Linee guida 2007 sull’ipertensione arteriosa ... · si valuta il rischio cardiovascolare nei...

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Linee guida 2007 sull’ipertensione arteriosa L a Società europea dell’Ipertensione arteriosa e la Società europea di Car- diologia hanno emanato le nuove linee guida per la diagnosi e la terapia del- l’ipertensione arteriosa, aggiornando il precedente documento pubblicato nel 2003 [...] vedi pag 5 Dall’obesità al rischio cardiometabolico L’obesità è una condizione medica cronica e potenzialmente grave che spesso precede e si associa allo svi- luppo di altri fattori di rischio cardio- metabolici e che può portare allo svi- luppo del diabete di tipo 2 e della dis- lipidemia [...] vedi pag 7 Il rischio cardiometabolico protagonista all’ESC Il recente Congresso annuale della Eu- ropean Society of Cardiology, [...], ha laureato a pieni voti la sindrome meta- bolica dandole posizione di rilievo in nu- merosi incontri e indicando in detta sin- drome l’emblema della Multiple Risk Factor Disease [...] vedi pag 11 CardioNEWS_nr04_esec:numero04 16-11-2007 14:18 Page 1

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Linee guida 2007sull’ipertensione arteriosa

La Società europea dell’Ipertensionearteriosa e la Società europea di Car-diologia hanno emanato le nuove lineeguida per la diagnosi e la terapia del-l’ipertensione arteriosa, aggiornando ilprecedente documento pubblicato nel2003 [...]

vedi pag 5

Dall’obesità al rischiocardiometabolico

L’obesità è una condizione medicacronica e potenzialmente grave chespesso precede e si associa allo svi-luppo di altri fattori di rischio cardio-metabolici e che può portare allo svi-luppo del diabete di tipo 2 e della dis-lipidemia [...]

vedi pag 7

Il rischio cardiometabolicoprotagonista all’ESC

Il recente Congresso annuale della Eu-ropean Society of Cardiology, [...], halaureato a pieni voti la sindrome meta-bolica dandole posizione di rilievo in nu-merosi incontri e indicando in detta sin-drome l’emblema della Multiple RiskFactor Disease [...]

vedi pag 11

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numero 04 novembre 2007

Pubblicazione a cura dellaFondazione Italiana per il CuoreVia Appiani 7 - 20121 Milano

Direttore responsabile:Emanuela Folco

Comitato editoriale:Pietro Amante; Antonio C. Bossi;Emanuela Folco; Alberto Lombardi;Federico Mereta; Rodolfo Paoletti; Andrea P. Peracino; Andrea Poli

Layout grafico ed impaginazione:Monica Loredan - evectors

Stampato a cura di:Lalitotipo - Via E. Fermi 1720019 Settimo Milanese (MI)

Iscrizione Registro della Stampa (Tribunale di Milano)numero 212 del 4 Aprile 2007

Editoriale

Medicina generale e sindrome metabolicadi Roberto Stella e Marco Cambielli 3

Articoli

Le novità delle Linee guida 2007 sull’ipertensione arteriosadi Maria Lorenza Muiesan 5

CUORE: strategia di prevenzione delle malattie cardiovascolariintervista a Simona Giampaoli di Alberto Lombardi 8

Dall’obesità al rischio cardiometabolicodi Federico Mereta 9

Il rischio cardiometabolico protagonista all’ESCdi Andrea P. Peracino 11

in questo numero

www.cardiometabolica.org

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Numerose esperienze internazionalihanno dimostrato che, pure in presen-za di alcune significative diversità raz-ziali, soprattutto orientali, la prevalen-za della sindrome metabolica nella po-polazione adulta compresa tra 35 e 70anni è di circa il 23-25 per cento neimaschi e del 16-20 per cento nelle fem-mine (JAMA 2002; 284: 356-9. DiabCare 2005; 28: 385-90. Diab Care2006; 29: 1414-6. Bull WHO 2006; 6:461-9). Qualora si consideri la popola-zione compresa tra 60 e 70 anni, la pre-valenza supera il 40 per cento, arrivan-do al 45 per cento negli Stati Uniti. InItalia la prevalenza si attesta intorno al23 per cento (Progetto cuore, www.cuo-re.iss.it/fattori/glicemia.asp). Il para-metro più rappresentato è quello del-l’aumento della circonferenza addomi-nale, presente nel 40 per cento circadei soggetti, seguito dall’ipertensionearteriosa, presente nel 30-35 per centodei pazienti.

In letteratura si è evidenziato che imaschi hanno una prevalenza signifi-cativamente maggiore di iperglicemia,ipertrigliceridemia e ipertensione,mentre nelle femmine si è evidenzia-ta una maggiore prevalenza di obesitàcentrale e basso colesterolo-HDL. Sesi valuta il rischio cardiovascolare neisoggetti affetti da sindrome metaboli-ca, per esempio, come dimostrato nel-lo studio NHANES III (Am J Clin Nutr2005; 81: 409-15), le persone affette

Editoriale

nizzazioni hanno ridefinito in mododifferente: il Gruppo europeo per lostudio dell’insulino-resistenza (EGIR),il Programma nazionale di educazionesul colesterolo (NCEP/ATP III, 2001),l’Associazione americana degli endo-crinologi clinici (AACE, 2003), la Fe-derazione internazionale del diabete(IDF, 2005) e infine l’Associazioneamericana dei cardiologi/Istituto na-zionale per il cuore, polmone e sangue(AHA/NHLBI, 2005), producendo va-riazioni che man mano emergevanodalla letteratura, relativamente ai para-metri originalmente indicati dall’OMS.

Oggi è accettato che per definire lapresenza di sindrome metabolica ci sidebba trovare di fronte a un pazientecon almeno tre dei cinque seguentiparametri:1. circonferenza addominale >102

cm nell’uomo e >88 cm nella don-na, misurata con un metro mante-nuto parallelo al terreno e che pas-si immediatamente sopra la spinailiaca antero-superiore (indice diobesità addominale); IDF, 2005;

2. pressione arteriosa ≥130/85mmHg;

3. trigliceridemia ≥150 mg/dL;4. colesterolo-HDL <40 mg/dL nei

maschi e <50 mg/dL nelle donne;5. glicemia a digiuno ≥110 mg/dL

(NCEP/ATP III, 2001) o ≥100mg/dL (AHA/NHLBI, ATP III re-vised, IDF).

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Medicina generale e sindromemetabolicaRoberto Stella, vicepresidente; Marco Cambielli, segretarioSocietà nazionale di Aggiornamento per il Medico di Medicina generale(SNAMID)

Negli ultimi anni la sindromemetabolica ha ricevuto unagrande attenzione nella clinica

e in particolare nell’ambito della Me-dicina generale, per quanto non si siaancora concluso il dibattito circa la suadefinizione come entità clinica ben de-finita e autonoma. È ormai acquisitoche tale sindrome presenta una costel-lazione di fattori metabolici di rischiocorrelati che appaiono promuovere di-rettamente lo sviluppo della malattiaaterosclerotica cardiovascolare; inol-tre questi pazienti sono a rischio di svi-luppare diabete mellito di tipo 2.

Sono stati individuati anche altri fat-tori di rischio quali l’obesità addomi-nale, l’insulino-resistenza e altre con-dizioni come l’inattività fisica, l’in-vecchiamento e lo squilibrio ormona-le. L’aumento dell’obesità e dell’in-vecchiamento presenti in tutte le ci-viltà occidentali, con le connesse mo-dificazioni nella distribuzione delgrasso addominale e le conseguentialterazioni dello stato pro-infiamma-torio e della coagulazione, rendono ul-teriormente conto dell’interesse dellaMedicina generale per questa entità diabbastanza recente definizione.

Nel 1988 l’Organizzazione mondialedella Sanità (OMS) dava una sua primadefinizione di sindrome metabolica ba-sandosi su alcuni criteri diagnosticiche, in epoca successiva, altre orga-

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da questa patologia presentano unaprevalenza di cardiopatia ischemicadel 12,9 per cento, superiore alla pre-valenza esistente nei soggetti con dia-bete mellito (7,5 per cento), raggiun-gendo percentuali ancora superioriquando le due condizioni si sommano(19,2 per cento).

Da ciò si può evincere chiaramentequale possa essere l’interesse dellaMedicina generale per questa sindro-me, e anche nell’ambito della pediatriadi base sta aumentando l’interesse el’attenzione. Si è visto infatti che ilbasso peso alla nascita e la piccolezzain rapporto all’età gestazionale sonofattori predittivi di sviluppo di sindro-me metabolica, così come un basso in-dice di massa corporea (BMI) a dueanni e un rapido aumento ponderalefra i due e gli 11 anni sono correlati adalti livelli di insulino-resistenza in etàadulta ed eventi coronarici.

La Medicina generale è certamente illuogo prevalente di primo contatto me-dico all’interno del Servizio sanitarionazionale. Il Medico di medicina gene-rale (MMG) ha la responsabilità speci-fica della salute della persona, della fa-miglia, della comunità e ha compiti diidentificazione precoce dei soggetti a ri-schio, di prevenzione, di cura a lungotermine e ha la necessità di capire le di-mensioni delle principali patologie. Ge-stisce le malattie croniche, coordina lecure interfacciandosi con altre specia-lità e concorre in misura determinanteall’utilizzo più efficiente delle risorsesanitarie non solo con la funzione di ga-tekeeping, ma cercando – attraversol’applicazione personalizzata di lineeguida, di percorsi diagnostico terapeu-tici e facendo uso della pratica basatasulle prove scientifiche – di realizzarecure appropriate, tenuto conto anchedell’analisi dei rapporti costo/beneficio(CBA), costo-efficacia (CEA) e costo-utilità (CUA), indispensabili per la pre-venzione e la gestione corretta e soste-nibile delle cronicità.

I “vantaggi” del MMG consistono es-senzialmente nell’esercitare l’assistenzaprimaria ambulatoriale e domiciliare,nel conoscere familiarità, stili di vita,trattamento farmacologico, nella con-suetudine prolungata nel tempo con laquasi totalità dei pazienti (circa l’80 percento degli assistiti contatta in un annoil proprio MMG, mentre in cinque annilo contatta il 100 per cento), nella faci-lità a cogliere i cambiamenti anche nondichiarati o lamentati dal paziente, nel-la disposizione a una medicina oppor-tunistica e di iniziativa. La funzione delMMG, che conosce bene i propri pa-zienti e ravvisa in un soggetto lo stigmadella sindrome metabolica, può per-mettere dunque di mettere in atto inter-venti preventivi e di educazione sanita-ria, fare counselling per la responsabi-lizzazione del paziente nei confrontidella sua situazione clinica, iniziare unpercorso terapeutico farmacologico.

Nel caso della sindrome metabolica,la funzione del MMG appare quindifondamentale, perché questa patologiasi giova in maniera determinante delsuo riconoscimento precoce. L’inter-vento precoce determina infatti mi-glioramento degli outcome, riduzionedelle sofferenze, prolungamento dellavita, miglioramento della sua qualità,riduzione dei costi di gestione del pa-ziente e delle sue complicazioni. Iparametri necessari per definire lasindrome metabolica sono di approc-cio assai semplice e immediato, per-mettendo anche una valutazione op-portunistica dei soggetti a rischio.

Nell’attività ambulatoriale di routinedel MMG è infatti di frequente ri-scontro una serie di indicatori facil-mente rilevabili quali ridotta tolleran-za al glucosio, iniziale e modesta obe-sità, elevazione della pressione arte-riosa, alterazione anche modesta delquadro lipidico e incremento isolatodella gammaGT. Tali elementi, pre-senti sia singolarmente sia variamen-te associati, devono mettere in guardia

il MMG e suggerirgli di attivare unostretto programma di controllo e cura.Tramite l’individuazione di questi fat-tori di rischio e il loro corretto inqua-dramento si può fare prevenzionevera, con il risultato di migliorare lecondizioni di vita del paziente, ridu-cendo il costo sociale della malattia edelle sue complicazioni.

È necessario quindi individuare unastrategia per la diagnosi basandosi suun semplice approccio clinico che com-prenda, oltre alla valutazione dei para-metri già indicati precedentemente:• Anamnesi:

· familiarità per malattie CV, so-prattutto se prima dei 55 anninei maschi e dei 65 nelle fem-mine;

· positività per angina, infartomiocardico, ictus cerebrale;

· sedentarietà;· fumo;· storia familiare di diabete;· diabete gestazionale;· sindrome dell’ovaio policistico;· alterato metabolismo del gluco-

sio.• Esame obiettivo con misurazione

della circonferenza addominale edella pressione arteriosa

• Esami di laboratorio:· trigliceridi;· colesterolo totale;· colesterolo-HDL;· glicemia a digiuno;· uricemia.

Inoltre è opportuno valutare il rischiocardiovascolare globale, considerandogià gli eventuali danni d’organo.

Stratificare il rischio significa identi-ficare i sottogruppi nei quali esso èpiù elevato. In questa popolazione dipazienti l’intervento preventivo risul-ta tanto più efficace quanto più è po-tente, ed il rapporto costo-efficacia ap-pare particolarmente favorevole quan-to più si riduce il rischio. Risultaquindi evidente come approcci di pre-venzione facilmente prescrivibili

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variare nel tempo secondo l’evoluzio-ne della storia naturale della malattiae della sua fase nel processo di cura,della progressione della malattia edella necessità di un trattamento spe-cifico. Il “peso” della sindrome meta-bolica potrà essere così ridotto, perl’individuo e per la società.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

1. Grundy SM, Cleeman JI, Daniels SR, Do-nato KA, Eckel RH, Franklin BA, GordonDJ, Krauss RM, Savage PJ, Smith SC, Jr,Spertus JA, and Costa F. Diagnosis andManagement of the Metabolic Syndrome:An American Heart Association/NationalHeart, Lung, and Blood Institute Scienti-fic Statement. Circulation 2005; 112:2735-52

2. Liu J, Grundy SM, Wang W, Smith SC, Jr,Lena Vega G, Wu Z, Zeng Z, Wang W,Zhao D. Ten-year risk of cardiovascular in-cidence related to diabetes, prediabetes,and the metabolic syndrome. Am Heart J2007; 153: 552-8

3. Tong PC, Kong AP, So W-Y, Yang X, Ho C-S, Ma RC, Ozaki R, Chow C-C, Lam CW,Chan JCN, and Cockram CS. The Useful-ness of the International Diabetes Federa-tion and the National Cholesterol Educa-tion Program's Adult Treatment Panel IIIDefinitions of the Metabolic Syndrome inPredicting Coronary Heart Disease in Sub-jects With Type 2 Diabetes. Diabetes Care2007; 30: 1206-11

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come il mutamento dello stile di vita,il cambiamento delle abitudini ali-mentari, l’invito a un’attività fisicaespressa in modo professionale e det-tagliato, coinvolgendo il paziente sul-la necessità dell'equivalenza metabo-lica tra entrate energetiche (cioè l'ali-mentazione) e uscite (cioè il movi-mento), possano evitare o ritardarel’espressione clinica della sindrome ele sue complicazioni.

Gli obiettivi del management clinicodiventano dunque prioritariamentequelli di:• ridurre il rischio di malattia atero-

sclerotica clinica riducendo lecause sottostanti (per esempio,obesità e inattività fisica) e trat-tando i fattori di rischio associati(lipidici e non lipidici);

• ridurre il rischio di diabete melli-to di tipo 2 in quei pazienti chenon hanno ancora i segni manife-sti della malattia.

Ma anche dal punto di vista terapeu-tico, la possibilità di monitorare co-stantemente i parametri clinici e me-tabolici, quando è il caso anche in col-laborazione coi medici che operano al

secondo livello, può produrre risulta-ti non solo in termini di correzione deiparametri biologici, ma anche di pre-venzione del danno cardiovascolare,come dimostra la letteratura corrente.

La Medicina generale deve dunquesforzarsi di identificare il percorso or-ganizzativo che faciliti il suo compito,non solo attraverso il costante proces-so formativo, ma anche dotandosi distrumenti per il lavoro quotidiano chene facilitino l’approccio: utilizzo diuna cartella clinica che orienti ai pro-blemi della cronicità, presenza dimemo automatici in pazienti che pre-sentino determinate caratteristiche difamiliarità, età e sesso, buona dispo-sizione all’audit medico, al feedback e,nei casi più evoluti, anche all’educa-tional outreach visit.

Il MMG può fare molto per questi pa-zienti anche attraverso forme evolutedi collaborazione con la Medicina disecondo livello attraverso l’adozionedi percorsi diagnostici. La cura inte-grata deve essere organizzata e indi-vidualizzata sul singolo paziente, e ifornitori della cura integrata possono

La Società europea dell’ Iperten-sione arteriosa e la Società eu-ropea di Cardiologia hanno

emanato le nuove linee guida per ladiagnosi e la terapia dell’ipertensionearteriosa, aggiornando il precedentedocumento pubblicato nel 2003, chegià si distingueva dalle Linee guidaelaborate nel 1993 e poi ancora nel1999 dalla World Health Organization(WHO) e dall’International Society ofHypertension (ISH), perché queste ul-time non riflettevano in modo preciso larealtà europea. In effetti in Europa

Le novità delle Linee guida 2007 sull’ipertensione arteriosaMaria Lorenza MuiesanProfessore straordinario di Medicina interna, Università di Brescia

sono disponibili una maggiore capaci-tà di ricercare in modo accurato le cau-se dell’ipertensione e un maggior nu-mero di farmaci antipertensivi rispettoal resto del mondo. Inoltre le linee gui-da ESH/ESC 2003 introducevano perla prima volta il concetto di “rischiocardiovascolare globale” dell’indivi-duo, che era preso quale riferimentoper la diagnosi e per il trattamento delpaziente iperteso, a prescindere daivalori pressori di per se stessi. A taleproposito, le novità principali delle Li-nee guida 2007 sono rappresentate da

una serie di elementi e variabili clini-che da utilizzare per stratificare conancora maggiore accuratezza il rischiocardiovascolare globale. La stratifica-zione del rischio si basa su diversi ele-menti, che comprendono i fattori de-mografici e antropometrici, l’anamne-si familiare, i valori pressori, il fumo,la glicemia e l’assetto lipidico, cui siaggiungono, tra le altre, il riconosci-mento della sindrome metabolicaperché essa, pur non costituendoun’entità patologica autonoma, comericonosciuto già diversi anni fa da Ge-

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rald Reaven, rappresenta una condi-zione caratterizzata dalla presenza dipiù fattori di rischio, in aggiunta al-l’aumento della pressione arteriosa,che aumenta in modo marcato lo svi-luppo di danno d’organo e il rischio dieventi cardiovascolari. Per tale moti-vo, le Linee guida raccomandano l’at-tenta valutazione del danno d’organocardiaco, vascolare e renale, nei pa-zienti con sindrome metabolica, anchein assenza di elevati valori pressori,come componenti della sindrome. In-fine, nei pazienti con sindrome meta-bolica, pure in presenza di normali va-lori pressori alla misurazione clinica,l’aumento della pressione arteriosadurante il monitoraggio ambulatorialeo domiciliare conferisce un aumentodel rischio di eventi cardiovascolari.

Un altro punto interessante è quelloche concerne l’uso del rischio rela-tivo e del rischio assoluto, e che èstato ripreso dalle Linee guida 2007per la Prevenzione cardiovascolaredell’European Society of Cardiology. Ilrischio assoluto (ovvero il rischio diandare incontro a eventi cardiovasco-lari nell’arco di 10 anni) dipende in-fatti largamente dall’età, potendo ri-sultare basso nei soggetti giovani an-che in presenza di ipertensione e dialtri fattori di rischio cardiovascolariche negli anni successivi possono por-tare a una condizione irreversibile dirischio elevato. Ne consegue il poten-ziale pericolo di una sottostima del ri-schio cardiovascolare e di conseguen-za di un sotto-trattamento dei sogget-ti più giovani. Si propone pertantoche, nei soggetti più giovani, la deci-sione di trattare sia presa sulla basedel rischio relativo, lasciando che ilcalcolo del rischio assoluto venga ri-servato ai soggetti di età più avanzata.A questo fine è utile precisare che peril calcolo del rischio relativo è attual-mente disponibile il modello SCORE(Symptoms - Causes - Output - Re-sources - Effects) che, essendo stato ri-cavato dallo studio di popolazioni eu-

ropee, potrebbe essere più idoneo delclassico algoritmo basato sui dati diFramingham.

Un’ ulteriore novità delle Linee guidaè rappresentata dall’esclusione del-la proteina C-reattiva dalla lista deifattori che possono influenzare la pro-gnosi nel paziente iperteso. Dal 2003a oggi, alcuni importanti studi di po-polazione hanno infatti ridimensiona-to il peso di questo marcatore di in-fiammazione quale elemento progno-stico di eventi cardiovascolari, ed èstato sottolineato come sia difficile,nella pratica clinica, fare un uso ap-propriato di tale indice.

La stratificazione del rischio cardiova-scolare globale, in associazione allastratificazione sulla base dell’entità deivalori pressori, viene considerata unelemento di grande importanza, e a taleproposito l’identificazione del dannod’organo assume una rilevanza sem-pre maggiore. La presenza di dannod’organo, sia pure a livello subclinico,influenza la prognosi cardiovascolare,anche indipendentemente dagli altrifattori di rischio. Il danno d’organodeve essere adeguatamente valutato alivello cardiaco (ipertrofia cardiaca ageometria concentrica), renale (albu-minuria, proteinuria e clearance dellacreatinina calcolata), vascolare (rap-porto intima/media nello spessore del-la parete carotidea, pulse wave velocity,

indice caviglia/braccio) e fondo del-l’occhio (retinopatia solo nei pazienticon ipertensione grave).

Le Linee guida raccomandano di ef-fettuare contemporaneamente una va-lutazione del danno d’organo indiversi distretti (cuore, vasi, rene ecervello) perché, nonostante tali alte-razioni siano spesso associate, la loropresenza in diversi organi e distretti siassocia a una prognosi peggiore ri-spetto alla singola alterazione. La va-lutazione del danno d’organo non deveriguardare solo i pazienti con una nuo-va diagnosi di ipertensione, allo sco-po di stratificare il rischio cardiova-scolare globale e prima di impostareun corretto trattamento, ma anche ipazienti che assumono già una terapiaantipertensiva, poiché la regressionedell’ipertrofia cardiaca e della protei-nuria rappresentano indici attendibilidegli effetti protettivi cardiovascolariesercitati dal controllo dei valori pres-sori e dall’effetto dei farmaci assunti.

Nell’ambito della valutazione del dan-no d’organo sono stati meglio definiti al-cuni aspetti quali l’identificazione deldanno renale, poiché è stato amplia-to l’elenco dei marcatori di danno d’or-gano renale, ed è previsto che si calco-li in modo indiretto la clearance dellacreatinina mediante la formula di Coc-

Maria Lorenza Muiesan

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kroft-Gault, o che si stimi la velocità difiltrazione glomerulare mediante la for-mula MDRD (variabili più affidabili ri-spetto al valore della creatininemia nel-la valutazione del rischio cardiovasco-lare che si associa all’insufficienza re-nale, anche lieve). La microalbuminu-ria è stata considerata un parametro es-senziale per valutare il danno d’organo,in quanto la sua determinazione me-diante il rapporto albumina/creatininasulle urine spot del mattino è facile e re-lativamente poco costosa.

È stato sottolineato inoltre il ruoloprognostico dell’ipertrofia ventri-colare sinistra e della geometria ditipo concentrico. Infine, nell’ambitodella valutazione del danno vascolare,è stato aggiunto l’aumento di velocitàdell’onda sfigmica come indice preco-ce di alterata distensibilità delle gran-di arterie elastiche, pur sottolineandoche nella pratica clinica è ancora mo-desto l’impiego delle metodiche per lasua determinazione. Le Linee guidapropongono anche la determinazionedel rapporto tra i valori pressori agliarti superiori e inferiori, indicandoche valori < 0,9 di tale parametropossano riflettere la presenza di ma-lattia aterosclerotica, poiché tale para-metro è di valutazione relativamentefacile in clinica ed è stata dimostratala sua associazione con un aumentodel rischio cardiovascolare globale.Le Linee guida danno anche indica-zione sulla scelta di alcune classi difarmaci in presenza di uno specificodanno d’organo, sulla base della di-mostrazione che alcune classi di far-maci sono particolarmente efficaci sualcuni tipi di danno d’organo.

Il suggerimento che sia raccomanda-ta una valutazione così articolata deldanno d’organo subclinico può sen-z’altro suscitare perplessità nel medi-co di medicina generale, che spessoincontra notevoli difficoltà nella cor-retta esecuzione, ma soprattutto nellarefertazione, degli esami strumentali

indicati. Tuttavia, i principi suggeritidalle Linee guida potrebbero essereutilizzati dalle autorità regolatorie,dalle aziende sanitarie e dai centrispecialistici di riferimento per adatta-re, nell’ambito di comuni percorsi dia-gnostico-terapeutici, i suggerimenti diesperti del settore al mondo reale eper tradurre le conoscenze scientifi-che a vantaggio dei pazienti e dei loromedici di medicina generale.Le Linee guida ribadiscono che il be-neficio del trattamento antipertensivoè innanzitutto legato alla riduzionedei valori pressori, piuttosto che allaclasse di farmaci utilizzati, che vannoprescritti sempre in associazione conadeguate modificazioni dello stile divita. Tali modificazioni possono ridur-re il rischio di sviluppare ipertensio-ne arteriosa nei soggetti con valoripressori normali-alti e possono ridur-re il numero di farmaci antipertensivinecessari per un adeguato controllopressorio nei pazienti già in terapia.La scelta tra le varie classi di farmaciantipertensivi si basa sulla presenzadi fattori di rischio, danno d’organo e/omalattie cardiovascolari concomitanti,piuttosto che sulla futile identificazio-ne di una classe di prima scelta, inconsiderazione del fatto che la mag-gior parte dei pazienti necessita tera-pia con più farmaci in combinazione.

Le Linee guida 2007 dedicano infineun’apposita sezione alla diagnosi e te-rapia dell’ipertensione arteriosanelle donne, sottolineando che neidue sessi il beneficio del trattamentoantipertensivo è simile. Nella sceltadel tipo di trattamento, tuttavia, sisconsiglia l’impiego di ACE-inibitori eantagonisti dell’angiotensina II nelledonne in età fertile e in gestazione peri loro potenziali effetti teratogeni. Si ri-corda che nelle donne in età fertile laterapia con contraccettivi orali a bas-so contenuto di estrogeni si associa aun incremento del rischio di iperten-sione, ictus e infarto miocardico e cheper tale motivo il farmaco di scelta do-

vrebbe essere la pillola anticoncezio-nale a contenuto esclusivamente pro-gestinico, per quanto non siano anco-ra chiari gli effetti di questo tratta-mento sugli eventi cardiovascolari.Per quanto riguarda le donne in post-menopausa, al momento attuale la te-rapia ormonale sostituiva non è rac-comandata a scopo “cardioprotetti-vo”, poiché è dimostrato che i vantag-gi della terapia ormonale sostitutivasono rappresentati da una minore fre-quenza di fratture ossee e neoplasiedel colon, mentre aumentano i rischidi eventi coronarici e tromboembolici,ictus, neoplasia della mammella, ma-lattie della colecisti e demenza.

Le forme ipertensive in gravidanza, inparticolare la pre-eclampsia, possonoinfluire in modo negativo sulla progno-si e sullo stato di salute della madre edel feto. Nelle pazienti gravide chepresentano valori pressori sistolicicompresi tra 140 e 149 mmHg e/o dia-stolici tra 90 e 99 mmHg, si dovrebbeimpostare un trattamento non farmaco-logico, mentre in presenza d’iperten-sione gravidica (con o senza proteinu-ria) è indicata una terapia farmacolo-gica se i valori pressori sono uguali osuperiori a 140/90 mmHg. Se i valori dipressione arteriosa sistolica e diastoli-ca sono ≥ 170 o ≥ 110 mmHg, rispet-tivamente, la paziente deve essere ri-coverata in ospedale. I farmaci di scel-ta, in presenza di un’ipertensione digrado moderato, includono l’alfa-me-tildopa, il labetalolo, i calcio-antagoni-sti e, meno frequentemente, i beta-bloccanti, mentre i diuretici sono daevitare per la riduzione del volumeematico circolante. In condizioni diemergenza si può ricorrere all’uso di la-betalolo o di nitroglicerina (in caso diedema polmonare acuto) per via endo-venosa e di nifedipina o metildopa pervia orale. Infine, nelle donne con sto-ria recente di pre-eclampsia, è utilel’impiego di aspirina a basso dosaggioper prevenire le complicazioni.

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CUORE: strategia di prevenzionedelle malattie cardiovascolariIntervista a Simona Giampaoli di Alberto LombardiFondazione Italiana per il Cuore

Nell’ambito dei rapporti che le-gano la Fondazione Italianaper il Cuore (FIPC) e l’Istitu-

to Superiore di Sanità (ISS), Cardio-metabolica ha avuto l’opportunità diintervistare Simona Giampaoli, ricer-catrice all’ISS e tra gli autori dellaCarta del rischio cardiovascolare, ori-ginata dal Progetto CUORE.

Cardiometabolica (CM): Com’èpossibile controllare la malattiacoronarica?Simona Giampaoli (SG): La ma-lattia cardiovascolare è prevenibile.Oggi, grazie agli studi epidemiologi-ci, è stato possibile individuare i fat-tori di rischio associati alla malattiacardiovascolare, dimostrare la rever-sibilità del rischio e realizzare stru-menti di prevenzione applicabili insalute pubblica. Sulla base di ottofattori di rischio è possibile stimare ilrischio cardiovascolare globale asso-luto, cioè la probabilità di ammalaredi un evento cardiovascolare nei suc-cessivi 10 anni. Di questi fattori, al-cuni sono modificabili o controllabi-li (pressione arteriosa, colesterole-mia totale e HDL, diabete, abitudineal fumo di sigarette), altri non lo sono(età, genere). Il rischio cardiovasco-lare è continuo e aumenta con l’a-vanzare dell’età, pertanto non esisteun livello in cui il rischio è nullo, maè possibile mantenere un livello fa-vorevole controllando i fattori di ri-schio modificabili attraverso lo stiledi vita e, nei casi più difficili, con laterapia farmacologica.

CM: Lei ha parlato di controllodei fattori di rischio come possi-bilità di prevenire la malattiacardiovascolare. Può precisare

questo concetto che sembra difondamentale importanza?SG: Il primo passo per mantenere o ri-durre il livello dei propri fattori di ri-schio modificabili è quello di valutare ilproprio rischio cardiovascolare globaleassoluto. L’età è il fattore più importan-te, pertanto il rischio cardiovascolare au-menta con l’avanzare dell’età. Per man-tenere un livello favorevole o ridurre ilproprio rischio è importante adottareuno stile di vita sano, con una alimenta-zione bilanciata, una regolare attività fi-sica e abolendo l’abitudine al fumo.

CM: Lei ha più volte parlato di sti-le di vita corretto. Può precisarecosa intende e quali sono gli stru-menti che il cittadino ha a dispo-sizione per adottare un correttostile di vita?SG: Il consumo di grassi di origine ani-male va ridotto, va limitato il consumodi sale e di alcool; è auspicabile au-mentare il consumo di cibi ricchi di fi-bre, amido, vitamine e minerali, conte-nuti nella frutta, verdura, legumi e ce-reali, e il consumo di pesce. È di fon-damentale importanza svolgere un’atti-vità fisica regolare, adeguata alle con-dizioni fisiche e allo stato di salute del-l’individuo, abolire il fumo di sigaretta,e ricordare che sia il fumo attivo siaquello passivo sono dannosi alla salu-te. Queste indicazioni devono esserefornite al cittadino dall’educazione sco-lastica, da coloro che si occupano di sa-lute pubblica, da worksite e non ultimodai mass media. Ma adottare uno stiledi vita corretto non è sufficiente, perchébisogna mantenerlo nel tempo. Coloroche sono deputati a rafforzare questoconcetto nei cittadini sono i medici dimedicina generale (MMG), gli speciali-sti come i cardiologi e le istituzioni.

CM: Tante sono le figure che svol-gono un ruolo importante nellaprevenzione della malattia coro-narica. Secondo lei, chi tra questiattori può meglio definire il rischioglobale del paziente?SG: Il MMG è la figura che meglio puòvalutare il rischio cardiovascolare, per-ché conosce i propri assistiti, può in-coraggiarli nelle scelte e seguirli neltempo. Questo ruolo fondamentale èstato dimostrato dagli studi clinici sul-l’importanza di smettere di fumare, disvolgere una regolare attività fisica e diadottare un’alimentazione corretta. Ilmessaggio del medico ha tanto piùsuccesso quanto più è continuo, incisi-vo e se supportato da documenti scrit-ti da fornire al paziente.

CM: Può dare un esempio del ruo-lo del MMG?SG: Un buon esempio è il problemadell’obesità. Identificare gli assistiti chestanno aumentando di peso o che sonoin sovrappeso, ma non ancora obesi, è ilprimo passo per prevenire l’obesità.Peso, altezza e calcolo dell’indice dimassa corporea devono diventare misu-re comuni nella pratica clinica.

CM: Può illustrare il ProgettoCUORE e i suoi scopi?SG: Il Progetto CUORE è nato nel 1998,finanziato dal Ministero della Salute ecoordinato dall’ISS con l’obiettivo di va-lutare il rischio cardiovascolare della po-polazione italiana, mettere a punto stru-menti per la valutazione del rischio, va-lutare la distribuzione dei fattori di ri-schio e la prevalenza delle condizioni arischio e delle malattie cardiovascolarinella popolazione adulta. A questi obiet-tivi si è aggiunto quello di un’intensaazione di prevenzione con i MMG attra-verso l’uso e l’applicazione della cartadel rischio cardiovascolare. Il primopasso è stato quello di creare un sito webwww.cuore.iss.it dal quale i MMG pos-sono scaricare gratuitamente il softwareper calcolare il rischio cardiovascolare.È quindi stato lanciato un piano di for-mazione nazionale per i MMG per il cor-

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retto uso e applicazione della carta delrischio cardiovascolare.

CM: Chi ha organizzato questi cor-si e com’erano strutturati?SG: Questi corsi, che rilasciano cre-diti ECM, sono stati pianificati e svi-luppati dall’ISS in collaborazione conil Ministero della Salute, l’Agenziaitaliana del Farmaco e le associazioninazionali dei MMG e dei cardiologi. Icorsi sono strutturati in quattro modu-li: due residenziali, di cinque ore cia-scuno, sono focalizzati sul rischio glo-bale e sul calcolo del punteggio di ri-schio, sulla comunicazione del ri-schio, sulla promozione di uno stile divita corretto e sul trattamento farma-cologico. Il terzo modulo, della dura-ta di 2-4 mesi, è dedicato all’applica-zione nella pratica clinica del softwa-re cuore.exe. I dati che i MMG rac-colgono nella pratica clinica vengonoinviati all’ISS, dove vengono analizza-ti su base regionale e nazionale attra-verso l’Osservatorio del Rischio car-diovascolare. L’ultimo modulo preve-de la partecipazione dei MMG aworkshop regionali focalizzati sullapresentazione dei risultati raggiunti.Sono 1.600 i MMG che hanno parte-cipato a questo programma e 4.312quelli che hanno scaricato il softwarecuore.exe.

CM: Si tratta quindi di un proget-to ambizioso e con una valenza sa-nitaria di primissimo piano…SG: CUORE rappresenta una collabo-razione unica nel suo genere tra Mini-stero della Salute, Agenzia italiana delFarmaco, associazioni scientifiche e ISSnel promuovere la valutazione del ri-schio cardiovascolare tra i medici di me-dicina generale; è un passo importanteverso l’implementazione di una strategiadi prevenzione che coinvolga l’interapopolazione e focalizzi l’interesse sulmantenimento e/o il raggiungimento delprofilo di rischio “favorevole”, pur con-tinuando a sostenere gli interventi rivol-ti agli individui ad alto rischio.

L’obesità è una condizione medi-ca cronica e potenzialmentegrave che spesso precede e si

associa allo sviluppo di altri fattori dirischio cardiometabolici e che puòportare allo sviluppo del diabete ditipo 2 e della dislipidemia(1). In questoambito, numerosi studi dimostranol’importanza del tessuto adiposo in-traddominale in eccesso nel determi-nismo della via che aumenta il rischiodi diabete e dislipidemia. In partico-lare, il tessuto adiposo intraddomina-le produce una serie di sostanze chi-miche che possono causare uno squi-librio nel metabolismo lipidico e glu-cidico (10). Attualmente si pensa chequesto squilibrio aumenti il rischio disviluppare alterazioni quali la resi-stenza all’insulina, l’ipertensione ar-teriosa, l’iperglicemia, un’alterazionedei livelli di colesterolo e alti livelli ditrigliceridi, ovvero una serie di ele-menti negativi attualmente definiti“fattori di rischio cardiometabolico”(Cardiometabolic Risk o CMR) (10).

Ma come si sviluppa questo effetto ne-gativo? L’eccesso di grasso viscerale,in diretto rapporto con la circonferen-za addominale, può essere considera-to un predittore indipendente di ri-schio cardiovascolare e quindi di le-sioni come l’infarto miocardico. Lapresenza di grasso viscerale favorisceinfatti diversi elementi che aumenta-no il rischio cardiovascolare, come ilmantenimento dell’infiammazione,l’insulino-resistenza, l’iperglicemia, ladislipidemia, l’ipertensione arteriosa ela disfunzione endoteliale. Le sostan-ze prodotte dall’eccesso di grasso vi-scerale possono influire a loro voltasul metabolismo dell’intero organismocon meccanismi diversi: da una partepossono infatti indurre una carenza di

ormoni con effetti protettivi come l’a-diponectina, la cui sintesi cala in pre-senza di quantità eccessive di grassoviscerale, dall’altra possono causareun incremento della produzione di so-stanze in grado di influire sui diversifattori di rischio.

Si può illustrare il ruolo del grasso vi-scerale nella patogenesi di questi fe-nomeni attraverso diverse vie. Innan-zitutto, le cellule adipose in eccessonell’addome liberano nel sangue gliacidi grassi liberi (FFA). La presenzadegli acidi grassi liberi nel sangue di-pende direttamente dalla quantità delgrasso addominale: quanto più questasale, tanto maggiore è la liberazione diacidi grassi liberi.

Successivamente gli acidi grassi libe-ri in eccesso si “mettono in concor-renza” con il glucosio e vengono uti-lizzati al suo posto dai muscoli, per cuisi verifica un aumento della glicemia.L’aumento della concentrazione pla-smatica di glucosio porta alla rispostada parte del pancreas, che aumental’increzione di insulina. Non solo: inqueste circostanze anche il metaboli-smo dell’insulina in eccesso da partedel fegato non è efficace, per cui si ve-rifica un aumento dell’insulinemia inpresenza di iperglicemia. Questa ac-coppiata, teoricamente difficile darealizzare, è possibile perché si in-staura insulino-resistenza. In pratica,il corpo diventa meno sensibile all’a-zione dell’insulina e quindi, anche inpresenza di un’insulinemia elevata, sipuò sviluppare diabete di tipo 2.

L’ecceso di grasso viscerale libera aci-di grassi che, attraverso la circolazio-ne portale, raggiungono il fegato, dovestimolano la sintesi di trigliceridi e di

Dall’obesità al rischiocardiometabolicoFederico MeretaGiornalista, specialista in Scienza dell’alimentazione

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la cui azione contrasta invece lo svi-luppo di infiammazione. Per questomotivo, oltre a favorire la disfunzioneendoteliale, l’eccesso di grasso intrad-dominale favorisce l’instabilità dellaplacca ateromatosa, la cui rottura è al-l’origine di fenomeni tromboemboliciche riducono l’afflusso di sangue e os-sigeno al cuore e al cervello attraversoi vasi sanguigni, con comparsa di sin-dromi ischemiche coronariche e cere-brovascolari acute.

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lipoproteine ricche in VLDL, che pos-sono essere successivamente conver-tite in LDL. Queste rappresentano il“colesterolo cattivo”, che tende ad ac-cumularsi nella parete dei vasi, favo-rendo l’insorgenza dell’aterosclerosi.Nello stesso tempo cala il “colestero-lo buono” legato alle lipoproteineHDL, che invece trasportano il grasso(cioè il colesterolo) dai tessuti perife-rici al fegato, che a sua volta lo smal-tisce per via biliare.

L’eccesso di grasso viscerale può in-fluenzare anche la pressione arteriosa.In pratica, queste condizioni fannoaumentare l’effetto dell’adrenalina suivasi più piccoli, che vanno incontro alfenomeno della vasocostrizione e di-minuiscono l’eliminazione renale delsodio. Il sale minerale, rimanendo nelsangue, tende a trattenere all’internodei vasi anche l’acqua. Associandoquesti due meccanismi, cioè la vaso-costrizione e la ritenzione idrica (conil conseguente aumento del volumecircolante), la pressione arteriosa sale.

I dati epidemiologici dicono che la cir-conferenza addominale sta crescendoin tutto il mondo, specialmente in Eu-ropa, come si può constatare in Fran-cia (+26 per cento), Spagna (+35 percento), Italia (+32 per cento), Germa-nia (+20 per cento) e nel Regno Uni-to (+28 per cento). Negli Stati Uniti, il46 per cento della popolazione ha ungiro vita superiore alla norma (2-7). Trale persone sovrappeso od obese, quel-le con grasso intraddominale in ec-cesso corrono il rischio maggiore disviluppare dislipidemia, diabete ditipo 2 e, in ultima analisi, cardiopatie(8-9). Per questo occorre considerareuna nuova entità: il rischio cardio-metabolico globale, costituito daifattori di rischio modificabili e non,che possono predisporre le persone aldiabete di tipo 2 e alle cardiopatie (11).Circa il 26 per cento degli adulti ditutto il mondo presenta almeno tre fat-tori di rischio cardiometabolico (12),molti dei quali compaiono clinica-mente in gruppi specifici (11).

Grasso viscerale e infiammazione

L’eccesso di grasso intraddominale fa-vorisce la sintesi di mediatori dell’in-fiammazione come l’interleuchina-6 eil Tumor Necrosis Factor (TNF) alfa esi associa a un incremento della pro-teina C-reattiva (CRP).

L’incremento di tessuto adiposo intrad-dominale all’interno dell’addome indu-ce un calo della sintesi di adiponectina,

Tabella I. Fattori di rischio cardiovascolare e valori di riferimento

Fattore di rischio Intervalli di valori a rischio maggioreCriteri diagnostici AHA/NHLBI (13) IDF (14, 15)Circonferenza addominale* Circonferenza vita ≥102 cm Circonferenza vita ≥94 cm

per gli uomini o ≥88 cm per le donne. per gli uomini e ≥80 cmCriteri differenti potranno essere per le donne di razza caucasica,applicati per gruppi etnici con valori specifici per altrinon europei gruppi etnici

Trigliceridi Trigliceridi ≥150 mg/dL Trigliceridi elevati(1,7 mmol/L) (≥150 mg/dL o 1,7 mmol/L)

o trattamento specifico per questi livelli anomali dei lipidi

Colesterolo-HDL Livelli di colesterolo-HDL Colesterolo-HDL ridotto:<40 mg/dL (1,04 mmol/L) negli uomini <40 mg/dL (1,03 mmol/L) neglio <50 mg/L (1,29 mmol/L) nelle donne uomini o <50 mg/L (1,29 mmol/L)

nelle donne, oppure trattamento specifico per questi livelli anomali dei lipidi

Pressione arteriosa Pressione arteriosa sistolica Ipertensione arteriosa:≥130 mmHg o diastolica ≥85 mmHg, pressione sistolica ≥130 mmHgo in trattamento o pressione diastolica

≥85 mmHg, e/o trattamento di ipertensione precedentemente diagnosticata

Glicemia a digiuno Glicemia a digiuno Glicemia a digiuno (FPG)≥100 mg/dL (5,6 mmol/L) ≥100 mg/dL (5,6 mmol/L)

o diabete di tipo 2 precedentemente diagnosticato. Se l’FPG è >100 mg/dL (5,6 mmol/L), sarà fortemente consigliato (ma non necessario per definire la presenza della sindrome) un test orale di tolleranza al glucosio (OGTT) per misurare la capacità del corpo di metabolizzare i carboidrati**

Colesterolo-LDL Più di 100 mg/dL (> 2,56 mmol/L) in caso di cardiopatie/diabete in passato o attualmente. Più di 130 mg/dL (> 3,3 mmol/L) in presenza di due o più fattori di rischio. Più di 160 mg/dL (<4,10 mmol/L) in presenza di un solo o nessun fattore di rischio

*Se l’indice di massa corporea è >30, si può dare per scontato che vi sia obesità addominale e non è necessario misurare la circonferenzaaddominale. **Nella pratica clinica, una tolleranza glucidica ridotta è accettabile, ma tutti i rapporti di prevalenza della sindromemetabolica dovrebbero utilizzare come fattori per determinare l’iperglicemia solamente la glicemia a digiuno e la presenza di diabeteprecedentemente diagnosticato. Una prevalenza che includa i risultati della glicemia a 2h può essere aggiunta come accertamentosupplementare.

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Il recente Congresso annuale dellaEuropean Society of Cardiology,che si è tenuto a Vienna dall’1 al

5 settembre scorso, ha laureato a pie-ni voti la sindrome metabolica dando-le posizione di rilievo in numerosi in-contri e indicando in detta sindromel’emblema della Multiple Risk FactorDisease. «Dieci anni fa nei congressidi cardiologia, quando si parlava disindrome metabolica erano presenticinque persone inclusi i relatori. Oggile aule sono piene e c’è folla davantiai televisori che trasmettono la ses-sione fuori dall’aula» ha dichiaratoPhil Barter.

Dalla Metabolic Triad alla sindromemetabolica, il rischio cardiometaboli-co attira l’attenzione di ricercatori eclinici, non solo come modello di pa-tologia, ma in particolare per l’evi-denza di una prevalenza crescente, so-prattutto nell’interrelazione con altrepatologie. «Più del 50 per cento deipazienti che evolvono verso la cardio-patia hanno un’insulino-resistenza»ha affermato John Eric Deanfield«così come più del 70 per cento deipazienti con infarto miocardico hannoa loro volta insulino-resistenza. Dalconcetto di “sindrome” si sta passan-do a quello di Continuous Disease».

D’altra parte Salim Yusuf, prima nel-lo studio INTERHEART e poi ancoradue anni dopo, aveva messo in evi-denza la continuità della correlazionetra circonferenza addominale e rischiocardiovascolare (CV).

Pierre Bassand sostiene che il rap-porto vita/fianchi (nella popolazione diriferimento da 0,77 a 0,85) viene rite-nuto meglio riflettere la correlazione

con il rischio CV rispetto all’indice dimassa corporea (BMI).

Il rapporto tra spessore dell’intima edella media carotidea e sindrome me-tabolica, così come anche le interfe-renze di quest’ultima con la cessazio-ne del fumo, propongono nuovi spun-ti di riflessione. Macrofagi, vascolari-tà, infiammazione e trombosi sottoli-neano l’importanza di seguirne la evo-luzione con i biomarker di detti mo-menti fisiopatologici. Tra questi Wolf-gang Koenig sottolinea l’importanzadella fosfatasi alcalina, dell’alanina-aminotransferasi (ALT), della gam-maGT e i collegamenti con la Non Al-coholic Fatty Liver Disease. SempreWolfgang Koenig dà importanza allasovraespressione di PAI-1.

Le interrelazioni dell’adipe visceralecon l’esercizio richiamano una strettacorrelazione tra attività fisica e be-nessere fisico (Jean-Pierre De-sprès). La Vital Belt costituisce lamisura dell’efficacia della modifica-zione dello stile di vita.

Per alcuni lati collegata al cardiometa-bolismo è la risonanza della nuove Li-nee guida sull’ipertensione rilasciategià lo scorso giugno a Milano duranteil Congresso dell’European Society ofHypertension (ESH) e ampiamente ri-prese all’ESC. Già il nuovo approcciointegrato verso la valutazione del ri-schio multiplo (quindi non limitato allapressione arteriosa) era stato ampia-mente delineato un paio di settimaneprima dell’ESC da Franz Messerli, ilquale scriveva con Bryan Williams eEberhard Ritz che «…l’ipertensioneessenziale si combina usualmente conaltri rischi CV quali l’invecchiamento,

Il rischio cardiometabolicoprotagonista all’ESCAndrea P. PeracinoFondazione Italiana per il Cuore – Fondazione Giovanni Lorenzini

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I rapporti ApoB/ApoA1 e vita/fianchi,così come il fumo, non hanno valori so-glia ma presentano un continuum di cor-relazione con il rischio CV. D’altra par-te, per Salim Yusuf appare un conti-nuum anche l’ipertensione e il prefissoiper appare sbagliato per se: «È un con-tinuum come l’età». Questo concetto ap-pare evidente nelle citate nuove Lineeguida sull’ipertensione (Eur Heart J2007; 28: 1462-536. Figura 1).

Come trattare fumo e obesità? «Troppopoco, troppo tardi» aggiunge ancora Sa-lim Yusuf, che ripropone (tabella I) unparagone molto interessante su come lasocietà è chiamata ad intervenire.

L’Autore non commenta l’efficacia ditali interventi e – volutamente – non citala necessità di un intervento medico-far-macologico in ambedue le situazioni.

www.cardiometabolica.org12

Tabella I. Analogie e differenze nell’approcciosocio-sanitario alla lotta contro il fumo e contro

l’obesità.

FUMO INTERVENTO OBESITA’conoscenza informazione conoscenzasensibilizzazione educazione esempio sensibilizzazionetasse sui prodotti imposizione tasse sui prodottiriduzione organizzativo riduzione porzioni,della promozione etichetteproibizione legislativo architettura urbananelle aree pubbliche e sociale,

percorsi, distanze

con un grant educazionale di

è un progetto della

Fondazione Italiana per il cuore

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il sovrappeso, la resistenza all’insulina,il diabete e l’iperlipidemia. Danni d’or-gano come l’ipertrofia del ventricolo si-nistro e la microalbuminuria possonosubdolamente comparire anche in casodi ipertensione mascherata» (Lancet2007; 370: 591-603).

Molti di questi concetti sono stati ripe-tuti nel Symposium on Hypertension andbeyond da Stefano Taddei, PeterDominiak, Csaba Falsang, GillesDegenais e Salim Yusuf. Quest’ulti-mo, basandosi proprio sugli studi IN-TERHEART, ha richiamato l’approccioal “multirischio”. Il 90 per cento dei ri-schi totali è rappresentato per il 62,8per cento da fattori legati (in maniera di-retta o indiretta) allo stile di vita: rap-porto ApoB/ApoA1 marker migliore deldisordine lipidico; rapporto vita/fianchimeglio correlato al rischio CV del BMI;fumo attivo e passivo (equivalente a 5-7 sigarette die); alimentazione povera difrutta/verdura, mancanza di eserciziofisico, abuso di alcol. Per il restante 30per cento scarso l’impatto è rappresen-tato da fattori non del tutto legati allostile di vita quali ipertensione, diabete,obesità addominale, condizioni psico-sociali e – ancora – disordini lipidici.

SBP = pressione arteriosa sistolica; DBP = pressione arteriosa diastolica; CV = cardiovasco-lare; HT = ipertensione; rischio basso, moderato, alto e altissimo si riferiscono al rischio a 10anni di un evento CV fatale o non fatale. Il termine added (aggiunto) indica che in ogni cate-goria il rischio è superiore alla media. OD = danno d’organo subclinico; MS = sindrome me-tabolica. La linea tratteggiata indica come la definizione di ipertensione possa essere varia-bile, essendo condizionata dal livello di rischio CV totale.

Figura 1. Stratificazione del rischio CV in quattro categorie.

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