Linee guida per favorire la partecipazione politica dei cittadini di Paesi terzi

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Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali Progetto cofinanziato da Unione Europea Fondo Europeo per l’Integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi LINEE GUIDA PER FAVORIRE LA PARTECIPAZIONE POLITICA DEI CITTADINI DI PAESI TERZI IPPI IPPI – IMMIGRATI, PARTECIPAZIONE POLITICA E INTEGRAZIONE FEI-2012-Azione 8, Scambio di esperienze e buone prassi, PROG-104467

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Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali

Progetto cofinanziato da Unione Europea

Fondo Europeo per l’Integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi

LINEE GUIDA PER FAVORIRE LA PARTECIPAZIONE POLITICA DEI CITTADINI DI PAESI TERZI

IPPI

IPPI – IMMIGRATI, PARTECIPAZIONE POLITICA E INTEGRAZIONEFEI-2012-Azione 8, Scambio di esperienze e buone prassi, PROG-104467

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IMMIGRATI PARTECIPAZIONEPOLITICA INTEGRAZIONE

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IPPIIPPILe Linee Guida per favorire la partecipazione politica dei cittadini di Paesi terzi sono state redatte dall’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali come prodotto finale del progetto IPPI – Immigrati, Partecipazione Politica e Integrazione, finanziato dal Ministero dell’Interno – Dipartimento per le Libertà Civili – Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo – Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi 2007-2013(FEI 2012 - Azione 8, Scambio di esperienze e buone prassi, PROG-104467). Le Linee Guida sono il risultato della ricerca e degli scambi che hanno avuto luogo in Italia e nei meeting transnazionali realizzati in Irlanda (Dublino), Germania (Kiel e Amburgo), Spagna (Barcellona) e Svezia (Stoccolma), nel corso dei quali una delegazione italiana composta da rappresentanti di alcuni partiti del centro-sinistra (Partito Democratico, Sinistra, Ecologia e Libertà e Rifondazione Comunista) e di alcune associazioni di immigrati (Associazione Besa, Associazione Griot, Associazione Questa è Roma, Associazione Rete TogethER, Consiglio di coordinamento delle associazioni ucraine in Italia) ha avuto modo di confrontarsi con un’analoga delegazione del paese ospite sulle forme di partecipazione politica dei cittadini di Paesi terzi.

Il progetto IPPI è stato realizzato dall’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali con la collaborazione di quattro soggetti esteri aderenti: The Integration Centre di Dublino, CJD-Eutin di Amburgo, l’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e la Stockholms Universitet di Stoccolma.

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La Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale

Strasburgo, 5 febbraio 19921

Capitolo A – Libertà di espressione, di riunione e di associazione Articolo 3Ciascuna Parte si impegna, con riserva delle disposizioni dell’art. 9, a garantire ai residenti stranieri alle stesse condizioni che ai suoi cittadini: a) il diritto alla libertà di espressione[…];b) il diritto alla libertà di riunirsi pacificamente, ed alla libertà di associazione, compreso il dirittodi fondare sindacati assieme ad altri, e di affiliarsi a sindacati per la difesa dei propri interessi. In particolar modo, il diritto alla libertà di associazione implica il diritto per i residenti stranieri, di creare le loro associazioni locali a fini di assistenza reciproca, di conservazione e di espressione della loro identità culturale o di difesa dei loro interessi riguardo a questioni di competenza della collettività locale, nonché il diritto di aderire ad ogni associazione.

Articolo 4CiascunaPartefainmodochesforzieffettivisianopostiinattoperassociareiresidentistranierialleinchiestepubbliche,alleproceduredipianificazioneeaglialtriprocessidiconsultazionesullequestionilocali.

1 La Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, denominata di Strasburgo, adottata dal Consiglio d’Europa il 5 febbraio 1992 ed entrata in vigore il 1º maggio 1997, sancisce l’inclusione sociale e politica dei residenti stranieri nella vita delle comunità locali, nelle parti:

- A-Libertà di espressione, di riunione e di associazione;- B-Organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale;- C-Diritto di voto alle elezioni locali.

L’Italia ha ratificato di tale Convenzione (legge 8 marzo 1994, n. 203) limitatamente i capitoli A e B, escludendo l’intera Parte del capitolo C, perché ritenuta in conflitto con l’art. 49 della Costituzione.

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IPPICapitolo C – Diritto di voto alle elezioni locali

Articolo 6Ciascuna Parte si impegna con riserva delle disposizioni dell’art. 9, paragrafo 1, a concedere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni locali ad ogni residente straniero, a condizione che questi soddisfi le stesse condizioni prescritte per i cittadini ed inoltre che abbia risieduto legalmente ed abitualmente nello Stato in questione nei cinque anni precedenti le elezioni.Uno Stato contraente può tuttavia dichiarare all’atto del deposito delsuostrumentodiratifica,diaccettazione,diapprovazioneodiadesione che intende limitare l’applicazione del paragrafo 1 al solo diritto di voto.

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Convenzionesullapartecipazionedegli stranierialla vita pubblicaa livello locale

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PARTE I

INTRODUZIONE IPPI

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La partecipazione politica dei cittadini di Paesi terzi è un aspetto centrale delle politiche di inclusione e va acquisendo un peso sempre maggiore nel dibattito giuridico-politico sull’immigrazione, non solo a livello italiano ma anche a quello europeo. Prima di addentrarci nell’analisi dei livelli di partecipazione politica dei cittadini di Paesi terzi in Italia e negli altri Stati membri coinvolti nel progetto, è opportuno inquadrare la questione con alcuni elementi che delineano lo scenario italiano. Vale ricordare, in primo luogo, la mancanza di consolidamento storico che caratterizza i partiti politici (l’anno di fondazione dei principali partiti, nei quali sono confluite vecchie formazioni partitiche che hanno dominato la scena politica sino alla fine degli anni ’90, risale infatti a non più di cinque anni fa) e una forte frammentazione del sistema partitico (in seguito alle elezioni del 2013, il numero dei partiti rappresentati in Parlamento ammonta a 22, a cui occorre aggiungere 24 altre formazioni attualmente operative, ma escluse dai luoghi della rappresentanza nazionale). Inoltre, occorre sottolineare che l’ordinamento giuridico vigente, a differenza di quanto accade in altri Paesi europei, prevede la libertà di associarsi in partiti solo per coloro che abbiano lo status di cittadini (art. 49 della Costituzione Italiana).In generale, la dottrina giuridica colloca il diritto a concorrere all’associazionismo partitico (adesione, fondazione o co-fondazione) tra quelli propri del solo status di cittadino2, nonostante diversi trattati comunitari riconoscano il diritto all’equità nel trattamento dei cittadini di Paesi terzi.

2 Le formazioni partitiche create in Italia, che vedono gli stranieri in posizioni dirigenziali o di co-fondazione, come il Pir-Partito italiano dei romeni, il Movimento dei nuovi italiani e Nuovi italiani Partito immigrati, si inseriscono nell’ambito sia della cittadinanza comunitaria, che riconosce la titolarità anche del diritto elettorale sia attivo che passivo, sia dei processi di naturalizzazione e di doppia cittadinanza.

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IIntroduzione

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Il 5 febbraio 1992 veniva adottata dal Consiglio d’Europa la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, denominata di Strasburgo. Tale Convenzione, entrata in vigore il 1º maggio 1997, sancisce l’inclusione sociale e politica dei residenti stranieri nella vita delle comunità locali anche attraverso la concessione del diritto di voto alle elezioni locali.Accanto a ciò la normativa comunitaria è intervenuta ripetutamente per favorire l’inclusione sociale e per migliorare le condizioni per l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi regolarmente residenti nell’UE. Dal Consiglio europeo di Tampere del 1999 era già emersa la necessità di offrire ai cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti nei Paesi membri “diritti ed obblighi comparabili a quelli dei cittadini dell’Unione europea”, al fine di “favorire la non discriminazione nella vita sociale, economica e culturale”, mediante anche il ravvicinamento dello status giuridico dei cittadini di Paesi terzi a quello dei cittadini dell’Unione europea.Tale politica comune europea è stata rafforzata a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. All’art. 79 del TFUE si indicano gli obiettivi della politica comune europea sull’immigrazione, che dovrebbe assicurare anche quello dell’equo trattamento dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri.Tale enunciato volto ad assicurare equità nel trattamento dei cittadini di Paesi terzi trova riscontro già nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e successivamente nella Carta europea dei diritti fondamentali, pienamente vincolante dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ed avente lo stesso valore giuridico dei trattati, vincolando anche gli Stati membri quando attuano il diritto dell’Unione europea.Nell’art.11, che sancisce la libertà di riunione e di associazione, si ribadisce che “ogni individuo ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi”.Il fatto che tale norma abbia fatto uso dell’espressione “ogni persona” piuttosto che quella di “ogni cittadino dell’Unione”, fa ritenere che essa faccia riferimento non solamente ai cittadini dell’Unione, ma all’insieme delle persone regolarmente soggiornanti nel territorio degli Stati membri.Pur ribadendo il principio di libera associazione, la menzione esplicita riguarda comunque all’art.12 il solo diritto alla libera riunione sindacale, non partitica. Rispetto alla libera associazione in formazioni di tipo partitico, la Carta enuncia come debbano essere i partiti politici a livello dell’Unione a contribuire ad esprimere la volontà politica dei cittadini dell’Unione.Nella Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, si prevede un trattamento paritario su tutto il territorio europeo, indipendentemente dal paese dell’UE di residenza per i residenti di lungo periodo, i quali godono, secondo quanto riportato al punto ‘g’ dell’ art.11, degli stessi diritti riconosciuti ai cittadini dell’Unione per quanto riguarda la libertà di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni di lavoratori o di datori di lavoro e libertà di rappresentare tali organizzazioni.

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In questo quadro, l’assenza di una chiara policy e di precisa regolamentazione riguardo le forme di rappresentanza politica degli immigrati, ha lasciato che alcune amministrazioni comunali avviassero alcune sperimentazioni nel coinvolgimento della popolazione straniera, con una gamma di sfumature molto differenti tra di loro.Si può osservare che il tratto comune che lega queste esperienze è il superamento del legame tra cittadinanza e diritti politici e l’offerta di uno spazio di presenza e partecipazione attraverso l’istituzione di Consulte o della figura del Consigliere Aggiunto, quali forme di rappresentanza consultiva della popolazione immigrata all’interno delle istituzioni previste dall’ordinamento (D.P.R. del 31 Agosto 1999, n. 394).Queste forme di partecipazione politica presentano molti punti deboli, dal momento che gli organismi consultivi, istituzionali o associativi, restano di fatto esclusi dai processi decisionali, né rivestono alcun ruolo strutturale sul piano istituzionale; tuttavia, essi costituiscono comunque, in un paese come l’Italia, che ancora non riconosce ai cittadini di Paesi terzi il diritto di voto neanche a livello amministrativo, un’esperienza di elevato valore simbolico volta a conferire voce e a offrire modelli di partecipazione che comunque spingono il contesto ospite verso una riflessione e una più ampia consapevolezza in materia.

Come ulteriore elemento, osservando gli statuti dei partiti e i regolamenti interni, che definiscono anche i sistemi di partecipazione, si evince che là dove si è aperta possibilità di iscrizione anche ai cittadini dei paesi Terzi (quasi tutti i principali partiti in Italia non legano la possibilità di iscriversi al possesso della cittadinanza italiana) non sono specificate in alcun modo le differenze tra cittadini italiani e stranieri e in particolare le modalità di coinvolgimento di questi ultimi. Se possiamo definire tale situazione una forma di apertura e di relazione continuativa tra immigrati e partiti politici, dobbiamo però rilevare che gli spazi di partecipazione per i cittadini stranieri sono spesso rimasti confinati sulle tematiche dell’immigrazione.

Infatti, i partiti non sono riusciti, nella maggior parte dei casi, a superare una forma di “ghettizzazione tematica” dei cittadini con background migratorio sui temi dell’immigrazione, anche per coloro che hanno assunto ruoli politici di primo piano sulla scena nazionale. L’agibilità limitata riconosciuta ai cittadini stranieri viene spesso considerata strumentale alle battaglie del partito, utilizzata in sostanza come una bandiera che possa rivelare l’inclusività e la maggiore apertura rispetto agli schieramenti di parte contrapposta.

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Infine, occorre ricordare che il tema dell’immigrazione dal punto di vista politico è sempre stato trattato in modo molto ideologico. Ciò ha comportato spesso una polarizzazione delle scelte tra i diversi schieramenti ed una difficoltà a trovare soluzioni condivise rispetto alla elaborazione delle politiche di integrazione. Di conseguenza, le scelte di inclusione per favorire la partecipazione attiva degli immigrati sono state molto condizionate da questa situazione che ancora oggi connota i partiti e che spesso ha dato vita ad una visione distorta o quantomeno semplificata del fenomeno migratorio in Italia. La partecipazione politica dei cittadini con background migratorio, specie dove ha comportato l’indicazione di candidati in liste elettorali per le elezioni nazionali, è in sostanza stata utilizzata come una mossa di comunicazione politica più che corrispondere ad una effettiva e concreta apertura del partito alla diversità. Di fatto, continua a mancare un reale e proficuo coinvolgimento degli immigrati negli altri settori di policy3.

Di conseguenza, le esperienze di partecipazione politica degli immigrati presentano aspetti molto complessi e a volte contraddittori, che condizionano e non rendono tali esperienze realmente complete. Infatti, una presenza politica, peraltro ancora residuale, confinata sul tema dell’immigrazione, si traduce in una possibilità di rappresentanza limitata che in alcuni casi (i migliori), può essere comunque portatrice delle istanze e delle problematiche di interesse delle comunità migranti, ma che per sua stessa natura non è quasi mai determinante nei processi decisionali. Il limite di questo tipo di rappresentanza è quello di rimanere nell’alveo del “prendere parte” e non “dell’essere pienamente parte”, non favorendo quel doppio processo che attraverso la partecipazione favorisce la piena appartenenza ad una realtà e ad un gruppo e nello stesso tempo permette di contribuire ai processi decisionali. Se è vero, inoltre, che oggi il tema della partecipazione e di una cittadinanza attiva più inclusiva e aperta al contributo di tutti, è all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, è pur vero che i partiti, in particolar modo rispetto ad altri attori sociali, scontano una crisi di fiducia che ha portato ad un certo distacco dalla società e dalle sue istanze; d’altra parte, è altrettanto evidente che i cambiamenti avvengono solo attraverso processi di partecipazione attiva che vanno facilitati e sostenuti proprio da chi cerca una nuova legittimazione democratica.

3 Seppur rimanendo su numeri ancora circoscritti, occorre comunque registrare diverse esperienze di eccellenza in merito alla partecipazione e all’attivismo politico, in particolare nelle aree del nord d’Italia, oltre che in Toscana. In tali contesti, si registra un significativo numero di amministratori di origine straniera eletti nelle amministrazioni pubbliche di comuni piccoli o grandi.

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Solo attraverso un cambiamento di mentalità e un passaggio che è il riconoscimento pieno delle persone immigrate e del contributo che possono dare come cittadini che hanno scelto di contribuire alla costruzione del bene comune, si potrà superare il gap ancora presente verso la piena partecipazione auspicata anche a livello europeo.

È evidente infatti come il problema della partecipazione politica assuma per gli immigrati significati ben più vasti della mera tutela degli interessi politici, per ascriversi in quello più ampio della rappresentanza. La rappresentanza infatti costituisce la condizione per il riconoscimento sociale e politico da parte delle istituzioni, delle altre rappresentanze e della società. È solo con la rappresentanza che diventa possibile quella reale partecipazione, intesa nella sua duplice accezione di prendere parte a e di essere parte di. In questo modo, la rappresentanza configura un’appartenenza che abilita ad agire per influenzare il processo decisionale e conduce al problema della definizione degli immigrati come soggetto politico portatore di specifiche istanze dinnanzi ai partiti.

In questo modo rappresentanza e rappresentazione si saldano e quest’ultima diventa la precondizione del riconoscimento sociale e politico dell’immigrato da parte del partito – e per questa via da parte delle istituzioni e della società. Attraverso di esso viene resa così possibile una più ampia partecipazione, la quale, in condizioni di maggiore equità, ha modo di costruirsi nel complesso delle relazioni dialettiche, propositive, conflittuali e di mediazione con le istituzioni e con le altre rappresentanze etniche o autoctone presenti nel territorio. In questo modo, l’esercizio della rappresentanza, che necessita di incentivi, condizioni politiche, efficacia e credibilità, viene a costituire un’autentica pedagogia alla cittadinanza democratica – sia per gli autoctoni sia per gli immigrati.

La rappresentazione diventa allora la precondizione del proprio riconoscimento sociale e politico da parte del partito – e per questa via da parte delle istituzioni e della società – e attraverso di esso viene resa possibile una più ampia partecipazione

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PARTE II | LA PARTECIPAZIONE POLITICA DEI CITTADINI DI PAESI TERZI

IN ITALIA, IRLANDA, GERMANIA E SPAGNA IPPI

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Introduzione

Al di là delle differenze rispetto alla partecipazione politica e all’accesso all’elettorato attivo e passivo riscontrato nei paesi interessati dal progetto IPPI, due elementi sembrano essere trasversali alle diverse esperienze registrate, il primo legato alla scarsa o ridotta presenza dei cittadini di Paesi terzi nelle assemblee municipali e di quelli di origine immigrata nei parlamenti nazionali; il secondo legato alla mancanza di dati quali-quantitativi riguardo la loro iscrizione ai partiti e partecipazione politica. Nessun partito adotta infatti un sistema di rilevazione e monitoraggio degli iscritti sulla base della cittadinanza, con il risultato che molto poco si sa sull’effettiva partecipazione degli immigrati e di coloro che hanno un background migratorio e su quanto le loro caratteristiche e il loro numero siano proporzionali all’effettiva presenza sul territorio rispetto alla popolazione autoctona.

1. La normativa sulla partecipazione politica dei cittadini dei Paesi terzi

In quasi tutti i Paesi europei coinvolti nel progetto, solo i cittadini godono del diritto di elettorato attivo e passivo a livello nazionale.A livello municipale la situazione per i cittadini dei Paesi terzi è invece più varia: le legislazioni più restrittive si trovano in Italia e in Germania dove cittadini provenienti da Paesi terzi, pur potendo militare all’interno dei partiti politici, sono invece esclusi dal voto a livello amministrativo (sia attivo che passivo).In Spagna, godono del diritto di elettorato attivo e passivo a livello municipale e regionale solo quei cittadini di Paesi terzi il cui paese ha firmato un accordo di reciprocità in merito alla partecipazione politica con lo Stato spagnolo (la maggior parte di tali paesi sono latinoamericani).In Irlanda, i cittadini di Paesi terzi regolarmente residenti possono prendere parte alle elezioni, dal 1963, come elettori passivi, e dal 1974 anche come elettori attivi, mentre in Svezia (dal 1974) un cittadino di origini immigrate che risieda legalmente da almeno tre anni, può partecipare sia come elettore che candidato alle elezioni municipali.Considerando questo quadro alla luce delle normative riguardanti la naturalizzazione e la doppia cittadinanza, che in alcuni paesi pongono pochi vincoli (in Irlanda e in Svezia i cittadini di Paesi terzi possono acquisire la doppia cittadinanza dopo 5 anni) e in altri sono parzialmente o molto restrittive (in Italia e, per molte cittadinanze anche in Spagna, i cittadini di Paesi terzi hanno diritto alla cittadinanza

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II La partecipazione politica dei cittadini di Paesi terzi in Italia, Irlanda,Germania e Spagna

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solo dopo 10 anni; in Germania dopo otto anni e la doppia cittadinanza non è in molti casi consentita), sembra che per i cittadini di Paesi terzi le possibilità di partecipazione alla politica non solo non siano ampiamente permesse ma neppure siano distribuite in modo equo. Del resto, basti pensare al fatto che anche in quei Paesi dove gli immigrati hanno maggiori diritti politici, come in Irlanda e in Svezia, questi ultimi sono comunque sottorappresentati nei parlamenti locali. Non a caso, molti politici e rappresentanti delle organizzazioni di immigrati nei Paesi membri vedono in questa situazione di ineguaglianza politica un nodo critico. In particolare, essi sottolineano il ruolo che i partiti politici possono avere nella promozione del diritto di voto dei cittadini stranieri, anche se il diritto al voto a livello municipale viene visto ormai come una parziale conquista, per la limitata rappresentatività e rappresentazione che esso offre (e che si traduce anche in un ridotto interesse a partecipare da parte dei cittadini di Paesi terzi a tali competizioni elettorali). Certo è che persiste una difficoltà da parte dei partiti politici a suscitare interesse anche per l’attivismo politico e ad attirare persone di origine immigrata nella vita dei partiti; non poco peso giocano a questo riguardo, oltre alle barriere di tipo formale, anche barriere di tipo informale.

2. Possibilità di iscrizione ai partiti politici

Accesso: in tutti i Paesi aderenti al progetto IPPI non esistono ostacoli per i cittadini di Paesi terzi nel diventare membri di un partito politico: essi possono infatti aderire a tutti i principali partiti politici, anche se in alcuni casi devono soddisfare alcuni requisiti minimi di residenza. Per facilitare l’iscrizione, alcuni partiti hanno istituito forum speciali, gruppi e campagne mirate specificamente a persone di origine straniera – indipendentemente dalla loro cittadinanza – al fine di favorirne la partecipazione e il coinvolgimento. Tutto ciò spesso si traduce nella pubblicazione di materiale informativo, nella costruzione di siti web in diverse lingue e nella formazione di gruppi delegati ad avvicinare in modo specifico gli stranieri sul territorio.È soprattutto attraverso il contatto diretto e interpersonale che molti politici con un background migratorio si sono avvicinati e poi iscritti a un partito, molte volte incoraggiati anche dalla funzione di stimolo che per il ruolo ricoperto potevano dare ad altri immigrati in termini di motivazione alla partecipazione politica.Vale la pena notare che in Italia e in Spagna, a differenza di altri paesi, sono state in molti casi le associazioni e i sindacati a rappresentare un’arena per la formazione politica e un trampolino di lancio verso i partiti per i cittadini di Paesi terzi.Certo è che oggi i partiti politici scontano, in termini di adesioni, un distacco e una sfiducia della popolazione nel suo insieme – inclusa la componente di origine immigrata – nei confronti della politica in generale. Attrarre nuovi iscritti è il compito che i partiti sono sempre più chiamati ad assolvere e, talvolta, nuove forme sperimentali vengono poste in essere per sollecitare interesse ma anche per avvicinare gli immigrati e i nuovi cittadini alla politica. In Irlanda, ad esempio, a partire dal 2011, è stato istituito un programma mirato (“Opening Power

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to Diversity”) che vede immigrati (cittadini non-UE) lavorare come stagisti a fianco dei politici nazionali (due giorni la settimana per sei mesi). Ciò ha permesso di trasmettere conoscenze e generare empatia verso il sistema politico fra i cittadini immigrati o con background migratorio e allo stesso tempo sostenere l’avvio di un percorso di apertura da parte dell’establishment politico verso la diversità culturale. La socializzazione politica: la socializzazione alla politica attraverso le organizzazioni giovanili dei partiti rappresenta una forma importante di mediazione per l’accesso all’arena politica, in particolare grazie a specifici programmi di mentoring, accoglienza e formazione che aiutano i nuovi membri a comprendere la struttura del partito e le sue politiche. Chi, al contrario, non ha seguito questo percorso rischia di trovare maggiori ostacoli alla costruzione di una pratica e di un linguaggio politico, in particolare se privo di precedente cultura politica. La cultura del partito: in generale sembra essere diffusa una certa chiusura nei confronti dell’inclusione dei nuovi componenti di origine immigrata da parte di quei membri del partito più fortemente radicati e da tempo presenti. Nel complesso, i partiti fanno fatica ad adattare la loro organizzazione alla diversità dei vari iscritti, e le stessi abitudini locali, anche in termini di orario per la programmazione degli incontri, rischiano di legittimare indirettamente pratiche di esclusione.

3. Percorsi e ruoli dei politici con background migratorio

Percorsi politici: la maggior parte dei politici di origine straniera che sono stati intervistati nel corso del progetto sostiene di aver avuto a che fare con il tema dell’immigrazione e dell’integrazione almeno una volta durante la propria carriera politica. Molti di loro hanno avuto un reale interesse per questo tema, facendone un punto centrale della propria attività all’interno del partito mentre altri hanno dovuto accettare, loro malgrado, il ruolo di “ambasciatori” della causa dell’immigrazione. In Italia e in Spagna, ad esempio, la maggioranza dei politici immigrati o di origine immigrata è arrivata a occupare questi ruoli grazie al proprio coinvolgimento nelle associazioni “etniche” e di conseguenza il lavoro che questi politici svolgono s’incentra quasi esclusivamente sul tema dell’immigrazione.L’Irlanda, d’altro canto, rappresenta un’eccezione. Qui le sezioni locali dei partiti giocano un ruolo molto importante e i candidati devono dimostrare di essere dei veri e propri rappresentanti della comunità dove risiedono per essere eletti.Infatti, quasi tutti i candidati di origine straniera dal 2009 ad oggi hanno concentrato la loro campagna politica su iniziative volte al miglioramento della vita della comunità in generale, mettendo in evidenza più la loro appartenenza “locale” che non l’origine “etnica”.Certo è che l’immigrazione e l’integrazione sono temi che i cittadini di Paesi terzi che aspirano ad avere ruoli politici possono far propri più facilmente, anche solo come strategia, per trovare spazio all’interno del partito rispetto alle altre tematiche più ampie, ma dove

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la concorrenza è più elevata. Detto ciò, è anche vero che all’interno del mondo politico si pensa che chi si occupa del tema dell’immigrazione non raggiungerà mai le cariche più alte del potere, proprio perché questo tema non rappresenta il principale interesse del (potenziale) bacino elettorale. Non è poi inusuale che ai politici cittadini di Paesi terzi o con background migratorio venga affidato un ruolo di mediazione tra il partito e le comunità migranti, ruolo che però rischia di “intrappolarli” tra le aspettative della comunità migrante e quelle dei partiti. L’ambivalenza del ruolo di mediatore dei rappresentanti politici in generale e l’etnicizzazione in particolare è visto con una certa ambiguità da alcuni membri dei partiti e dai rappresentanti delle comunità d’immigrati: da un lato, la mobilitazione di elettori tra gli immigrati è sicuramente un elemento di successo per un partito, ma dall’altro lato rischia di determinare una lettura del successo politico dell’immigrato come eccessivamente dipendente dal favore concesso dai propri connazionali o dagli altri immigrati e non da tutto l’elettorato.Certo è che dal punto di vista delle comunità migranti, i politici di origine straniera svolgono un ruolo importante in quanto inseriscono temi di rilevanza per le comunità di immigrati nei partiti. D’altra parte, le stesse comunità di immigrati spesso dubitano che i politici di origine straniera siano coinvolti dai partiti solo per conquistare la fiducia di quella parte dell’elettorato che attribuisce un valore positivo all’apertura verso la diversità culturale. I rappresentanti delle comunità immigrate accusano i partiti di concessioni meramente “simboliche” verso gli stranieri e di strumentalizzare i funzionari politici di origine straniera usandoli come “rappresentanti etnici”, senza realmente curarsi di utilizzare il loro particolare know-how né di dare loro la possibilità di crescere all’interno del partito.

La procedura di candidatura ed il ruolo del background migratorio: durante la procedura di candidatura, diversi fattori contribuiscono ad accrescere le possibilità di essere candidato. Il criterio più importante è la capacità di networking, sia fuori che all’interno del partito. Tali network sono spesso di tipo informale, consolidatisi durante un lungo arco di tempo. Per gli immigrati che spesso sono entrati a far parte dei partiti non più da giovani e, a differenza dei loro colleghi autoctoni, non hanno già stabilito una fitta rete di conoscenze, la mancata costruzione di un network ampio può rappresentare un fattore di criticità. Altri criteri che possono influenzare favorevolmente le chance di essere candidati sono, per esempio, una determinata competenza che può essere utile al partito, l’esperienza, l’appartenenza ad un’organizzazione locale oppure criteri legati all’identità (età, sesso, provenienza). Ovunque ci siano elettori stranieri da conquistare, questi criteri diventano sempre più importanti, così come dimostrano quelle zone con una popolazione ad alta densità di immigrati in cui i funzionari e i leader di partito inseriscono, come avviene ad esempio in Germania, Spagna e Italia, candidati di origine straniera nelle proprie liste.Degli intervistati di origine immigrata, la stragrande maggioranza è stata messa sulla lista direttamente dai leader di partito e la maggior parte di essi sono personalità consolidate e ben note al di fuori dai partiti. Ciò dimostra sicuramente la volontà dei leader nel voler incrementare la rappresentanza delle comunità straniere ma, allo stesso tempo, esprime mancanza di trasparenza nella formazione delle liste. Questa mancanza di trasparenza può inoltre ostacolare l’accettazione di nuove figure

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di origine straniera all’interno dei partiti e spingere a leggere questo come un tentativo di ampliare la rappresentanza attraverso i sistemi di quote a danno della legittima aspettativa al riconoscimento delle competenze. In Svezia, i politici di origine straniera non reputano di essere stati scelti semplicemente per attirare i voti delle comunità di immigrati. Ciò è in parte dovuto al metodo di selezione adottato dal comitato elettivo che sceglie i candidati all’interno dei partiti stessi.

Rischi di esclusione: nel corso della nostra indagine non sono stati segnalati casi di evidente discriminazione dai politici di origine immigrata. Alcuni intervistati hanno invece riferito di aver subito una sortadi “etnicizzazione” da parte dei colleghi di partito, i quali avrebbero ascritto il loro successo elettorale solo ai voti della comunità di origine.In altri casi, è stata riportata una tendenza a far occupare ai cittadini di Paesi terzi o con background migratorio gli ultimi posti delle liste elettorali e, laddove vengono eletti, è difficile che il loro incarico vada oltre una legislatura (il verificarsi di tale situazione è attribuita alla mancata appartenenza a un network ben consolidato, ovvero a uno stabile bacino elettorale, ragione che li rende particolarmente soggetti alla concorrenza interna al partito).

Quote trasparenti: le quote trasparenti sono richieste da organizzazioni di immigrati e rappresentanti politici di diversi paesi a tutela delle persone di origine straniera. Essi richiedono che tali disposizioni siano sancite nello statuto del partito e che si crei una situazione simile alle quote di garanzia per le donne (quote rosa). A tutt’oggi la Svezia è l’unico paese che di recente ha introdotto le quote per candidati di origine immigrata (in particolare con una quota specifica per immigrati non provenienti dai paesi nordici) ma solo in alcune aree e a livello locale. L’esempio più noto è quello delle liste di Stoccolma, dove una quota di garanzia è stata fissata in proporzione alla popolazione immigrata del distretto.Nella sua formulazione è previsto anche che tale quota debba essere ben rappresentata in quella parte della lista in cui la probabilità di essere eletti è più alta. Le quote trasparenti possono essere considerate come uno strumento per garantire l’impegno delle parti ad aumentare il numero di politici di origine straniera, al fine di garantire il loro ruolo nella società, e inoltre come misure strutturali attuate per contrastare la discriminazione.

4 Il tema della diversità e la diversità all’interno dei partiti politici

L’atteggiamento dei partiti verso la diversità: alla luce dei cambiamenti demografici, i partiti oggi percepiscono le persone di origine immigrata come un gruppo all’interno della società che non può essere ignorato. In Italia, il tema della diversità viene affrontato, pur se a volte in modo demagogico, da tutti i partiti politici, soprattutto considerando l’attenzione che viene data all’immigrazione durante le campagne elettorali, quando una forte polarizzazione emerge intorno alle posizioni di maggiore

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le associazioni di immigrati in molti paesi si stanno attivando per sensibilizzare la società civile sull’importanza del proprio ruolo “

inclusività e a quelle di maggiore chiusura, rappresentando uno dei principali argomenti in grado di attirare e spostare voti tra coalizioni di sinistra e di destra e all’interno delle alleanze stesse. In Svezia e in Germania, tutti i partiti concordano sull’importanza che ha il concetto di diversità nel dibattito relativo alla partecipazione e alla rappresentatività e sul fatto che i partiti dovrebbero riflettere tale diversità sia nei numeri dei propri iscritti sia nelle cariche. In questi paesi emerge come l’attenzione alla diversità all’interno dei partiti sia oramai una consuetudine, ma soprattutto come rappresenti anche un punto di forza.

Il razzismo e la discriminazione: fare affermazioni discriminatorie o razziste in pubblico può allontanare le persone dai partiti, in particolar modo gli stranieri, specialmente se (come già è avvenuto in Germania) i leader di partito non prendono le dovute distanze nei confronti di tali atteggiamenti. In generale, è riconosciuto che non viene fatto abbastanza per stigmatizzare gli episodi di razzismo, ragione per cui alcuni partiti stanno cercando di elaborare nuove strategie di contrasto a tali fenomeni, attivando sul territorio momenti di riflessione e di sensibilizzazione volti a diffondere una conoscenza meno stereotipata dei processi di integrazione in atto sui territori.

Il sostegno alla diversità: in Spagna e in Germania a tenere vivo il dibattito è la contrapposizione tra chi spinge per integrare gli immigrati all’interno dei partiti e chi invece suggerisce la creazione di spazi appositi per incentivarne l’inclusione. I cosiddetti “spazi sicuri” possono offrire un ambiente all’interno del quale agli immigrati viene dato il giusto riconoscimento per il loro impegno e al tempo stesso una maggiore possibilità di fare carriera politica. Questi spazi possono funzionare come dei veri e propri trampolini di lancio verso ruoli politici, rendendo i membri stranieri più visibili e facendo sì che i partiti possano apprezzare il valore di un approccio culturale attento alla diversità, anche se da alcuni vengono visti come dei luoghi “privi di potere”, che possono persino portare alla totale segregazione all’interno dei partiti.Ad ogni modo, avere delle forme di sostegno volte a incoraggiare e selezionare candidati di origine straniera (proprio come avviene per le donne) rappresenta comunque un modo per combattere la mancanza di lobby pro immigrati e in alcuni casi promuovere la diversità e combattere il razzismo. Un esempio di questo tipo di sostegno è rappresentato dal comitato migranti dei Socialdemocratici di Stoccolma. La sua forza organizzativa gli permette di influenzare il sistema politico e il numero dei rappresentanti di origine straniera all’interno dei partiti. In vista delle prossime elezioni questo comitato ha collaborato con le organizzazioni giovanili, incrementando le quote, non solo

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per le donne(percentuale imposta a livello nazionale), ma anche per i giovani e le persone di origine straniera (un aumento del 25% per le persone sotto i 35 anni, e del 25% per gli immigrati).In Germania, tutti i partiti intervistati hanno creato organizzazioni affiliate, ossia gruppi di lavoro o comitati che funzionano come punti di contatto per l’apertura interculturale dei partiti medesimi.La creazione di questi gruppi rappresenta un ottimo esempio, soprattutto al fine di evidenziare il tema della diversità rendendola parte integrante dei partiti.In Spagna, il Partito Socialista ha fondato un’organizzazione collegata al partito stesso, in cui le persone partecipano suddivise in base alla loro area geografica di provenienza. Questo partito nella propria sede ospita anche diverse associazioni di immigrati alle quali non è richiesto di essere iscritte al partito per partecipare alle sue attività. Analogamente, il Partito Convergenza Democratica per la Catalogna ha sviluppato una specifica piattaforma per favorire la partecipazione degli immigrati nel partito sulla base dell’area geografica di origine, attraverso una Fondazione ad esso connessa (Nous Catalan), coordinata dalla segreteria per l’immigrazione del partito. Collaborando con i partiti, questi gruppi hanno la possibilità di prendere parte ai dibattiti sulla questione della diversità all’interno del partito stesso. In Irlanda, il Labour Party e Fianna Fail hanno istituito la figura di “funzionario per le pari opportunità” il cui compito, tra le altre cose, è quello di sostenere il coinvolgimento delle comunità di immigrati all’interno del partito. Il funzionario, inoltre, coordina gli sforzi di sensibilizzazione in collaborazione con uno speciale sottocomitato del partito che offre soprattutto uno spazio per la formulazione di proposte politiche.

5 Le reti tra partiti politici, comunità d’immigrati e rispettive associazioni

Le associazioni di immigrati in molti paesi si stanno attivando per sensibilizzare la società civile sull’importanza del proprio ruolo. Molti sono i partiti dei paesi coinvolti nel progetto IPPI che hanno cercato in questi anni di creare un filo diretto con tali associazioni, di stabilire rapporti e forme consolidate di collaborazione, anche se di intensità e stabilità variabile. In Spagna, ad esempio, per tradizione esistono stretti rapporti tra partiti socialisti e di sinistra con le associazioni di immigrati, sulla base dei quali, in particolare quando tali partiti sono al governo, vengono attivate forme di sostegno e di partecipazione che, in concomitanza di un cambio di governo, rischiano fortemente di ridursi. In Italia e in Germania, molte associazioni di immigrati affermano che i partiti politici si ricordano di loro solo durante le campagne elettorali, e alcuni loro rappresentanti in Italia dichiarano di sentirsi sfruttati dai partiti. In diversi paesi esse svolgono un ruolo importante nella formazione politica e nella mediazione tra i partiti e le comunità straniere, anche se sono coscienti del fatto che i partiti a volte non le considerano come partner di pari livello, senza sapere, inoltre, come collaborare con esse per ottenerne il massimo apporto. In Svezia, ad esempio, alcune associazioni ritengono che nonostante il loro forte impegno nell’educazione politica dei propri membri, i partiti si mostrano sostanzialmente disinteressati nell’accettare inviti di collaborazione.

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PARTE III | LINEE GUIDA PER FAVORIRE LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI

DI PAESI TERZI NEI PARTITI POLITICIIPPI

IPPI – IMMIGRATI, PARTECIPAZIONE POLITICA E INTEGRAZIONEFEI-2012-Azione 8, Scambio di esperienze e buone prassi, PROG-104467

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IMMIGRATI PARTECIPAZIONEPOLITICA INTEGRAZIONE

IPPIIMMIGRATI PARTECIPAZIONEPOLITICA INTEGRAZIONE

III Linee Guidaper favorirela partecipazionedei cittadinidi Paesi terzinei partitipolitici

IPPI1 Favorire l’attivismo e la partecipazione alla vita dei partiti politici

◊ Permettere ai cittadini di Paesi terzi di diventare, senza alcuna restrizione, membri dei partiti e offrire spazi di partecipazione sulla base delle competenze possedute.

◊ Facilitare la possibilità di partecipazione dei cittadini di Paesi terzi alle organizzazioni della società civile quali “palestre di partecipazione politica”.

◊ Raccogliere e diffondere le esperienze e le iniziative di inclusione della diversità realizzate a livello locale e nazionale, finalizzate al coinvolgimento di altre persone con background migratorio.

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2 Favorire la partecipazione all’attività politica dei partiti

◊ La competenza interculturale e la consapevolezza della diversità devono essere promosse a tutti i livelli all’interno dei partiti, in particolare nelle associazioni (organizzazioni giovanili, gruppi locali) e attraverso attività di sensibilizzazione. Questo dovrebbe garantire, ad esempio, che le persone interessate che differiscono dalla maggioranza dei membri del partito, per etnia, religione, livello socio-economico e/o educativo, siano apprezzate e accolte favorevolmente nel partito.

◊ L’attivazione di una nuova mentalità di accoglienza è essenziale per un’apertura sostenibile del partito. Dovrebbe essere creato un clima in cui tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso, dal background professionale e/o dall’etnia, possano essere accolti e riconosciuti per le proprie competenze ed esperienze specifiche (cultura del riconoscimento). Ciò impone ai partiti di promuovere la partecipazione libera alle iniziative e di fare in modo che queste siano soprattutto calibrate sugli specifici “target group”. Inoltre, i partiti potrebbero anche dare il loro sostegno alle iniziative delle strutture locali per diffondere interesse alla vita politica tra gli immigrati, come per esempio avviene nei forum di integrazione locale in Irlanda.

◊ Programmi di mentoring e forme di accoglienza e accompagnamento potrebbero garantire ai nuovi membri di trovare rapidamente il loro posto all’interno del partito. Momenti in cui dare il benvenuto ai nuovi membri collegati a una riunione di partito potrebbero contribuire a rendere tali riunioni più “friendly”. Inoltre, in ogni sede, uno dei funzionari (ad esempio quello per le pari opportunità) potrebbe essere responsabile del momento dell’iscrizione e dell’accoglienza dei nuovi membri migranti (come accade in alcuni partiti irlandesi e tedeschi).

3 Percorsi e ruoli dei politici con background migratorio

◊ I leader dei partiti devono essere consapevoli del proprio ruolo e della propria responsabilità nella scelta delle nomine. Essi dovrebbero assicurarsi che le loro decisioni siano chiare e comprensibili a tutti e che non si utilizzino gli immigrati come elemento simbolico, al solo scopo di attrarre voti o di costruirsi una specifica competenza. A tal proposito, devono essere messi a punto programmi a lungo termine e altre misure specifiche (come le quote rosa per le donne, che in Svezia sono già una pratica diffusa e accettata da oltre 15 anni).

◊ L’inclusione di candidati di origine immigrata deve andare oltre l’etnicizzazione dei ruoli e puntare molto di più sulla valorizzazione delle competenze. In termini di riconoscimento è importante che i politici immigrati o di origine immigrata occupino posizioni pubbliche e siano ben conosciuti dalla popolazione. Ciò facilita i processi di identificazione e apre spazi di partecipazione politica per le altre persone con background migratorio.

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◊ Dove esistono commissioni per la valorizzazione della diversità all’interno dei partiti volte a favorire la partecipazione delle persone di origine immigrata, esse dovrebbero essere in grado di fare raccomandazioni di natura vincolante al comitato elettorale. La direzione del partito dovrebbe aumentare la trasparenza anche sulla composizione delle liste.

◊ Il partito dovrebbe organizzare seminari e workshop per i nuovi candidati (compresi gli immigrati). Inoltre, i partiti potrebbero anche utilizzare le modalità della raccolta fondi per aiutare e sostenere le candidature dei cittadini di Paesi terzi e di origine immigrata (consulenza, piccoli eventi di raccolta fondi). I partiti dovrebbero esplorare, anche attraverso la collaborazione con forum di immigrati o gruppi comunitari, modalità di sostegno all’individuazione e alla formazione di cittadini di Paesi terzi che mostrino particolare sensibilità e capacità nella vita politica (in tal senso le scuole di formazione sullo sviluppo della leadership costituiscono una buona pratica).

4 Il tema della diversità e la diversità all’interno dei partiti politici

◊ Si suggerisce l’adozione di un doppio approccio – top-down e bottom-up – che sostenga l’apertura alla diversità e contribuisca alla diffusione di una maggiore sensibilità interna in chiave multiculturale.

◊ Per contrastare la discriminazione etnico-razziale all’interno e all’esterno dei partiti, sono importanti azioni di sensibilizzazione sostenute anche dai leader dei partiti, affinché pongano tale questione al centro della metodologia di lavoro del partito, incoraggiando un cambiamento di mentalità.

◊ Per quanto riguarda il riconoscimento del proprio valore e delle proprie capacità, i politici di origine straniera vanno sostenuti nella possibilità di occupare ruoli pubblici, in modo che la popolazione li conosca realmente e le comunità straniere siano incoraggiate alla partecipazione politica.

◊ È fondamentale che le organizzazioni e le associazioni che promuovono la diversità lavorino a stretto contatto con i partiti.

◊ L’istituzione di una figura di riferimento per le pari opportunità o di gruppi di lavoro specifici possono fare sì che all’interno dei partiti si diffonda una maggiore consapevolezza sul tema della diversità.

◊ Al fine di sviluppare una cultura della diversità in modo sistematico, si raccomanda di raccogliere e monitorare dati su episodi di discriminazione o di esclusione.

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5 Le reti tra partiti politici, comunità d’immigrati e rispettive associazioni

◊ I partiti dovrebbero mantenere stabilmente rapporti con le organizzazioni dei cittadini stranieri, per favorire reciproche contaminazioni e avviare consuetudini di lavoro. Dovrebbero impegnarsi nell’organizzare eventi in comune e lavorare sul reciproco scambio per incoraggiare un clima di collaborazione e fiducia. Inoltre, i partiti potrebbero avviare forme anche sperimentali di collaborazione con gruppi di immigrati organizzati per quanto riguarda la formulazione di proposte di legge e l’individuazione di temi prioritari da affrontare, facendosi promotori di iniziative di ascolto e coprogettazione.

◊ Le organizzazioni di cittadini stranieri, stimolando la partecipazione attiva dei propri associati e la propria capacità di rapprentanza delle comunità, potranno rafforzare la propria posizione e migliorare la propria capacità di advocacy e tutela dei diritti.

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il sito del Progetto Ippi è consultabile all’indirizzo

http://progetto.wiki-ippi.org/il-progetto-ippi/

pubblicazionea cura dell’Istituto Psicoanalitico

per le Ricerche Sociali

progettograficocommunicanda.com

l’utilizzodellefotografie è stato gentilmente concesso

dall’associazione Questa È Romahttps://www.facebook.com/questaeroma

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IMMIGRATI

PARTECIPAZIONE POLITICA

INTEGRAZIONE

IPPI

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Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali

IPPI – IMMIGRATI, PARTECIPAZIONE POLITICA E INTEGRAZIONEFEI-2012-Azione 8, Scambio di esperienze e buone prassi, PROG-104467

Progetto cofinanziato da Unione Europea

Fondo Europeo per l’Integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi