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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO CIS – CENTRO DI ITALIANO PER STRANIERI THE CENTER OF ITALIAN FOR FOREIGNERS 1 Raccolta degli abstracts in ordine di comparizione L'input per l'acquisizione di L2: strutturazione, percezione, elaborazione. Bergamo, 12-14 giugno 2014 Aula 2 - via Salvecchio, 19

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Raccolta degli abstracts in ordine di comparizione

L'input per l'acquisizione di L2: strutturazione, percezione, elaborazione.

Bergamo, 12-14 giugno 2014

Aula 2 - via Salvecchio, 19

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L’input in L2: da miniera preziosa di dati linguistici a scintilla che innesca l’acquisizione Ada Valentini (Università degli Studi di Bergamo) Lo scopo della relazione di apertura del convegno è quello di offrire una panoramica, necessariamente non esaustiva, sul tema dell’input in L2, illustrando a grandi linee cosa di questa entità, forse un po’ magmatica ma preziosissima, viene in prima battuta estratto – cioè percepito, elaborato e immagazzinato – dagli apprendenti e perché. L’input, infatti, trasmette, congiuntamente al significato e in maniera implicita, una serie di dati, informazioni o indizi sulla struttura formale del codice linguistico in cui è stato formulato che rappresentano una fonte inesauribile di ‘materia’ passibile di elaborazione: sono questi indizi che costituiscono il filone aurifero che la miniera dell’input offre alla facoltà umana di linguaggio (e/o alle capacità cognitive dell’apprendente), innescando l’acquisizione. È noto che indagare l’influenza dell’input, vuoi per le sue proprietà più generali (per es. input comprensibile – premodificato o semplificato vs. elaborato – oppure input negoziato/interazionale1; vd. ad es. Robinson 1997) vuoi per le proprietà dei suoi singoli elementi costitutivi (la frequenza, la salienza, la trasparenza), per capire come funziona il lavorio linguistico di un apprendente alla prese con l’acquisizione di una seconda lingua è un compito arduo poiché è assai difficile distinguere e isolare il suo ruolo da quello di altre variabili che cooccorrono, insieme, in tale processo. L’input – la materia grezza senza la quale non si può innescare l’acquisizione – è forse proprio per questo uno degli aspetti meno teorizzati nella ricerca dedicata all’acquisizione di lingue seconde (Carroll 2001: 3). Nella relazione si metteranno a fuoco le proprietà degli elementi costitutivi dell’input che, in base a ricerche empiriche su lingue anche diverse dall’italiano L2, risultano più incisivi – sollecitando attenzione e memoria2 – nel determinare il percorso di apprendimento linguistico: la frequenza dei singoli elementi/strutture3 e la loro distribuzione (Gullberg et al. 2010; Yang/Givón 1997; Robinson 1997); la genericità del significato (Ellis/Ferreira-Junior 2009; Saturno/Valentini 2014); l’affinità (formale e semantica) tra le parole della L2 e quelle di altre lingue note4 (Rast/Wątorek/Hilton/Shoemaker in stampa; Valentini/Grassi in stampa) anche in riferimento all’acquisizione di altre proprietàlinguistiche (per es. morfologiche); la salienza in termini prosodici, semantici, fonologici o posizionali(Gullberg et al. 2010; DeKeyser 1997; Collins et al. 2009; Goldschneider/DeKeyser 2005); la semplicità/complessità di una struttura (DeKeyser 1997; Collins et al. 2009; Spada/Tomita 20105). Nella relazione si cercherà anche di valutare le diverse proprietà enunciate sopra in relazione al loro peso specifico nell’innescare l’acquisizione. Riferimenti bibliografici Carroll, Susanne E., 2001, Input and Evidence. The Raw Material of Second Language Acquisition.

Amsterdam, Benjamins.

Carroll, Susanne E., 2006, “Salience, Awareness and SLA”. In Grantham O’Brien, Mary / Shea, Christine / Archibald, John (eds.) Proceedings of the 8th Generative Approaches to Second Language Acquisition Conference (GASLA 2006), Somerville, MA, Cascadilla Proceedings Project: 17-24.

1 Si vedano le relazioni su invito di C. Mariotti e R. Grassi e la relazione di C. Amoruso. 2 Si veda la relazione su invito di M. Cardona. 3 Si veda le relazioni di J. Saturno e di D. Troncarelli e A. Villarini. 4 Si veda la relazione di A. Bertelli. 5 Si vedano le relazioni di A. Whittle e E. Nuzzo e di P. Della Putta.

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Collins, Laura / Trofimovich, Pavel / White, Joanna / Cardoso, Walcir / Horst, Marlise, 2009, “Some input on the easy/difficult grammar question: An empirical study”. The Modern Language Journal 93/3: 336-353.

DeKeyser, Robert M., 1997, “Beyond explicit rule learning. Automatizing second language morphosyntax”. Studies in Second Language Acquisition 19/2: 195-221.

Ellis, Nick C. / Ferreira-Junior, Fernando, 2009, “Construction learning as a function of frequency, frequency distribution, and function”. The Modern Language Journal 93/3: 370-385.

Goldschneider, Jennifer M. / DeKeyser, Robert M., 2005, “Explaining the «natural order of L2 morpheme acquisition» in English: A meta-analysis of multiple determinants”. Language Learning 55/Suppl. 1: 27-77.

Gullberg, Marianne / Roberts, Leah / Dimroth, Christine / Veroude, Kim / Indefrey, Peter, 2010, “Adult Learning After Minimal Exposure to an Unknown Natural Language”. Language Learning 60/Suppl. 2: 5-24.

Hulstijn, Jan H. 1997, “Second Language Acquisition Research in the laboratory. Possibilities and limitations”. Studies in Second Language Acquisition 19/2: 131-143.

Rast, Rebekah / Wątorek, Marzena / Hilton, Heather / Shoemaker, Ellenor, in stampa, “Initial processing of morphological marking in nonnative language acquisition: Evidence from French learners of Polish”.

Robinson, Peter, 1997, “Generalizability and automaticity of Second Language Learning under implicit, incidental, enhanced, and instructed conditions”. Studies in Second Language Acquisition 19/2: 223-247.

Spada, Nina / Tomita, Yasuyo, 2010, “Interactions between type of instruction and type of language feature: A meta-analysis”. Language Learning 60/2: 263–308.

Yang, Lynne R. / Givón, Talmy, 1997, “Benefits and drawbacks of controlled laboratory studies of second language acquisition. The Keck Second Language Learning Project”. Studies in Second Language Acquisition 19/2: 173-193.

Saturno, Jacopo / Valentini, Ada, 2014, “Breaking into an L2: Copular structures across input and output”, relazione presentata al Workshop on copulas (Bologna, 13-4 marzo 2014).

Valentini, Ada / Grassi, Roberta, in stampa, “Oltre la frequenza. L’impatto della trasparenza e dell’accento sull’apprendimento del lessico in L2”. In Corrà Loredana (a c. di) (in stampa) Sviluppo della competenza lessicale. Acquisizione, apprendimento, insegnamento (Salerno, 26-28 settembre 2013), Aracne, Roma.

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Tra frequenza e trasparenza: strutture copulari a confronto in polacco l2 Jacopo Saturno Lo scopo di questo contributo è di proporre una riflessione sul ruolo di frequenza e trasparenza nell’elaborazione di strutture linguistiche in competizione da parte di apprendenti iniziali di L2. I dati sono tratti dall’edizione italiana del progetto VILLA (Varieties of Initial Learners in Language Acquisition), un’iniziativa internazionale volta a indagare le primissime fasi dell’acquisizione di una L2 in condizioni di input pienamento controllato (Dimroth et alii 2013). 31 apprendenti con italiano L1 e nessuna esperienza di lingue slave sono stati esposti a un corso di polacco L2 di quattordici ore tenuto da un’insegnante madrelingua: l’intero input è stato registrato e trascritto, così da poter correlare il modo rigoroso lo sviluppo dell'interlingua con parametri quali la frequenza e il contesto di occorrenza di qualsivoglia elemento linguistico. L’oggetto di questo studio sono due costruzioni copulari del polacco, equivalenti dal punto di vista funzionale ma divergenti quanto a complessità morfologica e frequenza nell’input. Nella struttura to jest, “questo è”, il pronome neutro to si accompagna al caso nominativo, espresso tanto dal pronome interrogativo kto, “chi?”, quanto da nomi indifferentemente maschili o femminili; nella struttura on/ona jest, “lui/lei è”, i pronomi personali maschile e femminile si accompagnano al caso strumentale, espresso dal pronome interrogativo kim “chi?” oppure da nomi concordanti in genere con il pronome personale. Entrambe la strutture sono state oggetto di esercitazioni e di attività specifiche di focalizzazione durante il corso; in particolare, sebbene dotate in polacco L1 di diversi valori pragmatici, ai fini del progetto VILLA le due costruzioni sono state presentate come funzionalmente equivalenti e non presentano differenze di interpretazione o traduzione in italiano. L’elaborazione di tali strutture da parte degli apprendenti è analizzata mediante il test Picture Production, proposto dopo 4:30 di esposizione all’input: il compito dell’apprendente è di rispondere a una domanda su di un personaggio utilizzando le informazioni fornite e la costruzione corretta. Dapprima a schermo compare un’icona rappresentante il genere del personaggio da descrivere (es. FEMMINILE); in seguito l’apprendente sente la domanda "chi è?" realizzata secondo una delle due costruzioni bersaglio (kto to jest? oppure kim on/ona jest?). Viene quindi mostrata un’illustrazione rappresentante la professione o la nazionalità del personaggio (es. lavagna e gessetti): a questo punto l’apprendente risponde utilizzando la medesima struttura copulare della domanda (es. to jest nauczycielka oppure ona jest nauczycielką “(lei) è un’insegnante”). Come si evince dai libri di testo e dai sillabi di polacco L2, la distinzione tra queste strutture è uno dei primi temi proposti agli studenti principianti, per i quali si tratta di un punto di morfosintassi particolarmente problematico. Il polacco è una lingua dotata di una morfologia nominale ricca e complessa, articolata su due numeri, tre generi e sette casi: si può ipotizzare che quest’ultima categoria in particolare sarà piuttosto ardua da padroneggiare nelle prime fasi di acquisizione in quanto assente dalla L1 degli apprendenti (Rast et alii in prep.). È inoltre noto che nelle varietà di apprendimento iniziali le parole tendono a comparire in un’unica forma invariabile (Klein & Perdue 1997) modellata sulla forma di parola più prominente nell’input: nel corpus VILLA il caso nominativo è di gran lunga più frequente, presenta una struttura morfologica più semplice e ricorre in un numero più ampio di contesti sintattici rispetto allo strumentale. Sulla base di queste considerazioni, l’ipotesi di partenza vuole che il tipo to jest NOM sia più semplice, e perciò favorito nell’interlingua, in quanto a) sfrutta un unico pronome invariabile per genere, eliminando quindi la necessità di accordo, e b) richiede il caso nominativo, sul quale è modellata la forma base dei nomi. I risultati mostrano che i pronomi on/ona tendono ad associarsi correttamente alle forme dello strumentale, producendo così enunciati grammaticali. A livello di singoli elementi, inoltre, sia on/ona, sia il caso strumentale dei nomi tendono sorprendentemente a sovraestendersi su to e sul caso

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nominativo. Contrariamente alle previsioni, gli apprendenti sembrano dunque preferire il tipo on/ona STRUM, nonostante la minore frequenza nell’input e la maggiore complessità morfosintattica. Per questi dati viene proposta un'interpretazione in termini di naturalezza morfologica. I pronomi on/ona ("lui/lei") sono univoci relativamente al genere del referente, mentre to ("questo") compare con nomi di entrambi i generi. Le uniche terminazioni -em e -ą del caso strumentale inoltre si applicano esclusivamente a nomi rispettivamente maschili e femminili, risultando così più trasparenti (Wurzel 1989) rispetto alle numerose e apparentemente irrelate terminazioni del caso nominativo. In conclusione, il tipo on/ona + STRUM permetterebbe di esprimere in modo più esplicito e più univoco il genere del referente. Ciò sembra essere prioritario per gli apprendenti, forse perchè esplicitamente richiesto dal test, ma forse anche perchè la funzione anaforica del genere rappresenta uno dei pochissimi mezzi di strutturazione dell'informazione già disponibili in questo stadio di sviluppo dell'interlingua. Questi risultati possono essere utilmente applicati alla formulazione di un sillabo per studenti iniziali di una lingua straniera: in particolare, nello stabilire la relativa difficoltà di determinate strutture linguistiche è utile prendere in considerazione non solo la loro frequenza nell’input, ma anche la loro naturalezza (Dressler 1987), intesa in termini di univocità e trasparenza. Lo studio suggerisce anzi che quando frequenza e trasparenza entrano in conflitto, come nel caso delle strutture copulari trattate in questo studio, proprio la trasparenza si rivelerebbe più influente nel guidare la scelta dell'espressione linguistica. Riferimenti bibliografici Dimroth, Christine, Rebekah Rast, Marianne Starren & Marzena Wątorek. 2013. Methods for studying the learning of a new language under controlled input conditions: The VILLA project. EUROSLA Yearbook, vol. 13, 109–138. Amsterdam: John Benjamins. Dressler, Wolfgang U. 1987. Leitmotifs in Natural Morphology. John Benjamins Publishing. Klein, Wolfgang & Clive Perdue. 1997. The Basic Variety (or: Couldn’t natural languages be much simpler?). Second Language Research 13(4). 301–347. Rast, Rebekah, Marzena Wątorek, Heather Hilton & Ellenor Shoemaker. Forthcoming. Initial processing and use of inflectional markers: Evidence from French adult learners of Polish. Cambridge: Cambridge University Press. Wurzel, Wolfgang U. 1989. Inflectional Morphology and Naturalness. Dordrecht: Kluw

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Testo complesso, compito possibile: la strutturazione dell’input plurilingue in intercomprensione Anna Bertelli L’Intercomprensione è un approccio di sviluppo della competenza ricettiva in lingue straniere tipologicamente affini alla lingua madre degli apprendenti, basata su strategie innate di ricezione ed elaborazione dell’input (JAMET, 2010), che può essere considerato, allo stesso modo, stimolo, strumento e obiettivo dell’intero percorso didattico. Figlia delle politiche linguistiche europee delle ultime due decadi del secolo scorso, l’Intercomprensione si avvale, oggi, dell’esperienza di oltre un ventennio di studi e di sperimentazioni ormai consolidate, in particolare nel campo della comprensione scritta di lingue romanze. Una delle metodologie più autorevoli del settore è EuRom. Questa nasce, appunto, all’inizio degli anni’90, da una forte intuizione della linguista francese Claire Blanche-Benveniste riguardo all’incidenza della familiarità tra lingue nei processi di intercomprensione spontanea e la sua possibile, e fino ad allora ignorata, ottimizzazione in campo didattico, soprattutto in ottica plurilingue (BLANCHE-BENVENISTE, VALLI, 1997). I risultati del pluriennale progetto sperimentale, che coinvolge ricercatori di università spagnole, portoghesi, francesi e italiane, confluiscono nel disegno di un manuale che sistematizza percorsi didattici e strategie intra-, inter- e trans-linguistiche di comprensione di testi scritti. Nella sua versione aggiornata (BONVINO et al., 2011), il manuale offre la possibilità di lavorare con cinque lingue romanze (portoghese, spagnolo, catalano, italiano e francese) e costituisce, ad oggi, il materiale di sviluppo simultaneo di competenze ricettive scritte di maggiore spettro linguistico in circolazione. Il nostro intervento, di illustrazione metodologica, si colloca all’interno di una riflessione su un approccio alla conoscenza (e alla comunicazione, della quale la comprensione è il fondamento) di stampo costruttivista. Ne individuiamo gli assi portanti nella valorizzazione della complessità testuale, in quanto espressione del pensiero, e nella consapevolizzazione dell’apprendente del proprio ruolo, pro-attivo e (inter-) azionale, nell’organizzazione di conoscenze e strategie di accesso a tale complessità (PUREN, 1994, MORIN, 1999). Il tutto in funzione di uno sviluppo critico della competenza comunicativa e, non seconda, di quella glottomatetica, mete glottodidattiche dell’educazione linguistica, nonché del perseguimento delle sue finalità generali, formative e transdisciplinari, di culturizzazione, socializzazione e autopromozione (BALBONI, 2008). Sulla linea di quando appena esposto, procederemo a un excursus nella strutturazione dell’input plurilingue nella metodologia EuRom, con attenzione ai concetti evidenziati. - Valorizzazione (e gestione) della complessità testuale. La metodologia si basa sull’esposizione massiccia degli apprendenti a testi scritti autentici con obiettivi di comprensione, a livello intermedio, in tempi particolarmente rapidi. Il carattere innovativo dello strumento di lavoro risiede nella selezione e sistematizzazione delle modalità di ‘graduazione’ dell’impatto tra un input altamente complesso (sia per la quantità di lingue coinvolte nella stessa sessione di apprendimento che per i ritmi di esposizione ad esse) e la competenza ricettiva ‘in movimento’ degli apprendenti. A scopo esemplificativo, si procederà a presentare i criteri di selezione e organizzazione del materiale plurilingue (loro tipologia e graduazione, strumenti di lavoro), dando evidenza a due caratteristiche distintive della metodologia, la simultaneità del contatto plurilingue e l’approccio comparativo ai testi. In tale contesto, si accennerà ai diversi percorsi di accesso al significato (intra-, inter- e trans-linguistici) e il ruolo interattivo, all’interno di essi, della lingua madre e delle varie lingue straniere coinvolte (BONVINO et al., 2008, BLANCHE-BENVENISTE, 2001).

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- Consapevolizzazione dell’apprendente del proprio ruolo L’avanzamento dell’apprendente nel percorso di comprensione linguistica avviene attraverso strategie di ‘avvicinamento’ al significato, quali la negoziazione, la trasposizione in lingua madre (con relativo ‘diritto all’approssimazione’), il think aloud, che incidono (meta)cognitivamente ed emozionalmente sul ‘modo di porsi’ nei confronti dell’input (BLANCHE-BENVENISTE, 1997, 2008, BONVINO et al., 2011). La progressiva familiarizzazione dell’apprendente con tali strategie genera una trasformazione, un paradigm shift, della sua percezione del materiale linguistico: da una propensione iniziale ad affrontare i testi come input separati e autonomi si assiste a una graduale ‘decompartimentazione cognitiva’ delle lingue in questione (COE, 2001, VEZ, 2004) che ‘riposiziona’ l’apprendente nel suo percorso di apprendimento, a favore di una maggiore criticità e autonomia di analisi e di una presa di coscienza di se stesso come soggetto attivo dell’atto didattico. In conclusione, la strutturazione dell’input della metodologia EuRom si conferma altamente propedeutica ad un efficace ‘allenamento’ alla comunicazione plurilingue assunta in tutta la sua complessità formale nonché al raggiungimento di finalità di carattere formativo e transdisciplinare. Riferimenti bibliografici BALBONI P. E., 2008, Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, UTET Università. BLANCHE-BENVENISTE C., 1997, ‘L’expérience d’EuRom4 ; comment négocier les difficultés’, Le Français dans le monde, Numéro Spécial. BLANCHE-BENVENISTE C., 2001, Compréhension multilingue et connaissance de sa propre langue, Paris, Université de Provence. http://ancilla.unice.fr/~brunet/pub/claire.html. BLANCHE-BENVENISTE C., 2008, ‘Aspetti lessicali del confronto tra lingue romanze. Esiste un lessico europeo?’ in Barni M., Troncarelli D., Bagna C. (a cura di), Lessico e apprendimenti. Il ruolo del lessico nella linguistica educativa, Milano, Franco Angeli. BLANCHE-BENVENISTE C., VALLI A., 1997, ‘L’intercompréhension: Le cas des langues romanes’, Le Français dans le Monde, Numéro Special. BONVINO E. et al., 2011, EuRom5, Leggere e comprendere 5 lingue romanze, Milano, Hoepli. BONVINO E. et al., 2008, ‘L'intercompréhension: un concept hétérogène, des enseignements ciblés’, Le Français dans le Monde, 355. COE, 2001, Common European Framework for Languages: Learning, Teaching, Assessment, New York, Cambridge University Press. [Trad. it. Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione, Firenze, La Nuova Italia, 2002]. JAMET M. C., 2010, ‘Intercompréhension: de la définition d’un concept à la délimitation d’un champ de recherche ou vice versa ? Autour de la définition’, Plublifarum, 11. http://www.publifarum.farum.it/ezine_articles.php?art_id=144. MORIN E., 1999a, La tête bien faite: penser la réforme, reformer la pensée, Paris, Seuil, [trad. it. La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Cortina, 2000]. PUREN C., 1994, La didactique des langues étrangères à la croisée des méthodes. Essai sur l’écletisme. Paris, Didier. VEZ J. M., 2004, ‘La DLE: de hoy para mañana’, Porta Linguarum, 1.

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Strategie di presentazione dell’input in contesti CLIL Cristina Mariotti L’insegnamento integrato di lingua e contenuti (CLIL, Content and Language Integrated Learning) può fornire una prospettiva utile per ragionare sulla strutturazione dell’input in L2 in contesti formali di apprendimento. In virtù della ricca letteratura prodotta sul CLIL in lingua inglese e dell’ampia disponibilità di casi di studio ed esempi pratici in tale lingua, si partirà appunto dalla didattica dell’inglese come lingua veicolare per delineare le principali questioni legate all’apprendimento di contenuti in L2. Partendo dall’assunto che l’input debba essere comprensibile (Krashen 1985), ci si chiede se questo requisito sia sufficiente perché avvenga apprendimento linguistico oppure se sia necessario, e in che misura, dirigere l’attenzione degli apprendenti anche verso la correttezza delle strutture linguistiche rilevanti e appropriate al contesto (Lyster, Ranta 1997), ovvero verso il focus on form. La correzione linguistica, tuttavia, potrebbe essere avvertita come non appropriata nelle classi CLIL, ove la priorità dovrebbe essere data alla comunicazione e dove una eccessiva attenzione alla forma e alla correzione potrebbe avere effetti inibitori. Di conseguenza, la discussione circa il focus on form ci porta a chiederci quale peso abbia effettivamente la correttezza della L2 in questo contesto didattico. A questo aspetto è legato anche l’uso del code-switching, ovvero l’alternanza tra L1 e L2 degli apprendenti, insieme alle considerazioni connesse alla sua appropriatezza e frequenza d’uso in classe (Costa 2012) Considerando inoltre l’obiettivo principale della didattica integrata di lingua e contenuti, che consiste appunto sia nell’apprendimento di contenuti che quello della lingua veicolare, è necessario che le informazioni vengano presentate in modo chiaro, ma al tempo stesso anche sufficientemente articolato pena l’eccessiva semplificazione dei contenuti e la mancata acquisizione di informazioni importanti per il curriculum degli apprendenti. Questo obiettivo può essere raggiunto mettendo in atto strategie di vario tipo, che vanno dalla scomposizione dell’input alla ripetizione sia strutturale che semantica (ad esempio attraverso riformulazioni, parafrasi, sinonimi, esemplificazioni), fino alla rielaborazione dell’input in forma non verbale e alla interazione tra insegnante e apprendenti stimolata dalla verifica verbale della comprensione da parte degli insegnanti (Coonan 2002). Occorre anche sottolineare che gli studi sulle interazioni in contesti formali di apprendimento e quelli sulla negoziazione del significato offrono spunti utili per mostrare come le interazioni tra insegnanti e apprendenti possano portare alla produzione di input particolarmente ricco e al tempo stesso significativo laddove le interazioni vengano iniziate dagli apprendenti stessi per chiedere chiarimenti e informazioni sui contenuti oggetto di studio (Mariotti 2007). In questo senso si evidenzia quanto sia importante mettere a disposizione degli apprendenti gli strumenti linguistici utili a chiedere informazioni mirate e quanto sia importante agevolare il loro utilizzo. Infine si analizzerà il concetto di problem solving, uno degli sviluppi più recenti della ricerca in ambito CLIL. Vi è chi sostiene che l’insegnamento di materie non linguistiche in L2 possa portare gli apprendenti a sviluppare la capacità di guardare i contenuti da prospettive più ampie ed articolate (cf. multi-perspectivity in Wolff 2003), mettendoli in grado di trovare soluzioni efficaci a problemi connessi all’elaborazione dei contenuti curriculari e di elaborare al tempo stesso la L2 a un livello cognitivamente profondo (Heine 2010). Attraverso esempi tratti dalla letteratura e dall’osservazione di classi CLIL si mostrerà come il problem solving possa portare a modificare l’input in modo utile per l’apprendimento linguistico. Riferimenti bibliografici

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Coonan, Carmel Mary 2002, La lingua straniera veicolare, UTET, Torino. Costa, Francesca 2012, “Focus on form in ICLHE lectures in Italy. Evidence from English-medium

science lectures by native speakers of Italian”, AILA Review, 25, pp. 30-46. Heine, Lena 2010, Problem Solving in a Foreign Language, De Gruyter Mouton, Berlin/New York. Lyster, Roy and Ranta, Sheila 1997. “Corrective feedback and learner uptake. Negotiation of Form in

Communicative Classrooms”, Studies in Second Language Acquisition, 20, pp. 37–66. Mariotti, Cristina 2007, Interaction Strategies in English-medium Instruction, FrancoAngeli, Milano. Wolff, Dieter 2003. “Integrating language and content in the language classroom: Are transfer of

knowledge and of language ensured?”, Asp, 41-42, pp. 35-46.

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La gestione dell’input nella classe plurilingue: dal testo riscritto alla spiegazione orale Chiara Amoruso Da quando le classi delle scuole italiane hanno cominciato ad accogliere alunni provenienti da paesi diversi, una delle prime e più concrete proposte didattiche elaborate per far fronte alle nuove esigenze degli studenti non italofoni è stata la semplificazione dei testi (vedi Grassi, Valentini, Bozzone Costa 2002) in linea con la teoria dell’input comprensibile e graduale elaborata da Krashen (1985). Oggi, a distanza di diversi anni, sono sempre più numerosi i siti e le riviste per insegnanti in cui vengono offerte riscritture facili e anche le case editrici scolastiche hanno recepito in questi termini il problema, producendo libri di testo interamente o parzialmente semplificati rivolti agli alunni stranieri. L’idea della semplificazione, però, non è condivisa da tutti. Secondo un orientamento di segno opposto, infatti, le attività di mediazione e di facilitazione condotte sul testo nella sua forma originaria sono sempre preferibili all’intervento di manipolazione del testo stesso, sia per la volontà di non alterarne l’autenticità, sia in virtù della teoria che coglie nell’interazione e nella negoziazione, piuttosto che nella premodificazione dell’input, la base della comprensione e quindi dell’apprendimento (cfr. Ellis 1995, Loschky 1994). A ciò bisogna aggiungere le critiche specifiche che non pochi tra insegnanti e accademici hanno rivolto alla semplificazione come pratica sollevando dubbi sulla sua legittimità e sulla sua efficacia. Un input povero e tarato verso il basso rischia di appiattire il percorso di apprendimento, offre un modello di lingua non autentico e porge i contenuti in una forma banalizzata. Anche in risposta a queste obiezioni si è avviata una riflessione sui significati e le modalità della semplificazione dei testi in ambito scolastico che è sfociata nell’elaborazione di proposte a più largo respiro. Quella della “riscrittura funzionale” (Amoruso 2010) tenta una difficile conciliazione tra esigenze diverse e in apparente conflitto: quella tra autenticità e comprensibilità; tra apprendimento dei contenuti e apprendimento della lingua. Le riscritture funzionali, infatti, più che testi semplificati sono testi a difficoltà controllata, testi difficili al punto giusto, su cui lo studente, a partire da una comprensione globale, può attivare la propria capacità inferenziale per la decodifica locale di singole strutture e parole. I testi disciplinari diventano così strumenti bivalenti, al contempo veicolo di concetti chiari e vettori di apprendimento linguistico. Quanto alla forma, questo tipo di riscrittura agisce più sulla selezione (che spesso significa integrazione) e la strutturazione delle informazioni che sulla veste linguistica dei singoli concetti, evitando costrutti e espressioni che sarebbero percepiti come non conformi alle regole grammaticali e di registro. Inoltre, considerato anche il tipo di testualità consolidatasi nei manuali scolastici (eccessiva astrattezza, informazioni solo accennate o sottintese, mancanza di trasparenza dello schema concettuale, uso approssimativo dei connettivi, ecc.), la riscrittura funzionale si configura più come un adeguamento del testo (ai propri destinatari naturali e ai propri scopi) che come una riscrittura semplificata. In questa sede si offrirà un’idea per una terza difficile conciliazione: quella tra i bisogni degli alunni non-italofoni e i bisogni degli alunni con competenze linguistiche medio-alte. Se, infatti, la riscrittura dei testi è affidata agli alunni stessi all’interno di un laboratorio di scrittura incluso nel curricolo di educazione linguistica, i due gruppi di studenti diventano complementari. Gli stranieri avranno a disposizione testi adeguati alle loro possibilità linguistiche mentre gli italiani hanno un’occasione insostituibile di realizzare una scrittura autentica (verificando quindi con i destinatari reali l’efficacia delle proprie scelte) e di migliorare le proprie competenze linguistiche e testuali sia a livello operativo che riflessivo. Ma che ruolo gioca, infine, nell’apprendimento dell’italiano L2 il parlato monologico dell’insegnante soprattutto in quel momento consacrato dalla tradizione scolastica come “spiegazione”? è possibile moltiplicare le possibilità di apprendimento insite nell’esposizione al parlato dell’insegnante?

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Certamente sì, se le presentazioni orali seguono alcuni principi e vengono riproposte agli studenti sotto forma di audio-testi da usare per attività di ascolto e annotazione variamente modulate. Proposte didattiche di questo tipo fanno entrare nella classe scolastica plurilingue alcuni dei suggerimenti che provengono dalla didattica delle lingue straniere e rendono effettiva l’idea che la presenza di alunni stranieri nelle classi costituisca una risorsa vera, un’occasione di arricchimento e di innovazione per tutti. Amoruso C., In parole semplici. La riscrittura funzionale dei testi nella classe plurilingue, Palumbo,

2010. Calò R., Ferreri S. (a cura di), Il testo fa scuola. Libri di testo, linguaggi ed educazione linguistica, La

Nuova Italia, 1997. Colombo A., Il curricolo e l’educazione linguistica, Franco Angeli, 2008. Consiglio d’Europa, Guida per lo sviluppo e l’attuazione di curricoli per una educazione plurilingue

e multiculturale, 2010. D’Agostino M., Amoruso C., Imparare con gli alunni stranieri. Un’esperienza di tirocinio guidato,

Scuola di italiano per stranieri, 2009. Ellis R., “ Modified Oral Input and the Acquisition of Word Meanings”, in Applied Linguistics, 16,

1995, pp. 409-441. Ferreri S. (a cura di), Non uno di meno, La Nuova Italia, 2002. Ghezzi C., Grassi R., Interazione e plurilinguismo in classe, in Dal Negro, Molinelli, Comunicare

nella torre di Babele. Repertori plurilingui in Italia oggi, Carocci, 2002, pp. 95-122. Guerriero A.R. (a cura di), Laboratorio di scrittura, La Nuova Italia, 2002. Grassi R., Valentini A., Bozzone Costa R. (a cura di), L’italiano per lo studio nella scuola

plurilingue: tra semplificazione e facilitazione, Guerra, 2003. Krashen S., The Input Hypothesis: Issues and implications, Longman, 1985. MIUR, Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, 2014. Lavinio C., Comunicazione e linguaggi disciplinari. Per un’educazione linguistica trasversale,

Carocci, 2004. Loschky L., “Comprehensible input and second language acquisition. What Is the Relationship?” in

Studies in Second Language Acquisition, 16, 1994, pp. 303-323. Lumbelli L., La comprensione come problema, Laterza, 2009. Pallotti G., Scrivere per comunicare, Bompiani, 1999. Pallotti G, Cavadi G. Che storia! La storia italiana raccontata in modo semplice e chiaro, Bonacci,

2012. Piemontese M.E., Capire e farsi capire. Teorie e tecniche della scrittura controllata, Tecnodid, 1996. Valentini A., Bozzone Costa R., Piantoni M (a cura di), Insegnare ad imparare in italiano L2: le

abilità di studio per la scuola e per l’università, Guerra Edizioni, 2005. Vedovelli M., Guida all’italiano per stranieri, Carocci, 2002.

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I diversi effetti di una tecnica di input enhancement su due tratti tipici dell’interlingua italiana di ispanofoni: i risultati di uno studio di glottodidattica sperimentale. Paolo Della Putta Questo contributo presenta i risultati di uno studio di glottodidattica sperimentale (Nuzzo e Rastelli 2011) condotto con 68 studenti ispanofoni di italiano L2 iscritti a corsi di lingua italiana presso centri linguistici universitari. L’obiettivo è di verificare l’efficacia del Textual Input Enhancement (TIE) sull’apprendimento di due tratti tipici dell’interlingua italiana degli ispanofoni: la presenza, in frasi SVO, dell’accusativo preposizionale (AP: conosco a Franco) e l’assenza, in sintagmi nominali a ordine canonico, dell’articolo pre-possessivo (ART: mia amica si chiama Carla). Queste devianze sono attestate come frequenti e comuni nelle interlingue degli hispanohablantes (Schmid 1994, Vietti 2005). Tramite la manipolazione grafica dell’input (uso del grassetto, di sottolineature o di diversi colori), il TIE aiuta a portare all’attenzione selettiva degli apprendenti i tratti meno salienti della L2 innescando così il noticing, ovvero la prima, necessaria operazione cognitiva da compiere verso la loro acquisizione (Schmidt 2001, Wong 2005, Loewen 2011). Rimane tuttavia ancora irrisolta la questione se aiutare un apprendente a notare una forma nell’input sia una condizione sufficiente per innescare il processo acquisizionale o se, invece, altri interventi “post-noticing” siano necessari (Winke 2013). Spada (2011) propone infatti di appurare empiricamente quali strutture linguistiche rispondano meglio a diversi tipi di trattamento di Focus on Form, cosa che deve essere verificata anche per la sola tecnica del TIE (Han, Park e Combs 2008). Le operazioni mentali che sottostanno all’acquisizione delle regole della grammatica italiana che governano l’assenza di AP in frasi SVO e la presenza di ART in posizione pre-possessiva sono opposte. Da un lato gli studenti ispanofoni devono “imporre una restrizione a una regola della loro L1” (Schmid 1994: 209), ovvero disimparare (unlearn) a istanziare l’AP davanti a un oggetto specifico e/o animato; dall’altro lato essi devono espandere una regola della loro lingua madre, imparando ad aggiungere l’articolo in contesti in cui, altrimenti, verrebbe eliso. L’input a cui gli studenti sono esposti li può aiutare in quest’ultima operazione perché la presenza di ART in posizione pre-possessiva fornisce un’evidenza positiva, dunque notabile e processabile, di ciò che è grammaticale in italiano; il caso di AP, invece, appare essere meno semplice in quanto l’input fornisce tramite un’ assenza – dunque tramite un elemento di nessuna salienza e percettibilità – la prova dell’agrammaticalità del transfer di una proprietà di L1. In letteratura il disapprendimento è considerato un’operazione mentale più complessa dell’apprendimento, sia per studiosi che si riferiscono al paradigma generativo (Schwartz 1998, Judy 2011) sia per ricercatori aderenti a un paradigma funzionalista (Gass e Mackay 2002, Yin e Kaiser 2011). I 68 partecipanti a questo studio sono stati divisi in due gruppi (A n=35 e B n= 33) che hanno letto, durante la normale attività didattica e nell’arco di cinque lezioni, cinque testi la cui unica differenza era il tratto su cui era applicato il TIE. Il gruppo A ha letto testi manipolati graficamente per rendere più evidente l’assenza della preposizione “a” in posizione pre-oggetto in frasi SVO, mentre il gruppo B ha letto gli stessi testi in cui gli articoli in posizione pre-possessiva erano evidenziati. Gli informanti sono stati sottoposti a tre test di giudizi di grammaticalità temporizzati (prima del trattamento, a una settimana e a due mesi dalla sua fine) in cui sono stati misurati sia la correttezza delle risposte sia il tempo impiegato per darle. Un’ Anova a misure ripetute ha permesso di discriminare se i risultati delle performance dei due gruppi fossero dovuti al trattamento subito o al tempo di esposizione all’input. L’analisi dimostra che: - il gruppo A (trattato su AP) ha sviluppato una “doppia regola”: in entrambi i test post trattamento questo gruppo ha giudicato come corrette sia frasi senza AP (target in italiano) sia frasi con AP (di

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struttura spagnola). Il TIE ha giovato solo al riconoscimento di ciò che è possibile in italiano ma non ha aiutato gli studenti a giudicare come agrammaticale il transfer di una regola della propria L1. - il gruppo B (trattato su ART) ha invece giovato del trattamento ed ha migliorato l’accuratezza dei giudizi. Tuttavia, per quanto riguarda ART, anche il gruppo A è migliorato nel tempo: la sola esposizione all’input ha aiutato questo gruppo ad affinare i propri giudizi di grammaticalità su ART. In conclusione, sembra possibile affermare che il tratto ART possa svilupparsi da solo: in questo caso un intervento semplice e non intrusivo come il TIE pare giovare in termini di acquisizione. Per disincentivare il transfer di AP, invece, sembrano essere necessari interventi didattici più forti e intrusivi dato che una sola tecnica di input enhancement non ha avuto gli effetti desiderati. Riferimenti bibliografici Gass S., Mackey A. (2002), Frequency effects and second language acquisition, Studies in Second

Language Acquisition, 24. Han, Z., Sung Park, E & Combs, C. (2008), Textual enhancement of input: issues and possibilities,

Applied Linguistics, 29/4. Judy, T. (2011) L1/L2 parametric directionality matters: More on the Null Subject Parameter in L2

acquisition, in Roberts, L., Pallotti G., & Bettoni, C. (eds.), EUROSLA Yearbook 11, Amsterdam: John Bemjamins.

Loewen, S., 2011, Focus on form, in Hinke, E. (ed.). Handbook of research in second language teaching and learning. Routledge: New York.

Nuzzo E, Rastelli S., (2011), Glottodidattica sperimentale, Roma, Carocci. Schmid S. (1994), L’italiano degli spagnoli, Milano, FrancoAngeli. Schmidt R. W., (2001). Attention, in P. Robinson (Ed.), Cognition and second language instruction.

Cambridge: Cambridge University Press. Schwartz, B. D., (1998). The second language instinct. Lingua, 106. Spada, N. (2011). Beyond form-focused instruction: Reflections on past, present and future reserach.

Language Teaching, 44 Vietti A. (2005), Come gli immigrati cambiano l’italiano. L’italiano di peruviane come varietà

etnica, Milano, Franco Angeli. Wong, W. (2005). Input enhancement: From theory and research to the classroom. Boston: McGraw-

Hill. Yin B. and Kaiser E., 2011, Chinese speakers’ acquisition of telicity in English, in Granena G. et al.,

Selected proceedings of the 2010 second language learning forum, Sommerville: Cascadilla Proceedings Project.

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Oltre l’”input potenziato: il potenziamento del feedback. Ottimizzare l’efficacia della correzione interazionale per ottimizzare l’input

Roberta Grassi Il tema della relazione sarà la riparazione dell’errore (anche detta correzione, retroazione, o feedback). Verrà trattato innanzitutto il ruolo – controverso – ad essa assegnato nelle teorie che indagano l’input e i suoi effetti rispetto all’acquisizione di seconde lingue. Non tutte le teorie, soprattutto se di stampo cognitivista, considerano il feedback nella propria definizione dell’input, limitandosi - quando non lo escludono apertamente - ad ignorarlo (Young-Scholten & Piske 2009). Alla base di tale atteggiamento si riconosce l’assunto chomskyano sulla “povertà dello stimolo” (Chomsky 1981 in Gass 1997), a sua volta basato su due osservazioni: che la competenza dei parlanti (in particolare, dei bambini) arrivi ad essere molto più complessa dell’input disponibile, e che anche in presenza di input minimale si formi una competenza. In conseguenza di ciò, le principali definizioni di input non mettono in rilievo due sue componenti peculiari: le informazioni metalinguistiche e le correzioni. Se dal punto di vista teorico ciò rimanda al dibattito sull’(in)utilità dell’evidenza negativa, per la glottodidattica entrambi gli elementi sono parte dell’input e rilevante è, oltre all’indagine sull’ottimizzazione dell’input (o se si vuole, al suo interno), distinguere salienza ed efficacia dell’una e dell’altra ai fini dell’avanzamento della competenza. Prendendo spunto dal concetto di input potenziato (Sharwood Smith 1993) – di un input cioè ‘manipolato’, nella sua somministrazione didattica, al fine di incentivare il noticing (Schmidt 1990, 1994) di alcune sue caratteristiche – la relazione discuterà se sia possibile ottimizzare l’efficacia del feedback interazionale (Mackey & Oliver 2002; Lyster & Mori 2006) attraverso una sua gestione e modulazione consapevole, a realizzare ciò che chiameremo un “feedback potenziato” (negative input enhancement per Lyster & Saito 2010). Per fare ciò, si illustreranno le caratteristiche e le ricadute dei principali tipi di retroazione (così come definiti in Grassi 2010), precisando per ciascuno gli effetti in ordine a) all’efficacia sull’apprendimento e b) in relazione a diverse variabili, tra cui: contesto didattico, età degli apprendenti, elementi linguistici oggetto della riparazione. Scopo ultimo sarà il fornire raccomandazioni metodologiche circa la gestione ottimale (‘potenziamento del feedback’) della correzione interazionale. Riferimenti bibliografici Gass, S.M. (1997). Input, Interaction, and the Second Language Learner. Mahwah, NJ: Lawrence

Erlbaum Associates. Grassi, R. (2010). Come correggere l’errore nell’interazione? Tipi di feedback a confronto. In R. Grassi, M. Piantoni & C. Ghezzi (a c. di) Interazione didattica e apprendimento linguistico. Perugia: Guerra, 103-128. Lyster, R. & Mori, H. (2006). Interactional feedback and instructional counterbalance. Studies in

Second Language Acquisition vol. 28, 321-341. Lyster, R. & Saito, K. (2010). Interactional feedback as instructional input. A review of classroom

research. Language, Interaction and Acquisition / Langage, Interaction et Acquisition, vol. 1/2, 276-297.

Mackey, A. & Oliver, R. (2002). Interactional feedback and children’s L2 development. System vol. 30, 459-477.

Schmidt, R. (1990). The role of consciousness in second language learning. Applied Linguistics, vol. 11, 129-158.

Schmidt, R. (1994). Deconstructing consciousness in search of useful definitions for applied linguistics. AILA Review vol. 11, 165-179.

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Sharwood Smith, M. (1993). Input enhancement in instructed SLA. Studies in Second Language Acquisition vol. 15, 165-179.

Young-Scholten, T. & Piske, M. (Eds.) (2009). Input matters in SLA. Bristol: Multilingual Matters.

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Che cosa rende una forma più facile da apprendere rispetto ad altre? Il caso della terza persona plurale dell’indicativo presente in un esperimento di focus on form rivolto a bambini sinofoni Anna Whittle, Elena Nuzzo In questo contributo intendiamo presentare e discutere alcuni risultati relativi al trattamento e alla percezione dell’input emersi in un più ampio studio sperimentale (Whittle 2012; Whittle & Nuzzo in preparazione) nel quale vengono esplorate le possibili applicazioni, nella realtà multilingue della scuola primaria, della didattica della L2 secondo la prospettiva del focus on form. Il trattamento didattico sperimentale ha coinvolto tre classi intere di seconda elementare, frequentate da parlanti nativi, quasi-nativi e non-nativi di italiano, di età compresa tra sette e otto anni. I destinatari principali dell’esperimento sono però soltanto alcuni dei bambini cui è stato somministrato il trattamento didattico: si tratta di 14 apprendenti cinesi che, dopo due anni di scolarizzazione in Italia, manifestano ancora una scarsa competenza grammaticale, a fronte di una buona capacità di comunicare con i pari e con gli insegnanti. Ciò suggerisce che l’insegnamento cui sono stati esposti a scuola, essenzialmente basato sul contenuto, non abbia fornito un input adeguato per lo sviluppo della loro interlingua, in linea con quanto emerso in studi precedenti in contesti analoghi (per es., Harley et al., 1990; Lyster 2007).

I dati sull’interlingua dei bambini sono stati raccolti in tre tempi: un pre-test prima dell’intervento didattico, un post-test subito dopo e un post-test differito a sei settimane di distanza. Il trattamento didattico ha riguardato la flessione verbale, e in particolare tre persone del presente indicativo (1a e 2a singolare e 3a plurale).

L’analisi statistica mostra nel complesso un forte effetto positivo del trattamento didattico per il gruppo sperimentale sia nel post-test immediato sia in quello differito; nessuna variazione significativa viene invece riscontrata nel gruppo di controllo, cui non è stato somministrato alcun trattamento.

Per quanto riguarda le singole forme-obiettivo, il morfema della 3a plurale registra uno sviluppo più marcato rispetto a quelli della 1a e 2a singolari: un dato che contraddice quanto si verifica nell’acquisizione spontanea, che vede emergere le forme singolari del presente indicativo prima di quelle plurali. Ciò suggerisce che, qualora la manipolazione didattica renda l’input più ricco di occorrenze di morfemi di 3a plurale rispetto a quanto accade in contesto di acquisizione spontanea, la forma risulti più facile da apprendere in virtù delle sue caratteristiche intrinseche. In base alle indicazioni di Goldschneider & DeKeyser (2005) sui fattori che determinano la precedenza di certi elementi su altri nella sequenza di apprendimento, possiamo ricondurre alle seguenti caratteristiche la maggiore “facilità” della 3a plurale: 1) rispetto alla 1a e alla 2a singolari, le quali richiedono che l’apprendente isoli la radice verbale e associ a essa la desinenza, la costruzione delle forme alla 3a plurale, che richiede una strategia agglutinante, è più trasparente; 2) la desinenza della 3a plurale è un morfema sillabico: ha quindi maggiore salienza percettiva ed è più facile da notare; ciò può essere vero soprattutto per apprendenti sinofoni che sviluppano nel corso dell’acquisizione della L1 una sensibilità spiccata per la componente sillabica (Banfi, 2005); 3) la forma in -no non ha omofoni nel sistema verbale; la 2a singolare coincide, invece, per i verbi della 2a e 3a coniugazione, con l’imperativo; 4) mentre la 3a plurale acquista significato in relazione a un riferimento esterno e alla contrapposizione singolare/plurale, l’uso della 1a singolare e della 2a singolare richiede la gestione della deissi di persona nello scambio comunicativo.

Da quanto osservato possiamo concludere che la manipolazione dell’input operata nella didattica del focus on form – in questo caso un’inondazione linguistica (input flood) in cui la forma di trattamento ha una frequenza molto più alta che nel parlato spontaneo – incide significativamente su

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ciò che gli apprendenti percepiscono, notano e imparano; può quindi in parte alterare alcuni schemi di apprendimento naturali. Riferimenti bibliografici Banfi E., Morfologia, forma e percezione della parola. Osservazioni su dati di lessico italiano/L2 di

apprendenti sinofoni: il caso di T., in N. Grandi, Morfologia e dintorni. Studi di linguistica tipologica ed acquisizionale, Franco Angeli, Milano, 2005, 105-125.

Goldschneider J. M. & DeKeyser R. M., Explaining the Natural Order of L2 Morpheme Acquisition in English: A Meta-analysis of Multiple Determinants, in Language Learning, 55, supp. 1, 2005, 27-77.

Harley B., Cummins J., Swain M. & Allen P., The Development of Second Language Proficiency, Cambridge University Press, Cambridge, 1990.

Lyster R., Learning and Teaching Languages Trough Content. a Counterbalanced Approach, Benjamins, Amsterdam, 2007.

Whittle A., L’interazione nella classe multilingue: bambini sinofoni nella scuola italiana, in C. Bosisio & S. Cavagnoli, a cura di, Comunicare le discipline attraverso le lingue: prospettiva traduttiva, didattica, socioculturale. Atti del 12° Congresso dell'Associazione Italiana di Linguistica Applicata, Guerra, Perugia 2012.

Whittle A. & Nuzzo E. L'insegnamento della grammatica nella classe multilingue: Un esperimento di focus on form in preparazione.

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La lingua madre come risorsa per l’apprendimento della L2 Zelda Amidoni, Irma Falgari, Anna Pizio, Patrizia Dolazza Il contesto L’ambito territoriale della Media Val Seriana da anni promuove politiche di accoglienza ed inclusione della popolazione migrante tramite accordi in rete tra i servizi.1 Nello specifico lo Sportello Scuola ed il Servizio Intercultura lavorano insieme al fine di favorire l’accoglienza degli alunni stranieri nelle scuole del territorio. Negli anni si è passati da una percezione di urgenza ad una stabilizzazione dei progetti migratori che hanno visto un aumento delle iscrizioni di alunni nati in Italia da genitori stranieri o ricongiunti da tempo. Molti di questi alunni, pur essendo nati in Italia e/o avendo frequentato da anni la scuola italiana, continuano ad avere difficoltà nella comprensione del linguaggio disciplinare e nell’elaborazione dei compiti a casa, con conseguenti insuccessi scolastici. 2 Alla base di queste difficoltà vi possono essere motivazioni differenti quali la mancata frequenza della scuola dell’infanzia, la difficoltà del linguaggio disciplinare, soprattutto nelle scuole secondarie di 1 e 2 grado, un vissuto familiare di “deprivazione socio-culturale” che si traduce nell’impossibilità da parte delle famiglie d’origine di supportare a casa, in lingua italiana, i figli nel percorso di scolarizzazione. Queste difficoltà si traducono spesso in bocciature e ritardi scolastici con conseguente rischio di dispersione scolastica nonché un aumento di segnalazioni alla neuropsichiatria infantile. A latere, vi sono i vissuti difficili di questi alunni e delle loro famiglie, una perdita di autostima e un indebolimento della progettualità migratoria che investe il riscatto sociale ed economico dei genitori sui successi, anche scolastici, delle seconde e terze generazioni. Interventi attivati Per sostenere questi alunni, l’intuizione è stata quella di utilizzare come input, accanto agli interventi di alfabetizzazione e mediazione culturale, la lingua madre per facilitare l’apprendimento della lingua italiana e i processi di socializzazione. Come sostiene Krashen3, la lingua viene acquisita esponendo l’allievo ad un input comprensibile, rispettando l’ordine naturale di acquisizione, favorendo l’abbassamento del filtro affettivo e tenendo in considerazione anche l’aspetto sensoriale dei processi di apprendimento.4 I progetti attivati possono essere così riassunti:

1. Progetto sperimentale in cui una mediatrice linguistica laureata in lingua cinese supporta gli alunni sinofoni neoarrivati aiutandoli, con la traduzione in lingua madre, a decodificare il linguaggio disciplinare;

2. Valorizzazione della lingua madre in un progetto di peer education presso l’ABF di Albino; 3. Presenza di mediatori culturali in due spazi aggregativi del territorio per facilitare

l’esecuzione dei compiti;

1 Si veda il Protocollo di Intesa sulle linee di intervento per l’inclusione dei minori e delle famiglie straniere e i Piani di

Zona 2009-11 e 2012-14 sul sito www.ssvalseriana.org 2A tredici anni il 55% degli alunni stranieri in Italia è in ritardo scolastico: il 42% di un anno, il 12% di due o più anni. A 14

anni il ritardo sale al 66% e a 15 anni al 75% (fonte progetto “Non uno di meno” www.provincia.milano.it e

www.centrcome.it) 3 H. Dulay, M.Burt, S.Krashen, La seconda lingua, Il Mulino, 1985 4 Si veda la teoria del physical approch e della glottodidattica umanistico- affettiva e funzionale

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4. Promozione di un festival dedicato alla lingua madre Tira fuori la lingua che mira ad un riconoscimento ufficiale del plurilinguismo ed il progetto C.I.C. Culture in corso che vede le biblioteche del territorio impegnate in azioni di valorizzazione della lingua madre.

Case study: l’utilizzo della lingua madre nei percorsi di alfabetizzazione degli alunni cinesi neoarrivati Nel corso degli ultimi anni, come dimostrano i dati statistici5, la presenza di migranti cinesi è notevolmente aumentata sia a livello nazionale che locale. Questo trend si conferma anche sul territorio della media Val Seriana dove il numero di alunni cinesi nelle scuole del territorio è notevolmente aumentato (nell’a.s. 2009/2010 sono stati 4 gli alunni cinesi neo arrivati mentre nel a.s. 2013/2014 si sono registrati 18 ricongiungimenti familiari a febbraio 2014). Il carattere recente di questo fenomeno migratorio inizia ora a sollecitare uno scambio significativo con il contesto ed in particolare con le istituzioni scolastiche, anche grazie all’aumento delle iscrizioni presso le scuole dell’infanzia. Tale cambiamento ha portato i servizi ad intervenire in modo sistemico e inclusivo, in termini non settoriali e rigidamente specialistici, ma nell’ottica di un reciproco arricchimento. Nel confronto con gli insegnanti e con lo Sportello Scuola, il Servizio Intercultura ha rilevato che i processi di inserimento e di alfabetizzazione degli alunni sinofoni presentano delle peculiarità legate sia alla dimensione linguistica che culturale del Paese di provenienza, per le quali è necessario attivare strumenti e attenzioni ulteriori rispetto ai percorsi normalmente attivati per gli alunni stranieri neo-arrivati.6 Questo progetto sperimentale prevede che gli alunni sinofoni siano affiancati da gennaio a giugno 2014 da una mediatrice linguistica, laureata in lingua cinese e frequentante il corso Ditals, che possa tradurre in lingua madre i contenuti curricolari più difficili, partendo da una programmazione individualizzata predisposta dagli insegnanti di classe e in continuità con il progetto territoriale di alfabetizzazione per gli alunni NAI attivato dallo Sportello Scuola. Facilitando la comprensione lessicale e semantica dei testi proposti, grazie all’input in lingua madre e al conseguente abbassamento del filtro affettivo, si auspica che gli alunni possano apprendere più facilmente il contenuto in lingua italiana, rafforzando la propria autostima ed avendo, quindi, anche una ricaduta positiva dal punto di vista emotivo e relazionale. Il contributo proposto riguarderà lo studio di caso dell’alunna W.J., arrivata in Italia ad agosto 2013 ed inserita in classe prima presso una scuola secondaria di 1 grado. Dopo un percorso di prima accoglienza ed alfabetizzazione, l’alunna è ad oggi seguita con questo progetto in lingua madre che sta permettendo all’equipe multidisciplinare di registrare in maniera continuativa le fasi dell’interlingua7, rafforzando l’input attraverso un utilizzo più coerente della L1 e L2.

5 Secondo l’ISTAT i cinesi residenti in Italia sono aumentati di circa il 10% ogni anno tra il 2006 e il 2010. In Val Seriana i

residenti cinesi sono passati da 186 nel 2009 a 250 nel 2011. 6 A. Silvestri, G. Vincenzi, G (a cura di), www.veronetta129.it 7 G. Pallotti (a cura di), Osservare l’interlingua, sito ufficiale del Comune di Reggio Emilia, 2009

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Strategie di comprensione dell’input linguistico non letterale nella lingua materna e in quella straniera. L’importanza della riflessione metalinguistica. Agnese Sampietro L’analisi della configurazione del lessico mentale è una delle aree di ricerca più ferventi nell’ambito della psicolinguistica applicata al bilinguismo e all’apprendimento delle lingue straniere (Grosjean et al., 2013). Nonostante la gran quantità di ricerca realizzata nell’ambito della memoria lessicale e concettuale nel bilingue (Kroll et al., 2011), è ancora relativamente poca la ricerca che analizza un livello superiore alla processazione delle singole parole in una lingua straniera (Nation, 2001). Dall’altra parte, la carica metaforica del linguaggio è ormai pienamente riconosciuta, tuttavia l’analisi del linguaggio non letterale da parte del discente è un campo che ha ricevuto poca attenzione in ambito psicolinguistico. In questo ambito è stata ampiamente considerata la processazione di espressioni idiomatiche nel monolingue (Cacciari et al, 1992), però meno nel bilingue (Cooper, 1999; Abel, 2003; Cieślicka, 2006). Nell’ambito della ricerca sull’insegnamento e apprendimento delle lingue straniere, sono state analizzate le strategie più efficaci per insegnare espressioni idiomatiche, soprattutto per quanto riguarda l’inglese come lingua seconda (Irujo, 1986; Zyzik, 2011). Ancora scarsa è la ricerca nell’ambito dell’italiano lingua seconda riguardo alle strategie di comprensione del linguaggio non letterale da parte dei discenti e il rispettivo insegnamento, mediante la superazione delle tradizionali liste di espressioni idiomatiche. Il presente contributo ha l’obiettivo di approfondire proprio l’ambito della comprensione del linguaggio non letterale in una lingua straniera. Dopo una completa revisione del marco teorico della ricerca in ambito psicolinguistico relativa alla comprensione del linguaggio non letterale, specialmente delle espressioni idiomatiche, saranno analizzate le strategie utilizzate da discenti di italiano L2 in Spagna nella comprensione di un input linguistico non letterale. In particolar modo, saranno analizzate le strategie di comprensione del linguaggio non letterale nella lingua materna (spagnolo), e si confronteranno con la performance nella lingua straniera, facendo particolare riferimento al ruolo del contesto. Sarà presa in considerazione l’importanza della consapevolezza dell’idiomaticità del linguaggio, anche nella lingua madre, come riflessione metalinguistica previa all’introduzione dell’input linguistico non letterale nella lingua straniera. Saranno proposte infine indicazioni didattiche per il miglioramento della comprensione e produzione del linguaggio non letterale da parte dei discenti, considerando anche le implicazioni per l’apprendimento a distanza delle lingue straniere e la traduzione. Riferimenti bibliografici: Abel, B. (2003). English idioms in the first language and second language lexicon: a dual representation approach. Second Language Research, 19, 4, 329-358. Cacciari, C. e Tabossi, P. (1993). Idioms: processing, structure and interpretation. London: Lawrence Erlbaum Associates. Cieślicka, A. (2006). Literal salience in on-line processing of idiomatic expressions by second language learners. Second Language Research, 22(2),11-144. Cooper, T.C. (1999). Processing idioms by L2 learners of English. Tesol Quarterly, 33(2), 233-262. Grosjean, F. e Li, P. (2013). The Psycholinguistics of Bilingualism. Malden, MA y Oxford: Wiley-Blackwell. Irujo, S. (1986). Don’t put your leg in your mouth: transfer in the Acquisition of Idioms in a Second Language. Tesol Quarterly, 20(2), 287-304. Kroll, J. F. e Hermans, D. (2011). Psycholinguistic Perspectives on Language Processing in Bilinguals. In Schmid, M.S. and Lowie, W. (Eds.), Modeling Bilingualism from Structure to Chaos. In Honor of Kees de Bot (pp. 23-44). Amsterdam: Johns Benjamin.

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L'input per l'acquisizione dell’Italiano L2 in età scolare: il ruolo dell’apprendimento della lettura Mirta Vernice In questo seminario approfondiremo lo stato dell’arte delle ricerche psicolinguistiche e neuropsicologiche volte ad indagare in quale misura l’esposizione alla lingua scritta possa influenzare la competenza linguistica in parlanti con Italiano L2. Recenti studi di neuroscienze indicano che l’alfabetizzazione, e nello specifico l’apprendimento della lettura, ha un impatto cruciale sullo sviluppo neurale (Dehaene, 2009). Tali studi suggeriscono, d’altra parte, che esistono delle finestre temporali che scandiscono le tappe di maturazione neurale relative alle aree deputate alla lettura. L’indagine sperimentale sul soggetto bilingue ha permesso inoltre di osservare che si possono sviluppare dei circuiti altamente specializzati per l’elaborazione della lingua scritta nella L1 ed L2, a seconda dell’età di acquisizione (o apprendimento) della L2 (Kim et al., 1997). In generale, la letteratura sull’argomento sembra essere concorde nell’indicare come l’esposizione alla L2 scritta determini uno specifico cambiamento nel funzionamento neurale del parlante bilingue, relativo ad aree deputate all’elaborazione linguistica, a seconda del fatto che tale input venga offerto in età infantile o adulta. Inoltre, presenteremo brevemente i dati di uno studio che mira ad indagare le competenze linguistiche (morfo-sintattiche e lessicali) in Italiano, e il livello degli apprendimenti di lettura e scrittura in un campione di bambini di scuola primaria con Italiano L2 provenienti da un contesto di deprivazione linguistica e culturale. Per ciascuno di essi sono state raccolte informazioni sul livello dell'input nella L1 e sull'esposizione alla L2 mediante la somministrazione del questionario “Utrecht Bilingual Language Exposure Calculator” (UBiLEC). I risultati indicano che i bambini con Italiano L2 hanno una performance in lettura e scrittura consistentemente al di sotto della media rispetto a bambini con Italiano L1 di pari età cronologica. La lingua di provenienza (arabo vs. spagnolo vs. tagalog-filippino) e la durata di esposizione all'italiano appaiono predire in modo significativo alcune misure di lettura. I risultati della nostra ricerca saranno discussi alla luce della letteratura di riferimento, allo scopo di suggerire possibili interventi finalizzati a rilevare eventuali difficoltà di apprendimento dovute a una deprivazione dell’input nella L2 scritta.

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ClipFlair: sottotitolazione e doppiaggio per apprendenti d'italiano L2 Jennifer Lertola L'input audiovisivo ha grandi potenzialità nella didattica della lingua seconda (L2) perché offre agli apprendenti situazioni comunicative complete nelle quali la L2 viene presentata in un contesto come avviene nella realtà. Recentemente la ricerca ha evidenziato come il parlato filmico, in particolare quello televisivo, possa favorire l'acquisizione della L2. Il parlato filmico non corrisponde esattamente al parlato spontaneo ma le somiglianze che esistono tra i due registri possono coinvolgere e motivare gli apprendenti poiché richiamano la realtà. Inoltre il discorso filmico presenta elementi che lo differenziano dal parlato naturale ma rendono l'input audiovisivo più comprensibile per gli appendenti. Il parlato filmico è caraterizzato dalla presenza della lingua standard, uniformità dei turni conversazionali e una sintassi semplice (Pavesi, 2012). Diversi studi condotti sull'acquisizione dell'italiano a Malta dimostrano come la regolare esposizione all'input televisivo possa infuenzare positivamente la competenza linguistica (Caruana, 2006). La visione di filmati accompagnati da sottotitoli intralinguistici (nella stessa lingua del dialogo filmico) per apprendenti avanzati o interlinguistici (traduzione del dialogo) per apprendenti principianti è una pratica ampiamente usata nella classe di L2 da oltre trent'anni, i cui benefici sono stati comprovati da vari studi europei e statunitensi. La visione con o senza sottotitoli può essere integrata da attività motivanti che richiedono la sottitolazione attiva e il doppiaggio. Nell'ultimo decennio varie ricerche sull'uso della traduzione audiovisiva da parte degli apprendenti ne hanno dimostrato gli effetti positivi su comprensione orale, acquisizione del lessico, produzione scritta e orale (Danan 2010, Talaván 2011, Lertola 2012, Talaván/Rodríguez-Arancón 2014). Nel presente contributo si intende presentare ClipFlair (Foreign Language Learning through Interactive Captioning and Revoicing of Clips) un progetto europeo finanziato dalla Commissione Europea all'interno del programma Lifelong Learning nel periodo 2011-2014 e realizzato da un consorzio di dieci università europee insieme a un numero di partner associati (istituti pubblici e privati di ogni ordine e grado). ClipFlair mira a promuovere l'apprendimento delle lingue attraverso la sottotitolazione e il doppiaggio di video usando una piattaforma interattiva che dispone di due strumenti lo Studio e il Social Network. Nello Studio è possibile creare, caricare ed accedere ad attività di sottotitolazione (intralinguistica e interlinguistica) e di doppiaggio. Il Social Network supporta la creazione di forum e la condivisione di messaggi di testo, immagini e video. ClipFlair offre oltre 300 attività didattiche in 15 lingue, incluso l'italiano, per vari livelli di competenza. Le attività, basate su un'unità didattica, permettono agli apprendenti di sviluppare le quattro principali abilità linguistiche (lettura, ascolto, produzione orale e scritta) in contesti di apprendimento in presenza o virtuali. La piattaforma è estremamente versatile e non richiede particolari conoscenza tecniche da parte degli insegnanti e degli apprendenti. L'intervento proporrà alcuni esempi di attività didattiche per l'italiano L2 ed offrirà suggerimenti pratici per l'utilizzo della piattaforma.

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Parole nella mente, parole per parlare. Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue straniere Mario Cardona Ogni atto linguistico è innanzitutto un atto di memoria. Senza di essa infatti non esisterebbe la facoltà del linguaggio, come non potrebbero operare i sistemi cognitivi che presiedono alla nostra interazione con il mondo. Anche nell’apprendimento delle lingue straniere dunque la memoria, intesa come un insieme di processi che concorrono alla codifica, all’immagazzinamento ed al recupero dell’input, svolge un ruolo centrale. È noto tuttavia che esistono molti tipi di memoria, le cui specificità interagiscono in forme diverse per consentire all’individuo di organizzare in modo funzionale nella mente le complesse architetture delle strutture morfosintattiche e semantico-lessicali. Il presente intervento si propone di indagare il ruolo svolto dai principali tipi di memoria ed in particolare la working memory e la memoria semantica, nell’acquisizione delle lingue straniere con particolare riferimento al lessico. Tale analisi non è solo rivolta alla teoria, ma assume i processi di memoria nelle loro implicazioni pratiche e applicative utili all’apprendimento ed all’insegnamento delle lingue straniere.

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Analisi dell’input fornito dal docente per lo sviluppo della competenza lessicale di apprendenti adulti e inziali di italiano L2 Donatella Troncarelli, Andrea Villarini L’ input, inteso come il materiale linguistico con cui l’apprendente viene in contatto, è in larga parte costituito, in contesto di apprendimento guidato, dalla lingua dei libri di testo e da quella utilizzata dal docente nell’interazione con la classe. È attraverso entrambe queste componenti che vengono presentate allo studente forme linguistiche frutto di selezione e controllo, sulle quali viene condotta una riflessione e su cui vengono svolte delle attività mirate allo sviluppo della competenza. Le indagini sul parlato del docente di italiano come seconda lingua rientrano in un filone di studi di recente sviluppo. La ricerca in questo campo, però, ha adottato principalmente la prospettiva dell’analisi del discorso e dell’analisi conversazionale. La questione del lessico adottato e insegnato ha interessato meno e i riferimenti alle parole usate dai docenti sono del tutto marginali rispetto, appunto, a questioni più generali legate alle strategie conversazionali adottate. Questa minore attenzione è, forse, da attribuire proprio alla grande importanza e centralità del lessico, perché è qualcosa che arriva a riguardare tutti i livelli in cui è scomponibile la competenza linguistico-comunicativa. Un aspetto della competenza così legato anche ad altri aspetti da rendere assai complicato isolare ciò che può considerarsi lessico in una lingua da ciò che invece, pur essendo reso visibile all’esterno dalle parole, appartiene ad altri ambiti della competenza. La condizione di possibilità, quindi, per uno studio del lessico nell’input fornito in classe dai docenti ci è parsa essere quella di assumere una prospettiva teorica, con le relative strumentazioni di indagine, che contemplasse una nozione di lessico estesa e che arrivi ad implicare settori di indagine che per altri sono appannaggio esclusivo della grammatica. In altri termini, l’apprendente di fronte ad un testo in lingua straniera metterà in campo strategie di decodifica che fanno perno sul contesto, sulla situazione comunicativa, sulle conoscenze pregresse, che gli consentiranno di muovere alla ricerca/individuazione di “blocchi” di parole significativi. Questi blocchi di parole possono essere sia semplici collocazioni preferenziali di parole singole tra di loro, sia locuzioni e formule fisse a diversi gradi di variabilità che possono arrivare ed essere delle vere e proprie espressioni prefabbricate. Il lessico, allora, diventa un insieme di chunks, la cui esistenza (a tutti gli effetti ricompresi nella nozione di lessico) spinge l’apprendente, specie negli stati iniziali del suo percorso di avvicinamento, a rintracciarne l’esistenza e ad acquisirli anche in maniera non analizzata come pezzi di lingua che solo successivamente, con l’aumentare della grado di consapevolezza metalinguistica, possono essere esaminati nelle sue componenti e rielaborati. Questi blocchi o chunks rappresentano per colui che apprende, delle boe alle quali aggrapparsi nel suo percorso di ricerca del senso in un testo. È intorno ad essi, infatti, che egli inizia a costruire o saldare la sua interlingua. La nostra relazione intende, come detto, mettere al centro le parole usate dai docenti di lingua (che costituiscono un input in sé in quanto forniscono agli apprendenti un modello di lingua verso il quale tendere) e le attività didattiche elaborate dall’insegnante con l’esplicito obiettivo di aumentare la competenza lessicale. Il quadro che ne viene fuori non consente solo di far luce sul lessico che circola in aula, ma anche sulle relazioni che sorgono in una classe di lingua tra insegnante e apprendenti. Per fare questo rendiconteremo gli esiti principali di una indagine che ha raccolto circa 50 ore di parlato di 28 docenti in oltre 30 lezioni di italiano L213.

13 I dati fanno riferimento ad un’indagine più ampia, condotta sullo sviluppo della competenza lessicale dall’unità di ricerca dell’Università per Stranieri di Siena e coordinata da Andrea Villarini, nell’ambito del progetto “Lingua seconda/lingua straniera nell'Europa multilingue: acquisizione, interazione, insegnamento” finanziato dal MIUR con fondi PRIN ’09 e coordinato a livello nazionale dal prof. Giuliano Bernini dell’Università di Bergamo. A questa ricerca hanno partecipato, oltre agli scriventi, i giovani ricercatori Matteo La Grassa e Olga Palumbo che si ringraziano per il lavoro svolto. Ulteriori ringraziamenti vanno ai docenti che hanno consentito la registrazione delle loro lezioni. I dati raccolti

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La prima parte della nostra relazione verterà sulle parole utilizzate dal docente in aula: quali sono? Quali i chunks più ricorrenti? A quali categorie grammaticali appartengono? Esistono delle aree semantiche privilegiate? Nella seconda parte, invece, inquadreremo le attività da tutti i punti di vista utili per la definizione del trattamento del lessico in aula, rilevando quali (gruppi di) parole poste all’attenzione dal docente, la tipologia di attività svolta, le abilità richieste all’apprendente per portare a termine il compito, la descrizione delle strategie del docente per sviluppare in un certo frangente della lezione la competenza lessicale dei propri corsisti. Qui presenteremo i dati tratti da circa 270 ASCL (Attività [specifiche] per lo Sviluppo della Competenza Lessicale) messe in atto dagli insegnanti per lo sviluppo del lessico e ricognizione delle loro caratteristiche, e da 297 PILLOLE LESSICALI, ovvero, “snodi” di lezione non sempre riconducibili a una struttura costruita a priori con passaggi predefiniti, ma spesso indotte sul momento dalle esigenze formative manifestate dalla classe o da singoli allievi. Mostreremo quali competenze vengono sollecitate per aumentare la competenza lessicale degli allievi, quali compiti esegue l’insegnante e quali la classe. In breve: cosa fa l’insegnante concretamente in aula per promuovere la competenza lessicale dei propri apprendenti. Riferimenti bibliografici Adolphs S., Schmitt N. (2004), “Vocabulary coverage according to spoken context”, in: Bogaards P., Laufer B. (a cura di), Vocabulary in a Second Language, Philadelphia, John Benjiamins Publishing Company, pp. 39-49. Ambroso S. (2004), “Strumenti per far (meglio) apprendere il lessico italiano come L2”, in: Lepschy A. L., Tamponi A. R. (a cura di), Prospettive sull’italiano come Lingua Straniera, Perugia, Guerra Edizioni: 63-79. Aitchinson J. 1987, Words in the mind, Oxford, Blackwell Publishing.

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dall’unità di ricerca senese sono confluiti nel corpus L.A.I.C.O. (Lessico per Apprendere l’Italiano Corpus di Occorrenze) di cui costituiscono, quindi, una sottosezione.

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