ti di questa specifi ca attenzione è stata la decisione – inedita nel panorama della stampa italiana - di dedicare al tema una sezione in più pagine, intitolata proprio «Made in Italy». Ogni settimana, Economy analizza in media quattro imprese (spesso medio-piccole e quasi mai note al grande pubblico) che vengono scelte per le loro caratteristiche doti di eccel-lenza, oppure perché particolarmente proiettate sui mercati internazionali.Lo studio contenuto in questo libro, che con un convegno «celebra» il quinto anniversario di Economy, segue questa me-desima fi losofi a e mostra che il Made in Italy è tutt’altro che «maturo» o una realtà «in declino», come più volte hanno cercato di sostenere osservatori anche stranieri (e spesso in-teressati). La ricerca, che su proposta di Economy è stata realizzata dal Cranec, il Centro ricerche in analisi economica, economia interna-zionale e sviluppo economico dell’Università Cattolica di Milano, dimostra al contrario come dal 2002 il Made in Italy si sia straordinariamente ristrutturato nei processi e nei prodotti per affrontare due nuove diffi cili sfi de: l’euro forte e la com-petizione globale. L’esito di queste ristrutturazioni è stato a dir poco sorpren-dente: tra 2002 e 2005 le esportazioni italiane sono cresciute in media del 2,4%. Ma negli ultimi due anni il «boom» del-l’export manifatturiero è stato clamoroso: è cresciuto del 9% nel 2006 e del 10% nel 2007. E alla base di questo successo il Cranec pone il «teorema delle due I»: Internazionalizzazione e Innovazione.

I libri diL’internazionalizzazione del sistem

a industriale italiano

I libri di

Nei suoi cinque anni di vita, Economy ha sempre riservato grande attenzione al Made in Italy. Uno dei risultati

di questa costante vicinanza è stata la decisione – inedita nel panorama della stampa italiana - di dedicare al tema una se-zione in più pagine, intitolata proprio Made in Italy. Ogni settimana, Economy analizza in media quattro imprese (spes-so medio-piccole e quasi mai note al grande pubblico) che vengono scelte per le loro caratteristiche doti di eccellenza, oppure perché particolarmente proiettate sui mercati inter-nazionali.Lo studio contenuto in questo libro, che viene presentato in occasione del quinto anniversario di Economy, segue questa medesima fi losofi a e mostra che il Made in Italy è tutt’altro che «maturo», è tutt’altro che una realtà «in declino», come più volte hanno cercato di sostenere osservatori anche stranie-ri (e spesso interessati). La ricerca, che su proposta di Economy è stata realizzata dal CRANEC, il Centro ricerche in analisi economica, economia internazionale e sviluppo economico dell’Università Cattolica di Milano, dimostra al contrario come dal 2002 il Made in Italy si sia straordinariamente ristrutturato nei processi e nei prodotti per affrontare due nuove diffi cili sfi de: l’euro forte e la competizione globale. L’esito di queste ristrutturazioni è stato a dir poco sorpren-dente: tra 2002 e 2005 le esportazioni italiane sono cresciu-te in media del 2,4% all’anno. Ma negli ultimi due anni il «boom» dell’export manifatturiero è stato clamoroso: è cre-sciuto del 9% nel 2006 e del 10% nel 2007. E alla base di questo successo il CRANEC pone il «teorema delle due I»: Internazionalizzazione e Innovazione.

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L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA INDUSTRIALE ITALIANO

UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

Rapporto del Centro di Ricerche in Analisi economica

e sviluppo economico internazionale (CRANEC) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

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Sommario

Prefazione 71. Introduzione 152. Il contesto internazionale ed il ciclo

dell’economia italiana 192.1. Il contesto internazionale 192.2. Il ciclo italiano ed il ruolo delle esportazioni 22

3. L’internazionalizzazione dei distretti industriali italiani 29

3.1. Il ruolo ed il peso dei distretti nell’industria italiana 293.1.1. Le principali caratteristiche

di un distretto industriale 293.1.2. Il peso dei distretti nell’industria italiana 31

3.2. Propensione, dinamica dell’export e mercati di sbocco 32

3.3. Gli investimenti diretti esteri 383.3.1. Gli Ide distrettuali 40

3.4. Altre forme di internazionalizzazione 443.5. Turbolenza e dispersione della redditività di impresa 453.6. La risposta dei distretti italiani 47

3.6.1. Il riposizionamento qualitativo delle esportazioni 483.6.2. Il riposizionamento geografico delle esportazioni 493.6.3. L’aumento della dimensione strategica

ed organizzativa delle imprese 503.6.4. La ri-specializzazione nella produzione

di beni intermedi e strumentali 533.6.5. Più capitale umano

ed attività innovativa formalizzata 554. Alcune osservazioni conclusive 57

Opere utilizzate e fonti statistiche citate 65Simest 69Cranec 73Assocamerestro 75

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PREFAZIONEUN SUCCESSO DELLE “2I”: INNOVAZIONE E INTERNAZIONALIZZAZIONE

di Alberto Quadrio Curzio1

Una tesi contro correnteIl Centro di Ricerche Cranec della Facoltà di Scienze Politi-

che della Università Cattolica ha accolto volentieri l’invito diEconomy e di SIMEST per elaborare una riflessione, che fossead un tempo documentata e leggibile, sulla dinamica dellainternazionalizzatone del sistema industriale italiano e delleesportazioni. Il tema risultava particolarmente adatto al Cra-nec in quanto tale Centro nel corso degli anni recenti, ancheper l’apporto di Marco Fortis e delle ricerche condotte dallaFondazione Edison con cui il centro stesso collabora, era anda-to contro corrente. La sua tesi è stata infatti che le produzionidel made in Italy, spesso qualificate da una informazione sbri-gativa come “mature”, non erano affatto “decotte” come moltisostenevano. Al contrario si sosteneva (Quadrio Curzio e For-tis, 2002, 2005 e 2006) che la manifattura italiana si andavaristrutturando dal punto di vista dei processi e stava innovan-do dal punto di vista dei prodotti per elevare la qualità deglistessi ed in tal modo per affrontare due nuove grandi sfide:quella dell’euro forte; quella della competizione asimmetricadella economia cinese.

Il “teorema delle 2i”.L’esito di queste ristrutturazioni-innovazioni è stato straordi-

nario. Dopo un periodo, quello compreso fra il 2002 e il 2005,

1 Professore di Economia Politica, Preside della Facoltà di Scienze Politiche e Direttore del Centro di Ricerche in Analisi Economica della Facoltà di Scienze Politiche della Università Cattolica di Milano.

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sbocco, di meglio presidiare quelli dove esse erano già presen-ti, di aumentare la loro dimensione, soprattutto quella orga-nizzativa. L’innovazione è stata sia nell’hardware sia nel soft-ware e l’internazionalizzazione è stata sia nei prodotti che neimercati.

Una ristrutturazione di imprese e di reti.Una delle caratteristiche di queste ristrutturazioni è stata

una nuova “gerarchizzazione” delle relazioni tra imprese all’in-terno dei distretti (tramite la commutazione dei rapportiinformali di lungo-periodo con nessi di natura proprietaria) edun aumento della concentrazione industriale senza però dan-neggiare la rete. È così emerso un core oligopolistico di medieimprese e di forme organizzative di impresa strutturate lungole diverse filiere produttive. Nel contempo, l’espulsione di sub-fornitori e di imprese finali non più competitive, ha contribui-to ad una selezione che concorre a dare una spiegazione ai pro-cessi di internazionalizzazione che hanno interessato il sistemaindustriale italiano a partire dal 2002.

La vicenda economica di questi anni ha dato, soprattutto amolti economisti, opinionisti e politici, anche una “lezione dicautela” che speriamo serva per il futuro e che può essere rias-sunta come segue: non si può interpretare le performance delsistema industriale italiano concentrando l’analisi soltantosulla dimensione delle singole imprese e sul fatto che la lorospecializzazione produttiva non sia classificabile come ad “altatecnologia” di prodotto.

Circa la “dimensione” bisogna rilevare che l’Italia è infattiportatrice di una sistema manifatturiero che rappresenta un“capitalismo” a se stante: quello delle reti, del capitale socialeche le connette e del capitale umano fatto di imprenditoriali-tà che genera innovazione evidente nella inventiva operativadelle imprese e degli imprenditori (Quadrio Curzio e Fortis,

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durante il quale il valore delle esportazioni (fob) italiane è cre-sciuto, in media, del 2,4%, negli ultimi due anni si è registratoun autentico boom dell’export manifatturiero cresciuto del 9%nel 2006 e del 10,1% nel 2007.

Sappiamo che gli anni tra il 2002 e il 2005 non sono statifacili per l’economia italiana e che negli stessi la politica eco-nomica ha avuto una intonazione fiscale non restrittiva con ciòevitando, anche a scapito di qualche peggioramento nei contipubblici, che i due shocks prima citati, uniti alle conseguenzeeconomiche dell’attacco alle “Torri gemelle”, facessero precipi-tare il nostro Paese in una crisi strutturale. È ben vero che nelperiodo citato il differenziale di crescita del Pil a nostro svan-taggio rispetto alla media di Eurolandia non è stato chiuso maneppure è peggiorato ed anzi ha rosicchiato qualche decimale.

Ma è la crescita delle esportazioni del 2006 e del 2007 cheha sorpreso i più e ha riaperto il dibattito sui processi di tra-sformazione e riassetto del sistema industriale italiano sicchèmolti sostenitori del “declino” si sono ricreduti e tuttavia nonci pare che essi abbiano del tutto compreso questo “nuovo”miracolo economico italiano nei suoi aspetti positivi ma anchenei suoi limiti.

Quello che si vuole dimostrare in questo lavoro, opera diGiulio Cainelli, membro del Comitato Scientifico del Cranec,è che le imprese, in particolare quelle appartenenti ai distrettiindustriali e specializzate nelle produzioni del made in Italy,dopo aver subito in una prima fase i contraccolpi delle nuovecondizioni competitive e valutarie createsi, hanno saputo poireagire imboccando un sentiero di sviluppo con due caratteri-stiche: innovazione e internazionalizzazione. Si è di nuovodimostrato così il “teorema delle 2i” che l’Italia riesce spesso aprovare contro molte avverse aspettative.

Lo sforzo delle imprese italiane in questi anni è stato infat-ti quello di riqualificare i prodotti, di cercare nuovi mercati di

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dove siamo sempre tra i primi tre esportatori mondiali. Biso-gna notare che “nicchia”, quando il mercato è mondiale, signi-fica grandi valori ed è proprio perciò che il saldo commercialedelle 4A (alimentari-vini, abbigliamento-moda, arredo-casa,automazione-meccanica) studiate da Marco Fortis ha cifratoun surplus che nel 2006 è stato di 92 miliardi di euro e nel2007 è stato di 113 miliardi. Una entità gigantesca che consen-te all’Italia di compensare tanti altri deficit commerciali tra cuiquello dell’energia e di far chiudere la bilancia commercialeitaliana con un modesto deficit che la posiziona assai meglio,per esempio, dell’Inghilterra che fruisce invece di una consi-stente risorsa petrolifera.

I vincoli del sistema Italia.A fronte di questi successi ci si chiede allora perché l’Italia

economica non goda di buona stampa internazionale e non rie-sca a colmare il divario di crescita rispetto alla Uem e allaUe27. Su questo tema ci siamo spesso intrattenuti su Economyanalizzando i limiti e proponendo politiche per superali. Cisono molte cause di tale vicenda e spesso alcuni gravi limitidella nostra economia cancellano i nostri pregi. Tra i limiti suiquali non vogliamo soffermarci qui è bene tuttavia richiamaresul piano specifico gli scarsi nessi tra imprese, la ricerca appli-cata e quella fondamentale e sul piano generale le inefficienzedel sistema paese tra cui spiccano il deficit infrastrutturale edenergetico e il persistente differenziale di sviluppo economicoe sociale tra regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogior-no. Infine, ma non ultimo, il gravame di un debito pubblicogigantesco che rende molto difficili gli investimenti in infra-strutture anche perchè non si riesce a ridurre la spesa pubbli-ca corrente che ha sacche di inefficienza serie. Con questi vin-coli i successi italiani delle esportazioni appaiono ancora piùsorprendenti così da legittimare l’ipotesi che se si potessero

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

2007) più che negli investimenti in R&S, misurati statistica-mente. Questi anni ci hanno infatti insegnato, di nuovo, comela dimensione rilevante per una impresa non sia soltanto quel-la cifrata dal patrimonio contabile, dalla occupazione, dal fat-turato, ma sia anche e soprattutto quella strategica, organizza-tiva e del capitale umano. Non è infatti determinante il nume-ro degli occupati in una singola impresa, ma conta molto lastruttura del gruppo e della rete all’interno della quale una sin-gola impresa (persona giuridica) è collocata; conta come èorganizzata la sua catena verticale del valore e quindi qualifasi/attività produttive vengono realizzate al suo interno,quante all’interno del gruppo di appartenenza e quante vengo-no decentrate all’esterno dell’impresa; contano i suoi rapporticon i fornitori locali ed esteri. Tutto questo fa si che la dimen-sione “effettiva” di tante “piccole” imprese italiane diventimolto maggiore se misurata sulla base di questi criteri.

Circa la “specializzazione produttiva” le analisi che si eranolimitate a sottolineare il fatto che il sistema industriale italianonon si posizionava correttamente per affrontare il nuovo con-testo competitivo internazionale dove emergevano concorren-ti “cinesi” non hanno preso in esame altri aspetti fondamentaliquali il posizionamento nei diversi segmenti di mercato ed ilposizionamento lungo la catena verticale di produzione. Unconto è infatti esportare prodotti del made in Italy in segmen-ti a bassa o media qualità, dove la competizione si realizza sol-tanto in termini di prezzo; un altro è puntare a prodotti adat-ti alle fasce medio-alte di mercato dove la qualità dei prodottiin termini di design, di materiali e di componenti utilizzate, didurata di vita di un prodotto che è anche portatore di brand edi solidità, diventano le variabili competitive più importanti.Anche il differente posizionamento all’interno della catenaverticale del valore può fare la differenza. La capacità dellamanifattura italiana è evidente in molti segmenti “di nicchia”

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superare queste carenze l’Italia sarebbe uno dei Paesi più dina-mici dell’economia internazionale mentre nei fatti fatica a reg-gere il ritmo di Eurolandia.

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UNA SFIDA DI INTERNAZIONALIZZAZIONE

VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

di Giulio Cainelli2

1. Introduzione

La storia che intendiamo raccontarvi è una storia non tantocomune e, soprattutto, poco raccontata. Questi ultimi annisono stati spesso descritti come anni di declino e di perdita dicompetitività del sistema industriale italiano. Le cause di taledeclino sono state perlopiù individuate in alcune peculiaritàdel modello di sviluppo del nostro sistema industriale, princi-palmente la specializzazione in settori produttivi tradizionali(le cosiddette produzioni del made in Italy come l’alimentare,il tessile-abbigliamento, il calzaturiero, ecc.) e la piccoladimensione delle imprese, caratteristiche che vengono normal-mente giudicate poco adatte a fronteggiare la competizioneinternazionale in uno scenario che nell’ultimo decennio hasubito radicali mutamenti. Una lettura generica di alcuni datiaggregati effettivamente poteva supportare questa tesi. Nelperiodo compreso fra il 2002 e il 2005 il Pil italiano è cresciu-to, in media, soltanto dello 0,7% all’anno, la quota dell’exportitaliano a prezzi correnti sul totale a livello mondiale è effetti-vamente diminuita (anche se meno rispetto ad altri paesi euro-pei), ecc.. Poi, improvvisamente, il boom delle esportazionimanifatturiere cresciute del 9% nel 2006 e del 10% nel 2007ha sorpreso i più e ha riaperto il dibattito sui processi di tra-sformazione e riassetto del sistema industriale italiano.

Noi abbiamo guardato i dati e soprattutto abbiamo guarda-to il paese, per i pezzi che conosciamo e con gli strumenti che

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2 Membro del Comitato Scientifico del Cranec e Professore Straordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari.

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se del made in Italy vantavano da tempo posizioni di leader-ship. Potendo beneficiare di più vantaggiose condizioni dicosto dovute al basso costo del lavoro e ad una minore rego-lamentazione sulla sicurezza, sulle emissioni ambientali,ecc., le produzioni cinesi sono state ben presto in grado dierodere significative quote di mercato alle imprese italiane.Inoltre, il forte deprezzamento (in termini effettivi reali)della moneta cinese, che rappresenta una delle svalutazionicompetitive più importanti nella storia economica mondia-le, ha ulteriormente avvantaggiato la competitività interna-zionale della produzione cinese.

3. Un terzo elemento importante è ravvisabile, da un lato, nelcostante deprezzamento del dollaro rispetto all’euro a parti-re dall’inizio della Uem e, dall’altro, nella crescita dei prezzidel petrolio e delle materie prime non energetiche.Nel seguito di questo lavoro ci muoveremo cercando di dare

un senso e di comporre in un intricato puzzle i diversi elemen-ti che hanno caratterizzato lo scenario nazionale ed internazio-nale negli anni compresi fra il 2002 e il 2007, nel tentativo dioffrire un’interpretazione convincente dei tratti più caratteri-stici dell’internazionalizzazione del sistema produttivo italia-no. Avremo così modo di vedere che la specializzazione neisettori “maturi” e la dimensione ridotta delle imprese nonhanno di per sé rappresentato un vincolo, quanto piuttostouno stimolo a ripensare il modello di organizzazione dellacatena verticale della produzione in modo innovativo, e cheuna dimensione maggiore dell’impresa non è un elemento suf-ficiente a garantire una buona capacità di reazione alle sfideposte dalla nuova competizione internazionale, poiché potreb-be rivelarsi un elemento di notevole rigidità. Ma questa è unastoria ancora da raccontare.

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abbiamo, e abbiamo cercato di fornire un quadro interpretati-vo nel quale la recente fase di sviluppo del sistema industrialeitaliano non emerga come un’inspiegabile anomalia, ma piut-tosto come l’esito di un processo di profonda trasformazioneche si è compiuta negli anni precedenti. In questo periodoinfatti il nostro sistema industriale ha sperimentato uno straor-dinario processo di aggiustamento e di riorganizzazione che hainteressato in primo luogo i distretti industriali. Questi sistemilocali di piccola e media impresa hanno mostrato un rinnova-to dinamismo che si è concretizzato in un riposizionamentonei tradizionali mercati internazionali e nella ricerca di nuovisbocchi, nella partecipazione sempre più attiva ai processi diinternazionalizzazione commerciale e produttiva e, infine,nella crescita strategica ed organizzativa.

Non si può tuttavia comprendere appieno tale processo ditrasformazione e di ri-organizzazione se si prescinde daglieventi che si sono verificati, in questo stesso periodo, a livellointernazionale.

Tre fattori, tra gli altri, hanno infatti radicalmente alterato leregole e gli assetti dei mercati internazionali.1. Il primo è certamente riconducibile all’entrata del nostro

paese nella Unione Monetaria. L’adozione dell’euro nel gen-naio del 1999 ha infatti privato il sistema produttivo italia-no dei vantaggi collegati alle svalutazioni competitive chetanti benefici avevano arrecato in passato alla competitivitàdelle imprese italiane.

2. Il secondo è rappresentato dall’ingresso, nello scenario com-petitivo internazionale, di nuovi produttori a basso costo dellavoro come Cina e India. In particolare la Cina - economiacontraddistinta da uno strano ed insolito connubio tra capi-talismo e comunismo - si è presentata a cavallo del nuovomillennio come un concorrente aggressivo in molti mercatiquali il calzaturiero e il tessile-abbigliamento, dove le impre-

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IL CONTESTO INTERNAZIONALE ED IL CICLO DELL’ECONOMIA ITALIANA2.1. Il contesto internazionale

Tra il 2002 ed il 2007 il contesto internazionale è stato carat-terizzato, almeno dal punto di vista della prospettiva che ci inte-ressa in questo lavoro, da due elementi. Il primo è certamentecostituito dalla forte crescita economica che si è avuta a livellomondiale. L’economia mondiale ha, infatti, registrato in questoperiodo un tasso di crescita del prodotto lordo molto elevatocon valori, in media, superiori al 5% l’anno a partire dal 2004.

LA CRESCITA DEL PIL A PREZZI COSTANTI IN ITALIA E NEL MONDO2002 2003 2004 2005 2006 2007

ITALIA 0,5 0,0 1,5 0,6 1,9 1,5AUSTRIA 1,0 1,1 2,4 2,0 3,1 3,4BELGIO 1,5 1,0 3,0 1,1 3,1 2,9FINLANDIA 2,2 1,8 3,7 2,9 5,5 4,3FRANCIA 1,2 1,1 2,3 1,2 2,2 1,9GERMANIA 0,0 -0,2 1,1 0,8 2,7 2,5GRECIA 3,8 4,8 4,7 3,7 3,8 4,0IRLANDA 6,1 4,3 4,3 5,5 5,3 5,3PAESI BASSI 0,1 0,3 2,0 1,5 2,9 3,5PORTOGALLO 0,8 -0,7 1,3 0,5 1,3 1,9SPAGNA 2,7 3,0 3,2 3,5 3,9 3,8UEM12 0,9 0,8 2,0 1,4 2,7 2,6DANIMARCA 0,6 0,4 2,1 3,1 3,2 1,8REGNO UNITO 2,0 2,7 3,3 1,9 2,8 3,1SVEZIA 2,0 1,7 4,1 2,9 4,4 2,6UE15 1,2 1,1 2,3 1,5 2,8 2,6POLONIA 1,4 3,8 5,3 3,5 5,8 6,5UE25 1,2 1,3 2,4 1,7 2,9 2,8STATI UNITI 1,6 2,5 3,9 3,2 3,3 2,2GIAPPONE 0,1 1,4 2,7 1,9 2,2 2,1RUSSIA 4,7 7,3 7,2 6,4 6,7 7,9CINA 9,1 10,0 10,1 10,4 10,7 10,6INDIA 4,2 7,3 7,8 9,2 9,2 9,2MONDO 1,8 4,0 5,3 4,9 5,4 5,2

FONTI: VARIE

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ed il 7% l’anno.Il secondo elemento è rappresentato, da un lato, dal forte

deprezzamento del dollaro rispetto all’euro (e della monetacinese “ancorata” a quella americana) e, dall’altro, dal notevoleincremento dei prezzi del petrolio e delle materie prime non-energetiche.

Il deprezzamento del dollaro rispetto all’euro, che ha presoavvio approssimativamente a partire dall’inizio dell’UnioneMonetaria, ha subito nel corso degli ultimi mesi un’accelera-zione. La ragioni di tale accelerazione sono riconducibili siaalla diversa politica monetaria adottata dalle due Banche Cen-trali (la Federal Riserve e la Banca Centrale Europea) sia aideficit di bilancia commerciale e del bilancio statale degli StatiUniti. Anche i prezzi del petrolio e delle materie prime hannosubito notevoli rincari in questo periodo. Le quotazioni a pron-ti del petrolio Brent sono cresciute, in media, di quasi il 21%l’anno, con punte superiori al 30-40% nel 2004 e nel 2005. Lostesso si può dire per il prezzo delle materie prime non ener-getiche. Il prezzo dei metalli è cresciuto nel periodo in esamedel 23% l’anno, e quello delle materie prime alimentaridell’8%. Le cause di questi incrementi, che potrebbero avere

I PREZZI DEL PETROLIO E DELLE MATERIE PRIME: VARIAZIONI %

MATERIE PRIME NON ENERGETICHEPETROLIO ALIMENTARI BEVANDE AGRICOLI METALLI

(A) NON ALIM. TOTALE

2002 2,4 3,5 24,3 -0,2 -3,5 1,92003 15,4 6,3 4,8 0,6 11,8 5,92004 32,7 14,0 -0,9 4,1 34,6 15,22005 42,1 -0,9 18,1 0,5 22,4 6,12006 20,1 10,5 8,4 8,8 56,2 23,22007 11,2 15,2 13,8 5 17,4 14,1MEDIA 20,7 8,1 11,4 3,1 23,2 11,1

(A) QUOTAZIONE A PRONTI IN DOLLARI PER BARILE PETROLIO BRENT

FONTE: BANCA D’ITALIA (2008)

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

Tale crescita è stata, principalmente, sostenuta dalla econo-mia cinese e da quella indiana. La prima ha evidenziato unaperformance eccezionale con tassi di crescita, in media, supe-riori al 10% l’anno. Anche l’economia indiana ha mostrato,seppure con un profilo leggermente più basso, una dinamicadel Pil molto positiva. Per le aree a più antica industrializzazio-ne - gli Stati Uniti e l’Unione Europea - la situazione è statadifferente. Gli Stati Uniti hanno fatto registrare una crescitasostenuta, soprattutto a partire dal 2003, anche se con tassidecisamente inferiori rispetto a quelli registrati dalle nuoveeconomie emergenti. Tale dinamica positiva ha conosciuto unrallentamento soltanto nel corso degli ultimi mesi e ciò acausa, principalmente, della maggiore incertezza generata dallacrisi dei mercati finanziari (crisi dei mutui subprime, ecc.) edalla generale aspettativa dell’arrivo di una recessione. L’areadei paesi dell’euro - la Uem a 12 - ha evidenziato una espan-sione del livello di attività produttiva soltanto nel corso degliultimi due anni. Nel biennio 2006-2007 i paesi della Uemsono infatti cresciuti in media del 2,6%. Negli anni precedentila dinamica del prodotto lordo di quest’area è stata più debo-le rispetto ad altre aree, con un tasso medio dell’1,7% nel bien-nio 2004-2005 ed uno dell’0,8% nel periodo 2002-2004. Tra ipaesi dell’area euro che sono cresciuti maggiormente nel corsodel periodo 2002-2007 si segnalano l’Irlanda, la Finlandia e laGrecia. Le due maggiori economie dell’area euro - la Germa-nia e la Francia - hanno invece fatto registrare nel periodo2002-2005 una fase di crescita molto modesta (soprattutto nelcaso della Germania) subito seguita da una fase di ripresa dellacrescita economica nel biennio 2006-2007: in questo caso piùintensa in Germania che in Francia.

Tra le economie europee vicine all’area euro si segnala la cre-scita di paesi come la Federazione Russa, che a partire dal2003, ha fatto segnare tassi di crescita del Pil compresi tra il 6

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sposta una contrazione dell’attività dell’economia italiana.La stessa cosa si è verificata durante la fase espansiva del-l’economia europea. Per esempio, negli anni 2002-2005l’economia dell’area euro è cresciuta dell’1,4%, contro unacrescita italiana dell’0,7%, mentre nel periodo 2006-2007l’area euro è cresciuta del 2,7% contro una crescita italianadell’1,7%.

2. La sincronizzazione del ciclo economico italiano rispetto alciclo europeo e a quello tedesco si è tuttavia realizzata conun differenziale negativo che nel biennio 2006-2007 è statopari a circa un punto percentuale di crescita del Pil reale. Inaltre parole, l’economia italiana ha seguito la dinamica dellealtre economie europee, ma con un tasso di variazione siste-maticamente inferiore.

3. Come è ben noto, l’economia italiana è caratterizzata da unaforte propensione all’export, che nel periodo in esame haanche fatto registrare un leggero incremento, passando dal25,5% del Pil del 2002 al 26,1% nel 2006.

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

gravi ripercussioni sulla dinamica dei prezzi alla produzione eal consumo dei maggiori paesi industrializzati e sui fabbisognialimentari delle popolazioni che vivono nell’aree più poveredel pianeta, sono riconducibili sia alla maggiore domanda pro-veniente dalle economie emergenti (ed, in particolar modo,dalla Cina e dall’India) sia ad operazioni speculative favoritedall’abbondante (e poco costosa) liquidità internazionale.

2.2. Il ciclo italiano ed il ruolo delle esportazioniNel periodo in esame il ciclo economico italiano può essere

distinto in due fasi. Nella prima fase, compresa tra il 2002 edil 2005, l’economia italiana ha conosciuto un periodo conno-tato da un profilo di crescita molto modesto. Il tasso di varia-zione del prodotto lordo è stato infatti pari a circa lo +0,5%l’anno. Nel periodo successivo si è invece registrata un’accele-razione della crescita, che ha toccato il punto di massimo nel2006 con un valore pari al +1,9%. In questo intervallo ditempo, la quota dell’export italiano sul totale delle esportazio-ni mondiali di beni ha subito un decremento di 0,4 punti per-centuali, passando dal 3,51% del 2002 al 3,11% del 2006. Sitratta comunque di una flessione allineata a quella degli altripaesi dell’area euro e addirittura percentualmente inferiorerispetto a quelle fatte registrare da Germania e Francia. In que-sti due paesi, la quota sull’export mondiale di beni è passata inquesto periodo, rispettivamente, dal 9,58% del 2002 al 9,12%nel 2006 (-0,46 punti percentuali) e dal 4,93% nel 2002 al4,26% nel 2006 (-0,67 punti percentuali).

Quattro elementi hanno connotato in questo periodo il cicloeconomico italiano.1. Il primo è stato la sua notevole sincronizzazione con il ciclo

europeo ed, in particolar modo, con quello tedesco. Ad unafase di contrazione del livello di attività economica dell’areaeuro ed in particolare dell’economia tedesca è infatti corri-

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industriale e quindi il livello di attività economica hannofatto registrare un profilo di crescita molto modesto; al con-trario, quando la domanda estera (in particolare, quella pro-veniente dalla Germania) ha ricominciato a tirare, la produ-zione industriale ed il livello di attività economica hannoripreso in Italia a crescere. Ciò significa che il modello dicapitalismo italiano è ancora profondamente legato allevicende del sistema industriale ed, in particolare, ai compor-tamenti e alle performance delle imprese che operano suimercati internazionali.

4. Questo periodo si è anche caratterizzato per la rottura delciclo esportazioni/investimenti e ciò in controtendenza conquanto è avvenuto in altre economie europee. Generalmen-te, la crescita della domanda estera è fortemente correlatacon quella degli investimenti, soprattutto con gli investi-menti in macchinari ed attrezzature. A fronte di un aumen-to degli ordini e della domanda estera, le imprese general-mente espandono il volume della produzione, aumentandotra l’altro la spesa per l’acquisto di beni capitali. Ciò è quan-to è avvenuto, per esempio, in Germania dove la crescitadelle esportazioni nel biennio 2006-2007 pari al +10,2% èstata accompagnata da un incremento degli investimenti inmacchine ed attrezzature del 7,8%.

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

Non deve quindi sorprendere che sia durante il periodo2002-2005 di bassa crescita che nel corso di quello successi-vo di ripresa economica, il nostro ciclo economico sia statofortemente condizionato dalla dinamica delle esportazioni.Quando la domanda estera è stata modesta, la produzione

PROPENSIONE ALL’EXPORT PER PAESE (% SU VALORI A PREZZI COSTANTI)

2002 2003 2004 2005 2006

UE15 35,8 35,8 37,3 38,5 40,7UEM 36,8 36,9 38,6 39,6 41,7AUSTRIA 49,8 50,3 54 56,3 59,2BELGIO 84,4 86 88,5 90 90,6FINLANDIA 43,8 42,3 44,3 46 48,3FRANCIA 28,9 28,2 28,7 29,2 30,3GERMANIA 36,6 37,5 40,7 43,1 47,2GRECIA 17,9 17,7 18,2 18,2 18,3IRLANDA 84,8 81,7 84,1 82,8 81,9ITALIA 25,5 24,9 25,4 25,3 26,1LUSSEMBURGO 150,2 153,5 163 169,3 183,1PAESI BASSI 70,7 71,5 75,8 78,8 82,3PORTOGALLO 29,9 31,3 32,2 32,4 34,8SPAGNA 29 29,2 29,4 28,8 29,5DANIMARCA 49,5 48,8 48,9 50,8 54,1REGNO UNITO 25,9 25,7 26,1 27,6 30SVEZIA 45,3 46,6 49,7 51,5 53,8REPUBBLICA CECA 68,9 71,3 82,8 86,2 93,1POLONIA 28,6 31,4 34 35,5 38,6SLOVACCHIA 73,2 81,4 83,3 89,4 99,6UNGHERIA 74,5 75,9 83,8 89,6 101,8AUSTRALIA 19,4 18,5 18,7 18,6 18,8CANADA 42,1 40,4 41,1 40,8 40,2COREA DEL SUD 40,5 45,4 51,8 54 57,8GIAPPONE 10,9 11,8 13,1 13,7 14,7ISLANDA 36,1 35,7 36 36 33,2MESSICO 30,1 30,5 32,6 34 36NORVEGIA 43,7 43,2 42 41,2 40,6NUOVA ZELANDA 32,5 31,9 32,5 31,5 31,6STATI UNITI 10,1 10 10,5 10,8 11,4SVIZZERA 44,9 44,7 47,4 49,5 53TURCHIA 39,4 43,2 44,6 45,1 46,1OCSE 24 24,2 25,5 26,3 27,8

FONTE: ELABORAZIONI ICE SU DATI OCSE

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essere state pari al +5,6% ha dato luogo ad un incremento,nello stesso periodo di tempo, degli investimenti in macchina-ri ed attrezzature di poco inferiore al 2%. Naturalmente lecause di questo fenomeno - segnalato anche nell’ultimo Bollet-tino Economico della Banca d’Italia (2008) - possono esserericondotte a diversi fattori come, per esempio, il modestogrado di utilizzo della capacità produttiva da parte dellaimprese italiane. Una ulteriore interpretazione potrebbe esse-re che le imprese italiane hanno generalmente una maggiorepropensione ad operare investimenti di natura “intangibile”come il brand e l’attività di marketing, la differenziazione diprodotto, il riposizionamento all’interno del canale distributi-vo, ecc.: attività di investimento che non vengono generalmen-te rilevate nelle statistiche sugli investimenti della contabilitànazionale.

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

In Italia, invece, al contrario di quanto avveniva in passatotale legame sembra essersi rotto. La crescita delle esportazioninel biennio 2006-2007, stimate dalla contabilità nazionale

CONTO ECONOMICO DELLE RISORSE E DEGLI IMPIEGHI (VAR. %)

AREA EUROINVESTIMENTI FISSI LORDI

PIL IMPORT. ESPORT. COSTRUZ. MACCHINE TOTALE(a) ATTREZZ. (a) (a)

2002 0,9 0,4 1,8 -0,7 -2,1 -1,42003 0,8 3,3 1,2 1,4 1,3 1,42004 2,1 7,0 7,2 1,3 3,5 2,42005 1,6 5,5 4,7 1,8 4,2 3,02006 2,8 7,7 7,9 4,1 5,9 5,02007 2,6 5,2 6,0 3,7 4,8 4,32002-2005 1,4 4,1 3,7 1,0 1,7 1,42006-2007 2,7 6,5 7,0 3,9 5,4 4,7

GERMANIAINVESTIMENTI FISSI LORDI

PIL IMPORT. ESPORT. COSTRUZ. MACCHINE TOTALE(a) ATTREZZ. (a) (a)

2002 0,0 -1,4 4,3 -5,8 -6,4 -6,12003 -0,2 5,4 2,5 -1,6 1,3 -0,32004 1,1 7,2 10,0 -3,8 4,0 -0,22005 0,8 6,7 7,1 -3,1 5,5 1,02006 2,9 11,2 12,5 4,3 7,9 6,12007 2,5 4,8 7,8 2,2 7,6 5,02002-2005 0,4 4,5 6,0 -3,6 1,1 -1,42006-2007 2,7 8,0 10,2 3,3 7,8 5,6

ITALIAINVESTIMENTI FISSI LORDI

PIL IMPORT. ESPORT. COSTRUZ. MACCHINE TOTALE(a) ATTREZZ. (a) (a)

2002 0,5 0,2 -2,9 5,9 1,9 3,72003 0,0 1,2 -2,0 2,4 -4,6 -1,22004 1,5 4,2 4,9 2,2 2,3 2,32005 0,6 2,2 1,0 0,5 0,9 0,72006 1,8 5,9 6,2 1,5 3,5 2,52007 1,5 4,4 5,0 2,2 0,2 1,2MEDIA 02-05 0,7 2,0 2,3 2,8 0,1 1,4MEDIA 06-07 1,7 5,2 5,6 1,9 1,9 1,9

(A) QUANTITÀ A PREZZI CONCATENATIFONTE: BANCA D’ITALIA (2008)

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L’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI DISTRETTI INDUSTRIALI ITALIANI

3.1. Il ruolo ed il peso dei distretti nell’industria italiana

3.1.1.Le principali caratteristiche di un distretto industriale

I distretti industriali rappresentano una specificità delmodello di sviluppo industriale italiano. Le particolari caratte-ristiche del modello distrettuale hanno infatti consentito,almeno a partire della seconda metà degli anni ‘70 del secoloscorso, di offrire una spiegazione convincente dell’apparenteparadosso dell’economia italiana: quella di un sistema produt-tivo caratterizzato da una performance di lungo periodo tuttosommato soddisfacente, nonostante una specializzazione pro-duttiva in settori tradizionali o maturi (tessile-abbigliamento,calzature, mobili, piastrelle, ecc.) e la prevalenza, all’interno diquesti comparti produttivi, di imprese di piccola e piccolissi-ma dimensione. Prendendo a prestito le parole da un maestrodel pensiero economico italiano Giacomo Becattini - che, conGiorgio Fuà, è stato uno dei fondatori e degli animatori di que-sto dibattito sia in Italia che a livello internazionale - undistretto può essere definito come “un’entità socio-territorialecaratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territorialecircoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, diuna comunità di persone e di una popolazione di impreseindustriali” (Becattini, 1989). Questa definizione individuadue diverse dimensioni del distretto: quella sociale e quellaproduttiva. La prima dimensione, quella sociale, sottolineacome all’interno della comunità locale del distretto, la condivi-sione di un medesimo sistema di valori sociali, culturali e talo-ra anche politici, possa, grazie ad un clima di maggior fiduciae al sanzionamento dei comportamenti opportunistici, favori-re le transazioni produttive e commerciali tra le imprese

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nazionalizzate di soddisfare rapidamente un aumento, anchenon pianificato, della domanda estera.

3.1.2. Il peso dei distretti nell’industria italianaI distretti industriali non rappresentano soltanto una specifi-

cità del sistema industriale italiano, ma costituiscono anche unsuo “pezzo” rilevante. Nel 2001 i 156 distretti individuati dal-l’Istat occupavano quasi 2 milioni di addetti in più di 200 milaunità produttive

Sul totale dell’industria italiana, il peso dei distretti è pari acirca il 23% in termini di occupati e al 25% in termini di unitàlocali. I due settori di specializzazione nei quali la presenza deidistretti è maggiore sono quelli del tessile-abbigliamento (45distretti) e del meccanico (38). Di rilievo appaiono anche set-tori di specializzazione come quello dei beni per la casa (32) equello della produzione di pelli, cuoio e calzature (20).

I DISTRETTI INDUSTRIALI ITALIANI: 2001DISTRETTI UNITÀ LOCALI ADDETTI

MANIFATTURIERE MANIFATTURIERIN. % N. % N. %

TESSILE E ABBIGLIAMENTO 45 28,8 63.954 30,1 537.435 27,9MECCANICA 38 24,4 56.816 26,7 587.320 30,5BENI PER LA CASA 32 20,5 42.287 19,9 382.332 19,8PELLI, CUOIO E CALZATURE 20 12,8 23.441 11,0 186.680 9,7ALIMENTARI 7 4,5 3.781 1,8 33.304 1,7OREFICERIA/STRUMENTI MUSICALI 6 3,8 13.010 6,1 116.950 6,1CARTOTECNICHE E POLIGRAFICHE 4 2,6 4.342 2,0 35.996 1,9PRODOTTI IN GOMMA E PLASTICA 4 2,6 4.779 2,2 48.585 2,5TOTALE 156 100,0 212.410 100,0 1.928.602 100,0

FONTE: ISTAT (2005)

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

distrettuali. Dal punto di vista produttivo, il distretto indu-striale si caratterizza invece per l’elevata concentrazione terri-toriale, solitamente in un’area che non comprende più di qual-che comune contiguo, di una moltitudine di piccole e piccolis-sime imprese che producono per lo stesso mercato finale. Lavicinanza fisica tra le imprese del distretto favorisce inoltre ladiffusione delle informazioni non soltanto sulle nuove tecno-logie e sui nuovi prodotti, ma anche sui nuovi mercati, sulleistituzioni e sui canali di vendita presenti nei mercati esteri. Ladiffusione di queste informazioni avviene anche attraverso lamobilità dei lavoratori che nel trasferirsi da un’impresa distret-tuale all’altra portano con sé quel bagaglio di competenze pro-duttive, gestionali e quelle informazioni che hanno acquisitonel corso della loro precedente esperienza lavorativa.

La flessibilità produttiva ed organizzativa del distretto, la suacapacità di adattarsi in tempi rapidi alle mutate condizioni tec-nologiche e dei mercati fanno sì che questo sistema produtti-vo sia particolarmente adatto a far fronte a situazioni caratte-rizzate da complessità ed incertezza. Una ricerca della Bancad’Italia sui distretti industriali italiani ha infatti mostrato comele imprese distrettuali in periodi nei quali la pressione compe-titiva si intensifica tendano a ridurre il ricorso alla sub-fornitu-ra locale e ai lavoratori a domicilio nel 44% dei casi contro il27% nel caso delle aree non-distrettuali (Signorini e Omiccio-li, 2002). In questi periodi sono proprio gli operatori distret-tuali meno efficienti - si pensi ai sub-fornitori di “capacità” oalle imprese finali “marginali” - che non essendo in grado direstare sul mercato, penalizzano l’export complessivo deldistretto all’interno del quale operano. Nei periodi caratteriz-zati invece da aumenti della domanda le imprese distrettualiintensificano il ricorso al lavoro a domicilio e alla sub-fornitu-ra nel 41% dei casi contro il 27% delle imprese non-distrettua-li. Ciò consente alle imprese distrettuali maggiormente inter-

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L’INTERNAZIONALIZIONE DEL SISTEMA INDUSTRIALE ITALIANO

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Dall’esame di questa Figura emerge come, in un primoperiodo, quello compreso tra il 1999 ed il 2001, le esportazio-ni dei distretti siano cresciute per poi nel periodo immediata-mente successivo, quello compreso tra la fine del 2001 e laprima parte del 2004, mostrare invece una marcata flessione.Sono questi gli anni durante i quali le imprese distrettualihanno evidenziato le maggiori difficoltà, mettendo in camponuove strategie competitive per rispondere in modo adeguatoalle sfide imposte dal nuovo scenario internazionale. I risultatidi questa azione si sono cominciati a vedere a partire dallaseconda metà del 2004 quando si è registrata una netta ripre-sa dell’export. Tale dinamica è proseguita ininterrottamentefino al 2007. Il 2007 è stato infatti un anno complessivamen-te positivo per l’export dei distretti industriali. Il valore delleesportazioni dei 101 principali distretti inclusi nell’Indice dellaFondazione Edison ha infatti sfiorato i 70 miliardi di euro, pur

INDICE FONDAZIONE EDISON: EXPORT DEI 101PRINCIPALI DISTRETTI INDUSTRIALI: 1999-2007

(MILIARDI DI EURO A PREZZI CORRENTI)

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

3.2.Propensione,dinamica dell’export e mercati di sbocco

Una delle caratteristiche fondamentali dei distretti industria-li italiani è la loro forte vocazione all’esportazione. La propen-sione all’export è, infatti, maggiore nelle aree distrettualirispetto a quelle non-distrettuali. Nel 2006 tale propensioneera pari al 50,9% nei distretti industriali contro un valore nellearee non-distrettuali del 41,9%.

Non soltanto questa propensione è superiore nei distretti,ma è anche significativamente aumentata nel corso degli anni,passando dal 39% del 1991 al 48,3% del 2000 sino a raggiun-gere il valore di quasi il 51% nel 2006 (Banca Intesa, 2008).

Utilizzando l’indice della Fondazione Edison, è possibile esa-minare la dinamica dell’export distrettuale per il periodo1999-2007.

DISTRETTI INDUSTRIALI E AREE NON-DISTRETTUALI:PROPENSIONE ALL'EXPORT: 1991-2006

FONTE: BANCA INTESA (2008)

55%50%45%40%35%30%25%20%15%10%

5%0

1991 2000 2006

Aree non distrettuali

Distretti

73

69

65

61

57

53

49

1999 2001 2003 2005 2007

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L’INTERNAZIONALIZIONE DEL SISTEMA INDUSTRIALE ITALIANO

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Tra i distretti dell’abbigliamento-moda in più forte crescitanel corso del 2007 troviamo il distretto tessile di Carpi e quel-lo del Brenta padovano nelle calzature. Nell’alimentare crescemolto anche l’export cuneese di vini, mentre nei mobili tra idistretti più dinamici troviamo Cantù.

Nel 2007 la dinamica delle esportazione complessive deidistretti industriali italiani è stata sostenuta, principalmente,dai nuovi mercati di sbocco come la Russia, con una valoredelle esportazioni pari a 2,8 miliardi di euro, (+23,6% nelcorso del 2007) e la Polonia (+ 19,6%)3.

I PRIMI 20 DISTRETTI INDUSTRIALI ITALIANI NEL 2007 (MILIONI DI EURO)

Distretto Settore di IV trim. IV trim. Var. %riferimento 2006 2007

1 TREVISO MACCHINE INDUSTRIALI 663 910 37,32 PARMA FORMAGGI E LATTE 78 103 33,13 BOLOGNA MACCHINE INDUSTRIALI 1.309 1.664 25,54 BERGAMO MACCHINE DI IMPIEGO GEN. 1.038 1.249 20,35 MODENA AUTOVETTURE SPORTIVE 1.163 1.379 18,66 CARPI TESSILEABBIGLIAMENTO 775 918 18,57 PADOVA MACCHINE INDUSTRIALI 820 953 16,28 SALERNITANO DERIVATI DEL POMODORO 674 781 15,89 PADOVA ALTRE MACCHINE

DI IMPIEGO GENERALE 642 740 15,210 CANTÙ MOBILI 486 558 15,011 ALESSANDRIA PLASTICA E GOMMA 388 445 14,612 REGGIO EMILIA POMPE 878 1.002 14,113 LANGHE VINI 485 552 13,814 BRENTA PADOVANO CALZATURE 310 353 13,715 VERGIATE AEROMOBILI 933 1.059 13,516 FORLÌ-CESENA MACCHINE UTENSILI 53 60 13,317 LECCO PRODOTTI IN METALLO 687 765 11,318 CADORE OCCHIALERIA 1.455 1.617 11,219 BRESCIA MACCHINE INDUSTRIALI 821 910 10,920 VALSESIA RUBINETTERIA 277 307 10,8

FONTE: FONDAZIONE EDISON (2008)

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

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L’INTERNAZIONALIZIONE DEL SISTEMA INDUSTRIALE ITALIANO

evidenziando una leggera flessione nel corso del quarto trime-stre.

Nel corso del 2007 l’export dei distretti industriali è cresciu-to, rispetto all’anno precedente, in valore del 3%, ben sostenu-to da automazione-meccanica-settori diversi e dagli alimenta-ri-vini, ma ancora frenato da abbigliamento-moda ed arredo-casa. È risultato debole anche l’export dei distretti hi-tech. Idistretti dell’abbigliamento-moda, in particolare, hanno accu-sato una significativa frenata del loro export complessivo nelquarto trimestre.

Anche nel settore della moda, tuttavia, vi sono stati distrettiche hanno significativamente accresciuto il loro export nel2007. Tra questi il distretto calzaturiero della Riviera del Bren-ta e quello dell’occhialeria del Cadore. Bene anche i distrettimeccanici, alcuni dei quali hanno addirittura fatto meglio del-l’export di autoveicoli della provincia di Modena. In crescitasostenuta anche le esportazioni del distretto aerospaziale vare-sino, del polo vinicolo delle Langhe e del distretto alessandri-no della plastica.

Nel corso del 2007 tra i 20 distretti il cui export è aumenta-to maggiormente troviamo in testa il “cluster” trevigiano dellemacchine industriali, seguito dal distretto parmigiano dei pro-dotti lattiero-caseari, da quello bolognese delle macchine indu-striali e da quello bergamasco delle macchine e degli apparec-chi di impiego generale.

3 Le possibili discrepanze che si possono registrare nei tassi di crescita delle esportazioni distrettuali tra la fonte Banca Intesa e quella della Fondazione Edison dipendono dal differente modo con il qualevengono definiti i distretti industriali in esame.

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riero di Fermo o quello delle cucine di Pesaro il mercato russoè diventato addirittura il principale mercato di sbocco. Talemercato ha acquisito un ruolo di rilievo, se non addiritturaprioritario, anche per le produzioni provenienti dal distrettocalzaturiero di San Mauro Pascoli e da quello del Brenta, daquello di Castel Goffredo (calzetteria), ed infine da distrettimeccanici come quello di Vicenza.

Tra i mercati di rilievo per le esportazioni dei distretti indu-striali si segnala anche quello spagnolo, che nel corso del 2007ha fatto registrare il tasso di crescita più elevato tra quelli del-l’area euro. Questo mercato costituisce un importante sboccoper i prodotti alimentari e per quelli della meccanica strumen-tale.

Nel corso del 2007 si è invece registrata una forte flessionedelle esportazioni distrettuali verso il mercato statunitense,imputabile principalmente al forte apprezzamento dell’eurosul dollaro.

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

Questi due mercati hanno assunto un ruolo di primariaimportanza per alcune tipologie di prodotti del made in Italy.In particolare, nel mercato russo è cresciuto notevolmente ilpeso di prodotti come le calzature, l’abbigliamento, i mobili egli elettrodomestici. Per alcuni distretti come quello calzatu-

I MERCATI DI SBOCCO DEI DISTRETTI INDUSTRIALI ITALIANI

Quota % Var. %2007 2007-2006

UE15 50,0 4,8GERMANIA 12,3 3,8FRANCIA 11,4 5,5REGNO UNITO 7,1 3,8SPAGNA 6,1 6,2BELGIO 2,4 6,6PAESI BASSI 2,3 4,1GRECIA 2,2 6,0AUSTRIA 1,9 0,9EUROPA CENTRO ORIENTALE 14,8 9,7RUSSIA 4,2 23,6POLONIA 2,0 19,6ROMANIA 1,7 -27,8UCRAINA 1,0 26,3REPUBBLICA CECA 1,0 11,9RESTO D’EUROPA 6,9 8,1SVIZZERA 4,2 9,6TURCHIA 1,7 0,9NORD AMERICA 9,6 -6,5STATI UNITI 8,5 -7,1CANADA 1,0 -1,5AMERICA LATINA 2,3 9,9ASIA ORIENTALE 7,4 -1,6HONG KONG 2,0 -2,4CINA 1,8 7,7GIAPPONE 1,6 -11,0MEDIO ORIENTE 3,9 14,9EMIRATI ARABI UNITI 1,6 26,4ASIA CENTRALE 0,9 2,7INDIA 0,5 4,8RESTO DEL MONDO 4,2 7,1MONDO 100,0 4,5

FONTE: BANCA INTESA, 2008

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diare il mercato locale di sbocco, mentre nel secondo caso -tessile-abbigliamento - la logica è quella di ricercare fornitorilocali a basso costo al quale affidare le fasi produttive a minorvalore aggiunto e a maggiore intensità di lavoro (Ice, 2007).

Le motivazioni che hanno determinato queste forme diinternazionalizzazione, vengono generalmente identificatedalle imprese nella riduzione del costo del lavoro e nell’acces-so a nuovi mercati di sbocco. I principali fattori di ostacolosono invece costituiti dai vincoli di carattere legale o ammini-strativo, dalla instabilità socio-economica del paese estero,dalla limitata capacità manageriale presente nell’impresa este-ra, ed infine dalla incertezza sugli standard produttivi interna-zionali (Istat, 2008).

Per quanto concerne la cosiddetta internazionalizzazione“passiva” - ossia, la creazione da parte di imprese straniere diimpianti produttivi nel nostro paese o l’acquisizione da partedi queste unità di partecipazioni di minoranza o di controllo inimprese italiane - si segnalano gli Stati Uniti, che continuano arivestire un ruolo di fondamentale importanza, con una inci-denza della loro partecipazione nelle imprese italiane pari al25%. Anche i paesi dell’Unione Europea rivestono un ruoloimportante in questi fenomeni con un peso sul totale delleimprese italiane a partecipazione estera pari a circa il 60%. Trai paesi europei il peso maggiore è assunto da Germania, Fran-cia e Regno Unito (Ice, 2007). Nell’ultimo periodo si segnala-no infine iniziative di imprese cinesi ed indiane, ancora nume-ricamente limitate, ma che evidenziano un fenomeno che pro-babilmente nei prossimi anni crescerà notevolmente.

L’analisi degli investimenti diretti deve naturalmente tenerconto, soprattutto in un sistema economico come quello italia-no, anche della dimensione territoriale. Gli Ide in “entrata” pos-sono infatti essere letti come la capacità “attrattiva” di un ter-ritorio, mentre gli Ide in “uscita” misurano la capacità di un

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

3.3. Gli investimenti diretti esteri Le vendite all’estero non costituiscono naturalmente l’unica

forma di presenza internazionale di un’impresa. Un altro stru-mento è rappresentato dagli investimenti diretti esteri (Ide)che consentono ad una impresa di acquisire il controllo di atti-vità produttive all’estero sia attraverso la creazione di nuoviimpianti produttivi (in questo caso si parla di investimentigreen field) sia attraverso l’acquisizione di partecipazioni (dicontrollo o di minoranza) al capitale di un’impresa estera.

I dati più recenti confermano come la presenza italianaall’estero, misurata dai flussi degli Ide, abbia fatto registrare nelperiodo in esame una dinamica positiva (Ice, 2007). Nel perio-do compreso tra il 2001 ed il 2007 si è infatti avuto un aumen-to della internazionalizzazione “attiva”, misurata sia in terminidel numero di imprese estere partecipate che in termini di fat-turato. La presenza italiana, oltre che rimanere significativaall’interno dei tradizionali partner commerciali europei, comela Germania e la Francia, si è andata rafforzando anche nelleeconomie di più recente adesione all’Unione come la Polonia,la Repubblica Ceca e l’Ungheria. Anche altre economie del-l’Est europeo come la Romania e la Bulgaria hanno assunto unruolo di rilievo in questi processi, diventando la meta preferi-ta di molte imprese italiane. Generalmente queste impresehanno acquisito partecipazioni in numerose unità produttivedi piccola e media dimensione specializzate in produzioni delmade in Italy. Nel corso degli ultimi anni è andata aumentan-do anche la presenza italiana nei paesi dell’Estremo Oriente:tale presenza è concentrata principalmente in comparti qualila meccanica ed i mezzi di trasporto, da un lato, ed il tessile-abbigliamento, dall’altro. Le strategie dgi internazionalizzazio-ne produttiva seguite dalle imprese italiane in questi paesisembrano rispondere a due finalità: nel primo caso - meccani-ca e mezzi di trasporto - l’obiettivo è quello di meglio presi-

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L’analisi in termini di fatturato evidenzia addirittura una leg-gera flessione. Rispetto a questi flussi, i settori più importantisono quelli del tessile-abbigliamento, con una quota in termi-ni di addetti sul totale 2004 pari a più del 50%, quello dellepelli e cuoio ed infine, a distanza, quello meccanico, che tutta-via ha subito, nel periodo 2001-2004, un certo ridimensiona-mento. Il peso degli altri settori di specializzazione produttivaappare invece del tutto trascurabile. Se si analizza la distribu-zione regionale degli Ide in “uscita” emerge il forte peso delVeneto, che nel 2004 aveva una quota in termini di addettisuperiore al 50%: quota che ha per altro fatto registrare unaumento rispetto al 2001. Al secondo posto troviamo la Lom-bardia e poi il Veneto.

IDE DISTRETTUALI IN “USCITA” COMPOSIZIONE SETTORIALE

SETTORI ADDETTI FATTURATO(a)2000 2004 2000 2004

ABBIGLIAMENTO 25,4 33,2 32,1 38,3ARTICOLI SPORTIVI 0,1 0,1 0,0 0,0CUOIO, PELLE E CALZATURE 17,8 19,1 6,3 7,0GIOILELLI 0,1 0,1 0,0 0,0MECCANICA 23,9 14,7 37,3 30,0MOBILI 2,2 2,4 1,3 1,5PRODOTTI ALIMENTARI 1,1 1,0 0,6 0,7STRUMENTI MUSICALI 0,0 0,0 0,0 0,0TESSILE 27,8 28,1 19,1 19,8VETRO, MARMO 1,7 1,2 3,0 2,6TOTALE 36.382 38.521 4.930 4.823

FONTE: NOSTRE ELABORAZIONI SU DATI ICE (2006)

(A) IN MILIONI DI EURO

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sistema territoriale di espandere la propria presenza interna-zionale in altri paesi.

Dal punto di vista degli Ide in “uscita” le due regioni chefanno la parte del leone sono la Lombardia e il Piemonte,anche se la loro quota in termini di fatturato delle impreseestere partecipate ha subito nel corso del periodo 2001-2006una leggera flessione. Al contrario si segnala l’aumento dellaquota del Lazio che ha superato nel 2006 il 25%. Tra le regio-ni del Mezzogiorno si segnalano positivamente la Campania, laPuglia e l’Abruzzo.

Per quanto concerne gli Ide in “entrata”, questi sono princi-palmente concentrati in Lombardia, dove sono localizzatequasi la metà delle multinazionali straniere presenti in Italia.Si tratta di una quota predominante, che nel corso del periodoin esame ha fatto segnare anche un leggero incremento, pas-sando dal 45,5 del 2001 al 48% del 2006. Tra le altre regioniitaliane che hanno fatto registrare un incremento del flussodegli Ide in “entrata” si segnalano il Lazio, il Friuli-Venezia-Giulia, il Trentino e la Toscana. Si segnala invece il calo visto-so degli Ide in “entrata” per le regioni del Mezzogiorno a ripro-va della scarsa attrattività di questi territori per gli investitoristranieri.

3.3.1.Gli Ide distrettuali Passando ora all’esame di questi fenomeni per i distretti

industriali (Ice, 2006)4 emerge come gli Ide in “uscita” da que-sti sistemi locali abbiano fatto registrare un modesto aumento,passando dai 36 mila addetti del 2000 ai 38 mila del 2004.

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L’INTERNAZIONALIZIONE DEL SISTEMA INDUSTRIALE ITALIANO

4 La fonte utilizzata per stimare gli Ide in “entrata” e quelli in “uscita”dai distretti industriali italiani è il Repertorio Ice-Reprint del Politecnicodi Milano (Ice, 2006). Le informazioni relative al numero di addetti e al fatturato delle imprese “partecipate” vengono riferite ai diversidistretti industriali attraverso il comune di residenza legale dell’impresaitaliana che investe all’estero o che riceve investimenti diretti esteri.

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ti delle imprese italiane partecipate è stata superiore nel 2004al 70%. Non solo ma tale quota ha subito un aumento rispet-to al 2000. A grande distanza si collocano il settore dei vetri edel marmo e quello tessile. Dal punto di vista della distribuzio-ne territoriale di questi flussi di investimenti diretti si segnalail ruolo dell’Emilia Romagna che ha oramai assunto nei setto-ri della meccanica strumentale una specializzazione produtti-va di rilievo a livello internazionale seguito, in termini diaddetti, dalla Lombardia e dal Veneto.

L’analisi degli Ide distrettuali ci consente di evidenziare duefenomeni di un certo interesse: il primo è che le impresedistrettuali sembrano aver utilizzato la leva degli Ide in “usci-ta” allo scopo di meglio controllare quelle fasi del processoproduttivo che avevano deciso di realizzare all’estero. Non èun caso che questa tipologia di internazionalizzazione si siaprevalentemente concentrata nei settori del tessile-abbiglia-mento e delle calzature. Al contrario, le attività di internazio-nalizzazione produttiva in “entrata” sembrano caratterizzarsiper l’acquisizione da parte di imprese straniere di competenzetecnologiche e di esternalità di filiera che tipicamente si svi-luppano all’interno dei distretti meccanici.

In generale si può affermare che i distretti industriali, al con-

IDE DISTRETTUALI IN “ENTRATA”COMPOSIZIONE REGIONALE

REGIONI ADDETTI FATTURATO(a)2000 2004 2000 2004

PIEMONTE 3,8 4,6 4,1 6,6LOMBARDIA 26 24,2 23,1 22,5VENETO 24,8 22,7 26,3 24,8EMILIA ROMAGNA 26,2 33,2 26,7 27,7TOSCANA 4,3 2,5 7,2 3,5MARCHE 1,6 1,3 1,5 1,5MEZZOGIORNO 13,4 11,5 11,1 13,5TOTALE 25.692 28.392 5.444 5.783

FONTE: NOSTRE ELABORAZIONI SU DATI ICE (2006)

(a) IN MILIONI DI EURO

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Per quanto concerne gli Ide in “entrata” questi hanno regi-strato, nel periodo in esame, una dinamica migliore rispetto aquelli in “uscita”. L’aumento in termini di addetti delle impre-se italiane partecipate da operatori stranieri è stato pari a pocomeno di 3 mila addetti.

Il settore di specializzazione distrettuale sul quale si concen-trano maggiormente le attività degli investitori stranieri è quel-lo meccanico. La quota di questo settore sul totale degli addet-

IDE DISTRETTUALI IN “ENTRATA” COMPOSIZIONE SETTORIALE

SETTORI ADDETTI FATTURATO(a)2000 2004 2000 2004

ABBIGLIAMENTO 0,8 2,4 0,8 3,4BEVANDE 0,2 0,2 0,3 0,3CUOIO, PELLETTERIA, CALZATURE 3,4 2,8 5,0 4,3GIOCHI 0,7 0,7 0,4 0,4GIOIELLI 2,3 0,2 4,8 0,1MECCANICA 67,2 71,0 66,4 67,4MOBILI 1,7 1,4 2,1 1,7PRODOTTI ALIMENTARI 4,1 4,0 6,6 6,9TESSILE 6,7 6,5 3,8 4,6VETRO, MARMO 12,8 10,9 9,7 10,9TOTALE 25.692 28.392 5.444 5.783

FONTE: NOSTRE ELABORAZIONI SU DATI ICE (2006)

(a) IN MILIONI DI EURO

IDE DISTRETTUALI IN “USCITA” COMPOSIZIONE REGIONALE

REGIONI ADDETTI FATTURATO(a)2000 2004 2000 2004

PIEMONTE 11,4 11,4 12 11,5LOMBARDIA 25,4 16,6 34,5 25,3VENETO 36,8 51,2 32,8 39,4EMILIA ROMAGNA 12,8 8,6 12,6 15,5TOSCANA 7,5 6,1 5,4 5,3MARCHE 3,1 2,9 1,5 1,8MEZZOGIORNO 3 3,2 1,1 1,2TOTALE 36.382 38.521 4.930 4.823

FONTE: NOSTRE ELABORAZIONI SU DATI ICE (2006)

(a) IN MILIONI DI EURO

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In relazione a queste ultime forme di internazionalizzazione“debole”, le informazioni disponibili sono molto scarse, prove-nendo, in gran parte, da ricerche o rilevazioni statistiche con-dotte su casi specifici. Una recente ricerca condotta nel 2004dal Formez su un campione di 764 imprese di piccola e mediadimensione appartenenti a 45 distretti industriali italiani hamostrato come queste unità produttive utilizzassero una plu-ralità di forme attraverso le quali organizzare le proprie attivi-tà produttive a livello internazionale. Mentre soltanto pocomeno del 12% delle imprese intervistate aveva utilizzatoforme di internazionalizzazione di tipo equity (Ide), più del40% aveva attivato relazioni produttive “stabili” di fornituracon imprese estere, principalmente ubicate in paesi dell’Ue,oppure aveva fatto ricorso (anche se meno frequentemente)alla sub-fornitura presso conto terzisti, generalmente localizza-ti in economie emergenti come quelle dell’est-europeo.

3.5.Turbolenza e dispersione della redditività di impresa Una delle principali caratteristiche di questi anni, spesso non

sufficientemente sottolineata, è stata il peggioramento dellaredditività delle imprese distrettuali rispetto a quelle non-distrettuali e la maggiore eterogeneità della loro performance.

L’esame di diversi indicatori di profittabilità - come il rappor-to tra Mol e fatturato, o il Roi - evidenzia come nel corso delperiodo 2002-2004 in presenza di una flessione complessivadegli indici di redditività che ha interessato sia le imprese di-strettuali che quelle non-distrettuali, la profittabilità mediadelle imprese distrettuali sia stata sistematicamente inferiorerispetto a quella delle unità produttive operanti in aree non-di-strettuali (Banca Intesa, 2006). Il valore medio del Roi nel pe-riodo 2002-2004 è stato infatti pari per le imprese distrettua-li al 7,6%, mentre quello delle imprese non-distrettuali ha se-gnato un valore pari all’8%.

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

trario di quanto avviene nel caso della propensione all’export,non sembrano mostrare una maggiore propensione ad investi-re all’estero rispetto alle aree non-distrettuali. Ciò non devesorprendere. Infatti, gli investimenti diretti sono generalmentepiù elevati in settori ad alta intensità di capitale o in industriecaratterizzate dalla presenza di imprese di grande dimensione.Ciò può quindi spiegare perché un sistema industriale comequello italiano, caratterizzato da una forte presenza di sistemilocali di piccola impresa e di distretti industriali, presenti unlivello di Ide, in rapporto al Pil, inferiore rispetto a quello chesi rileva in altre economie industrializzate.

3.4.Altre forme di internazionalizzazione L’internazionalizzazione non si esaurisce soltanto negli Ide.

Le imprese manifatturiere e soprattutto quelle ubicate neidistretti industriali adottano generalmente anche diverseforme non-equity di internazionalizzazione commerciale eproduttiva.

L’internazionalizzazione commerciale che ha un ruolo fonda-mentale in taluni comparti del made in Italy tende a realizzarsiprincipalmente con azioni che interessando la catena commer-ciale e distributiva hanno lo scopo di meglio presidiare i merca-ti di sbocco.Tra queste azioni si ricordano l’allestimento di showroom, la sottoscrizione di accordi di franchising, il consolida-mento dei rapporti con agenti, importatori o distributori locali.Si tratta di fenomeni generalmente poco studiati, ma tuttavia difondamentale importanza per comprendere i processi di inter-nazionalizzazione delle imprese distrettuali.

Per quanto concerne invece l’internazionalizzazione produtti-va questa può assumere la forma di accordi di fornitura e sub-fornitura, di joint venture ed, in generale, di rapporti di naturacooperativa di tipo non-equity con imprese operanti in paesidiversi.

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L’INTERNAZIONALIZIONE DEL SISTEMA INDUSTRIALE ITALIANO

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anche in taluni casi di saper ampliare le proprie quote di mer-cato, conquistandone anche di nuovi. Altre imprese - tipica-mente i cosiddetti operatori “marginali” del distretto comesub-fornitori di capacità e/o imprese finali che non avevanoadottato le necessarie contromisure alle nuove sfide competi-tive - hanno subito in questi anni un drammatico ridimensio-namento delle loro performance, costringendo alcune di essead uscire dal mercato. Questi comportamenti hanno ampliatole differenze di performance tra le imprese distrettuali renden-do spesso difficile comprendere come all’interno dello stessodistretto si potessero trovare imprese con performance moltoelevate e altre invece che si trovavano in una situazione dinotevole difficoltà.

Questa eterogeneità nella performance delle imprese è statoal centro anche dei problemi interpretativi che hanno caratte-rizzato questa fase della storia economica italiana. L’osservazio-ne che in “media” le imprese italiane andavano male (tipica dichi guarda ai fatti economici utilizzando dati aggregati) nonteneva conto che questi valori “medi” nascondevano comporta-menti molto differenziati. Questi comportamenti oscillavanotra quelli di imprese in grande difficoltà che finivano per esse-re espulse dal mercato (soprattutto nel tessile-abbigliamento enel calzaturiero) e quelli di imprese che invece registravanorisultati di tutto rispetto, se non addirittura eccezionali in alcu-ni casi, sia in termini di crescita che di profittabilità. Chi guar-dava non soltanto ai dati macroeconomici, ma anche alleimprese e ai loro comportamenti, si era già parzialmente resoconto che qualcosa non tornava nella tesi del declino.

3.6.La risposta dei distretti italianiComprendere cosa sia successo in questi anni e quindi giu-

stificare l’eccezionale performance in termini di export fattaregistrare dai distretti industriali nel corso del periodo 2006-

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

Un altro aspetto ha riguardato l’aumento della dispersionedella redditività di impresa. In generale, le imprese operanti neidistretti industriali hanno mostrato una maggiore eterogeneitànelle performance: ossia, hanno evidenziato rispetto alleimprese non-distrettuali maggiori differenze di redditività tra ipeggiori ed i migliori. Tale fenomeno è stato particolarmenteintenso per le imprese operanti nei distretti della meccanicastrumentale ed in quelli del sistema moda. In questi distretti ledifferenze di performance tra le imprese distrettuali sono statemolto più elevate rispetto a quelle riscontrate tra le impresenon-distrettuali. Al contrario, nei distretti alimentari il com-portamento delle imprese distrettuali è stato molto simile aquello delle imprese non-distrettuali.

Le evidenze appena riportate segnalano come il periodo disofferenza che ha caratterizzato le vicende dei distretti indu-striali italiani tra il 2002 ed il 2004 non sia stato vissuto nellostesso modo e con la stessa intensità da tutte le impresedistrettuali. Alcune imprese che avevano già adottato strategiedi risposta al mutato scenario competitivo internazionalehanno fatto registrare in questo periodo performance di tuttorispetto. Ciò ha consentito a queste unità produttive, non sol-tanto di attraversare sostanzialmente indenni questi anni, ma

INDICATORI DI REDDITIVITÀ IMPRESE DISTRETTUALIE NON-DISTRETTUALI: 2002-2004

IMPRESE IMPRESE DISTRETTUALI NON-DISTRETTUALI

CRESCITA FATTURATO 2002-04 4,3 6,2MOL/FATTURATO (MEDIA 02-04) 8 8,5MOL/FATTURATO 2002 8,5 8,8MOL/FATTURATO 2003 8 8,5MOL/FATTURATO 2004 7,7 8,2ROI (MEDIA 02-04) 7,6 8ROI 2002 8,4 8,5ROI 2003 7,3 7,8ROI 2004 7,1 7,6

FONTE: BANCA INTESA (2006)

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le imprese, che ha portato alla eliminazione di quelle unità cheproducevano beni di bassa qualità a vantaggio di quelle specia-lizzate in produzioni qualitativamente più elevate. Il muta-mento intervenuto nella composizione delle imprese esporta-trici, con il crescente peso delle produzioni di qualità più ele-vata, si è tradotto quindi in un aumento dei valori medi unita-ri. Questo sembra essere stato, a parere di alcuni studiosi, ilmeccanismo prevalente in molti settori tradizionali italiani(Bugamelli, 2007). Alcuni studi confermano come le impreseitaliane abbiano risposto alla sfida delle produzioni cinesiinnalzando la qualità dei loro prodotti. Esaminando la quota dimercato sull’export di Italia e Cina in due paesi europei - Fran-cia e Germania - per tre diverse tipologie di prodotti del madein Italy (calzature, abbigliamento e mobili) nel corso di treanni diversi (il 1999, il 2002 ed il 2005) una recente ricercamostra come la forte crescita del peso della Cina abbia pena-lizzato significativamente le nostre esportazioni (Ice, 2007). Laquota di mercato italiana per queste tre tipologie di beni èinfatti passata tra il 1999 ed il 2005 dal 10,3% al 8,9% in Fran-cia e dall’8,4% al 6,3% in Germania. Le imprese italiane sonotuttavia riuscite a reagire alla sfida cinese, esportando questiprodotti del made in Italy in Francia ed in Germania a prezzisuperiori. Tali prezzi hanno superato anche di tre volte quellidei prodotti cinesi. Tale differenza di tipo qualitativo sembraaccentuarsi nel tempo, a riprova del fatto che le imprese italia-ne stanno proseguendo in questa strategia di upgrading quali-tativo.

3.6.2. Il riposizionamento geografico delle esportazioniLa seconda tipologia di risposta adottata dalle imprese italia-

ne ha riguardato il loro riposizionamento geografico rispetto aimercati di sbocco. Le imprese italiane ed in particolare quelleubicate nei distretti industriali si sono sottratte dalla concor-

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UNA SFIDA VINCENTE DELLE PMI E DEI DISTRETTI ITALIANI

2007 significa esaminare le principali trasformazioni chehanno interessato queste struttura produttive e che ha consen-tito loro di rispondere alle nuove sfide competitive collegatead uno scenario internazionale profondamente mutato. Natu-ralmente, essendo passato poco tempo da questi avvenimenti,questa analisi, da un lato, non può che essere di tipo indiziarioe, dall’altro, deve necessariamente mettere assieme dati, fatti,osservazioni e percezioni di fonte diversa. Solo nei prossimianni si potrà procedere ad una analisi di natura più sistemati-ca capace di evidenziare quale degli indizi che stiamo per pre-sentare ha agito con maggiore intensità su questi processi.

L’analisi di questo insieme di indizi suggerisce l’idea che leimprese distrettuali abbiano messo in atto una serie di risposteche possono essere sinteticamente raggruppate in cinquediverse tipologie.

3.6.1. Il riposizionamento qualitativo delle esportazioni La prima tipologia di risposte ha riguardato il riposiziona-

mento qualitativo delle imprese italiane su segmenti di merca-to di fascia alta o medio-alta. L’aumento dei valori medi unita-ri delle esportazioni, calcolati come il rapporto tra il valore e laquantità delle merci esportate, fenomeno che si è registrato inquesti ultimi anni, viene infatti generalmente interpretatocome il risultato dell’innalzamento della qualità dei prodottiesportati. La crescita dei valori medi unitari è stata infatti con-siderevole anche se confrontata con la dinamica mondiale econ quella dei nostri principali concorrenti. Questo processosembra essersi realizzato in due diversi modi. In primo luogo,le imprese, nel tentativo di sottrarsi alla crescente concorrenzainternazionale, hanno aumentato la qualità delle loro produ-zioni in termini di design, materiali e componenti utilizzati,ecc. In secondo luogo, la pressione competitiva proveniente dainuovi produttori ha innescato un meccanismo di selezione tra

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numero degli addetti occupati in questa forma organizzativa diimpresa pari al 4%. Recenti ricerche hanno inoltre evidenzia-to come i gruppi siano particolarmente diffusi anche all’inter-no dei distretti industriali.5 In questi lavori viene infattimostrato come: (i) nei distretti industriali la diffusione deigruppi di impresa sia più massiccia che nelle aree non-distret-tuali; (ii) esiste una specifica forma organizzativa dei gruppioperanti in un distretto industriale, che viene per l’appuntodefinita ‘gruppo distrettuale’. Il ‘gruppo distrettuale’ è unaarchitettura organizzativa costituita da un insieme di impresegiuridiche con sede legale nell’area distrettuale ed operanti inuna delle diverse fasi della filiera produttiva del distretto. L’uti-lizzo dell’Archivio Gruppi sviluppato dall’Istat per il 2001 haconsentito di generalizzare questi risultati al complesso deidistretti industriali italiani. Alcune informazioni tratte da que-sta banca dati possono esserci utili: la diffusione di impreseappartenenti a gruppi di impresa, misurata dal rapporto tra ilnumero delle imprese appartenenti al gruppo sul numero disocietà di capitali, è pari al 20,6% nei distretti alimentari (con-tro il 17,8% nelle aree non-distrettuali), al 21,8% nei distrettidel tessile-abbigliamento (contro il 17,4% nelle aree non-distrettuali), al 15,9% nelle distretti della pelle e calzature(contro il 14,7% nelle aree non-distrettuali), al 25,3% neldistretti del mobile (contro il 18,7% nelle aree non-distrettua-li) ed infine al 25,8% nei distretti meccanici (contro il 22,3%nelle aree non-distrettuali).

Oltre ai gruppi che sono architetture organizzative che rac-colgono sotto un medesimo vertice un insieme di imprese giu-ridicamente autonome si segnala anche la crescita della dimen-sione giuridica di alcune imprese: fenomeno anche noto comequello delle medie imprese. Queste imprese, che vengono defi-

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renza dei nuovi produttori cercando nuovi mercati di sbocco.Tra questi si segnalano - come abbiamo già visto - il mercatorusso, che è diventato di fondamentale importanza per le pro-duzioni italiane nell’abbigliamento, nelle calzature, e nel mobi-le, ecc. ma anche nei beni di investimento. Altri mercati comequello cinese hanno assunto un ruolo di rilevo per alcune pro-duzioni come quella conciaria, per il quale è diventato il prin-cipale mercato di sbocco. Complessivamente, pur rimanendofondamentale la domanda proveniente dai paesi dell’Ue a 15ed in particolar modo quella proveniente dal mercato tedescosi segnala la crescita delle esportazioni dei distretti italianiverso i paesi vicini non Ue a 15 come la Russia o la Polonia.

3.6.3.L’aumento della dimensione strategica ed organizzativa delle imprese

La terza tipologia di risposta fa riferimento alla scelta adot-tata da molte imprese, soprattutto quelle ubicate nei distrettiindustriali, di aumentare la propria dimensione strategica edorganizzativa. Numerose evidenze possono essere portate asupporto di questa tesi. In primo luogo, i dati di fonte Movim-prese segnalano come nel corso del periodo in esame siaaumentato, tra le imprese attive nell’industria manifatturiera,il peso delle società di capitale rispetto a forme societariemeno strutturate come le ditte individuali e le società di per-sone.

Altre informazioni segnalano come sia in aumento anche ladiffusione dei gruppi di imprese. In base alle più recenti infor-mazioni Istat (2006b) l’incidenza dei gruppi è stata pari nelcorso del 2003 al 20% delle società di capitale, con un pesosull’occupazione del 57% e del 50% sul volume d’affari. Col-locandoci in una prospettiva dinamica, la diffusione dei grup-pi di impresa rilevata nel 2003 è significativamente superiorerispetto a quella dell’anno precedente con un aumento del

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5 Su questo tema si rimanda ad alcuni nostri recenti contributi Brioschie Cainelli (2001); Brioschi et al. (2002); Cainelli e Iacobucci (2007).

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re associare la crescita dimensionale e strategica di moltemedie imprese che hanno finito con l’assumere un ruolo di lea-dership all’interno dei distretti sia in termini di attività innova-tiva che di espansione internazionale.

Come si può ben comprendere il complesso di questi feno-meni ha alterato in modo significativo la struttura dei distrettiindustriali italiani, trasformandoli da forme organizzative“piatte” dove l’effetto di sistema tende a prevalere sui compor-tamenti e sulle strategie delle singole imprese a forme più ver-ticalizzate dove un core di medie imprese/gruppi leader,governando le transazioni all’interno e fuori dal distretto ed iprocessi di internazionalizzazione, ha finito con il trasformarela loro struttura organizzativa e produttiva. I dati sin qui pre-sentati fanno per l’appunto pensare che negli anni oggettodella nostra analisi molti distretti italiani siano stati interessatida un processo di trasformazione strutturale di questo tipo.Non è quindi un caso che i distretti che hanno saputo meglioaffrontare questo periodo di intensa pressione competitivasiano quelli dove maggiore è la diffusione dei gruppi (si pensiai distretti meccanici dell’Emilia Romagna come quello dellemacchine per il packaging di Bologna e quello delle macchineagricole di Reggio Emilia e Modena) o quelli dove è più mar-cata la presenza di medie imprese strutturate. Tra questi sisegnalano il distretto di Livenza-Piave nei mobili, quello diCusio-Valsesia nella rubinetteria, ed infine quelli di Montebel-luna e di Fermo nelle calzature.

3.6.4.La ri-specializzazione nella produzione di beni intermedi e strumentali

La quarta tipologia di riposta fa invece riferimento al pesocrescente dei produttori di beni intermedi e strumentali: ossia,dei produttori di parti e componenti per la meccanica e dimacchinari per la produzione di beni del made in Italy. Tale

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nite come unità produttive con una dimensione compresa trai 50 ed i 499 dipendenti ed un fatturato compreso tra i 13 edi 290 milioni, hanno conosciuto nel corso degli ultimi anni unanotevole diffusione. Lo studio Mediobanca-Uniocamere(2007) stima per il 2006 una presenza di circa 4.000 medieimprese che occupano complessivamente 574 mila dipenden-ti contribuendo al 34,5% delle vendite all’estero italiane. Intermini di valore aggiunto le medie imprese rappresentano il14% dell’industria manifatturiera italiana: valore che aumentaal 22% includendo l’indotto. La maggiore densità di questeunità produttive si rileva nelle regioni settentrionali ed in quel-le dell’Italia centrale. Nel Mezzogiorno sono invece moltomeno diffuse, con l’eccezione rappresentata dalle aree diNapoli e Bari.6

Le analisi sulla diffusione dei gruppi e delle medie impresenel tessuto industriale italiano e soprattutto nei distretti indu-striali italiani hanno consentito di meglio comprendere i pro-cessi di trasformazione e di ri-organizzazione che si stavanorealizzando all’interno dei sistemi locali di piccola e mediaimpresa. La diffusione dei gruppi ha consentito di evidenziarecome all’interno di molti distretti ed in particolare di quellimeccanici si stavano compiendo dei processi di gerarchizzazio-ne dei rapporti tra imprese. I tradizionali rapporti di sub-forni-tura di lungo periodo tra sub-fornitori ed impresa committen-te sono stati sostituiti con legami di natura proprietaria,aumentando in tal modo il grado di gerarchizzazione deidistretti. Al contempo, l’acquisizione da parte di alcune impre-se finali di concorrenti, fenomeno che si è realizzato soprattut-to nei periodi di crisi, ha determinato un aumento del livellodi concentrazione di molti distretti. A questi fenomeni occor-

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6 Va tuttavia segnalato come proprio nelle regioni meridionali il numerodelle medie imprese tenda ad aumentare in misura più significativarispetto alle regioni settentrionali.

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filiera locale, il ridimensionamento delle tradizionali attivitàmanifatturiere, ed un forte sviluppo nel comparto della produ-zione di beni strumentali.

3.6.5.Più capitale umano ed attività innovativa formalizzataLa quinta ed ultima tipologia di risposta ha riguardato il

capitale umano e l’attività innovativa “formalizzata”: da sem-pre due punti di debolezza del sistema distrettuale italiano.L’interpretazione tradizionale assegna a queste due variabili unruolo del tutto marginale. In altre parole, si dice che le impre-se distrettuali tendano ad assumere personale poco qualificato,almeno in termini di livelli di istruzione formale, e soprattuttoa fare poca attività innovativa. Tipicamente, si sostiene che neidistretti si realizza principalmente attività innovativa “non-for-malizzata”. Questo è certamente ancora vero e per certi versicostituisce ancora una specificità del modello distrettuale. Tut-tavia, nel corso degli ultimi anni - come alcune analisi hannoevidenziato - è aumentato sia il peso del capitale umano chequello della attività innovativa formalizzata. Per esempio in unrecente lavoro (Mediobanca-Unioncamere, 2008) si rilevacome nei distretti industriali italiani siano aumentate le assun-zione di lavoratori qualificati (soprattutto laureati), soprattut-to ad opera delle medie imprese ubicate al loro interno. Inun’altra ricerca, riferita ai distretti della Toscana e dell’EmiliaRomagna e che utilizza le informazioni tratte dalla banca datiExcelsior di Uniocamere per il 2004, viene mostrato come leimprese operanti nei distretti alimentari ed in quelli meccani-ci di queste due regioni tendano ad assumere, in misura mag-giore rispetto alle analoghe imprese ubicate in aree non-distrettuali, manager, lavoratori altamente qualificati e tecnici(Cainelli e Ferrante, 2008).

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processo ha fatto sì che le specializzazioni produttive deidistretti industriali italiani si siano spostate dalle originarieproduzioni di beni finali alla produzione dei macchinari per laloro produzione (macchine per l’agricoltura, macchine utensi-li, macchine per l’imballaggio, motori, ecc.). Esempi a questoproposito non mancano: dal distretto calzaturiero di Vigevanoche è passato dalla produzione di calzature ad area specializ-zata nella realizzazione di macchine per la produzione di cal-zature. Esempi analoghi si ritrovano nel distretto ceramico diSassuolo, in quello parmense dell’alimentare, o in quello dellaproduzione di moto dell’area bolognese.

Questi fenomeni hanno quindi comportato uno spostamen-to lungo la filiera produttiva a favore delle produzioni a montecome quelle dei beni intermedi e di quelli strumentali. Talefenomeno appare particolarmente intenso nel settore alimen-tare, in quello meccanico ed in quello tessile, anche se in real-tà sembra aver investito, in una certa misura, tutti i settori dispecializzazione del made in Italy (De Arcangelis e Ferri,2005). Le relazioni inter-industriali che si sviluppano a livellolocale tra i produttori di beni finali ed i produttori di macchi-nari dedicati sono stati spesso alla base di molte delle innova-zioni sviluppate da queste imprese. Recenti studi hanno inol-tre mostrato come la ri-specializzazione di alcuni distrettiindustriali italiani dai beni finali a quelli strumentali sia anda-ta di pari passo con la delocalizzazione produttiva, soprattut-to, nei paesi dell’Europa orientale e ciò alla ricerca di vantaggidi costo. Una interpretazione di questo fenomeno è che alcunidistretti abbiano tentato di mantenere la propria competitivi-tà nella produzione di beni finali del made in Italy, attraversoprocessi di outsourcing produttivo, favorendo in tal modol’esportazione di macchinari necessari alla produzione di que-sti beni. Per esempio, nei distretti del tessile-abbigliamento si èregistrata una forte crescita di nuove funzioni all’interno della

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ALCUNE OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

In questo lavoro abbiamo tentato di mostrare come il recen-te boom dell’export delle produzioni del made in Italy, registra-to nel biennio 2006-2007 dopo un periodo caratterizzato daun profilo di crescita delle esportazioni e del Pil molto mode-sto, non emerga come un’inspiegabile anomalia, una sorta divolo del calabrone, ma piuttosto come il risultato di un proces-so di profonda trasformazione strutturale ed organizzativa del-l’industria manifatturiera italiana che si è realizzato, principal-mente, all’interno dei distretti industriali.

Analizzando il dibattito che è stato condotto in Italia a par-tire da questi “fatti” emerge come in realtà in pochi avevanocreduto che un sistema produttivo come quello italiano com-posto da tante piccole imprese, specializzate in produzioni“sbagliate” come quelle tipiche del made in Italy fosse in gradodi affrontare le nuove sfide della concorrenza internazionale.Non a caso questo dibattito si è andato sviluppando seguendodue diverse impostazioni. Da un lato abbiamo avuto coloroche hanno ritenuto e ritengono tuttora che il sistema indu-striale italiano abbia imboccato un sentiero di inesorabiledeclino proprio a causa di alcune sue caratteristiche “struttu-rali” come la modesta dimensione delle imprese (almenorispetto ai principali concorrenti internazionali), la scarsa pro-pensione alla attività innovativa “formalizzata” (quella percapirci misurata in termini di brevetti e di spese in R&S), laspecializzazione in settori tradizionali come l’alimentare, ilcalzaturiero, il tessile-abbigliamento, ecc. Alla base di questainterpretazione, non nuova nel dibattito italiano, sono riecheg-giate nostalgie per un modello di sviluppo industriale fondatosulla grande impresa, sulle economie di scala, e su un patterndelle specializzazioni produttive focalizzate su settori ad ele-

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Per quanto concerne il primo aspetto, uno dei problemi fon-damentali è certamente costituito dalla modesta propensioneall’attività innovativa “formalizzata” delle imprese italiane. Lestatistiche relative al numero di brevetti e di ricercatori, allaquota delle spese in R&S sul fatturato, ecc. vedono, infatti, l’in-dustria italiana agli ultimi posti sia nelle graduatorie europeeche in quelle riferite alle maggiori economie industrializzate.Tuttavia, se l’attività innovativa viene intesa come un fattorecompetitivo di natura multi-dimensionale che va dalla tecno-logia e dai nuovi prodotti al design e al marketing non si puòcertamente dire che anche le piccole e medie imprese distret-tuali non realizzino attività di questo tipo. Il vero problemadell’Italia dunque non è che si faccia poca innovazione a livel-lo di piccole imprese e di distretti nei settori tipici del made inItaly, ma che vi siano pochi grandi gruppi (i “Pilastri”) in gradodi svolgere attività di brevettazione e di R&S nei settori del-l’auto, della chimica-farmaceutica, dell’aereo-spazio, delladifesa e dell’elettronica-tlc, settori in cui il nostro paese puòvantare solo due gruppi (Finmeccanica e Fiat) capaci di spen-dere oltre mezzo miliardo di euro all’anno in ricerca, contro i15 della Germania, i 10 della Francia e i 6 del Regno Unito. Peresemplificare questo concetto ricordiamo che la spesa in ricer-ca dell’Italia è pari all’1,1% del Pil mentre in Germania è del2,5% grazie principalmente al cospicuo apporto dei quattrograndi gruppi tedeschi dell’auto e della relativa componentisti-ca (Daimler-Chrysler, Volkswagen, Bmw e Bosch) che com-plessivamente destinano alla ricerca oltre 15 miliardi di euroall’anno. Un simile divario tra Italia e Germania è praticamen-te incolmabile e non potrebbe essere ridotto se non in unaminima percentuale anche se tutte le piccole e medie impreseitaliane decuplicassero da un anno all’altro i loro investimentiin R&S. Viceversa, se per ipotesi astratta invertissimo l’indu-stria dell’auto tra Germania e Italia, ciò porterebbe la spesa in

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vato contenuto tecnologico. Dall’altro lato, ci sono stati coloroche, passando al setaccio le tante realtà imprenditoriali di suc-cesso della provincia italiana, hanno individuato nelle caratte-ristiche dei distretti industriali italiani e, più in generale, deisistemi locali di piccola e media impresa quelle capacità diadattamento dal punto di vista produttivo, organizzativo estrategico alle nuove condizioni del quadro internazionale chesi sono poi rivelate fondamentali nella storia che vi abbiamoraccontato. In questi anni infatti nei distretti industriali si èassistito, come abbiamo tentato di mostrare, all’emergere dinuovi attori come le medie imprese, i gruppi, ecc. che hannoassunto un ruolo di leadership sia nei processi innovativi che inquelli di internazionalizzazione.

Il risultato di questi processi è stato una crescente gerarchiz-zazione delle relazioni tra imprese all’interno dei distretti edun aumento della loro concentrazione industriale. L’emergeredi un core oligopolistico di medie imprese e di forme organiz-zative di impresa strutturate lungo le diverse filiere produttivee, al contempo, l’espulsione di sub-fornitori e di imprese finalinon più competitive, rappresenta la chiave di lettura piùappropriata per spiegare i processi di internazionalizzazioneche hanno interessato il sistema industriale italiano a partiredal 2002.

Nonostante il quadro fondamentalmente positivo che emer-ge dalla nostra analisi non possiamo naturalmente tacere imolti problemi che ancora affliggono il sistema industriale ita-liano. Questi possono essere distinti a seconda che faccianoriferimento a “specifiche” caratteristiche del sistema industria-le italiano o si riferiscano, invece, alle più “generali” inefficien-ze del sistema paese quali l’elevato stock del debito pubblico,il deficit energetico, ed il persistente differenziale di sviluppoeconomico e sociale tra regioni del Centro-Nord e quelle delMezzogiorno.

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addirittura 52 miliardi rispetto alla Spagna. Paesi che cresconotutti più di noi anche perché non hanno un simile fardellosulle spalle: una formidabile idrovora che prosciuga risorsepreziose che l’Italia potrebbe altrimenti destinare alla realizza-zione di nuovi investimenti infrastrutturali, favorendo così unapiù marcata dinamica degli investimenti e quindi una maggio-re crescita del Pil.

Il secondo problema dell’Italia è quello del deficit energetico,che nel 2006 ha rappresentato un passivo di ben 50 miliardi dieuro a carico della nostra bilancia commerciale con l’estero, lapiù alta “bolletta” energetica nella Ue dopo quella della Ger-mania, che tuttavia ha 24 milioni di abitanti in più del nostroPaese e gode di condizioni climatiche e di ore di luce giorna-liere assai meno favorevoli delle nostre, con un conseguentemaggior consumo di energia per unità di Pil. Nel campo del-l’energia l’Italia sconta drammaticamente l’abbandono delnucleare e la sua dipendenza da petrolio e gas, mentre altrenazioni europee hanno il nucleare, il carbone o addiritturaestraggono idrocarburi come la Gran Bretagna. Basti pensareche rispetto agli inglesi, che presentano solo un modesto defi-cit commerciale per l’energia (8,3 miliardi di euro nel 2006),noi partiamo ogni anno con un handicap energetico di quasi42 miliardi di euro. Sommando questo handicap a quello cita-to per gli interessi sul debito pubblico, il nostro handicap tota-le annuo rispetto agli inglesi diventa di oltre 70 miliardi dieuro. Senza contare che il Pil inglese cresce molto anche permerito del valore aggiunto generato direttamente dalla propriaindustria estrattiva nel settore energetico.

La terza problematica dell’Italia è quella del divario Nord-Sud, che va sempre più aggravandosi. È sufficiente qui sottoli-neare che nel Mezzogiorno, dove vive una popolazione che èall’incirca doppia rispetto a quella del Portogallo, il reddito procapite a parità di potere d’acquisto è inferiore a quello del Por-

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ricerca dell’Italia rapportata al Pil al 2,1% e quella della Ger-mania all’1,9%. Il che evidenzia la reale carenza del sistemaproduttivo italiano, ossia la mancanza di grandi imprese ingrado di farsi carico della ricerca “formale” opposta alla ricerca“informale” effettuata dalle nostre piccole e medie imprese enon “catturata” dalle statistiche. Occorre essere consapevoliche il ritardo dell’Italia nella ricerca rispetto agli altri paesiindustrializzati non può essere colmato nel breve periodo.Rispetto a questo orizzonte temporale si possono soltantoindividuare ed implementare azioni che esplicitino e raccordi-no la ricerca e sviluppo non formalizzata e creino nel paese unnuovo rapporto tra ricerca pubblica e privata, avvicinando idistretti industriali alla ricerca universitaria e ai Laboratori erafforzando le interconnessioni con i “Pilastri”. In questa dire-zione sono necessari interventi strutturali su:

PILASTRI: per rinforzare le grandi imprese esistenti capaci diassumere dimensioni innovative a livello europeo;DISTRETTI: per rafforzare le piccole e medie imprese che vioperano anche favorendo la crescita dimensionale delleimprese;LABORATORI: per ricostruire gli Enti dove si fa ricerca scienti-fico-tecnologica;RETI: per creare sinergie tra Pilastri, Distretti, Laboratori.Per quanto concerne le più generali inefficienze del sistema

paese queste possono essere identificate, come abbiamo giàvisto, nel debito pubblico, nel deficit energetico e nel divarioNord-Sud.

Il primo e più grave di questi problemi è certamente quellodel debito pubblico. Per comprenderne la portata è sufficientericordare che ogni anno, solo per il pagamento degli interessisul debito, l’Italia parte con un handicap rispetto agli altri mag-giori paesi Ue di svariati miliardi di euro: 21 miliardi in piùrispetto alla Francia, 29 miliardi rispetto alla Gran Bretagna e

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togallo stesso, e che il contributo del Mezzogiorno alla cresci-ta dell’export italiano nel 2006-2007 è stato in valore assailimitato e quasi irrisorio se si esclude il contributo di alcunegrandi imprese di autoveicoli e di raffinazione petrolifera.

Sia i problemi specifici al sistema industriale italiano siaquelli che invece si riferiscono al sistema paese richiedono, daun lato, l’adozione di una strategia complessiva di politica eco-nomica che ponga l’innovazione e l’internazionalizzazione alcentro della sua azione e, dall’altro, che venga rilanciato il temadel capitale civile ed istituzionale quale elemento imprescindi-bile per una crescita economica che sappia coniugare il pro-gresso economico con quello civile ed istituzionale (QuadrioCurzio e Fortis, 2007). Solo in questo modo l’economia italia-na potrà tornare ad imboccare un sentiero di crescita di lungoperiodo, dove le sue diverse componenti siano in grado di cre-scere in modo equilibrato e coerente.

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SIMEST

UN’OPERATORE AL SERVIZIODELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA DELLE IMPRESE

Tra gli operatori più importanti che a livello italiano pro-muovono i processi di internazionalizzazione delle impresesi segnala l’attività della SIMEST (Società Italiana per leimprese all’estero). La mission di questa società, che con-tava nel 2006 più di 150 dipendenti, si articola su tre livelli:

la partecipazione al capitale di società estere; l’individuazione di investimenti e l’assistenza economico-finanziaria ed, infine, la gestione di strumenti pubblici per l’internazionalizza-zione. Concretamente, la SIMEST affianca le imprese ita-liane in tutte le fasi che riguardano il loro processo diinternazionalizzazione. Può quindi essere utile indicare latipologia di intervento posto in essere dalla SIMEST inciascuna delle fasi che tipicamente caratterizzano taleprocesso. Nella fase di analisi dei mercati esteri l’inter-vento della SIMEST si concretizza nel finanziamento deglistudi di fattibilità e nell’assistenza tecnica; nella penetra-zione commerciale in mercati extra Ue nel finanziamentodi programmi di penetrazione commerciale; nella parteci-pazione a gare internazionali extra Ue nel finanziamentodei costi connessi alla partecipazione alle gare; nel-l’esportazione di beni strumentali nella stabilizzazione deitassi sui finanziamenti per export di beni di investimento;nella individuazione di opportunità di investimento l’attivi-tà della SIMEST si concretizza nel business scouting(ossia, nella ricerca di partner e di opportunità di investi-

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nello sviluppare azioni specifiche verso i cosiddetti paesiBRIC (Brasile, Russia, India e Cina) ed, infine, nell’intraprendere nuove iniziative verso i paesi focuscome il Sudafrica, i paesi produttori di energia, i Paesi delGolfo, il Messico e l’area del Sud-Est asiatico. Dal punto di vista settoriale, la SIMEST intende invece

muoversi sia rispetto a settori di eccellenza del sistemaindustriale italiano come l’automazione meccanica, l’agro-alimentare, l’abbigliamento-moda e l’arredamento casa siarispetto a settori focus come le infrastrutture e la logistica,l’impiantistica, la cantieristica navale, l’elettromeccanica, lachimica (cosmetica) e le specialità farmaceutiche, l’energiae l’ambiente ed infine i servizi finanziari.

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mento in paesi non Ue) e nel match making (ossia, nellaattività di affiancamento e di assistenza durante gli incon-tri con i partner esteri selezionati e con le banche locali,gli studi legali, ecc.); negli investimenti in aziende esterenella partecipazione SIMEST al capitale sociale dellesocietà estere, in un Fondo Venture Capital ed infine nellariduzione degli interessi sul finanziamento della quotadella azienda italiana. Le attività della SIMEST hanno conosciuto, nel periodo

esaminato in questo lavoro, una notevole espansione. Men-tre nel 2002 il numero dei progetti di partecipazione dellaSIMEST al capitale di società estere era pari a 569, nelcorso del 2007 tale numero è quasi raddoppiato toccandoun valore pari a 939. La notevole crescita delle attività dellaSIMEST è anche documentata dall’incremento fatto regi-strare dai ricavi netti e dall’utile netto, passati rispettiva-mente nel corso di questi anni dai 31,5 milioni di euro del2002 ai 39,4 del 2006 e dai 7,2 milioni del 2002 ai 8,6 milio-ni del 2006. Le maggiori criticità incontrate dalla SIMESTnella sua attività di sostegno ai processi di internazionaliz-zazione delle imprese italiane sono riconducibili, principal-mente, alla modesta dimensione delle aziende (per lo più dipiccola e media dimensione), alla qualità del management ealle difficoltà di ordine burocratico, culturale e logistico chesi incontrano nell’approcciare nuovi Paesi.

Nei prossimi anni la SIMEST intende muoversi lungo duediverse direttrici strategiche.

La prima di carattere geografico, consisterà nel rafforzamento delle relazioni esistenti con paesi qualila Turchia, la Serbia, l’Arabia Saudita, l’Egitto e gli Usa, nella promozione di nuove attività in aree come l’Africamediterranea, quella danubiana-balcanica e nell’Europaorientale;

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CRANEC

Il Centro Ricerche in Analisi Economica e SviluppoEconomico Internazionale (CRANEC) è stato fondato nel1977 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Il CRANEC sviluppa la ricerca di base ed applicata in analisieconomica, economia internazionale e sviluppo economicocon particolare riguardo:

ai sistemi economici in diversi gradi di sviluppo in conte-sti locali, nazionali, internazionali, sovranazionali;alle dinamiche della tecnologia, alla sua diffusione internaed internazionale e alla disponibilità delle risorse naturalied ambientali; alla globalizzazione e alla new economy da un punto divista macroeconomico e istituzionale specie con riferi-mento ad una prospettiva italo-europea. ai livelli di governo che favoriscono uno sviluppo econo-mico equilibrato e sostenibile orientato dai principi di sus-sidiarietà, interdipendenza e solidarietà.

ContattiUniversità Catttolica del S. CuoreVia Necchi, 5 – 20123 Milano Miwww.unicatt.itOrari di accesso:lunedì - venerdì dalle 9.00 alle 14.00Tel. 02 7234.2474; Fax: 02.7234.2475

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ASSOCAMERESTERO

ASSOCAMERESTERO è l´Associazione delle Camere diCommercio Italiane all´Estero, nata alla fine degli anni ´80per valorizzare le attività delle Camere e per diffondere la co-noscenza della rete delle CCIE presso le istituzioni italianeed internazionali e presso le organizzazioni imprenditoriali.

Assocamerestero svolge una costante azione di indirizzostrategico per le attività svolte dalle Camere di CommercioItaliane nel mondo a sostegno dell’ internazionalizzazionedelle PMI e la promozione del Made in Italy, rappresentan-do le esigenze e le potenzialità delle CCIE attraverso un’as-sistenza specifica, sia sul versante organizzativo che suquello progettuale. La sua funzione di rappresentanza e dilobbyng istituzionale è avvalorata dalla continua ricerca dicollaborazioni con soggetti pubblici e privati e da un’inten-sa azione di comunicazione verso i media italiani, le istitu-zioni e le imprese.

I PRINCIPALI PRODOTTI E SERVIZI DELL’ASSOCIAZIONE

Attività di assistenza e di supporto alle CCIE Assocamerestero punta allo sviluppo organizzativo della

rete camerale, che promuove costantemente attraversoazioni di:

prima assistenza ai promotori di nuove Camere di Com-mercio Italiane all’Estero secondo le modalità richiestedal Ministero del Commercio Internazionale in base allalegge 518/70; orientamento per l’accesso ai co-finanziamenti del Mini-

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rano le CCIE Rapporto sulle Opportunità d’Affari nei paesi in cui ope-

rano le Camere Who’s Who delle camere di Commercio Italiane nel

mondo, raccolta dei riferimenti utili e dei servizi offerti dalleCCIE

Gli strumenti di comunicazione delle Camere italianenel mondo, catalogo biennale che raccoglie tutto il patrimo-nio editoriale del network.

organizza annualmente la Convention Mondiale delleCCIE e il Meeting dei Segretari Generali, importantieventi di comunicazione e di promozione nei confronti deisoggetti istituzionali e del mondo imprenditoriale italiano; collabora con i media nazionali per dare maggiore visibi-lità ai progetti e alle attività camerali e per consolidare ilegami con le business communities italiane; svolge attività di rappresentanza e di lobbyng presso leistituzioni italiane e i principali soggetti locali impegnatinella promotion; sviluppa azioni di promozione nei confronti di Università eIstituti di formazione italiani e organizza stages presso lapropria sede e presso le CCIE.

Azioni di sviluppo della progettualità di rete: Assocamerestero fornisce alle Camere supporti e stru-

menti per renderle sempre più attive nel campo dei serviziper l’internazionalizzazione.

In particolare l’Associazione: gestisce accordi-quadro, intese e collaborazioni, consoggetti istituzionali e non, per sviluppare e potenziaretutte le attività di promozione delle Camere; realizza progetti di marketing territoriale con il sistema

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stero del Commercio Internazionale e del Fondo Interca-merale di Unioncamere per le attività camerali in pro-grammazione; assistenza in fase di pre-istruttoria dei programmi e infase di bilancio consuntivo; organizzazione di sessioni di formazione e di aggiorna-mento professionale di dirigenti e funzionari camerali; sviluppo qualitativo dei servizi offerti dalle CCIE attraver-so la gestione del “percorso di upgrading” che certifical’affidabilità camerale attraverso una serie di requisiti nor-mativi, strutturali, organizzativi e di funzionamento; raccordo nei confronti delle strutture di servizio attraver-so accordi e intese-quadro; accoglienza e azioni di servizio ai propri associati nelcorso delle loro presenze in Italia offrendo supporto perl’organizzazione di meeting e seminari; emissione della carta associativa Membership Card, cheraccoglie in tutto il modo agevolazioni per l’uomo d’affariche viaggia.

Attività di promozione, informazione e comunicazione L’ Associazione mira a diffondere la conoscenza della rete

delle CCIE attraverso l’utilizzo di strumenti informativi e dicomunicazione.

In particolare Assocamerestero: gestisce la banca dati PLA.Net, riconosciuta dal Governoitaliano come uno dei principali sistemi informativi inmateria di internazionalizzazione e che rappresenta, neifatti, la rete di comunicazione delle CCIE, in raccordoanche con il sistema camerale italiano; cura la redazione di pubblicazioni annuali: Business Atlas, la guida agli affari nei 48 paesi in cui ope-

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camerale italiano; supporta le CCIE in azioni che prevedono una progettua-lità di rete con lo scopo di potenziare la crescita organiz-zativa del sistema.

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A cura del Centro di Ricerche in Analisi Economica e Sviluppo Economico Internazionale - CRANEC

CopertinaBeppe Preti

Illustrazione di copertinaGuido Rosa

ImpaginazioneFederica Pensieri

Finito di stampare nel maggio 2008Presso la Mondadori Printing S.p.A.Stabilimento n.s.m. di Cles (Trento)Printed in Italy

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