L’ingenuità Canne al vento dei greci E - Micropolis · Il se- condo è la ... luglio/agosto 2015...

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uesto torrido finale di luglio ha visto comporsi il quadro istituzionale regio- nale. Abbiamo la giunta, la presidenza e le vicepresidenze del consiglio, le commissioni con i loro presidenti. Se dovessimo fare una notazione politica, tutta interna al Pd, quello di cui prendere atto è la vittoria dei giovani turchi di marca fioroniana che ottengono il pre- sidente del consiglio, l’assessore alla sanità e un presidente di commissione. Tutto è pronto per il decollo. Verso quale meta ancora non si sa, ma di certo il viaggio verrà affrontato stancamente e senza politica: a meno che per politica non si in- tendano l’amministrazione corrente di una sanità sempre più in affanno da sottoporre a tagli più consistenti che nel passato, percorsi di sviluppo in bilico tra sogni di start up e difesa degli inte- ressi correnti, interventi di sistema inesistenti, po- litiche di privatizzazione delle public utility ed una subalternità ormai imbarazzante nei con- fronti dei poteri centrali ed europei. L’idea di una crescita, sempre più ipotetica, espunge dal dibattito ogni progetto di sviluppo diverso, di mutamento dei paradigmi ormai en- trati nel dibattito comune. Il mondo è quello che è - ci dicono destra e sinistra - e pensare di cam- biarlo è una follia. “Pensate a come sta finendo in Grecia”. Bisogna essere come canne disposte a piegarsi al vento. Ma c’è di più: piegarsi è giusto, è il futuro. Basta con sogni utopici ed irrealizza- bili. Il 50% degli umbri non ha votato? Pazienza, “ce ne faremo una ragione”. Intanto il “Giornale dell’Umbria” promuove un dibattito che si sta concentrando su due poli. Il primo è il carattere delle forze politiche. Il se- condo è la contendibilità della Regione, la fine del suo carattere di “regione rossa”. In sintesi: la distinzione tra destra e sinistra, come si dice in molteplici sedi, è ormai superata. La nuova cop- pia dialettica è quella tra conservatori e innovatori che non hanno confini di partito certi, ma stanno in tutti gli schieramenti. Gli innovatori, a quanto siamo riusciti a capire, sono i corifei del liberismo imperante. Quelli che si battono contro l’inter- vento pubblico, per gli stimoli a nuove iniziative industriali di avanguardia, per la riduzione della spesa pubblica, per il merito e le opportunità ed i relativi metodi di valutazione. Poi nascono le di- scussioni. Ad esempio: devono considerarsi in- novative solo le imprese informatiche e telematiche o anche quelle di servizi, compresi ri- storanti e paninerie? Ancora, chi sono i soggetti dell’innovazione? Gli imprenditori in senso schumpeteriano o il territorio dove operano con- cordemente i vari soggetti in campo: lavoratori, ovviamente flessibili e privi di diritti, industriali, imprese di servizi, settore pubblico, ecc.? Natu- ralmente vanno messi in soffitta gli strumenti del conflitto a cominciare dai sindacati, soprattutto quelli non collaborativi. L’idea non è nuova. Pro- prio vero che nulla si crea e nulla si distrugge. Ideologie analoghe circolavano a inizi Novecento negli Stati Uniti ed hanno costituto il nerbo delle ipotesi corporative in Europa negli anni venti e trenta del secolo scorso. Sentirsele riproporre con tanta sicumera fa un certo effetto. Se le cose stanno così non può esserci competi- zione tra destra e sinistra, non fosse altro perché non c’è più la sinistra, semmai la contendibilità è tra chi propone un percorso più veloce, senza vincoli istituzionali [ad esempio le costituzioni uscite dalle guerre di liberazione e i vincoli posti agli esecutivi e agli spiriti animali del capitali- smo], e chi tende a rallentarlo per interessi di parte, per spirito clientelare, ecc. Insomma dato che la sinistra non c’è più, a meno di non pensare che il Pd sia di sinistra, la cosiddetta contendibi- lità, ammesso ci sia, è tra analoghi non certo tra diversi. Nella realtà le cose sono un po' differenti da quelle che vengono prospettate. L’autonomia re- gionale e quella delle istituzioni locali non esi- stono più. Hanno provveduto a demolirle le politiche nazionali e le scelte dell’Unione euro- pea. Tagli ed aumenti delle tasse ormai hanno raggiunto livelli insopportabili, i dissesti dei bi- lanci comunali e regionali [per non parlare delle province] sono evidenti. Il malaffare che attra- versa le istituzioni periferiche è ormai sistemico. Una regione piccola e povera come l’Umbria, dove le situazioni di crisi sono diffuse ed ende- miche, dove i tassi di produttività sono da trenta anni più bassi che nel resto del paese, non è in grado di reggere senza uno scatto politico. Se que- sto non ci sarà - e crediamo che non ci sarà - l’esito sul breve/medio periodo sarà la fine del- l’istituto regionale con accorpamenti o scorpori dei territori che compongono l’attuale Umbria. Se sia male o bene è un giudizio poco rilevante: questa è l’ipotesi più probabile ed è tutt’altro che certo che i cittadini insorgano contro questo esito. Insomma non c’è nulla da attendersi dalla nuova giunta regionale e, di fronte all’assenza di una limpida alternativa politica, non resta che sperare in ciò che Karl Polany definiva la rivolta del- l’uomo sociale originario contro le dinamiche del mercato, rivolta capace di mettere in discussione quella che viene considerata la sua presunta “na- turalità”, costruendo luoghi di resistenza, case- matte, forme di organizzazione molecolare. Qualche imbecille di sinistra sostiene, in una sorta di cupio dissolvi, che sono proprio questi embrioni di organizzazione sociale, i corpi inter- medi, naturalmente ambigui, ad impedire l’alter- nativa. Ma si sa, la madre dei cretini è sempre incinta. commenti Architetti Felici a Corciano Educazione unilaterale Educazione familiare Nessun dorma Lavori in corso Vangelo militante Mense calde Folignotown 2 politica Una regione per vecchi di Franco Calistri Centri senza impiego 3 di Miss Jane Marple Stabilizzazioni a caro prezzo 4 di Black Mamba W la Costituzione 5 di Diego Mariotti Così fan tutti 6 di Paolo Lupattelli un comunista impenitente Speciale su Maurizo Mori 7 a cura di Salvatore Lo Leggio e Roberto Monicchia società Ambiente bene comune di P.L. Interessi in discarica 11 di A.G. Barca di Jacopo Manna Energia sprecata 12 di Anna Rita Guarducci cultura Spettri dalle trincee 13 di Roberto Monicchia Visite low cost di Alberto Barelli Il palio della vispa Teresa e di Braccio Fortebraccio 14 di Salvatore Lo Leggio Babele, la confusione delle lingue e dei destini di L.C. Resistere senza retorica 15 di Roberto Volpi Libri e idee 16 luglio/agosto 2015 - Anno XX - numero 7-8 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 copia omaggio L’ingenuità dei greci vitiamo le analisi complicate, limitiamoci ai fatti. L’Europa impone condizioni giugulatorie alla Grecia. Tsipras fa il re- ferendum e lo vince. La sua convinzione è di essere nella trattativa e di poter contare non solo sul suo popolo, ma su altri governi europei a conduzione “progressista” [Italia e Francia]. L’obiettivo, ragio- nevole, è la ristrutturazione e la riduzione del de- bito. E’ andata sempre così di fronte a debiti insostenibili. L’ultima esperienza in proposito è stata la ristrutturazione del debito dei paesi del sud America denominata Piano Brady [1989], che ha ridotto l’esposizione di circa il 30%. Stavolta, però, la questione non è affatto econo- mica, ma politica. I governi del nord e del centro Europa, con in testa la Germania, devono punire la Grecia e tagliare le radici all’infezione “comu- nista”. Da ciò il rifiuto di ristrutturare il debito e le condizioni umilianti imposte in ultimo a Tsi- pras, costretto a scegliere tra il disordine imme- diato o la posticipazione dello stesso di alcuni mesi. Di ciò si sono rese complici le “socialdemo- crazie” [sic!] europee e i loro governi, incapaci di opporsi efficacemente alle pretese tedesche e dei capitali multinazionali e finanziari che Berlino rappresenta. Insomma Tsipras non ha avuto alleati affidabili. Si è evocata la pace di Versailles e le condizioni in- sostenibili imposte alla Germania. In realtà ac- canto a questa immagine va riesumata quella di Monaco, dove i governi inglese e francese si arre- sero alle pretese tedesche sui Sudeti, nella convin- zione, allora, di salvare la pace, oggi l’Unione europea. E’ finita? Crediamo di no. La questione della ri- strutturazione del debito non si è conclusa affatto. La ripropongono il Fmi e la Bce, e il caso greco è destinato a riaprirsi. Come si ripropone il tema dell’Europa e del suo futuro? La retorica di un’Unione solidale di popoli è alla frutta. L’Eu- ropa è un campo di conflitto e di scontro. Luogo di contraddizioni che, piaccia o non piaccia, pas- sano attraverso discriminanti di classe. “Un’altra Europa è possibile” rischia, se non è sostenuta da un ampio schieramento di massa che si estenda in tutto il continente, di restare solo una bella frase. Come imbelle appare il cretinismo elettorale se- condo cui basta conquistare il governo di qualche paese per cambiare in modo determinante gli equilibri politici ed economici. Insomma occorre più tempo, più pazienza, più idee e più organiz- zazione. Parafrasando quanto scriveva Marx a pro- posito della Comune di Parigi: “Pare che i greci perdano, è colpa della loro straordinaria honnê- teté”, dove l’ultimo termine sta non tanto per one- stà, ma per ingenuità. E Q Canne al vento mensile umbro di politica, economia e cultura tornerà in edicola con “il manifesto” domenica 27 settembre

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uesto torrido finale di luglio ha vistocomporsi il quadro istituzionale regio-nale. Abbiamo la giunta, la presidenzae le vicepresidenze del consiglio, le

commissioni con i loro presidenti. Se dovessimofare una notazione politica, tutta interna al Pd,quello di cui prendere atto è la vittoria dei giovaniturchi di marca fioroniana che ottengono il pre-sidente del consiglio, l’assessore alla sanità e unpresidente di commissione. Tutto è pronto per ildecollo. Verso quale meta ancora non si sa, madi certo il viaggio verrà affrontato stancamente esenza politica: a meno che per politica non si in-tendano l’amministrazione corrente di una sanitàsempre più in affanno da sottoporre a tagli piùconsistenti che nel passato, percorsi di sviluppoin bilico tra sogni di start up e difesa degli inte-ressi correnti, interventi di sistema inesistenti, po-litiche di privatizzazione delle public utility eduna subalternità ormai imbarazzante nei con-fronti dei poteri centrali ed europei. L’idea di una crescita, sempre più ipotetica,espunge dal dibattito ogni progetto di sviluppodiverso, di mutamento dei paradigmi ormai en-trati nel dibattito comune. Il mondo è quello cheè - ci dicono destra e sinistra - e pensare di cam-biarlo è una follia. “Pensate a come sta finendoin Grecia”. Bisogna essere come canne disposte apiegarsi al vento. Ma c’è di più: piegarsi è giusto,è il futuro. Basta con sogni utopici ed irrealizza-bili. Il 50% degli umbri non ha votato? Pazienza,“ce ne faremo una ragione”. Intanto il “Giornale dell’Umbria” promuove undibattito che si sta concentrando su due poli. Ilprimo è il carattere delle forze politiche. Il se-condo è la contendibilità della Regione, la finedel suo carattere di “regione rossa”. In sintesi: ladistinzione tra destra e sinistra, come si dice inmolteplici sedi, è ormai superata. La nuova cop-

pia dialettica è quella tra conservatori e innovatoriche non hanno confini di partito certi, ma stannoin tutti gli schieramenti. Gli innovatori, a quantosiamo riusciti a capire, sono i corifei del liberismoimperante. Quelli che si battono contro l’inter-vento pubblico, per gli stimoli a nuove iniziativeindustriali di avanguardia, per la riduzione dellaspesa pubblica, per il merito e le opportunità edi relativi metodi di valutazione. Poi nascono le di-scussioni. Ad esempio: devono considerarsi in-novative solo le imprese informatiche etelematiche o anche quelle di servizi, compresi ri-storanti e paninerie? Ancora, chi sono i soggettidell’innovazione? Gli imprenditori in sensoschumpeteriano o il territorio dove operano con-cordemente i vari soggetti in campo: lavoratori,ovviamente flessibili e privi di diritti, industriali,imprese di servizi, settore pubblico, ecc.? Natu-ralmente vanno messi in soffitta gli strumenti delconflitto a cominciare dai sindacati, soprattuttoquelli non collaborativi. L’idea non è nuova. Pro-prio vero che nulla si crea e nulla si distrugge.Ideologie analoghe circolavano a inizi Novecentonegli Stati Uniti ed hanno costituto il nerbo delleipotesi corporative in Europa negli anni venti etrenta del secolo scorso. Sentirsele riproporre contanta sicumera fa un certo effetto. Se le cose stanno così non può esserci competi-zione tra destra e sinistra, non fosse altro perchénon c’è più la sinistra, semmai la contendibilitàè tra chi propone un percorso più veloce, senzavincoli istituzionali [ad esempio le costituzioniuscite dalle guerre di liberazione e i vincoli postiagli esecutivi e agli spiriti animali del capitali-smo], e chi tende a rallentarlo per interessi diparte, per spirito clientelare, ecc. Insomma datoche la sinistra non c’è più, a meno di non pensareche il Pd sia di sinistra, la cosiddetta contendibi-lità, ammesso ci sia, è tra analoghi non certo tra

diversi. Nella realtà le cose sono un po' differenti daquelle che vengono prospettate. L’autonomia re-gionale e quella delle istituzioni locali non esi-stono più. Hanno provveduto a demolirle lepolitiche nazionali e le scelte dell’Unione euro-pea. Tagli ed aumenti delle tasse ormai hannoraggiunto livelli insopportabili, i dissesti dei bi-lanci comunali e regionali [per non parlare delleprovince] sono evidenti. Il malaffare che attra-versa le istituzioni periferiche è ormai sistemico.Una regione piccola e povera come l’Umbria,dove le situazioni di crisi sono diffuse ed ende-miche, dove i tassi di produttività sono da trentaanni più bassi che nel resto del paese, non è ingrado di reggere senza uno scatto politico. Se que-sto non ci sarà - e crediamo che non ci sarà -l’esito sul breve/medio periodo sarà la fine del-l’istituto regionale con accorpamenti o scorporidei territori che compongono l’attuale Umbria.Se sia male o bene è un giudizio poco rilevante:questa è l’ipotesi più probabile ed è tutt’altro checerto che i cittadini insorgano contro questoesito.Insomma non c’è nulla da attendersi dalla nuovagiunta regionale e, di fronte all’assenza di unalimpida alternativa politica, non resta che sperarein ciò che Karl Polany definiva la rivolta del-l’uomo sociale originario contro le dinamiche delmercato, rivolta capace di mettere in discussionequella che viene considerata la sua presunta “na-turalità”, costruendo luoghi di resistenza, case-matte, forme di organizzazione molecolare.Qualche imbecille di sinistra sostiene, in unasorta di cupio dissolvi, che sono proprio questiembrioni di organizzazione sociale, i corpi inter-medi, naturalmente ambigui, ad impedire l’alter-nativa. Ma si sa, la madre dei cretini è sempreincinta.

commentiArchitetti Felici a Corciano

Educazione unilaterale

Educazione familiare

Nessun dorma

Lavori in corsoVangelo militante

Mense caldeFolignotown 2

politicaUna regione per vecchi di Franco Calistri

Centri senza impiego 3di Miss Jane Marple

Stabilizzazionia caro prezzo 4di Black Mamba

W la Costituzione 5di Diego Mariotti

Così fan tutti 6di Paolo Lupattelli

un comunistaimpenitenteSpeciale su Maurizo Mori 7a cura di Salvatore Lo Leggioe Roberto Monicchia

società Ambiente bene comunedi P.L. Interessi in discarica 11di A.G.

Barca di Jacopo Manna

Energia sprecata 12di Anna Rita Guarducci

cultura

Spettri dalle trincee 13di Roberto Monicchia

Visite low cost di Alberto Barelli

Il palio della vispa Teresae di Braccio Fortebraccio 14di Salvatore Lo Leggio

Babele, la confusionedelle lingue e dei destini di L.C.

Resistere senza retorica 15di Roberto Volpi

Libri e idee 16

luglio/agosto 2015 - Anno XX - numero 7-8 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10copia omaggio

L’ingenuitàdei greci

vitiamo le analisi complicate, limitiamociai fatti. L’Europa impone condizionigiugulatorie alla Grecia. Tsipras fa il re-

ferendum e lo vince. La sua convinzione è di esserenella trattativa e di poter contare non solo sul suopopolo, ma su altri governi europei a conduzione“progressista” [Italia e Francia]. L’obiettivo, ragio-nevole, è la ristrutturazione e la riduzione del de-bito. E’ andata sempre così di fronte a debitiinsostenibili. L’ultima esperienza in proposito èstata la ristrutturazione del debito dei paesi del sudAmerica denominata Piano Brady [1989], che haridotto l’esposizione di circa il 30%. Stavolta, però, la questione non è affatto econo-mica, ma politica. I governi del nord e del centroEuropa, con in testa la Germania, devono punirela Grecia e tagliare le radici all’infezione “comu-nista”. Da ciò il rifiuto di ristrutturare il debito ele condizioni umilianti imposte in ultimo a Tsi-pras, costretto a scegliere tra il disordine imme-diato o la posticipazione dello stesso di alcunimesi. Di ciò si sono rese complici le “socialdemo-crazie” [sic!] europee e i loro governi, incapaci diopporsi efficacemente alle pretese tedesche e deicapitali multinazionali e finanziari che Berlinorappresenta. Insomma Tsipras non ha avuto alleatiaffidabili. Si è evocata la pace di Versailles e le condizioni in-sostenibili imposte alla Germania. In realtà ac-canto a questa immagine va riesumata quella diMonaco, dove i governi inglese e francese si arre-sero alle pretese tedesche sui Sudeti, nella convin-zione, allora, di salvare la pace, oggi l’Unioneeuropea. E’ finita? Crediamo di no. La questione della ri-strutturazione del debito non si è conclusa affatto.La ripropongono il Fmi e la Bce, e il caso greco èdestinato a riaprirsi. Come si ripropone il temadell’Europa e del suo futuro? La retorica diun’Unione solidale di popoli è alla frutta. L’Eu-ropa è un campo di conflitto e di scontro. Luogodi contraddizioni che, piaccia o non piaccia, pas-sano attraverso discriminanti di classe. “Un’altraEuropa è possibile” rischia, se non è sostenuta daun ampio schieramento di massa che si estenda intutto il continente, di restare solo una bella frase.Come imbelle appare il cretinismo elettorale se-condo cui basta conquistare il governo di qualchepaese per cambiare in modo determinante gliequilibri politici ed economici. Insomma occorrepiù tempo, più pazienza, più idee e più organiz-zazione. Parafrasando quanto scriveva Marx a pro-posito della Comune di Parigi: “Pare che i greciperdano, è colpa della loro straordinaria honnê-teté”, dove l’ultimo termine sta non tanto per one-stà, ma per ingenuità.

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Q

Canne al vento

mensile umbro di politica, economia e cultura tornerà in edicola con “il manifesto” domenica 27 settembre

Vangelomilitante

entre a Castel Ritaldi il sindaco rifiuta l'ac-coglienza ad 8 profughi accampando scuserisibili, a Sant'Angelo in Mercole, nello spo-

letino, il parroco affigge sul portone della chiesa uncartello con queste parole: "In questa chiesa è vietatol’ingresso ai razzisti. Tornate a casa vostra!". Don Gian-franco Formenton, che ha voluto in questo modo reagireagli atti di intolleranza verso gli immigrati straniericompiuti nei giorni scorsi a Quinto di Treviso e a Roma,spiega così il suo gesto: "Lo slogan oggi è 'tornate acasa'; con questo messaggio voglio far sapere a chi gridaqueste parole che ci sono anche luoghi dove anche lorosono ben accetti. Tra l'altro sono stato gentile, Gesù èmolto più duro". Ancor più puntuale è nel ribattere alpresidente veneto Zaia: "Dice di essere contro la violenzastando dalla parte dei cittadini ma in questo modo giu-stifica il terrorismo messo in atto arrivando al punto daappiccare il fuoco. Queste azioni squadriste si sono giàverificate negli anni Venti". Non poteva mancare la re-plica di Salvini, che twitta rabbioso "Povera Spoleto epovera chiesa se questo è un prete". Ci sono almenodue buoni motivi per sostenere don Gianfranco: primoperché dice chiaro e tondo che il razzismo è un fattoreale e diffuso, non la "strumentalizzazione" di piccoligruppi; secondo, perchè il suo gesto chiama all'azione:come ha scritto Alessandro Portelli sul "manifesto", ifatti di Treviso e Roma sono ancora più gravi se si notal'assenza di contromanifestazioni a sostegno dei dirittidei profughi.

Mense caldel dado [alimentare] è tratto. Dopo mesi di pole-miche la giunta Romizi ha deliberato l'affida-mento ad un unico gestore esterno dei servizi di

refezione scolastica del comune di Perugia. Finora gli

approvvigionamenti erano gestiti in convenzione daigenitori riuniti in comitati i quali promettono azionidi boicottaggio, come lo sciopero delle rette e il ricorsoal Tar. Genitori che dopo le volgari ironie di Calabresesulle "mamme ignote", hanno subito l'accusa di "con-servatorismo" del direttore del "Giornale dell'Umbria"Castellini.In questi interventi non c'è solo un insopportabile pa-ternalismo, ispirato dal principio "non disturbare ilmanovratore", ma anche la deformazione della realtà:in tutta la vicenda, i comitati hanno dimostrato com-petenza, trasparenza, interesse reale per gli alunni e lascuola, all'opposto della giunta, il cui progetto ha se-guito un percorso tortuoso secondo una logica di equi-libri politici e di "cortina fumogena", giustificando divolta in volta il rifiuto di continuare con l'attuale ge-stione con motivi di impossibilità legale, di controllosulla qualità dei cibi, di razionalizzazione tecnica.Tutti argomenti confutati con precisione dai comitati,che hanno reso chiaro che l'unico obiettivo dell'ester-nalizzazione è il risparmio di bilancio.Ma anche su questo punto i genitori hanno dimostrato,dati alla mano [quei dati che nel caso della mensa diSan Sisto, dove l'esternalizzazione è già in atto, l'am-ministrazione non ha fornito] di avere impiegato lecifre avanzate dalla loro gestione per sostenere l'offertaformativa delle rispettive scuole: al contrario nel bandodell'esternalizzazione, a parità di spesa per le famiglie,non è previsto alcun avanzo. Si applica insomma la lo-gica dei tagli lineari, indifferente alle peculiarità di unsettore, quello dell'educazione, in cui è in gioco l'ugua-glianza.Del resto su quanto la nuova giunta tenga alla parteci-pazione dei cittadini, questa storia ha detto molto.Riassuntivo è quanto accaduto l'8 luglio, quando l'as-sessore Wague ha lasciato la riunione di commissionecon i comitati di genitori, per far approvare in unastanza attigua alla Giunta la delibera per l'esternaliz-zazione.Per una curiosa coincidenza, il giorno successivo laCamera ha approvato la riforma Giannini-Renzi, no-nostante l'opposizione di tutto il mondo della scuola.Crediamo e speriamo che non sia finita qui, né per lemense perugine, né per la scuola pubblica.

Architetti Felici a CorcianoL'Associazione nazionale architettura bioecologica [Anab], ha in-serito Corciano tra le città in cui celebrare i 25 anni di attività. Loscorso 23 maggio al castello di Pieve del Vescovo, il convegno sultema “La Madre Terra nell'Architettura Naturale: ti nutre e ti pro-tegge”. A fare gli onori di casa Giuseppe Felici, assessore comunalealla salute, ambiente, qualità della vita e intercultura. Indubbia-mente il borgo antico di Corciano si presta alle attività e allo spiritodell'Associazione, ma del comune fanno parte anche Ellera e leTaverne: una distesa ininterrotta di centri commerciali e svincolistradali che, piuttosto che l'architettura bioecologica e la madreterra, fa venire in mente l'immagine coniata da Gunter Grass perFrancoforte, nata da “una cacata di calcestruzzo di Dio”. Chissàse l'assessore ha mostrato ai convegnisti anche questa zona delsuo comune.

Educazione unilateraleOltre che come borgo storico, Corciano era un tempo famosaanche per l'eccellenza dei servizi di educazione all'infanzia. Il pre-sente sembra un po' diverso. A metà luglio la giunta comunale haadottato un “atto unilaterale sostitutivo” del contratto collettivo in-tegrativo del personale delle scuole materne, sul quale dopo mesidi trattative non si è ancora giunti ad un'intesa. Il mancato accordosecondo il Comune comporta un “pregiudizio al buon funziona-mento del servizio”. E quindi si procede d'imperio: anche a Cor-ciano la “buona scuola” di Renzi docet.

Educazione familiareI solerti difensori della “famiglia tradizionale” non vanno mai in va-canza. Il neo consigliere regionale della lista “Ricci Presidente”Sergio De Vincenzi fa appello alla Marini perché “ritiri dalle scuoleIl libro delle famiglie, che altro non è che un cavallo di Troia perl'introduzione nelle scuole, sin dalla tenera età, della teoria delgender propagandata addirittura dall'Organizzazione Mondiale dellaSanità. In caso di disinteresse della Marini invito i sindaci ad as-sumersi l'onere del ritiro dal proprio territorio comunale”. Oltre alconsueto disprezzo per la libertà di insegnamento e l'autonomiadelle scuole nella scelta dei programmi, De Vincenzi sembra mo-strare, secondo quanto fa notare Emidio Albertini di “Omphalos”,di “avere qualche problema irrisolto con l'omosessualità”. Se nedovrebbe occupare l'Oms.

Nessun dormaTitolo di una gazzetta locale: “Sant’Antonio qualcosa si muove”.Dopo un anno di lavori si scopre che le frane che riguardano l’ar-teria urbana perugina sono due e che la viabilità regolare non saràripristinata prima della primavera del 2016. Insomma qualcosa simuove. Le frane senza dubbio. Le tante burocrazie amministrativeun po’ meno.

Lavori in corsoAssisi: piscina comunale chiusa per la seconda estate consecutivacausa lavori. Città di Castello: biblioteca comunale chiusa da unanno per trasferimento. La Fano-Grosseto, detta anche Due Mari,progettata negli anni '60 è ancora largamente incompleta. Il Qua-drilatero non riesce a ritrovar la strada per le Marche. Il consorziodi ditte che ha realizzato il tunnel sotto la Manica ha impiegato 3anni e 11 mesi per realizzare il traforo. Fate voi.

EquivociRaccontano che Bocci, a Norcia, si stia dando da fare per cambiareil nome.

il piccasorci

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - é un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. La ru-brica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e, ovenecessario, di “rosicare il cacio”.

il fatto

Folignotown

2comme n t ilug l io 2015

I

M

re consiglieri della sinistraPd [Graziosi, Materazzi eTrombettoni] hanno fatto

sapere, con un documento, di nonessere disponibili a votare il bilanciopreventivo del Comune di Folignocosì come è. Le motivazioni riguar-dano le questioni del riassetto dellemunicipalizzate, le politiche socialimunicipali, le ipotesi di sviluppo dellacittà [la lunga nota contiene, inoltre,un attacco alle politiche del governoRenzi]. La segretaria cittadina, Patrizia Epi-fani, e il segretario regionale, Gia-como Leonelli, hanno drammatizzatola situazione, adombrando il rischiodi commissariamento del Comuneche ratificherebbe “una sconfitta perla democrazia e il buon governo” eche provocherebbe, come effetto do-mino, la crisi della Provincia di Peru-gia di cui il sindaco Mismetti è il pre-sidente. Ci si è rivolti alle opposizioni affinché

facciano convergere i propri voti perconsentire la continuità dell’attivitàistituzionale.Informalmente circola voce che la ri-volta sarebbe ispirata da VincenzoRiommi, già assessore regionale, chevorrebbe in questo modo rientrare ingioco nella politica cittadina. Fattosta che le forze di opposizione - Sel,centrodestra e Movimento 5 stelle -non sembrano avere alcuna inten-zione di lanciare una ciambella di sal-vataggio a Mismetti. Addirittura Ste-fania Filipponi, capogruppo del cen-trodestra, per avere solo adombratola possibilità di una discussione conla maggioranza, è stata sfiduciata daisuoi consiglieri. Entro il 31 luglio ilbilancio va approvato. E’ possibile an-cora una proroga di 20 giorni, macomunque la macchina comunale, giàpoco agile, verrebbe bloccata. La sinistra Pd, dopo le elezioni, sem-bra essere sempre più agguerrita, spe-cie in una situazione in cui gli uomini

del sottosegretario Bocci hanno fatto,come si dice, cappotto. I consiglierifolignati di area non si sono neppurepresentati all’assemblea cittadina delpartito, convocata per discutere dellasituazione. Insomma o si trova unpunto di mediazione o i rivoltosi ce-dono [astenendosi o non parteci-pando al voto come è ormai consue-tudine] oppure anche l’ultimo grandecentro della provincia di Perugia go-vernato dal Pd cadrà, aprendo lastrada ad elezioni anticipate. Si dirà poco male: non è stato Leo-nelli a sostenere che la contendibilitàdelle amministrazioni locali è un ele-mento positivo? Fatto sta che la “ca-duta” di Foligno sarebbe un’ulterioredimostrazione della crisi del Pd nellesituazioni locali e segnatamente inUmbria. Comunque vada, anche seMismetti reggerà l’urto, le fibrillazionisono destinate a continuare, fino aquando e come non è possibile pre-vederlo.

T

3p o l i t i c alug l io 2015

on è certo confortante il quadro dellasituazione umbra che emerge dall'ul-timo rapporto di Banca d'Italia: la crisi

ha colpito duramente, mettendo in discussioneapparati economici ma anche strutture sociali.Un dato per tutti: l'indicatore di povertà assoluta,calcolato dall'Istat come quota della popolazioneche in base ai consumi familiari non è in gradodi mantenere uno standard di vita accettabile, èquintuplicato, passando dal 2,7% del 2007 al10,4% del 2013. Il reddito disponibile delle fa-miglie umbre, che già nel 2012 con 17.736 euroera il più basso di tutto il Centro Nord [-6,5% e-2,3% rispetto alla media delle regioni del Centroe dell'Italia intera], continua drasticamente acontrarsi ed in misura più elevata che nel restodel paese. Tra il 2007 ed il 2012 i redditi fami-liari a prezzi costanti si sono ridottidell'8,4% contro il 7,1% registrato alivello nazionale. Nelle famiglie ca-lano soprattutto i redditi da lavoro [-9,9%] mentre continuano a reggerequelli da trasferimento compostiprincipalmente da pensioni [-4,3%].Se la passano peggio le famiglie piùnumerose, con oltre 3 componenti,per le quali la riduzione del redditodisponibile è attorno al 13% [controil 12% nel resto del Centro Italia el'11% della media nazionale]. Di con-seguenza calano i consumi: la spesamedia delle famiglie umbre tra il2007 ed il 2013 si riduce in terminireali del 14,7%, più di quanto mediamente re-gistrato nel resto del paese [-9,5%]. E questocomporta una ristrutturazione del paniere dellespese familiari, dove buona parte del reddito sene va per pagare i costi legati all'abitazione [af-fitto, luce, acqua, gas, ecc.], la cui incidenza saledal 28,7% al 32,8%, seguiti da quelli per l'ali-mentazione [dal 18,4% al 20,0%] Sul versantemercato del lavoro, in attesa dei miracolosi effettidei provvedimenti varati dal governo, meglionoti come Jobs Act, la situazione è da encefalo-gramma piatto, anzi con una lieve tendenza alpeggioramento: nel 2014 il numero degli occu-pati è rimasto sostanzialmente stabile [-0,1% sulnon certo esaltante 2013, che aveva segnato un-4,0% sul 2012]. La flessione del numero deilavoratori autonomi [-1,0%] è controbilanciatadal lieve incremento dei dipendenti [0,3%].Continuano i processi di precarizzazione: “le po-sizioni a tempo indeterminato si riducono [-1,4

per cento] mentre cresce sensibilmente il ricorsoa forme contrattuali flessibili: gli occupati atempo determinato aumentano del 12,0 percento; prosegue inoltre la crescita dei contrattipart-time [3,7 per cento]”. Prosegue in formeesponenziali la perdita dei posti di lavoro nelsettore delle costruzioni [-10,4% sul 2013] men-tre, dopo il -5,5% del 2013, pare assestarsi l'oc-cupazione nell'industria in senso stretto. In lievediscesa quella terziaria, ma nel commercio e neipubblici esercizi il calo è del 4,0%. L'unico set-tore al secondo anno di ripresa è quello agricoloi cui addetti salgono a 14.000 unità. Cresce diun punto il tasso di disoccupazione portandosiall'11,3% [11,4% nel complesso delle regionidel Centro, 8,6% in quelle del Nord].All'interno di questo quadro, di per sé decisa-

mente pesante, il rapporto di Banca Italia si sof-ferma su un aspetto sul quale vale la pena riflet-tere. L'innalzamento dei requisiti anagraficiprevidenziali [aumento dell'età pensionabile equant'altro introdotto dal duo Monti/Fornero]ha determinato un deciso aumento della quotadi lavoratori nella fascia di popolazione di etàpiù avanzata [55/64 anni] il cui tasso di occupa-zione tra il 2013 ed il 2014, ovvero nell'arco diun solo anno, sale in Umbria dal 47,3% al51,5% con conseguente speculare contrazionedi quello relativo alla fascia di età tra i 25 ed i 34anni che scende dal 68,2% al 65,3%. Ancorapiù pesante appare la situazione se analizzata inun’ottica di medio periodo: tra il 2008 ed il2014, all'interno di una dinamica generale cheregistra un calo occupazionale complessivo del5%, la componente giovanile subisce una con-trazione del 32%. Il risultato finale, al 2014, èche più del 54% degli occupati sono ultracin-

quantenni. Il combinato disposto della crisi edei provvedimenti sul versante pensionistico haavuto l'effetto di rendere ancor più difficile l'in-gresso dei giovani nel mercato del lavoro. E aloro non resta che emigrare: nell'ultimo triennio18 su 1.000 tra i 25 ed i 34 anni hanno lasciatol'Umbria ogni anno; sempre nell'ultimo trienniola possibilità di trasferirsi fuori regione per questigiovani è cresciuta del 4,3%. Non va certo megliosul terreno delle attività produttive con un Pilche nel 2014, secondo le stime di Banca Italia,dovrebbe chiudere di nuovo in zona negativacon un -0,4, dopo un 2013 positivo [+0,8]; adeterminare il calo il progressivo venir meno incorso d'anno dell'impulso espansivo delle espor-tazioni e la forte contrazione degli investimenti.Ma non è andata allo stesso modo per tutti i set-

tori. Il rapporto sottolinea come al-l'interno del manifatturiero, a frontedell’acuirsi delle difficoltà nei com-parti della siderurgia e della lavora-zione dei minerali non metalliferi,quest'ultimo legato all'andamento delciclo edilizio, le vendite di prodottidel tessile e dell'abbigliamento, diparte della meccanica e dell’agroali-mentare presentano un andamentopositivo, confermando i buoni risul-tati del 2013. Continua, al contrario,la crisi, sempre più nera, del settoredelle costruzioni, che nel 2014 registra“un’ulteriore riduzione dell’attività,sia nel comparto delle opere pubblichesia in quello privato, con riflessi sui

livelli occupazionali e sul saldo demografico delleimprese”. Non va un gran che bene nel terziario,soprattutto nel comparto commerciale, mentretiene il settore turistico, grazie ad una ripresadei flussi, in particolare di italiani, nel settoredel turismo culturale; tuttavia, nota Banca d'Ita-lia, “il contributo del comparto culturale all’eco-nomia regionale risulta tuttavia ancora modesto.Insomma un sistema a due velocità: con partiferme ed in crisi, in particolare quelle legate almercato interno dei consumi, altre leggermentepiù dinamiche, che lavorano su nicchie di mer-cato e nel corso della crisi hanno investito ed in-novato”.E la politica? All'incontro di presentazione delrapporto è intervenuto il neo assessore regionaleall'economia Fabio Paparelli: il vuoto assoluto,accompagnato dalla solita litania sull'innovazionee ricerca e sul credito che deve essere “più amico”delle imprese umbre. Se questo è l'avvio...

N

L’economia umbra secondo Bankitalia

Una regione per vecchiFranco Calistri

La campagna di sottoscrizione è cominciata e la riposta di

amici, compagni e lettori non si è fatta attendere. Siamo

contenti, ma è solo l’inizio. Per poter saldare i nostri debiti

con il manifesto e continuare ad uscire in edicola per tutto

il 2015 abbiamo, infatti, bisogno di almeno 10 mila euro.

Siete convinti - come lo siamo noi - che nella nostra regione

ci sia ancora e sempre più bisogno di uno spazio di batta-

glia politico-culturale libero da vincoli ed interessi di partito

e di bottega, in cui le opinioni e le idee possano confron-

tarsi, anche aspramente, ma sempre in modo franco e

aperto? Insomma di un luogo di sinistra?

Allora sottoscrivete per micropolis.

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Diecimila euro

a riforma delle Province avviata dallalegge Delrio - e il conseguente riordinodei servizi per il lavoro - sembra essere

uscita dall'agenda politica. Il governo se n'è la-vato le mani, lasciando il pallino in mano alleRegioni, che però stanno temporeggiando. LoStato intanto si è assicurato un risparmio im-mediato dall'operazione, imponendo [con unalegge di stabilità] una riduzione della spesa cor-rente provinciale pari a un miliardo di euro peril 2015, due miliardi per il 2016 e tre miliardiper il 2017. Peccato che, nel frattempo, funzionie personale siano rimasti dove erano, senza nes-suna modifica sostanziale. È questo il fattoreche ha inceppato l'intero meccanismo. La re-sponsabilità maggiore del ritardo è imputabilealle Regioni, cui spetta decidere chi fa cosa.L'Umbria, in verità, è tra le poche che ha avviatol'iter approvando una legge [la 10/2015] concui le funzioni relative alle politiche attive dellavoro sono riallocate nella Regione stessa, anchese i provvedimenti finora adottati non sono de-cisivi ma prevedono ulteriori passaggi attuativi;ad esempio la questione del personale, che do-veva essere preso in carico, secondo il disegnooriginario, dal 1 gennaio 2015. Il risultato èche oggi nessuna provincia, Perugia e Ternicomprese, è in grado di chiudere il bilanciomettendo a forte rischio il pagamento degli sti-pendi dei dipendenti e l’erogazione dei serviziai cittadini. Per metterci una pezza Renzi & C. hanno tro-vato una soluzione ponte [da approvare con ildecreto enti locali] che colloca i lavoratori pressole Regioni attraverso un finanziamento pescatodal fondo per la formazione professionale. Sonocirca 8mila i dipendenti provinciali italiani oggiin organico nei centri per l'impiego [159 inprovincia di Perugia, di cui 50 a tempo deter-minato; 33 a Terni, di cui 8 precari]. La lorodestinazione finale dovrebbe essere quella del-l'Agenzia nazionale prevista dal Jobs Act, mavisto l'allungarsi dei tempi il decreto gioca lacarta delle Regioni. Le bozze prevedono un ac-cordo in Conferenza Stato-Regioni su un “pianodi rafforzamento” dei servizi per l'impiego conil diretto intervento regionale, da finanziare con70 milioni all'anno nel 2015 e nel 2016. In at-tesa dell'accordo, le Regioni potranno bussaresubito al ministero per ottenere la propria quota,da ratificare poi con l'accordo. Intanto in Provincia di Perugia è in atto unostato di agitazione dei dipendenti che, nono-stante la situazione di incertezza e il mancatopagamento dei premi di produttività per l’anno2014, stanno continuando a svolgere il propriolavoro. In questo mese circa 200 al giorno sonostati gli utenti ricevuti.Se si sommano i servizi amministrativi, l’orien-tamento, la mediazione e il sostegno alle fascedeboli solo nel 2014 gli uffici del lavoro dellaProvincia di Perugia hanno erogato complessi-vamente 133.570 servizi. Numeri che non ten-gono conto del progetto “Garanzia Giovani”:oltre 6 mila i giovani che da un anno a questaparte sono stati assistiti, indirizzati a tirocinipresso aziende o beneficiati con voucher daspendere in corsi di formazione. Gli addetti dei centri per l’impiego si ritrovanooggi in una bolla: finora sono stati dipendentidelle Province, da domani non si sa. Sottrattiper ora alla collocazione in mobilità, attendonoche il Jobs act decida il loro destino. Il governo,intenzionato ad assegnare alle Regioni la ge-stione dei centri per l’impiego, punta ad utiliz-zare il Fondo sociale europeo per retribuirli. Ilproblema è che gli stanziamenti europei si pos-sono utilizzare solo per finanziare progetti spe-cifici e non per pagare stipendi di personale atempo indeterminato.

L

5291 euro

Claudio Carnieri 100,00 euro;Osvaldo Ciarapica 50,00 euro;Maria Antonia Modolo 100,00 euro;Roberto Monicchia 50,00 euro;“Sagra del fiore di zucca” 240,00 euro;Enrico Sciamanna 100,00 euro;

5931 euro

C/C 13112 intestato a Centro Documentazione e Ricercac/o BNL Perugia Agenzia 1Coordinate IBAN IT97O0100503001000000013112

micropolis

Fondatasul lavoroCentri senzaimpiegoMiss Jane Marple

l 16 dicembre 2014 nel cantiere di CorcianoSda Express Courrier è stato sottoscritto unaccordo sindacale aziendale poi sottoposto al

giudizio dei lavoratori. L'esito della consultazione,data l’importanza e le conseguenze derivanti da unamancata approvazione dell’accordo, era scontato, manessuno poteva prevedere che ben 7 dei 17 votantiavrebbero votato contro, dando così forza e ragionealle perplessità e ai dubbi emersi nel corso della tratta-tiva. All'origine dell’accordo in questione c'è la firma, nelfebbraio 2014, di un protocollo d'intesa, siglato daFedit, assistita da Confetra, e da Filt-Cgil, Uiltrasportie Fit-Cisl, alla presenza del sottosegretario del Ministerodel Lavoro, che indica le linee guida per la “stabilizza-zione” dei lavoratori impiegati nei magazzini e nelleribalte. Un'intesa, a detta dei sottoscrittori, utile acontrastare la crescente “precarietà” e “illegalità” chesta investendo il settore. Per chi scrive, invece, solouno scadente tentativo di imbrigliare, là dove stannofiorendo, le lotte dei “facchini” contro le cooperative“farlocche", i committenti cinici capitalisti e il sistemadisonesto e prepotente dei consorzi. Si attaccano, in-fatti, le retribuzioni minime mensili [livelli, permessied ex-festività], che verrebbero sostituite da voci qualipremi di produzione, di risultato o di presenza; si sot-tolinea che la malattia è assenteismo senza alcun rite-gno, si concede totale flessibilità alle necessità aziendalidel committente. Insomma il fine dell'operazione distabilizzazione sembra essere solo quello di trasformareil socio-lavoratore della cooperativa in lavoratore di-pendente di un'altra cooperativa, come se ciò fossemeritevole a prescindere, senza considerare lo sfrutta-mento, la riduzione dei diritti, il sottile controllo daparte del committente. La palla avvelenata è quindipassata direttamente nelle mani delle Rsa, impegnate,da qualche mese a questa parte, in tavoli di trattativeaziendali, dove si stano rimodulando l'orario di lavoro,

l'inquadramento professionale, i contratti individuali,le indennità e i permessi e in ultimo, ma non per im-portanza, la malattia. Una strada obbligata, dunque,imboccata a prescindere dal parere dei diretti interes-sati.Le perplessità dei lavoratori partono proprio da qui:la mancata condivisione e trasparenza e la mancatapartecipazione al processo di elaborazione delle stra-tegie e delle proposte progettuali hanno alimentatodubbi e paure, facendo scemare quella fiducia chenon deve mai mancare quando si devono fare sceltepesanti e dolorose [e forse inevitabili]. Anziché coin-volgere a cose fatte le sole Rsa, non sarebbe stato op-portuno condividere in corso d'opera con i lavoratoriil protocollo d'intesa per capire se il percorso potevaessere davvero quello giusto? Appropriato? Oppor-tuno? Il risultato è che i lavoratori della ribalta, che inpassato avevano conquistato e difeso i propri diritticon le lotte sindacali, si sono trovati con le spalle almuro, costretti ad accettare accordi penalizzanti mapresentati come unica possibilità di salvaguardia delposto di lavoro. Quanto è avvenuto e sta avvenendo deve anche far ri-flettere sulla difficoltà che ancora una volta si hannonel fare applicare il Ccnl di riferimento, perché questoavrebbe garantito effettivamente l'ambita stabilizza-zione del personale; la parità di trattamento e l’annul-lamento delle distanze tra lavoratori che lavorano l’unoaccanto all’altro. Sarebbe stato onesto/corretto fare tale percorso anchein virtù del fatto che il più grande sindacato italiano,in Conferenza di organizzazione, parla di contratta-zione inclusiva, di contrattazione di sito [“contratta-zione inclusiva e solidale, in grado di riunificare soggettie diritti, condivisa e partecipata dalle categorie di voltain volta interessate” con titolarità della trattativa alleRsu se esistenti o alle Rsa da eleggere tra gli iscritti].Chi scrive non riesce a dare una spiegazione plausibile

al fatto che le soluzioni trovate [protocollo d'intesa esuccessivi accordi aziendali] sono sempre in contrastocon quanto stabilito nel Ccnl trasporto merci e logisticae con i vari accordi sulla rappresentanza.Per quel che riguarda poi l’accordo aziendale specificodella Sda di Corciano, viene intanto da chiedersi comemai Cisl e Uil, che non hanno loro iscritti in azienda,abbiamo partecipato alla trattativa. E' evidente che siè trattato di una pratica consociativa se non illegittima,certamente inopportuna. La speranza è che, nonostante il pessimo accordo, sipossa continuare a dialogare per riportare i parametridel nuovo modello lavorativo il più possibile vicinoagli istituti contrattuali collettivi nazionali e stabilireinsieme dei limiti al disotto dei quali non si possascendere degradando il lavoro a moderna schiavitù.Quando avviene un cambio di appalto noi vorremmovedere riconosciuti, ancora una volta, i giustificatividi assenza [permessi Rol ed ex festività] come diritti enon come premi di risultato; vorremmo che i contrattia tempo indeterminato non si trasformassero in con-tratti di apprendistato; che le clausole elastiche e fles-sibili non vedessero ridurre il preavviso dai 7 giornilavorativi previsti dal Ccnl a 11 ore prima della pre-stazione lavorativa; che non ci fosse un pregiudiziooffensivo di “assenteismo” per le assenze di malattiasenza prove certe e dati verificati.Quanto è successo nel cantiere Sda Express Courrierdi Corciano e quanto è stato sottoposto a votazione,nei modi e nei termini di cui sopra, non deve più ac-cadere. Per questo categorie sindacali, come nel casola Filt-Cgil, devono pensare di fornire una più puntualeinformazione e avere con i lavoratori un confrontoapprofondito su temi fondamentali come il protocollod'intesa e, di conseguenza, l’accordo aziendale. Se ciòfosse accaduto forse si sarebbero create delle condizionitali per cui ci si sarebbe potuti opporre, invece che su-bire a oltranza, ed ottener condizioni diverse. Magari

l'unione della base sociale tutta avrebbe potuto au-mentare il potere persuasivo e contrattuale, invece cheassecondare la linea del divide et impera voluta dalleassociazioni datoriali dei committenti. In ogni caso ilsolo tentativo di resistere avrebbe sicuramente rinsal-dato il legame tra il sindacato e la sua gente.Compito di un sindacato "disinteressato" alle tessere,ma lungimirante e attento alle politiche del lavoro,dovrebbe essere quello di lottare non tanto e non soloper i singoli lavoratori all'interno delle cooperative,strozzate dal gioco al ribasso dettato dai committenti- il cane si morde la coda! - ma decidere di imporsicon fermezza proprio ai committenti, evitando la loroseduzione, presentata come "un più avanzato sistemadi relazioni sindacali"!Porsi l’obiettivo di costruire un sistema stabile e strut-turato di relazioni sindacali, il più trasparente e parte-cipato possibile, è il modo migliore di tutelare i soci/la-voratori allo scopo di ridistribuire le risorse prodottein modo giusto ed equo tra tutti i soci, di migliorarele condizioni di lavoro, di salvaguardare l’occupazionee configurarsi come uno strumento importante pergarantire che l’efficienza, la produttività e la qualitàdell’organizzazione del lavoro non vadano a scapitodella qualità della vita di chi lavora e produce mate-rialmente ricchezza; soprattutto nell’attuale fase storica,in cui la selvaggia competizione di mercato richiedemutamenti rilevanti, e non sempre adeguati, nel mododi lavorare e concepire il lavoro in cooperativa. Tuttoquesto però non avviene automaticamente. Devonoesserci delle scelte rivendicative risolute e consapevoliche richiedono partecipazione, studio, sperimentazionee ricerca, responsabilizzazione e anche regole certe dicarattere generale che sostengano e orientino lo svi-luppo della contrattazione. I moderni sindacati sonopronti per gestire questi processi di auto-organizza-zione? Chi scrive nutre grossi dubbi piantati e maturatisulla propria esperienza personale.

4p o l i t i c alug l io 2015

Lavoratori delle ribalte

Stabilizzazioni a caro prezzoBlack Mamba

I

a nostra Costituzione sancisce che ilParlamento dev’essere espressionedella volontà popolare e gli attribuisce

il principale ruolo di rappresentanza del paese.Già l’anno scorso Maurizio Landini, all’ultimoCongresso della Fiom, poneva una questionecentrale sul tavolo: “Può un Parlamento elettoin maniera incostituzionale [come afferma unasentenza della Corte Costituzionale] decideredi cambiare la Costituzione?” Può farlo - ag-giungo - un Parlamento espressione di una po-litica che oggi sta subendo la più grave crisidella rappresentanza che si sia mai verificata?La risposta è una soltanto: no, non può farlo;ma è invece ciò che avviene sotto gli occhi ditutti. Intanto un italiano su due non va a vo-tare.L’art. 67 della Costituzione recita che “Ognimembro del Parlamento rappresenta la Nazioneed esercita le sue funzioni senza vincolo di man-dato”.Questo articolo fu scritto per garantire la de-mocrazia all’interno del Parlamento, per lasciarelibertà di espressione agli eletti, non vincolandoliin particolare ai partiti: l’unico vincolo moraleper un parlamentare avrebbe dovuto esserequello della responsabilità politica nei confrontidelle persone che lo avevano scelto attribuen-dogli la loro preferenza: votandolo. Purtroppo,sia le ultime leggi elettorali, Porcellum e Itali-cum, sia il presidente Renzi in prima persona,con i continui voti di fiducia ormai diventatiuna prassi consolidata, non tengono assoluta-mente conto delle parole che sono scritte inquesto articolo.La verità è che i partiti sono sempre più distantidalla vita quotidiana delle persone, la loro inef-ficacia nel risolvere i problemi dell’Italia è sem-pre più palese; tuttavia non possiamo permettereche la politica diventi una questione privata re-golata dai propri finanziatori: mille euro peruna cena di sottoscrizione sono uno schiaffoalla miseria!Quando parliamo di crisi della rappresentanza,però, dobbiamo anche avere il coraggio di direche questa non riguarda solo la politica: anchenel sindacato inizia a farsi sentire il fenomeno eciò è dovuto, in particolare, al fatto che oggi ilmondo del lavoro è talmente frammentato dacreare le condizioni per le quali, in uno stessoluogo di lavoro, due persone che eseguono glistessi compiti possono avere due contratti di-versi. A questo abominio dobbiamo aggiungerel’articolo 8 del 2011, licenziato dal GovernoBerlusconi che, previo accordo, concede di de-rogare i contratti nazionali, minacciandone au-torità ed autorevolezza. Come ricorda spessoLandini, i contratti nazionali per anni, forse,sono stati l’unico elemento in grado di uniredavvero da nord a sud questo paese. La RiformaFornero che, oltre a procurare danni ai lavoratoried ai disoccupati con la riduzione degli am-mortizzatori sociali, ha anche tolto ai sessan-tenni il diritto di fare i nonni [per inciso, altri-menti ci prendiamo in giro: l'allungamentodella aspettativa di vita non significa il prolun-gamento della giovinezza…]; il Jobs act, con ilfinto tempo indeterminato, che cancella dirittiche nessuno ci aveva regalato, ma che eranostati conquistati con anni di dure lotte. Oltre a non riuscire a rappresentare giovani,precari e tutte le categorie di lavoratori, il sin-dacato italiano si trova a dover fare i conti con

una evidente caduta di democrazia al suo in-terno. Per questo è necessaria una profonda ri-forma delle organizzazioni sindacali - non certoquella del sindacato unico che ha in menteRenzi - ma una vera riorganizzazione che per-metta ai lavoratori di poter sempre votare gliaccordi che li riguardano, di poter eleggere ipropri dirigenti sindacali, senza doverli per forzacooptare. Bisogna sottolineare, però, che, no-nostante tutte queste difficoltà, oggi c’è ancorachi, nei luoghi di lavoro, ci “mette la faccia”:sono le Rsu, delle quali orgogliosamente faccioparte, che continuano ad essere elette dal 95%dei lavoratori, iscritti al sindacato e non.Allora, la domanda è: in questo mare in burrascac’è ancora un faro, una stella polare da seguire?La risposta è sì, la nostra Costituzione. Nonbasta però porci solo questa risposta, dobbiamoanche chiederci perché è fondamentale conti-nuare a difenderla.Lo dobbiamo fare perché l’art.1 della Costitu-zione dice che “l’Italia è una Repubblica de-mocratica fondata sul Lavoro”, non sulla Con-findustria!Lo dobbiamo fare perché gli spazi democraticisi stanno riducendo, perché la disoccupazionegiovanile ha superato il 40%, e perché di lavoroche si possa svolgere con dignità ce n’è davverorimasto poco.Lo dobbiamo fare perché l’impresa deve tornaread assumersi una responsabilità sociale nei con-fronti del paese, così come indica la Costitu-zione, non può solo essere fonte d’interesse pri-vato, non la si può solo mettere, come hadichiarato il presidente Renzi dopo aver appro-vato il Jobs Act, nella condizione di “non averepiù alibi”.La nostra Costituzione parla di regole comuni,di doveri comuni, ma soprattutto di diritti co-muni che devono avere l’ambizione di miglio-rare la vita degli italiani; invece ci troviamo difronte ad un governo che preferisce togliere tu-tele a tutti piuttosto che estenderle ai più de-boli.Piuttosto che snaturare la Costituzione, occor-rerebbe dare seguito legislativo ad alcuni articolicome l’art. 4 che dice: “La Repubblica riconoscea tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuovele condizioni che rendano effettivo questo di-ritto”; l’art. 36 che dice: “Il lavoratore ha dirittoad una retribuzione proporzionata alla quantità

e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficientead assicurare a sè e alla famiglia un’esistenza li-bera e dignitosa”. Di questo principio, oggi,non c’è più traccia! Oggi si è poveri anche se si

possiede un lavoro; l’art. 38 che, ad un certopunto, recita: “I lavoratori hanno diritto chesiano preveduti e assicurati mezzi adeguati alleloro esigenze di vita in caso di infortunio, ma-lattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione in-volontaria”.Un parlamento davvero rappresentativo dei pro-pri cittadini, invece che ridurre gli ammortiz-zatori sociali, introdurrebbe un reddito di cit-tadinanza che permetterebbe alle persone disopravvivere, impedirebbe la concorrenza al ri-basso di diritti e salario tra lavoratori e non uti-lizzerebbe più le diversità per creare una sortadi “guerra tra poveri”: l’ultimo contro il penul-timo.Per fare tutto questo, io credo che non cisia bisogno di qualcosa di soprannaturale, maabbiamo la necessità che il mondo dei lavoratori,anche attraverso i principi fondamentali dellaCostituzione, si riappropri in maniera travol-gente di una vera rappresentanza sindacale epolitica.Parafrasando Gramsci: al pessimismo della realtàdobbiamo contrapporre l’ottimismo della vo-lontà! W la Costituzione!*Rsu Fiom CgilPer gentile concessione di diellemagazine.com

5p o l i t i c alug l io 2015

Lavoro e diritti

W la CostituzioneDiego Mariotti*

L

el 1790 a Vienna è rappresentatal’opera buffa Così fan tutte di WolfgangAmadeus Mozart, libretto di Lorenzo

Da Ponte. Nell’opera il protagonista Don Al-fonso, filosofo cinico, sostiene che la fedeltà fem-minile non esiste, tutti sanno che c’è ma nessunosa dov’è. La morale dell’opera è utilitaristica,“Fortunato l’uom che prende/ ogni cosa pelbuon verso/ e tra i casi e le vicende/ da Ragionguidar si fa”. Così fan tutti, dicono gli italianionesti leggendo le cronache politiche-giudiziarie.Siamo di fronte ad uno stillicidio, ad una over-dose di notizie che coinvolgono partiti e diri-genti politici. Non passa giorno senza sapere diarresti o indagini in cui sono coinvolti esponentidi tutti gli schieramenti. Sono veramente pochia salvarsi. “Noi siamo uguali agli altri” diceNanni Moretti in Palombella Rossa riferendosiagli eredi del Pci. Oggi il Pd è coinvolto nelle vi-cende più rilevanti di corruzione e di rimborsifalsi del Bel Paese. A metà luglio sono 123, par-lamentari, consiglieri regionali e sindaci, gli in-dagati del partito di Renzi. Ancora distanti dalnumero di quelli della destra ma in forte recu-pero nella classifica generale. Ma proseguiamonel racconto iniziato nel numero scorso [Tutte lestrade portano a Roma] prendendo in esame al-cuni eventi che hanno avuto qualche ripercus-sione in Umbria. Una precisazione: parliamo diindagati che potrebbero risultare anche inno-centi o estranei alle accuse, visto che molte in-dagini sono ancora in corso; ma le notizie, anchese non hanno rilievo penale, sono utili per ca-pire. E ora, un giretto in autobus. Si suda sotto le pensiline che alle fermate ripa-rano dal sole impietoso di luglio. Ad aspettarecon impazienza e preoccupazione sono in preva-lenza persone anziane ed extracomunitari. Conimpazienza perché Flegetonte e Caronte pic-chiano duro; con preoccupazione perché negliautobus l’aria condizionata sparata al massimoprovoca disturbi. Si aspetta invano, tuttavia, per-ché l'autobus non passa mai, o quasi. Perchè?Qualche risposta la forniscono i conti di UmbriaMobilità, la società pubblica di trasporto concirca 1500 dipendenti la cui crisi economica, ri-salente al 2011, ha portato nel 2013 ad un pas-sivo di 7,9 milioni. I debiti salgono da 364milioni del 2012 ai 383 del 2013 mentre i creditisi attestano sui 300 milioni. Su un totale di 20milioni di km effettuati fino al giugno 2013 nevengono tagliati due con conseguente dirada-mento delle corse. Tante le cause della crisi matra le principali spiccano gli affari romani. Nel2010 Roma Tpl, di cui Umbria Mobilità detiene

il 33,3% del capitale, vince il bando pubblico da800 milioni per gestire per otto anni 28 milionidi km di trasporto pubblico a Roma, nella cin-tura romana. All’interno di questo mega appaltoUmbria Mobilità matura crediti per circa 60 mi-lioni di euro per servizi resi e mai pagati nei con-fronti di Roma Tpl, Cotri e Regione Lazio. Nellostesso periodo il sindaco Alemanno fa il pieno diassunzioni nell’altra azienda dei trasporti dellaCapitale, l’Atac. Circa 850 assunti tra parenti eamici, anche una cubista come segretaria ma ne-anche un autista. Nascono come funghi aziende

per servizi nei trasporti. Tutte vengono pagatemeno Umbria Mobilità. Un dirigente di RomaTpl alza anche la voce: “Nessun debito, il bucodi Umbria Mobilità è solo colpa dell’incapacitàdel centrosinistra umbro”. E pensare che la ces-sazione immediata dei servizi svolti a Roma edintorni avrebbe consentito un risparmio di unmilione di euro al mese e avrebbe evitato anchela soppressione o il diradamento delle corse degliautobus umbri. Tanti crediti, pochi euro in cassa,meno corse. Crediti egiziani e siciliani messi in bilancio, madifficilmente esigibili, anche per Gesenu in cuisi sono aperti diversi fronti bollenti, dalle rela-zioni industriali ai rapporti tra il chiacchieratis-simo Manlio Cerroni, il re de la monnezza socio

di maggioranza e il Comune di Perugia. Tanti ri-fiuti malgestiti, tanti aumenti in bolletta, tra lepiù care d’Italia. Il 9 luglio scorso a firma di Glo-ria Riva, il settimanale “L’Espresso” pubblica unarticolo dal titolo Con Boeri arriva Transparency:all’Inps il vento è cambiato. Da quando l’econo-mista Tito Boeri è stato nominato presidente del-l’istituto previdenziale italiano, decine didipendenti hanno preso a segnalare gli sprechi ele storture all’interno dell’ente, a cominciare daquella che alcuni definiscono la totale arbitrarietànelle nomine dei dirigenti di seconda fascia. I la-

voratori dell’Inps si sono presi la briga di contat-tare anche Transparency Italia, organizzazionenon governativa contro la corruzione, raccon-tando alcuni fatti molto singolari della prece-dente gestione. Sempre a metà mese il prefettodi Roma Franco Gabrielli nella sua relazionesullo stato di salute del Comune di Roma nonha usato giri di parole e ha parlato di “una mac-china amministrativa fortemente compromessa”.Un giudizio che potrebbe essere esteso alla mac-china Paese. La situazione è grave ma non seria, verrebbe dadire. Per fortuna cominciano a farsi sentire levoci dei dipendenti che non si adeguano più aldisastroso andazzo generale. Una citazione par-ticolare la merita il Comitato di Liberazionedell’Anas. Lavoratori dell’Azienda nazionale au-tonoma delle strade, forse un po’ troppo auto-noma per essere un’azienda pubblica di seimiladipendenti, che riceve 600 milioni all’anno soloper la manutenzione ordinaria delle strade ma nedestina ben 340 per gli stipendi. Poi gli italianiprotestano per lo stato disastroso della rete viariache mette a dura prova i nervi degli automobili-sti e le gomme e le sospensioni dei mezzi. Im-possibile riferire e controllare tutto quello chesostiene il Comitato ma le denunce sono ben do-cumentate e chiare. Cominciamo da Pietro Ciucci storico dirigentetuttofare dell’Anas: dal 2006 presidente, ammi-nistratore delegato e direttore generale. La pro-prietà dell'ente è del Ministero dell’economia eil controllo del Ministero delle infrastrutture mala gestione è autonoma. Tanto autonoma che Ciucci ha fatto il buono eil cattivo tempo per nove anni con uno stipen-dio che, sommato ai premi, raggiungeva la cifra

di 779.682 euro all’anno. Nel 2013 si dimettedalla direzione generale ma si dimentica di avvi-sare sé stesso delle dimissioni quindi incassa unassegno per mancato preavviso pari all’anzianitàcontributiva globale e al Tfr: totale 1.825.745euro e 53 centesimi. Messosi in pensione comedirettore generale Ciucci continua a ricoprire lacarica di presidente a soli 240mila euro annuifino allo scorso aprile. Il castello dorato che si ècostruito nell’indifferenza generale collassa comela rete stradale italiana. In particolare l’immaginedell’Anas precipita dopo che vengono alla lucealcuni episodi e precipitano alcune strutture ap-pena inaugurate. A dicembre 2013 Ciucci con la governatrice Ma-rini e i sindaci della zona inaugura la galleria delTescino sulla Terni-Rieti. Dalle volte della galle-ria piovono veleni micidiali. Si corre ai ripari condelle toppe, in senso letterale, e con un rimpallodi responsabilità. A gennaio di quest’anno crollail viadotto di Scorciavacche sulla Palermo-Agri-gento consegnato con una settimana di anticipoma senza collaudo; ad aprile crolla un pilonenuovo di zecca sul viadotto Himera sulla Pa-lermo-Catania; sempre ad aprile due operai de-nunciano carenze di cemento nella volta dellagalleria La Franca sulla Foligno-Civitanova.Ciucci mette in discussione la denuncia: “Nonè possibile che degli operai possano mettere indiscussione quanto attestato da valenti progetti-sti ed ingegneri.” Invece non solo è possibile maanche vero e documentato. Anziché ringraziarei due operai la casta è infastidita dalla denuncia.La corsa di Pietro Ciucci è finita, si dimette, mapochi giorni prima delle dimissioni promuove iquadri “del cuore”, tra cui le nipoti da lui assuntecinque anni prima. Al suo posto arriva Gianni Armani con il man-dato di aumentare pulizia, trasparenza ed effi-cienza. Al suo fianco nel consiglio di ammini-strazione siederà Cristina Alicata, ingegnere escrittrice, nipote di Mario Alicata storico diri-gente del Pci. Cristina Alicata è la dirigente delPd romano che inascoltata denunciò per primail preoccupante livello di inquinamento del suopartito. Ciucci pensionato d’oro continua peròad andare in via Monzambano 10 zona CastroPretorio a Roma. Nello stesso indirizzo dove hala sede centrale l’Anas c’è, infatti, un’altra Anas.Stesso acronimo ma diverso significato, Associa-zione nazionale amici delle strade, costituita il13 marzo 2013 con spaziosi uffici concessi dalpresidente Ciucci ancora imperante. Dell’asso-ciazione fanno parte anche altri ex dirigentiAnas. Sullo statuto si può leggere la missiondell’Anas bis: valorizzare e diffondere la storiadella cultura delle strade in Italia e nel mondo.Come favoletta non è poi tanto male peccato chenon ci credano neanche i bambini del vicinoasilo d’infanzia. E allora cos’è? Una sorta di Anasparallela in grado di condizionare gli ex colleghi,una lobby per influenzare scelte e in grado di for-nire manager per partecipare alla ricca torta deicollaudi. Sembra di stare su scherzi a parte ma ètutto vero. Quello che non si capisce è il motivoper cui l’Anas ufficiale, ancora interamente pub-blica, debba ospitare gratuitamente l’Anas pri-vata. Le storie del Comitato di liberazionedell’Anas sono ancora tante e cercheremo di rac-contarle prossimamente dedicando spazio alQuadrilatero, alle società che hanno lavorato perquesta società pubblica e alle formidabili perfor-mance del “clan dei ternani” all’interno di Anas.Intanto una cosa l’abbiamo capita: con tuttoquesto casino come si fa a pretendere una retestradale per lo meno accettabile?

6p o l i t i c alug l io 2015

Anas, corruzione e malaffare

Così fan tuttiPaolo Lupattelli

N

l capitale non ha riguardo per la salutee la durata della vita dell'operaio; ilcapitale scavalca non soltanto i limiti

massimi morali della giornata lavorativa, ma an-che quelli puramente fisici. Usurpa il tempo ne-cessario per la crescita, lo sviluppo e la sana con-servazione del corpo. Ruba il tempo che ènecessario per consumare aria libera e luce solare.Lesina sul tempo dei pasti. Riduce il sonno atante ore di torpore quante ne rende indispensa-bili il ravvivamento di un organismo assoluta-mente esaurito”. Così scriveva Karl Marx nel1880 nella premessa alla inchiesta operaia da luiorganizzata per la rivista francese “Revue Socia-liste”. E aggiungeva: “Speriamo di essere sostenutinella nostra opera da tutti i lavoratori, i qualicomprendono che essi soli possono descriverecon piena cognizione di causa i mali che li colpi-scono; che essi soli, e non dei salvatori provvi-denziali, possono applicare energicamente rimedialle miserie sociali di cui soffrono”.

Qui, a Perugia, gli operai della Perugina hannocolto l'occasione di una inchiesta svolta da unistituto universitario per operare un ripensamentoe un rilancio dei problemi legati al rapporto fralavoro e salute, tra condizioni di vita e salute, traservizi sanitari e salute. Il questionario che i la-voratori della Perugina si sono trovati difrontenon era certamente fatto delle 100 domande diMarx, precise, puntuali, pignolesche, provoca-torie, ma affrontava troppe cose e troppo gene-ricamente e risentiva quindi di tutti i condizio-namenti cui spesso si sottopone il lavoro culturaleper piegarlo ai fini di questa società e dello statodei padroni. Tuttavia alla Perugina, l'occasionedì operare una denuncia della condizione operaiaè stata accettata ed utilizzata; la denuncia deglioperai è stata violenta, particolareggiata, tale dainvestire sia le condizioni di lavoro sia le condi-zioni di vita, singolarmente individuate e unita-riamente ricollegate come aspetti globali dellosfruttamento capitalistico.Come ci si sente in salute? Male, e hanno volutoaffermarlo con forza; che c'è moltissima stan-chezza fisica e nervosa, da non poterne più; chenon si dura a lungo, che non si arriva alla pen-sione perché in venti anni di lavoro si perdonodieci anni di vita. I ritmi, i tempi, i cottimi: pe-santissimi, da non farcela; e se gli ingegneri vo-gliono che si vada come le macchine loro quandola macchina si rompe gli cambiano il pezzo; al-l'operaio, se si rompono i pezzi non glieli puòcambiare nessuno. Troppi infortuni, troppe manimutilate; e umidità, moltissima; caldo insoppor-tabile; un condizionamento dell'aria fatto peresigenze produttive, non per la salute; rumorositàsnervante; vapori, fumi, polverosità; passaggitroppo bruschi dal caldo al freddo e viceversa. E,ancora, troppo poco riposo in fabbrica troppolavoro quotidiano, troppi giorni di lavoro nellasettimana; e ferie troppo brevi, che non bastanoa “recuperare”; e pochi soldi per utilizzare quellepoche ferie. Ma, su tutto: i cottimi sono troppoalti, il lavoro è pesante, si invecchia precoce-mente!

Gli operai della Perugina hanno piena consape-volezza di quella che è stata chiamata la conta-giosità della fabbrica verso l'ambiente esterno,così come dell'influenza delle condizioni di vita[abitazione, alimentazione, trasporti, scuola, ser-vizi sanitari e sociali] sulla salute dei lavoratori, esfuggono quindi coerentemente alle illusioni eai tentativi di settorializzare i problemi e romperela globalità della lotta. Il lavoro domestico della

operaia, che raddoppia la già dura giornata lavo-rativa della fabbrica, è lo specchio della condi-zione femminile in una società capitalista; la casavecchia, umida, piccola, mal riscaldata, però conl'affitto alto, è il simbolo dello sfruttamento chedal lavoro si allarga alla speculazione sulle areefabbricabili; la carenza di asili, di spazi verdi, diattrezzature sportive, la crisi dei trasporti, la spintaforzosa alla motorizzazione privata, l'inquina-mento atmosferico, sottolineano la posizione su-balterna dei pubblici poteri [statali e locali] difronte alle scelte operate dai padroni.Problemi tutti che gli operai della Perugina de-nunciano con forza ed indicano quali temi edoccasioni di lotta: problemi tanto più pressantiin una città come Perugia dove gli enti localihanno da sempre preferito i giochi opportunisticiin nome di una malintesa politica delle alleanzeo di fumosi obbiettivi di “nuove maggioranze”,piuttosto che la lotta mobilitante intorno a sceltedirompenti di politica urbanistica o dei trasportio della scuola, o dei servizi sociali.Drammatica la situazione dei servizi sanitari, pre-cisa la denuncia, che colpisce le manifestazionipiù appariscenti ma soprattutto ne individua lamatrice e lo strumento di classe. È la denunciadelle due medicine, quella dei ricchi e quella deipoveri, ma non è soltanto questo: è la messa anudo, impietosa, dei meccanismi quotidiani chefanno pagare ai lavoratori la loro condizione diclasse sfruttata. Dal medico generico che non vi-sita ma svolge efficacemente il ruolo di “impie-gato” dell'industria farmaceutica prescrivendomedicinali su medicinali, naturalmente i più co-stosi; allo specialista che visita bene solo se escidalla mutua, vai al suo studio privato, paghi pro-fumatamente; all'ospedale, dove ti mettono inuna brandina nel corridoio, tutti insieme conva-lescenti e moribondi, dove sei un numero, sop-portato soltanto perché i tuoi contributi ingras-sano i primari e danno lustro agli amministratori,ma dove sali di un piano e trovi camere a paga-mento spaziose e con bagni privati, con il pri-mario che ti “rispetta”. Ma è nelle visite di con-trollo che la medicina scopre, impudicamente, ilproprio ruolo di serva dei padroni: i medici dellamutua non ti visitano, eppure concludono chestai bene, ti rimandano in fabbrica a produrre. Eguai ad andare in cassa mutua per l'esaurimentonervoso: è una voce questa che manca nel voca-bolario della medicina di classe, come manca lastanchezza mentale e quella fisica; il lavoratorenon ha diritto alcuno di sentirsi distrutto, diusufruire di una pausa, di recuperare il proprioequilibrio e le proprie capacità fisiche e mentali.La medicina è là solo per questo: rimandarti allavoro, sollecitamente, assicurare alla produzionela continuità dello sfruttamento.

E' partendo dalla consapevolezza del rapportodiretto che con la salute hanno lo sfruttamento,le condizioni e l'ambiente di lavoro, i tempi, iritmi, l'orario, che la lotta operaia non può essereincanalata solo verso la rivendicazione di unapur auspicabile ed urgente riforma sanitaria. Lariforma sanitaria può essere una cosa “seria”,nella misura in cui ridurrà i disagi dei lavoratori,distribuirà diversamente le spese [che non do-vranno più gravare, come oggi, sui contributidei lavoratori], istituirà servizi di medicina pre-ventiva ecc. Ma non potrà, in una società checonosce solo i calcoli del profitto, essere unostrumento reale di lotta contro le cause vere dimalattia che risiedono nelle stesse condizioni dilavoro e di vita che il capitalismo impone. Perlottare coerentemente per la difesa della propria

salute, occorre piuttosto che si faccia del pro-blema della salute elemento di contestazione delprocesso produttivo, che porta in sé le cause dellamalattia: giorno per giorno, reparto per reparto,linea per linea.Non è possibile poter affrontare alla radice ilproblema della salute [come del resto quelli dellacasa e della scuola] con una lotta per le riformeche pretenda di risolvere questi problemi soltantocon una legge tranquillamente assorbita dal si-stema, senza varcare i limiti dei principi che reg-gono la società capitalista, e delle possibilità chequesta società ha di concedere riforme. Certo, èimportante ottenere un controllo pubblico sullecondizioni ambientali in fabbrica: ma poi magarisi riduce a quella specie di presa in giro che è,come affermano concordemente gli operai dellaPerugina, l'intervento periodico dell'Ufficiod'igiene; oppure, rimane nei limiti di un inter-vento puramente tecnico, come accade per lamedicina preventiva che, alla Perugina, l'Ammi-nistrazione provinciale ha affidato al controllo[contrabbandato come “consulenza scientificaneutrale”] di un clinico, un barone universitarioche più ancora che servo dei padroni è padroneegli stesso. Perché il problema non è quello delladelega al potere locale che, in uno stato di classepotrà avere al massimo velleità umanitaristiche esarà comunque impotente di fronte ai padroni,ma è invece la mobilitazione di massa, la presenza,con una funzione riqualificata dei delegati dira-mati capillarmente nei singoli reparti e linee dilavorazione, a controllare le condizioni globalidi lavoro, [ambiente, tempi, ritmi, orario ecc.],a contestarle, a gestire in proprio la lotta per lasalute in fabbrica come lotta contro lo sfrutta-mento, cioè contro le cause reali di malattia, enon, riformisticamente, per uno “sfruttamentopiù umano!”. Proprio la lotta per la salute in fabbrica - che in-veste l'intera condizione operaia, dall'ambienteai cottimi, dagli orari agli organici, dai trasportiall'abitazione - può rimettere in movimento, allaPerugina, il processo di formazione dei delegatiche sono entrati in crisi anche perché legati adun singolo problema, quello dei cottimi, e cor-rono il rischio di ridursi ad un puro fatto tecnico.I delegati, perché non divengano uno strumentoinefficace, debbono aggredire l'arco più vasto deiproblemi, conquistare libertà più grande di mo-vimento che non può essere garantita da un sem-plice accordo sindacale, ma solo imposta conuna qualificazione politica dei problemi e suiproblemi.I delegati tra loro coordinati [e diramati in tuttii luoghi di lavoro] potranno così assolvere unafunzione di unificazione delle lotte sociali, colle-gati, dentro e fuori della fabbrica, alle forze di-sposte a battersi su obiettivi politici di classe,forze che non mancano nella società italiana, cosìcome non mancano, come affermano i compagnide “il manifesto”, “possibilità reali, basi oggettivesu questi temi [salute, casa, scuola] nuove alleanzee un allargamento del fronte rivoluzionario”. Acondizione che “si costruisca una struttura orga-nizzativa capace di dare alla lotta, nuovi caratterie contenuti, e presupponga la conquista del po-tere da parte di uno schieramento rivoluziona-rio”.

[da “lotta di classe” - numero unico del CircoloKarl Marx di Perugia, ottobre 1970]

7s p e c i a l elug l io 2015

1970

Salute e condizioneoperaia alla Perugina

Maurizio Mori

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In questo speciale, testidi Maurizio Mori: qui afianco, un articolodell'ottobre 1970 sullasalute in fabbrica; a pagina10 un ricordo di WalterBinni, dal “Ponte”, cheracconta le origini di unagrande passione politica.Poi, nel paginone centrale,da diversi punti di vistaricordi e testimonianze [Salvatore Lo Leggio, Roberto Monicchia]

comun

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Un comunistaimpenitenteRoberto Monicchia

'autobiografia non mi interessa”.Pochi mesi fa, al telefono, Mau-rizio aveva cassato seccamente la

mia proposta, idea che mi era venuta [ancorauna volta] dalla lettura dell'intervista rilasciataa Lanfranco Binni per ricordare la figura diBruno Enei [“micropolis”, febbraio 2015], unatestimonianza tanto ricca di dettagli e pathosda ridare l'eco di quelle lontane lotte. Conti-nuo a pensare che le memorie di Mori sareb-bero state avvincenti e utili, come del restotutti i suoi scritti. Penso però anche che nellaripulsa di Maurizio ci fosse il fastidio per quel-l'aggiustamento a posteriori, per quella linea-rità un po' forzata che il genere comporta. Ein questo vedo un segno permanente del suocarattere, direi anzi del suo stile di pensiero eazione, imperniato sulla critica esigente, sfer-zante, incessante, di ogni “stato di cose pre-sente”.Lo status quo per Maurizio era sempre so-spetto, gli entusiasmi esagerati o le decisioniunanimi non facevano per lui, le situazioniandavano sempre viste da almeno un altropunto di vista. Valeva in tutti i campi: se an-davi allo stadio con Mori il rischio di litigarecon altri spettatori era alto, ancor di più setutti tifavano per la stessa squadra. Così in po-litica: quanto più la scelta di campo era perlui netta e inequivocabile, tanto più acceso eimpegnato il dibattito dentro la propria parte.Oltre che in “Segno critico” e “micropolis”ho vissuto con Maurizio la militanza nel mo-vimento e poi nel partito della Rifondazionecomunista, dal 1991 al 1996. Estraneo alle li-

turgie della tradizione comunista, Maurizionon ha mai rinunciato ad uno spunto critico,senza però mai venir meno alla lealtà versol'organizzazione liberamente scelta. Non possonon ricordare quando, all'uscita da una infuo-cata riunione sulle candidature per le politichedel 1994, ricevette da un giovane compagnola qualifica di “opportunista”; era troppo ancheper lui: Maurizio si mise in posizione di boxee fu trattenuto appena prima che il suo direttodestro raggiungesse il segno. Credo che oltrealla caduta retorica, rischierei un diretto an-ch'io se mi sentisse chiamarlo maestro. Ma ècosì. Un maestro che non è mai salito in cat-tedra, non ha mai pontificato, mai dato l'im-pressione di dire: adesso ti spiego io come vail mondo. Uno che al primo incontro con ilgruppo di ventenni di cui facevo parte risposealla domanda “Ma il vostro che gruppo è, chisiete?” “Dei comunisti impenitenti”. Impeni-tente fino all'ultimo sei stato Maurizio: nonhai scritto la tua autobiografia ma certo ti siaddicono le parole con cui si conclude quelladi Hobsbawm [e che tu mi hai consigliato diusare per chiudere il pezzo sulla sua scom-parsa]:"Non deponiamo le armi, anche intempi poco soddisfacenti. E' ancora necessariodenunciare e combattere l'ingiustizia sociale.Il mondo non migliora certo da solo" .Ciao Pelè, grazie.

CaroMaurizioLanfranco Binni

alutami tutti”: le tue ultime pa-role, pronunciate per telefono conlucida energia, mentale e di tono,

nonostante la sofferenza [“Come va?”, ”Male”].Era la mattina di sabato 13 giugno. Due giornidopo mi chiamava Sandra per dirmi che dal-l’ospedale ti eri fatto riportare a casa, in vialePellini, e poco dopo te ne eri andato. Il tuo ul-timo messaggio, anche questo un saluto a“tutti”, lo hai poi affidato al video dell’intervista[“Morire da vivo”] proiettato il 20 giugno nellacappella del crematorio di Perugia, sopra la baracircondata da parenti, amici e compagni. Il 20giugno, data fondamentale nella storia di Peru-gia: l’insurrezione del 1859 contro gli sbirrisvizzero-tedeschi del papa, la liberazione dellacittà nel 1944 dai fascisti e dai tedeschi. Il 20giugno 2015, quando ci hai parlato con serenaconsapevolezza del senso della tua vita, dellamorte come esperienza da vivere a occhi aperti,nel pieno delle proprie facoltà e non devastatidalla rovina del corpo, al cimitero intorno e ac-canto a te erano tante e diverse le vite e le espe-rienze: ancora una volta, quella complessità allaquale sempre avevi guardato con curiosità e se-rietà, con affetto e indignata presenza, contro icrimini della storia, contro la servitù volontaria,contro “questa sporca società”. La vita quoti-diana e la politica, il dettaglio personale e iltutto generale, il vicino e il lontano, il presentee il passato, le loro connessioni, facevano coe-rentemente parte della tua apertura rigorosa almondo, su una linea internazionalista e sociali-sta mai messa in dubbio nelle sue ragioni difondo, continuamente ripensata e rielaboratanelle sue nuove condizioni, analizzata nelle suetrasformazioni. Ci eravamo incontrati alla “marcia per la pacee la fratellanza dei popoli Perugia-Assisi” del1961, sotto cartelli di sostegno ai movimentidi liberazione [Algeria, Angola], e per noi [maanche per Capitini] la pace non era genericopacifismo ma lotta contro il colonialismo, con-tro l’imperialismo, contro lo stalinismo specu-lare al capitalismo; il dilemma luxemburghiano“socialismo o barbarie” aveva guidato le tuescelte politiche, dal Psiup degli anni '44-47 allaQuarta internazionale. Dopo pochi anniavremmo seguito i percorsi della “nuova sini-stra”, tu con Medicina democratica, il Manife-sto, il Pdup, e io, più giovane di te di una ven-tina d’anni, sugli ardui percorsi delle organiz-zazioni marxiste-leniniste, la Comune di DarioFo, il Soccorso rosso militante, negli anni delterrorismo di Stato e delle esperienze di con-tropotere nelle fabbriche, nei quartieri, nellescuole. Ci siamo ritrovati dopo molti anni, dopo lamorte di mio padre nel 1997. Siccome i morticrescono, quando mi sono reso conto di nonaver conosciuto veramente il percorso politicodi mio padre e di aver rimosso con colpevolefretta giovanile le esperienze rivoluzionarie diCapitini, è con te che ho potuto ricostruire glianni dell’antifascismo a Perugia [e da Perugiasulle reti “liberalsocialiste”], gli anni della resi-

stenza, dell’immediato dopoguerra e della re-staurazione. Eri un testimone prezioso, per meil più importante, di quella stagione. Più cheun testimone: ti consideravi allievo dell’“intran-sigenza” socialista e rivoluzionaria di Binni[aveva una decina d’anni più di te], avevi par-tecipato alle esperienze di democrazia direttadei Centri di orientamento sociale di Capitinitra 1944 e 1946. Mi raccontavi dei comizi perle prime elezioni comunali, quando il Psiup fuil primo partito a Perugia, della campagna peril referendum monarchia/repubblica e per l’As-semblea costituente [dove Binni fu eletto nel1946], dei conflitti con i “socialproprietari” [iliberali] e i ”socialmassoni” all’interno del Psiup.Andavate in giro per l’Umbria, con una vecchiabalilla, a organizzare il partito: facendo comizila domenica mattina davanti alle chiese, per in-tercettare la gente all’uscita dalla messa. Comenell’autunno del ’44 a Montone, dove ci siamofermati alla fine di aprile di quest’anno, tu, Sal-vatore Lo Leggio e io, dopo essere stati a Pie-tralunga a parlare con l’unico sopravvissuto dellaBrigata proletaria d’urto San Faustino, InnoRuggeri, per cercare invano nella sua memoriatracce di Bruno Enei, allievo di Capitini e mae-stro di Riccardo Tenerini e Primo Ciabatti aGubbio, amico di Binni, comandante di unodei quattro battaglioni della San Faustino, re-dattore e poi direttore del “Corriere di Perugia”,il giornale del Cln della provincia di Perugia.Credo che sia stata la tua ultima “gita” nellacampagna perugina. Forse si chiudeva un cer-chio.Continuerò a vedermi con te, non solo per con-cludere il libro che abbiamo progettato insiemesu Bruno Enei, rimosso dalla città per odio po-litico, come fu cacciato Capitini nel 1946, comesi tentò di cacciare mio padre nello stesso anno- salvato dall’elezione alla Costituente e poi daun concorso universitario vinto nel 1948 - cometu stesso fosti a lungo considerato [dalla «sini-stra» stalinista e liberalproprietaria] un “pro-vocatore”, per le tue posizioni intransigenti dirivoluzionario trotzkista e poi della “nuova si-nistra”.Continuerò a incontrarmi con te, in “collo-quio”, per capire insieme “come va a finire”questa storia. In occidente la barbarie sta im-perversando, l’Europa uncinata sta spezzandole reni alla Grecia, l’oligarchico sistema politicoitaliano sta implodendo: semplicemente, ven-gono a nudo, senza mediazioni “democratiche”,le dinamiche di fondo del capitalismo senile,che crepi. La specie umana saprà difendersi, co-struendo scenari diversi sull’onda lunga di unsocialismo libertario capace di stabilire semprenuove connessioni tra passato e avvenire. Mimancheranno il tuo sorriso ironico, la traspa-renza dei tuoi occhi, la tua postura orgogliosa-mente e consapevolmente eretta. “Tutti” salu-tano te. Ben scavato, vecchia talpa.Ah, dimenticavo. Sulla collina toscana doveabito, alcuni anni fa avevo costruito su un vec-

chio pero, possente, con quattro braccia, unapiattaforma, con sopra un tavolino e una sedia;naturalmente c’è una scala per salire e scendere.Durante l’ultimo inverno il vecchio pero èmorto. Mi sono consultato con lui e con gliuccellini che lo vivono come luogo di sosta e dipassaggio. Abbiamo deciso di dargli una nuovavita. Ora è dipinto di blu. Dedicato a te.

Un accademicoche si vivevaoperaioCesare Cislaghi

i aveva sempre molto sorpreso il de-siderio di Maurizio di ritirare il pro-prio stipendio in Università “in con-

tanti” e non facendoselo accreditare in banca.Oggi sarebbe impossibile per legge ma per Mau-rizio, glielo chiesi, era il segno che il suo era un“salario” per il lavoro che svolgeva e non unprivilegio di status. Oggi forse tutti i professoriuniversitari, o almeno la maggioranza, si vivonocome quotidiani lavoratori e non come categoriasuperiore; ma quarant’anni fa, quando conobbiMaurizio, erano tempi differenti e lui, di certo,non si era omologato alla maggioranza dei pro-fessori, peraltro come non l’avevano fatto diversisuoi colleghi perugini.

Conobbi Maurizio all’Istituto di biometria diMilano dove lui veniva per incontrare GiulioAlfredo Maccacaro che prima di essere statoprofessore di Statistica medica lo era stato diIgiene a Pavia con Checcacci. Per me, giovaneborsista arrivato quasi per caso in un istituto dimedicina con una laurea in Scienze politicheavendo risposto ad un annuncio del Corrieredella Sera, le scuole di Igiene che mi interessa-vano, perché vicine ai miei argomenti, eranoquella milanese di Giovanardi e quella peruginadi Seppilli. Si parlava di riforma della sanità edi lotte per la salute, si discuteva di soggettivitàoperaia e di demedicalizzazione.Maurizio mi invitò diverse volte alla loro glo-riosa Scuola di educazione sanitaria per faredelle lezioni in tema di metodi statistici perl’analisi dei processi sanitari. Prendevo un trenoall’una di notte dalla stazione di Milano Lam-brate con il sacco a pelo per dormire sui posti asedere sempre vuoti ed arrivavo a Perugia pocoprima delle sette del mattino e trovavo in sta-zione Maurizio che mi accompagnava a casasua per fare, con la sua compagna, una lautacolazione. I rapporti con Maurizio non pote-vano mai essere formali perché lui cercava sem-pre la sostanza delle cose e delle persone.Maurizio non ci lascia una eredità fatta di trat-tati, di scoperte scientifiche, di cariche ricoperteed onori ricevuti. Maurizio ci lascia una forteeredità silenziosa in molti di noi che abbiamovissuto gli anni sessanta non tanto, o non solo,come una rivolta giovanile bensì soprattuttocome un desiderio di costruzione di una societàpiù vera e più giusta, dove la salute nasce comemodalità di rapportarsi tra le persone e nonsolo come frutto del potere medico.Forse abbiamo vissuto assieme anche sogni uto-pici, forse non siamo stati capaci di influire asufficienza sulle istituzioni, forse in qualchemodo “abbiamo perso”, ma se abbiamo perso èsoprattutto perché siamo stati coerenti con inostri valori e non siamo corsi, come altri, daivincitori. La stessa esperienza l’abbiamo ripetutain Spagna dove Maurizio collaborava con lescuole di Sanità pubblica nei giorni seguentialla caduta del franchismo. Ringrazio ancoraMaurizio per avermi chiesto di andare a Valencia

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per fare dei corsi sui temi del Sistema informa-tivo sanitario. Vorrei adesso che l’energia, lapassione, l’onestà di Maurizio non fosse dimen-ticata ma servisse per dare idee, entusiasmo ecapacità a dei giovani sperando che siano piùcapaci di noi nel trasformare in realtà l’idea chela difesa della salute è innanzitutto lotta ai pro-cessi di sfruttamento tra le persone: tra l’uomoe la donna, tra il padrone e l’operaio, tra il riccoed il povero, tra chi non ha problemi e chi neha, sia sul piano fisico che psichico che mentaleo sociale. E le idee di Maurizio non rimarrannosotto terra ma certamente faranno germogliarenuovi fiori.

Il lettoreprincipaleEnrico Sciamanna

el corso degli incontri redazionali dimicropolis, dove era avvenuta la miaconoscenza diretta di Maurizio Mori,

scoprii che avevamo un’amicizia in comune, lamia di brevissima durata purtroppo, con Ga-stone Marri, giovane partigiano di pianura esindacalista della sanità, uno dei protagonistiinsieme a lui della riforma. Altri amici al difuori del giornale mi avevano parlato già primadi Maurizio, facendo riferimento al suo rigoreprofessionale e politico, presentandolo comeuomo libero, in grado cioè di tener fede al suocredo, sul quale fondava le sue umane certezze,senza dover accettare compromessi: enorme pri-vilegio. Ma soltanto attraverso micropolis, inoccasione dei suoi interventi nel corso delle riu-nioni, anche di fronte ad una tavola imbandita,o leggendo i suoi articoli, ho potuto approfon-dire una conoscenza che è divenuta ammira-zione, stima fino al condizionamento. Le suecompetenze erano vaste, non c’era soltanto ilmedico di lunga militanza politica che interve-niva anche con pacata irruenza, bensì un intel-lettuale profondo che faceva agire, intorno aisuoi assi principali, la cultura variegata dell’oggi.Tanto che quando scrivevo i miei pezzi pensavoa lui, che indirettamente mi suggeriva non solole priorità dei contenuti, ma anche le scelte sti-listiche, scrivevo immaginando Maurizio comelettore principale.

Una talpache ha benscavatoFrancesco Mandarini

stato un privilegio e un vantaggiostraordinario essere stato formato allavita e alla politica da personalità come

quella di Maurizio Mori, che apparteneva allagenerazione che aveva iniziato a battersi sottoil fascismo morente e che dopo la sua disfattaha costruito la democrazia repubblicana. Unagenerazione nutrita di una cultura politica ri-gorosa e spinta da una curiosità vivacissima pertutto ciò che l’umanità aveva prodotto nei se-coli. Maurizio aveva molte passioni oltre allamedicina e la politica. Credo che la principale,oltre al viaggiare, fosse il cinema. Ci incontra-vamo spesso in un cinema e bastava uno sguardoper capire il suo giudizio su ciò che avevamoappena visto. Figlio della “chiesa-comunità” delPci umbro, per una fase avevo avuto perplessitàper il membro della Quarta Internazionale, af-fermato organizzatore della salute in fabbrica.Le scorie dello stalinismo, pur marginali neigruppi dirigenti, perduravano nel Pci e Trotskijpurtroppo non era nel nostro pantheon. Comemilitante, educato da Ilvano Rasimelli e da GinoGalli, compresi da subito il disastro prodottodallo stalinismo. Con Forini e Mantovani scher-zavamo sul fatto che il nostro destino in Ursssarebbe stato una “vacanza” in Siberia. Basta-rono pochi incontri per apprezzare le capacitàumane e politiche di Maurizio. Come ammini-stratore ho poi potuto valutare con orgogliocome la “squadra” di medicina che realizzava

progetti per la salubrità degli ambienti di lavoroera riconosciuta tra le più efficaci a livello na-zionale. Esemplare tutta l’esperienza del ternano.Mori fu tra i protagonisti di questo lavoro. Nellacrisi esplosa con la liquidazione del Pci sce-gliemmo, Maurizio ed io, strade diverse, macontinuò la nostra amicizia politica. Si era raf-forzata negli anni anche in ragione della crisidella stagione del nuovismo d’accatto. Comecomunisti incorreggibili, assieme ad altri com-pagni di Segno Critico, prendemmo la decisionedi “inventare”, come inserto del manifesto, mi-cropolis. A conferma della volontà condivisa ditentare ogni strada per mettere insieme idee eproposte per una sinistra umbra rinnovata.Sappiamo che il tentativo è fallito nonostantela nostra passione politica che ha consentitol’uscita di micropolis per quasi venti anni. Lasinistra umbra come quella italiana è ridotta al-l’insignificanza.L’annientamento di tutte le sigle della sinistra-sinistra, il fallimento del progetto dell’Altra Eu-ropa, lasciano in campo macerie che è difficilericomporre. L’illusione che, nonostante tutto,il Pd poteva costituire un’ipotesi in cui la sinistraaveva un senso si è sfarinata come un pupazzodi neve. Che fare? Intanto un discorso di veritàè obbligatorio. Il Pd di Renzi è un agglomeratopolitico che interpreta passivamente la volontàreazionaria del capitale finanziario. Non unanuova democrazia cristiana ma una nuova de-stra, magari non cialtronesca come la Lega, mauna destra politica che sta annichilendo la de-mocrazia italiana. Di questo dobbiamo parlarecon lo zoccolo duro ex Pci che si è illuso sulprogetto del “rottamatore”. La vera rottama-zione di Renzi è stata quella dei diritti dei lavo-ratori e dello spirito e delle norme costituzionali.Il Pd è nella stessa situazione della socialdemo-crazia europea. Sia in Francia che in tutte leformazioni socialdemocratiche del nord europeoha vinto alla grande l’ideologia neoliberista.Esemplare ciò che sono riusciti a decidere perla crisi greca. Da vergognarsi tutti. In un edito-

riale Renato Covino ha sollecitato i compagnia prendere coscienza che ricostruire la sinistraavrà tempi lunghi. Non esistono scorciatoie.Renato ha ragione. E’ vero anche che a volte lastoria può avere delle accelerazioni inaspettateche in ogni caso richiedono di avere idee damettere in campo. Il giorno prima della morte,con Mantovani e Covino, ci trovammo davantia Maurizio, sofferente ma cosciente di doverrincuorarci. Lo fece a suo modo dicendoci convoce serena: ben scavato vecchia talpa. SperiamoMaurizio di fare bene anche per onorare l’affettoe la stima che ci hai trasmesso in tanti anni diimpegno comune.

Il prof e lesue truppeStefania Piacentini

hhhhhh, ricordati bene, ti dettoil mio epitaffio: non sono mortoordinario, ma sono morto felice”

- così mi disse Mori tra il divertito e l’assertivoanni fa, quando lo trovai nel suo studio del-l’Istituto d’Igiene, immerso più del solito tra

pacchi e scatole di carte che ostruivano il pas-saggio nello spazio già angusto. Aveva ricevutoindietro materiali e pubblicazioni presentatiper il concorso da ordinario che lo aveva vistorespinto. Quando glielo ricordai qualche de-cennio dopo, mi guardò divertito e compia-ciuto “Ma davvero ti dissi così?”.Mai si è preso troppo sul serio, ma seriamenteprendeva noi, studenti di medicina degli anni‘70, e poi specializzandi di quella che alloraera la scuola di Igiene, fondata dal suo maestroprof. Antonio Seppilli. Fu per molti di noigarante di una staffetta generazionale, di unacatena umana e professionale che permetteva,nel rinnovamento, la trasmissione di saperi edi prassi, che hanno caratterizzato la storia ela geografia dei servizi sociosanitari umbri, enon solo. Autentico intellettuale organico,non certo al potere, neppure quello dell’epoca,ma ai principi ispiratori della riforma sanitariadella fine degli anni ’70, presto abortita ancheda coloro che l’avevano voluta, pur a prezzodi compromessi, e poi stravolta. Amava farcinotare che il primo ministro che “si trovò” agestirla apparteneva ad un partito che avevavotato contro l’approvazione della legge. Mori era umbro, nato in quel di Assisi nel1925 - una lunga vita felice e serena, anche asuo dire - ma, non solo per sua volontà, fupiù apprezzato altrove. Sono tante le regionid’Italia, al nord come al sud, che l’hanno vistoimpegnato come ricercatore, formatore, di-vulgatore e consulente per i piani regionali, ein tante parti del mondo, Libano, Spagna,Nicaragua, più recentemente Bosnia, ha par-tecipato a programmi governativi o di asso-ciazioni impegnate delle attività sanitarie,spesso “a gratis”, anzi a sue spese… Ricordoquando, impegnato in un progetto contro l’al-colismo della regione Friuli, per compensochiese [solo] una piccola fornitura di vini lo-cali.E gratis, anzi a sue spese, fu sempre l’attivitàpolitica, sempre coerente con l’attività pro-fessionale di igienista ed esperto educatore sa-nitario di comunità. Lo sa bene chi, comeme, ha fatto parte delle sue “ truppe” - comemalignamente ci definì bofonchiando un suocollega, vedendoci arrivare in folta delegazionea metà degli anni '90 - per partecipare ad unsuo seminario sulle prospettive della sanitàpubblica e della formazione degli igienisti, vi-sto che allora qualcuno ancora se ne occupavae preoccupava. Il prof in realtà non faceva proseliti, era sem-mai “la truppa” che l’aveva scelto come “sub-comandante”, s’era autoselezionata per “affi-nità elettive”. In tanti - ormai adulti e allocatinei servizi sanitari della regione - gli siamostati intorno, e abbiamo continuato a colla-borare alle sue tante attività dalle postazionidei servizi operativi, per lo più territoriali,comprese quelle legate alla formazione sulcampo degli allievi. Non ha stimato tutti quelli che “gli sono pas-sati sotto”, ed ha avuto parole dure, a voltesarcastiche, anche per chi stimava, costrin-gendo talvolta il malcapitato a ripensare lescelte ingoiando il dispiacere. Non moltotempo fa, non per lamentarsi ma per dar ra-gione alla mia stizza e preoccupazione nei con-fronti del “nuovo corso” della scuola di Igieneperugina, ove qualcuno più giovane di noidella “truppa”, investito oggi di molto potereformale, era riuscito, nientemeno, ad accusarlodi essere nemico dell’epidemiologia, mi rac-contava: “Non mi sono mai vantato di nulla,ma ho dovuto dirgli che con Maccacaro, Ter-racini ed altri avevo fondato nei primi anni‘70, la rivista Epidemiologia e prevenzione”.Io ne conservo tuttora come un cimelio il nu-mero 0, che mi regalò un giorno mentre rior-dinava la sua stracolma libreria. Quel qualcuno ha scambiato per “inimicizia”l’avversione di Mori per la “tecnocrazia delnumero”, quella condizione in cui da temposi è rifugiato chi vive il suo “sapere” in spaziconfinati, perché non sa, o non vuole, con-frontarsi e interagire con la realtà che c’è fuori,come quei “costruttori di soffitte” che giàGramsci ben descriveva . Ciao, maestro, noi, le tue truppe, in soffittanon metteremo neppure il ricordo.

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Le immagini di queste pagine sonodella fotografa Tina Modotti.

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o conosciuto Walter Binni nei primigiorni dell’estate del 1944, dopo la li-berazione di Perugia da parte dell’VIII

Armata britannica del generale Mongomery, il20 giugno. Scoprii poco più tardi che quelladata era preziosa per Binni, nella memoria diquell’altro XX giugno del 1859 di cui ebbe poia scrivere “mi sembrava bello essere perugino,soprattutto per merito di quella data gloriosa,di quell’avvenimento che tuttora mi appare dicivilissimo significato”.Ci trovammo iscritti ambedue all’allora Psiup,Partito socialista di unità proletaria, io studenteliceale che dopo l’8 settembre aveva collaboratocon la Resistenza, lui, “il Professore”, già conuna storia di cospirazione e di elaborazione po-litico-culturale alle spalle. Intanto l’incontrocon Capitini nel 1931: [...] dirà poi che “lapropria vicenda sarebbe incomprensibile e nonriconoscibile come essa si è svolta, senza l’in-tervento di lui, senza la sua parola illuminante,senza i problemi che lui ci aiutò a impostare e achiarire, spesso contribuendo a decise svoltenella nostra formazione e nella nostra vita in-tellettuale, morale, politica [...]. Una cosa ab-biamo tutti, credo, da lui imparata: la sconten-tezza profonda della realtà a tutti i suoi livelli,la certezza dei suoi limiti e dei suoi errori pro-fondi, la volontà di trasformarla, di aprirla, diliberarla”.Capitini lo aiutò a disvelare le “remore gravi escolastiche dei miti nazionali carducciani, dan-nunziani, pascoliani e degli inganni psuedo-so-ciali della dittatura”. Con Capitini entra “nelperiodo della preparazione della Resistenza inquell’attività clandestina, che ebbe in lui unodei suoi massimi protagonisti [...]”. E trova “perla prima volta contatto non solo con i vecchiantifascisti perugini borghesi, ma quello, fe-condo ed entusiasmante, con i tenaci e corag-giosissimi popolani perugini [...], oppositorialla dittatura, aperti alle istanze sociali e rivolu-zionarie piú risolute”.Anche a Perugia la “spinta accelerativa” per l’at-tività antifascista fu la guerra di Spagna: [...]“tra la fine del ’36 e l’inizio del ’37 si venneformando un nuovo movimento politico chemi sembra obbiettivamente rappresentare uncontributo originale dell’antifascismo peruginoalla storia dell’antifascismo italiano: quel mo-vimento ‘liberalsocialista’, la cui prima elabo-razione […] avvenne proprio in Perugia adopera di Capitini e degli amici intorno a lui giàsaldamente riuniti”.Un liberalsocialismo “ben lontan[o] da un sem-plice contemperamento moderato delle nozioniclassiche di liberalismo e socialismo, ma impli-cava la volontà di fondare un socialismo tantosocialmente ed economicamente radicalequanto politicamente e giuridicamente concre-tato in forme di democrazia dal basso”. Binni èormai un cospiratore a tutto campo, cui è affi-dato il compito di tenere collegamenti tra lediverse realtà italiane. Non rinuncia a rivendi-care che il “nostro” liberalsocialismo […] ha“al centro il problema della libertà nel socialismoe non quello socialdemocratico del socialismonella libertà”, e ribadisce che “la prima impo-stazione del movimento era più consona allenostre istanze [di Capitini e di me] rivoluzio-narie e non terzaforziste e moderate, alle sueconsonanze con la costituzione sovietica del ’37,anche se era - e lo sapevamo - null’altro che un

pezzo di carta rispetto alla prassi staliniana pro-prio nel periodo delle ‘purghe’ feroci che i nostriamici comunisti non volevano vedere”. Decisivofu poi l’incontro con rappresentanti antifascistidi “quella Perugia popolare, generosa e com-battiva, il cui contatto tanto ci arricchì [...]”:repubblicani, libertari, comunisti, e, un po’ piùtardi, socialisti.Quando nel 1942 il Movimento liberalsocialistadà luogo alla nascita del Partito d’Azione, si as-siste anche a Perugia a una divisione: alcunierano già passati al Partito comunista, Capitinisi colloca in posizione di indipendente, Binnicon altri si avvicina per poi entrare, nel ’43, nelricostituito Psiup “in posizione di ‘concorrenza’antistalinista con il Partito comunista” [...].Nei giorni successivi all’8 settembre fu con altriantifascisti al Comando della zona militare arichiedere armi con una folla di popolani: lì citrovammo insieme, ma ancora non lo cono-scevo: l'incontro avvenne, appunto all'iniziodell’estate del 1944 [...]: si apriva per me, gio-vane dirigente della Federazione giovanile so-cialista, il privilegio di averlo maestro di impe-gno civile, politico, sociale [...]. Comincia, in

quella stagione di entusiasmo e di speranze, contanti altri compagni, un faticoso ma stimolanteapprendistato: la costruzione di un partitonuovo, come ci diceva Binni, democratico e ri-voluzionario. Non potevamo permetterci il lussodi recitare un heri dicebamus, come se non fos-sero passati vent’anni di fascismo [...]. Un lavoroduro, ma non su terra bruciata: il Psiup e il Pciavevano dei fuochi nel territorio rimasti accesinel corso della dittatura, e punti di riferimentonell’appena conclusa lotta partigiana. Si trattavadi riprendere i contatti, o, laddove non c’eraniente, di convocare comizi e incontri. Può ap-parire semplicistico se non paradossale, maspesso la maggiore presenza del Psiup o del Pcidipendeva solo da quale delle due organizzazionifacesse per prima sentire la sua voce in un terri-torio. In questa attività […] mi capitava spessodi fare coppia con Binni. Si partiva la domenicamattina per raggiungere la località programmataall’ora della messa, terminata la quale i fedeli [aquei tempi la quasi totalità degli abitanti deipaesi] venivano invitati a fermarsi sul sagrato eBinni, ottimo comiziante, svolgeva il suo di-scorso, che si concludeva con l’invito a un in-contro per tentare di costruire una sezione delpartito [...]: mai è accaduto di andarsene senzamettere insieme almeno un gruppo di riferi-

mento. Era d’estate e poi d’autunno: la campa-gna umbra meravigliosa, la popolazione dispo-nibilissima al dibattito, la dittatura e la guerraalle spalle. Più di una volta il parroco del postoci invitava a pranzo [...]. C’erano, al tempo,preti cui piaceva dirsi “socialisti”: non era forseindifferente la presenza di qualche ex moderni-sta, certo contava la cultura libero-religiosa diCapitini di cui si percepiva l’eco nei comizi delnon religioso Binni.Il Cln aveva nominato una giunta comunalenella quale Binni rappresentava il Psiup, chenon [fu] mai riconosciuta dall’Amministrazionemilitare alleata; già venti giorni dopo la libera-zione pubblicò un settimanale, “Il Corriere diPerugia” con Capitini direttore e Binni in re-dazione. Ancora due giorni e Capitini tennenella sede della Camera del Lavoro, al tempoancora unitaria, il primo incontro pubblico delCos, Centro di orientamento sociale, che vivràuna ricca stagione di democrazia dal basso eche si estenderà in Umbria, Toscana, Emilia,Marche. Gli incontri settimanali dibattono iproblemi quotidiani di vita dei cittadini [...]:dopo la lunga notte è un originale e grandestrumento di partecipazione, di democrazia incammino. “Il Corriere di Perugia” esprime erappresenta questo clima, ma non avrà vita fa-cile: liberali [i “liberal-proprietari”, scrive Binni]e democristiani esprimono aspri dissensi, i co-munisti temono che quell'impianto politico-culturale possa sfuggire loro di mano. In au-tunno Binni lascia la redazione del giornale,Capitini si dimette da direttore: il suo impegnova tutto alla vita del Cos, e al nuovo ruolo diCommissario straordinario dell’Università perStranieri, con il quale darà alla città una ric-chissima stagione culturale.Binni va avanti nel suo lavoro di costruzionedel partito, intorno a lui si aggregano giovaniche sempre più numerosi si battono con lui perquella che è la sua costante bandiera: un “so-cialismo rivoluzionario”, un partito […] che sivorrebbe sgravato da un certo semplicismo eda una profonda subalternità che sembrano im-pedirgli il volo. Un partito percorso da tantevene fresche [...], eretiche diremmo oggi, maanche immobilizzato da uno scontro tra forzeche definire socialdemocratiche sarebbe un eu-femismo, e forze fondate su uno stalinismo d’ac-catto e subalterno. […] Binni e i gruppi che inUmbria si ritrovano con lui vogliono sfuggireal dilemma “o stalinisti o socialdemocratici:sono - siamo - sinistra critica, e non a casoBinni quando scrive di “maestri” ricorda Leo-pardi, “il poeta della mia vita, il maestro su-premo della mia stessa prospettiva umana, mo-rale, intellettuale, civile”, e aggiunge “con l’ovviaaggregazione di altri maestri, da De Sanctis aMarx, a Trotski, alla Luxemburg, a Gramsci, aSartre”. Militano - militiamo - in un Psiup dicui Binni intende ribadire “la sua natura diclasse “. In un partito storicamente strutturatoin correnti, Binni e altri compagni aderisconoa quella di Iniziativa Socialista. Il confronto èduro, soprattutto sul problema del rapportocon il Pci; la direzione nenniana [...] è su posi-zioni fusioniste, creando “quella tragica identi-ficazione di sinistra misurata solo nella maggioreadesione [non vicinanza] possibile alla linea delPci [...]. E allora l’opera dei partiti socialisti di-viene opera di accompagnamento e di riserva,non azione organica ed autonoma”.

Iniziativa Socialista si colloca a sinistra del Pcidella svolta di Salerno, del tatticismo esasperatosulla linea dell’unità nazionale, dell’ambiguitàsulla questione istituzionale, dell’adesione, dopola crisi del governo Parri, al governo luogote-nenziale alla fine del 1945, che vede il Psiup al-l’opposizione [...]. Intanto si ripropone a Perugiail mai sopito intreccio tra aree socialiste e mas-soneria: la sinistra socialista riesce a imporredure prese di posizione e l’espulsione di alcuninotabili. Molto più tardi, quando sull’eco dellaP2 verranno pubblicate le liste della massoneria,si saprà di dirigenti e parlamentari umbri delPsiup e poi del Psi nenniano che erano statiiscritti alla massoneria. Questa, assieme alla Dclocale, attacca Binni per aver collaborato conarticoli di critica letteraria a riviste del periodofascista come “Primato” di Bottai, suscitandola dura reazione dell’antifascismo perugino, chericorda il ruolo attivo di Binni nella cospirazioneantifascista sin dal 1936. Il paese si va faticosa-mente normalizzando, e si apre alle prospettivedella chiamata democratica alle elezioni. È ap-pena finita la guerra in Europa e Binni sullecolonne di “Il Corriere di Perugia” il 17 maggio1945 auspica la Costituente e indica “i tre puntiessenziali che il popolo dovrà ottenere [...] ecioè Repubblica, Riforma agraria, Socializza-zione delle grandi industrie”. Un anno dopoBinni siederà sui banchi dell’Assemblea costi-tuente dove si batterà per “i tre punti essenziali”e, con un memorabile intervento, per la scuolapubblica. Il 7 aprile 1946 alle prime elezionicomunali il Psiup a Perugia si colloca al primoposto: è la vittoria di una linea politica che sisostanzia di liberalsocialismo alla Binni e allaCapitini [...]. Un paio di mesi dopo, il 2 giugno1946, si conferma il trionfo e Binni è eletto daisocialisti umbri parlamentare costituente. IlPsiup frattanto affonda nella sua crisi più pro-fonda, le correnti socialdemocratica e fusionistanon trovano più livelli di mediazione, IniziativaSocialista non riesce a evitare una rottura cui ècontraria: così nei primi giorni del 1947 si con-suma la scissione di Palazzo Barberini: Psli diSaragat da una parte, Psi di Nenni dall’altra; idirigenti nazionali di Iniziativa Socialista optanoper il Psli dove, diranno, è garantita maggioreagibilità politica. A Perugia, come in altre realtà,i socialisti della terza corrente, maggioranza inFederazione, non vanno né con Nenni né conSaragat: comincia per loro, e per Binni, un viag-gio nella diaspora socialista. È vicino, ma abba-stanza defilato, a gruppi, associazioni, iniziativepolitico-culturali che nascono [e muoiono] in-torno a compagni che come lui non si ricono-scono in nessuna delle organizzazioni tradizio-nali della sinistra, giudicate con occhiofortemente critico.Da allora il suo impegno partitico si chiude, aparte una fugace presenza negli ultimi anni dellasua vita, in Rifondazione comunista. Scriveràpiù tardi di considerarsi un “leopardiano pessi-mista rivoluzionario”, “un intellettuale disor-ganico a ogni partito, ma volontariamente or-ganico alla classe proletaria”. E, scrivendo di“ricordi”, dirà ancora di sé della “volontà per-suasa di contribuire, anche nel nostro Paese,alla costruzione, pur così difficile, di una societàche realizzi l’esito positivo del dilemma luxem-burghiano “o socialismo o barbarie”“.[da “Il Ponte”, Anno LXVII nn. 7-8 luglio-ago-sto 2011]

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Walter Binni. Socialistapessimista rivoluzionario

Maurizio Mori

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Binni e i gruppi che in Um-bria si ritrovano con lui vo-gliono sfuggire al dilemma“o stalinisti o socialdemo-cratici: sono - siamo - sini-stra critica, e non a casoBinni quando scrive di“maestri” ricorda Leo-pardi, “il poeta della miavita, il maestro supremodella mia stessa prospet-tiva umana, morale, intel-lettuale, civile”

ncora siamo lontani da una dialetticasoddisfacente sull’ambiente ma qual-cosa sta cambiando. Il 6 luglio scorso

in piena notte è scoppiato un incendio nellafabbrica di materie plastiche Cores di Vasci-gliano di Stroncone. Il 2 luglio di sei anni orsono, sempre a Vascigliano, era andato a fuocoil deposito di carcasse d’auto della Ecorecuperi.Come è possibile che in una piccola frazionescoppi un incendio ogni sei anni?Nel primo caso si è assistito ad un balletto didati. Diossina sì o diossina no? Poi sono arrivatii risultati delle analisi dell’Istituto zooprofilat-tico di Teramo che registravano alti valori didiossina su latte, uova e foraggi. Ancora oggitre allevamenti sono sotto sequestro perché in-quinati. Il 9 aprile di quest’anno, al processo,il pm Elisabetta Massini ha accusato gli impu-tati di aver minimizzato l’inquinamento perfavorire la commercializzazione dei prodottialimentari della zona ed in particolare quellidell’azienda agricola di Terenzio Malvetani, exPresidente della Cassa di Risparmio di Terni.Solo il rappresentante legale della Ecorecuperiè stato condannato. Ma i cittadini hanno appreso la lezione e co-minciano ad avere un atteggiamento consape-vole rispetto al passato, pretendono maggiorsicurezza e maggior equilibrio nella distribu-zione territoriale delle attività industriali a ri-schio. Nell’agosto dell’anno scorso l’Arpa haeffettuato un’indagine in zona Breccione diTrestina per i cattivi odori emessi da un im-pianto a biomasse. Secondo molti istituti scien-tifici, le biomasse inquinano più del gasolio odel gpl o del metano. Prolificano solo per i fa-migerati certificati verdi, un incentivo che pa-ghiamo tutti con una tassa nelle bollette elet-triche del 7%. La novità è rappresentata dallaresistenza legale a questi impianti usando undecreto legislativo, il 155/2010 che tra le suefinalità prevede di mantenere la qualità dell’ariaambiente laddove buona e migliorarla neglialtri casi. E questi impianti, secondo come sonoalimentati, possono emettere nell’aria polverisottili e ultra sottili, ossidi di azoto, idrocarburipoliciclici aromatici e diossine.Dall’Arpa arrivano notizie sulle varie discarichedell’Umbria che confermano grosso modoquanto più volte denunciato da questo giornale.

Finalmente l’Agenzia ammette gli inquina-menti in atto. A Colognola di Gubbio è in attouna pericolosa interazione tra il percolato e leacque sotterranee alla discarica. A Sant’Orsoladi Spoleto la situazione è simile con un perico-loso superamento delle soglie consentite di al-luminio e ferro. A Belladanza persiste l’anticoinquinamento che nessuno ha mai indagatoveramente ma che attraverso il torrente Diac-ciata finisce nel Tevere sottostante. A BorgoGiglione il problema maggiore è il rumore pro-vocato dall’intenso traffico. Mentre alle Cretedi Orvieto sono stati riscontrati valori inqui-nanti difformi sul torrente Paglia. A Pietrame-lina di Perugia la discarica è dismessa e le acquedel torrente Mussino sono ancora inquinate.La Regione ha concesso alla società Gest uncontributo di 3.215.648 euro per l’impiantodi compostaggio. Lo storico comitato localeInceneritori zero fa le pulci al progetto: comemai i costi dello smaltimento del percolatosono tanto alti se in questi impianti non ci do-vrebbe essere? Come mai sono previsti scartiper il 20% del lavorato se la media è intorno al4%? Perché nel progetto è previsto un fabbiso-gno di 10 operatori alle pale mentre sono cal-colati costi per 16? Nello scorso mese di giugno c’è stata un’epi-demia di incendi su impianti di trattamentomeccanico biologico a Roma in via Salaria, adEste [Padova], a Parma e ad Albairate [Milano]che doveva trattare i rifiuti di Expo. Un incen-dio al deposito di legno anche a Ponte Rio nel-l’impianto Gesenu. Incendi che puzzano e chehanno suscitato i sospetti di tutti gli addetti ailavori compreso Walter Ganapini neo direttoredell’Arpa: “Dobbiamo attrezzarci per contra-stare l’aggressione violenta e palese al bene co-mune ambiente-salute […] E’ palesemente ri-dicola l’ipotesi di una ubiquitaria autocom-bustione”. Dunque cos'altro? C’è l’esigenza diammortizzare i miliardi di euro spesi per tantiinceneritori nonostante il loro divieto previstodall’Ue; di salvaguardare gli affari delle mafienei trasporti marittimi e nelle discariche bal-caniche sparse in Macedonia, nel Kosovo e inRomania, dove è la discarica più grande d’Eu-ropa, quella di Bucarest, di proprietà della fa-miglia Ciancimino, valore 125/130 milioni dieuro. Ganapini avanza anche l’ipotesi di legami

tra gli incendi e la lotta per la gestione rifiutidell’impero di Manlio Cerroni il socio di mag-gioranza di Gesenu: si cercano deroghe o ap-palti per la gestione dei rifiuti “si soddisfanoesigenze inventandosi emergenze stile Campa-nia dove non si è mai permesso di far funzio-nare gli esistenti e più che sufficienti impiantidi selezione e compostaggio [capacità di smal-timento di 8mila tonnellate al giorno controuna raccolta che non toccava le 6mila tonnellateal giorno. Impianti di compostaggio nuovi edefficienti destinati a rimanere fermi per volontàdel clan dei casalesi che controlla le discarichele aree di stoccaggio e gli inceneritori”. Nel luglio 2001 viene inaugurata la galleria delTescino sulla Terni Rieti. Tutti felici e contenti.Neanche un accenno ad Alessandro Ridolfi iltecnico contaminato dalle infiltrazioni della so-vrastante discarica di vocabolo Valle e grave-mente malato. La diagnosi parla di dermatiteeczematosa corrosiva provocata dal cromo esa-valente conosciuto in siderurgia per la suaazione antiruggine ma anche per le sue pro-prietà cancerogene e mutagene del Dna. Biso-gna aspettare il 2014 e la pioggia di cromo ingalleria per leggere qualcosa sull’argomentosulla stampa locale o nazionale. Tutti bignami-sti, tutti grandi inviati, tutti alla ricerca delloscoop o di argomenti per la scalata ai palazzidella politica. Solo “micropolis” scrive sull’ar-gomento già nel 2009. Nessuna rivendicazione.Il merito è tutto degli operai Fiom della Thys-sen Krupp di Torino che ci avevano informatoprima e ringraziato poi: “La scoria infinita, l’in-quinamento industriale che avete denunciatoa Terni è ciò che è già successo a Torino dovesulle scorie dell’ex Fiat Ferriere sorgono centricommerciali, negozi e caseggiati […] espri-miamo la nostra solidarietà e vicinanza ai cit-tadini ternani e ai lavoratori della ThyssenKrupp e alle loro famiglie. Non si può barattarela salute con il ricatto occupazionale e la TKha le risorse per mettere in sicurezza l’area manon ha interesse a farlo. Prima inquinano, poidelocalizzano e licenziano e lasciano come regalialla collettività esuberi e veleni”. Sono loroquelli bravi, quelli che sono avanti. Quantoavanti? Almeno 5 anni rispetto ai sedicentiprimi della classe nel caso del cromo esavalente.Per il resto molto di più.

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L’Arpa riconosce gli inquinamenti in atto

Ambientebene comune

P.L.

A nglesi e altri nord europei erano venutiin Umbria per godere dei verdi pano-rami collinari, invece si sono ritrovati

una casa con vista sulla discarica di Borgo Gi-glione. Inconvenienti che capitano nel cuoreverde d'Italia, come la discarica di Pietramelinache insiste su un Sic [Sito di interesse comu-nitario]. Evidentemente pensiamo di esserecosì ricchi da poterci permettere di sciuparele bellezze naturali.L'Umbria lavora molto con le discariche, loconfermano anche i più recenti dati ufficialidisponibili [relativi al 2013] che indicano un48,5% di raccolta differenziata [Rd], in cre-scita del 4,5% rispetto al 2012, anno in cui lanormativa europea chiedeva di raggiungere il65%. Non c'è da aspettarsi un balzo per il2014. La gestione dei rifiuti, distribuita in 4Ati [Ambito territoriale integrato] è materialegislativa di competenza regionale; da noi ilconferimento in discarica risulta economica-mente conveniente visto che lo stesso soggettogestisce la raccolta dei rifiuti e la discarica.Questo conflitto d'interessi è la caratteristicasaliente di tutte le sei discariche regionali che,perciò, risultano competitive sul conferimentoe, di conseguenza, combattono l'interesse adifferenziare. Sappiamo bene, al contrario, cheuna gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti pre-tenderebbe due soggetti diversi, e in concor-renza. Evidentemente le virtù umbre sono al-tre. L'Ati2, che fra i 4 umbri è quello con il mag-gior numero di utenti [407.644, quasi la metàdi tutta la regione] e nel quale si trovano le186.597 utenze di Perugia, conferisce i rifiutinella discarica di Borgo Giglione che è gestitada Trasimeno sistema ambiente spa [Tsa], unasocietà di cui Gesenu, il gestore dei rifiuti diPerugia, possiede il 37,92%, tanto per ribadireil conflitto d'interessi di cui si diceva. Proprioal fine di monitorare tale situazione, e al finedi evitare che l'utile societario prevalga sullaqualità del servizio, nel 2014 è nato l'Osser-vatorio Borgo Giglione con un protocollo d'in-tesa tra Arpa, Azienda Usl1, Ati2, Tsa, nonchétra i Comuni di Magione, Corciano e Perugiae che vede la partecipazione di cittadini che,su base volontaria, controllano la gestione quo-tidiana e all'occorrenza sollecitano chiarimentiagli enti preposti. Le azioni più recenti dell'Osservatorio risal-gono al mese di aprile quando è stata pubbli-cata una richiesta di chiarimenti in merito aduna diffida della Provincia e alla conseguentedenuncia alla procura effettuata dall'Arpa dopoi controlli di legge che rilevavano la insuffi-ciente ricopertura giornaliera dei rifiuti, in se-guito integrata, e il superamento dei parametridei cloruri nella acque sotterranee e dei valoridi cromo e nichel allo scarico. Ciò dimostrache se i controlli vengono svolti c'è la speranzadi una gestione virtuosa; se le sanzioni o de-nunce non guardano in faccia nessuno ancheil privato si converte. Diversamente i cittadinisi organizzeranno per sollecitare la politica adassumere una maggiore responsabilità come èaccaduto recentemente con la petizione control'ampliamento della discarica che, in pochis-simo tempo, ha raccolto più di 700 firme.Questa maggiore responsabilità si chiede allanuova assessora regionale, se è una donna fortecome viene ritratta.

I

Interessiin discarica

A.G.

ei decenni futuri la sopravvivenzadell'umanità dipenderà dall'alfa-betizzazione ecologica - la nostra

capacità di capire i principi di base dell'ecologiae di vivere in accordo con essi”, così Fritjof Ca-pra e Pierluigi Luisi parlano nel loro Vita e Na-tura. Una visione sistemica [Aboca edizioni,2014]. Sulle tematiche ambientali non ci pos-siamo più nascondere: ognuno di noi, con lesue piccole azioni quotidiane, contribuisce,come una goccia del mare, a formare quel mo-dello di sviluppo che ormai è diventato inso-stenibile. Perciò non dobbiamo considerare condistacco i grandi appuntamenti mondiali dedi-cati all'ambiente, perché le decisioni che lì ven-gono prese ricadono sulla nostra vita quotidiana,anche se siamo la piccola Umbria, appunto,una goccia del mare. Nel 1997 veniva firmato a Kyoto il protocolloomonimo che avrebbe dovuto, nelle intenzioni,cambiare il mondo conducendolo sulla stradadella sostenibilità. Ma sono passati otto anniprima che entrasse in vigore, nel 2005, dopol'adesione della Russia. Non venne sottoscrittodagli Stati Uniti, responsabili del 36,2% delleemissioni inquinanti globali, né dall'Australia;fu il primo segnale di criticità che evidenziava,in particolare, la volontà dei repubblicani dellapresidenza Bush di non rinunciare al “benes-sere”. La ratifica dell'Australia arrivò solo nel2007. I lavori di preparazione del protocolloiniziarono molti anni prima, nel 1991, quandopresero avvio i negoziati per la convenzionequadro delle Nazioni Unite sui cambiamenticlimatici, poi adottata a New York il 9 maggio1992. Lo stesso anno in cui si tenne anche ilprimo Summit della Terra, a Rio de Janeiro,grazie al quale si portarono all'attenzione mon-diale le teorie ambientaliste di molti anni prima,rimaste ancora materia per esperti, secondo cuii cambiamenti climatici stavano passando dauna fase fisiologica ad una patologica a causadell'accelerazione impressa dall'attività antro-pica. Perciò il protocollo stabilì che i paesi sot-toscrittori dovessero ridurre del 5%, rispetto aidati di riferimento del 1990, le emissioni di sei

gas a effetto serra entro il 2012 e aiutare i paesimeno sviluppati a svilupparsi in modo sosteni-bile con l'obiettivo di contenere, entro i duegradi al massimo, l'aumento della temperaturamedia terrestre. Quel 5% di media significavaper l'Italia un 6,5% che può sembrare poco ma,trascorso il 2012, il nostro paese è risultato ina-dempiente, come spesso capita, avendo ridottole emissioni del 4,6% anziché del 6,5%. Questosecondo le misurazioni ufficiali dell'Ispra [Isti-tuto superiore protezione e la ricerca ambien-tale] validate dall'ente internazionale. Riman-gono, pertanto, ancora da chiarire le ragionidel dossier intitolato L'Italia ha centrato l'obiet-tivo del Protocollo di Kyoto redatto dalla “Fon-dazione per lo sviluppo sostenibile” di Edo Ron-chi che ha fornito il risultato opposto,introdotto così nel dossier dallo stesso Ronchi:“Con questo Dossier documentiamo che è statoraggiunto il target fissato per l’Italia dal Proto-collo di Kyoto, pari ad una riduzione delle emis-sioni di gas serra del 6,5%, come media del pe-riodo 2008-2012, rispetto a quelle del 1990.” Comunque, a prescindere dalle contraddizioniitaliane, gli altri paesi hanno preso sul serio l'al-larme sulla temperatura terrestre e dal 1995hanno cominciato ad incontrarsi ogni anno,sempre in città diverse, in un appuntamentochiamato Cop Unfccc [Conference of the par-ties to the United nations framework conven-tion on climate change]. Si è cominciato daBerlino con Cop1-1995 e poi ogni anno, perventi anni, si è celebrato questo incontro tracentinaia di delegati provenienti da tutti i paesi;certo, vista l'inconcludenza di molti appunta-menti conclusisi con un nulla di fatto, verrebbemalignamente da pensare che si sia trattato divisite di piacere a spese dei cittadini. Dopo Ber-lino le conferenze si sono tenute a Genova,Kyoto, Buenos Aires, Bonn, The Hague, Mar-rakesh, New Delhi, Milano, Buenos Aires,Montreal, Nairobi, Bali, Poznan, Copenhagen,Cancun, Durban, Doha, Varsavia, Lima. LaCop21-2015 si terrà a Parigi e vedremo se,come molti si attendono, i partecipanti riusci-ranno a condividere un documento che superi

il protocollo di Kyoto e stabilisca obiettivi piùambiziosi, superando gli esiti deludenti delleultime edizioni. Delusioni causate spesso - c'èbisogno di dirlo? - dai più grandi inquinatoriche non vogliono perdere la rendita di posi-zione, mentre i paesi emergenti la vorrebberoconquistare in tempi brevi. E la piccola Umbria, la cui economia pesa ap-pena per il 2% su quella nazionale, praticamentecome un margine d'errore ammissibile, comeha contributo allo sviluppo sostenibile? Avendofallito, senza eccezione, gli obiettivi del proto-collo di Kyoto si è però riscoperta terra agricolaed ha concentrato le sue pianificazioni energe-tiche sulle biomasse come fonte di energia rin-novabile [Fer]. Tra le possibili fonti questa è si-curamente la più controversa perché mantenereun impianto simile presuppone operazioni pocosostenibili come le colture dedicate, trattamentodei residui e altre criticità che risultano secon-darie per gli investitori, ma primarie per chi ri-siede nei pressi dell'impianto e per chi pensache il paesaggio sia un tratto distintivo dell'at-trattiva turistica. Inoltre, la strategia umbra si èmolto concentrata sulla parte finanziata dallostato, cioè la produzione da Fer. Ma è necessarioricordare che l'ultimo documento europeo ponetre obiettivi entro il 2020: meno 20% di emis-sioni di gas serra rispetto al 1990, più 20% dienergia da fonti rinnovabili, più 20% di effi-cienza energetica. Siccome non si prevede com-pensazione tra l'uno e l'altro tutti gli obiettivivanno perseguiti. La ragione principale per cuisiamo indietro nel primo e nel terzo è che nonc'è possibilità di business legata a finanziamentipubblici, quindi il privato non si muove; inoltrenon sono stati creati nemmeno strumenti legi-slativi intelligenti per incentivare anche questeattività. Allora, a che serve produrre tanta ener-gia da Fer se poi abbiamo un patrimonio edilizioprivato, tanto per fare un esempio, scadentesulle prestazioni energetiche? A Parigi si dovrà studiare un modo per incenti-vare la riduzione dei gas serra e l'efficienza ener-getica dell'esistente altrimenti questa Cop21varrà meno di una messa!

12s o c i e t àlug l io 2015

Sviluppo sostenibile

Energia sprecataAnna Rita Guarducci

N“

a nave è un notissimo ed antico simboloper indicare la collettività, la comunità,la res publica, coi cittadini come marinai

e il governante a fare da timoniere. E l’immaginedella pòlis come popolo imbarcato su un naviglio,bene o male condotto, sicuro nel porto o sbattutodalla tempesta, occupa una sfilza smisurata di ci-tazioni che vanno da Alceo a Fellini passando perOrazio, i Vangeli, Dante, Giorgio Gaber e MaoZedong. Invece l’idea che la pòlis sia non una navema una barca, una scialuppa per salvare le personein difficoltà, è molto più recente.Dopo l’ascesa di Hitler al potere affluirono inSvizzera prima dalla Germania, poi dall’Austria,poi dalla Francia una gran quantità di perseguitatidal nazismo, per ragioni politiche o razziali. L’ac-coglienza, via via più ridotta, venne totalmentesospesa dall’agosto del 1942, cioè proprio quandole notizie sui campi di sterminio erano ormai con-siderate credibili. Non che tutti gli Svizzeri con-dividessero questa politica della chiusura: peresempio l’organizzazione giovanile protestanteJunge Kirche, nell’assemblea generale di Zurigo,criticò esplicitamente la scelta governativa di sbar-rare le frontiere. A quei ragazzi sovversivi risposeil consigliere federale Eduard von Steiger, respon-sabile del Dipartimento giustizia e polizia: “Chideve comandare una scialuppa di salvataggio cheha capienza e risorse limitate, mentre migliaia divittime di un naufragio catastrofico gridano aiuto,deve sembrare duro non potendo accogliere tutti.E invece è semplicemente umano quando mettein guardia da false speranze e cerca almeno di sal-vare quelli che ha già accolto”. “Das Boot ist voll”,“la barca è piena”, si disse all’epoca. Il risultato fuche venne rispedito in bocca alla morte un numerodi ebrei difficile da precisare ma che alcuni valu-tano intorno ai venticinquemila. Eppure, quando finì la guerra, in Svizzera avevanotrovato accoglienza 115.000 persone, di cui quasimetà erano soldati respinti verso i confini elveticidalle truppe nemiche [nel 1945 vennero accoltipersino soldati della Wehrmacht in rotta!] piùcirca altre 120.000 rimaste solo per un breve pe-riodo e poi ripartite. La barca non era affattopiena. Qualche anno dopo un altro svizzero, Al-fred A. Häsler, intitolò Das Boot ist voll un’ampiae dettagliata ricostruzione dei fatti in cui l’atteg-giamento passivo tenuto da tanti suoi connazionalidi fronte alle scelte di von Steiger veniva messosotto accusa e considerato una forma di compli-cità: all’origine della quale non c’erano le limitaterisorse della barchetta, ma un miscuglio di anti-semitismo e di paura delle reazioni del vicino te-desco. Oggi le barche di disperati non sono piùuna figura retorica ma un dato di fatto, come nelcaso inverosimile ma purtroppo verissimo dei ro-hingya; il vecchio simbolo è semmai rimasto neidiscorsi degli eredi inconsapevoli di von Steiger,al governo o all’opposizione un po’ in tutto l’Oc-cidente [ogni nazione ha il suo], che di fronte azattere natanti scafi e carrette del mare che vannoa picco, per davvero e non per metafora, primasospirano e poi dicono che gli dispiace, ma nonpossono sovraccaricare la loro corazzata.

L

ParoleBarcaJacopo Manna

noto il carattere di svolta che la primaguerra mondiale rappresentò tanto ingenerale - il detonatore del secolo breve

- quanto nel caso italiano, dove fu il principalefattore di una "nazionalizzazione delle masse"ancora scarsa a cinquant'anni dall'unità. Il cen-tenario dell'entrata in guerra del nostro paese havisto innumerevoli iniziative, diversissime per ti-pologia e ancor più per qualità. Assieme ad atti-vità di grande spessore storico e didattico, si èspesso assistito ad una banalizzazione turisticadel conflitto o ad una rinnovata retorica celebra-tiva. Valido per tutto il paese, il discorso ha as-sunto particolare intensità laddove la guerra fucombattuta, ovvero in Trentino-Alto Adige, Ve-neto e Friuli Venezia Giulia: il Triveneto o, contermine recente e più neutro, Nordest. Qui piùche altrove, in molti casi, le celebrazioni hannorilanciato il "mito" della grande guerra, con lelitanie del sacrificio e dell'eroismo. Non sembristrano che ciò avvenga nella patria del leghismo:sotteso e intrecciato al patriottismo nazionale vene è anche uno locale [si veda la pubblicazionediffusa dalla Regione Veneto nelle scuole intito-lata "La guerra dei Veneti" o l'enfasi sugli Alpini],in qualche modo teso a rivendicare un "maggiorecontributo" dato al conflitto.Per questo ci pare importante segnalare le operedi Emilio Franzina, La storia [quasi vera] delmilite ignoto raccontata come un'autobiografia,[Donzelli, Roma 2014] e di Wu Ming 1, Cen-t'anni a Nordest. Viaggio tra i fantasmi della gueragranda [Rizzoli, Milano 2015]. Da un lato unostorico di lungo corso, dall'altro un membro delcollettivo di narratori che ha fondato la "Newitalian epic". In comune i due libri hanno la ca-pacità di coniugare un acuto spirito critico conuna spiccata capacità affabulatoria. Se ciò sembra ovvio per Wu Ming, che anchenei romanzi propriamente detti si basano su unminuzioso scavo documentario, meno scontataè la scelta di Franzina di affidarsi alla narrazioneautobiografica, riunendo in un solo personaggiodi fantasia molti tratti del vissuto delle masse disoldati che popolarono le trincee del '15-'18. Ilmilite ignoto - che sull'esempio francese e inglesefu "scelto" in Italia nel 1921 con una cerimoniadi grande impatto emotivo, attraversando il paeseda Aquileia a Roma, dove i suoi resti furono tu-mulati nell'altare della patria - viene identificatocon un milite ucciso da una granata alla vigiliadell'offensiva su Vittorio Veneto che segnò lafine del conflitto nel 1918. Dalla scheggia fataleprende il via un lungo flashback, in cui ilsoldato rivive tutta la sua esi-stenza: nato nel 1892in Brasile da ge-nitori ap-

pena emigrati dal Veneto, il protagonista, Cra-vinho [dal villaggio paulista in cui è nato], è unodi quelle migliaia di italiani d'oltroceano cheaderirono al richiamo bellico per motivi vari, trai quali non mancava un patriottismo popolareche affonda le sue radici nel risorgimento e chesi può ben annoverare tra le componenti dell'in-terventismo democratico. I primi dubbi si pre-sentano nella caserma di addestramento a Pia-cenza, dove buona parte della truppa ce l'ha amorte con chi ha voluto la guerra. L'assegnazioneal Genio zappatori fa sì che Cravinho sia impe-gnato su diversi settori del fronte: l'Isonzo a fine1915, gli altopiani di Asiago durante la Strafex-pedition della primavera 1916.Attraverso le sue osservazioni Franzina raccontai molti aspetti della vita di trincea e di retrovia,dallo spirito di corpo allo scambio di tradizioni,racconti e canti tra le diverse regioni di prove-nienza; dalla lancinante nostalgia per i cari lontanial dibattito sull'andamento e sul senso del con-flitto. Negli ultimi mesi di guerra Cravinho è aGiavera sul Montello, dove si innamora di Mar-tina, una giovane contadina adattatasi come tantecoetanee al mestiere di prostituta di guerra. E'con lei quando lo scambio di artiglieria, che pre-lude all'offensiva italiana, lo costringe a fuggiremezzo nudo, privo della piastrina di riconosci-mento: colpito alla schiena da una scheggia,muore tra il 23 e il 24 ottobre 1918: "All'im-provviso per me scese il buio, ma subito appressovenne una gran luce dove in un lampo rividitutta la vita che sin qui ho voluto da me raccon-tare. E più tardi mi ritrovai per sempre in questoposto fatto di niente col solo nome di Militeignoto". Franzina sciorina la consueta maestrianel maneggiare fonti copiose e diversificate, tracui spiccano le lettere dal fronte e le canzoni, esa trarne un compendio pressoché esaustivo dellaguerra vista dal punto di vista dei soldati che, aloro volta, assimilano, rielaborano, accettano erifiutano secondo varie modalità le direttive deicomandi militari e politici. Convince soprattuttola verosimiglianza con cui è colto il lato indivi-duale dell'esperienza di sconvolgente massifica-zione che fu la grande guerra: "Uno, nessuno eseicentomila" [il totale dei morti italiani nel con-flitto] è l'efficace titolo che Franzina ha dato allaconferenza-spettacolo da cui è nato questo libro,rappresentata con successo in varie parti d'Italia.La narrazione itinerante di Wu Ming 1 usala guerra come pretesto, car-tina di tor-

nasole per rivelare gli spaesamenti e le ossessioniidentitarie del Nordest di oggi. Si parte da alcunifenomeni eclatanti dell'attualità, come il refe-rendum per l'indipendenza veneta del 2014. Sitratta sostanzialmente di una truffa informatica;eppure da un lato la Regione guidata da Zaia havarato una legge per rendere possibile un veroreferendum indipendentista; dall'altro stampa etv russe hanno dato grande risalto alla consulta-zione, considerandola alla stregua di una realeconquista: la strana passione venetista per Putin[di cui si vociferano - sulla base del cognome,che in veneto suona come "bambino" - originivenete] è la riprova del fatto che il leader russostia assurgendo a patron di molti movimenti fa-scisteggianti sparsi per l'Europa. Nel caso speci-fico la passione per lo zar Vladimir convive conil rimpianto per l'impero asburgico, presuntoesempio di efficienza e di rispetto delle autono-mie. Quello dell'aquila bicipite è il primo fanta-sma che aleggia sul Nordest: l'impasto di nostal-gia-rifiuto-mitizzazione del passato caratterizzaanche il resto del Triveneto, divenuto italianoappunto con la prima guerra mondiale che pro-curò trasformazioni irreversibili e ferite profonde,facendone una contraddittoria "borderline". Chei vicoli oscuri dell'identitarismo localista muo-vano per molti aspetti dagli assetti emersi dallagrande guerra lo si vede bene dai casi di "Trentoe Trieste", gli obiettivi dichiarati dall'Italia nel1915. Già dal 1918, ben prima del fascismo, il territoriogiuliano subì un violento processo di italianizza-zione forzata; il ricorrente autonomismo localeha ben presto perso le tinte popolari e democra-tiche che pure ha avuto in certi momenti, perallinearsi secondo due "preferenze" nazionali:quella italiana e quella tedesca, che a seconda deimomenti assumono varie sfumature, ma restanoaccomunate dal germe dell'intolleranza verso glislavi e dalla nostalgia verso un "ordine" che die-tro alla vaga "nostalgia aburgica" nascondei demoni del fascismo e del nazismo.E' in parte anche il caso del Trentinoe dell'Alto Adige-Sudtirolo, anchese in quest'ultimo caso piùchiara è l'identificazione trafascismo e

italianizzazione forzata. Ne sono esempi eclatantiil gigantesco bassorilievo di Mussolini a cavallodi Bolzano, esposto nel 1957 e quello all'alpinocaduto in Etiopia, più volte oggetto di attentati.Questa persistenza di simboli del fascismo, checome è noto modellò a proprio uso e consumoma non inventò il "mito della grande guerra" nélo portò con sé nella tomba, consente all'autoredi risalire ad altri "fantasmi": ecco così la ragge-lante maestosità del sacrario di Redipuglia, conla retorica del comandante - il fascistissimo Ducad'Aosta - che "ha voluto essere sepolto con i suoisoldati", ovviamente non interpellati a riguardo;ecco, lì vicino, il paese di Ronchi, tuttora deno-minato "dei legionari" in onore all'impresa fiu-mana; ecco il tema spesso sottaciuto delle con-danne per indisciplina [percentualmente moltosuperiori agli altri eserciti in guerra] che arrivanofino alle famigerate decimazioni, in cui si mostrail sadismo "di classe" dei comandi militari italiani,a loro volta ben rappresentati dal generale LuigiCadorna. E d'altra parte a Vicenza continuanole manifestazioni contro la base americana, aRonchi è in atto da tempo una battaglia per so-stuire nel nome i partigiani ai legionari, mentrea Verona esiste un comitato per cambiare PiazzaleCadorna in "Piazza dei disertori della grandeguerra"; così Wu Ming può concludere su unanota di speranza: "In questa terra formicolantedi enunciati tossici, affabulazioni livide di tascorsagrandeur e caduta in disgrazia, vagheggiamentiautoritari su Kaiser e Zar, intruppamenti dietrocapi e capetti dal carsima a buon mercato, qual-cuno dice a chiare lettere che un generale non fuun grande, che nessuno gli deve obbedienza po-stuma, che disobbedire fu giusto allora e potrebbeessere giusto oggi e domani. Bentornati fantasmidella diserzione".

13c u l t u r alug l io 2015

È

Emilio Franzina e Wu Ming 1 sulla grande guerra

Spettri dalle trinceeRoberto Monicchia

'annunzio ai perugini risale a metàaprile. Lo propagano festanti giornalie notiziari: “Ci siamo. Il 2016 sarà

l'anno della sperimentazione della prima edi-zione della rievocazione storica de Il Grifo e ilLeone”. Vediamo di che si tratta. Nel 2011 una associa-zione cittadina, “Acropolis”, aveva presentato alComune la proposta di un Palio medievale, cheavrebbe avuto il suo cuore in una rievocazionein costume e il suo stomaco nelle taverne deirioni cittadini. Una mozione del Consiglio co-munale espresse apprezzamento per l'idea, mala giunta Boccali si guardò bene dal seguirne leindicazioni, che sembravano contrastare conl'immagine che s'era scelta nel concorso per laCapitale europea della cultura. La nuova giuntadi centrodestra guidata da Romizi ha cambiatoidea e l'assessore Teresa Severini ha sposato ilprogetto con un entusiasmo degno di migliorcausa, convinta che il “Palio” porterà turismo erafforzerà nei perugini coesione e voglia di par-tecipazione. E' verosimile che nel fare la suascelta, più che alla Quintana di Foligno o al Ca-lendimaggio di Assisi, feste medievali nate de-cenni or sono in una diversa temperiestorico-culturale, abbia guardato alla manifesta-zione delle “Gaite” di Bevagna, priva di tradi-zioni ma costruita non molti anni fa con unacerta attenzione alla qualità e con un successodi pubblico ampio e crescente.Dopo un paio di mesi, in una intervista al“Corriere dell'Umbria” del 30 giugno è propriolei, la vispa Teresa, a dar conto dello stato del-l'arte. Secondo l'intervistatrice, Sabelli Fioretti,l'assessore parla e polemizza impetuosamente,con la spada sguainata, neanche fosse una guer-riera. Il momento di cui si progetta la rievoca-zione è il 1416, l'anno della cosiddetta battagliadi Sant'Egidio in cui il capitano di venturaBraccio Fortebraccio da Montone sconfisse coni suoi mercenari quelli di Giovanni Malatesta.La cosa determinò il prevalere in città della fa-zione “braccesca”, antipapale, e la decisione di

assegnare a Braccio la signoria della città. La ri-correnza del sesto centenario sembra a Severinibeneaugurante. Le dà man forte sullo stessogiornale, il 19 luglio, lo scrittore Marco Rufini,il quale dice di non voler entrare nella “partefolk, sagrale”, utile però a valorizzare unagrande operazione celebrativa, realizzata conconvegni e mostre. Rufini vuole un museo perBraccio su cui si sarebbe scagliata una sorta didamnatio memoriae; dice che “è stato un genio,concreto e lungimirante, amato dal popolo”,che ha anticipato di quattrocento anni il 20 giu-gno, ricorda che diceva di essere “la spada diSan Francesco”. Rufini disegna un percorso checomporti il recupero di oggetti e documenti eabbia conclusione in un museo.La manifestazione non si svolgerà in luglio perevitare sovrapposizioni con Umbria Jazz, manella prima decade di giugno e si baserà su una“sana competizione” tra i cinque rioni di PortaEburnea, Porta San Pietro, Porta Sant’Angelo,Porta Santa Susanna e Porta Sole. Oltre a uncorteo in costume e a vari giochi si ripristine-ranno le “sassaiole” che Braccio indiceva tra igiovinotti per forgiarne lo spirito guerriero. E'il tema che ha fatto più discutere, non solo perle implicazioni ideologiche belliciste, ma ancheper i rischi che comporta: è vero che non sa-ranno sassi veri, ma gomitoli di stracci, ma si sache ad Ivrea, dove per Carnevale si scambianotiri di arance, il pronto soccorso dell'ospedaleper l'occasione lavora a pieno ritmo. La Severinidifende la sassaiola: “In moltissimi la vogliono,si tratta di vedere in che modo verrà riproposta.Era anche un allenamento alla guerra, alla so-pravvivenza”. Rufini dice che “in questo c'è unatradizione forte che va valutata per la sua va-lenza catartica”. Una critica non sguaiata, mapenetrante è venuta al “Palio” da Renzo Massa-relli, che nella sua rubrica sul “Corriere” ha ri-cordato che Perugia, pur orgogliosa della suastoria, guarda all'Europa e al mondo e che lemanifestazioni che ne caratterizzano il successoe l'attrattività [inclusa la discutibile Eurochoco-

lat] rifuggono dalla nostalgia e dal provinciali-smo. Ma l'assessore non sente ragioni: “La Rie-vocazione, intanto, porterà nuovi posti dilavoro, creerà movimento per ridare forza all’ar-tigianato perché sono previsti dei mercati incentro e nei rioni con prodotti di eccellenza sianell’oggettistica sia nell’agroalimentare. Coin-volgeremo anche le scuole, come l’Istituto Ipsiaper realizzare i costumi nei corsi di cucito. Que-sta non è nostalgia ma impresa”.La parola magica, “impresa”, è pronunciata edessa dovrebbe essere garanzia non solo di mo-dernità, ma addirittura di postmodernità. E tut-tavia nell'operazione ci sono, evidenti, un tagliosociale e un sostrato ideologico nettamente con-servatori. C'è - dichiarata dalla stessa Severini -l'idea di “ricucire”, cioè di riannettere, quelloche chiama “contado” al centro cittadino, e c'èl'idea di ridimensionare il 20 Giugno, caro aCapitini, a Binni, a Lello Rossi, celebrazionedella rivolta contro un potere ingiusto di un po-polo mal armato e senza guida. Si valorizza, alcontrario, un capo non privo di ingegno maspietato, un sanguinario uomo d'armi. Io sospetto che in tutto ciò ci sia lo zampino diAlessandro Campi, che dei destrorsi locali è ilfaro culturale. Fu lui che, a suo tempo, definì“eroi dell'italianità” i mercenari italiani seque-strati e poi barbaramente uccisi in Iraq [i con-tractors, non Enzo Baldoni] ed è stato lui, direcente, a organizzare nel nome di Machiavelliuna mostra sui capitani di ventura. Sarà con-tento che a simboleggiare la città sia Braccio enon più Capitini con la sua nonviolenza e conle sue marce della pace e sarà contento Colaja-covo che allargherà i cordoni della borsa dellaFondazione Crp. Suggerisco che, mentre cisono, intitolino l'aeroporto di Sant'Egidio [luo-go di una battaglia, che il Dizionario delle bat-taglie Rusconi, ahimè, trascura] a Braccio diMontone. E' vero che lo hanno già stato inte-stato a San Francesco, neanche molto tempo fa,ma il Poverello non dovrebbe dispiacersi, anchelui ha bisogno di una spada.

14c u l t u r alug l io 2015

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Chipsin UmbriaVisitelow costAlberto Barelli

ra una spesa pari a zero e la bella cifradi otto milioni e seicentomila euro c’èuna discreta differenza. La bella cifra è

quella che fu spesa a suo tempo dall’allora mini-stro del turismo Michela Brambilla per il rilanciodel sito www.italia.it, con risultati, sia detto perinciso, dei quali ancora ci sarebbe da ridere [o,meglio, da piangere]. Con zero costi è stata inveceoggi realizzata la piattaforma umbrialverde.it, chepotrebbe affermarsi come un efficace blog per lapromozione dell’intera regione. Le due storiesono ben diverse: lasciamo al suo oblio la prima,per raccontare, invece, la seconda che meritamaggior attenzione. Dal momento che l’iniziativariguarda la promozione del territorio [lo slogandi umbrialverde èVisitare l’Umbria ad ogni costo],l’augurio è che i risultati siano maggiori di quelliconseguiti dall’inutile sito del ministero ma, siachiaro, la scommessa è già vinta. È d’obbligo par-tire dai protagonisti. A dare la bella lezione sono,infatti, gli studenti del corso di formazione peresperti di promozione turistica attraverso le nuovetecnologie [tecnicamente si tratta della figura pro-fessionale dell’E-tourism marketing specialist],istituito dalla Regione attraverso il Fondo socialeeuropeo e conclusosi nelle scorse settimane. Lelezioni sono state messe a frutto così bene che ilprogetto, realizzato dai quindici studenti comeesercitazione, diventerà un vero e proprio blog: iragazzi sono ora decisi infatti a farlo vivere, comesi legge nel sito di Umbria digitale, costituendosicome associazione culturale. L’aspetto più inte-ressante è che la raccolta delle informazioni è statarealizzata elaborando quelle confluite nella piat-taforma dati.umbria.it, analizzate e riorganizzatenel blog in formato open data. Il lavoro ha datoi suoi frutti anche per il miglioramento dellostesso sito dati.umbria.it, permettendo la corre-zione di alcuni codici errati e l’integrazione di datimancanti. L’importanza di quest’ultimo risultatoè ben evidenziata nella presentazione dell’inizia-tiva: è la dimostrazione tangibile di quanto siautile per una piattaforma open data avere degliutenti che la utilizzino e soprattutto cittadini di-gitali consapevoli delle potenzialità dei dati aperti. Concludiamo sottolineando che il senso di Visi-tare l’Umbria ad ogni costo è offrire proposte turi-stiche per tutte le tasche ma, soprattutto, fornireitinerari a chi ha l’esigenza di assicurarsi soluzionicon costi, appunto, contenuti. C’è da dubitareche con gli otto milioni e passa spesi per l’altrabrutta iniziativa si sia riusciti a mettere in reteanche qualche pacchetto rispondente a tale esi-genza. Se fossero stati investiti in corsi di for-mazione, magari seguendo l’esempio umbro, irisultati forse sarebbero stati migliori.

T

Perugia città della guerra e del cucito

Il palio della vispa Teresae di Braccio Fortebraccio

Salvatore Lo Leggio

sempre sorprendente come il movi-mento apparentemente caotico - main realtà regolato da un ritmo preciso

- di tanti corpi/persone che s’incontrano, siscontrano, si lasciano o si prendono possa sug-gerire un senso che va al di là delle singole storieche ciascuna parte di quel movimento di per séracconterebbe. E’ un po’ come quando in unapoesia le parole si affollano, e cozzano e si ar-monizzano, e il loro dispiegarsi - anche qui, ap-parentemente casuale, ma sempre regolato daun metro - comunica un senso che trascende ilsignificato di ciascuna di esse. Anzi, più che unsenso una domanda di senso, come è più pro-babile nella poesia e nell’arte del nostro tempo,segnato dall’allegoria vuota [senza una chiaveinterpretativa certa] di Kafka. Così è in questo spettacolo teso e vivacissimoproposto dal Laboratorio teatrale HumanBeings, diretto da Danilo Cremonte con 38giovani interpreti provenienti da tutte le partidel mondo [Albania, Bangladesh, Cina, Coreadel Sud, Costa d’Avorio, Georgia, Germania,Iran, Italia, Mali, Pakistan, Perù, Romania, Se-negal, Stati Uniti, Sudan]. Il titolo di quest’ul-timo “gioco scenico di varia umanità” è Babel,Nel Caso Cosa Cade, dove si evidenzia che tratorre di Babele e casualità si gioca la confusionedelle lingue e dei destini: come se alla dissolu-zione dell’unità linguistica conseguisse la di-struzione di un’originaria omogeneità della con-dizione umana. Tutti parlano lingue scono-sciute, si rinfacciano filastrocche incomprensi-bili, litigano ognuno nella sua lingua [rendendocosì impossibile ogni ricomposizione], e la sal-vezza o la perdizione [più questa che l’altra] di-pendono da un colpo di fortuna, o di sfortuna,iniziale. E non puoi farci niente, definitiva è laconsiderazione di Enzensberger che è nel foglioche accompagna lo spettacolo: “non c’è bisognodi oroscopi; bastano delle nozioni elementaridi storia e geografia. Immaginate di essere la fi-glia di una sguattera nel 1610, oppure il figliodi un calzolaio ebreo trecento anni più tardi inGalizia, o per esempio un orfano in Somaliaqualche anno fa. Carte particolarmente brutte;prima o poi, infatti, con ogni probabilità mori-reste di fame o verreste uccisi. Una simile ri-flessione infligge all’idea di giustizia un colpoda cui si risolleva solo a fatica, ammesso che ciriesca”. Si potrebbe dire: il caso non cade a caso.Certo, nella gran confusione non mancano se-gnali decifrabili, come nella bella lunga sequenzainiziale: improvvisi colpi di cannone a ricordarciquello che succede appena fuori di qui, e la pre-senza grottesca di una statua della libertà cheripete - con un tono che suona beffardamenteironico nella sua solennità - le parole dell’acco-glienza e dell’opportunità [“Datemi i vostri stan-chi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolitedesiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabilidelle vostre coste affollate…”]. Così come suonatristemente ironico l’inno dell’Europa [“tuttigli uomini diventano fratelli…”], di questa Eu-ropa dei confini di Ventimiglia e di Calais e ditutto il resto, eseguito - peraltro splendidamente- da un duo di voce e violoncello: inno allagioia, che si spegne in una flebile e rassegnatalamentazione. E c’è la poesia bellissima di

Moira: “Per ogni barca che parte / ci deve essere/ un porto che aspetta…”. Ma Babele è ancheun arricchimento, un’espansione, un’apertura:ecco nuove possibilità, forse nuovi equilibri tracose e persone che pure conservano lo squilibriooriginario. Il senso che cerchiamo, allora, si di-svela proprio nel movimento vorticoso e fasci-noso, nella viva bellezza del movimento, nel-l’accumulo delle improvvisazioni teatrali, delleparole e dei corpi che si inseguono e si perdonoe si ritrovano, in sequenze spesso di irresistibilecomicità mescolata a una strana inquietudine:corpi e movenze sgangherati che a volte ci ri-cordano il grande Totò [solo che loro, questiragazzi stranieri, non possono conoscerlo: evi-dentemente sono forme archetipiche che ven-gono prima, che appartengono a un fondo co-mune di umanità che, questo sì, ci affratella. Equesta volta senza retorica]. E c’è un fantasticofinale visionario, luminoso e insieme sottilmenteangoscioso, che con la voce di Jim Morrison arievocare Apocalypse Now sembra voler rendereun omaggio al grande cinema e alla grande mu-sica ribelle degli anni ‘70, e insieme a una ge-nerazione ribelle che cade e si rialza e non sistanca mai: “Tant cadut, tant ialzat, non cisimm ancora stancat… ”.

l lavoro di Marco Balucani, Resistenza, ècontraddistinto da un'apparente sempli-cità compositiva. L'immagine è ben leggi-

bile; le dimensioni non sono minuscole maneanche monumentali; i materiali [resine acrili-che montate su poliestere] non sono ricercati ma“poveri”. Eppure ciò che quest'opera ci narra rag-giunge una profondità incredibile sul piano sim-bolico, connotandosi come un insieme di grandevalidità dal punto di vista artistico, umano, so-ciale.La proposta di Balucani si stratifica su tre livellidiversi. Un sottofondo di muro medioevale,sbrecciato, corroso, ora liso, ora annerito, è rico-perto da un vecchio intonaco che si sgretola finoa lasciare ampiamente scoperto il manufatto ori-ginario. La vetusta copertura si arrende al tempoe pare di vederla perdere pezzi in ogni istante.Ma sulla destra è ancora visibile un disegno, ben-ché in parte rovinato e ricoperto da dilavatureche hanno invaso tutta la parete. E' il viso di unpartigiano, a fissare l'ultimo di tre momenti sto-rici fra loro distanti ma ognuno dei quali ha con-tribuito a costruire l'identità di cento e centocittà grandi e piccole del nostro paese. Questoaccostamento di immagini diverse è reso alla per-fezione sotto il profilo tecnico. L'insieme tradiscela grande competenza dell'autore come sceno-grafo. Ma la cura dei dettagli, dalla resa dellenicchie che le stagioni hanno scavato sulle murafino ai graffi sulle antiche pietre, dall'annerirsiprogressivo degli interstizi e delle screpolaturefino alla maestria con cui nella parte destra sonoimpiegati colori ora sbiaditi ora tendenti a incu-pirsi con una sottile ma efficace vena evocativa,testimoniamo la mano sicura di un pittore digrande livello. E ciò che più commuove è il mes-saggio che il tutto ci trasmette. L'intonaco che sisbriciola pare riportare in primo piano un lontano

passato, affascinante quanto si vuole, ma in cui idiritti della persona e, soprattutto, del lavoratoresono ben misera cosa.E' così: in una fase di dissoluzione dei diritti, nelcontesto di quel ritorno indietro che UmbertoEco ha metaforicamente sintetizzato nel concettodel passo del gambero, il vero punto di riferi-mento, l'ultima linea di difesa è quel viso di par-tigiano, in parte ricoperto e cancellato ma cheriesce a trasmettere ancora coraggio, intelligenza,passione civile. Tornano in mente i versi di FrancoFortini sui muri di Milano all'indomani dell'in-surrezione dell'aprile 1945; e più ancora tornain mente quella canzone ispirata a un fatto realedella liberazione di Modena: “con in tasca unpezzo di pane/ a tracolla un vecchio moschetto/a liberarci sei venuto/ partigiano sconosciuto”. Insomma rimane quel baluardo, quel combat-tente della Brigata Garibaldi [come la definiva ilsuo inno “la più bella, la più forte, la più saldache ci sia”] che dagli echi lontani della storiacontinua ad affidarci un invito privo di retoricaa lottare perché non vengano spazzate vie le con-quiste ottenute col sangue di tanti piccoli grandiuomini.Perciò grazie Marco, che con la forza della tuaarte hai saputo ridestare un'emozione vera intempi sulla cui crescente aridità c'è ben poco dadiscutere.

L'opera è stata realizzata in occasione del 25aprile di quest'anno, 70° della Liberazione, ed èstata già esposta in maggio presso l'Antiquariumdi Corciano. Coerentemente allo spirito che loha animato nel comporla, l'autore ha manifestatol'intenzione di donarla. Sono in corso accordicon la Cgil per collocarla stabilmente nella salaPietro Conti della Camera del lavoro di Perugia[ndr].

15c u l t u r alug l io 2015

Babele,la confusionedelle linguee dei destini

L.C.

È

Resisteresenza retorica

Roberto Volpi

I

Lo spettacolo Babel, Nel Caso CosaCade è stato rappresentato nei giorni 3,4, 5 luglio nel Chiostro di Sant’Anna aPerugia con la partecipazione di un pub-blico numeroso e caloroso. Si replicanello stesso luogo a settembre.

Babel, Nel Caso Cosa Cade - gioco sce-nico di varia umanità del Laboratorioteatrale interculturale Human Beings di-retto da Danilo Cremonte; di e con:Nouh Ahmed, Kowser Alam, AdnanAsghar, Vincenzo Bonanata, AlessioBravi, Monica Costantini, Moira De Griso-gono, Mohamed Diabate, Perla Dieli,Moussa Doumbia, Henrry Figueroa,Marta Franceschini, Gao Huashao, ArianImani, Lee Jieun, Aidin Jodeiri, Giorgi Ko-chua, Merlinda Kurti, Axel Lepper, Chri-stine Lord, Waqas Ali Majeed, Moham-mad Ali Montaseri, Waqas Muhammad,Alexandra Niþoaia, Enio Pallaracci,Agnese Panicale, Ilaria Pigliautile, WalterPituello, Anna Poppiti, Zhou Qiaoqiao,Shadan Salami, Jhans Serna Rayme,Aliou Tall, Carlotta Träger, Giulia Venturi,Luca Viviani, Wang Yuan, Chen Yunan

Fabrizio Altieri, Luca Castrichini,Monica Castrichini, Omero Sabatini,Egildo Spada, L’eremo della Madonnadella Stella. I Restauri, Ediart editrice,Todi 2015.

Si tratta della documentazione un re-stauro: quello della Chiesa della Valledel Noce, prima eremo agostinianodi Santa Croce e poi della Madonnadella Stella. La chiesa è quello che ri-mane dell’antico complesso agosti-niano eretto nel primo trentennio delTrecento. Tutto ha origine il 24 marzodel 1308 quando a due religiosi ago-stiniani viene concessa l’autorizza-zione di condurre nella valle vita ere-mitica. Qui vengono realizzati uncomplesso di 20 celle scavate nellaroccia, un romitorio, altri edifici de-stinati alla vita monastica e religiosae la chiesa in muratura con affreschi

dedicati alla Madonna, il cui cultoera ampiamente diffuso in tutto ilterritorio dell’archidiocesi di Spoletoe segnatamente nelle comunità dellaValnerina. Il complesso fu progressi-vamente abbandonato alla fine del‘700, poi nel tempo il complesso e lachiesa andarono in rovina. La chiesasemidiruta era officiata solo in mag-gio. Del 1833 è la riscoperta dell’affrescodella Madonna ad opera di due pa-stori e il culto della Vergine ravvivòl’opera di ricostruzione e restauro findagli anni trenta del XIX secolo; re-stauri a cui seguirono nel corso delXX secolo ulteriori interventi finan-ziati dalla Regione e da altri enti pub-blici fino ad arrivare a quelli del 2013-2014, in cui fondamentale è stato il

contributo del Bacino imbriferomontano Nera e Velino di Cascia. Gliultimi in ordine di tempo, descrittinei loro dettagli nei saggi di FabrizioAltieri, di Luca e Monica Castrichinie di Omero Sabatini. Ricca e prege-vole la documentazione iconograficae fotografica.

“Subasio”, quadrimestrale di infor-mazioni culturali del territorio, Ac-cademia properziana del Subasio, As-sisi, a. XXIII, n.1, 1 giugno 2015

Le accademie sono una realtà cultu-rale cittadina presente in diversi centridell’Umbria, soprattutto in quelli chehanno una storia più solida, una vitaculturale più intensa. Datano alcunisecoli, sembrano spegnersi e poi in-

vece riprendono per iniziativa del no-tabilato culturale presente in cittàcontinuando a vivere nonostante laloro vetustà. L’Accademia proper-ziana del Subasio è una di queste. Ilsuo campo di attività si è andato pro-gressivamente ampliando oltre il suotradizionale bacino territoriale [Assisi,Bastia, Cannara e Bettona] a cui sisono aggiunte Spello, Gualdo Tadino,Nocera Umbra, Valfabbrica e Valto-pina. Accanto alle attività di ricerca,di iniziativa culturale [convegni, pre-sentazione di libri, ecc.], dal 1993l’Accademia pubblica il trimestrale,ora diventato quadrimestrale, “Suba-sio” che nell’ispirazione originaria do-veva “mettere a disposizione di tuttiuno strumento di dialogo culturalenel quale, con brevi articoli e inter-

venti, formulati in forma sintetica echiara, possa esserci uno scambio diutili informazioni su problemi di at-tualità, sui vari aspetti della vita cul-turale , nel senso più ampio possibile,e delle attività presenti nel nostroComprensorio”. Dopo molteplicicambi di linea editoriale, si è tornatia questa ispirazione. Il numero oltreun’ampia informazione sulla vitadell’Accademia, contiene un articolodi Diego Aristei sui mass media, unanota di Pier Maurizio Della Porta de-dicata ad una mostra di Maceo An-geli, un’intervista al presidente del-l’Ente Calendimaggio, un articolo diChiara Coletti e di Stefania Petrilloresponsabili di un progetto di ricercasu Luoghi, figure e itinerari della Re-staurazione in Umbria, un contributodi Luigino Ciotti per una bibliografiasu Rocca Sant’Angelo. Infine Fran-cesco Santucci pubblica una serie dilettere dai Lager contenute nell’Ar-chivio di mons. Giuseppe Placido Ni-colini, vescovo di Assisi dal 1928 al1973.

on è difficile individuare e riconoscere elementi razzisticinella campagna che Lega, CasaPound, Forza Italia e altristanno conducendo in questa caldissima estate contro

gli immigrati, facendo un fascio di questioni che sarebbe ragio-nevole esaminare ordinatamente, con tutte le distinzioni delcaso: nuovi sbarchi con i connessi problemi di accoglienza, campirom, immigrati irregolari che tolgono lavoro e regolari che tol-gono la casa, terrorismo islamico, rapine. Tutto fa brodo. Cascamirazzistici si avvertono peraltro anche dove non si connettono aduna organica impostazione ideologica: negli allarmi di certi sin-daci Pd come in certe sparate di Grillo [sul finire di giugno, perrivendicare elezioni immediate prospettava il rischio che Romafosse sommersa da "topi, spazzatura e clandestini"].La denuncia di codeste ambiguità, come della esplicita xenofobiadella destra, si fanno sempre più deboli; qualcosa è cambiato nelmodo di pensare del popolo minuto e contano sempre meno letradizioni in cui ci si riconosceva: l'ecumenismo caritatevole deicattolici o l'internazionalismo del movimento operaio socialco-munista. Probabilmente non esiste una grave "emergenza im-migrati" sul piano statistico: nonostante la crisi libica, il numerodegli arrivi pare non superi di molto quello degli anni passati;ma qualcosa si è rotto nella coscienza dei cittadini più deprivati,di quelli più bisognosi di lavoro e di reddito. Non è possibile,del resto, far crescere a dismisura e senza conseguenze una pre-senza di "irregolari" ricattabili nel mercato del lavoro, soprattuttoin un paese dove i controlli erano rari già prima e sono state resiquasi inutili da una legislazione sempre più permissiva a favoredei datori di lavoro. Ed è ridicolo pensare - come un tempo sidiceva - che gli immigrati irregolari facciano solo lavori che gliitaliani non vogliono più fare: dopo l'esplosione della crisi sitrovano italiani disposti a fare qualunque lavoro. Caso mai èvero che l'irregolare è talora disposto ad accettare condizioni di

sfruttamento inverosimili per garantirsi una sopravvivenza. In verità la contemporanea esistenza di un “esercito di riserva”di immigrati e di un doppio mercato del lavoro ha agevolato lasottrazione massiccia di redditi e di diritti, ha favorito una deva-stazione. E la rabbia per una concorrenza giudicata sleale, peruna specie di crumiraggio che, quando non toglie il lavoro, nepeggiora le condizioni, si trasforma, passo dopo passo, in xeno-fobia, bellicismo e razzismo. Nel marzo del 1870 Marx, in una Comunicazione confidenzialeal Consiglio generale della Prima internazionale, spiegava che“il comune operaio inglese odia quello irlandese in cui vede unconcorrente che comprime i salari e il livello di vita”. Qualchesettimana dopo, in una lettera a due attivisti dell'Internazionale,Vogt e Meyer, scendeva nei dettagli: “Ogni centro industriale ecommerciale in Inghilterra possiede ora una classe operaia divisain due campi ostili, i proletari inglesi e i proletari irlandesi.

L'operaio inglese medio odia l'operaio irlandese come un con-corrente che abbassa il suo livello di vita. Rispetto al lavoratoreirlandese egli si sente un membro della nazione dominante [...]Si nutre di pregiudizi religiosi, sociale e nazionali contro il lavo-ratore irlandese. La sua attitudine verso di lui è molto simile aquella dei poveri 'bianchi' verso i 'negri' degli antichi Stati schia-visti degli Stati Uniti d'America […] Questo antagonismo, arti-ficialmente mantenuto e intensificato dalla stampa, dagli oratori,dalle caricature, in breve da tutti i mezzi di cui dispongono leclassi dominanti, è il segreto dell'impotenza della classe operaiainglese [...]”.Qualche anno dopo, in occasione della guerra russo-turca, de-buttò nel movimento operaio inglese una corrente chiamata gin-goismo: chiedeva al governo inglese di dare addosso ai russi, maanche agli irlandesi, agli asiatici, con tutti i mezzi disponibili efu particolarmente attiva durante la guerra contro i boeri. Hob-son, lo studioso “fabiano” che studiò tra i primi l'imperialismolo definì “un cieco impulso di odio e di vendetta suscitato arti-ficialmente”. Il movimento operaio inglese, in ogni caso, ne uscìquasi distrutto. Pare che il nome venisse dall'espressione “by Jingo”, un intercalareche può rendersi “per Giove!” contenuta in una canzoncina dif-fusa in birrerie e music-hall in quel 1877, per rivendicare l'in-tervento inglese nella guerra in atto a fianco dell'Impero Otto-mano. Faceva così: “Noi non vogliamo combattere / ma se - byJingo! - dobbiamo farlo / abbiamo navi e abbiamo cannoni / ab-biamo denaro”. L'Italia d'oggi di denaro non ne ha molto, masotto traccia una grande guerra è già in atto nel mondo e dalleguerre i governanti italiani sono stati sempre attratti. La loro“tentazione muscolare” potrebbe sposarsi con la velleità “popo-lare” di ricacciare in Africa i barbari invasori. Ne nascerebberodisastri.

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la battaglia delle idee

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Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96

Direttore responsabile: Stefano De CenzoImpaginazione: Giuseppe Rossi

Redazione: Alfreda Billi, Franco Calistri,Alessandra Caraffa, Renato Covino, OsvaldoFressoia, Anna Rita Guarducci, Salvatore LoLeggio, Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini,Enrico Mantovani, Roberto Moniccchia, Saverio

Monno, Francesco Morrone, Rosario Russo, Enrico Sciamanna,Marco Venanzi.

Chiuso in redazione il 23 /07/2015

N

Le basi strutturali del razzismoS.L.L.

16c u l t u r alug l io 2015