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1 Linee guida per la caratterizzazione chemo-meccanica delle argille attive Rapporto Scientifico dell’Unità di Ricerca del Politecnico di Torino Mario Manassero, Guido Musso, Renato Maria Cosentini, Andrea Dominijanni PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE (D.M. 1152/ric del 27/12/2011) La mitigazione del rischio da frana mediante interventi sostenibili Coordinatore nazionale: Prof. Leonardo Cascini – Università di Salerno

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Linee guida per la caratterizzazione chemo-meccanica delle argille attive

Rapporto Scientifico dell’Unità di Ricerca del Politecnico di Torino

Mario Manassero, Guido Musso, Renato Maria Cosentini,

Andrea Dominijanni

PROGRAMMI DI RICERCA SCIENTIFICA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE

(D.M. 1152/ric del 27/12/2011)

La mitigazione del rischio da frana mediante interventi sostenibili

Coordinatore nazionale: Prof. Leonardo Cascini – Università di Salerno

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Sommario 3

1. Introduzione 4

2. Descrizione del comportamento delle argille attive: aspetti microscopici e

macroscopici

4

2.1 Richiami mineralogici ed aspetti microscopici 4

2.2 Aspetti macroscopici 6

3. Classificazione delle argille attive 8

3.1 Identificazione e classificazione delle argille attive 8

4. Caratterizzazione geotecnica delle argille attive 15

4.1 Aspetti chemo-idro-meccanici del comportamento delle argille attive 15

4.1.1 Influenza della composizione chimica della soluzione

interstiziale sulla comprimibilità

15

4.1.2 Variazioni di volume indotte da cambi chimici 17

4.1.3 Influenza della composizione chimica della soluzione

interstiziale sulla resistenza al taglio

20

4.1.4 Influenza della concentrazione chimica di soluzioni

elettrolitiche sulla permeabilità

21

4.1.5 Trasporto di massa nelle argille attive: flussi di soluto e di

solvente, gradienti idraulici e gradienti di concentrazione

22

4.2 Prove di laboratorio per lo studio del comportamento chemo-idro-

meccanico delle argille attive

25

4.2.1 Prove edometriche a concentrazione imposta e carico variabile

e prove edometriche a carico imposto e concentrazione variabile

25

4.2.2 Determinazione della pressione di rigonfiamento 26

4.2.3 Determinazione dell’influenza della concentrazione ionica sulla

resistenza a taglio residua mediante prove di taglio anulare

27

4.2.4 Prove per la determinazione del coefficiente di efficienza

osmotica

28

5. Prove eseguite nell'ambito del PRIN 30

6. Raccomandazioni sullo studio delle Argille Attive 43

6.1 Tipologie di interventi 43

7. Bibliografia 48

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Linee guida per la caratterizzazione chemo-meccanica delle argille attive

Unità di Ricerca del Politecnico di Torino

Mario Manassero, Guido Musso, Renato Maria Cosentini,

Andrea Dominijanni

Sommario

I pendii costituiti da terreni caratterizzati dalla presenza di una frazione elevata di minerali

argillosi cosiddetti “attivi”, richiedono studi appropriati in relazione alla peculiare caratteristica di

questi materiali di subire ampie variazioni di volume, struttura e di resistenza mobilitabile, a

seguito della variazione del contenuto d’acqua e della composizione chimica del fluido interstiziale.

In tali formazioni argillose è pertanto opportuno che la progettazione di interventi di mitigazione

del rischio da frana mediante interventi sostenibili siano basati su una caratterizzazione differente

da quella convenzionale.

Le attività dell'unità di ricerca del Politecnico di Torino sono state pertanto orientate

principalmente alla caratterizzazione del comportamento chemo-idro-meccanico di argille attive

mediante prove di laboratorio. La peculiarità di comportamento di questi materiali risiede nel forte

accoppiamento di fenomeni di diversa natura – chimica, idraulica e meccanica – che ne influenza

marcatamente la risposta a sollecitazioni ambientali.

Lo studio ha avuto quindi due obiettivi principali. Il primo obiettivo è stata la definizione di

protocolli di prova adeguati alla caratterizzazione mediante prove di laboratorio. Il secondo

obiettivo è stato lo studio del comportamento di due specifici materiali, un’argilla marnosa

proveniente dal sito di Monastero Bormida (AT), interessato da un fenomeno di scivolamento

planare nel 1994, ed un’argilla smectitica. Il loro comportamento è stato studiato in termini di

influenza della concentrazione salina sulla risposta meccanica (variazioni di volume e di resistenza)

ed influenza della composizione chimica dell’acqua interstiziale sul flusso osmotico e sulla

permeabilità idraulica.

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1. Introduzione

I pendii in materiali con una frazione elevata di minerali argillosi cosiddetti “attivi” richiedono

studi appropriati in relazione alla peculiare caratteristica di questi materiali di subire ampie

variazioni di volume, struttura e di resistenza mobilitabile, a seguito della variazione del contenuto

d’acqua e della composizione chimica del fluido interstiziale. Nella fase preliminare alla

progettazione di interventi di mitigazione del rischio, sostenibili, in questi terreni è necessario

indagare i fenomeni chimico-fisici che influenzano il comportamento accoppiato chimico-

idraulico-meccanico, eventualmente in condizioni di parziale saturazione, con particolare

riferimento agli effetti sulla resistenza al taglio.

Modalità di caratterizzazione specifiche devono quindi essere adottate anche nella fase di

caratterizzazione in laboratorio, così da evidenziare la potenziale dipendenza del comportamento

meccanico ed idraulico dalla composizione chimica dell’acqua interstiziale.

Come applicazione del metodo si riportano le analisi condotte nell’ambito del progetto PRIN 2010

– 2011 “La mitigazione del rischio da frana mediante interventi sostenibili”, su argille marnose

provenienti dal sito di Monastero Bormida (AT), interessato nel 1994 da un fenomeno di

scivolamento planare, e su una argilla smectitica.

2. Descrizione del comportamento delle argille attive: aspetti microscopici

e macroscopici

2.1 Richiami mineralogici ed aspetti microscopici

Secondo una definizione basata sulla granulometria, le argille sono terreni caratterizzati da

particelle la cui dimensione è inferiore a 2 m. Data la dimensione così piccola, le particelle di

argilla presentano un elevato rapporto tra superficie e massa (superficie specifica, Sa, fino a 800

m2/g). Poiché l’interazione fisico-chimica tra le particelle e tra le particelle ed il fluido che le bagna

è governata da forze di superficie, la cui rilevanza rispetto alle forze di volume è trascurabile in

terreni a grana più grossa, il comportamento delle argille dipende in maniera significativa dalla

loro mineralogia.

Dal punto di vista mineralogico, le argille sono “fillosilicati” (silicati idrati di alluminio), di forma

lamellare, la cui struttura è costituita da reticoli bidimensionali, sovrapposti uno sull’altro,

ciascuno formato da una delle unità fondamentali: tetraedrica, in cui il silicio si trova collocato al

centro e collegato a quattro ioni ossigeno posti ai vertici (Fig. 1.a), oppure ottaedrica, costituita da

uno ione alluminio, o magnesio, e da sei ossidrili (Fig. 1.b). Ciascuno di questi elementi formano

rispettivamente fogli di silice, gibbsite oppure brucite. Il collegamento delle unità fondamentali,

tramite legami forti di tipo ionico, dà origine a pacchetti elementari, la cui aggregazione, mediante

legami ionici più deboli e legami ad idrogeno, dà a sua volta origine alle particelle argillose.

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Figura 1: Unità tetraedrica (sinistra); unità ottaedrica (destra) (da Lancellotta, 2012)

I collegamenti tra i diversi pacchetti possono essere forti, in tal caso la geometria dei minerali

argillosi è permanente (argille a bassa superficie specifica), oppure deboli, consentendo così

interazioni con il mezzo tali per cui il volume dei minerali argillosi varia di conseguenza (argille

rigonfianti, con elevata superficie specifica). È possibile in generale individuare ai fini pratici tre

importanti gruppi strutturali dei minerali argillosi:

- gruppo delle “caoliniti”, composte da strati tetraedrici alternati a strati ottaedrici

saldamente tenuti assieme attraverso il collegamento tra l’idrogeno degli ossidrili e gli ioni

ossigeno; sono caratterizzati da un comportamento in generale non rigonfiante al contatto

con l’acqua;

- gruppo delle “miche” (e.g. l’illite e la vermiculite), composte da uno strato ottaedrico tra due

tetraedri, in cui vi è una parziale sostituzione del silicio con alluminio; tali strati sono

collegati tra loro da atomi di potassio che si dispongono al centro delle maglie esagonali dei

tetraedri. Tali minerali sono caratterizzati da una limitata propensione al rigonfiamento;

- gruppo delle “smectiti”, a cui appartiene la montmorillonite, composte da strati analoghi a

quelli del gruppo precedente, con la differenza che, mancando il potassio nel reticolo

cristallino, il legame tra strati contigui è molto più debole ed è costituito da cationi più

facilmente scambiabili (normalmente, sodio e/o calcio). Nello strato ottaedrico avviene la

parziale sostituzione di alluminio con magnesio, con conseguente sbilanciamento

elettrostatico, compensato da cationi disposti all’interno di maglie esagonali. L’acqua

dell’interstrato può variare in quantità dando luogo a fenomeni di rigonfiamento anche

rilevanti.

A causa della disposizione geometrica degli ioni e della sostituzione isomorfa che caratterizza i

minerali argillosi, tipica in particolare degli ultimi due gruppi definiti, la superficie delle particelle

presenta una carica negativa, che ne condiziona l’interazione con le altre particelle, con l’acqua e

con gli ioni in essa disciolti. È pertanto importante considerare la composizione chimica dell’acqua

soprattutto in relazione allo studio del potenziale di rigonfiamento delle argille.

Cationi salini, quali calcio (Ca++), magnesio (Mg++), sodio (Na+) o potassio (K+), sono disciolti in

acqua e sono attratti dalla superficie della particella argillosa come cationi scambiabili per

bilanciarne la carica elettrica negativa. L’idratazione dei cationi e le forze esercitate dai minerali

argillosi possono causare un accumulo di acqua tra le particelle di argilla. Nei terreni secchi, i

cationi sono molto vicini alla superficie dell’argilla e legati a loro saldamente mediante forze

elettrostatiche. In presenza d’acqua, le energie di idratazione dei cationi sono sufficientemente

elevate da vincere le forze di attrazione tra le particelle. Pertanto, le particelle di argilla, che nella

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condizione secca sono fortemente addensate, sono forzate ad allontanarsi dai cationi idrati

adsorbiti. Quando l’acqua presente è sufficiente, i cationi adsorbiti non sono a lungo trattenuti

saldamente dalla superficie delle particelle argillose. Le forze di attrazione elettrostatiche sono

controbilanciate dalla tendenza degli ioni a diffondersi attraverso una soluzione più diluita lontana

dalla superficie delle particelle. Le forze di attrazione elettrostatiche contrastano in una certa

misura gli effetti di diffusione con una conseguente maggiore concentrazione di cationi vicino la

superficie delle particelle. La superficie delle particelle argillose cariche negativamente e la

concentrazione degli ioni positivi in soluzione adiacenti alle particelle, formano quello che è noto

come “Doppio strato diffuso”. Nel “Doppio strato diffuso” la concentrazione dei cationi è maggiore

sulla superficie delle particelle di argilla e diminuisce gradualmente con la distanza da tale

superficie (Fig. 2).

Figura 2: Rappresentazione schematica della superficie di una particella argillosa con lo strato di acqua adsorbita e gli ioni diffusi (da Lancellotta, 2012)

La sovrapposizione dei “doppi strati diffusi” genera forze di repulsione tra le particelle argillose, o

quello che si può considerare una pressione di rigonfiamento a livello di micro-scala (Nelson and

Miller, 1992). Lo spessore del “doppio strato diffuso” influisce sull’interazione tra le particelle,

quindi anche sul potenziale di rigonfiamento dell’argilla. Lo spessore del “doppio strato diffuso” è

controllato da diversi fattori tra cui il tipo di minerale argilloso, nonché la concentrazione e la

valenza dei cationi dell’acqua di saturazione.

2.2 Aspetti macroscopici

I fenomeni che definiscono il comportamento delle argille attive, fino ad ora descritto in termini di

interazione a livello microscopico, si riflettono inevitabilmente sulle proprietà macroscopiche – di

interesse ingegneristico - del terreno. La precisa definizione della composizione mineralogica e

dell’interazione solido fluido a scala microscopica va spesso al di là dei comuni obiettivi di pratica

ingegneristica, ed un inquadramento preliminare delle principali caratteristiche meccaniche attese

può essere fatto a partire da proprietà indice, quali gli indici di Atterberg. Questi riflettono a livello

di macro-scala la superficie specifica delle particelle argillose e la loro interazione con il fluido.

Diversi sono stati i tentativi di mettere in relazione la superficie specifica e le proprietà indice delle

argille (Tabella 1). Queste relazioni e le esperienze complementari mostrano che all’incrementare

della superficie specifica del terreno, corrisponde un incremento proporzionale del limite liquido

(wL), del limite plastico (wP), dell’indice di plasticità (IP) e dell’indice di attività (A) del terreno.

Inoltre si osserva un decremento della conducibilità idraulica (kh) e del coefficiente di

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consolidazione (cv), ed un incremento dell’indice di compressione (Cc). Infine gli angoli di

resistenza a taglio a volume costante e residuo presentano un decremento. Questi aspetti saranno

meglio descritti successivamente.

Tabella 1: Correlazione tra proprietà indici e meccaniche dell’argilla con la superficie specifica (da Santamarina et al, 2001 – modificata)

Proprietà Espressione originaria Espressione in termini di Sa

a56019 SwL .

Limiti di Atterberg e Indice di Attività

Generale: bwaIP L Generale: aSIP

Per valori di Sa elevati: 2590 LwIP . 850 a SIP .

Limite inferiore: 20730 LwIP . 730410 a .. SIP

Limite superiore: 8900 LwIP . 9950 a .. SIP

Attività: m

IPA

2%

m

SA

2

a

%

Conducibilità idraulica, kh e

eg

Sk

g

wh

1

1 3

2

2

2a

- invariato -

Indice di compressibilità, Cc

100090 Lc wC . 95600090 a SCc ..

200

GsIPCc

7474

a SIP

Cc

Coefficiente di consolidazione, cv

c

h

w

vv

C

kec

132.

3

3

2a

2

2a 1

8680

n

n

S

g

Sc

g

vv

.

Resistenza al taglio

10010350

IPln..sin

10010350 a

S

ln..sin

IPS vu 00370110 .. a00370110 SS vu ..

Notazione: è il fattore di forma e tortuosità; w è il peso per unità di volume dell’acqua; g è il peso per unità di volume

del solido; è la viscosità del fluido, n è la porosità, e è l’indice dei vuoti; g è l’accelerazione di gravità; e sono costanti

di proporzionalità, Gs è il peso specifico dei grani, ’v è la tensione efficace verticale, ’ è l’angolo di resistenza al taglio di

picco, Su è la resistenza al taglio non drenata e è il fattore di forma e tortuosità

Riferimenti: Skempton (1957); Farrar and Coleman (1967); Terzaghi and Peck (1967); Perloff and Baron (1976); Wood

(1990); Mitchell (1993); Santamarina et al. (2001).

Anche la densità secca e la struttura del terreno (disposizione delle particelle di argilla) riflettono

entrambe alla macro-scala lo stato delle particelle, e risultano indicatori del potenziale di

rigonfiamento delle argille. Infatti, un aumento della densità dovuto alla compattazione o alla sola

storia tensionale di deposizione del terreno comporta incrementi di rigonfiamento e della pressione

di rigonfiamento. Alla luce di quanto evidenziato, è evidente che il contenuto d’acqua naturale delle

argille, e soprattutto la sua variazione, influisce fortemente sul loro comportamento.

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3. Classificazione delle argille attive

Risulta pertanto essenziale individuare le prove da eseguire per classificare e opportunamente

caratterizzare le argille attive da un punto di vista sia fisico che idro-meccanico. Nel seguito si

discutono brevemente le prove di identificazione e classificazione, e quelle che mirano alla

valutazione del comportamento idro-meccanico.

3.1 Identificazione e classificazione delle argille attive

Le prove di laboratorio per l’identificazione e la classificazione sono principalmente le analisi

granulometriche per sedimentazione (ASTM, D422-63) e la determinazione dei limiti di Atterberg

(ASTM D4318-95 e D427 oppure D4943), che consentono una prima classificazione dei terreni

argillosi in relazione alla loro granulometria e della variazione dello stato di consistenza in

relazione al contenuto d’acqua. È quindi possibile definire un indice detto di “Attività” come il

rapporto tra l’Indice di Plasticità e la percentuale di frazione argillosa. Tale indice consente di

classificare le argille in: inattive, se il valore dell’Indice di Attività è inferiore a 0.75 (A < 0.75);

normalmente attive, se 0.75 < A < 1.25; e attive, se A > 1.25. I valori medi dell’Indice di Attività per

i principali minerali argillosi, assieme ai valori medi degli altri indici, sono riportati in Tabella 2

(Nelson e Miller, 1992). La caolinite presenta attività molto bassa, caratterizzata da un valore

dell’indice compreso tra 0.33 e 0.46. La montmorillonite presenta valori dell’Indice di Attività che

possono risultare dell’ordine di 7, se i cationi dell’interstrato sono costituiti da sodio, mentre lo

stesso indice può risultare dell’ordine di 1.5 se i cationi sono costituiti da calcio. Per quanto

riguarda l’illite, i valori dell’indice sono prossimi all’unità, anche se in generale tale minerale, pur

essendo assai diffuso, solitamente si trova in presenza di altri minerali, per cui è difficile dare

precise indicazioni in merito.

Tabella 2: Caratteristiche di alcuni minerali argillosi (da Nelson e Miller, 1992 – modificata)

Gruppo

Spaziatura

fondamentale

(Å)

Caratteristiche delle particelle

Legami tra gli strati

Superficie

specifica (m2/g)

Limiti di Atterberg Indice

di Attività

(*) wL (%) wP (%) wS (%)

Caoliniti 14.4

Lamine spesse e rigide a 6 lati

0.1÷4×0.05÷2

m

Idrogeno, forti

10-20 30-100 25-40 25-29 0.38

Illiti 10

Piatti sottili accatastati

0.00÷0.1×1÷10

m

Potassio, forti

65-100 60-120 35-60 15-17 0.9

Montmoril- loniti

9.6 Lamini sottili e

delicate

> 10 Å×1÷10 m

van der Waals, molto deboli

700-840 100-900 50-100 8.5-15 7.2

Notazione: wL, wP, wS: indice liquido, indice plastico e indice di ritiro

Riferimenti: (*) da Skempton (1953)

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È altresì importante sottolineare che la storia geologica del deposito incide sull’attività delle argille.

Gli studi effettuati da Skempton (1953) evidenziano difatti l’esistenza di una correlazione tra

attività, minerali argillosi e storia geologica. In base a tali studi, risulta che le argille inattive sono

composte essenzialmente da caolinite e si sono depositate in acqua dolce. Sono mediamente attive

le argille marine e di ambiente deltizio, contenenti illite come minerale principale. L’Indice di

Attività aumenta raggiungendo valori compresi tra 1.25 e 2 in presenza di colloidi organici e risulta

infine superiore a 2 in presenza di sodio-montmorillonite.

Ulteriori prove, che richiedono procedure e strumenti in alcuni casi più complessi, ma che

forniscono parametri utili ad un caratterizzazione più approfondita delle argille, sono:

- le analisi mineralogiche: consentono di determinare i minerali che costituiscono le argille.

Le tecniche maggiormente utilizzate sono: la diffrazione dei raggi X, le analisi differenziali

termiche, le analisi chimiche e la scansione con microscopi elettronici. Consentono di

valutare tra l’altro direttamente la composizione delle argille e valutarne la struttura;

- la valutazione della capacità di scambio cationico: consente di identificare la quantità di

cationi scambiabili richiesti per bilanciare la carica negativa sulla superficie delle particelle

di argilla. La capacità di scambio cationico è strettamente connessa al contenuto

mineralogico dell’argilla, ed è espressa in milliequivalenti per 100 grammi di argilla secca.

La procedura di prova prevede che i sali in eccesso nel terreno siano rimossi e i cationi

adsorbiti siano sostituiti saturando i siti di scambio sulla superficie delle particelle solide

con specie cationiche note. La quantità di cationi necessaria per saturare il sito di scambio è

misurata analiticamente e la composizione originaria del complesso cationico può essere

determinata con un’analisi chimica. Valori tipici della capacità di scambio cationico di

alcune argille sono riportate in Tabella 4;

Tabella 3: Valori della capacità di scambio cationico per alcuni minerali argillosi (da Chen, 1988 – modificata)

Caolinite Illite Montmorillonite

Spessore particelle 0.5 – 2 micron

0.003 – 0.1 micron

< 9.5 Å

Diametro particelle (micron)

0.5 – 4 0.5 – 10 0.05 – 10

Superficie specifica (m2/g)

10 – 20 65 – 180 50 – 840

Capacità di scambio cationico (milliequivalenti/100 g)

3 – 15 10 – 40 70 – 80

- la prova di rigonfiamento libero: consente di individuare le argille rigonfianti. La prova di

rigonfiamento libero consiste nel prelevare un volume noto di terreno secco, passante al

setaccio No. 40, porlo all’interno di un cilindro graduato, idratarlo con acqua e misurarne il

volume di rigonfiamento allo stato stazionario. Il rigonfiamento libero è determinato come

il rapporto tra il volume finale e il volume iniziale ed è espresso in percentuale;

- la prova al blu di metilene (Afnor Norme Francaise, 1998): consente di quantificare in modo

semi-quantitativo l’attività dell’argilla, riflettendo la quantità e la tipologia dei minerali

argillosi. Il principio base consiste nel quantificare la capacità di adsorbimento ionico dei

terreni misurando la quantità di blu di metilene (un elettrolita cationico organico colorante)

necessaria a ricoprire la superficie totale delle particelle costituenti il terreno;

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- la valutazione dell’indice di rigonfiamento, definito come il rapporto tra il contenuto

d’acqua naturale (wn) e il limite liquido (wL);

- la valutazione della variazione potenziale di volume;

- la valutazione dell’indice di espansione;

- la determinazione del coefficiente di estensibilità lineare;

- la stima del contenuto colloidale.

I suddetti parametri sono stati utilizzati in combinazioni differenti per classificare le argille in base

alla loro attività o grado di espansione . Diversi sono i sistemi di classificazione, ed ognuno utilizza

solo alcuni dei parametri suddetti. I maggiori sistemi di classificazione utilizzati sono:

- la classificazione USC e AASHTO: Unified Soil Classification System (o USCS) e l’American

Association of the State Highway and Transportation Officials Method (o AASHTO) sono i due

sistemi di classificazione maggiormente impiegati nell’ingegneria civile e si basano sulle

proprietà indice dei terreni. La classificazione USC fa riferimento alla cosiddetta carta di

plasticità di Casagrande (Fig. 3). I terreni sono suddivisi (Fig. 4) in cinque gruppi principali:

due a grana grossa, (ghiaie, G, e sabbie, S), e tre a grana fine, (limi inorganici, M, argille

inorganiche, C, e terre inorganiche, O). I materiali a grana fine sono suddivisi ulteriormente in

base al limite liquido: se wL > 50 %, la classificazione introduce la lettera H (i.e. CH, MH, OH),

mentre se wL < 50 %, introduce la lettera L (i.e. CL, ML, OL). I dettagli della classificazione

sono visibili nella Figura 4. Il sistema di classificazione AASHTO (Fig. 5) invece, ripreso in

Italia dalla norma CNR UNI 10006, è quello comunemente impiegato nel settore delle

costruzioni stradali. Esso suddivide le terre inorganiche in 7 gruppi principali, da A1 ad A7, che

a loro volta comprendono complessivamente 12 sottogruppi. La classificazione AASHTO, sulla

base di analisi granulometriche, valori di limite liquido e indice plastico, definisce rigonfianti i

campioni di terreno appartenenti ai gruppi A6 e A7.

Figura 3: Carta di plasticità di Casagrande (da Lancellotta, 2012)

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Figura 4: Sistema di classificazione USCS (da Lancellotta, 2012)

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Figura 5: Sistema di classificazione AASHTO (da Lancellotta, 2012)

- la classificazione USBR: sviluppata da Holtz e Gibbs (1956), si basa sulla simultanea

considerazione di alcune proprietà del terreno. In particolare, gli autori correlano la variazione

potenziale di volume con: il contenuto colloidale, l’indice di plasticità e il limite di ritiro (Fig. 6

e Tab. 4);

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Figura 6: Variazione di volume in funzione del contenuto di colloidi, l’indice di plasticità e il limite di

ritiro (da Chen, 1988)

Tabella 4: Criterio di classificazione di Holtz e Gibbs (da Chen, 1988 - modificata)

Dati derivati dalle prove Espansione probabile

(% variazione di volume)

Grado di espansione

Contenuto di colloidi

(% inferiori a 0,0001 mm)

Indice di plasticità

(%)

Limite di ritiro

(%)

>28

20 – 31

13 – 23

<15

>35

25 – 41

15 – 28

<18

<11

7 – 40

10 – 40

>15

>30

20 – 30

10 – 20

<10

Molto alto

Alto

Medio

Basso

- la classificazione di Altmeyer (1955): si basa sull’utilizzo del limite di ritiro e del ritiro lineare

(Tab. 5)

Tabella 5: Criterio di classificazione di Altmeyer (1955) (da Chen, 1988 – modificata)

Ritiro lineare (%) wS (%) Grado di espansione

<5

5 – 8

>8

>12

10 – 12

<10

Non critico

Marginale

Critico

- la classificazione COLE: definita da McKeen e Hamberg (1981), combina gli indici di tipo

ingegneristico con la capacità di scambio cationico (CEC). Questa classificazione estende i

concetti di Pearring (1963) e Holt (1969), che realizzarono una classificazione mineralogica

basata sulla correlazione tra mineralogia, Indice di Attività e un nuovo parametro noto come

l’attività di scambio cationico (CEAc = CEC/contenuto di argilla). McKeen e Hamberg (1981) e

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14

Hamberg (1985) estesero il precedente schema mineralogico attraverso l’assegnazione del

fattore COLE a diverse regioni Americane (Fig. 7.a e Tab. 6).

(a) (b) Figura 7: (a) Classificazione di Hamberg (1985); (b) Coefficiente COLE determinate in funzione della

percentuale di argilla per diverse regioni (Hamberg, 1985)

Tabella 6: Composizione delle regioni mineralogiche presenti in Figura 7.a (Hamberg, 1985).

Regione Percentuale di frazione argillosa [%]

Smectite Illite Caolinite Vermiculite

1

2

3

4

5

>50

>50

5-50

tracce-25

trace

0

tracce–25

5-25

0

tracce-25

0

tracce-25

0

10-50

10-50

0

0

0

25-50

tracce

tracce = < 5%

Il fattore COLE può essere diagrammato in funzione della percentuale di argilla con riferimento

alle cinque regioni (Fig. 7.b). Il COLE può essere misurato in laboratorio o stimato dal grafico di

Figura 7.a e poi collegato alla regione appropriata nel grafico di Figura 7.b.

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15

4. Caratterizzazione geotecnica delle argille attive

4.1 Aspetti chemo-idro-meccanici del comportamento delle argille attive

Il comportamento idro-meccanico delle argille attive riflette evidentemente le modalità di

interazione tra le particelle e tra le particelle e i fluidi interstiziali che, come precedentemente

descritto, caratterizzano questi tipi di argille. È pertanto necessario considerare opportunamente le

concentrazioni ioniche dei fluidi di porosità in quanto ciò altera, al livello di micro-scala, le forze di

repulsione tra le particelle e quindi il comportamento idro-meccanico delle argille.

A livello del comportamento alla macro-scala, i fluidi interstiziali assieme alla loro composizione

chimica influiscono sulla compressibilità/rigonfiabilità delle argille, sulla pressione di

rigonfiamento, permeabilità e sulla resistenza al taglio, come testimoniato da diversi studi (Bolt,

1956; Kenney, 1967; Mesri & Olsen, 1970 e 1971a; Mitchell et al., 1973; Di Maio, 1996a, 1996b;

Maggiò et al., 2002; Musso et al., 2008, Musso et al., 2013, solo per citarne alcuni).

4.1.1. Influenza della composizione chimica della soluzione interstiziale sulla

comprimibilità

La composizione chimica della soluzione interstiziale influisce significativamente sulla

comprimibilità in condizioni edometriche. Secondo la teoria di Gouy-Chapman lo spessore del

doppio strato diminuisce sia per valori della concentrazione ionica crescenti che per valori della

costante dielettrica decrescenti. Alla riduzione dello spessore del doppio strato segue la riduzione

della forza repulsiva tra particelle, e pertanto, in corrispondenza di una combinazione fissata di

sforzo totale e pressione dei pori corrisponde un indice dei vuoti inferiore. In letteratura sono stati

proposti alcuni approcci che, nel caso di materiali mineralogicamente omogenei e nell’ipotesi di

particelle isorientate, trascurando gli effetti che si generano agli estremi delle particelle,

consentono di prevedere la variazione della comprimibilità del materiale al variare della forza

ionica della soluzione saturante (Bolt, 1956). In virtù di queste assunzioni, altamente idealizzanti,

questi approcci sono di difficile applicazione per materiali naturali. Tuttavia è esperienza comune

che, anche per materiali attivi naturali, la comprimibilità decresca con la forza ionica: si riportano a

titolo di esempio i risultati ottenuti da Mesri & Olson (1971a) e da Di Maio et al. (2004), per due

argille attive aventi differente composizione mineralogica (Figura 8a,b). Entrambe le figure si

riferiscono a prove condotte con soluzioni di NaCl a crescente concentrazione.

La figura di sinistra, da Mesri & Olson (1971a) è relativa ad una Montmorillonite sodica avente

limite liquido misurato in acqua distillata wL= 1160 e superficie specifica Sa 500 m2/g. Si tratta di

un materiale ‘limite’ per via dell’elevata purezza ed elevatissima attività, che lo rendono

estremamente sensibile all’interazione chemo-meccanica.

La figura di destra si riferisce invece a prove effettuate sull’argilla di Bisaccia, la cui composizione

mineralogica è più variegata (Ca-smectite 30%, Illite 20%, Caolinite 10%, Clorite 10%, Quarzo

15%, Calcite 10% e Feldspati 5%) ed avente superficie specifica Sa =190 m2/g.

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16

(a) (b) Figura 8: esempi di influenza della composizione della soluzione interstiziale sulla comprimibilità

edometrica: (a) Montmorillonite sodica (Mesri & Olson, 1971a), (b) argilla di Bisaccia (Di Maio et al., 2004)

In entrambi i casi si osserva una marcata riduzione della comprimibilità al crescere della salinità,

effetto più marcato nel caso della Bentonite sodica, in corrispondenza della più elevata frazione

smectitica e superficie specifica.

I risultati che seguono, tratti da Calvello et al. (2005), riportano il rapporto tra l’indice di

compressione, Cc misurato utilizzando diverse soluzioni interstiziali e quello misurato in acqua

distillata. La dipendenza è espressa in funzione della costante dielettrica delle diverse soluzioni

utilizzate (quella dell’acqua distillata essendo pari ad 80).

(a) (b) Figura 9: Normalizzazione dell’indice di Cc rispetto al valore relativo a saturazione con acqua distillata:

(a) argille smectitiche, (b) caolino. Tratto da Calvello et al., 2005

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17

4.1.2. Variazioni di volume indotte da cambi chimici

Variazioni di forza ionica della soluzione saturante in condizioni di tensione imposta costante

comportano generalmente variazioni di volume. Esponendo un campione saturato con acqua

distillata ad una soluzione salina si ha generalmente una riduzione di volume; viceversa esponendo

un campione saturato con una soluzione elettrolitica ad una soluzione avente concentrazione

inferiore si ha generalmente l’espansione del materiale. Secondo quanto riportato da Barbour e

Fredlund (1989), due diversi processi contribuiscono a generare queste variazioni di volume. Il

primo contributo proviene dalla variazione transitoria di pressione dell’acqua a seguito del flusso

osmotico derivante dalla presenza di un gradiente chimico (consolidazione osmoticamente

indotta); il secondo contributo deriva invece dalla penetrazione (o dalla rimozione) dei cationi dalla

soluzione interstiziale, che modifica intimamente il regime di attrazione tra le particelle di terreno.

A questi contributi va sommato, nel caso in cui occorra, l’effetto dello scambio cationico tra le

particelle di argilla e la soluzione bagnante. La figura 10 riporta l’effetto dell’ingresso di acqua

distillata su campioni di un’argilla naturale delle Langhe (argilla di Monastero Bormida)

inizialmente saturati con una soluzione 1 molare di cloruro di sodio.

Figura 10: Rigonfiamento in edometro dell’argilla di Monastero Bormida, inizialmente saturata con una soluzione 1M di cloruro di sodio e successivamente esposta ad acqua distillata (Musso et al., 2008)

0.2

0.4

0.6

0.8

1

1.2

1.4

1.6

1.8

1 10 100 1000 10000

'v : kPa

void

ratio, e

MB1 Deca DW

MB1 Deca 1M NaCl

MB2 Deca DW

MB2 Deca 1M NaCl

After distilled waterdiffusion

Distilled water

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18

L’effetto prodotto dall’esposizione a soluzioni aventi differente concentrazione salina su un’argilla a

predominante componente smectitica può essere apprezzato in Figura 11, nella quale sono riportati

i risultati di una prova edometrica eseguita a controllo di carico. L’esposizione del campione ad una

soluzione più elevata (da 0.01 M a 0.05 M di NaCl) determina un cedimento a carico costante ed

influenza la rigidezza in fase di scarico-ricarico. Quest’ultimo effetto è però, almeno in parte,

reversibile, in quanto la successiva esposizione alla soluzione con la concentrazione iniziale (i.e.

0.01 M di NaCl) riconduce l’argilla ad una rigidezza inferiore in fase di scarico.

Figura 11: Risultati di una prova edometrica a controllo di carico effettuata su un’argilla smectitica esposta a soluzioni di cloruro di sodio (NaCl) aventi concentrazione pari a 0.01 M (linea rossa) e a 0.05

M (linea verde).

In generale, l’entità delle deformazioni indotte chimicamente dipende sia dalla tensione che dalla

storia tensionale a cui questa avviene, e hanno una componente plastica, come mostrato dalle

figure che seguono, tratte da Di Maio (1996) e relative alla bentonite di Ponza.

0.0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

10 100 1000

Def

orm

azio

ne

volu

met

rica

,

v[-

]

Tensione verticale, σV [kPa]

Campione SQ_NaB_3

cs=10 mM

cs=50 mM

v = 98.1 kPa, cambio soluzione da cs = 10 mM a cs = 50 mM

v = 392.3 kPa, cambio soluzione da cs = 50 mM a cs = 10 mM

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19

Figura 12: Influenza dello stato tensionale sull’entità delle deformazioni indotte da penetrazione di una soluzione di cloruro di sodio su campioni ricostituiti, normalconsolidati, di bentonite di Ponza (Di

Maio, 1996). a a a=640 kPa

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20

4.1.3. Influenza della composizione chimica della soluzione interstiziale sulla

resistenza al taglio

La resistenza al taglio dei terreni argillosi dipende sia dalla composizione mineralogica dei

medesimi che dalla composizione chimica della soluzione saturante. Un ampio corpo di letteratura

mostra come, particolarmente per le montmorilloniti, si registrino marcati incrementi di resistenza

al taglio al crescere della forza ionica, oppure al diminuire della costante dielettrica (ad es. Di Maio,

1996, Shridaran & Venkatappa Rao, 1979; Musso et al., 2008)

Figura 13: Influenza della costante dielettrica sulla resistenza a taglio di un Caolino (sinistra) e di una Montmorillonite (destra)

In diversi casi, prove condotte su montmorilloniti mostrano una relativa irreversibilità dell’effetto

dell’ingresso di cationi nella soluzione interstiziale. In particolare, a crescenti concentrazioni di ioni

potassio corrisponde talvolta un incremento di resistenza a taglio che non viene perso a seguito di

semplice ‘dilavamento’ con acqua distillata (si veda ad es. Di Maio et al., 2015).

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4.1.4. Influenza della concentrazione chimica di soluzioni elettrolitiche sulla

permeabilità

Poiché la composizione chimica del fluido interstiziale influenza l’interazione tra le particelle di

argille attive, e quindi la dimensione dei pori che le separano, ossia la struttura del materiale, ne

consegue che anche la permeabilità ne viene influenzata. A parità di indice dei vuoti, infatti,

campioni saturati con soluzioni saline o con liquidi organici non polari mostrano conducibilità

idrauliche superiori rispetto a campioni saturati con acqua distillata (si veda, ad esempio, Michaels

and Lin, 1954; Mesri and Olson, 1971a, 1971b; Fernandez and Quigley 1985, Calvello et al, 2005;

Gajo and Maines, 2007; Castellanos et al. 2008). I risultati di Fernandez and Quigley (1988)

mostrano un sensibile incremento della permeabilità al diminuire della costante dielettrica del

fluido in soluzione: secondo Hueckel et al. (1997) la causa più probabile dei cambiamenti

permeabilità rilevati è la flocculazione delle particelle all’interno dei clusters.

Mesri and Olson (1971b) fanno dipendere l'incremento di permeabilità con la salinità dalla

contrazione di aggregati di particelle di argilla, che si riflette nell'aumento della dimensione dei

macro-pori.

I dati di Figura 14 sono stati ottenuti a partire dall’interpretazione di gradini di carico e di scarico di

prove edometriche condotte su campioni ricostituiti di bentonite FEBEX, saturata con soluzioni di

NaCl a diversa molarità. Si evidenzia che, a parità di indice dei vuoti, la conducibilità idraulica del

campione saturato con soluzione più concentrata è fino a 3 ordini di grandezza maggiore di quella

del campione saturato con soluzione meno concentrata. Quest’osservazione vale tanto per

campioni ricostituiti, quanto per campioni preparati a partire da compattazione statica sotto

elevate pressioni a contenuti d’acqua igroscopica. In altre parole, variazioni significative di

permeabilità sono attese a prescindere da quale sia la struttura originaria del materiale, purché

questo sia sufficientemente attivo.

(a) (b) Figura 14: Influenza della concentrazione di NaCl nell’acqua di saturazione sulla relazione tra

conducibilità idraulica ed indice dei vuoti per campioni di bentonite FEBEX: (a) ricostituiti (Musso e Della Vecchia, 2014); (b) compattati a secco e poi saturati (Castellanos et al., 2008)

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L’effetto prodotto dalla permeazione con una soluzione 0.25 M di CaCl2 su un geocomposito

bentonitico (GCL) e su un’argilla smectitica (NaB), inizialmente permeati con acqua deionizzata,

può essere apprezzato in Figura 15, in cui è riportata la variazione sia di conducibilità idraulica sia

dell’indice dei vuoti. Il cloruro di calcio determina simultaneamente la riduzione del volume dei

vuoti dell’argilla e l’incremento della conducibilità idraulica. Questo fenomeno può essere

attribuito alla variazione di microstruttura dell’argilla, che, per effetto della sostituzione dello ione

sodio con lo ione calcio, passa da una configurazione dispersa ad una configurazione aggregata, con

una riduzione significativa della superficie specifica riferita ai pori conduttivi.

Figura 15: Risultati di prove di permeazione in permeametro a pareti flessibili, in termini di conducibilità idraulica K e indice dei vuoti e, al variare del fluido permeante da acqua deionizzata (pore volume negativi) a una soluzione di CaCl2 0.25 M (pore volume positivi). (da Puma et al., 2015)

4.1.5. Trasporto di massa nelle argille attive: flussi di soluto e di solvente, gradienti

idraulici e gradienti di concentrazione

In generale il termine osmosi è utilizzato per descrivere il fenomeno tale per cui un solvente fluisce

attraverso una membrana semipermeabile da una soluzione a più bassa concentrazione ad una a

più alta concentrazione. Una membrana è definita semipermeabile ideale se consente il passaggio

del solvente ma non del soluto. Nei mezzi porosi i fluidi possono fluire in risposta ad un gradiente

di pressione (flusso gravimetrico o darciano), ma anche in risposta a gradienti della concentrazione

chimica (osmosi chimica), del potenziale elettrico (elettro-osmosi) e della temperatura (termo-

osmosi). La prima componente di flusso è diretta, in quanto associa il moto di una specie al

gradiente di energia della medesima; le altre componenti sono dette accoppiate in quanto il moto

di un tipo è associato al gradiente di un’altra grandezza. Trascurando le componenti di flusso

generate da gradienti del potenziale elettrico, generalmente trascurabili in condizioni comuni, nei

terreni i flussi di solvente (acqua) e di soluto (sali) possono essere indotti sia da gradienti di

pressione idraulica che di concentrazione (Figura 16).

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23

Figura 16: Schema concettuale delle componenti di flusso in argille attive

Il trasporto di massa può avvenire, o meno, in maniera accoppiata nei mezzi porosi, a seconda che

il terreno si comporti, o meno, come membrana semi-permeabile. In particolare, il passaggio del

soluto attraverso il mezzo poroso in risposta a gradienti di varia natura è libero e non impedito se il

mezzo poroso in questione non ha comportamento a membrana (Figura 17c); in caso contrario, il

flusso del soluto attraverso il mezzo poroso è contrastato (membrana reale – Figura 17b) o del tutto

impedito (membrana ideale – Figura 17a). Solo nel secondo e nel terzo caso può esistere una

componente di flusso osmotica.

Figura 17: Rappresentazione schematica dei flussi volumetrici e diffusivi

qg Js qc.o. Cest= 0 Cest= 0

Cest= 0

Cint

Cint

Cint

qg Js

qg Js qc.o.

( a ) Membrana ideale ( b ) Membrana reale

( c ) Assenza di comportamento a

membrana

qg : Flusso gravimetrico Js : Flusso del soluto

qc.o. : Flusso chimico-osmotico Cint : Concentrazione ionica interna Cest : Concentrazione ionica esterna

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24

Il flusso osmotico può essere descritto usando una legge di flusso simile nella forma alla legge di

Darcy:

x

kq

w

oc

..

(1)

dove k è la conducibilità idraulica; ω è il coefficiente di efficienza osmotica (normalmente

compreso tra 0 ed 1); Π è la pressione osmotica e γw è il peso per unità di volume dell’acqua. Il

coefficiente di efficienza osmotica è una misura del grado con cui l’argilla si comporta come una

perfetta membrana semipermeabile.

L’espressione di van’t Hoff, teoricamente valida per soluzioni diluite, consente di valutare la

pressione osmotica come:

icRT (2)

dove: R è la costante universale dei gas, T è la temperatura in gradi Kelvin e ci la concentrazione di

soluto in soluzione.

Il coefficiente di efficienza osmotica è fortemente dipendente dalla chimica del fluido interstiziale,

dalla concentrazione ionica, dall’indice dei vuoti (o dalla porosità) del terreno, dal contenuto di

minerali smectitici (in particolare la montmorillonite) dalla microstruttura del terreno (si vedano

ad esempio i lavori di Kemper e Rollins, 1966; Olsen, 1972; Malusis et al., 2001; Malusis e

Shackelford, 2002a,b; Malusis et al., 2003). L’efficienza osmotica, generalmente, aumenta al

diminuire dell’indice dei vuoti, della concentrazione ionica e del contenuto di montmorillonite.

Figura 18: Dipendenza dell’efficienza osmotica dalla concentrazione e dalla porosità n per una bentonite (soluzioni di NaCl e CaCl2, da Kemper & Rollins, 1966) ed un geocomposito bentonitico (soluzioni di

KCl, da Malusis & Shackelford, 2002a).

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0.001 0.01 0.1

Co

effi

cien

te d

i ef

fici

enza

ch

imic

o-o

smo

tica

,

[-]

Concentrazione media della soluzione interstiziale, cavg [M]

KCl-n=0.74

KCl-n=0.78-0.80

KCl-n=0.86

NaCl-n=0.80

NaCl-n=0.84

NaCl-n=0.91

CaCl2-n=0.80

CaCl2-n=0.84

CaCl2-n=0.91

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4.2 Prove di laboratorio per lo studio del comportamento chemo-idro-meccanico

delle argille attive

Il comportamento chemo-idro-meccanico delle argille attive va caratterizzato attraverso

un’adeguata campagna di prove di laboratorio; nel seguito si descrivono le modalità di esecuzione

delle principali tra queste.

4.2.1. Prove edometriche a concentrazione imposta e carico variabile e prove

edometriche a carico imposto e concentrazione variabile

Tali prove consentono di studiare la compressibilità delle argille per effetto non solo dei carichi ma

anche dei fenomeni di variazioni della concentrazione della soluzione interstiziale e di scambio

ionico tra le specie della soluzione interstiziale e le particelle di argilla. Le prove possono essere

condotte mediante attrezzature standard variando semplicemente le procedure esecutive. Due sono

essenzialmente le possibili modalità che possono essere seguite: la prima prevede incrementi del

carico verticale lasciando invariata la concentrazione ionica del fluido interstiziale, l'altra tipologia

di prova precede invece l'applicazione di cicli di incremento e decremento della concentrazione

ionica a diversi ma costanti livelli del carico verticale meccanico. Ciascuna procedura di prova

consente di studiare due degli aspetti essenziali del comportamento delle argille attive in presenza

di fluidi interstiziali con concentrazioni ioniche differenti (Di Maio, 1996a; Witteveen et al., 2013,

eccetera).

Nel primo schema di prova, il provino è in contatto con una soluzione salina a concentrazione

imposta e gli incrementi di carico sono applicati seguendo una progressione geometrica standard.

Il provino può essere ricostituito in laboratorio miscelando opportunamente il terreno essiccato

all'aria e ridotto in polvere con un quantitativo di soluzione salina in una percentuale in peso

corrispondente al 1.1% del limite liquido del terreno valutato per la concentrazione ionica scelta. Il

terreno e il fluido vengono lavorati con una spatola fino ad ottenere un impasto semiliquido.

L'impasto così ottenuto è riversato nell'anello edometrico in quantità sufficiente ad ottenere un

provino di altezza iniziale nota e densità (o porosità) imposta. La cella edometrica viene riempita

della medesima soluzione salina con cui è stato preparato il campione e ogni gradini di carico è

mantenuto per 24 ore.

Tale prova, ripetuta su campioni di terreno preparati con soluzioni a concentrazioni ioniche

crescenti, consente di analizzare l'influenza della composizione ionica del fluido interstiziale sui

parametri di comprimibilità delle argille attive.

Il secondo schema di prova, consiste nel variare la concentrazione salina del fluido interstiziale del

provino durante la prova edometrica standard in corrispondenza di un valore imposto della

tensione verticale. Il provino può essere preparato secondo quanto descritto precedentemente, in

tal caso utilizzando acqua distillata al posto della soluzione salina. Posizionato il provino

nell'apposito anello, si riempie la cella edometrica con acqua distillata e quindi si procede ad

incrementare il carico fino al livello tensionale prescelto secondo i tempi e i modi tipici della prova

edometrica standard. Al raggiungimento del suddetto livello tensionale, si impone un carico

chimico, sostituendo l'acqua distillata presente in cella con una soluzione salina a concentrazione

nota. Si registrano quindi i cedimenti del campione sotto tali condizioni per un tempo sufficiente

ad esaurire il processo di consolidazione indotta da cambi chimici (comunque non inferiore agli 8 -

10 giorni).

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26

Al termine della predetta fase si opera uno scarico chimico semplicemente ripristinando la

presenza di acqua distillata nella cella edometrica, rimuovendo quindi la soluzione salina utilizzata.

Anche durante questa fase si procedere alla misura degli spostamenti per un intervallo di tempo

adeguato affinché si sviluppino tutte le deformazioni. Si noti che le esperienze a tale riguardo

indicano generalmente tempi di rigonfiamento anche significativamente più lunghi di quelli di

consolidazione. Durante questo intervallo di tempo è opportuno provvedere alla sostituzione

dell'acqua nel momento in cui si osserva un aumento della concentrazione ionica, che pertanto

deve essere monitorata ad esempio mediante la misura della conduttività elettrica del fluido. I cicli

di suzione osmotica così ottenuti possono essere ripetuti a diversi livelli di tensione. Questa

tipologia di prova consente di analizzare i fenomeni di consolidazione indotti da carichi osmotici ed

eventuali fenomeni di rigonfiamento dovuti invece a scarichi osmotici. È in tal modo possibile

verificare la reversibilità o meno dei cedimenti indotti per variazione di concentrazione (se il

catione della soluzione chimica è lo stesso presente nella struttura mineralogica dell’argilla) e

scambio cationico (se il catione nella soluzione salina è diverso da quello presente nella struttura

mineralogia dell’argilla).

4.2.2. Determinazione della pressione di rigonfiamento

È possibile valutare il comportamento meccanico e rigonfiante, e in particolare la pressione di

rigonfiamento, delle argille attive, in equilibrio con soluzioni elettrolitiche a concentrazione

costante, a partire da prove edometriche a controllo di carico e a deformazione impedita. Le

condizioni di preparazione dei campioni, in parte simili a quelle descritte nel paragrafo 3.2.1,

possono influenzare fortemente l’andamento della prova e l’entità della pressione di rigonfiamento

al variare dell’indice dei vuoti. Il comportamento meccanico e rigonfiante dipende inoltre dalla

concentrazione della soluzione elettrolitica di equilibrio e dalla valenza degli ioni presenti nel

liquido interstiziale: all’aumentare della concentrazione e/o della valenza degli ioni, infatti, i

fenomeni di rigonfiamento risultano meno marcati.

La valutazione della pressione di rigonfiamento può essere eseguita in due modi distinti al variare

della modalità di prova. Nel caso delle prove edometriche a controllo di carico, eseguite con

riferimento alla norma ASTM D2435-96, l’attenzione è rivolta ai rami di scarico dei diagrammi

semilogaritimici “tensione verticale, v vs indice dei vuoti, e” (i.e. log v vs e): secondo l’approccio

proposto da Cui et al. (2013), è possibile scomporre il ramo di scarico in due tratti “lineari” con

pendenze costanti, a seconda della predominanza dell’effetto meccanico (riscontrabile per una

tensione verticale esterna, v superiore ad una tensione di soglia, s) o dell’effetto fisico-chimico

(per v<s). Nel primo caso si ha una piccola variazione della microstruttura, un piccolo recupero

delle deformazioni accumulate in fase di carico e un modesto rigonfiamento al diminuire dei

carichi applicati; viceversa nel secondo caso, la microstruttura del materiale subisce grandi

variazioni e si osserva un significativo rigonfiamento. Dall’intersezione dei due rami di scarico si

può ricavare la tensione soglia, identificabile con la pressione di rigonfiamento, usw, che compete

all’indice dei vuoti raggiunto dal materiale prima della fase di scarico ed è generata dalle forze

repulsive di natura elettrostatica che si sviluppano alla microscala per le interazioni tra le particelle

solide e gli ioni contenuti nel fluido interstiziale.

Nel caso delle prove edometriche a deformazione assiale impedita, è possibile eseguire una misura

diretta della pressione di rigonfiamento mediante l’ausilio di una cella di carico, interposta tra la

traversa superiore di contrasto e il capitello che impedisce il rigonfiamento del campione di terreno

presente all’interno della cella edometrica (Figura 19a). Anche in questo caso, il campione può

essere inserito nell’edometro in polvere e idratato, con soluzioni saline o acqua deionizzata, fino ad

ottenere un indice dei vuoti prestabilito, oppure preidratato esternamente fino ad ottenere un

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impasto semiliquido, consolidato fino ad una certa altezza, e infine fatto rigonfiare fino all’indice

dei vuoti desiderato.

In entrambe le prove descritte, la pressione di rigonfiamento ricavabile coincide con la pressione

necessaria a impedire il rigonfiamento di un campione di terreno: tale valore è correlato soltanto ai

fenomeni chimico-fisici (i.e. repulsione interparticellare conseguente all’interazione tra le particelle

di argilla cariche superficialmente e i cationi disciolti nella soluzione interstiziale), e non tiene

conto della componente legata alle forze di contatto intergranulari.

4.2.3. Determinazione dell’influenza della concentrazione ionica sulla resistenza a

taglio residua mediante prove di taglio anulare

L'influenza della concentrazione del fluido interstiziale sull'angolo di resistenza a taglio residuo

delle argille attive è determinabile eseguendo una serie di prove di taglio anulare, ad esempio con

attrezzatura standard (Bromhead). Le modalità di prova sono quelle standard che prevedono

l'individuazione di tre livelli tensionali rispetto cui valutare le tensioni tangenziali a rottura. Per

ogni concentrazione imposta, la prova viene eseguita per fasi, sono ripetute per ciascuna tensione

imposta sul provino. La procedura di prova consiste in:

- una fase di consolidazione, durante la quale si misurano i cedimenti indotti dal carico verticale

applicato;

- una fase di taglio indotta al provino imponendo una velocità di rotazione rapida dell'anello di base

(rottura veloce); ciò al fine di generare nel provino la superficie di taglio rispetto cui valutare le

tensioni tangenziali;

- una fase in cui si lasciano dissipare le eventuali sovrappressioni neutre sviluppatesi durante la

fase precedente;

- una fase di taglio in cui la velocità di rotazione imposta è lenta, durante la quale si valuta la

tensione tangenziale.

Ai fini dello studio proposto, la modalità di preparazione della miscela di terreno e soluzione ionica

è uguale a quella descritta per le prove edometriche a carico meccanico crescente e concentrazioni

ioniche costanti. L'impasto ottenuto è opportunamente disposto sull'anello della macchina di taglio

anulare prestando attenzione a non lasciare vuoti, fino ad ottenere un campione alto 5 mm. La cella

contente l'anello suddetto è riempito con la medesima soluzione ionica utilizzata per la

preparazione del campione medesimo. La prova viene quindi eseguita secondo le modalità

standard precedentemente descritte.

Le prove condotte su campioni di terreno preparati con soluzioni saline a molarità crescente,

consentono di verificare l'influenza delle concentrazioni ioniche del fluido interstiziale sulla

resistenza al taglio residuo.

Variando le modalità di preparazione dei campioni è possibile invece analizzare la reversibilità

dell’incremento di resistenza al taglio al diminuire della concentrazione ionica. La modalità di

preparazione da seguire in tal caso è la seguente. La miscela di terreno e soluzione salina a molarità

nota, secondo quanto precedentemente descritto, è utilizzata per la realizzazione di un provino a

densità nota da introdurre in un edometro mediante cui è possibile sottoporre il provino stesso ad

un processo di "flushing", inducendo un flusso di acqua distillata o di soluzione salina a

concentrazione ionica inferiore rispetto quella utilizzata per la sua preparazione. Durante il

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28

processo si misurano i volumi di fluido che attraversano il campione, e la concentrazione ionica del

fluido in uscita mediante la misura della sua conduttività elettrica. Il processo è interrotto solo

quando la concentrazione ionica del fluido in uscita risulta essere corrispondente a quella del fluido

utilizzato per il processo di filtrazione. Il terreno è quindi utilizzato per la preparazione del provino

da sottoporre a taglio anulare.

4.2.4. Prove per la determinazione del coefficiente di efficienza osmotica

Il coefficiente di efficienza osmotica misura la capacità dell’argilla di esibire un comportamento a

membrana semipermeabile in risposta ad un gradiente di concentrazione salina. La prova è

eseguita mediante una cella riconducibile ad un permeametro modificato (Malusis et al., 2001) a

pareti rigide, in cui è possibile operare una circolazione di fluidi a concentrazioni ioniche imposte

differenti all'interno della pietra porosa superiore ed inferiore misurando contestualmente il

gradiente di pressione tra le estremità del campione (Figura 19b). In genere si impone una

condizione di flusso volumetrico nullo attraverso il campione facendo circolare, alla stessa velocità

(i.e. 0.05 ml/min) una soluzione elettrolitica a concentrazione nota (ct,ref) nella pietra porosa

superiore, e acqua deionizzata disaerata nella pietra porosa inferiore, e si monitora durante tutta la

prova il valore di pressione differenziale tra la testa e la base del provino. Il valore della pressione

differenziale raggiunge nel tempo una condizione di stazionarietà, rispetto cui è possibile valutare il

coefficiente di efficienza osmotica. Il valore dell’efficienza osmotica, o coefficiente globale di

riflessione (ωg), è infatti dato dal rapporto:

g

u

(3)

dove Δu rappresenta la differenza di pressione misurata durante la prova, in condizioni di flusso

volumetrico impedito, e ΔΠ è la differenza di pressione osmotica teorica attraverso una membrana

ideale, che può essere valutata mediante l’espressione di Van’t Hoff:

icRT (4)

dove: R è la costante universale dei gas (= 8.314 J/(mol K)), T è la temperatura assoluta (K) e ci è

la differenza tra le concentrazioni medie, ct,avg e cb,avg (mol) alle due estremità del campione,

valutata a partire dalle concentrazioni delle soluzioni fuoriuscite dalle pietre, ct,exit e cb,exit (mol).

Il coefficiente di efficienza osmotica è fortemente dipendente dalla chimica del fluido interstiziale,

dalla concentrazione ionica, dall’indice dei vuoti del terreno, dal contenuto di minerali smectitici

(in particolare la montmorillonite) dalla microstruttura del terreno (si vedano ad esempio i lavori

di Kemper e Rollins, 1966; Olsen, 1972; Malusis et al., 2001; Malusis e Shackelford, 2002a,b;

Malusis et al., 2003).

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29

(a) (b)

Figura 19: (a) Attrezzatura per la misura della pressione di rigonfiamento in condizioni edometriche a deformazione assiale impedita; (b) attrezzatura per la misura della efficienza osmotica.

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30

5. Prove eseguite nell'ambito del PRIN

Prove mirate agli obiettivi di una caratterizzazione chemo – idro – meccanica, eseguite secondo le

modalità precedentemente descritte, sono state effettuate nell’ambito del progetto PRIN 2010 -

2011 "La mitigazione del rischio frana mediante interventi sostenibili" dall'unità di ricerca del

Politecnico di Torino.

In questa sede vengono riassunti alcuni dei risultati sperimentali ottenuti, al solo fine di illustrare

con maggior chiarezza sopra introdotti.

Due sono le principali argille studiate nell'ambito del progetto: una argilla marnosa, proveniente

dal sito di Monastero Bormida, una area che nel 1994 fu interessata da un fenomeno di

scivolamento planare, ed una argilla smectitica ad un elevato contenuto di montmorillonite sodica,

di origine indiana.

L’argilla marnosa di Monastero Bormida, è un’argilla smectitica, con buone percentuali di illite e

tracce di clorite e caolinite (Musso et al., 2008). Nell'ambito degli studi eseguiti successivamente

agli eventi franosi del 1994, la giustificazione dei dissesti osservati fu individuata nella riduzione

del tenore di carbonati presenti nel terreno, per effetto di reazioni geochimiche favorite dalla

circolazione idrica del sito. Il contenuto in carbonati infatti fu rilevato del tutto assente nei

campioni di terreno prelevati nei pressi delle superfici di taglio, mentre valori oltre il 30% furono

misurati in campioni prelevati lontani dalle suddette superfici (Musso et la., 2008; Bottino et al.,

2011, Castelli et. al., 2014). Al fine di determinare gli effetti della decalcificazione sulle proprietà

fisico-maccaniche del terreno, la caratterizzazione di base del terreno e le prove di taglio anulare

furono eseguite su campioni di terreno nelle condizioni originarie di prelievo e su campioni soggetti

a decalcificazione indotta in laboratorio mediante un trattamento con acido cloridrico (Bottino et

al., 2011, Ligios, 2004). I risultati ottenuti nell'ambito degli studi predetti sono riportati nella

Tabella 7, in cui è evidente come i processi di decalcificazioni comportino un incremento della

superficie specifica e degli indici di Atterberg, mentre determinino una riduzione dell'angolo di

resistenza al taglio residuo.

Tabella 7: Proprietà indice, superficie specifica e tenori di carbonati in campioni dai blocchi prelevati a Monastero Bormida. (da Castelli et al., 2014)

MB0 MB1 MB2 MB1 MB2

decalcificato decalcificato

Limite liquido wL (%) 48 46 40 49 52

Limite plastico wP (%) 32 29 26 29 30

Indice di plasticità IP (%) 16 17 14 20 22

Superficie specifica, Ss (m2/g) ~50 57 55 85 96

Contenuto di carbonati (%) 15 16 34 - -

Angolo di resistenza a taglio residuo ’r (°) - 18.5 21.5 14.8 12.0

Alla luce dei risultati ottenuti durante gli studi precedenti, nell'ambito della ricerca PRIN condotta

dall'unità di Torino, ci si è focalizzati allo studio dell'influenza della concentrazione ionica del

fluido interstiziale sul comportamento fisico-meccanico della argilla di Monastero Bormida nel suo

stato decalcificato.

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31

Come prima passo del programma sperimentale, sono state ripetute le misure degli indici di

Atterberg del terreno decalcificato utilizzando come fluido una soluzione di cloruro di potassio

(KCl) a concentrazioni ioniche crescente. Le misure sono state eseguite per soluzioni saline con

concentrazioni 0,5M, 1M e 4M. Il terreno è stato miscelato con la soluzione salina, di volta in volta

scelta, usando una spatola. La miscela è stata quindi utilizzata per la determinazione degli indici

secondo le procedure standard stabilite dalla ASTM (ASTM D4318-95). In tali casi il contenuto

d'acqua in corrispondenza dei limiti ricercati è stato definito come il peso dell'acqua diviso il peso

solido più i sali (Di Maio, 1996). Come visibile dalla Figura 17 limite liquido e limite plastico

decrescono al crescere della concentrazione ionica del fluido.

Figura 20: Evoluzione di limite liquido, plastico e dell'indice di plasticità con la concentrazione di

cloruro di potassio.

Il programma sperimentale si è quindi articolato in una serie di prove di taglio anulare, per la

determinazione dell'angolo di resistenza al taglio residuo, e di prove edometriche condotte su

campioni ricostituiti in laboratorio, in cui il controllo della suzione osmotica è stata effettuato

mediante l'utilizzo di soluzioni saline di cloruro di potassio (KCl) a concentrazioni crescenti,

secondo le modalità precedentemente descritte.

Per quanto riguarda le prove di taglio anulare, come si evince dai risultati riportati in Figura 18a,

l’angolo di resistenza al taglio residua incrementa all’aumentare della concentrazione ionica

dell'acqua interstiziale. Contrariamente ad altri studi, i risultati mostrano anche la reversibilità

dell’incremento di resistenza al taglio al diminuire della concentrazione ionica, secondo le modalità

di prova precedentemente descritte. Ciò molto probabilmente è dovuto alla procedura di "flushing"

mediante cui si è operato la riduzione degli ioni potassio. Per quanto riguarda le prove edometriche

si evidenziano i seguenti due risultati: la compressibilità dei campioni preparati con soluzioni a

concentrazioni ioniche differenti non risulta in alcun modo alterata o comunque qualunque

variazione è trascurabile (Fig. 18b); nei campioni in cui la esposizione alla soluzione elettrolitica è

avvenuta sotto carico costante si osserva un – modesto - processo di consolidazione osmotica

all’atto dell’esposizione (Fig. 18a) mentre non si osserva nessun fenomeno di rigonfiamento

osmotico riducendo la concentrazione ionica della soluzione o addirittura esponendo il campione

all’acqua distillata (Fig. 18b).

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32

(a) (b) Figura 21: (a) Resistenza al taglio residua dell’argilla di Monastero Bormida (AT) al variare della concentrazione salina; (b) confronto prove edometriche condotte su campioni ricostituiti di argilla di Monastero Bormida (AT) con concentrazioni saline differenti.

(a) (b) Figura 22: (a) Prova edometrica su campione ricostituito di argilla proveniente dal sito di Monastero Bormida (AT) con cicli chimici a 3 differenti livelli tensionali; (b) evoluzione temporale della deformazione del campione durante la prova edometrica descritta in (a) fino al primo ciclo chimico.

Alcune prove per la determinazione della pressione di rigonfiamento e per la valutazione del

coefficiente di efficienza osmotica sono state eseguite invece su una argilla smectitica, avente un

elevato contenuto di montmorillonite sodica, presente in natura nei depositi delle argilliti. Il

materiale in questione possiede una capacità di scambio cationico pari a 105 meq/100 g; ed una

composizione mineralogica, stimata attraverso la diffrazione ai raggi X, prettamente costituita da

smectite (> 98%), con tracce di calcite, quarzo, mica e gesso. L’argilla smectitica è caratterizzata da

un limite liquido wL = 525 % e da una conducibilità idraulica di 8×10-12 m/s, misurata ad una

tensione efficace isotropa di confinamento pari a 27.5 kPa usando acqua deionizzata come fluido di

permeazione.

Le prove edometriche e le prove chimico-osmotiche sono servite per valutare il comportamento

accoppiato meccanico-osmotico, con l’obiettivo di determinare l’influenza delle caratteristiche alla

microscala sui fenomeni che si manifestano alla macroscala. Infatti, a causa della conformazione

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cristallina della smectite, le particelle di argilla sono dotate di una elevata superficie specifica, S

(m2/g) e una carica elettrica negativa permanente: entrambe queste caratteristiche alla microscala

condizionano fortemente le proprietà misurabili alla macroscala, i.e. la pressione di rigonfiamento

e l’efficienza chimico-osmotica. A tale scopo, Dominijanni & Manassero (2012a,b) hanno introdotto

nel modello teorico il parametro macroscopico sk,0c , i.e. la concentrazione delle cariche elettriche

dello scheletro solido, riferita al volume dello scheletro solido: esso permette di tenere conto dei

fenomeni elettro-chimici legati alle forze microscopiche di superficie delle particelle di argilla e può

essere espresso mediante la seguente espressione:

Stern Sternsk,0 sk eff sk

l,AV

(1 f ) (1 f ) Sc S

F F N

(5)

in cui F è la costante di Faraday (=96.485 C/mol), Seff la superficie specifica effettiva degli aggregati

di particelle, la carica elettrica superficiale (=0.114 C/m2) delle singole particelle, sk la densità

della fase solida (2.65 gcm3), ed fStern la frazione di carica elettrica superficiale compensata dai

cationi adsorbiti specificatamente nello strato di Stern (50-90 %). La superficie specifica effettiva è

data dal rapporto tra la superficie specifica totale della singola particella di argilla, S (=760 m2/g) e

il numero medio di particelle per aggregato, Nl,AV. Ne consegue che, al diminuire del numero medio

di particelle per aggregato, il valore di sk,0c tende ad aumentare, a parità degli altri parametri in

questione.

Secondo l’approccio teorico di riferimento (Dominijanni & Manassero, 2012a,b), la pressione di

rigonfiamento, usw e il coefficiente globale di riflessione, g risultano funzioni del parametro

macroscopico sk,0c mediante le espressioni (6) e (7), valide nel caso di soluzioni saline di ioni

monovalenti (e.g. cloruro di sodio, NaCl).

2

sk,0

sw s

s

cu 2RTc 1 1

2ec

(6)

in cui R è la costante universale dei gas (= 8.314 J/(mol K)), T la temperatura assoluta, cs la

concentrazione molare della soluzione salina in equilibrio con il terreno;

sk,0 2 1

g 2 1 11 1t,avg b,avg

c Z 2t 11 Z Z (2t 1) ln

Z 2t 12 c c e

(7)

con:

2 2

t,avg b,avg1,01 1 2

1,0 2,0 sk,0 sk,0

2 c e 2 c eDt , Z 1 e Z 1

D D c c

in cui D1,0 e D2,0 rappresentano rispettivamente il coefficiente di diffusione del catione Na+ e

dell’anione Cl- in soluzione libera, ct,avg e cb,avg le concentrazioni medie di NaCl rispettivamente nella

pietra porosa superiore e inferiore (i.e. valore medio tra le concentrazioni in entrata, ct,ref e cb,ref e

quelle in uscita, ct,exit e cb,exit).

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34

I valori della pressione di rigonfiamento, usw di campioni ricostituiti, in equilibrio con soluzioni

saline di cloruro di sodio a concentrazione costante pari a 10 mM, sono stati stimati attraverso

entrambi i metodi precedentemente descritti. A titolo d’esempio, si riportano (Errore. L'origine

riferimento non è stata trovata., Figura 24) i risultati di una prova edometrica eseguita su un

campione (SQ_NaB_1) di argilla smectitica, idratato direttamente all’interno dell’anello

edometrico, a partire da uno stato anidro, con una soluzione di cloruro di sodio a concentrazione

10 mM, insieme alla valutazione della pressione di rigonfiamento, al variare dell’indice dei vuoti

raggiunto dal materiale, secondo il metodo della doppia pendenza dei rami di scarico, proposto da

Cui et al. (2013); in Tabella 8 sono riassunti i risultati ottenuti su altri campioni analoghi testati

secondo la procedura edometrica a controllo di carico.

Per le prove edometriche a deformazione impedita, a titolo d’esempio si riportano (Figura 25) le

misure nel tempo della pressione di rigonfiamento di un campione (SQ_NaB_NTA2) di argilla

smectitica, idratato direttamente all’interno dell’anello edometrico, a partire da uno stato anidro,

con una soluzione di cloruro di sodio a concentrazione 10 mM; in Tabella 9 sono riassunti i dati

sperimentali di altri campioni dello stesso materiale in equilibrio con la stessa soluzione di prova.

Si noti che i campioni SQ_NaB_1,4,5 e SQ_NaB_NTA1,2 sono stati idratati a partire da uno stato

anidro direttamente in cella edometrica, mentre i campioni SQ_NaB_TTw1,2 e SQ_NaB_NTAw

sono stati preidratati esternamente fino ad un contenuto d’acqua prossimo al limite liquido e poi

consolidati in edometro: la differente modalità di preparazione dei campioni spiega i due

andamenti ottenuti al variare dell’indice dei vuoti, come si può notare dal grafico di Figura 26.

I valori sperimentali della pressione di rigonfiamento al variare dell’indice dei vuoti sono stati

correlati alle proprietà microscopiche dell’argilla smectitica in questione, adottando l’equazione

(6), come evidenziato nel grafico di Figura 26. Per i dati in questione sono stati ricavati dei valori

costanti della concentrazione delle cariche fisse dello scheletro solido, rispettivamente pari a

sk,0c 95 mM nel caso dei campioni idratati da secco in cella edometrica, e a sk,0c 305 mM nel

caso dei campioni preidratati e consolidati. Da tali valori di sk,0c

si possono desumere campioni di

argilla smectitica caratterizzati rispettivamente da microstruttura aggregata (Nl,AV = 4) e dispersa

(Nl,AV = 1). Questo risultato riveste una particolare rilevanza applicativa, in quanto mette in

evidenza l’influenza sul comportamento meccanico della microstruttura dell’argilla, a sua volta

dipendente dalla modalità di formazione, ovvero dalla modalità di preparazione del campione in

laboratorio (e.g., idratato da secco in edometro o pre-idratato con un elevato contenuto d’acqua) o

dalla modalità di deposizione e di esposizione ai fattori ambientali (e.g., temperatura,

precipitazioni) in natura.

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35

Figura 23: Andamento nel tempo della variazione di altezza del campione SQ_NaB_1, idratato in cella edometrica a partire da uno stato anidro con una soluzione di NaCl 10 mM.

Figura 24: Valutazione della pressione di rigonfiamento al variare degli indici dei vuoti raggiunti dal campione SQ_NaB_1, in equilibrio con una soluzione di NaCl 10 mM.

-7

-6

-5

-4

-3

-2

-1

0

1

2

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

Va

ria

zio

ne

di

alt

ezza

del

ca

mp

ion

e,

h [

mm

]

Tempo, t [gg]

0.0

1.0

2.0

3.0

4.0

5.0

6.0

10 100 1000 10000

Ind

ice

dei

vu

oti

, e

[-]

Tensione verticale totale, v [kPa]

e1usw1

usw2

e2

e3

A

B

C

D

E

F

G

H

I

J

usw3

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36

Figura 25: Valutazione nel tempo della pressione di rigonfiamento raggiunta dal campione SQ_NaB_NTA2 ad un indice dei vuoti pari a 3.32, in equilibrio con una soluzione di NaCl 10 mM.

Tabella 8: Valori di pressione di rigonfiamento ricavati a partire da prove edometriche a controllo di

carico su campioni di argilla smectitica in equilibrio con soluzioni di NaCl a concentrazione costante

pari a 10 mM.

CAMPIONE ei [-] usw (ei) [kPa]

SQ_NaB_1

3.10 49

1.45 120.7

0.60 310

SQ_NaB_4 1.15 150

SQ_NaB_5

4.17 33.0

2.28 66.0

0.86 228

SQ_NaB_TTw1 4.10 130.7

2.41 264.9

SQ_NaB_TTw2 2.80 200.0

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

0 50 100 150 200 250

Pre

ssio

ne

di

rig

on

fia

men

to, u

sw[k

Pa

]

Tempo, t [h]

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37

Tabella 9: Valori di pressione di rigonfiamento ricavati a partire da prove edometriche a deformazione

impedita su campioni di argilla smectitica in equilibrio con soluzioni di NaCl a concentrazione costante

pari a 10 mM.

CAMPIONE ei [-] usw (ei) [kPa]

SQ_NaB_NTA1 3.98 27.0

SQ_NaB_NTA2 3.32 43.0

SQ_NaB_NTAw 3.48 203.0

Figura 26: Risultati sperimentali di pressione di rigonfiamento in funzione dell’indice dei vuoti e curve teoriche secondo modello di riferimento (Dominijanni & Manassero, 2012a,b), imponendo

rispettivamente un valore di sk,0c 95 mM (linea continua) e di sk,0c 305 mM (linea tratteggiata)

nell’equazione (6).

La valutazione del coefficiente globale di riflessione dell’argilla smectitica precedentemente

descritta è stata eseguita mediante l’attrezzatura riportata in Figura 19b, al variare dell’indice dei

vuoti del materiale, e della differenza di concentrazione salina di NaCl tra le estremità del

campione. I campioni testati sono stati idratati esternamente con acqua deionizzata ad un

contenuto d’acqua inferiore al limite liquido, e consolidati fino all’indice dei vuoti desiderato,

prima di procedere con la prova chimico-osmotica. A titolo di esempio si riporta (Figura 27)

l’andamento nel tempo del coefficiente globale di riflessione, g misurato, secondo la procedura

descritta in precedenza, per un campione avente indice dei vuoti, e=10.37, per differenze di

concentrazione crescenti al progredire della prova: si noti che nella pietra porosa superiore viene

fatta circolare una soluzione di NaCl a concentrazione crescente, ct,ref, mentre nella pietra porosa

inferiore acqua deionizzata disaerata (i.e. cb,ref 0). Tali risultati sperimentali, insieme ad altri

10

100

1000

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5

Pre

ssio

ne

di

rig

on

fia

men

to, u

sw[k

Pa

]

Indice dei vuoti, e [-]

Campioni idratati da secco (prova edometrica convenzionale ASTM D 2435-96)

Campioni idratati da secco (prova edometrica a deformazione impedita)

Campioni consolidati (prova edometrica convenzionale ASTM D 2435-96)

Campioni consolidati (prova edometrica a deformazione impedita)

Dominijanni et al. (2013)

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38

derivati a partire da prove su campioni dello stesso materiale caratterizzati da diversi indici dei

vuoti, sono riassunti in Tabella 10.

Anche in questo caso, i valori sperimentali del coefficiente globale di riflessione riportati in Tabella

10 possono essere messi in relazione con le proprietà microscopiche del materiale (cfr. parametro

sk,0c ) mediante l’espressione (7), come evidenziato nel grafico di Figura 28.

Figura 27: Valutazione nel tempo del coefficiente globale di riflessione di un campione di argilla smectitica caratterizzato da un indice dei vuoti e=10.37, al variare della concentrazione, ct,ref di NaCl nella pietra porosa superiore.

0

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0 200 400 600 800 1000

Co

effi

cien

te g

lob

ale

di

rifl

essi

on

e,

g[-

]

Tempo, t [h]

g = 0.19

g = 0.11

g = 0.02

ct,ref = 10.82 mM ct,ref = 20.99 mM ct,ref = 52.78 mM

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Tabella 10: Valori sperimentali del coefficiente globale di riflessione al variare dell’indice dei vuoti del campione e delle concentrazioni delle soluzioni di NaCl alle estremità.

e

(-) ct,ref

(mM) ct,exit

(mM) cb,exit

(mM) ct,avg

(mM) cb,avg

(mM) cavg

(mM) Δu

(kPa) ΔΠ

(kPa) g

(-)

4.26

5.16 5.12 0.83 5.14 0.42 2.78 15.65 23.02 0.68

10.27 9.61 0.85 9.94 0.43 5.19 26,87 46.33 0.58

20.24 18.93 1.45 19.58 0.72 10.15 30.32 91.89 0.33

51.94 47.39 4.39 49.67 2.19 25.93 32.38 231.30 0.14

109.31 97.18 9.78 103.24 4.89 54.07 23.96 479.21 0.05

6.26

11.00 9.89 0.97 10.45 0.49 5.47 23.30 48.55 0.45

19.77 19.49 1.52 19.63 0.76 10.19 26.59 94.96 0.28

51.22 46.87 1.94 49.04 0.97 25.01 25.77 234.23 0.11

10.37

10.82 10.08 1.12 10.45 0.56 5.51 9.25 48.70 0.19

20.99 19.77 2.07 20.38 1.03 10.71 10.47 95.22 0.11

52.78 48.62 5.39 50.70 2.64 26.67 4.25 236.30 0.02

Per i dati in questione sono stati ricavati rispettivamente sk,0c 90 mM nel caso del campione

caratterizzato da e = 4.26, sk,0c 115 mM nel caso del campione caratterizzato da e = 6.26, e

sk,0c 80 mM nel caso del campione caratterizzato da e = 10.37. Da tali valori di sk,0c

si possono

desumere campioni di argilla smectitica caratterizzati anche in questo caso da microstruttura

aggregata (Nl,AV = 3-4), in accordo con quanto ricavato dalle prove per la valutazione della

pressione di rigonfiamento su campioni idratati in cella edometrica con soluzioni di NaCl a

concentrazione 10 mM.

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40

Figura 28: Risultati sperimentali del coefficiente globale di riflessione dei campioni testati in funzione della concentrazione media di NaCl nella pietra porosa superiore e curve teoriche secondo il modello di

riferimento (Dominijanni & Manassero, 2012a,b), imponendo rispettivamente un valore di sk,0c 90 mM

(linea tratteggiata, per e=4.26), sk,0c 115 mM (linea puntinata, per e=6.26), e sk,0c 80 mM (linea continua,

per e=10.37) nell’equazione (7).

L’intervallo di concentrazioni saline investigato nelle prove per la determinazione della pressione

di rigonfiamento e del coefficiente globale di riflessione non è stato tale da indurre una variazione

significativa della microstruttura dell’argilla smectitica e, di conseguenza, dei parametri di stato

considerati (e.g. Nl,AV, SEff e sk,0c ). Per tale motivo, l’approccio teorico proposto per la modellazione

del comportamento idro-chemo-meccanico delle argille smectitiche deve essere validato

considerando altri risultati sperimentali (e.g. da altre prove di permeabilità e per la valutazione

della pressione di rigonfiamento), ricavati in presenza di concentrazioni saline superiori a 200 mM

e, possibilmente, a 1 M: infatti, in tali casi, la microstruttura del materiale subisce importanti

variazioni a causa del fenomeno di flocculazione, in presenza di modeste tensioni di confinamento

(i.e. elevati valori di indice dei vuoti), con conseguente incremento del numero medio di particelle

per tactoide, Nl,AV, e decremento della superficie specifica effettiva, SEff e della concentrazione delle

cariche fisse dello scheletro solido, sk,0c . Di conseguenza, sono stati considerati i risultati

sperimentali di prove di permeabilità e prove edometriche a controllo di carico e/o a deformazione

impedita, al fine di validare il modello teorico proposto da Dominijanni & Manassero (2012a,b).

I risultati sperimentali e quelli teorici sono stati confrontati nel modo seguente:

- A partire da una serie di risultati di prove di condubilità idraulica, k su altre argille

smectitiche permeate con differenti soluzioni saline, è stata valutata la superficie specifica

effettiva, Seff mediante la seguente espressione: (Kozeny 1927; Carman 1956; Dominijanni

et al. 2013):

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0.0001 0.001 0.01 0.1 1

Co

effi

cien

te g

lob

ale

di r

ifle

ssio

ne,

g

[-]

Concentrazione media di NaCl

nella pietra porosa superiore, ct,avg [M]

e = 4.26

e = 6.26

e = 10.37

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41

3

wm m

2

m w ev sk eff

ek

3 (1 e ) ( ) ( S )

(8)

Trascurando in prima approssimazione il coefficiente di elettro-viscosità, ev, gli altri

termini riportati nell’espressione (8) sono: m = fattore di tortuosità (1), indicativo della

natura tortuosa degli effettivi percorsi di diffusione delle molecole di soluto all’interno dei

pori interconnessi, em = indice dei vuoti relativo allo spazio tra gli aggregati, ev =

coefficiente di viscosità dell’acqua, e w = peso dell’unità di volume dell’acqua.

- Sono stati stimati il numero medio di particelle per tactoide, Nl,AV e il parametro sk,0c a

partire dall’espressione (5). A partire dai valori di sk,0c stimati, sono stati ricavati mediante

l’Eq. (6), i corrispettivi valori della pressione di rigonfiamento.

- Con riferimento all’espressione (5), il grafico di Figura 29 evidenzia l’affidabilità del

modello teorico proposto, in quanto tutti i valori sperimentali della pressione di

rigonfiamento considerati, ricavati a partire da diverse prove edometriche a controllo di

carico e a deformazione impedita, su campioni di argilla smectitica permeati o idratati con

acqua deionizzata o con soluzioni saline a concentrazioni saline cs ≤ 10 mM, risultano in

accordo con l’andamento teorico atteso.

- Infine, per la valutazione del parametro Nl,AV sono stati considerati tutti i risultati

sperimentali di usw misurati a partire da vari campioni di argilla smectitica in contatto sia

con acqua deionizzata che con diverse soluzioni ioniche (Eq. 5). Tale parametro è correlato

univocamente con gli altri due parametri di stato relativi alla microstruttura e alla carica

elettrica (i.e. Seff, sk,0c ); inoltre, esso consente una valida previsione del comportamento

chimico-osmotico, idraulico e meccanico delle argille smectitiche. I valori stimati di Nl,AV

sono stati rappresentati nel grafico di Figura 30, in funzione dell’indice dei vuoti relativo

allo spazio compreso tra i tactoidi, em, e al variare della concentrazione delle soluzioni

saline in contatto con il materiale. Per ogni concentrazione considerata, ad eccezione

dell’acqua deionizzata, i valori di Nl,AV mostrano, dopo un decremento iniziale fino ad un

minimo, un andamento monotono crescente all’aumentare di em.

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42

Figura 29: Pressione di rigonfiamento, usw, in funzione dell’indice dei vuoti relativo allo spazio tra gli aggregati, em, per campioni di argilla smectitica sottoposti ad altre prove con acqua deionizzata e

soluzioni di ioni monovalenti a concentrazioni saline 10 mM

Figura 30: Numero medio di particelle per tactoide in funzione dell’indice dei vuoti relativo allo spazio tra gli aggregati, em, per campioni di argilla smectitica sottoposti a prove di conducibilità idraulica, prove osmotiche, e prove edometriche per la valutazione della pressione di rigonfiamento.

0

500

1000

1500

2000

0.00 1.00 2.00 3.00 4.00 5.00

Sw

ell

ing

pre

ss

ure

,u

sw

[kP

a]

Micro-void ratio, em [-]

Manca (2015)

Di Emidio (2010)

Seiphoori (2014)

Puma et al. (2015)

Boffa et al. (2016)

Theoretical model

(Dominijanni et al., 2013)

0.0

20.0

40.0

60.0

80.0

100.0

0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50 4.00 4.50

Nu

mb

er

of

pla

tele

ts p

er

tac

toid

[-]

Micro-void ratio, em [-]

2

1

3

4

5

6

7

8

9

10

deionized water

cs= 10 mM

Manca (2015)

sol. conc. 250 mMManca (2015)

deionized waterManca (2015)

sol. conc. 1000 mMManca (2015)

sol. conc. 4000 mMDi Emidio (2010)

deionized waterSeiphoori (2014)

deionized waterPuma et al. (2015)

deionized waterMazzieri et al. (2013)

deionized waterBoffa et al. (2016)

sol. conc. 10 mMPuma et al. (2015)

sol. conc. 500 mM

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43

6. Raccomandazioni sullo studio delle Argille Attive

La principale caratteristica delle argille attive, come precedentemente detto, è quella di subire

ampie variazioni di volume a seguito della variazione del contenuto d’acqua e/o della composizione

chimica del fluido interstiziale. Queste peculiarità influenzano fortemente il comportamento

chimico-idraulico-meccanico delle argille. Risulta pertanto particolarmente importante procedere

allo studio del comportamento di questi terreni secondo un approccio scientifico ben definito al

fine di poter comprendere a pieno le problematiche e le dinamiche che contraddistinguono i pendii

caratterizzati dalla presenza preponderante di questo tipo di argille. La finalità è quella di poter

individuare le criticità legate principalmente alle peculiarità di questi terreni e individuare in tal

modo gli interventi più adeguati per la mitigazione del rischio.

Innanzitutto, risulta necessario prevedere una accurata attività di studio in sito, finalizzata alla

delimitazione dell’area di interesse, alla ricognizione superficiale per individuare tutti i possibili

segnali dei fenomeni di instabilità quiescenti o incipienti, alla individuazione delle aree dove

eseguire i sondaggi e il campionamento, l’individuazione delle aree e la tipologia delle prove da

eseguire in sito, e l’estensione e le modalità per il monitoraggio dell’area. È opportuno definire nel

contempo la campagna sperimentale da condurre in laboratorio.

Alla luce della descrizione, seppur sintetica, sul comportamento delle argille attive, è possibile

individuare alcuni criteri che possono essere da guida nelle attività suddette. Considerata la

sensibilità che le argille attive mostrano nei confronti delle variazioni del contenuto d’acqua e della

composizione chimica dei fluidi interstiziali, risulta certamente fondamentale prevedere la misura

della suzione, del contenuto d’acqua, la valutazione della tipologia e dell’entità della falda,

compresa le misure di composizione chimica delle acque. Le attrezzature in essere (tensiometri,

sonde TDR, piezometri e sonde mono o multi-parametriche per la misura della conducibilità

elettrica, la salinità, la individuazione delle specie ioniche) consentono sia di ottenere delle misure

in campo atte a caratterizzare il terreno, sia di procedere ad un monitoraggio nel tempo

dell’andamento delle relative grandezze che influiscono sul comportamento del terreno. Tali

misure possono essere utilizzate per condurre tempestivamente delle previsioni di comportamento

del terreno, studiando l’evoluzione di possibili fenomeni di instabilità e quindi opportunamente

intervenire. Ciò è possibile solo avendo a disposizione un modello geotecnico adeguato. A tal fine

fondamentali risultano tanto le predette indagini in sito quanto e soprattutto le prove sperimentali

da condurre in laboratorio. Le prove descritte precedentemente per la classificazione e la

caratterizzazione idro-chemo-maccanica delle argille attive, devono essere condotte proprio nella

direzione di poter valutare i parametri che meglio descrivono il modello geotecnico.

6.1 Tipologie di interventi

La stabilità di un pendio può essere migliorata attraverso opportuni interventi. Tra tutte le possibili

soluzioni è necessario poter scegliere l’intervento più efficace compatibilmente con le risorse

economiche. A tale scopo, le azioni da intraprendere devono essere scelte innanzitutto valutando

attentamente i processi principali che minano la stabilità del pendio, secondariamente optando tra

le tecniche più appropriate e sufficienti ad intervenire proprio sui predetti processi, riducendone i

loro effetti sul pendio.

Per quanto riguarda i pendii caratterizzati dalla presenza di argille attive, vista la sensibilità di

questi terreni nei confronti della variazione del contenuto d’acqua e/o della variazione della

composizione ionica dell’acqua interstiziale, è evidente che tra le possibili soluzioni tecniche la

realizzazione di sistemi drenanti risulta l’azione più appropriata. I sistemi drenanti possono essere

superficiali o profondi e mirano a prevenire l’erosione superficiale, riducendo così i potenziali

fenomeni di instabilità superficiale, l’infiltrazione delle acque di ruscellamento superficiale, e più in

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generale le pressioni interstiziali lungo la superficie di scorrimento, effettiva o potenziale, con

conseguente aumento della resistenza al taglio disponibile.

Tra i principali interventi di drenaggio si distinguono le trincee, i dreni, sub-orizzontali e verticali, i

pozzi e le gallerie. Per la semplicità delle tecniche esecutive e i costi contenuti, le trincee drenanti e

i dreni tubolari sono più frequentemente utilizzati nelle applicazioni, mentre i maggiori oneri

costruttivi ed economici limitano il ricorso ai pozzi e alle gallerie drenanti (Desideri & Rampello,

2009).

Negli elementi drenanti, vuoti o riempiti di materiale di elevata permeabilità, è possibile

l’allontanamento dell’acqua drenata e il controllo della pressione del fluido interstiziale; se gli

elementi sono a contatto con l’atmosfera il sistema è detto a gravità e la pressione agente sui

contorni drenanti è pari a quella atmosferica (u = 0); se i contorni sono mantenuti ad una

pressione minore di quella atmosferica, a mezzo di pompe a vuoto, il sistema è detto sottovuoto (u

< 0).

Alcune indicazioni per ciascuna tipologia di dreni sono sintetizzate nel seguito, rimandando ai testi

specialistici per indicazioni più dettagliate e per i criteri di dimensionamento.

Le trincee drenanti hanno in genere una sezione trasversale rettangolare, di larghezza compresa tra

0.5 e 1.0 m in dipendenza dell’utensile di scavo e profondità massime di 4–5 m, se scavate con

escavatore a cucchiaio rovescio (Figura 31).

Figura 31: Sezioni tipiche di trincee drenanti (da Walker e Mohen, 1987 – modificata)

Per altezze di scavo maggiori di 2 m, le pareti devono essere adeguatamente sostenute, avendo cura

di eseguire le operazioni di scavo e il riempimento della trincea per tratti di limitata estensione in

direzione longitudinale. Trincee di maggiore profondità (5–25 m) possono essere realizzate con

tecniche analoghe a quelle impiegate per le paratie di pali secanti o di pannelli rettangolari,

utilizzando, ove necessario, fanghi polimerici per il sostegno delle pareti di scavo.

La funzione drenante delle trincee viene esplicata dal materiale di riempimento, costituito da

terreno a grana grossa, che deve essere protetto mediante un filtro in geotessile per evitare il suo

progressivo intasamento per effetto del trasporto di materiale fine durante il processo di drenaggio.

Inoltre alla base della trincea si dispongono 1–2 tubi finestrati di 100-200 mm di diametro,

anch’essi rivestiti di geotessile. Nella parte superiore del dreno si dispone una protezione per

impedire l’infiltrazione diretta delle acque superficiali e il trasporto di materiale fine. La

disposizione planimetrica delle trincee è sempre longitudinalmente in direzione monte – valle

(Figura 32a). Una altra configuraziona adottata è quella cosiddetta “a spina di pesce” (Figura 32b).

Infine, è buona norma prevedere la realizzazione di pozzetti di ispezione per permettere il

periodico lavaggio dei tubi di drenaggio.

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45

(a) (b) Figura 32: (a) Schema di trincee drenanti parallele; (b) Schema di trincee drenanti con rami secondari (da Pun e Urciuoli, 2008 - modificata)

I dreni sub-orizzontali sono costituiti da un insieme di fori sub-orizzontali di piccolo diametro

eseguiti con pendenze verso valle maggiori del 3 %, in modo da allontanare l’acqua per gravità.

All’interno dei fori viene inserito un tubo finestrato, di diametro pari a 100 - 120 mm, dotato di un

tappo di fondo e rivestito da un filtro in geotessile per impedire il trasporto di materiale fine

all’interno del dreno. I tubi drenanti possono rappresentare l’unico sistema profondo di drenaggio

oppure, più frequentemente, essere collegati a gallerie o a pozzi drenanti in modo tale da allargarne

il raggio di influenza. Possono, pertanto essere installati in direzione parallela al pendio a partire

dal piano di campagna, su uno o più livelli a diverse quote, con opportuna sfasatura tra i dreni dei

diversi livelli, o, radialmente, dall’interno di pozzi che possono essere realizzati su una o più file

trasversalmente al pendio (Figura 33). Se i dreni di uno stesso livello sono installati a piccoli

interassi, l’effetto complessivo del sistema è quello di un piano drenante. È stato mostrato che

interassi minori o uguali al 20% della lunghezza dei dreni sono sufficienti per produrre questo

effetto (Di Maio et al.,1988). Per garantire l’efficacia nel tempo di un sistema di dreni tubolari è

necessaria una manutenzione periodica che preveda il lavaggio dei tubi con acqua o aria in

pressione; in assenza di tale manutenzione la vita utile di un sistema di dreni è di circa 15-20 anni.

Figura 33: Schema di dreni tubolari installati da pozzi (da Pun e Urciuoli, 2008 - modificata)

I pozzi drenanti sono opere di drenaggio profondo (oltre i 10 m) di medio (1-1.5 m) e grande

diametro (pozzi di diametro superiore anche ai 5 m con sistema drenante diffuso di microdreni),

utilizzate per assolvere la funzione di drenaggio e controllo delle falde freatiche. Oltre ad

intercettare le acque sotterranee e ad abbattere sensibilmente il livello di falda, i pozzi, nel caso in

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46

cui si immorsino nel terreno stabile al di sotto della potenziale superficie di rottura, esercitano

un’aggiuntiva funzione di sostegno del corpo di frana. I pozzi drenanti possono essere realizzati

isolatamente, abbinati sovente a dreni sub-orizzontali e gallerie drenanti, oppure in

giustapposizione, in modo tale da formare una sorta di paratia drenante; in quest’ultimo caso il

foro viene riempito con materiale drenante e lo scarico delle acque avviene per gravità. Un esempio

di un pozzo drenante a grande diametro è mostrata in Figura 34.

Figura 34: Sezione tipo di pozzo drenante di grande diametro, in calcestruzzo armato, munito di dreni sub-orizzontali a raggiera, posti su più livelli (da manuale APAT, 2002).

Le gallerie drenanti (Figura 35) hanno lo scopo di ridurre il carico idraulico all’interno del corpo di

frana, raccogliendone le acque ed allontanandole dalla zona da stabilizzare. Le acque del sottosuolo

vengono intercettate direttamente dalla galleria e per mezzo di dreni scavati dal tetto e dalle pareti

della galleria sulla massa sovrastante. Vengono realizzate nei terreni stabili circostanti alla massa

in frana e possono essere raccordate a pozzi verticali di grande diametro. Il sistema è costituito da

una galleria di piccole dimensioni (sezione alta 1.8-2 m e larga 1-2 m), tali comunque da

consentirne l’ispezione e la manutenzione, dalla quale generalmente si diparte una serie di

drenaggi scavati sulla massa sovrastante. Sono scavate prevalentemente con sistemi tradizionali

utilizzati nelle gallerie, ma recentemente sono state documentate applicazioni in cui è stata

introdotta anche la tecnica del microtunnelling (Angeli M.G. e Pontoni F., 2002).

Figura 35: Drenaggio profondo realizzato con galleria drenante e reti di tubi drenanti sub-orizzontali (da manuale APAT, 2002).

Una tipologia di intervento per la stabilizzazione di pendii costituiti prettamente da argille attive

che può risultare particolarmente adatta è il trattamento chimico del terreno allo scopo di

migliorarne le caratteristiche fisiche e meccaniche. Come già descritto precedentemente la

variazione della concentrazione ionica dell’acqua interstiziale comporta una sensibile variazione

della resistenza del terreno (se la concentrazione ionica si abbassa per apporto di acque dolci di

varia origine - meteoriche percolanti e/o di falda circolanti nel sottosuolo), si possono verificare

delle modificazioni significative delle caratteristiche chimico-fisiche e microstrutturali, con

conseguente diminuzione della resistenza del terreno argilloso. L'aggiunta di additivi chimici nel

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terreno consente di migliorare le caratteristiche di consistenza e resistenza del terreno. Tra i vari

tipi di sale sperimentati in questo tipo di trattamento, il cloruro di potassio (KCl) è quello che ha

dato i migliori risultati ed è quindi più frequentemente impiegato negli interventi di stabilizzazione

del terreno. L'inserimento e la diffusione del sale nel terreno avviene mediante “pali”, di circa 10-15

cm di diametro, dello stesso sale, inserito entro le colonne di perforazione in forma granulare allo

stato secco. Le perforazioni sono spinte nel terreno in frana fino a raggiungere il substrato stabile e

più resistente (fino a 15-20 m). Un altro sistema, di più recente applicazione, consiste nel miscelare

il sale all'argilla entro il foro di carotaggio contemporaneamente alle operazioni di scavo. Il

processo di diffusione del sale nel terreno è innescato dalle acque meteoriche e da quelle della falda

circolanti nel sottosuolo. Questo processo è molto lento ed occorrono almeno 10-20 mesi perché

produca significativi miglioramenti delle proprietà meccaniche del terreno. In questa tipologia di

intervento risulta essenziale il monitoraggio della componente ionica dell’acqua di filtrazione, in

quanto vi è la possibilità di inquinamento delle acque di falda a seguito dell'immissione dei sali nei

fori di perforazione.

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48

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