Lineamenti per un nuovo modello interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

104
Lineamenti per un nuovo modello interpretativo dei Sistemi Complessi. Con applicazioni alla teoria quantistica e ai sistemi emergenti Autore : Guido Massa Finoli .

description

Questo saggio nasce dalla esigenza di trovare una risposta, in termini di modelli logico matematici,alla questione da me sollevata nel saggio “Un modello logico filosofico per i sistemi complessi”,ovvero come sia possibile esplicitare una logica per i sistemi complessi. Devo dire che la rispostadata in quel saggio, per molti versi era parziale e non soddisfacente, ma su un punto sicuramente lamia riflessione era valida; per capire i sistemi complessi bisogna affidarsi a modelli di tiporicorsivo. La ricorsività è uno degli aspetti cruciali per la nostra comprensione del mondo ancorapoco sviluppata ed analizzata; la ricorsività, le funzioni cicliche ricorsive, permeano la nostra realtàsia quella fisica che quella biologica, sono il vero modello attraverso cui possiamo esplicitare quegliaspetti della complessità fino ad adesso cosi difficili da afferrare e comprendere. Questo saggiovuole mettere al centro del problema della complessità, i modelli ricorsivi, in particolare quelliciclici.Sappiamo come uno degli esempi tipici di quello che può essere un sistema complesso è proprio unsistema quantistico, le proprietà quantistiche, tra cui la principale la sovrapposizione degli stati,sono un esempio fondamentale di proprietà di un sistema complesso non spiegabili in terminiriduzionistici1 . In definitiva, se eleggiamo un sistema quantistico a paradigma di un sistemacomplesso allora quello che cercheremo di fare in questo saggio, è dimostrare come attraverso unmodello ricorsivo ciclico si possano spiegare alcune delle principali proprietà quantistiche. Questocomporterà per certi versi la ridefinizione di un modello interpretativo della teoria quantistica, ilrisultato sarà un nuovo ed originale modo di intendere lo spazio, il tempo ed alcuni principaliconcetti quantistici. Il modello verrà delineato partendo dalle riflessioni di Einstein fino al modellodi Bohm e di Wheeler, non espliciteremo tanto nuovi aspetti fisico-matematici (vi è poco o nulla daaggiungere alla QED o alla fisica quantistica) ma quanto un modello concettuale interpretativo chesuperi molti degli aspetti critici dei modelli attuali.Nei tre capitoli del saggio, si affronta anzitutto un riesame di alcuni concetti base della matematicaper arrivare ad una definizione di ricorsiva e modelli ricorsivi ciclici, e cosa importante, alladefinizione di un operatore invariante associato alla misura. Nel secondo capitolo si utilizza ilmodello ricorsivo e il ruolo dell’osservatore locale-relativistico per definire i sistemi classici ed isistemi quantistici e definire una trasformata Λ che permetta la definizione di stati identici correlatiin una ciclica di una ricorsiva. Nell’ultimo capitolo si affronta la ridefinizione dei concetti spaziotempo,si sviluppa la trasformata Λ per avere una interpretazione e separazione tra sistemiriduzionistici e sistemi olistici, sistemi aggregati e sistemi unici.

Transcript of Lineamenti per un nuovo modello interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Page 1: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Lineamenti per un nuovo modellointerpretativo dei Sistemi Complessi.

Con applicazioni alla teoria quantistica e ai sistemi emergenti

Autore : Guido Massa Finoli

.

Page 2: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

PrefazioneCapitolo I – Modelli computazionali e teoria della misura1.1 Riflessioni sui fondamenti1.1.1 Sul significato di misura e riesame di alcuni concetti della teoria degli insiemi1.1.2 Sul concetto di algoritmo e di operatore invariante nella definizione di misura1.1.3 Che ruolo svolge l’ambiente esterno nella determinazione della misura. Ilsuperamento della dicotomia Sistema – Ambiente1.1.4 Utilizzo dei numeri complessi nella relazione di misura1.1.5 Ridefinizione dei concetti di algoritmo, di invariante ed analisi delle strutturesimmetriche emergenti

1.2 La ricerca di un operatore Autogenerativo o operatore Origine1.2.1 Esistenza di un operatore Origine1.2.2 Operatore Origine1.2.3 La misura dell’ Operatore Origine Г1.2.4 Il fattore di incommensurabilità Θ1.2.5 Tipologie nell’azione dell’ Operatore Origine Г

1.3 Fondamenti matematici della ricorsione1.3.1 Elementi della teoria dei gruppi1.3.2 Trasformazioni lineari, funzioni e algebra di Lie1.3.3 Spazi di Hilbert e topologia degli spazi1.3.4 Generalizzazione attraverso la teoria dei Morfismi1.3.5 Definizione di ricorsiva e spazi associati1.3.6 Sull’inversa di una ricorsiva1.3.7 Spazi ω e spazi con orbite associate

Capitolo II - Per un modello di sistema complesso sviluppato attraversofunzioni ricorsive2.1 Una visione del mondo attraverso ricorsive cicliche2.1.1 Sul dualismo Osservatore-Osservato2.1.2 L’osservatore e il sistema, punti in comune con il modello di Bohm e diWheeler2.1.3 Cosa dobbiamo intendere per Sistema2.1.4 Considerazioni sull’entanglement quantistico

2.2 Descrizione di un sistema attraverso funzioni ricorsive2.2.1 Sistema come struttura di Stati2.2.2 Interpretazione logica degli stati di un sistema e correlazione entangled2.2.3 Forme di entanglement e passaggio al sistema di riferimento dell’osservatore

2.3 La trasformata Λ. Interpretazione quantistica - relativistica di uno Spaziodelle misure ω

Page 3: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

2.3.1 Interpretazione relativistica2.3.2 Interpretazione attraverso il Principio di Indeterminazione di Heisenberg2.3.3 Identità quantistica ed identità relativistica. Statistiche di Bose-Einstein eFermi-Dirac2.3.4 Completamento della trasformata Λ. Differenza tra sistemi classici e sistemi quantistici

2.4 Sulla differenza tra sistemi classici e sistemi quantistici. Reinterpretazione dialcuni concetti quantistici2.4.1 Sistemi classici2.4.2 Sulla definizione dei Sistemi quantistici. Il contributo di J.Bell2.4.3 Cosa sono gli Stati Base e le ampiezze di probabilità di un sistema quantistico2.4.4 Algebra dei sistemi quantistici e corrispondenza con gli spazi ω2.4.5 Ricorsiva ciclica in campo complesso ed utilizzo degli operatori

Capitolo III - Lineamenti per una legge generale dei sistemi complessi3.1 Condizione del passaggio da un sistema aggregato ad un sistema unico,condizione affinché un sistema sia EMERGENTE3.1.1 Sistemi classici e sistemi quantistici, sistemi aggregati e sistemi unici3.1.2 Singolarità dell’osservatore, ordinalità logica e dimensione temporale3.1.3 Sistema classico e sistema quantistico. Il passaggio da sistema aggregato asistema unico attraverso la trasformazione di dimensioni

3.2 Ruolo dello Spazio/Tempo nella realizzazione di un sistema EMERGENTE3.2.1 Caratteristiche dello Spazio e del Tempo3.2.2 La particolarità del tempo3.2.3 Il tempo espresso da una ricorsiva ciclica3.2.4 Come esprimere le dimensioni temporali in relazione con quelle spaziali. Loschema della trasformata Λ3.2.5 Contrazione temporale e ricoprimento di ω. Come la misurabilità puòcorrispondere alla calcolabilità3.2.6 Sistemi emergenti, reversibilità e simmetria

3.3 Esempio di un Sistema Emergente Continuo3.3.1 Utilizzazione degli Spazi di Hilbert per descrivere un sistema ricorsivo continuo3.3.2 Definizione dei significati dei coefficienti c e c di un sistema ricorsivo

continuo attraverso l’uso dell’operatore3.3.3 Descrizione di una trasformazione su un sistema ricorsivo continuo3.3.4 Interpretazione quantistico – relativistica applicata ad un sistema ricorsivocontinuo attraverso la trasformata Λ

3.4 Ipotesi e considerazioni finali

Page 4: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

3.4.1 Invariante e ruolo dell’osservatore nello spazio/tempo. Sull’analogia tral’azione dell’invariante e quella della gravitazione3.4.2 E’ possibile prevedere l’evoluzione di sistemi complessi o esiste un limitelogico a questa previsione?

Capitolo IV – Modello generalizzato dei Sistemi complessi4.1 Generalizzazione dell’operatore autogenerativo e immersione nelladimensione spazio/temporale4.1.1 Operatore autogenerativo e ricorsive a doppio ciclo4.1.2 Ricorsive a doppio ciclo immerse nello Spazio/Tempo4.1.3 Strappi spazio-temporali ed analogia col modello numerico

4.2 Il mondo degli eventi entangled ed analogia con i numeri primi4.2.1 Caratteristiche dello spazio E (Entangled). Lo spazio dei Numeri Primi4.2.2 Connessione tra mondo spazio/temporale e mondo entangled. Generalizzazionesulla vita e la morte come strappi spazio/temporali4.2.3 La ricerca di una simmetria ed una logica dei numeri primiNOTE

Page 5: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Prefazione

Questo saggio nasce dalla esigenza di trovare una risposta, in termini di modelli logico matematici,

alla questione da me sollevata nel saggio “Un modello logico filosofico per i sistemi complessi”,

ovvero come sia possibile esplicitare una logica per i sistemi complessi. Devo dire che la risposta

data in quel saggio, per molti versi era parziale e non soddisfacente, ma su un punto sicuramente la

mia riflessione era valida; per capire i sistemi complessi bisogna affidarsi a modelli di tipo

ricorsivo. La ricorsività è uno degli aspetti cruciali per la nostra comprensione del mondo ancora

poco sviluppata ed analizzata; la ricorsività, le funzioni cicliche ricorsive, permeano la nostra realtà

sia quella fisica che quella biologica, sono il vero modello attraverso cui possiamo esplicitare quegli

aspetti della complessità fino ad adesso cosi difficili da afferrare e comprendere. Questo saggio

vuole mettere al centro del problema della complessità, i modelli ricorsivi, in particolare quelli

ciclici.

Sappiamo come uno degli esempi tipici di quello che può essere un sistema complesso è proprio un

sistema quantistico, le proprietà quantistiche, tra cui la principale la sovrapposizione degli stati,

sono un esempio fondamentale di proprietà di un sistema complesso non spiegabili in termini

riduzionistici 1 . In definitiva, se eleggiamo un sistema quantistico a paradigma di un sistema

complesso allora quello che cercheremo di fare in questo saggio, è dimostrare come attraverso un

modello ricorsivo ciclico si possano spiegare alcune delle principali proprietà quantistiche. Questo

comporterà per certi versi la ridefinizione di un modello interpretativo della teoria quantistica, il

risultato sarà un nuovo ed originale modo di intendere lo spazio, il tempo ed alcuni principali

concetti quantistici. Il modello verrà delineato partendo dalle riflessioni di Einstein fino al modello

di Bohm e di Wheeler, non espliciteremo tanto nuovi aspetti fisico-matematici (vi è poco o nulla da

aggiungere alla QED o alla fisica quantistica) ma quanto un modello concettuale interpretativo che

superi molti degli aspetti critici dei modelli attuali.

Nei tre capitoli del saggio, si affronta anzitutto un riesame di alcuni concetti base della matematica

per arrivare ad una definizione di ricorsiva e modelli ricorsivi ciclici, e cosa importante, alla

definizione di un operatore invariante associato alla misura. Nel secondo capitolo si utilizza il

modello ricorsivo e il ruolo dell’osservatore locale-relativistico per definire i sistemi classici ed i

sistemi quantistici e definire una trasformata Λ che permetta la definizione di stati identici correlati

in una ciclica di una ricorsiva. Nell’ultimo capitolo si affronta la ridefinizione dei concetti spazio-

tempo, si sviluppa la trasformata Λ per avere una interpretazione e separazione tra sistemi

riduzionistici e sistemi olistici, sistemi aggregati e sistemi unici.

Page 6: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Capitolo I – Modelli computazionali e teoria della misura

1.1 Riflessioni sui fondamenti

1.1.1 Sul significato di misura e riesame di alcuni concetti della teoria degli insiemi

La tesi che dall’uso delle operazioni matematiche si siano, nel tempo, creati ed estesi i vari insiemi

numerici, iniziando dai numeri Naturali, passando per gli Interi, i Razionali fino ad arrivare ad i

Reali, ha senza dubbio una sua fondatezza ed a ben vedere questo processo è parallelo al processo

di arricchimento di un linguaggio attraverso l’uso 1 . Ma mentre il linguaggio rappresenta una realtà

che comunque cambia col passare dei secoli e anche radicalmente, la matematica, invece, sembra

descrivere delle parti profonde della nostra realtà così profonde che una volta definite rimangono

valide per sempre. Solo così possiamo spiegare la validità millenaria del teorema di Pitagora o del

principio di non-contraddizione, non è certo un caso che la fisica ed in particolare la dinamica sia

diventata una scienza, nel senso moderno del termine, quando con Galileo, ma soprattutto con

Newton, si è affidata alla matematica e alle sue leggi 2

.

Il concetto di operazione è un concetto fondamentale in matematica, così come lo è quello di

insieme, ed essendo fondanti ben sappiamo, dall’esperienza dei filosofi analitici inglesi 3 , come sia

pericoloso provare a definire concetti così primitivi, è molto facile cadere in paradossi o in

definizioni circolari (molti testi didattici ancora oggi usano definizioni di tipo circolare).

Cercheremo, quindi, di utilizzare questi due concetti senza dare loro una particolare definizione, ma

confrontandoli con il diverso punto di vista che in questo saggio vogliamo delineare; si tratta, in

definitiva, di riuscire a cogliere aspetti interpretativi nuovi nella matematica moderna che ci

possano aiutare a meglio capire ed interpretare alcuni problemi contemporanei della fisica e in

generale della sistemica.

I matematici definiscono una struttura algebrica come un insieme in cui sono definite delle

operazioni, tali che il risultato è ancora un elemento dell’insieme, in tal caso si dice anche che

l’insieme considerato è chiuso rispetto a quella operazione 4 . Proprio la ricerca di insiemi chiusi

rispetto a varie operazioni ha condotto la matematica dall’insieme dei naturali ( ) chiuso solo

rispetto alle operazioni di somma e prodotto a quello degli interi chiuso anche rispetto alla

differenza fino a quello dei numeri razionali chiuso anche rispetto all’operazione di divisione. La

premessa per il salto successivo iniziò con i pitagorici e con la scoperta, attraverso il teorema di

Page 7: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Pitagora (o con il calcolo della circonferenza attraverso il raggio), dell’esistenza di una classe di

numeri la cui parte decimale non solo era infinita, ma i valori non avevano alcuna periodicità come

invece accadeva per numeri come1 1

o3 7

; insomma vi erano numeri la cui parte decimare non era

definibile in alcun modo né tanto meno attraverso il rapporto tra 2 numeri naturali, quindi essi non

rientravano nella classe dei numeri razionali. Questi numeri furono chiamati irrazionali per

contrapporli ai razionali e per indicare che non erano rappresentabili attraverso un rapporto tra 2

interi. In questa classe di numeri era distinguibile una sottoclasse chiamata irrazionali algebrici , il

cui valore era comunque rappresentabile da un qualche espressione algebrica come ad esempio tutti

i numeri ottenuti attraverso radici , es. 2 . Ma tutta la quantità enorme di numeri irrazionali

rimanenti in quale classe ricadevano? e che caratteristica avevano? La loro caratteristica era che

potevano esprimersi solo attraverso una serie infinita convergente a quel numero, questi numeri

furono chiamati irrazionali trascendenti.

Ad esempio la successione data da:

1 2 3 41 1 1 11 , (1 ) , (1 ) , (1 ) ,..., (1 )

2 3 4N

N converge a 2,718281828459... che è il numero neperiano

indicato con e. Oppure la successione :

4 8 32 128 768 4608 36864, , , , , , ,....

1 3 9 45 225 1575 11025converge molto lentamente proprio a .

Essa si ottiene prendendo l’N-esimo termine della successione se esso è pari si moltiplica il termine

precedente per1

N

N , se N è dispari per

1N

N

5 .

Quindi l’insieme dei numeri razionali con l’insieme di tutti gli irrazionali forma l’insieme dei reali,

che possiamo considerare come l’insieme di rappresentazione di tutte le nostre possibili misure del

mondo fisico, qualsiasi numero otteniamo da uno strumento di misura del mondo rientra in questo

insieme.

I progressi nel formalismo matematico nel ‘900 hanno permesso di esplicitare in maniera precisa

tutte le proprietà dell’insieme dei reali, alla luce delle possibili operazioni determinabili in tale

insieme. Proprio questo processo di formalizzazione, attraverso la definizione delle operazioni con

proprietà chiare e semplici, ha portato a definire nuove ed astratte tipologie di insiemi. Oggi è

chiaro che è la definizione delle operazioni, la definizione delle regole, che determina il tipo di

elemento o variabile con cui avremo a che fare, anzi che il loro stesso valore semantico è legato alla

struttura sintattica di queste regole. Quindi operazioni ed elementi, relazioni e variabili, regole e

simboli sono intimamente legati; uno stesso simbolo con regole diverse assume significati differenti

come avviene ad esempio nel gioco delle carte. Il filosofo austriaco L. Wittgenstein fu uno dei primi

Page 8: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

ad evidenziare questo fondamentale legame, legame che il formalismo matematico ha fatto suo

cercando di esplicitare le relazioni, le operazioni e le regole fondamentali che definiscono la

struttura e la tipologia di un insieme di elementi 6 .

Un primo punto che vogliamo porre è se esiste una qualche funzione o relazione che sia fondante o

in un qualche modo primitiva rispetto ad altre relazioni possibili. Sicuramente una delle relazioni

primitive fu quella di indicare la molteplicità di un insieme, quello che i matematici oggi chiamano

cardinalità, prima ancora della stessa conoscenza ed uso dei numeri. Per fare questo il modo più

semplice sembra essere quello di mettere in corrispondenza uno ad uno gli elementi di due insiemi,

come diceva J. Barrow :

“Rientrando a casa la sera, i pastori potevano controllare di avere in corrispondenza lo stesso

numero di pecore che avevano portato al pascolo mettendo da parte la mattina un sasso per ogni

pecora uscita; di ritorno alla sera potevano riprendere un sasso per ogni pecora ritornata sana e salva

nell’ovile, se avanzava qualche sasso voleva dire che qualche pecora era andata perduta.” 7

Come si vede in questo modo siamo in grado di sapere qualcosa sulla molteplicità di un insieme

senza la necessità di contarlo. Fu Cantor ad intuire per primo le potenzialità presenti in questa

semplice e primitiva operazione di corrispondenza; essa, come dimostrò, ci permette anche di

determinare la cardinalità di insiemi infiniti e di trovare tra di essi differenti molteplicità. Proprio

utilizzando tale metodo possiamo sapere che l’insieme dei numeri razionali ha la stessa molteplicità

di quella dei naturali, mentre la molteplicità di quello dei reali è superiore a quello dei naturali e

quindi dei razionali. 8

Ritorneremo in seguito sugli aspetti formali della relazione di corrispondenza tra insiemi di

elementi, quello che qui vogliamo chiederci è se prima di essa vi sia una qualche relazione ancora

più primitiva, una relazione senza la quale la stessa corrispondenza tra insiemi non è possibile.

In realtà a ben vedere per effettuare una corrispondenza tra 2 oggetti, tra i sassi e le pecore del

nostro esempio, occorre una premessa, ovvero che siamo in grado di distinguere questi oggetti come

cose differenti rispetto ad uno sfondo. In definitiva, dobbiamo, prima delle funzioni, avere delle

variabili, come dei valori determinabili; prima che un qualcosa possa essere messo in relazione con

un altro qualcosa occorre che esso sia distinguibile da altro, dallo sfondo, inoltre che sia possibile

identificare ciò che ne permette il raggruppamento in un insieme. .

La riflessione hegeliana, se la depuriamo degli aspetti ontologici datati, si è occupata in effetti di

queste cose, e le interpretazioni date da Findley in poi vogliono evidenziare proprio questi aspetti

gnoseologici. Possiamo riassumere prosaicamente la problematica hegeliana in questi termini; il

nostro sistema conoscitivo si basa su determinazioni e determinare vuol dire trarre qualcosa da uno

Page 9: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

sfondo. Ma cosa vuol dire oggi, alla luce delle moderne conoscenza matematiche e fisiche, fissare

una determinazione, determinare un oggetto come un qualcosa differente da altro, cosa vuol dire

individuare degli oggetti come sassi rispetto ad oggetti che sono pecore, ma anche più oggetti sassi

simili tra loro, ovvero tali da poterli individuare e raggruppare in un unico insieme, in una unica

etichetta o nome ? 9 .

Un fisico oggi risponderebbe che qualcosa è determinabile se è misurabile, ovvero se ad esso

possiamo associare un numero ottenuto attraverso uno strumento, una tecnologia, ma anche

semplicemente attraverso una regola ben chiara 10 . Nel momento in cui facciamo delle misure

traiamo quell’ oggetto, o la parte che di esso viene misurata, dallo sfondo e lo distinguiamo da altro.

Misurare, quindi, vuol dire determinare; è ovvio, di conseguenza, che un oggetto non misurabile

non è determinabile, ma qualcosa può essere individuabile pur non essendo determinabile o non

essendo determinato, ovvero misurato?

In effetti forse abbiamo bisogno di una condizione precedente alla misura, una condizione in grado

di trarre elementi dallo sfondo pur non avendo ancora di essi una qualche misura.

Prendiamo i nostri sassi, cosa misuriamo di essi? Quello che misuriamo dipende da quello che

vogliamo utilizzare. Nel nostro esempio se tali sassi sono usati per fare una corrispondenza con

ciascuna pecora allora quello che dobbiamo misurare è la loro distinguibilità da un altro sasso, non

ci interessa se sia grande (non troppo ovviamente) o piccolo, se sia un gesso o una pietra focaia, ci

interessa che sia distinguibile in modo permanente per il nostro uso da un altro sasso. Nella

misurazione che facciamo dobbiamo, quindi, stare attenti a non prendere sassi attaccati tra di loro o

fragili a tal punto che mettendoli nella ciotola si possano frantumare in più pezzi; tutte le altre

eventuali misure o determinazioni che di essi potremmo fare adesso non ci interessano. Quindi nel

nostro caso misuriamo la loro distinguibilità come parametro, ma la distinguibilità è una condizione

che ne permette la misura, in realtà noi possiamo distinguere qualcosa pur non avendone ancora

nessuna misura, ma non possiamo avere misure di qualcosa che non è distinguibile. Chiameremo

questa condizione individualità come condizione “trascendentale” per la misura e con

determinazioni le possibili misure assunte dall’entità individuabile. Effettuare misure vuol dire

quindi dare delle determinazioni ad una entità individuabile ed individuata, trasformarla da entità

individuabile ad entità determinata. 11 Va da se che misurare si presenta come una operazione, è

essa stessa una funzione, ma una funzione tra che cosa ? su quali variabili?

La misura viene definita in matematica come una funzione : [0, ]S , tra uno spazio misurabile

(M,S) e l’insieme dei numeri reali positivi, escluso l’infinito. Quindi uno spazio di misura è formato

da un insieme M, una σ-algebra S dei suoi sottinsiemi e una funzione positiva su (M,S). 12

Page 10: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Prima di entrare nei dettagli vediamo che la nostra definizione matematica utilizza il concetto di

insieme e lo utilizza come concetto fondante, primitivo. Un insieme è quindi definibile prima della

stessa misura, ma un insieme per essere misurabile deve avere una serie di proprietà, ovvero deve

essere anzitutto un algebra (nella definizione che daremo) ed in particolare una σ-algebra. Questo

vuol dire comunque che esiste una categoria di insiemi non misurabili pur essendo definibili come

insiemi, con elementi e proprietà connesse. Dobbiamo, a questo punto, definire e comprendere cosa

intendiamo per insieme perché intorno ad esso si gioca molto della definizione dei concetti

successivi, tra cui quello di misura.

Qui entriamo in quello che è stato, e per certi versi è ancora, un problema della moderna

matematica; ovvero la definizione di assiomi che impediscano il verificarsi di paradossi nella

stesura del concetto di insieme. La teoria degli insiemi nella formalizzazione di Zermelo-Fraenkel 13

introduce una serie di assiomi che hanno la funzione appunto di evitare definizioni circolari e

paradossi con i quali si erano imbattuti i filosofi ai primi del 900. Senza ripercorrere questo dibattito

diciamo solo che oggi in insiemistica sono introdotti in genere 9 assiomi + 1 che formano il nucleo

della teoria assiomatica chiamata ZF. Tra questi vi è l’assioma di separazione che potrebbe cosi

essere definito:

Dato un insieme A e una proprietà P esiste un insieme i cui elementi appartengono all’insieme A e

godono della proprietà P. 14

Questo assioma ha il compito di eliminare la possibilità di esistenza di un insieme tutto o universo

di elementi, esso quindi mina alla base uno dei paradossi di Russell che vedremo in seguito. Ci dice

che non esiste un insieme di tutti gli oggetti che hanno una certa caratteristica P ma solo che dato un

certo insieme A esiste l’insieme che sono elementi di A e che hanno quella caratteristica. P. La

differenza, anche se può sembrare sottile, è in realtà cruciale essa sottolinea come non esiste un

modo definitivo e apodittico di definire un insieme ma esiste invece un modo che possiamo

chiamare “operazionale”. L’insieme si ottiene attraverso una certa operazione che mette a confronto

gli elementi di A e una certa proprietà P.

L’assioma non ci dice nulla di come una tale “operazione” si possa effettuare ma ci garantisce che

un insieme così detto esiste sempre ed è costruibile. Rimane comunque il problema di capire come

un tale insieme A sia presupposto.

Un altro assioma nella formalizzazione ZF è.

Assioma di fondazione: Se A è un insieme che contiene qualche insieme, allora A contiene almeno

un insieme con cui non ha nessun elemento in comune. 15

Page 11: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

In una formalizzazione più spinta si introduce il concetto di sottinsiemi di A, a tal punto che si

astrae completamente dal concetto di elemento ed utilizzando solo i sottinsiemi come elementi

dell’insieme A e quindi evidenziando i tipi di proprietà e relazioni tra essi presenti, la stessa

numerabilità può essere costruita in tal modo. Anche con questo assioma si vuole escludere

l’esistenza di insiemi universali che sono parte di se stessi, come sappiamo il paradosso di Russell si

basa sulla constatazione che se consideriamo possibili insiemi che sono parte di se stessi e quelli

che non sono parte di se stessi allora l’insieme di tutti gli insiemi che non sono parte di se stessi

(ovvero un insieme universale) sarebbe nello stesso momento parte di se stesso e non parte di se

stesso. La necessità di eliminare questa aporia ha condotto a fissare una serie di assiomi che

impedissero la costituzione di insiemi di tipo universale. 16

Nelle definizioni che stiamo dando, ed anche nelle altre che formano gli assiomi di ZF, rimane

indefinito un aspetto, ovvero come si determinano questi insiemi concretamente? Deve esistere una

procedura, “operazione”, per definire e creare un insieme oppure essa non è necessaria?

La domanda non è di poco conto perché intorno ad essa si costruisce la legittimità o meno

dell’Assioma di Scelta. Questo assioma ci assicura che possiamo definire insiemi pur non avendo a

disposizione alcun processo reale di determinazione dello stesso, ovvero che esistono insiemi

definibili pur non conoscendone la relazione in grado di definirli.

L’assioma di scelta può essere così enunciato:

Diamo un insieme di insiemi A a due a due disgiunti allora è possibile formare un insieme B

composto di un elemento per ogni insieme di A. 17

In definitiva questo assioma garantisce che esisterà sempre (anche se non è conosciuta o

conoscibile) un criterio per selezionare elementi dagli insiemi di A per creare l’insieme B.

L’esempio che, in genere, viene portato per spiegare tale assioma è che se diamo un insieme

formato da tante paia di calze, l’assioma di scelta ci garantisce che sarebbe possibile formare un

insieme delle sole calze destre così come sappiamo che si può avere un insieme delle sole scarpe

destre. In realtà come si vede la cosa non è così scontata in quanto non abbiamo nessun criterio

conosciuto per selezionare calze destre da calze sinistre, mentre esiste questo criterio per le scarpe.

L’assioma di scelta ci parla di qualcosa di profondo che i nostri insiemi devono avere, prima della

stessa possibilità di essere misurati e determinati, questo qualcosa è la loro individualità, un insieme

prima di essere determinato deve poter essere individuabile come entità distinta da altro, ed in

questa individualità c’è la condizione per la sua misurabilità. L’assioma di scelta ci parla della

condizione di misurabilità dell’insieme, della sua individualità prima della stessa misura, della

definizione di esso come entità determinata. Questa individualità permette di trarre elementi ed

insiemi dallo sfondo, di considerarli come confinati in un luogo che non è (o non è ancora) un luogo

Page 12: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

fisico ma è un luogo logico; abbiamo chiamato questo LOCALIZZAZIONE LOGICA. La

localizzazione logica è la condizione di misurabilità di un insieme e dei suoi elementi prima della

stessa relazione di misura a prescindere se una tale relazione esista o meno.

Nel saggio del 2006 ho cercato di dimostrare che la localizzazione permette una ordinalità prima

della stessa determinazione degli elementi, quindi prima della stessa cardinalità. Una relazione di

ordine è antecedente ad una relazione di corrispondenza che permette di determinare la molteplicità

di un insieme; nel caso delle nostre pecore prima di essere messe in corrispondenza con i nostri

sassi hanno bisogno di essere ordinate una ad una e di passare in un tale ordine davanti al nostro

pastore. L’assioma di scelta ci dice quindi che un insieme di elementi, una volta che sono

individuati gli elementi, assumono un qualche ordine e la scelta che facciamo prima della stessa

misura segue proprio questo ordine. 18

In questo modo possiamo creare insiemi ed ordinarli prima della stessa misura e quindi in questo

senso possiamo utilizzare il concetto di insieme per creare quello di algebra e quello di sigma-

algebra.

Definizione di Algebra 19

Sia M un insieme, la classe A di sottinsiemi di M è un’ algebra su M se valgono le seguenti:

1) ,E F A E F A

2) CE A E A

Come si vede un’algebra è tale che una volta individuati gli elementi di A essi sono chiusi rispetto

all’operazione di unione (così come di intersezione), inoltre sono localizzati in A in modo tale che il

complemento di un insieme rimane in A.

Una σ-algebra estende il 1) assioma per gli infiniti sottinsiemi di S.

Definizione di σ-algebra 20

1) L’unione ad infinito dei sottinsiemi S (numerabili) è ancora un insieme di M

1

{ }n n ni

E S E S

2) Che il complemento di un insieme della classe di S (ovvero di in sottinsieme) è ancora un

elemento di S.

CE S E S

Questi assiomi sono sufficienti per definire una σ-algebra, per avere uno spazio misurabile

costituito da un insieme M e una σ-algebra S, (M,S).

In questa definizione di misurabilità, ovvero di condizione affinché un insieme di insiemi sia

misurabile è presente quella che abbiamo chiamata individuabilità, nella possibilità di avere

sottinsiemi di S distinti (e quindi la proprietà di essere numerabili). Gli assiomi 1) e 2), sia nella

Page 13: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

definizione di algebra che in quella di sigma-algebra, ci dicono della stessa proprietà ovvero che tali

insiemi o elementi sono confinati in S, abbiamo chiamato questa proprietà localizzazione logica.

Un insieme di insiemi o un insieme di elementi per essere misurabile deve essere individuabile nelle

sue componenti e localizzate, la conseguenza di questa definizione è che un tale insieme ha sempre

e comunque altro da se e una tale conseguenza ci permette di superare già a questo livello il

paradosso di un insieme universale. Per definire un insieme abbiamo bisogno di vedere confinati in

un luogo logico i suoi elementi ed in questo luogo tali elementi assumono un ordine che è una

conseguenza diretta di questo confinamento, anche se questo ordine non è definito, perché, per

esempio, per esso è necessaria una qualche misura, ma nel momento stesso in cui confiniamo dei

sassi in una ciotola rispetto ad altri, già otteniamo una condizione di ordinabilità qualsiasi essa sia.

Quindi in un insieme localizzato sia esso finito o infinito vi è una condizione di ordinabilià.

L’operazione che effettuiamo con l’assioma di separazione, e quindi con l’assioma di scelta, è

proprio connessa alla individuazione e localizzazione, e sono proprio questi aspetti che ci

permettono di avere una misura; sugli elementi così individuati; effettuiamo una misura per vedere

se essi corrispondono o meno ad un qualche criterio di selezione che abbiamo stabilito. Nella reale

costruzione di un insieme facciamo proprio una operazione di misura, ed una misura si effettua

sempre e comunque,come vedremo, in una dimensione Spazio-Temporale definita.

La misura è una operazione limitata nello Spazio e nel Tempo, ma essa per essere possibile deve

essere effettuata su una entità localizzata logicamente; essa stessa assume la condizione di essere

localizzata e questo vuol dire che esiste sempre qualcosa che non è una misura o una misura che

non sia nella condizione di selezionabilità. Possiamo dire che la certezza che qualcosa si presenta

sempre localizzato logicamente è una conseguenza diretta della validità teorema di Goedel ed, in

generale, che qualsiasi sistema o insieme noi consideriamo vi è sempre un qualche elemento non

compreso nella sua definizione, ovvero che lo limita dall’esterno. 21

Possiamo enunciare il seguente asserto che ci permette di eliminare qualsiasi ipotesi di insieme

universale.

Asserto 1: Gli insiemi che siamo in grado di determinare sono solo e sempre quelli localizzati

logicamente.

Localizzato logicamente si intende qualcosa di più generale e comprensivo della limitatezza S/T,

infatti localizzato è anche l’ insieme infinito dei punti della parabola 2y x . I punti y dell’insieme

non sono per nulla limitati ma sono localizzati nel senso che vi sono infiniti punti del piano che non

sono valori della funzione(nota = i punti della parabola non sono invece localizzati rispetto alla retta

x e y dei numeri reali, essa è localizzata per la singola misura ma non per la totalità delle misure) .

Page 14: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

La localizzazione è in generale la possibilità di limitare l’insieme dall’esterno, e questo vale per

qualsiasi algoritmo perché qualsiasi algoritmo nel momento in cui calcola dei valori ne esclude altri,

anche se i valori calcolati sono teoricamente infiniti; non solo, ma la stessa misura essendo, come

vedremo, sempre limitata nello S/T anche di uno stesso oggetto, si presenta sempre come un

numero finito di misure effettuabili in un tempo finito e in uno spazio limitato, ed in tal modo

esclude tutte le possibili, teoriche infinite misure effettuabili che rimangono altro dall’insieme

definibile. Quello che cercheremo di dimostrare è che in un insieme misurato, la misure sono

sempre limitate nello spazio-tempo oppure sono espresse attraverso un qualche algoritmo

conosciuto, in tal caso l’insieme può essere anche infinito, ma saranno sempre Localizzate (che vuol

dire limitate da altro, dall’esterno). Un insieme misurabile ha la condizione di misurabilità, ovvero è

localizzato logicamente, ma potrebbe anche non esiste alcun algoritmo conosciuto in grado di

rappresentarlo, quindi di misurarlo effettivamente.

1.1.2 Sul concetto di algoritmo e di operatore invariante nella definizione di misura

Da quanto detto precedentemente possiamo avere questa definizione:

Definizione 1 : Un insieme è una entità individuabile , localizzata logicamente.

E fissare questo assioma :

Asserto 2 : Un insieme è determinabile solo attraverso uno strumento di misura o un algoritmo

definito.

Un insieme è determinabile se è misurabile, nel senso che ad ogni elemento è associabile la

funzione µ, inoltre dalla definizione comune di misura abbiamo la proprietà di essere

numericamente additiva, ovvero 22

11

( ) ( )i iii

E E

Ora il limite di una tale definizione è quella di non considerare misurabile un insieme che non ha la

proprietà di additività sulle misure, questo aspetto lo consideriamo limitativo della definizione,

infatti la presenza di misure è una condizione fondamentale per la determinazione degli elementi in

quanto essa assegna un valore ed esclude tutti i restanti possibili, ma non è detto che la somma di 2

misure debba essere ancora una misura dell’insieme considerato. Questo vuol dire che la proprietà

di chiusura è una proprietà secondaria e riguarda la completezza dell’insieme e dello spazio

considerato, ma non che l’insieme sia definibile e che sia misurabile. Quindi noi adotteremo una

diversa definizione rispetto a quella usata in algebra, essa parte dall’asserto 1, prima definito; un

Page 15: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

insieme è determinabile, misurabile se ad esso è associabile uno strumento di misura o un algoritmo

definito; per algoritmo definito (per adesso) intendiamo una serie finita di regole che in un tempo

finito ci dica se il valore di input soddisfa o meno alle regole fissate 23 .

QUIX

In questa prospettiva che ruolo assumono i paradossi legati alla definizione di insieme?

Quello dell’insieme universo (o tutto) si risolve, come abbiamo detto, introducendo il concetto di

localizzazione; noi non possiamo misurare l’intero mondo, non possiamo avere tutte le misure

possibili per sapere quanti sono i sassi del mondo oppure quante stelle ci sono nell’universo. Ed il

motivo è semplice noi siamo localizzati in un ambito che prima di tutto è logico per essere poi

spazio-temporale, il nostro strumento è in un certo luogo ed effettua le misure in certi tempi questo

ci permette di conoscere solo ciò che è localizzato intorno al nostro strumento di misura e mai tutto

il mondo. In definitiva la nostra localizzazione logica, la localizzazione dell’osservatore si

ripercuote sulla nostra misura e quindi sull’insieme che andiamo a costruire, esso è sempre e solo

un insieme localizzato che diventa nel momento in cui effettuiamo le misure, un certo intervallo

spazio-temporale quindi teoricamente contiene sempre altro da se. Questo ci porta alla conseguenza

logica che non avremmo mai una risposta sulla esaustività o meno del nostro insieme, quindi un

insieme universo di elementi non è definibile.

La cosa sembrerebbe differente se le nostre misure sono il risultato di un algoritmo o si collocano in

una funzione definita; come abbiamo già detto, una funzione, un algoritmo, ma anche un sistema

assiomatico, sono sempre entità localizzate e producono sempre entità localizzate, nel senso che

esiste sempre altro da questa entità; ma anche in questi casi, se il risultato è un insieme infinito di

elementi esso avrà sempre elementi non esprimibili dall’algoritmo. La funzione 3y x non è

limitata ma è localizzata, in quanto vi saranno infiniti punti che non saranno sulla funzione. Sarà

bene precisare meglio questo concetto, la funzione è chiaramente iniettiva per cui ad ogni valore di

x corrisponde un valore differente di y ed anche suriettiva in quanto questo vale per tutti i

valori di y, quindi la domanda sarebbe se un sistema è isomorfo in cosa sarebbe localizzato?

La localizzazione origina dal fatto che da 1 valore dell’insieme di partenza corrisponde 1 valore di

quello di arrivo, questo vuol dire che per quel valore vi saranno finiti o infiniti valori dell’insieme di

arrivo che saranno esclusi e rappresenteranno altro dell’algoritmo. Quindi la localizzazione è nella

stessa nostra definizione di funzione, infatti a ben vedere tale localizzazione rimane anche se

consideriamo una sequenza n (finita o infinita) di valori di partenza a cui corrispondono sempre 1

valore nell’insieme di arrivo. Questo vuol dire che un sistema si presenta localizzato quando per una

combinazione di valori di partenza non si ha come corrispondente la totalità dei valori di arrivo,

ovvero quando NON abbiamo una funzione..

Page 16: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

La cosa è più facile da vedere con un insieme finito di elementi:

Dati gli insiemi X:= {a,b,c,d} e Y:={1,2,3,4,5,6}

Un insieme è localizzato se ad x che può essere (x), oppure 1 2( , )x x , ovvero ad (a) oppure ad una

combinazione (a,b) o (c,d) ecc. (consideriamo irrilevanti le permutazioni) corrisponde sempre una

parte di Y e mai tutto Y. Quindi:

( ) (1)

( ) (3)

.

a

b

ecc

oppure

( ) (1, 2)

( ) (3,5)

.

a

b

ecc

così come( , ) (1)

( , ) (3)

.

a b

c d

ecc

oppure

( , ) (1, 2,6)

( , ) (3,5)

.

a b

c d

ecc

Un insieme non è localizzato se invece:

( ) (1,2,3, 4,5,6)a oppure ( , ) (1, 2,3,4,5,6)a b

Da questo punto di vista la misura è una condizione restrittiva di localizzazione, infatti nella

condizione di misura a k elementi dell’insieme di partenza corrisponde sempre uno ed un solo

elemento dell’insieme di arrivo. 24

Quindi ricapitolando abbiamo una localizzazione logica che definisce l’insieme come entità

individuabile, separata da altro, questo vuol dire che prima della stessa misura, il nostro insieme(o

insieme di insiemi) ha un ambito che è un ambito logico, ovvero è la possibilità di assumere

determinazioni (misure) pur non avendo ancora alcuna determinazione; è la possibilità di essere

misurabile anche se potrebbe non esistere alcun strumento di misura o algoritmo in grado di

determinare quell’insieme.

Dire l’insieme M (o un sottinsieme di M) vuol significare localizzare M in un certo ambito, ed

indicheremo con ( )Loc M così come possiamo definire ( )Loc M in modo tale che se

( )Loc M S e ( )Loc M S allora si può avere S S , l’ambito β è allora “minore” di α. In

realtà la cosa è più complessa di come appare, infatti a questo livello non abbiamo dell’insieme

alcuna determinazione, alcuna misura, quindi non abbiamo relazioni quantitative, né relazione di

corrispondenza, quindi non è possibile conoscere la molteplicità di un insieme rispetto ad un altro.

Ma allora che modo abbiamo per definire un ambito logico di un insieme rispetto ad un altro

ambito?

Page 17: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Il punto da cui partiamo è che l’individuabilità, prima della determinazione, produce di per se un

ordine tra gli elementi individuati, la presenza di una relazione d’ordine tra gli elementi di

( )Loc M permette di definirne un ambito e di confrontarlo con quello di ( )Loc M .

Come possiamo essere certi che una relazione d’ordine comunque esista in un insieme di cui non

sappiamo praticamente nulla?

La localizzazione Loc(M), alla stregua di quello che in insiemistica abbiamo con la determinazione

di sottinsiemi dell’insieme M, ha in se come generatore un processo ricorsivo, una relazione

ricorsiva, e se questa è evidente nella teoria degli insiemi nel modo in cui i sottinsiemi di un insieme

sono creati, altrettanto chiara risulterà dalla prospettiva da noi usata, infatti la condizione di misura

per noi è possibile solo attraverso una qualche ricorsiva generante le misure sull’insieme; e poiché

la localizzazione è la condizione di misurabilità, tale condizione si esprime proprio con la presenza

di una ricorsiva associata all’insieme che si vuole determinare.

Se la condizione di localizzazione, e quindi di misura, ci darà la certezza che per l’insieme esiste

una ricorsiva associata allora tale ricorsiva ci dà la certezza che per quell’insieme esiste una

relazione d’ordine prima della stessa misura. Una ricorsiva che a k-elementi fa corrispondere

sempre 1 ed 1 solo elemento, 1( ,..., )q q k kP P P , nella forma più semplice ad un elemento

corrisponde un elemento successivo 1( )k kP P . Una relazione di questo tipo, a prescindere da

cosa essa sia e su quali elementi sia definita, è in grado di generare una relazione d’ordine

nell’insieme stesso, se indichiamo questa relazione con , avremo che essa è in grado di produrre

un elemento da un elemento precedente (o più elementi) attraverso l’applicazione della stessa

relazione; per cui se 0 ( )P Loc M avremo che 0( ) ( )nnP P Loc M ed è proprio l’azione di

su che permette, di per se, partendo da un punto qualsiasi, di definire una relazione d’ordine tra

due elementi qualsiasi di M. 25

L’azione di è sufficiente a stabilire se dati ,i jP P abbiamo i jP P iP precede jP oppure i jP P

jP precede iP e questo senza avere alcuna cognizione di cosa siano i punti P, elementi dell’insieme.

Vedremo in seguito come vale la seguente:

Asserto 2: Un insieme è localizzato logicamente(ovvero è misurabile) se ad esso è associato una

ricorsiva.

Da cui vale sicuramente la seguente:

Asserto 3: Un insieme localizzato logicamente ha in se una qualche relazione d’ordine.

Essere localizzato logicamente equivale ad avere associato all’insieme una ricorsiva generante lo

spazio logico delle possibili misure sull’ insieme medesimo, misure che determineranno gli

elementi dello stesso. La presenza di una ricorsiva su entità logiche non ancora determinate

Page 18: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

(misurate) ci permette comunque di avere una relazione antiriflessiva, da cui se ,P P M allora o

P P oppure P P (dove vuol dire “precede” e ”consegue”), nel primo caso avremo

( )k P P , nel secondo ( )k P P . Inoltre varrà sicuramente la proprietà transitiva, se

P P e P P allora P P e questo consegue facilmente dalla ricorsiva per cui

( )k P P e ( )q P P allora ( )k q P P .

Come vedremo, la presenza di una ricorsiva associata ad un insieme localizzato non solo assicura

che in esso esista un ordine, ma anche che sia un buon ordine 26 . Un insieme è ben ordinato se vale

il teorema di Zermelo, ovvero esiste un minimo per ogni suo sottinsieme, ma la ricorsiva che

utilizzeremo ha sempre un punto di origine (che è la condizione di innesco della ricorsiva) e quindi

ha sempre un elemento unico che precede tutti gli altri elementi, ma è anche infinita e quindi non ha

un elemento ultimo, che consegue tutti, almeno così sembrerebbe. Quello che nella teoria degli

insiemi è un sottinsieme, nel nostro modello è un ambito logico , ed un ambito logico si costruisce

alla stregua di un sottinsieme aggiungendo uno step successivo della ricorsiva a quelli precedenti,

un ambio logico costruito da una tale ricorsiva ha sempre sicuramente un elemento che precede tutti

e quindi proprio considerando l’elemento origine dell’ambito, che possiamo confrontare ambiti

logici differenti per una stessa ricorsiva.

A questo punto possiamo definire il significato di un ambito logico su uno stesso insieme , quindi

su una stessa relazione, come quel valore P tale che. ( ) si hak kP Loc M P P , quindi

l’ambito logico è definito dall’elemento che precede tutti gli altri elementi dell’ambito e per un

ambito infinito questo è sufficiente. Per il confronto tra 2 ambito infiniti di uno stesso insieme

basterà confrontare la loro origine (o elemento che precede tutti gli altri), infatti se ( )Loc M con

P elemento antecedente tutti gli altri è tale che P P allora l’ambito ( )Loc M contiene

( )Loc M .Un ambito di localizzazione finito su una ricorsiva determinante l’insieme M si risolve

allo stesso modo confrontando attraverso i primi elementi dei due ambiti.

Discorso a parte è quello del confronto tra ambiti di 2 insiemi diversi, M e N con 2 relazioni

ricorsive diverse e ’, in tal caso il confronto sarà possibile solo se esiste una Φ t.c. per P

origine di M e P origine di N si ha ( )P P oppure ( )P P . In tal caso la meta-relazione Φ

si estenderà a tutti gli elementi di M su quelli di N, se l’insieme M è definito dalla , ovvero (M;)

e N dalla ’, ovvero (N;’), la relazione Φ sarà una funzione da M ad N che conserverà l’ordine di

M su N, infatti se k qP P allora ( ) ( )k qP P da cui k qP P essendo ( )k kP P e

( )q qP P . E’ quello che in teoria degli insiemi viene chiamato isomorfismo d’ordine, nel caso in

Page 19: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

cui esista l’inversa di Φ, ovvero 1( )k kP P , ma che in realtà non sempre si dà e questo vuol dire

che se la suriettività di Φ è sempre garantita, non è detto che lo sia sempre la iniettività, in tal caso

tutti gli elementi di M saranno antecedenti a quelli di N secondo lo stesso ordine.

Possiamo a questo punto introdurre il concetto di numero ordinale secondo la definizione

cantoriana,

Definizione 2 : Due insiemi ben ordinati hanno lo stesso numero ordinale se si possono mettere tra

loro in relazione attraverso un isomorfismo d’ordine.

Quindi se la relazione Φ è biettiva, e quindi ha l’ inversa 1 .

Ora l’insieme M creato dalla relazione ricorsiva genera uno spazio di elementi che chiameremo

ω, in tal caso e che corrisponde proprio all’ordinale secondo l’accezione cantoriana, per cui:

2{ , ,..., }nP P P punti che si prolungano ad infinito, ed allo stesso modo 2{ , ,..., }nP P P per

l’insieme N.

Sulla base di quanto detto possiamo concludere :

Asserto 4 : Se esiste una relazione t.c. ( ) allora e quindi l’ordinale precede

l’ordinale , se invece ( ) abbiamo , se , invece, la relazione Φ ha anche una

sua inversa e quindi si tratta di un isomorfismo d’ordine, allora , ovvero i due

numeri d’ordine coincidono.

Quanto detto serve a definire il concetto di ambito logico, Loc(M), e quello di spazio ω che nella

nostra rappresentazione sostituiscono i concetti di sottinsieme e di numero ordinale. 27

Nel momento in cui associamo a uno strumento di misura o un algoritmo avremo la generazione

di determinazioni per i vari ambiti, per i vari insiemi e lo stesso ambito assumerà una dimensione

spazio-temporale. Le misure effettuate da uno strumento di misura si svolgono sempre lungo un

tempo; se portiamo questo ambito ad infinito, l’ambito spaziale che ne risulterà sarà la

localizzazione per una regola o algoritmo. In definitiva un sottinsieme, con un corrispondente

ambito di localizzazione, può avere un ambito S/T ottenuto da uno strumento di misura o da un

algoritmo, nel primo caso l’ambito delle misura sarà sia temporale che spaziale , nel secondo caso

sarà solo spaziale. Ovviamente lo strumento di misura deve dare il singolo risultato o misura in un

tempo certo e comunque finito, per gli algoritmi questo non è necessario se il valore risultante è

localizzato, un algoritmo che genera π è un algoritmo infinito ma il risultato è localizzato (in analisi

diremo convergente). L’insieme delle misure ottenute in un ambito S/T diventano valori di un

algoritmo portando ad infinito il tempo di ripetizione delle misure, in tal modo l’ambito delle

Page 20: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

misure ad infinito corrisponderà ad un possibile ambito di un algoritmo. E’ chiaro che l’algoritmo

associabile ad uno strumento di misura è comunque un algoritmo finito ed esso non sempre è

definibile, in tal caso l’estendere ad infinito delle misure può essere fatto solo sulla base di ipotesi o

di scenari possibili.

Se un insieme determinato è rappresentato sempre da misure, misure ottenute da un algoritmo

conosciuto e definito oppure da uno strumento di misura, un sottinsieme può essere ottenuto o dalla

definizione di un ambito temporale dello strumento di misura oppure dalla definizione di un ambito

spaziale delle misure date da un algoritmo. Per insiemi definiti da algoritmi la definizione di un

sottinsieme è legata alla definizione di un altro algoritmo compreso nei valori del primo. La

conseguenza che abbiamo è che definire un insieme determinato come una semplice etichetta o

definizione, non ha più senso, non ha senso dire “l’ insieme delle mele” così come “l’insieme delle

più estese città europee”; esse dovrebbero essere corrette con la definizione “L’insieme degli

oggetti che misurati rispondono alle condizioni fissate che definiscono una mela”, così come

“L’insieme delle città europee che misurate secondo un criterio di estensione spaziale e di

popolazione rispondono alla condizione di essere le più estese città europee “. Quello che vogliamo

dire è che quando passiamo da un insieme definito come ambito logico ad un insieme definito come

ambito S/T abbiamo sempre un criterio di valutazione e di misura, abbiamo sempre dei numeri o

qualcosa che può ricondursi a dei numeri.

Possiamo definire le seguenti:

Definizione 3 : Loc(A) è un ambito di localizzazione logica di un insieme A ottenuto da una qualche

relazione d’ordine su entità non ancora determinate, ovvero non ancora misurate.

Quindi possiamo dire che :

Asserto 5 : Se ja A allora1

( )n

jj

a Loc A

quando esiste una relazione d’ordine (qualsiasi essa

sia) tale che , si ha oppurei j i ji j a a a a .

( )jMis a definiscono le misure delle varie entità con cui è formato l’insieme A, quindi avremo:

1 1

( ) ( )n n

j jj j

Mis a a

con n che può essere un numero finito oppure infinito.

Quello che occorre sottolineare è che a differenza di quanto definito nell’algebra di Borel, nel

nostro caso l’additività pur essendo proprietà dei numeri delle misure non è detto che generi ancora

elementi dell’insieme A. Per questo motivo noi introduciamo i seguenti assunti:

Asserto 6 : Un insieme di misure è parte di se stesso se la sommatoria di tali misure è ancora una

misura dell’insieme.

Page 21: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

11

( ) ( ) ( ( )j jjj

a a Loc A

in questo caso avremo1 1

( ) ( ) ( ) ( ( )) ( )j j jj j

Mis A a a Loc A Mis a

Asserto 7 : Un insieme di misure non è parte di se stesso se la sommatoria di tali misure non è una

misura dell’insieme.

11

( ) ( ) ( ( )j jjj

a a Loc A

ovvero ( ) ( )jMis A Mis a

Nel simbolismo che abbiamo introdotto ( )a o ( )Mis a è la misura di un elemento di A, mentre

1

( ) ( )jj

a Mis A

è la misura di A nel suo insieme ottenibile attraverso la sommatoria delle

singole misure. Ora quello che bisogna stabilire di volta in volta è se tale sommatoria (ad infinito) è

ancora un elemento dell’insieme e per essere tale bisogna che ( ) ( ) ( ( ))jMis A Mis a Loc A . 28

Per capire che rapporto esiste tra strumento di misura e algoritmo ritorniamo al paradosso di

Russell, quello che rimanda, come struttura logica, al paradosso di Epimenide, che nella sua forma

più concisa ha la forma “Io sto mentendo” e la domanda se tale affermazione è vera o falsa. 29

Essa ci evidenzia la possibilità di strutture logiche autoreferenziali, che nel caso degli insiemi

assume questa conformazione; se consideriamo l’insieme di tutti gli insiemi che non sono parte di

se stessi esso è parte di se stesso o no? E’ evidente che in una tale situazione si genera la stessa

contraddizione che ci troviamo davanti col paradosso di Epimenide, infatti se esso è parte di se

stesso allora non lo è, ma se non è parte di se stesso allora sarà parte di se stesso. Ma cosa vuol dire

esattamente questo paradosso se leghiamo la definizione di insieme a quella di misura ?

Come vedremo, una misura è il risultato di un processo che lega uno strumento di misura (o una

regola) ed un oggetto, questa relazione produce un numero ma può produrre anche un enunciato.

Quindi, nel nostro caso, dire “Io ho mentito” è il risultato di una misurazione fatta su un certo

oggetto o argomento, in una collocazione spazio-temporale, in tal caso lo spazio è indicato

dall’argomento – oggetto e il tempo è il presente; nel risultato della misura. “Io ho mentito” si avrà

che ho effettuato una misura su un argomento x nel tempo passato t, e questa misura dice che

l’affermazione x “non è vera”. Lo stesso vale per l’affermazione “Io mentirò”.

Ma quando dico “Io sto mentendo” sorge una situazione di evidente equivoco, se indico che mi

riferisco all’argomento x allora l’equivoco sembra risolto, infatti avrò uno strumento di misura, un

argomento x ed un tempo t che è “adesso” ; il risultato è una misura che mi dice che l’argomento x

è “non vero”. Quando sorge la contraddizione allora? Essa sorge se l’argomento x, ovvero l’oggetto

Page 22: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

della misura, diventa lo strumento stesso di misura, io non misuro più un oggetto attraverso uno

strumento di misura (o regola) ma misuro lo stesso strumento, in definitiva ho una regola che

misura se stessa, non si riferisce a qualcosa ma a se stessa. A ben vedere qui il paradosso è duplice

perché non abbiamo solo uno strumento di misura che misura se stesso, ma anche che dice che le

misure da esso fatte, non sono valide. Anche se può sembrare strano, in realtà quest’ ultimo aspetto

è secondario, una macchina che ci dica che una cosa è vera o falsa fa sempre delle misure e le

misure sono sempre entità positive, non esiste una macchina che fa non-misure; può esistere una

macchina che fa delle misure che ci parlano della verità o falsità di qualcosa. Il paradosso sorge se

essa comincia a fare delle misure su se stessa, in tal modo diventa strumento e oggetto di se.

Il paradosso sarebbe allo stesso modo se ci parlasse di se dicendoci la verità, infatti che ci dicesse

che sta misurando bene o male ha un senso in quanto ci parlerebbe del suo funzionamento; un

autotest di una macchina ci dice se le sue parti funzionano a dovere; ma se una macchina si

limitasse a fare l’autotest è evidente che pur dicendoci che funziona in realtà non funziona; infatti la

sua funzione è quella di fare misure su un oggetto, se essa continua a parlarci di se non ci dice nulla

dell’oggetto. Così allo stesso modo una regola che ci parla di se non ci dice nulla dell’oggetto per

cui essa è costruita.

E’ evidente che in questa prospettiva il paradosso di Russell 30 viene riformulato e assume un nuovo

significato; infatti non ha più senso parlare, come abbiamo detto, se l’insieme dei sassi è ancora un

sasso ma se l’insieme dei sassi può essere misurato come un sasso e questo problema dal nostro

punto di vista si risolve dicendo se le misure che stiamo facendo sui sassi si possono o meno

addizionare tra di loro e quindi se la sommatoria delle misure è ancora una misura, se questo è

possibile allora l’insieme dei sassi ovvero delle misure dei sassi sarà parte di se stesso, ma non è

detto che lo sia dell’insieme che stiamo considerando. Questo problema ci porta direttamente ad un

punto fondamentale della nostra discussione quello della differenza tra sistemi computabili

realmente e sistemi computabili solo teoricamente, su cui ritorneremo in seguito.

Nella nostra prospettiva il paradosso di Russell assume la forma “benigna” di uno strumento che

misura se stesso, di una regola che regola se stessa come elemento, di una funzione che assume se

stessa come variabile. Ebbene vedremo che in questa prospettiva il paradosso non solo non è

superabile ma è parte integrante del nostro modo di comprendere il mondo, il teorema di Goedel da

un certo punto di vista esplicita questo aspetto paradossale.

Ricapitolando nel momento in cui facciamo delle misure e quindi otteniamo dei numeri, abbiamo

un insieme di valori come risultati, noi stabiliamo una relazione tra questi valori, questo vuol dire

che prima di fare una corrispondenza tra due insiemi di oggetti abbiamo bisogno di una relazione

Page 23: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

che definisca gli elementi di ogni insieme. E questa relazione può passare attraverso un semplice

strumento di misura come un metro o una bilancia fino a relazioni molto più complesse, ma il

fattore comune è che esse sono ottenute dalla applicazione consecutiva di una stessa operazione,

dello stesso strumento, della stessa regola. La misura non sarebbe più valida se l’operazione che la

determina non fosse sempre la stessa, essa deve essere la ripetizione di un operazione

INVARIANTE, se non fosse così la nostra misura non avrebbe più senso e sarebbe soggetta ad

errori anche madornali. 31 Non avrebbe senso se misurassimo alcuni sassi con un righello e altri con

la bilancia, ma non avrebbe allo stesso modo senso se usassimo bilance differenti per misurarli,

anche se fossero ben calibrate tra di loro, ma con precisioni differenti.

Cerchiamo qui di fissare alcuni aspetti su questo importante problema della misura, la misura è il

risultato, il valore ottenuto dalla interazione tra Strumento di Misura e Oggetto Misurato. Questo

valore è la determinazione che associamo all’oggetto in un particolare istante Spazio/Temporale in

cui la misura viene eseguita; i fisici chiamano questo valore STATO DEL SISTEMA, è evidente

che lo stato di un sistema può essere dato da più misure coesistenti ognuna delle quali misurerà un

parametro (ovvero una determinazione) dello stato del sistema. Un oggetto misurato in una stessa

posizione spaziale ma in tempi successivi può presentare misure differenti, allo stesso modo di più

oggetti misurati in posti differenti nello stesso istante porterà le nostre misure a valori diversi. Ma

per essere comparabili queste misure devono essere eseguite secondo un invariante S/T; cos’è

questo invariante?

Come abbiamo detto, dobbiamo usare uno stesso strumento, che alle stesse condizioni dia uno

stesso risultato; e questa è la condizione essenziale per la misurabilità di un sistema; ma a ben

vedere ne occorre un’altra non meno importante ovvero che gli oggetti che stiamo misurando, se

sono più di uno, siano della stessa tipologia, o meglio che quei parametri, che vogliamo misurare

dell’oggetto, conservino le caratteristiche misurabili nello S/T. Se vogliamo misurare il peso in un

oggetto in vari luoghi, occorre che siamo in grado di sottrarre dal peso che misuriamo i

condizionamenti ed influenze dovute alla diversa collocazione spaziale. Se misuriamo un sasso al

livello del mare il valore del suo peso non sarà lo stesso se lo misuriamo in alta montagna.

L’invariante di cui parliamo non riguarda solo lo strumento ma anche le condizioni S/T in cui

avviene la misura., questo fatto è sicuramente più complesso e coinvolge aspetti fondamentali della

fisica come quelli descritti dalla relatività generale, per adesso non ne terremo conto ma ritorneremo

su di essi e su una analisi dei concetti di spazio e tempo nella parte finale del saggio.

Invariante, quindi, deve essere una relazione che lega misuratore e misurato, strumento di misura e

oggetto. (Strumento di Misura ; Oggetto Misurato) = Invariante

Page 24: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Il risultato di una misura è un numero, questo numero ha particolari caratteristiche, una di esse è che

non è isolato, una misura ha senso se in relazione ad altre misure eseguite dallo stesso strumento,

allo stesso oggetto, nello stesso modo. Una singola misura non ci dice nulla di un oggetto, mentre

più misure nel tempo di uno stesso oggetto possono descriverci la storia di questo oggetto, così

come una misura su più oggetti differenti ci descrivono la variabilità di tali oggetti. 32 Un ulteriore

aspetto della misura è che il processo ad esso associato deve sempre terminare in un tempo definito,

limitato; il risultato che abbiamo deve essere ottenuto in un tempo finito, non possiamo immaginare

una misura che ci dia il suo risultato in un tempo infinito. Quindi l’operazione di misura deve avere

un termine e il risultato di questa operazione deve essere un numero definito, determinato ovvero

limitato. La caratteristica dei valori delle misure è che anche essi sono numeri finiti, determinati;

anche quando misuriamo il rapporto tra circonferenza e raggio, il valore che otteniamo deve sempre

fermarsi ad una approssimazione. Numeri che sappiamo essere infiniti nella parte decimale come i

numeri trascendenti all’atto della misura devono produrre sempre un valore determinato, finito.

Quindi quando indichiamo che la misura è una determinazione ne evidenziamo il suo aspetto

discreto e limitato nello spazio/tempo. Una conseguenza importante di questo è che l’insieme delle

misure è sempre un insieme numerabile, e quindi esse possono essere infinite ma non possono avere

una cardinalità continua. 33

Ma qual’è la relazione che lega tra loro queste misure ?

Quello che stiamo cercando è: Data una corrispondenza tra insiemi, come si determina e si fissa la

molteplicità di uno degli insiemi messi in relazione di corrispondenza?

E’ evidente che se non vogliamo cadere in una regressione ad infinito non possiamo spiegare la

molteplicità dell’insieme attraverso una relazione di corrispondenza. Quindi questa molteplicità

discreta di misure che determina un insieme di elementi non può essere data da una tale relazione,

(come la maggior parte delle definizioni di misure che troviamo nei testi di matematica). In effetti ci

sembra che quando andiamo a determinare gli elementi di un insieme attraverso una qualche

misura, in fondo quello che facciamo è fare corrispondere ad ogni elemento una misura che rispetti

il criterio di selezione degli elementi per quello insieme, e questo vale sia se scegliamo un insieme

di numeri pari, oppure una cesta di pesche con pezzatura da 50 gr. in su ecc.

C’è un aspetto a cui non si fatto molto ben conto, queste misure che facciamo di uno stesso oggetto

o di più oggetti sono sempre tra loro in relazione e questa relazione è molto più complessa di una

semplice relazione di corrispondenza. Nel momento in cui gli oggetti entrano a fare parte di un

insieme, le loro misure stanno tra di loro in una qualche relazione molto più vincolante di una

relazione di corrispondenza, e questo criterio è proprio in quell’invariante che lega lo Strumento (o

Algoritmo o Regola) e l’Oggetto Misurato (o Variabili o Simboli).

Page 25: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

(Strumento di Misura ; Oggetto Misurato) è un Invariante.

L’applicazione di questo invariante ci permette di selezionare oggetti da uno sfondo e determinarli

come parti di un insieme. In realtà questa relazione rappresenta ed esplicita quella relazione

d’ordine che ogni processo di individuazione e di scelta di un insieme (o di insiemi di insiemi) porta

con sé. Con la relazione di misura, quella relazione d’ordine trova la sua esplicitazione quantitativa,

in termini di determinazioni abbiamo detto che la seconda è la precondizione per la prima. che la

possibilità di individuare elementi è la condizione per la loro determinabilità. 34

Ora facciamo una ipotesi che troverà una sua spiegazione solo in seguito, ovvero che misurare più

oggetti nello stesso tempo equivale a misurare uno stesso oggetto in tempi diversi. 35 Il senso di

questa assunzione sta nel fatto che lo Spazio/Tempo come ambito, rappresenta, esplicita una

dimensione logica che abbiamo chiamata appunto Localizzazione Logica, ed in questo contesto

Spazio e Tempo rimandano ad una comune dimensione che li rende, come vedremo,

intercambiabili. Comunque, se assumiamo questa ipotesi allora possiamo ricondurre la misura di

oggetti molteplici uguali o differenti tra di loro, alla misura di uno stesso oggetto in tempi differenti,

che ci darà le stesse misure, gli stessi valori di oggetti tra loro diversi. Ma dalla fisica quantistica

sappiamo che effettuare una misura di un qualche oggetto vuol dire cambiare l’oggetto, l’oggetto

prima della misura non è lo stesso dell’oggetto dopo la misura, possiamo schematizzare la cosa nel

seguente modo:

Figura 1

L’atto della misura modifica lo strumento di misura, ma se esso forma con l’oggetto un invariante

questo vuol dire che pari modifica vi deve essere anche nell’oggetto, e che quindi la misura come

valore ottenuto ci parla di questa variazione dal lato dello strumento, ma esiste anche un

corrispettivo dal lato dell’oggetto. La misura ottenuta è la misura dal lato dello strumento

Strumento di MisuraOggetto Misurato

Misura Oggetto DOPO laMisura

Page 26: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

dell’azione dell’invariante , essa contiene in se il risultato di questa interazione la quale diventa

misura delle variazioni dell’oggetto quando lo stesso strumento effettua più misure nel tempo, in tal

modo viene misurato la variazione del comportamento di quell’ oggetto rispetto ad altri oggetti e/o

rispetto a se stesso. 36

Quindi esiste un primo aspetto che ci parla della correlazione tra lato dello strumento e lato

dell’oggetto, correlazione che viene vincolata al valore dell’invariante, e quindi mantiene la sua

relazione sempre la stessa per ogni misura. Ma nella misura si deve esplicitare non solo il lato dello

strumento ma anche e necessariamente quello dell’oggetto variato che però può essere presente

solo in maniera virtuale, in quanto la misura reale è e rimane sempre quella dataci dallo strumento.

L’utilizzo dei numeri complessi potrebbe rappresentare questo aspetto, la componente immaginaria

è quella data dalla variazione virtuale dell’oggetto misurato, mentre la componente reale è la misura

prodotta dallo strumento. 37

Un secondo aspetto ci dice che la misura che otteniamo intesa come componente dello strumento e

componente dell’oggetto, ed espressa da un numero complesso, rappresenta il valore ottenuto dalla

relazione invariante. Il risultato dell’invariante non è solo la misura misurata, quella dal lato dello

strumento, ma anche la misura virtuale quella dal lato dell’oggetto; esse, quindi, formano un

tutt’uno non separabile, risultato dell’azione dell’invariante. Ed allora consegue che l’azione

successiva dell’invariante, ovvero la misura successiva si applica proprio sull’oggetto risultato della

misura precedente; ma che dal punto di vista dell’invariante è il risultato ottenuto dalla sua azione

precedente. L’azione dell’invariante si applica sull’oggetto, ma anche sullo strumento di misura

VARIATI, e quindi sul numero che contiene questa doppia variazione. Questo vuol dire che il

risultato della sua azione è un numero complesso e che la sua azione successiva si applica a questo

valore, l’invariante si comporta a tutti gli effetti come una funzione ricorsiva, la misura dello

strumento, i valori reali sono solo un ramo di questa azione, quello che noi riusciamo a misurare.

Il risultato dell’invariante è sempre la combinazione della variazione dal lato dell’oggetto e quella

dal lato dello strumento, la sua azione successiva ha, quindi, a sua volta come componenti questi

due aspetti che diventano oggetto della sua azione e cosi via. Il risultato è che questa azione si

presenta sempre come una ricorsiva che produce da un lato misure come numeri reali e dall’altro

variazioni dell’oggetto come numeri immaginari. Nel caso di sistemi che non hanno variazioni dal

lato dell’oggetto l’azione dell’invariante coincide con i soli numeri reali e quindi con le misure date

dallo strumento. In questo contesto il valore della norma, su cui ritorneremo ampiamente in seguito,

ha un particolare significato, quello di esplicitare l’invariante medesimo e renderlo esso stesso

misura. Quell’aspetto autoreferenziale presente nella misura del mondo, e così ben messo in

evidenza da Hegel e dal paradosso di Epimenide (che abbiamo prima discusso), trova la sua

Page 27: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

rappresentazione nella azione ricorsiva presente nella relazione di misura. Essa è in ogni

misurazione che facciamo del mondo in quanto applicazione ricorsiva di un invariante.

Riassumendo:

1) La definizione di Insieme presuppone un procedimento di scelta e quindi di ordinalità.

2) La presenza di una relazione d’ordine e quindi di individuabilità degli elementi dell’insieme è la

condizione affinché sia possibile la Misura.

3) La Misura è un INVARIANTE dato dalla relazione tra lo Strumento di Misura e l’Oggetto

Misurato.

4) Il risultato di questo invariante è un numero complesso dove la parte reale è la variazione dal lato

dello strumento e la parte immaginaria quella dal lato dell’oggetto.

5) L’azione dell’invariante si sviluppa nei termini di una ricorsiva dove il risultato diventa il valore

su cui si applica l’azione successiva. Essa si presenta come una struttura autoreferentesi.

6) Le misure date dall’azione di un invariante sono legate tra di loro, fanno parte di un sistema,

generano, come vedremo, lo spazio delle misure del sistema.

1.1.3 Che ruolo svolge l’ambiente esterno nella determinazione della misura. Il

superamento della dicotomia Sistema – Ambiente

La dicotomia Sistema-Ambiente è strettamente legata al principio di causalità, ovvero l’idea che a

qualsiasi modifica del sistema corrisponda una causa e che questa causa origini da qualcosa che è

altro dal sistema. Questo modo di analizzare la realtà è stato, da Aristotele in poi, un architrave su

cui si è basato il pensiero filosofico-scientifico occidentale, l’idea che per ogni cambiamento vi sia

una causa associata ed essa si collochi al di fuori del sistema ed agisca su di esso pone un rapporto

di causa effetto, ma un tale principio ha in se la necessità di tenere separate l’entità che genera la

causa e l’entità che subisce l’effetto. 38 La necessità sostanziale di una tale separazione non ci ha

mai abbandonati, anche la fisica contemporanea adotta l’idea che esistano entità che causano

variazioni (forze o bosoni) ed entità che subiscono l’effetto (materia o fermioni). 39 Per la fisica

moderna, iniziata con Galileo e Newton, l’ambiente era solo un “qualcos’altro” che agiva sul

sistema fisico determinato, la relazione non era ancora con un ambiente molteplice, di altre entità,

ma bensì con un solo altro sistema, e di questa interazione se ne studiavano le leggi e se ne

ricavavano le equazioni matematiche. Insomma la fisica classica nacque con la finzione che non

esista un ambiente multivariante che agisce su un sistema, bensì che esista un sistema che al

Page 28: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

massimo agisce con un altro sistema (già se i sistemi gravitazionali diventano tre, come nella legge

dei 3 corpi, l’equazione che ne dovrebbe descrivere l’andamento reciproco diventa così complessa

da non poter avere soluzioni). 40 Quindi si descrivevano i comportamenti ideali di sistemi fisici che

rimanevano approssimazioni più o meno rispondenti alle situazioni complesse in cui realmente si

trovavano in natura. Questa prospettiva, pur essendo euristicamente feconda, portò con se l’idea

malsana che l’ambiente si presenti come una entità perturbativa del comportamento del sistema, ed

a fronte di un comportamento ideale, matematicamente ben descritto del sistema, si introduca, da

parte di un ambiente esterno, una serie di disturbi e di perturbazioni che hanno un impatto sulle

eleganti e lineari equazioni matematiche del sistema. In seguito il concetto di ambiente nella

descrizione dei fenomeni, assunse un valore più profondo senza dubbio originato, mutuato, dallo

studio degli organismi viventi, l’ambiente è il luogo, l’entità, su cui l’organismo agisce, anzi

interagisce. In una tale prospettiva viene superata la semplice relazione di causalità, si introduce una

interazione come azione e reazione sul sistema, sull’organismo; la biologia amplifica la complessità

del sistema, complessità accentuata dalla infinita variabilità dell’ambiente che è in grado di agire e

condizionare il sistema. 41

Da Poincaré in poi ci si rese conto di come tutti i modelli fisici descritti dall’uomo siano in realtà

modelli ideali, tutti i sistemi fisici in natura sono perturbati, disturbati dall’ambiente e questo

malgrado i molteplici tentativi di trovare modelli matematici in grado di imprigionare entro formule

definite le possibili perturbazioni. 42 Per fortuna in molti casi esse non influivano di molto e nel

breve tempo sull’andamento del sistema; ma se si andava a studiare lo stesso in tempi più lunghi,

queste perturbazioni rendevano vane tutte le ideali equazioni matematiche. In definitiva non era

possibile descrivere matematicamente sistemi in ambienti multivarianti, in ambienti complessi, i

sistemi divenivano caotici, non prevedibili e le equazioni non lineari, e di esse era difficile se non

impossibile trovare le soluzioni se non attraverso una serie continua di approssimazioni. Come reagì

la fisica di fronte alla scoperta della complessità dell’ambiente ed all’impossibilità di descrivere

matematicamente tale interazione?

Possiamo dire che cercò di ignorare il problema, continuando a fare fisica dei sistemi ideali, e che

poi da un punto di vista matematico significa una cosa sola, continuare ad utilizzare la matematica

differenziale come strumento fondamentale di analisi dei fenomeni fisici, sperando che una valida

approssimazione permettesse il passaggio dalla descrizione di sistemi ideali a quella di sistemi reali.

Un aiuto alle ricerche dei fisici lo dette senza dubbio lo sviluppo della fisica statistica ma più ancora

la scoperta della fisica quantistica. Quest’ultima permise di continuare a lavorare su sistemi ideali

anche nello studio delle particelle e delle componenti della materia; il ruolo perturbativo

Page 29: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

dell’ambiente, certo non eliminabile in questo contesto, fu inglobato nel principio di

indeterminazione di Heisenberg e quindi esso subentrava nel momento in cui si realizzava la

misura. 43 La definizione di stati possibili del sistema tra loro alternativi e sovrapposti diventava il

perno su cui ruotava tutta la concettualizzazione dei sistemi quantistici, il sistema così inteso,

rappresentato attraverso la Funzione d’Onda (FO), diventava ideale alla stregua di quelli studiati dai

fisici classici. La funzione stessa si presentava deterministica alla stregua delle funzioni classiche,

ma con una differenza fondamentale rispetto a quelle, nei sistemi quantistici, nella definizione dei

suoi stati base, vi era contenuta tutta la interazione con l’ambiente che era necessaria per la

definizione di quel sistema; interazione che si realizzava all’atto della misura; quest’ultima si

presentava come un vero e proprio processo di discontinuità, che traduceva un sistema

apparentemente deterministico in un sistema probabilistico; questo collasso della FO era uno degli

aspetti più sorprendenti della fisica quantistica e la rendeva così distante dalla fisica classica.

Possiamo dire che mentre l’idealità della fisica classica riesce ad astrarre anche dall’osservatore

(almeno fino alla venuta della teoria della relatività), nella fisica quantistica l’osservatore viene

integrato nel modello; mentre la fisica classica riduceva al minimo le interferenze dell’ambiente;

nella fisica quantistica l’ambiente viene inglobato nello strumento di misura, in tal modo l’ambiente

entra nella interazione col sistema ma in un modo controllato, rendendo possibile la trattazione con

modelli matematici del sistema. Esso rimane un sistema idealmente isolato alla stregua di quelli

classici quando non viene misurato, diventando “probabilistico” nel momento in cui viene effettuata

la misura. 44

Per spiegare questa importante innovazione introdotta dalla fisica quantistica ricorriamo ancora una

volta al gatto di Schroedinger; uno dei punti da considerare, in questo esempio, è quale sia il

sistema e quale sia l’ambiente, in realtà l’ambiente è nel punto in cui viene effettuata la misura,

quindi il sistema è il gatto con l’apparato contenuti entro il box che viene isolato, sembrerebbe

allora che il sistema non inglobi con se l’ambiente se non al momento della misura, ma questo è

proprio l’errore che molti fisici e filosofi hanno fatto trascurando un aspetto essenziale della

questione. L’ambiente è nel sistema anche quando esso è isolato, il sistema ingloba in se anche

quella parte di ambiente che serve per effettuare, se e quando sarà effettuata, la misura, se così non

fosse non potremmo mai definire gli stati possibili del sistema (es. come gatto vivo o gatto morto).

Per rendere più esplicita la cosa, immaginiamo il caso banale di sapere del nostro sistema il colore

del gatto, ebbene come potremmo stabilire i possibili colori dei gatti al fine di determinare gli stati

base 45 del sistema? E’ chiaro che possiamo farlo solo se inglobiamo nel sistema tutte le possibili

misure con l’ambiente che ci definiscono significativamente le alternative dei colori del gatto,

questo ci permetterà di ipotizzare che la possibilità di trovare un gatto viola è ad esempio quasi

Page 30: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

nulla mentre è molto probabile trovare un gatto nero e più ancora un gatto con fondo bianco. La

concettualizzazione quantistica, a differenza di quella classica, ingloba in se l’ambiente anche

quando le misure non sono effettuate, l’ambiente diventa parte integrante del sistema per quella

parte che si vuole misurare e la stessa evoluzione del sistema viene studiata in funzione delle misure

che del sistema si vogliono fare. Occorre precisare che a differenza della fisica statistica, le

probabilità di stati del sistema in fisica quantistica NON sono dovute ad una mancanza di

conoscenza del sistema. Questo aspetto è uno dei perni della interpretazione di Copenhagen (che fa

capo principalmente a N.Bohr),la fisica quantistica è COMPLETA, ovvero non ha variabili

nascoste, il probabilismo espresso dalla FO non è una forma di mancata conoscenza ma è tutto

quello che possiamo conoscere del sistema. 46

In realtà, il nostro punto di vista parte da una posizione completamente nuova e per meglio

precisarla dovremmo ripercorrere alcuni aspetti della polemica tra Einstein e Bohn

sull’interpretazione della fisica quantistica.

Diceva Einstein nel suo famoso articolo EPR del 1935:

“In una teoria completa esiste un elemento corrispondente ad ogni elemento della realtà. Una

condizione sufficiente per la realtà di una quantità fisica è la possibilità di essere predetta con

certezza, senza disturbare il sistema. In meccanica quantistica nel caso di due quantità fisiche

descritte da operatori non commutanti, la conoscenza di una preclude la conoscenza dell’altra.

Allora o (1) la descrizione della realtà fisica data dalla funzione d’onda è incompleta oppure (2)

queste due realtà non possono avere realtà simultanea. Considerazioni riguardo al problema di

eseguire previsioni circa un sistema sulla base di misure eseguite su un altro sistema che ha

precedentemente interagito con esso, portano a dedurre che se la (1) è falsa allora anche la (2) è

falsa. Dobbiamo dunque concludere che la descrizione della realtà fisica data dalla funzione d’onda

non è completa.” 47

In questo paragrafo viene riportata una definizione di “criterio di realtà” e di “completezza” che

saranno il bersaglio della replica di Bohr, che evidenza un aspetto debole dell’analisi di EPR.

Dice Bohr:

“ Dal nostro punto di vista risulta chiaro che la formulazione del...criterio di realtà...contiene una

ambiguità per ciò che riguarda l’espressione ‘senza turbare in alcun modo il sistema’.[Nel caso

considerato] non si tratta di una perturbazione meccanica del sistema in esame durante l’ultimo

stadio critico del procedimento di misura. Ma anche in questo stadio la questione fondamentale

resta quella di una influenza sulle condizioni stesse che definiscono i possibili tipi di previsione sul

comportamento futuro del sistema, queste condizioni costituiscono un elemento intrinseco della

descrizione di qualsiasi fenomeno che si possa legittimamente indicare col termine “realtà fisica”. 48

Page 31: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

In definitiva quello che Bohr ci dice è che la realtà è già tutta nella misura e nella relazione oggetto

misurato – strumento di misura, ed al di fuori di questa relazione è inutile, ed è un approccio quasi

metafisico, andare alla ricerca di una realtà distinta e separata.

Proprio in questo aspetto evidenziato da Bohr in contrasto con la visione di Einstein vi è tutta la

novità e la rivoluzione concettuale della fisica quantistica, le entità della realtà, la realtà nel suo

criterio di oggettività, lega a se in maniera indissolubilmente oggetto osservato ed osservatore,

proprietà dell’oggetto e proprietà dello strumento, in definitiva oggetto e strumento di misura NON

sono entità separabili, su di esse si basa il nostro criterio di realtà e di oggettività. Questa è la vera

grande innovazione apportata dalla fisica quantistica, la vera rivoluzione concettuale da essa messa

in atto. Nella misura vi è tutta la realtà, tutto quello che dell’oggetto possiamo sapere passa sempre

ed esclusivamente attraverso lo strumento di misura con cui lo osserviamo, il criterio di realtà passa

attraverso la relazione oggetto – strumento di misura ma in questa relazione vi è anche compresa la

possibile perturbazione del sistema (perturbazione che, nella nostra interpretazione, abbiamo

esplicitato attraverso l’utilizzo dei numeri complessi).

Ma il vero problema, in termini di fisica quantistica, si pone nel momento in cui abbiamo

osservabili che NON COMMUTANO, ovvero due osservabili che sono legati tra di loro attraverso

il principio di indeterminazione di Heisenberg; in questo caso ha pienamente ragione Einstein a

porre la questione nel seguente modo:

O la Funzione d’Onda non è completa e quindi essa equivale ad una semplice equazione di

probabilità degli stati del sistema di cui manca la conoscenza delle condizioni iniziali del sistema e

delle sue variabili complete.

Oppure le due realtà non possono avere realtà simultanee perché se l’avessero dovremmo

abbandonare il principio di località, uno dei fondamenti della relatività speciale. 49

In definitiva dovremmo accettare l’esistenza di una azione a distanza tra eventi di uno stato fisico.

Il merito di Einstein è stato quello di essere riuscito a focalizzare in maniera definitiva qual’è il

punto del problema e tutte le interpretazioni successive da quella di Bohm fino a quella di Bell

ripercorrono la questione in quei termini. Il “paradosso” posto dall’articolo EPR è valido ed è il

punto di partenza per qualsiasi ipotesi interpretativa, l’orientamento prevalente oggi è quello di

considerare la completezza della FO e di abbandonare il principio di località, introducendo una vera

e propria proprietà innovativa dei fenomeni quantistici che è quella dell’entanglement , in definitiva

si tratta della vecchia azione a distanza, che già conoscevamo nella equazioni della fisica classica

prima della venuta della relatività ristretta, riveduta e corretta per i fenomeni quantistici. 50

Ma anche così facendo le questioni non sono affatto risolte e rimangono 2 aspetti sicuramente

oscuri: il primo è questo famoso collasso della FO che nessuno sa bene cosa sia e si presenta come

Page 32: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

una entità estranea alla teoria, il secondo è la rinuncia alla relatività ristretta per certi fenomeni

quantistici, questo rende una parte della realtà non coperta da nessuna teoria dell’osservatore, ma

ancor più problematica diventa la conciliazione tra teoria della relatività generale e teoria

quantistica.

La prospettiva che vogliamo sviluppare nel nostro saggio è che se il principio di indeterminazione

di Heisenberg è un punto insuperabile della fisica quantistica allora la sua completezza non può

essere messa in discussione e quindi la FO esprime tutto quello che NOI possiamo sapere del

sistema. Ma contestualmente vi è un altro aspetto che, se partiamo dall’idea di misura come

l’abbiamo posta, diventa insuperabile, ed è l’unicità della misura nella sua relazione sistema –

strumento di misura, il principio di realtà posto da Einstein, che non possano esistere due misure

contemporanee di una stessa entità o di entità legate tra di loro in maniera non commutativa

(principio di complementarietà), è un aspetto a cui non possiamo rinunciare.

Ma se così fosse, cosa ne sarebbe della sovrapposizione degli stati quantistica e il principio di

complementarietà?

Secondo il nostro modello, la misura si esprime nei termini di una ricorsiva, e quindi segue un

criterio consecutivo, solo se la vediamo dal punto di vista dell’INVARIANTE, dell’operatore che

lega oggetto e strumento, da questo punto di vista le misure sono sempre e solo consecutive (ed

anche come vedremo irreversibili), esso ci impone che siano sempre una sola per volta e sempre in

tempi differenti. Ma questa realtà, la realtà dell’invariante, NON è la nostra realtà, non è la realtà

dell’osservatore, l’osservatore è immerso nello spazio – tempo della relatività ristretta e del

principio di indeterminazione, noi cercheremo di dimostrare che proprio perché per l’osservatore

valgono questi due principi allora tutta una serie di fenomeni sono osservati con proprietà

quantistiche e tra queste proprietà vi è la sovrapposizione degli stati ed il principio di entanglement.

In definitiva la nostra dimostrazione, per alcuni versi, sembra paradossale in quanto vuole

dimostrare la non validità del principio di località per certi fenomeni proprio affermandone la sua

validità, proprio ponendo come postulato che la velocità della luce è costante nel tempo che alcuni

fenomeni ci appaiono entangled, infatti se non lo fossero allora per avere un invariante con le

caratteristiche che vedremo (tra cui la consecutività della misura) alcune misure sarebbe osservate

con una velocità superiore a quella della luce.

Una dimostrazione di questo tipo è possibile solo se andiamo a riformulare i concetti di spazio e

tempo, non cadere nel paradosso e rendere entangled e sovrapposto ciò che si presenta rispetto

Page 33: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

all’invariante consecutivo nel tempo, vuol dire che i concetti di spazio tempo assumono un diverso

significato per l’invariante e per l’osservatore che fa le misure.

Nella parte finale del nostro lavoro vi è, quindi, una riformulazione del concetto di spazio-tempo

nella convinzione che tutte le questione irrisolte e “misteriose” della fisica quantistica originano da

esse. Ma la fisica quantistica ci interessa, anche, in quanto esempio di sistema complesso con

proprietà emergenti, e quindi le conclusioni che riusciremo a trarre dal riesame dello spazio-tempo

ci permetteranno di comprende meglio la dinamica ed il “quid” dei sistemi complessi. 51

La nostra impostazione è quella di estendere le considerazioni fatte nel campo quantistico a tutti i

sistemi complessi, si tratta di utilizzare l’insegnamento datoci dalla fisica quantistica, sfruttando a

pieno il carattere emergente dei sistemi complessi così come avviene con quelli quantistici. Per fare

questo occorre superare la dicotomia Sistema – Ambiente, essa è una idea vecchia, ottocentesca che

ha esaurito tutta la sua portata euristica e non ci è di nessun aiuto nell’affrontare le questioni della

complessità. L’ambiente diventa parte del sistema per quello che interessa di quel sistema, allo

stesso modo non abbiamo più una pallina come sistema che rotola su un ambiente esterno

generando un fenomeno di attrito, abbiamo invece il sistema pallina e superficie come entità unica

che definisce tutto quello che del sistema vogliamo studiare. Allora il punto diventa altro, ovvero

dove mettiamo lo strumento di misura, perché nella misura abbiamo tutto quello che passa non solo

nel sistema considerato, ma anche tutto ciò che è esterno ad esso. L’altro del sistema non è più

l’ambiente ma diventa lo strumento di misura che è però parte integrante dello stesso in quanto lo

definisce, se un dualismo dobbiamo indicare diventa quello tra sistema e strumento di misura, ma in

tal caso cosa ne è dell’ambiente?

L’ambiente è ciò che passa per lo strumento di misura ma è anche lo spazio possibile, delle possibili

misure quando lo strumento viene tolto; nelle misure abbiamo le determinazioni del sistema

risultato dell’interazione dello stesso con l’ambiente attraverso lo strumento di misura, quindi nella

misura c’è già l’ambiente, ma è l’ambiente determinato dallo strumento. Tolto lo strumento,

l’ambiente è l’altro del sistema ma che si ricostruisce sempre e solo partendo dallo strumento di

misura, in definitiva quello che possiamo dire dell’ambiente, quando lo strumento viene tolto, è

quello che possiamo ricostruire come spazio possibile partendo dallo strumento stesso, ma in un

ambito che NON è più discreto, come lo sono le misure dello strumento, ma che diventa

CONTINUO e quindi teoricamente descrivibile attraverso funzioni. Ed in questo sta anche la

differenza che in quantistica constatiamo attraverso un comportamento difforme del sistema con lo

strumento di misura e senza strumento di misura. 52

Page 34: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.1.4 Utilizzo dei numeri complessi nella relazione di misura

L’insieme dei numeri complessi z può essere definito come l’insieme delle coppie ordinate z = (x,

y) , dove x = Rez e y = Imz, e dove le operazioni di uguaglianza, somma e prodotto sono così

definite 53 . Dati 1 1 1 2 2 2( , ) e ( , )z x y z x y si ha:

a) Uguaglianza : 1 2 1 2 1 2se e solo se e yz z x x y

b) Somma: 1 2 1 2 1 2( , )z z x x y y

c) Prodotto: 1 2 1 2 1 2 1 2 2 1( , )z z x x y y x y x y

E’ evidente che se la componente y = 0 queste operazioni diventano quelle nel campo dei reali.

I numeri complessi sono un campo e come tale hanno la chiusura, le proprietà commutativa,

associativa e distributiva , oltre che all’identità e all’inverso. Se la struttura algebrica, definita da

una operazione e la proprietà di chiusura, rappresenta una struttura elementare, il campo invece

rappresenta una struttura completa dove oltre alla chiusura sono presenti per quelle operazioni tutte

le proprietà indicate, nel mezzo troveremo una serie di strutture intermedie con alcune di queste

proprietà..

Formalizzando abbiamo:

1) P. della Chiusura : 1 2 1 2 1 2, , ez z z z z z

2) P. Commutativa : 1 2 1 2 2 1 1 2 2 1, , ez z z z z z z z z z

3) P. Associativa : 1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3, , , ( ) ( ) e ( ) ( )z z z z z z z z z z z z z z z

4) P. Distributiva : 1 2 3 1 2 3 1 2 1 3, , , ( ) zz z z z z z z z z

5) Esistenza e unicità dell’Identità :

0 t.c. , 0 0

1 t.c. , 1 1

z z z z

z z z z

6) Esistenza ed unicità dell’Inverso:

1 1 1

t.c. , ( ) ( ) 0

t.c. , 1

z z z z z z

z z zz z z

Un numero complesso può essere rappresentato attraverso l’unità immaginaria (0,1)i che è la

soluzione dell’equazione 2 1 0x , ovvero 1i . Come si vede, anche nel caso dei complessi,

essi risultano una estensione del campo dei reali per trovare soluzione ad operazioni che in quel

campo non l’avevano, in questo caso la radice quadrata di un numero negativo.

Page 35: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Le regole prima introdotte e la notazione precedente ci permettono di scrive i numeri complessi

anche nella forma usuale: (x,y) = (x,0) + (0,1)(0,y) ovvero come x + iy. Altro modo è quello che

utilizza la rappresentazione geometrica, attraverso il teorema di Pitagora, ovvero:

2 2(cos sin ) dove eb

z a ib r i r z a b arctga

Ritornando all’ipotesi interpretativa precedente secondo cui la parte reale x è la misura dal lato

dello strumento e la parte immaginaria y la variazione dal lato dell’oggetto, vediamo come una

stessa misura comprende in se una doppia parte virtuale x + iy e x – iy; ora nella misura dal lato

dell’invariante queste due componenti devono essere entrambi presenti ed entrambi misurabili

(ovvero associati ad un numero reale). Il valore delle misure del sistema rispetto all’invariante sarà,

quindi, una misura reale che comprende in se anche la variazione dell’oggetto oltre a quella dello

strumento, ed essa sarà data dalla radice quadrata del prodotto di z e del suo coniugo, ovvero dalla

NORMA di z.

2 2z x y con2

da cui ( )( )z x iy z zz x iy x iy

La norma assume questo importante significato nel nostro modello interpretativo, quello di essere la

misura dell’azione dell’invariante, ed è a questo livello che l’invariante deve dimostrare sue

eventuali proprietà, come ad esempio la simmetria. Nei sistemi dove lo strumento non modifica

l’oggetto il valore di y sarà 0, in questo caso non vi è differenza tra la misura dal lato dell’invariante

e quella dal lato dello strumento di misura, la misura dello coincide con quella dell’invariante.

Questo non è vero per i sistemi dove l’oggetto misurato viene modificato dalla misura, in tal caso

per avere la misura completa occorre introdurre i numeri complessi che ci daranno lo stato completo

del sistema, e la loro misura in termini reali sarà data dalla norma del numero, che diventa la misura

dal lato dell’invariante, della relazione oggetto-strumento. La misura come numero complesso ci da

la misura oggettiva del cambiamento ottenuto nel sistema, questo, comunque, non è di per se

sufficiente per generare il fenomeno quantistico della sovrapposizione degli stati, in definitiva

possiamo avere sistemi descritti in termini di numeri complessi, dove il misuratore influenza gli

oggetti del sistema, senza avere manifestazioni di tipo quantistico, rimanendo in ambito classico. 54

Page 36: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.1.5 Ridefinizione dei concetti di algoritmo, di invariante ed analisi delle strutture

simmetriche emergenti

Prima di procedere ulteriormente dobbiamo chiarire alcuni concetti su cui si basa la nostra analisi. 55

Il primo di essi è il concetto di algoritmo, concetto usato ormai ampiamente nell’ambito di quella

che viene chiamata teoria della computabilità, e che noi cercheremo di generalizzare dandone la

seguente definizione:

Definizione 4: Algoritmo è una serie finita di regole o relazioni (che chiameremo anche steps) che

trasformano uno o più valori individuati in entrata in uno o più valori in uscita.

La serie di regole può essere eseguita consecutivamente per cui l’output di una diventa l’input

dell’altra successiva; per regole o relazioni intendiamo una qualsiasi operazione di trasformazione o

combinazione di simboli, quindi esse sono normali operazioni di tipo logico-matematico e

comunque si tratta di combinazione di simboli senza equivoci sintattici (in logica chiamate FBF). Il

punto è che tali regole devono essere un numero finito, quindi non è un algoritmo una serie infinita

di relazioni. Il fatto di avere un numero delimitato e ben definito di regole è una componente

essenziale di questa nozione, ma occorre anche che vi siano dei valori di entrata e dei valori di

uscita e che essi siano individuabili.. Per individuabile intendiamo un valore localizzato

logicamente ovvero che abbia un ambito ben definito. In questo senso il valore di entrata ha bisogno

di essere definito anche nella sua tipologia di scelta, ad esempio se il nostro algoritmo ci dice di

misurare con un metro la lunghezza e larghezza di un tavolo, dovremo avere ben definito anche

cosa intendiamo per tale lunghezza e altezza, e così lo stesso per i nostri sassi usati come elementi

di conteggio; risulta abbastanza intuitivo comprendere come su questo punto, molto spesso, si

possano generare equivoci e confusioni, la possibilità di poter definire bene e senza equivoci i valori

in entrata è cosa che va continuamente vista ed esaminata e non sempre è esente da errori.

In definitiva alla base dei valori in entrata vi è un processo di scelta ben definito e che ne permette

anche la ordinabilità dei valori stessi, la stessa ordinabilità che ritroviamo nella definizione di

insieme. Quindi possiamo dire che i valori in entrata e quelli in uscita costituiscono un insieme di

elementi.

Ridefiniamo il concetto di algoritmo in tale modo:

Definizione 5 : Un algoritmo è una trasformazione (o applicazione) con un numero finito di steps

da elementi di un insieme ad elementi di un insieme. 56

Page 37: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Notiamo come un aspetto cruciale della definizione è quella che gli elementi siano localizzabili ed

ordinabili in quanto appartenenti ad un insieme. In realtà noi siamo particolarmente interessati ad

una tipologia di algoritmi dove il valore di output è uno ed uno solo e chiameremo tale tipologia

come Algoritmi Funzionali.

Definizione 6 di Algoritmo Funzionale : Un algoritmo funzionale è una serie finita di regole che

trasforma uno o più valori di input in un solo valore di output.

Ma un algoritmo con una tale definizione non è detto che possa essere eseguito effettivamente,

infatti per essere calcolabili effettivamente (ovvero computabili) si ha bisogno che i valori in entrata

ed in uscita siano limitati nello spazio-tempo, ovvero che essi siano determinabili.. Occorre sempre

che i valori in entrata così come quelli in uscita abbiano un limite nello spazio e nel tempo certi e

definibili, quindi non possiamo avere valori in entrata di cui non sia chiaro qual’è il loro contorno

spaziale e che esso non sia accertabile in un tempo finito, e così come qualsiasi qualità dell’oggetto

esaminato dall’algoritmo deve essere reperibile e definito in uno spazio-tempo limitato e

determinabile. Lo stesso vale per i valori in uscita, nel caso di numeri, ad esempio, essi saranno

sempre e comunque troncati dopo un numero definito di cifre decimali. La localizzazione dei valori

di entrata e quella dei valori in uscita nello spazio-tempo, combinati con il numero finito di steps

genera una tipologia di algoritmi ben determinati. Quindi la determinazione ci permette di avere

valori di input e di output in un tempo certo e con valori limitati.

Definizione 7 di Algoritmo Determinato: Un algoritmo determinato è una serie finita di regole che

trasformano uno o più valori determinati in input in uno o più valori determinati in output.

Ora la cosa importante nell’ambito della teoria della computabilità è che pur avendo a che fare con

algoritmi determinati - funzionali non è affatto detto che essi siano effettivamente computabili,

ovvero computabili in un tempo di esecuzione finito e comunque limitato. Occorre distinguere 2

categorie fondamentali di algoritmi : gli Algoritmi Certi dei quali sappiamo che il tempo di

esecuzione è finito e gli Algoritmi Incerti dei quali non sappiamo se il tempo di esecuzione sia

effettivamente finito (ovvero in termini di macchina di Turing, se essa si ferma o no). 57

La computabilità si differenzia in una computazione effettiva e reale che ha un tempo di esecuzione

certo e determinabile ed una computazione teorica, ovvero che pur basandosi su algoritmi finiti non

ci dà alcuna certezza sul suo tempo di esecuzione. Per semplificare chiameremo gli algoritmi a

computazione teorica come calcolabili e quelli a computazione reale come computabili.

Ricordiamo come la teoria della computabilità introduca due ulteriori categorie quella degli

algoritmi P (o Polinomiali) eseguibili in un tempo comunque limitato e quella degli algoritmi NP (o

Not Polinomial) eseguibili in un tempo finito ma molto grande (enorme). 58

Page 38: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Il tempo di esecuzione è un aspetto importante nella definizione dell’algoritmo ma esso non è in

realtà legato alla separazione tra algoritmi e algoritmi determinati, ovvero alla limitatezza S/T dei

valori di input, in quanto tali valori possono essere a loro volta algoritmi (come nel caso dei numeri

irrazionali algebrici) e molte volte di essi non è necessario calcolarne effettivamente il valore. Il

tempo di esecuzione è allora legato al valore di output, quindi in quanto tempo e in che modo

questo valore viene generato. Poiché un certo algoritmo può essere a sua volta formato da algoritmi

più semplici e così via fino ad avere operazioni elementari, ne consegue che la variabile temporale

nell’esecuzione di un algoritmo è il più delle volte legata alla ripetizione ciclica di un algoritmo

elementare, se tale ciclo ha termine allora diremo che l’algoritmo ha un tempo definito di

esecuzione altrimenti no.

La categoria di algoritmi che considereremo sarà quella che elabora un valore precedentemente

elaborato dallo stesso algoritmo, dove il valore di output diventa il valore di input dello stesso

algoritmo. Chiameremo questi algoritmi : Algoritmi ricorsivi

Ora si può dimostrare che un algoritmo ricorsivo deve essere funzionale, determinato e certo. 59

Ogni ciclo di un algoritmo ricorsivo è certo ma l’insieme dei suoi cicli può essere finito e

convergente ad un valore oppure infinito e non convergente, in quest’ultimo caso l’algoritmo

risultante non ha una fermata e procederà ad infinito; visto nel suo complesso, non come uno stesso

ciclo in tempo differenti, ma come una serie di cicli consecutivi formanti un unico algoritmo, allora

esso, secondo la nostra accezione, avendo un numero infinito di steps, non è più un algoritmo.

Qui c’è un primo importante punto che sarà uno dei perni della nostra riflessione, un algoritmo può

essere scomposto in un algoritmo determinato e certo, ovvero in uno stesso ciclo che si ripete finite

o infinite volte, oppure in una serie finita o infinita di istruzioni, le due rappresentazioni sono

equivalenti. Un algoritmo ricorsivo può essere visto in ambedue le prospettive, questo ci permette di

dare un significato logico alla variabile temporale, ma allo stesso tempo complica la nostra

definizione di algoritmo, infatti solo quelli con un numero finito di steps sono un algoritmo, ma

questo per gli algoritmi scomponibili in cicli elementari, come lo sono quelli ricorsivi, equivale a

dire che hanno una fermata certa, e per il teorema di Turing questo fatto non sembra essere

teoricamente accertabile apriori. Ma esiste una ulteriore complicazione, che esistono algoritmi

ricorsivi con cicli infiniti che convergono ad infinito a valori determinati, essi pur non essendo

definibile letteralmente per la nostra definizione come algoritmi rientrano in una speciale categoria

che andremo in seguito ad esaminare. Quindi dobbiamo concludere che gli algoritmi ricorsivi pur

essendo sempre certi e determinati nel loro ciclo, nel loro insieme, nell’insieme dei loro cicli

ripetuti possono essere o meno un algoritmo.

Page 39: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Esistono anche altre due categorie individuabili, quella degli algoritmi Espliciti e quella degli

algoritmi Impliciti. Nella prima rientrano tutti quelli dove sono state identificate ed esplicitare le

regole dell’algoritmo, in essa vi sono ovviamente tutti gli algoritmi creati da noi o quelli usati negli

elaboratori elettronici, mentre nella seconda rientrano quelli dove non sono definite le regole in

gioco, molti fenomeni della natura possono essere visti come forme di algoritmi, in questo caso

rientrano molte delle misure che facciamo del mondo esterno.

Ma cosa rende questo secondo caso comunque un algoritmo?

La condizione essenziale è che tali regole sia esse esplicite che implicite siano INVARIANTI,

quindi in generale quando abbiamo un invariante è molto probabile che esso sia un algoritmo, se

esso opera sempre in un tempo finito allora lo è sicuramente, se invece il tempo è indeterminato o

non determinabile allora dovremmo esplicitarne le regole per capirne la struttura. Infatti in

quest’ultimo caso la non determinabilità del tempo può essere dovuta o al ciclo che prosegue senza

trovare un risultato determinato oppure al fatto che esso sia formato da un numero non definibile e/o

illimitato di regole, in quest’ultimo caso certamente non avremmo a che fare con un algoritmo, nel

caso invece del ciclo, pur essendo il singolo ciclo finito, la sua limitatezza nel tempo deve essere

accertabile in base ai valori di input immessi.. Quindi il punto fermo della nostra definizione di

algoritmo è che le regole che lo formano siano esse esplicitabili che non esplicitabili formino un

invariante, un invariante applicato a dati definiti, localizzabili e che diano risultati definibili.

Da quanto detto risulta agevole concludere che una relazione di misura è un particolare caso di

algoritmo ricorsivo funzionale, determinato e certo dove:

1) A n-valori di Entrata corrispondono sempre uno ed uno solo valore di Uscita.

2) I valori possono essere determinati, assimilabili a numeri limitati.

3) Il Tempo di Esecuzione dell’algoritmo, ovvero il tempo tra il valore di entrata e quello di uscita è

sempre finito, ed esprimibile in un algoritmo P.

Diamo quindi la seguente definizione di misura:

Definizione 8 di Misura : Una misura è un algoritmo funzionale, determinato, certo, implicito o

esplicito.

Ma occorre aggiunge un altro aspetto per rendere completa questa definizione, aspetto che abbiamo

già esplicitato precedentemente; ovvero che l’invariante, che rappresenta la misura, è una relazione

che lega oggetto misurato e strumento di misura (l’osservatore) e che il risultato di questa relazione

comprende in se sia la misura dal lato dello strumento che l’eventuale variazione virtuale e non

misurabile dal lato dell’oggetto. In definitiva il risultato dell’invariante non è solo la misura dal lato

dello strumento, ma è un risultato completo oggetto-osservatore, misurato-strumento di misura e

Page 40: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

quindi l’algoritmo che rappresenta questo processo ha la particolarità che i suoi valori di output

sono i valori di input della applicazione successiva della relazione.

4) Il valore di Uscita diventa uno dei valori di Entrato dello step successivo.

Abbiamo definito un algoritmo con queste quattro caratteristiche come Algoritmo Ricorsivo.

Definizione 9 Completa di Misura : Una misura è un algoritmo ricorsivo certo implicito o esplicito.

Dobbiamo osservare che l’algoritmo è rappresentato dagli steps che stanno tra il valore in entrata e

il valore in uscita, ed essi, come abbiamo detto, sono sempre di un numero finito, ma se il valore di

uscita diventa entrata per lo stesso algoritmo, come nel caso di una ricorsiva, e se questo processo

prosegue ad infinito, il risultato nel suo complesso non è più un algoritmo, come abbiamo già

constatato. Questo è un aspetto chiave della nostra concettualizzazione ed è strettamente legato alla

portata del teorema di Goedel e all’interpretazione data da Turing col problema della fermata. Per

adesso ci limitiamo a constatare, sulla base delle nostre definizioni, che l’insieme delle misure

generate dall’azione di un algoritmo prosegue ad infinito senza un termine o un limite allora esso

stesso non è un algoritmo, se invece esiste un termine o un limite il risultato di un algoritmo

ricorsivo è esso stesso un algoritmo. La conseguenza secondo il teorema di Turing 60 è che non

siamo in grado di stabilire a quale categoria (ovvero se certo o incerto) appartiene un algoritmo

(computabile o non computabile) se non facendolo funzionare, ovvero non abbiamo un algoritmo in

grado di decidere se un certo algoritmo è certo o incerto; solo con la prova potremmo sapere se la

nostra macchina, se il nostro algoritmo ricorsivo, si ferma o meno in un tempo finito o converge o

meno ad un valore. Ma se la nostra analogia è valida allora dallo studio di un campione o parte di

iterazioni dell’algoritmo potremmo desumere se in esso sono presenti particolari simmetrie o

andamenti che ci possano portare a concludere del suo andamento ad infinito, e questo

semplificherebbe di molto il problema della fermata di Turing.

La funzione, come abbiamo detto, è una forma di corrispondenza tra un insieme di elementi

(dominio) ed un altro insieme (codominio), che può essere anche lo stesso insieme. Questa

corrispondenza si esprime attraverso una serie di passaggi matematici, ovvero di operazioni

matematiche che devono essere determinate e finite; inoltre in una funzione ad uno o più valori di

input corrisponde sempre uno ed un solo valore di output. Ad uno o più valori dell’insieme di

partenza, attraverso una serie finita di passaggi matematici, corrisponde sempre un solo valore

dell’insieme di arrivo. 61

Ora risulta chiaro come la nostra definizione di funzione rientri in quella che abbiamo data di

algoritmo funzionale, la funzionalità è una condizione sufficiente per definire un algoritmo

calcolabile. Abbiamo detto che possiamo avere valori di input ottenuti a loro volta da algoritmi

Page 41: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

come ad esempio gli irrazionali algebrici, e valori di output che sono a sua volta algoritmi; in tal

caso non è necessario determinare tali valori, lasciando non definita la classe dei valori in entrata e

in uscita in tal modo approdiamo agli algoritmi che abbiamo chiamato calcolabili. Chiameremo

quindi gli algoritmi con valori di entrata e/o uscita non determinati o non tutti determinabili, e che si

muovono nel campo dei reali. algoritmi calcolabili. 62

Definizione 10 : Un algoritmo si dice calcolabile se è formato da una serie finita di operazioni (o

relazioni).

Così ridefinito, diciamo che qualsiasi algoritmo è calcolabile, se questa calcolabilità è effettiva

allora esso è computabile. La computabilità presuppone che l’algoritmo sia determinabile nei suoi

valori, sicuramente quelli in uscita (quelli in entrata possono rimandare a loro volta ad altri

algoritmi), ma soprattutto il tempo di esecuzione che deve sempre essere certo, la certezza si

trasferisce alla determinazione del valore di output, così come abbiamo visto, ad un insieme finito

di cicli elementari. Risulta evidente che un algoritmo calcolabile e non determinabile è sempre

incerto, un algoritmo computabile è sempre certo (nel senso della sua fermata) e quindi determinato.

Un algoritmo si può presentare anche come una scatola chiusa di cui non sappiamo nulla, cosa c’è

dentro e che operazioni esso esegue, in tal caso l’unica prova che abbiamo che si tratti di un

algoritmo è che esso è invariante, ma l’invarianza per essere provata va legata al tempo finito di

esecuzione. Ma a ben vedere il tempo finito di esecuzione non è una condizione sufficiente, ed esso

non ci dice nulla dell’invarianza, infatti nulla può escludere che pur essendo le regole di un

algoritmo finite esse non cambino durante l’esecuzione dello stesso, quindi dobbiamo cercare una

prova indiretta.

Ma cosa intendiamo precisamente per invariante?

Invariante è tutto ciò che trasforma valori in valori, lasciando inalterate le regole di trasformazione;

ovvero il processo con cui avviene questa trasformazione rimane appunto invariante, non cambia al

variare dei valori. Una funzione ricorsiva è per l’appunto un invariante, ed essa sarà il tema della

nostra trattazione successiva. 63 Ma le stesse regole di trasformazione possono essere trasparenti e

fare emergere rapporti invarianti che esistono tra i valori di input, quindi da una relazione invariante

ci aspettiamo non solo che rimanga la stessa nelle successive trasformazioni ma anche che faccia

emergere eventuali invarianti presenti tra i valori di input. Se nel corso delle trasformazioni le

regole cambiano allora non avremmo più un invariante, ma in tal caso sulla base della nostra

definizione non avremmo più a che fare con un algoritmo.

Definizione 11 di Invariante : Un invariante è un algoritmo implicito o esplicito, ovvero un sistema

di regole che non cambiano.

Page 42: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Come abbiamo già sottolineato noi non accettiamo l’idea di un algoritmo con infinite regole, ed un

altro motivo per cui un tale sistema non può essere considerato un algoritmo è che esso non ci

garantisce sull’invarianza delle regole 64 . Ma in un algoritmo ricorsivo possiamo avere la ripetizione

infinita di uno stesso ciclo, ovvero un unico algoritmo con un numero infinito di steps, in tal caso la

regola base rimane invariante ma i valori assunti possono variare da 0 ad infinito, essi possono

anche convergere ad aree definite di valori, quindi una ricorsiva invariante può generare un

algoritmo convergente a valori definiti oppure divergente.

E’ evidente che se le regole sono esplicite potremmo ben renderci conto anzitutto se esse stanno

cambiando nel tempo, la cosa diventa complessa nel caso di un sistema con un algoritmo implicito,

ovvero non conosciuto, sistema che abbiamo chiamato a scatola chiusa. In tal caso quello che

abbiamo a disposizione sono solo i valori di input e quelli di output e dovremmo ricavare

l’informazione che il sistema è formato da un invariante dall’esame di tali valori. Dobbiamo

ricercare una proprietà che sia in un qualche modo sintomo della presenza di un invariante, ed una

risposta dataci sia dalla nostra esperienza quotidiana che dalla fisica e dalla matematica, è che la

presenza di una simmetria è il sintomo di un invariante. 65

Gli esempi più immediati di simmetrie sono quelli di punti o figure nello spazio, la simmetria

rispetto ad un asse, rispetto ad un piano, indica che punti o rette o altro sono dislocati rispetto

all’asse di simmetria o ad un piano di simmetria in modo che dei valori (es. di distanza o di angolo

o altro) rimangano costanti. Una simmetria spaziale ci dice che c’è una regola o una formula

invariante nella distribuzione dei punti della figura considerata. Un esempio per tutti sono i punti di

una circonferenza che hanno una distanza costante dal centro, ovvero:

2 2 2 cost.x y z r

Esistono simmetrie che si evidenziano attraverso movimenti nello spazio come ribaltamenti,

riflessioni ecc.; ma esistono anche simmetrie rispetto al tempo, ovvero sistemi dove la direzione del

sia essa positiva (tempo in avanti), che negativa (tempo indietro) lascia inalterato il sistema e le sue

regole 66 . Ma gli invarianti che stiamo cercando sono in un qualche modo antecedenti alle

condizioni spazio – temporali, questa invarianza va riferita a quel concetto di localizzazione logica

che abbiamo introdotto precedentemente e che ci parla di simmetrie prima della stessa introduzione

dello spazio tempo. Questo vuol dire che l’invarianza che stiamo cercando è di natura logica, ed è

legata alla relazione di ordinalità dell’insieme considerato, essa, quindi, è antecedente alle

condizioni fisiche dovute all’immergere il sistema nello spazio-tempo fisico e solo dopo si

manifesta come simmetrie nelle misure, simmetrie nello spazio e nel tempo. Il nostro obiettivo sono

quindi proprietà logiche del sistema, proprietà antecedenti alla natura fisica del sistema, sono

Page 43: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

proprietà che una volta definite valgono e si manifestano nello spazio-tempo. esse formano

l’algoritmo che determina la parte invariante del sistema, di un qualsiasi sistema.

Ora il sintomo della presenza di un algoritmo in sistemi dove esso non è esplicitabile è dato dalla

simmetria che troviamo nei valori di output del sistema. Una simmetria tra le misure, una simmetria

tra i valori di uscita ci dice che esiste un invariante, ma siamo sicuri che esso è la manifestazione di

un invariante delle regole del sistema e che non sia una proprietà già presente nei valori di input ?

In realtà, da un punto di vista logico, rappresentando un sistema a scatola chiusa nel seguente modo:

Figura 2

Le combinazioni che possiamo avere sono 2 possibili :

1) I valori di input non hanno invarianti, ovvero sono varianti, mentre il sistema di regole nella

scatola chiusa è invariante.

VI(var)-VO(inv) = Valori Input(varianti)-Valori Output(Invarianti)

2) I valori di input con invarianti, così anche le regole della scatola.

VI(inv)-VO(inv)

Poi abbiamo le altre due possibilità che, per quanto detto fino ad adesso, non garantiscono più

l’esistenza di un algoritmo, ma potrebbero essere date da un sistema che varia e modifica le sue

regole e relazioni col tempo o a seconda dei valori di input immessi. Questi sistemi hanno uno

spettro ampio di possibilità che possono andare da sistemi apparentemente varianti, ovvero dove

sembra che non vi siano regole fisse ma invece vi sono a sistemi multilivello dove le regole sono

invarianti per ogni livello e l’insieme dei livelli genera un sistema con regole non determinabili,

fino ad arrivare a sistemi che in qualche modo simulano comportamenti intelligenti. Abbiamo già

detto che questo saggio non si occuperà di quest’ultimi.

Prima di proseguire dobbiamo chiarire cosa intendiamo per varianza e invarianza dei valori:

Invarianza tra i valori vuol dire che essi sono ottenuti da un insieme finito di regole invarianti che si

manifestano attraverso una simmetria tra i valori stessi. Quindi secondo questa definizione i valori

dei numeri naturali N sono invarianti in quanto generati dall’algoritmo:

0 10 e 1i in n n

Il fatto che esista un algoritmo quindi dovrebbe essere la condizione sufficiente per la presenza di

invarianza e quindi di simmetrie tra i valori, ma nella realtà abbiamo anche algoritmi che sembrano

in grado di generare valori puramente casuali, e quindi sui valori ottenuti non sembra delineabile

alcuna forma di simmetria. Ed allora dobbiamo chiarire un altro punto se non vogliamo cadere in

ScatolaChiusa

ValoriInput

ValoriOutput

Page 44: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

una situazione paradossale, noi abbiamo algoritmi che generano valori di output ma per stabilire se

tali valori hanno o meno una simmetria molte volte occorre fare ricorso ad altri algoritmi. Il più

delle volte, e specialmente per le misure, l’algoritmo che genera i valori NON è lo stesso di quello

da cui rileviamo una simmetria tra i valori ottenuti.

Ma come definiamo una simmetria tra i valori?

Un insieme di valori ha una qualche simmetria se esiste un invariante che trasforma elementi

dell’insieme in elementi dell’insieme.

Quindi possiamo dimostrare la simmetria tra i valori attraverso un invariante ma non conoscere

l’invariante che genera i valori, oppure avere un invariante come generatore di valori ma non

riuscire a rilevare (almeno apparentemente) alcuna simmetria tra i valori ottenuti. Ma una cosa

possiamo concludere certamente che se rileviamo una simmetria tra i valori di output sicuramente

allora esisterà un invariante generatore dei valori.

Ad esempio mettiamo nella scatola un algoritmo come 2 2 1x y per sapere che figura uscirà fuori

basta prendere come valori di input coppie (x, y) che vanno tra i valori -1 e 1 a prescindere dalla

loro varianza o invarianza e verificare se le coppie prese soddisfano o meno l’algoritmo; se

soddisferanno l’algoritmo le coppie scelte si disporranno secondo un criterio di simmetria che

dimostrerà l’invarianza dell’algoritmo. Quindi la presenza della simmetria nei valori di output è un

importante indizio sulla presenza di un algoritmo a prescindere dalla varianza o meno dei valori di

input. E’ possibile trovare un algoritmo di definizione per tutti gli insiemi numerici fino ai razionali

Q ma non esiste alcun algoritmo definente quello dei reali R.

Questo punto è estremamente importante e ci pone una prima domanda, esiste un qualche invariante

per tali numeri? Oltre alle proprietà definenti il campo dei reali e alla definizione di un qualche

intervallo, entro cui prendere i valori di input, esiste una qualche altra caratteristica che definisce i

valori di input che stiamo considerano?

Per rispondere a questa domanda occorre ricordare che la cardinalità dei reali è una cardinalità

continua, come dimostrò Cantor; e quindi tale insieme è isomorfo allo spazio continuo. Questo vuol

dire che proprietà dello spazio continuo dovremmo ritrovarle in quello numerico dei reali, come ad

esempio il suo isotropismo; ovvero che la distribuzione di punti in una parte di spazio è

assolutamente uniforme a qualsiasi altra parte di spazio, inoltre anche se esiste una parte infinita di

questo spazio distribuito secondo un qualche algoritmo, questa parte sarebbe sempre di una infinità

numerabile, mentre lo spazio continuo non è numerabile. Ma esiste un’ altra proprietà connessa a

questa definizione e per certi versi sorprendente, la cardinalità di una parte dello spazio continuo, di

una parte dell’insieme dei reali, è la stessa dell’intero insieme. Per essi la parte equivale al tutto. 67

Page 45: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Questa proprietà sorprendente dello spazio continuo crea un divario incolmabile col nostro concetto

deterministico di computazione e di misura, essi presuppongono la numerabilità dei valori, mentre

uno spazio continuo non solo non è numerabile ma nel momento in cui cerchiamo di trasformarlo in

qualcosa di misurabile o computabile entriamo in un paradosso. 68 Quindi uno spazio continuo è una

distribuzione uniforme ed omogenea di cui non può essere definita una legge esplicita di

ordinalità 69 . Ma dalla validità dell’assioma di scelta sappiamo che anche in un insieme di reali

limitato è possibile avere una ordinalità, anche se non ne conosciamo la struttura algoritmica, ed il

motivo, è che un tale insieme presenta delle simmetrie e quindi dovrebbe avere un qualche

invariante, inoltre un ambito limitato di essi genera un insieme localizzato e quindi da quanto

precedentemente detto, ordinabile.

Ma quale tipo di algoritmo potrebbe generare una distribuzione continua e simmetrica ?

L’algoritmo che più si avvicina ad una distribuzione simmetrica ed uniforme nello spazio è un

algoritmo casuale, un algoritmo che genera una distribuzione di punti casuali nello spazio. Come

abbiamo detto, l’algoritmo generante pigreco è un invariante, ma i valori ottenuti non hanno alcun

tipo di simmetria, ovvero hanno una distribuzione puramente aleatoria. La parte decimale di pigreco

è aleatoria nel senso che non esiste alcun algoritmo che possa prevedere da una sequenza numerica

quale sarà un numero in una certa posizione, per dirla nei termini delle nostre definizioni una

sequenza aleatoria o casuale è una sequenza che non ha alcun tipo di simmetria, ovvero non esiste

un invariante che trasforma elementi dell’insieme in elementi dell’insieme.

In questo caso abbiamo che i valori di input dotati di un qualche invariante sono trasformati da un

algoritmo ben definito in una sequenza aleatoria.

Per essere un insieme di output simmetrico occorre che valga anche la seguente:

Figura 3

La presenza di una simmetria è la condizione sufficiente perché la struttura dei valori abbia un

qualche algoritmo (ma non è detto che l’algoritmo che individua la simmetria sia lo stesso

generatore dei valori), mentre la presenza di un algoritmo non è detto che trasformi valori invarianti

in valori invarianti (è possibile che tale invarianza ovvero simmetria, sia eliminata proprio

AlgoritmoValori

AlgoritmoValoriInvarianti

ValoriAleatori

Page 46: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

dall’azione dell’invariante). Il punto è chiarire cosa effettivamente dobbiamo intendere per strutture

senza simmetria. Un algoritmo del tipo:

( ) ( ( 1)) ( ( 2))

(1) (2) 1

Q n Q n Q n Q n Q n

Q Q

Dove Q è il valore e n è l’indice della sequenza ricorsiva. 70

1,1,2,3,3,4,5,5,6,6,6,8,8,8,10,9,10,...

Produce una sequenza caotica, nel senso che non sembra esservi alcuna simmetria tra i valori

generati, e questo alla luce della definizione data di simmetria, ovvero non esiste una

trasformazione invariante in grado di trasformare un sottinsieme in un altro sottinsieme. A ben

vedere questo è abbastanza intuibile in tale funzione, in quanto il valore della trasformazione

dipende dalla posizione degli elementi ed il diverso valore nella posizione tende, col procedere della

sequenza, ad amplificarsi in una maniera non prevedibile. In questo caso abbiamo una situazione

dove l’algoritmo invariante è tale che modifica la struttura dei valori in una maniera che l’insieme

risultante non presenta una simmetria tra le parti, definibile a sua volta in termini di un qualche

algoritmo. Abbiamo chiamato una struttura del genere caotica, ma la domanda è: può esistere una

qualche forma se non di simmetria, ma di regolarità anche nelle strutture caotiche?

Se diamo una occhiata al grafico della ricorsiva precedente ci rendiamo conto che qualcosa di

regolare emerge anche in una struttura caotica.

-2500

-2000

-1500

-1000

-500

0

500

1000

1500

2000

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 16000

Figura 4

Qui sono rappresentati i valori della ricorsiva detta fino a 10.000 ricorsioni ottenute con la

differenza di due valori consecutivi, ovvero Q(n) – Q(n-1) = P(n) e si vede come la struttura che

emerge presenta una regolarità, essa non è però esplicitabile in una qualche trasformazione tra

Page 47: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

singoli valori in quanto essa emerge solo considerando un grande quantitativo di dati ed inoltre solo

rispetto ad una rappresentazione di tali dati.

Ma dov’è esattamente la simmetria in una tale rappresentazione ?

Per comprenderlo dobbiamo introdurre un nuovo concetto di simmetria emergente, concetto legato

a quello di misura esterna .

Abbiamo visto come la Mis(A) è la sommatoria delle misure di A, ed essa appartiene ad A se

rientra nell’intervallo di definizione di A (possibili misure di A), non appartiene ad A , pur

rimanendo una misura, se non rientra in tale intervallo. Ricordiamo che l’intervallo che

consideriamo è l’intervallo di localizzazione, è quindi l’esistenza di un M tale che /A M A da cui

0A A . Ora quello che accade è che molte volte un tale intervallo non può essere definito

dall’interno ma solo dall’esterno, in tal caso la misura associata non appartiene ad A ma ad M pur

essendo un limite per A. Chiameremo una tale misura, misura esterna di A , nel caso precedente se

( ) { }iMis A a allora Mis(A) = MisEst(A). Una misura esterna di A è una Non-Misura per A ma è

una misura per M che contiene A, inoltre essa è tale che il limite delle misure di A convergono a

MisEst(A).

Quindi:

1

( )ii

Lim a MisEst A

nel caso in cui essa NON è una misura di A.

Nel caso di una ricorsiva diciamo:

0lim ( )nq

nP P

se 0( )n

qP P allora essa è una misura della ricorsiva, altrimenti NON è una

misura della ricorsiva. Quindi in linea generale una misura esterna è un limite ad infinito di misure

che sono dell’insieme delle misure, ma il limite non appartiene all’insieme delle misure. 71

Per fare un esempio, l’algoritmo che genera π (pigreco) genera delle misure, così allo stesso modo

l’algoritmo ottenuto dalla sequenza di Fibonacci genera φ (phi) , queste misure si approssimano a π

o a φ ma non sono π o φ. Ovvero l’algoritmo non è in grado di generare π ma solo valori che si

approssimano a π e quindi π NON è una misura dell’algoritmo, ma una sua misura esterna.

Ma cosa fa delle misure esterne comunque delle misure?

Esse sono delle misure in quanto l’insieme delle misure esterne può e deve essere argomento di un

qualche algoritmo. Nel caso delle ricorsive vuol dire che deve esistere una qualche ricorsiva in

grado di generare tutti i limiti delle misure della ricorsiva di partenza. Quindi una MisEst(A) deve

essere una Mis(M) e per essere una misura di M deve esistere un qualche algoritmo in grado di

generarlo in M. Una misura esterna può essere una frontiera per uno spazio che rimane aperto per

l’insieme contenuto, e chiuso per quello contenente. In termini di algoritmo esso è il limite di un

Page 48: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

algoritmo che procede ad infinito, che quindi non è un algoritmo e neanche una misura, ma questo

procedere ad infinito di tale algoritmo diventa la variabile di input di un ulteriore algoritmo. Se

considero pigreco esso non è una misura (e neanche un algoritmo) in quanto il suo calcolo procede

ad infinito, ma lo diventa nel momento in cui pigreco entra come variabile di input di un algoritmo

con un numero di steps finito. In altre parole pigreco dall’interno non è calcolabile come numero

complessivo, diventa individuabile ed elemento di calcolo se lo consideriamo dall’esterno come

entità delimitata componente di un ulteriore algoritmo. 72

Nel caso che abbiamo considerato, le misure ottenute si distribuiranno in una certa area, la misura di

una tale area come insieme esterno contenente le misure stesse assume la dimensione di una misura

esterna. Il criterio di simmetria non si ottiene più dall’azione di un algoritmo invariante che si

applica a valori come nella simmetria precedentemente, ma si applica ad un insieme che contiene

tali misure come può essere lo spazio (o area) dove tali valori sono localizzati Sono le misure e le

distanze, della figura rappresentata in un area, che si mantengono invariate o trasposte di un fattore

costante in un altra area. Una tale simmetria è quella che ritroviamo nelle omotetie o nei frattali

indicate come trasformazioni affini del piano, il caso prima esaminato può rientrare in una

simmetria per omotetia (vedremo in seguito una simmetria da struttura frattale).

Quello che occorre sottolineare è che tali simmetrie sono a tutti gli effetti emergenti, diamo una

prima definizione di simmetria emergente. 73

Definiamo una simmetria emergente come una simmetria applicata alle misure esterne di un certo

algoritmo..

Figura 5

Se le misure esterne sono ottenute dalla misura di una certa area (spaziale e/o geometrica) in cui tali

valori sono contenuti, ed indichiamo una tale area con A(n) e con n il numero di misure in essa

contenute allora avremo ( ( )) ( ) conA n A p p n . Vedremo come la maggior parte di strutture

caotiche risultati dall’azione di invarianti determinano simmetrie emergenti.

Prima di proseguire bisogna precisare due cose: la prima è che l’area che abbiamo indicato è sempre

il corrispondente di una localizzazione logica, la localizzazione logica, come abbiamo detto, trova la

sua manifestazione nel luogo S/T. La seconda : è vero che cicli infiniti di un algoritmo non sono un

algoritmo, possono però generare meta-algoritmi dove variabili di tali meta-algoritmi sono parti

finite del ciclo ad infinito. 74

AlgoritmoInvariante

AreaValori

Page 49: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Un altro esempio di simmetria emergente è quella frattale che possiamo rappresentare nel seguente

esempio 75 . Costruiamo la funzione int( ) conp p

2 2(((int( )) )xy p x dove int = intero e x avremo quindi per tutti gli x in progressione una

serie di valori xy fissato un certo p. Per meglio indicare che si tratta di valori discreti ed interi in

progressione potremmo indicare gli x con n.

2 2(((int( )) )ny p n

A questo punto consideriamo i valori ottenuti dal resto di y diviso p, ovvero:

(mod )n ny z p ovvero y è congruo z modulo p da cui conn ny z hp h possiamo anche

scrive la cosa come ( )nn

yz resto

p . I valori z così ottenuti saranno il denominatore della divisione

rispetto a p e così via formando in tal modo una ricorsiva. ,1n np R qz ; ',2 ,1n np R q R ;

'',3 ,2n np R q R ;....; ..''

, , 1n s n sp R q R La ricorsiva terminerà con un resto finale che è o 1 o un

numero divisore di p. La funzione cosi definita può essere particolarmente utile per determinare,

con un metodo statistico, se p è o no un numero primo, ma adesso ci interessa vedere come un tale

algoritmo generi una struttura di tipo frattale, infatti se sommiamo per ogni n tutti i resti da ,an n sz R

ovvero ,n n n ss

S z R e rappresentiamo questi valori abbiamo:

0

2000000

4000000

6000000

8000000

10000000

12000000

14000000

16000000

18000000

1 64 127 190 253 316 379 442 505 568 631 694 757 820 883 946 1009 1072 1135 1198 1261 1324 1387 1450 1513 1576 1639 1702 1765 1828 1891 1954

Serie1

Figura 6

Si tratta in realtà di una struttura simile ad un frattale in quanto essa viene ripetuta con un limite

superiore che è rappresentata da una parabola ed un limite inferiore poiché l’operazione di resto

termina dopo un numero sempre finito di steps. Potremmo chiamare una struttura di questo tipo

Page 50: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

come semi-frattale caotico in quanto l’algoritmo generante i valori è si lo stesso, ma si ripete un

numero di volte non definibile e produce dei valori non determinabili, l’aspetto frattale non è nei

valori ma nella loro rappresentazione S/T, esso si manifesta proprio come una forma di simmetria

emergente. Possiamo dire che la simmetria emergente si applica a porzioni di piano non ai valori o

stati del sistema. 76

Quindi ricapitolando un algoritmo che agisce su valori simmetrici può generare una struttura

variante e priva di simmetria, ovvero caotica, ma se valutiamo non più le misure date da tale

algoritmo ma le sue possibili misure esterne, che possono essere valori nello spazio e/o nel tempo,

allora si può trovare una trasformazione invariante che si applica a porzioni di spazio degli stati

generando porzioni tra loro simmetriche. Esisterà un operatore invariante in grado di trasformare

una qualsiasi porzione di spazio in un altra porzione di spazio, ovvero gli stati del sistema si

distribuiscono uniformemente in tutto lo spazio preso in considerazione, allora chiameremo una tale

simmetria : simmetria caotica.

Siamo tornati al problema posto all’inizio, se possa esistere un algoritmo in grado di generare una

distribuzione uniforme nello spazio, ovvero una distribuzione che ricalca l’isotropia dello spazio.

Come abbiamo visto vi sono algoritmi in grado di generare sequenze caotiche nei valori ma

simmetriche nelle loro misure esterne, quindi dotati a livello emergente di una qualche simmetria.

Qual’è l’aspetto che accomuna questi tipi di algoritmi?

Esso è rappresentato dall’applicazione dell’invariante ricorsivo infinite volte sui valori da esso

ottenuti, il risultato di questa azione ad infinito che non è un algoritmo, ma è in grado di generare

una struttura simmetrica e convergente e questo è il sintomo che ad infinito tali valori sono

espressione di un invariante esprimibile attraverso un qualche algoritmo. Si tratta quindi di

algoritmi ricorsivi infiniti (non-algoritmi) formanti uno spazio, uno spazio localizzato.

Prendiamo ad esempio la sezione aurea, indicata con φ, essa può essere il risultato dell’azione ad

infinito di un invariante che si applica a se stesso:

11

11

11

...

come si vede vi è una stessa operazione che diventa variabile dell’operazione

stessa, nello schema da noi disegnato questo vuol dire:

Figura 7

AlgoritmoInvariante

AlgoritmoInvariante

AlgoritmoInvariante

ecc...

Page 51: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Il processo ad infinito genererà un numero con φ i cui valori decimali sono assolutamente aleatori,

lo stesso vale per pigreco, ecc. ossia per tutta quella categoria di numeri che sono chiamati

trascendenti. Numeri ottenuti dalla ripetizione ad infinito di una operazione ed ad ogni passaggio si

inserisce nella sequenza un ulteriore decimale e così ad infinito.

Come possiamo rappresentare tali numeri?

Nel caso della sezione aurea 77 esso è rappresentabile dalla seguente equazione:

1

11i

i

xx

Ma essa è proprio una ricorsiva, dove il risultato dell’operazione è esattamente la variabile

dell’operazione stessa , è una ricorsiva che ha la particolarità di convergere ad infinito ad un valore

ben preciso, ben localizzato ma con numeri decimali collocati in maniera assolutamente aleatoria.

Per ottenere il valore ad infinito occorre trasformare il valore φ in una variabile di un ulteriore

algoritmo, ponendo appunto la condizione ad infinito, come abbiamo detto, ed in tal caso si avrà:

2

2

1 2 1

11 da cui 1

1 0

1 5 1 5; dove

2 2

x x xx

x x

x x x

Quindi possiamo dire che una struttura caotica, ovvero priva di simmetria è data dalla ripetizione ad

infinito di un algoritmo, di un invariante, ovvero da una ricorsiva la quale può convergere ad un

valore ben definito, ma con numeri decimali distribuiti in modo caotico oppure ad un insieme di

valori che si localizzano casualmente, ovvero che si distribuiscono casualmente nello S/T e che

possono fare emergere una simmetria. In tal caso quello che è un non algoritmo diventa parte di un

algoritmo. Se questa simmetria è isomorfa all’isotropia dello spazio allora abbiamo una simmetria

caotica.

Come esempio prendiamo lo “spostamento di Bernoulli” 78 ovvero un valore [0,1]x viene

moltiplicato per 2 ad ogni ciclo fino a quando il valore ottenuto ricorsivamente non supera 1, in tal

caso viene sottratta l’unità. Quindi avremo una ricorsiva del tipo 1 2 (mod1)n nx x

La distribuzione di stati con una tale funzione è uniforme nello spazio considerato, ovvero è una

struttura simmetrica caotica come si evidenzia anche dal grafico.

Page 52: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

0 500 1000 1500 2000 2500

Serie1

Figura 8

Quanto detto ci porta ad una importante conclusione ovvero che quello che chiamiamo caos,

strutture caotiche, sono anch’esse ottenute da una ricorsiva, da un algoritmo che a livello emergente

può presentare simmetrie e uniformità, questo ci permette ci collocare almeno una parte delle

strutture caotiche che conosciamo nelle strutture generate da ricorsive.

Ricapitolando una ricorsiva si presenta come una relazione invariante la cui variabile (o variabili)

è il risultato della stessa ricorsiva.

1( )n nx x

Abbiamo visto come l’invariante può essere anche una struttura non conosciuta, comunque deve

essere finita, ovvero può restituire il risultato in un tempo finito; in tal caso siamo autorizzati a

chiamare questo invariante come algoritmo certo (o computabile) anche se potremmo benissimo

non avere a disposizione nessuna macchina in grado di riprodurlo o simularlo. In questo caso per

sapere qualcosa sulla sua struttura dobbiamo analizzare i valori da essa determinati, ed abbiamo

visto come questi valori possono avere una simmetria oppure essere caotici, ma in quest’ultimo

caso su porzioni di piano ben definite si possono avere simmetrie, oppure sono distribuite

uniformemente nello spazio, oppure distribuiti lungo funzioni definite.

In definitiva su ricorsive cicliche ad infinito è possibile definire la presenza di simmetrie emergenti

questo trasformerà tali ricorsive che non sono algoritmi (nel senso da noi definito) in componenti di

algoritmi, tali componenti non riguarderanno i valori della ricorsiva ad infinito ma le parti di spazio,

ovvero di misure esterne dati da tali ricorsive. Il caso più specifico che noi analizzeremo sarà quello

dove i valori della ricorsiva ad infinito si distribuiranno su traettorie ben definite e possibilmente

Page 53: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

periodiche. Analizzeremo queste tipologie nella convinzione che essere rappresentino la struttura

sottostante dei modelli fisici ed in particolare quantistici da noi oggi conosciuti. Uno dei motivi che

ci porta a credere questo è che la misura, così come l’abbiamo descritta precedentemente, è un

invariante che lega l’oggetto misurato e lo strumento di misura, l’oggetto e l’osservatore; le misure

ottenute sono il risultato di questa azione che comprende la misura dello strumento e l’oggetto

modificato, quindi quando effettuiamo una ulteriore misura noi riapplichiamo lo stesso invariante

ma allo strumento modificato e all’oggetto modificato e così di seguito, L’applicazione

dell’invariante si presenta nei termini di una ricorsiva sulla misura completa ottenuta dallo

strumento e dall’oggetto, quindi sul numero complesso z = x + iy , da cui :

1 1 1( ) ( )x iy z

Il risultato di questa operazione è uno strumento e un oggetto modificati, la prima modifica è la

misura dal lato dello strumento la seconda dal lato dell’oggetto, che quindi è a sua volta un numero

complesso che diventerà oggetto della misura successiva e cosi via:

2 1( )z z così come 3 2( )z z e così di seguito.

La prima importante conseguenza di questa impostazione è che le misure di un sistema sono sempre

legate tra di loro, interconnesse e la relazione che le tiene insieme è proprio l’invariante. L’insieme

dei valori che otteniamo si distribuiscono, come vedremo in uno spazio tempo, che chiameremo

spazio ω, ed esso è infinito nei valori ma numerabile.

Page 54: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.2 La ricerca di un operatore Autogenerativo o operatore Origine

1.2.1 Esistenza di un operatore Origine

Nel mio saggio del 2006 79 avevo accennato alla possibilità di una logica dell’origine, ma perché è

importante una tale logica e cosa dobbiamo intendere realmente con essa?

La discussione fatta precedentemente ha messo in risalto il ruolo di un operatore invariante nella

determinazione di uno spazio di possibili misure, quindi l’insieme di elementi di un sistema può

essere visto come il risultato dell’azione di un tale invariante, ed un invariante non è altro che la

composizione di una o più regola, ripetuta sempre allo stesso modo. Ora il punto è: queste regole, le

regole dei possibili operatori concepibili hanno una origine? Esiste un operatore degli operatori?

Potrebbe esistere un operatore alla base di tutte le regole e relazioni della stessa matematica?

Se ci pensiamo bene proprio perché tutti i numeri, ed operazioni sui numeri, rimandano a due

fondamentali operazioni base la somma ed il prodotto con le loro operazioni inverse, possiamo

pensare di trovare un operatore unico in grado di generare queste operazioni, infatti già banalmente

possiamo ridurre le operazioni base che definiscono un campo (nel senso matematico del termine)

alla somma e alla sua inversa (la sottrazione) 80 . Ma per noi l’obiettivo è ancora più abizioso, un

operatore del genere deve essere in grado di generare una operazione base, ma nello stesso tempo

anche un elemento o risultato di tale operazione; questo è il vero punto focale della questione.

All’origine, in un sistema che genera sistemi, non è possibile distinguere regola ed elemento della

regola, la differenziazione che abbiamo in matematica tra simbolo dei numero, operando ed

operatore è solo successiva. All’origine sono la stessa cosa e questo, come vedremo, comporta la

non distinguibilità tra entità determinata ed entità indeterminata, tra spazio numerabile discreto e

spazio continuo, per l’operatore origine esso è un tutt’uno.

Cosa ci deve indicare allora un operatore Origine su uno spazio così indifferenziato? Se un tale

operatore non è ancora in grado di dirci quale determinazione stiamo considerando?

In realtà l’unica cosa che può indicarci è l’ordinalità, prima di qualsiasi altra proprietà, prima di

qualsiasi determinazione; come ho cercato già di spiegare e cercherò di approfondire in seguito, la

possibilità di definire un ordine di qualsiasi cosa, anzi prima della cosa stessa, è conseguenza diretta

dell’unicità dell’operatore Origine e del fatto che esso non può che agire nei termini di una

ricorsiva.

Page 55: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.2.2 Operatore Origine

Diamo con Г un operatore che ha una regola unica e ben definita : Duplica tutto ciò che è nelle

parentesi a destra dell’operatore.

Quindi : Г(...) = (...) + (...)

Poiché il sistema che stiamo considerando non ha altro elemento che Г stesso, ecco che Г si

presenta come operatore ma anche come elemento, se è dentro la parentesi è un elemento, se è fuori

parentesi (alla sinistra della parentesi) è un operatore; per cui possiamo scrivere 81 :

Г(Г) = Г + Г

Una duplicazione che abbiamo indicato con simbolo “+” 82 può, indicare una semplice ed identica

replica dell’elemento di partenza, ma in realtà possiamo avere anche una duplicazione non identica

all’elemento originario, questa difformità però può essere determinata, come vedremo, solo

attraverso l’operazione di misura. Quindi l’operatore Г, a questo livello, agisce su una entità

indeterminata che può assumere un qualsiasi valore da 0 ad infinito, e questo valore si realizza solo

attraverso l’operazione di misura.

Aggiungiamo un’ altra regola base secondo cui:

Regola 2: Un operatore deve avere sempre un elemento su cui agire, espresso come parentesi alla

sua destra. Un operatore senza elemento diventa elemento.

Dalle regole base possiamo dedurre un primo assunto:

Asserto 1: L’operatore Г duplica il valore in parentesi il numero di volte indicato dall'esponente di

Г.

Questo vuol dire aggiungere tante volte all’elemento iniziale in parentesi, che indichiamo con Г

stesso, quanto è l’indice dell’operatore Г.

( ) ...k (1 + k) volte Г

In particolare se k = 5 si ha : 5 ( )

questo vuol dire che Г alla 0 restituisce il valore tra parentesi senza alcuna duplicazione, per cui:

0 ( )

Ma lo stesso operatore può essere usato k volte in modo ricorsivo, ovvero in modo tale che una sua

applicazione generi immediatamente un risultato che è elemento per l’applicazione successiva dello

stesso operatore. Possiamo indicate questa azione nel seguente modo:

Г(Г(Г)) = Г(Г+Г) = Г(Г) + Г(Г) = Г + Г + Г + Г

Page 56: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Prima di dare una spiegazione della proprietà associativa presente nella somma indicata, vediamo

come in questo caso l’operatore più vicino al valore elemento in parentesi ha generato un elemento

su cui si è applicato l’operatore subito successivo. Questo vuol dire che l’azione dell’operatore può

essere duplice verso l’interno duplicando ciò che è presente dentro la parentesi alla sua destra, verso

l’esterno associandosi a tutti gli operatori presenti alla sua sinistra. L’azione associativa

dell’operatore è indicato dall’esponente dell’operatore, l’azione ricorsiva si ha con lo sviluppo nella

parentesi dei valori in essa contenuti.

Asserto 2 : La legge generale dell’azione di Г, è che Г agisce su Г consecutivamente, se agisce

verso l’interno duplica, se agisce verso l’esterno associa Г a Г.

Se indichiamo una formula di Г nel seguente modo Г(Г(Г(Г(Г(Г)))), essa rappresenta la forma

elementare di espressione dell'operatore Г che agisce su se stesso (come elemento), si presenta

sempre come un operatore ricorsivo che agisce passo dopo passo sull’elemento presente tra

parentesi a destra dell’operatore. Ma sulla base dell’asserto 2, la singola formula, prima espressa,

non ha un risultato univoco, infatti insieme alla consecuzione degli operatori dobbiamo indicare

anche il punto da cui cominciamo a leggere l’operatore, chiameremo questo punto come puntatore e

lo indicheremo con un segno sopra l’operatore.

Ad esempio '( ( ( ( ( ))))) , questo vuol dire che i 3 operatori a sinistra del puntatore saranno

associati mentre quelli a destra saranno sviluppati consecutivamente, quindi avremo:

' 3 3 3( ( ( ( ( ))))) ( ( ( ))) ( ( )) ( )

A questo punto il risultato sarà la duplicazione di 3 volte il risultato tra parentesi, per cui avremo:

3( ) ( ) ( ) ( ) ( )

Quindi esiste un modo di associare tra loro operatori, che rappresentiamo attraverso un indice, ed

una azione ricorsiva dell’operatore che rappresentiamo attraverso un diverso simbolismo, dato da

, per cui nel caso precedente avremo:

2 ( ) ovvero ( ( )) come azione ricorsiva dell’operatore sul risultato ottenuto

( ) e quindi ( )

Mentre con l’associazione dell’operatore si ha:

2 ( ) ma essa è sempre ottenuta da ( ( )) .

Una loro composizione darebbe:

2 2( ( ))

Mentre: 2 2( ( ))

Page 57: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Se abbiamo chiarito l’azione dell’operatore sull’elemento, occorre ancora definire cosa intendiamo

per Г elemento, in definitiva che tipo di entità ci troviamo dentro la parentesi. Diciamo subito che

una tale entità non può essere una entità determinata, per avere una entità determinata dovremo

avere una misura, ma in questa fase non abbiamo ancora misure; inoltre per capire cosa sia Г come

elemento occorre dapprima separarlo dall'operatore Г, individuarlo come entità a sé. Ma abbiamo

un modo per separare l’elemento Г dall'operatore, ed è quello di generare l’operatore Г un numero n

di volte:

( )n

n

Ora ipotizziamo che n tenda ad ∞, e cerchiamo di comprendere a cosa possa tendere un limite del

genere: lim ( )n

n è chiaro che esso equivale a lim

nn

, ma noi, a questo livello di riflessione,

sappiamo che Г è un entità indeterminata, se pur localizzata, che attraverso un operatore ricorsivo

genera da sé un insieme di entità indeterminate e localizzate, quindi entità individuabili; e la

individualità di ogni singolo elemento generato comporta la individualità degli elementi tra loro

associati attraverso il simbolo “+”.

Per rispondere a cosa porti il limite definito occorre chiarire qual’è il senso di quel “Г +”,

l’operatore Г ha come regola quella di duplicare altri Г, abbiamo detto come questa duplicazione

può essere identica oppure non identica, ma questo può essere accertato solo a fronte di una misura,

di un sistema di riferimento. Ovvero:

( ( )) ( ) ( )nMis Dup Id Dup Id

Questo vuol dire che l’operatore Г su Г genera uno spazio di elementi discreti ma indeterminati e la

determinazione, quindi la possibilità anche di confronto tra tali elementi, si ha solo attraverso

l’operazione di misura. Allo stesso modo la determinazione di elementi di insiemi si ha attraverso

questo processo e la sua successiva misura.

Facciamo un esempio:

3( ) genera un insieme di 4 elementi che rispetto ad un sistema di misura µ si

presentano identici, ed ipotizziamo che µ = “individui che sono uomini”.

Ora gli stessi 4 elementi li misuriamo rispetto a µ’ = sesso di tali individui, ed allora scopriremo di

avere Г(M) + Г(F) + Г(M) + Г(F), 2 elementi maschi e 2 elementi femmine. Misuriamo lo stesso

insieme per la misura µ’’ = età ed avremo Г(8) + Г(23) + Г(42) + Г(78), in tal caso avremo una

misura differente per ogni elemento che potrebbe essere raggruppata per categorie di età, ma quello

che ci preme sottolineare è che uno stesso substratum, originato da una stessa ricorsiva determina

elementi differenti, insiemi differenti o elementi identici a seconda del sistema di misura utilizzato

per accedere e determinare tali elementi.

Page 58: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

La duplicazione effettuata può essere rappresentata con il segno “+” tra Г come elementi, quindi

l’azione di Г su Г è l'azione di un Г come operatore su un Г come elemento, la collocazione

posizionale li distingue ed il risultato è la separazione tra Г che diventa univocamente elemento e

l'operatore che diventa anch'esso univocamente “+”.

Г(Г) = Г + Г

L’azione di Г su Г individua e separa elementi da elementi, genera di per se una struttura discreta,

ma l'entità Г è un elemento continuo o discreto a seconda del sistema di riferimento con cui viene

misurato, in linea generale esso rimane una entità continua che può assumere un valore numerico da

[0, ∞). Ci sono 2 aspetti che giocano nel simbolismo Г(Г) uno è la duplicazione di elemento da

elemento e l'altro è la misura degli elementi generati.

La nostra concettualizzazione, ripercorrendo la riflessione fatta nel saggio del 2006 83 , individua

all’origine un elemento – relazione come un tutt’uno, ma nel simbolismo da noi introdotto la

componente posizionale già è in grado di differenziare Г come operatore da Г come elemento.

Quindi nel nostro simbolismo posizionale, pur considerando uno stesso simbolo Г, è già presente la

differenziazione tra elemento (ciò che è dentro parentesi) ed operatore che duplica l’elemento tra

parentesi. Ma il simbolismo Г(Г) non permette ancora la separazione completa di Г come elemento

in quanto esso esiste solo come elemento tra parentesi su cui agisce Г come operatore, è la

possibilità di generare un Г come elemento separato dalla regola, esistente in sé, che ci permette di

comprendere l'origine dell'identità elemento – relazione.

Ma come si arriva dall’unità simbolo-regola alla separazione tra regola (+) 84 e simbolo (Г)?

Affinché Г si presenti come elemento indeterminato ma localizzato, occorre qualcosa che lo limiti

dall’esterno, ma a questo livello di riflessione abbiamo solo Г, allora qual'è la differenza tra il dire Г

+ Г e dire Г + Г + Г + Г ?

Prima della misura la differenza non può essere quantitativa, non può essere una entità cardinale, ed

allora non rimane che una differenziazione di ordine nella successione dei Г, quindi una

differenziazione ordinale. A questo punto possiamo scrivere:

2 ( ) 3 così come

2 2( ( )) 12

Ed il numero naturale dopo Г indica una collocazione ordinale di Г rispetto ad una ricorsione

assoluta di ( )n .

Ma se spingiamo una tale ricorsione ad infinito, qual’è il numero ordinale ultimo?

Page 59: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Come sappiamo, dalla teoria dei numeri transfiniti di Cantor, il limite Lim(k) di una sequenza

ordinale di k, è proprio tale limite che viene chiamato ω, quindi ω è l’ultimo ordinale di una

sequenza ordinale infinita. 85 Ma cos’è l’ultimo ordinale di una sequenza ordinale infinita?

Se ci riflettiamo esso è il corrispondente di quello che abbiamo chiamato misura esterna, infatti ad

un tale ordinale non si può arrivare percorrendo la catena di elementi ordinati step by step attraverso

un algoritmo, in quanto la catena è infinita. E’ la stessa considerazione che abbiamo fatto per il

numero π. Ma ora c’è una differenza. ed è che non vi nessun altro elemento se non Г ed il confronto

ordinale tra Г, il limite di Г su Г ad infinito non può che condurre a Г stesso. Ad un tale livello di

riflessione non esiste niente altro che Г, allora ne consegue che lim ( )n

n tende ad una entità che è

Г stesso, ma anche limn

n

. Se continuiamo a concepire Г come una entità determinata diventa

ben difficile comprendere come la somma ad infinito di Г(qualsiasi cosa possa significare) possa

generare Г stesso, ma basta intendere Г come una entità infinita, come un numero transfinito, e si

vede come la cosa diventi plausibile. 86

Ed è proprio utilizzando i numeri transfiniti che possiamo scrivere:

2 ( ) 3 così come

2 2( ( )) 12

I numeri naturali 3 o 12 non esprimono un valore quantitativo, ma così come accade per in numeri

transfiniti, esprimono un valore ordinale, la sequenza di entità Г combinate secondo “+”. In questo

senso è possibile confrontare Г3 e Г4 e dire che Г3 precede Г4 ma non è possibile dire che Г4 > Г3,

in quanto tra le due entità non c'è un confronto quantitativo. Lo stesso confronto ordinale, nel

momento in cui cerchiamo di renderlo computabile, che in questo contesto vuol dire localizzare, fa

si che esso può essere solo parziale, in definitiva possiamo dire in generale che

(ovvero Г alfa precede Г beta che precede Г gamma) solo se localizziamo tali elementi Г rispetto ad

altri Г di una sequenza, se consideriamo l'infinita totalità dei Г essa ci riconduce ordinalmente al

primo Г, ovvero la catena ordinale ad infinito ci riporta al primo Г. In definitiva per Г non vale

quello che vale per i numeri ordinali transfiniti di Cantor, infatti questi sono costruiti partendo da

una entità determinata e quantificata che è 1, mentre Г è una entità indeterminata che duplica in

definitiva se stesso pur rimanendo sempre lo stesso. Mentre i transfiniti di Cantor sono scatole

cinesi di dimensione infinita, una dentro l’altra ad infinito; la struttura di Г è la stessa scatola che si

autoduplica in infinite scatole pur essendo sempre la stessa. La differenza fondamentale tra le due

strutture è che per quella cantoriana esiste sempre la possibilità di una ordinalità assoluta, per quella

di Г l'odinalità può essere desunta solo da un confronto localizzato della sequenza di Г. 87

Page 60: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

In definitiva qui non esiste la possibilità di un altra entità che faccia da “altro” della sequenza

infinita, ma il fatto che ad infinito l’ordinamento ci riporta al primo elemento Г vuol dire che

l'infinita somma di elementi Г è un elemento localizzato nell'ordinamento essendo precedente al Г2.

Il paradosso presente in un tale limite ci conduce ad un aspetto sorprendente di Г indeterminato, che

quello se sembrava una entità non localizzabile, o localizzabile solo in un ambito limitato, diventa

invece entità che si autolocalizza. Infiniti Г si localizzano in Г, e quindi si localizzano a sua volta

rispetto ad altri Г.

Il senso più profondo del limite lim ( )n

n ovvero lim

nn

è che Г come entità è identica a

Г + Г o a Г + Г + Г, e questo vuol dire semplicemente che essa è una entità indeterminata. Ed essere

una entità indeterminata significa che la sua possibile determinazione può essere qualsiasi da 0 ad

infinito. Quindi una entità indeterminata ma localizzata come è Г può essere ordinata, ma questo

ordinamento ha senso solo in un ambito localizzato di Г; ad infinito Г rimane localizzato ma

l'ordinamento si perde, in definitiva Г ordinato è come una successione di elementi su una

circonferenza con raggio infinito. Una tale caratteristica di Г ne permette la sua stessa

determinabilità, infatti è proprio il mantenimento della sua localizzabilità rispetto ad altri Г che ne

definisce la possibilità di essere una entità determinata, e questa determinazione si ottiene attraverso

la misura di Г. 88

Rimane ancora da capire come, da una struttura concettuale così definita dove le entità Г sono si

indeterminate e continue nella loro misura, ma nel contempo sono discrete e quindi attraverso un

processo di corrispondenza esse si presenterebbero cardinalmente isomorfe ad un insieme N; si

possa passare ad un insieme continuo e quindi non più discreto.

Ma vi è un altra questione ad essa connessa, il significato ordinale della somma di Г con Г, ma nel

contempo la sua rappresentazione di entità tra loro differenti; in definitiva nella operazione:

Г + Г + Г vi è un doppio significato quello ordinale indicato con Г3, come terzo elemento nello

sviluppo di Г e quello cardinale come combinazione di 3 entità distinte che indicheremo con 3Г.

Nel nostro modello di operatore autogenerativo sono presenti questi due aspetti ambedue

coesistenti, nel primo caso è una stessa entità che si muta nel ciclo della ricorsiva, nella seconda le

entità sono distinte e separate. Nel primo caso la cardinalità dell’entità Г rimane invariata

l’operatore “+” indica una successione consecutiva di “stati”, nel secondo caso “+” indica

l’aggiunta di nuova entità e quindi la cardinalità aumenta.

Ma come si può generare due situazioni così differenti da uno stesso processo?

Page 61: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Come vedremo nel paragrafo dedicato alla misura, la differenza è proprio nella misura, di cosa

stiamo misurando nei due differenti processi. Se misuriamo il sistema nel suo complesso Г su Г ,

avremo la misura del risultato dello sviluppo del sistema, ovvero:

( ) ( 1)n n da cui ( ( )) ( ( 1)) ( ... )nMis Mis n Mis

E questo vuol dire che stiamo misurando l’ordinale n + 1 di Г, è la misura del sistema Г su Г al suo

stadio n + 1 di sviluppo consecutivo, potremmo dire che la duplicazione che stiamo considerando

non è una duplicazione nello spazio ma è una duplicazione nel tempo. L’entità considerata si è

sviluppata in n + 1 stati temporali ed 1 dimensione spaziale.

Se invece consideriamo la misura come:

( ) ( 1) ( ) ( ) ( ) ... ( )nMis n Mis Mis Mis Mis

In questo caso è l’operatore Г che si applica all'elemento Г misurato, generando, quindi, una

duplicazione di misure che sono coesistenti nel tempo, e quindi la duplicazione in questo caso si ha

nello spazio. Abbiamo n + 1 entità misurate collocate in spazi diversi nello stesso istante temporale.

Quindi l’azione dell’operatore sulla misura genera entità differenziate nello spazio, l’azione

sull’entità indeterminata Г genera entità nel tempo. Ma il vero punto della questione è che per noi vi

è la possibilità del passaggio dall’uno all’altro e questo passaggio è proprio quello che definisce un

sistema unico rispetto ad uno aggregato, e di questo parleremo nel prossimo capitolo..

1.2.3 La misura dell’ Operatore Origine Г

L’entità Г si presenta come indeterminata anche se individuata, ed è individuata in quanto

localizzata, l’essere localizzata è la condizione della misurabilità, un Г misurato diventa come tale

determinato. Indichiamo con Mis(Г) la misura di Г, è la misura di uno degli infiniti aspetti di Г

(ovvero infinite qualità di Г) e per ogni qualità individuata la misura avrà un suo range di

possibilità. Sarà, quindi, il sistema di misura adottato che ci dirà se Mis(Г) è l'età di Г, o è l'altezza

di Г, o è il genoma di Г, o il sesso di Г, se Г è ad esempio un essere vivente. In definitiva dato Г

come entità, è il sistema di misura adottato che ci dirà il tipo di misure e il loro spettro su Г, se

queste misure si applicano su una entità continua (es. altezza) o discontinua (es. sesso), ecc.

E’ importante sottolineare come Г si possa presentare come entità continua o discreta a seconda del

sistema di riferimento o di misura adottato, ma come abbiamo evidenziato, questo aspetto di

continuità e discontinuità si realizza anche sul modo e sul come viene effettuata la misura

dell'operatore Г su Г.

Page 62: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

La ( ( ))nMis è la misura del sistema risultante dopo n steps dell’operatore, gli steps sono

effettuati sull’entità indeterminata che rimane tale per ogni passaggio successivo, ed è solo alla fine

che su di essa si effettua la misura, che è unica e sulla entità risultante.

La ( )nMis è, invece, la misura dell’entità elemento Г prima dell'azione dell'operatore ed è su

tale entità misurata che si effettuata la sua azione che porta step by step a generare successive

misure, il risultato sono molteplici misure ottenute coesistenti tra di loro in uno spazio. In questo

caso abbiamo una molteplicità e discontinuità che nel primo caso non si aveva, ed è proprio questo

la base della natura discreta dello spazio delle misure, esso è uno spazio discontinuo e numerabile

nel momento in cui diventa molteplice, anche se ogni misura può essere effettuata su uno spazio

continuo di Г.

Quindi a due modi diversi di effettuare la misura risultano due rappresentazioni differenti, da questo

possiamo scrivere che in generale vale:

( ( )) ( ( ))n nMis Mis

In definitiva tale formula indica che è possibile effettuare la misura delle entità sviluppate

dall’azione dell’operatore come un tutt’uno, ma poiché a questo livello non si hanno differenze

quantitative, in quanto la misura avviene solo dopo; il risultato è che misuriamo il sistema così

ottenuto nella sua totalità; e questo è possibile poiché esso rimane sempre localizzato ed è

localizzato da Г stesso ad infinito. Inoltre poiché le entità non sono in alcun modo quantitative esse

esprimono la ordinalità nel sistema nel suo complesso rispetto al Г originario. In questo caso è come

se effettuassimo la misura nel tempo , la successione ordinale del sistema nella misura trova il suo

corrispondente nella dimensione temporale.

L’altra parte della formula esprime, invece, l’azione dell’operatore applicato alla misura della entità

Г originaria, quindi si tratta non più dello sviluppo di entità e poi della sua misura bensì della

misura e poi dello sviluppo delle entità misurate. In questo caso l’azione dell’operatore genera oltre

alla individualità anche la determinazione di entità molteplici ognuna delle quali ha una misura e

quindi è confrontabile quantitativamente con le altre, non si tratta di una sola misura ma di N

misure. In questo caso il corrispondente dell’azione dell’operatore sulla misura è la distribuzione

nello spazio di misure tra loro coesistenti.

Ma come saranno tra di loro queste misure e come agisce l’operatore su di essere, genererà

determinazioni identiche o differenti?

Come abbiamo già accennato con un esempio, l’azione dell’operatore non può essere esplicitata se

non viene effettuata la misura, quindi noi non sapremo se la duplicazione effettuata è identica o non

identica fino a quando non abbiamo una misura dell’entità duplicata dall’operatore.

Page 63: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Per indicare una unità di misura diremo che ( )Mis , Г è misurato rispetto ad un Г che è un Г di α,

che rappresenta l’unità di misura adottata, potremmo anche indicare la cosa dicendo / ed il

risultato può essere maggiore, minore o uguale a Г di α.

2 ( ( ) ) ( ) ( ) ( )Mis Mis Mis Mis

Il significato di questo è che abbiamo 3 misure di 3 individualità, ad esempio di 3 “esseri umani”,

allora se α rappresenta l’età essere possono essere tutte e 3 differenti, es. (40)+(23)+(71). Se invece

rappresentano il sesso potremmo avere (M) + (F) + (M), mentre se misuriamo la nazionalità

possono risultare tutte e 3 identiche ad esempio “francesi”.

Quindi ricollegandoci a quanto detto nella prima parte è la misura che definisce un insieme, nel

senso della quantità di sottinsiemi in esso presenti e la differenziazione tra i suoi elementi, la

molteplicità di un insieme, nel senso della sua cardinalità, è data invece dalla combinazione della

misura e dell’azione dell’operatore Г. Operatore che diventa a questo livello un vero e proprio

generatore di elementi di un insieme, esso diventa un vero e proprio generatore di cardinalità di

elementi (ovvero di misure) dell’insieme.

La cosa è differente se 2( ( )) ( 3)Mis Mis , in questo caso non misuriamo 3 elementi ma 1

solo elemento che è il terzo nella successione ordinale del sistema, per tutti gli steps della ricorsiva

la cardinalità è sempre la stessa ed è uno. Quindi possiamo scrivere:

2 ( ( ) ) (3 ) 3 ( )Mis Mis Mis ovvero abbiamo 3 misure di Г nello stesso istante temporale e

invece 2( ( )) ( 3)Mis Mis ovvero abbiamo 1 misura risultato di 3 momenti temporali.

Quindi la trasformazione ( )n si può rappresentare con il valore ordinale Гn, dove n è messo

dopo proprio per indicare la sua ordinalità, rispetto a nГ che invece indicherà la cardinalità. Ma in

realtà il valore nГ come cardinale ha senso solo se esso è in realtà un nMis(Г), la molteplicità, la

cardinalità di un sistema di elementi, di un insieme è dato dalla misura dei suoi elementi. Quindi 3

entità determinate sono 3 misure che possono essere uguali o differenti, mentre la misura di Г + Г +

Г è la misura della terza entità di Г, del terzo step della ricorsiva.

Quindi possiamo dire che:

1( )q q q

Nel primo caso è la q-esima entità ordinale, nel secondo caso è un sistema con molteplicità

(cardinalità) q. Nel primo caso è come se avessimo un algoritmo che cicla per 3 volte ed alla terza

volta abbiamo un risultato che ritroviamo in una certa area di memoria, possiamo dire che per ogni

ciclo il risultato dell’algoritmo (suo output) diventa input del ciclo successivo fino a quando

l’algoritmo non si ferma, a questo punto il valore verrà memorizzato. Nel secondo caso, invece, per

Page 64: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

ogni ciclo dell’algoritmo il valore risultante viene messo in una certa area, alla fine, in questo caso,

avremo 3 aree differenti con 3 valori differenti. Tutte e due gli algoritmi possono essere elaborati

tenendo conto del valore precedente, ma la differenza fondamentale tra i due è che nel primo solo

l’ultimo valore verrà memorizzato, mentre nel secondo i valori sono memorizzati ad ogni ciclo.

Ora chiediamoci cosa accade quando andiamo a misurare il ciclo di Г su Г, con :

( ( )) ( ( ))q qMis Mis

Ricordando quanto detto intorno alla misura, essa è la collocazione Spazio/Temporale di una certa

entità localizzata; nell’esempio precedente, è proprio quando memorizziamo che collochiamo quel

valore in una certa dimensione spazio temporale, e siamo costretti a dargli un limite prima nel

tempo (il ciclo che si ferma) e poi nello spazio, ovvero l’area limitata che accoglie il risultato.

Misurare è anzitutto limitare una entità nello spazio e nel tempo, posta la cosa in questi termini si

comprende anche la differenza tra le due equazioni sopra indicate. In effetti se misuriamo la entità

ordinale ( )q effettuiamo la misura alla fine del ciclo, ma nella fine del ciclo vi è la storia stessa

dell’azione dell’operatore, ovvero del sistema sviluppato nei suoi stadi; se misuriamo l’entità Г e

poi effettuiamo i cicli duplichiamo secondo l'operatore i cicli e quindi le misure.

Proprio questo aspetto getta una luce nuova e, in un qualche modo, sorprendete sulla natura della

misura, infatti nel primo caso abbiamo 3 cicli, che sono 3 limiti temporali associati a un valore

memorizzato che è un limite spaziale; nel secondo, invece, abbiamo 3 limiti spaziali collocati in un

certo istante temporale. Possiamo dire che la prima equazione 2( ( ))Mis è la combinazione di 3

istanti temporali ed uno stato spaziale, la seconda equazione ( ( ))qMis da 3 stati spaziali in un

certo istante temporale. Vedremo nell’ultimo capitolo del saggio come il passaggio di livello nei

sistemi complessi sia dato proprio dal passaggio dall’uno all’altro. 89

La misura 2( ( )) ( ) ( 3)Mis Mis Mis è una misura che ha una unica cardinalità su una

entità Г + Г + Г , ma sulla stessa entità, se la misura è effettuata su ogni elemento, la cardinalità

diventa molteplice e con valori coesistenti nel tempo, malgrado il sistema che stiamo misurando è

sempre lo stesso. Un ordinale risultato di una consecuzione temporale diventa pluralità cardinale nel

momento in cui si passa dalla dimensione 3T + 1S (3 stati temporali ed uno spaziale) alla

dimensione 3S + 1T (3 stati spaziali in uno temporale)

Il passaggio da una collocazione dimensionale all’altra ha come conseguenza che lo stesso sistema

nel primo caso è misurato come un tutt’uno, come un Sistema Unico, nel secondo caso è misurato

come aggregato di elementi, come Sistema Aggregato.

Page 65: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Con 2 ( ) ( ) ( ) ( )Mis Mis Mis Mis quelli che erano stati nella successione degli steps

diventano elementi coesistenti del sistema. Il Sistema Unico Г + Г + Г è un tutt'uno su cui si

effettua una sola misura, in esso è contenuto l'evoluzione dell'operatore su Г che nella sua ordinalità

Г3 contiene lo sviluppo ordinale che viene visto solo come risultato finale di Г3. Il Sistema

Aggregato ( ) ( ) ( )Mis Mis Mis sono gli stessi stati che compongono il Sistema Unico ma

visti come elementi coesistenti e come tali misurati.

A questo punto della riflessione possiamo utilizzare il calcolo modulare (di Gauss) 90 per meglio

esplicitare il concetto di misura. Se misuriamo il sistema nel suo complesso allo stadio q del ciclo

abbiamo:

1( ( )) ( )qMis Mis q

Utilizzando l’unità di misura 0( )Mis avremo che '0( ) qMis q k , quindi il valore kλ è la

misura che il nostro strumento ci rappresenterà ed è l’equivalente di un algoritmo finito, ma se la

nostra rappresentazione è un algoritmo ad infinito (come ad esempio π) esso non potrà mai essere

dato dal valore kλ, che è e rimarrà sempre un numero finito. Quindi una misura sarà sempre della

forma kλ ed essa rappresenterà l’entità solo se l’algoritmo che lo definisce è determinato (ovvero

finito e certo), se esso è indeterminato o incerto (ovvero il processo non termina in un tempo certo e

finito) allora esisterà una entità incommensurabile che andrà a sommarsi al valore misurato e che

chiameremo θ.

Questo ci farebbe dire:

Гq = Mis(Гq) + θ = kλ + θ

ma in realtà Гq è stata considerata come entità primitiva, indeterminata, prima della misura e

comunque non soggetta ad un confronto diretto con essa. Occorre allora definire uno stadio

intermedio tra la misura e l’entità indeterminata Г, ed esso è rappresentato dal Гq calcolato, come

abbiamo già definito nella nostra discussione sugli algoritmi, quindi a questo punto potremmo

correttamente definire:

Calc(Гq) = Mis(Гq) + θ = kλ + θ 91

Sviluppato abbiamo:

2( ( )) ( ) ( ( ) ( ) ( ))Mis Mis Mis Calc Calc Calc

Il Г calcolato equivale al Г rappresentato da un qualche algoritmo ad infinito e mentre nella misura

la componente ad infinito si perde perché l’algoritmo è sempre finito, in quello calcolato esso

rimane come componente teorica del calcolo. In questo senso possiamo dire:

Page 66: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

( ) ( ) ( ) ( )Calc Calc Calc Calc ma la validità teorica di tale formula si scontra con

la realtà della misura.

Infatti 1 1 0 2 2 0 3 3 0( ) ; ( ) ; ( ) ;Mis k Mis k Mis k (la possibilità di un indice identificativo è

strettamente legata all’identificazione spaziale dell’elemento misurato) da cui

1 2 3 1 0 2 0 3 0( ) ( ) ( )Mis Mis Mis k k k usando lo stesso sistema di misura λ. Mentre la

misura del sistema nel suo complesso sarà: 1 2 3( )Mis k . 92

A questo punto possiamo vedere qual’è la condizione affinché le due misurazioni siano uguali e

quando invece sono diverse, infatti :

1 2 3 1 2 3( ) ( ) ( ) ( )Mis Mis Mis Mis se 1 0 2 0 3 0 0k k k k .

Ma quando può realizzarsi una tale condizione?

Dato 1 2 3 1 2 3( ) ( ( ) ( ) ( ))Mis Mis Calc Calc Calc allora per quanto detto l’entità

calcolata è la misura più il fattore di incommesurabilità, quindi: 1 1 1 1 0 1( ) ( )Calc Mis k

da cui 1 2 3 1 0 1 2 0 2 3 0 3( ( ) ( ) ( )) ( )Mis Calc Calc Calc Mis k k k

Nello stesso tempo 1 2 3 1 0 2 0 3 0( ) ( ) ( )Mis Mis Mis k k k se indichiamo ii

allora

1 2 3 1 2 3( ) ( ) ( ) ( )Calc Calc Calc Calc se ii

e se 0 0 o se è un suo

multiplo. Ma quando andiamo a fare le misure in 1 2 3( ) ( ) ( )Mis Mis Mis i fattori di

incommensurabilità non sono presenti e quindi non vengono sommati, mentre in

1 2 3( )Mis essi sono presenti e sono sommati, per cui da un lato abbiamo

1 0 2 0 3 0k k k come misura delle componenti e dall’altro

1 0 1 2 0 2 3 0 3 1 0 2 0 3 0k k k k k k come misura del sistema nella sua totalità (o

sistema unico) 93 .

Ora se Θ = 0 la situazione è banale, il sistema calcolato e quello misura coincidono, il sistema è

rappresentabile da un algoritmo determinato e certo.

Se Θ ≠ 0 allora se esso è esattamente un multiplo di λ, l’unità di misura adottata Λ ( se è un

multiplo di λ) la incorporerà da cui avremo 1 0 2 0 3 0k k k k per 0p u . Questo vuol

dire che il sistema di misura sulle componenti e quello sulla totalità del sistema si rapportano

attraverso un algoritmo determinato. La somma dei fattori di incommensurabilità sulle componenti

corrisponde esattamente ad una misura di Λ, situazione alquanto eccezionale ma possibile.

Se invece, situazione molto più probabile nella realtà e che definisce, come vedremo, la specificità

dei sistemi complessi, tra le due misure rimane un fattore di incommensurabilità, ovvero:

Page 67: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

'1 0 2 0 3 0k k k k allora diremo che il sistema aggregato (misura delle componenti) e

sistema unico (misura del sistema nella sua totalità) non sono riducibili l’uno all’altro.

1.2.4 Il fattore di incommensurabilità Θ

Quello che a questo punto bisogna chiarire è cosa rappresenti e come si esplicita il fattore di

incommensurabilità θ. In realtà la sua presenza è il segnale che tra il nostro modo di misurare il

mondo, attraverso determinazioni, e il mondo delle entità individuate e calcolate esiste un “gap”,

una scepsi difficilmente colmabile e tale scepsi si esplicita proprio con quel fattore di

incommensurabilità che troviamo come residuo in tutte le nostre misure. E’ lo stesso “gap” che

esiste tra algoritmi infiniti ed algoritmi finiti, tra algoritmi che trovano una risposta in un tempo

finito e certo ed algoritmi che non trovano risposta in un tempo finito e certo. Ma essa in realtà

rappresenta una irriducibilità ancora più profonda, quella tra il mondo discreto delle misure ed il

mondo continuo delle entità del mondo che osserviamo e rappresentiamo con una qualche funzione.

Potremmo dire, semplificando, che il mondo di Mis(Г) è un mondo discreto, numerabile mentre il

mondo di Calc(Г) è un mondo continuo. Come si può notare, non abbiamo indicato in alcun modo Г

come elemento rappresentato, e questo in quanto Г è e rimane un elemento individuabile ma

indeterminato e come tale non può essere confrontato con la sua misura, che è invece il modo che

abbiamo per determinate e rappresentare il mondo.

In definitiva abbiamo due modi per rappresentare e rendere determinabile il mondo delle

indeterminazioni Г: o con la misura di Г, Mis(Г), o con una funzione calcolata che rappresenti lo

spazio delle possibili misure di Г, Calc(Г). Il primo si presenta come uno spazio sempre discreto, il

secondo è uno spazio continuo; il primo è un algoritmo sempre determinato (certo e finito), il

secondo è rappresentabile da un algoritmo incerto o indeterminato (infinito o nel tempo di fermata

e/o nel valore calcolato). Abbiamo scelto di rappresentare questo procedere ad infinito

dell’algoritmo di calcolo attraverso la definizione di un fattore di incommensurabilità θ.

Questo fattore non è un fattore misurabile, esso si presenta come una entità continua, è esprimibile

attraverso un qualche algoritmo ad infinito, ma non è detto che ciò sia sempre possibile; possiamo

avere fattori θ non esplicitabili attraverso un algoritmo conosciuto.

Il primo aspetto che dovremmo considerare è che quando parliamo di un algoritmo in grado di

rappresentare θ, non ci riferiamo solo ad una routine che ciclando ad infinito genera i valori

decimali, come ad esempio l’algoritmo che genera π, o qualsiasi altro valore trascendente in

Page 68: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

matematica numerica. Indichiamo anche, e questo è l’aspetto secondo noi innovativo, uno spazio

continuo, rappresentato da una qualche funzione continua, nel quale valori di θ si possono trovare

ma anche i valori misurati con Mis(Г). In questo caso, la funzione che definisce i valori si presenta

infinita non nel ciclo degli steps ma nella determinazione dei valori di output che non possono

essere determinabili attraverso cicli finiti dell’algoritmo. In definitiva abbiamo un algoritmo

determinato e finito negli steps, come lo è una funzione, ma indeterminato e quindi non certo nei

valori di output (e questo vuol dire che solo un qualche algoritmo ad infinito potrebbe cogliere tali

valori).

In definitiva noi diciamo che esistono due modi fondamentali per cercare di esprimere e

rappresentare θ, quello classico attraverso un algoritmo che si ripete ad infinito e che non è

riducibile ad un sistema di misura, in essa rientrano sia i così detti numeri irrazionali algebrici e sia i

numeri trascendenti, in ambedue i casi facciamo riferimento ad un algoritmo definito che si ripete

ciclicamente ad infinito. E quello che non ci parla del singolo valore θ ma si limita a dirci che il

valore θ per una certa misura si trova lungo una funzione definita e rappresentabile, quale sia questo

valore non abbiamo modo di definirlo se non con un algoritmo ad infinito (in questo rientrano i

numero reali trascendenti). 94

Quello che abbiamo cercato di delineare è la possibilità, nell’azione dell’operatore Г su Г, di avere

una misura delle entità ordinali, dove la somma di 2 entità Г + Г rimanda sempre ad un unica entità;

e nel contempo la misura delle entità Г nella loro molteplicità definita dall’azione dell’operatore.

La prima misura trasforma entità, ordinalmente poste, in un’ entità cardinale con molteplicità uno,

la seconda misura toglie l’ordinalità trasformando le misure in molteplicità cardinali. Possiamo dire

che la dimensione temporale dell’ordinalità si perde trasformandosi in una collocazione spaziale e

separata degli elementi misurati. Quando effettuiamo la misura della k-esima entità noi

consideriamo una misura spaziale dell’entità ottenuta dopo k istanti temporali. Mentre quando

misuriamo e sommiamo le k componenti abbiamo k misure spaziali nello stesso istante temporale.

Quindi le k entità elaborate nel tempo dalla ricorsiva di Г diventano k entità coesistenti nel tempo,

ed abbiamo visto, come solo in casi limite le due risultanti sono identiche; ma quello che è altresì

interessante è che questo passaggio da dimensioni temporali a dimensioni spaziali è un fattore

generatore di molteplicità che si ha solo attraverso la misura (vedremo alla fine come questa

rappresenti una legge fondamentale del nostro modo di rappresentare il mondo e come esso si

concili con l’interpretazione che diamo della fisica quantistica).

Se prima della misura la k-esima entità e le k ricorsioni sono un tutt’uno nell’azione dell’operatore

Г, nel momento in cui effettuiamo la misura esse si separano ed è nel modo in cui fissiamo i nostri

sistemi di riferimento spazio-temporali, e quindi misuriamo, esso si presenta come sistema che

Page 69: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

evolve nel tempo nei suoi stati oppure come un sistema aggregato di elementi e misurato in un certo

istante. E’ proprio qui che si pone la differenziazione tra sistema unico e sistema nelle sue

componenti (sistema aggregato), nella misura c’è, in un certo senso, questa trasformazione quasi

paradossale delle entità spazio – tempo.

Per meglio comprendere come una stessa entità si possa distribuire in componenti per poi

ricomporre in una misura unica, il modo più semplice che abbiamo è quello di esprimere gli aspetti

modulari di una semplice ricorsiva del tipo k dove N è un numero intero fissato e k sono le

iterazioni anch’esse indicate con un numero intero.

Ad esempio:

2 3 4 5{4;4 ;4 ;4 ;4 ;...} ora se misuriamo i valori ottenuti da una tale funzione del tipo (4)k ad

esempio attraverso il valore determinato 35, avremo:

4 = 0*35 + 4

16 = 0*35 + 16

64 = 1*35 + 29

256 = 7*35 + 11

1024 = 29*35 + 9

4096 = 117*35 + 1

16384 = 468*35 + 4

.....

Come si vede dopo 6 cicli i valori del resto si ripresentano uguali ai precedenti formando in tal

modo, per la divisione su 35, 6 classi di congruenza di resti (indicheremo in maniera difforme dalla

comune definizione matematica il modulo come il numero di classi di congruenza dei resti, quindi il

modulo 35 appartiene comunque alle ricorsive che hanno modulo 6) . Ora se interpretiamo quanto

descritto secondo il nostro modello concettuale, la ricorsiva (4)k misurata secondo l’unità di

misura 35 genera nei residui θ (residui che ovviamente nel nostro esempio non sono infiniti, ma ben

determinati) un ciclo modulare, ed inoltre si ripetono identicamente dopo 6 steps della ricorsiva;

come vedremo in seguito, nei casi più interessanti tali valori saranno effettivamente dei θ

incommensurabili e non saranno mai gli stessi ma si disporranno in una funzione F(t) che

rappresenterà la funzione Calc(Г). In questo modo saremo in grado di derivare Calc(Г) da Mis(Г)

ed inoltre proprio attraverso la connessione S/T saremo in grado di trasformare una serie di steps

della ricorsiva misurati nel tempo in un sistema dotato di molteplici componenti in uno stesso

istante di tempo ed un punto di passaggio sarà la sommatoria che diventa Θ.

Su questo ci concentreremo nei capitoli successivi vedendo come un tale passaggio si possa

rappresentare ma prima finiamo di esplicitare tutte le proprietà connesse all’operatore Г

Page 70: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.2.5 Tipologie nell’azione dell’ Operatore Origine Г

Se all’origine esiste un operatore Г la cui funzione è quella di duplicare una entità indeterminata,

elemento dell’operatore, la domanda che possiamo farci è se esiste anche un operatore ad esso

inverso, e se si come si giustifica la sua possibilità.

Sappiamo come una struttura di campo in matematica presupponga l’esistenza dell’elemento neutro

e dell’inverso, possiamo dire che questo è vero anche per l’operatore Г ?

Abbiamo compreso come l’azione di Г sia anzitutto nella creazione di una ordinalità tra gli elementi

Г, ordinalità che possiamo rappresentare come l’associazione dell’elemento di partenza Г.

Per cui: 3( ) così come 2 ( ) , abbiamo visto come la misura dei Г ci

dia la rappresentazione di elementi di un insieme che sono tanti quanti sono i Г. Se vogliamo avere

una rappresentazione simile a quella della teoria degli insiemi con la generazione della cardinalità

attraverso la creazione di sottinsiemi di insiemi dobbiamo indicare un nuovo indice che ci dica da

dove partire nella ricorsione.

20 ( ) { ; ; } ovvero un doppio indice dove quello in basso indica quello di partenza

e quello superiore quello di arrivo. In questo caso abbiamo creato o 3 ordinalità Г1 + Г2 + Г3

oppure 3 sottinsiemi il primo con 1 elemento, il secondo con 2 ed il terzo con 3.

Possiamo intuitivamente dire che l’azione dell’operatore è quella di aggiungere “individualità

indifferenziate” , il punto come si vede è quello di definire un insieme vuoto o nullo, nella doppia

valenza di zero della entità ordinale e di nullo nella entità cardinale. Per arrivare a questo

dovremmo definire una operazione inversa a quella dell’operatore, che in tal caso sarà quella di

“togliere” delle entità. La definizione formale dell’operatore Г diceva di un operatore che duplica

ciò che è nelle parentesi a destra, se nella parentesi c’è Г allora Г duplica Г. Ma l’operazione

inversa ad una operazione di duplicazione qual’è?

Se assimiliamo la duplicazione ad una generazione la sua inversa sarà sicuramente togliere ciò che è

stato generato, poiché un inverso del termine “re-plicare” sembra ancora non esistere, useremo

quello di “de-plicare”.

Ma l’azione dell’operatore inverso ( )n non banalmente speculare a quello di ( )n infatti

abbiamo detto che 0 ( ) e Г(Г) = Г + Г, quindi l'azione di 1( ) che sta ad indicare la

generazione di un elemento opposto a Г che se aggiunto a Г determina l'elemento neutro 0. In realtà

nulla ci vieta di formalizzare la cosa anche nel seguente modo, sicuramente più lineare e

rispondente al calcolo algebrico, ovvero 0 ( ) 0 e Г(Г) = Г , in tal caso avremo:

Quindi : 1 1 0( ) ( ) ( ) 0 cosi come abbiamo:

Page 71: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

( ) ( )n n mentre ( ) ( )n n da cui ( ) ( ) 0n n qualsiasi sia n rispetto alla

precedente formalizzazione dove:

( ) ( 1)n n mentre ( ) ( )n n da cui ( ) ( )n n .

La scelta delle due diverse formalizzazioni è legata più che altro alla efficienza del calcolo, se

utilizziamo l’ultima rappresentazione e combiniamo l’operatore Г con il suo inverso per lo stesso

indice, avremo 2 sequenze di azioni una opposta all'altra che lascerebbe l'elemento dell'operatore

invariato, ovvero:

( )( )n n

Si noti come i due operatori siano associati tra di loro attraverso una parentesi che li raggruppa,

questo vuol dire che il risultato di tale operazione sarà differente se invece i due operatori agiscono

in maniera consecutiva, infatti :

2 2( )( ) mentre 2 2 2( ( ( )) ( )

Possiamo concepire la duplicazione di una entità opposta a Г come – Г e quindi dare un senso alla

operazione : ( )n

Ricapitolando:

Definizione : Esiste un operatore inverso di Г su Г che deplica Г, Г deplicato sarà indicato con – Г.

Possiamo accennare ai seguenti teoremi conseguenza delle definizioni fino ad adesso date:

Asserto 1: ( ) ( )n n

Asserto 2 : Esiste l’elemento neutro 0.

Infatti 0 1( ) ( ) 0

Asserto 3: Gli operatori possono coesistere e in tal caso saranno associati con la proprietà

commutativa o possono applicarsi consecutivamente ed in tal caso possono non essere

commutativi.

Nel primo caso indicato con 2 2( )( ) diremo che gli operatori sono associativi e quindi

commutano. Nel secondo caso che sono consecutivi ma in tal caso 2 2 2 2( ( ( )) ( ( ( )) , non

commutano.

Come abbiamo detto, lo stesso operatore può presentarsi in modi differenti, associandosi con altri

operatori oppure agendo sull’elemento a destra dello stesso. Ma questo non esaurisce le possibilità

che possono essere generate con Г, possiamo anche avere una generazione di molteplici entità

ordinali, che in termini insiemistici corrisponde alla creazione di sottinsiemi con differenti

cardinalità.

Page 72: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

( )ki con i<= k abbiamo 5

2 ( ) {3 ;4 ;5 ;6 } ovvero 4 sottinsiemi con rispettivamente 3,4,5 e

6 elementi, ma anche 52 ( ) { 3; 4; 5; 6} un insieme formato da 4 entità ordinali consecutive.

Ricordiamo che oltre all’azione di Г che duplica l’elemento originario esiste anche Г che duplica e

raddoppia tutti gli elementi generati, in tal caso abbiamo:

52 ( ) {2 ;4 ;8 ;16 } oppure 5

2 ( ) { 2; 3; 8; 16}

A questo punto nulla ci vieta di combinare tra di loro tali operatori dimensionali, generando delle

matrici a 2 dimensioni nel caso più semplice fino ad avere matrici k dimensionali.

Infatti se combiniamo la 52 ( ) {3 ;4 ;5 ;6 } con un operatore 2

1 ( ) {2 ;3 } ovvero

2 51 2( ( )) abbiamo che gli elementi {3 ;4 ;5 ;6 } diventano la base per l’operatore successivo

che quindi genererà dal primo {6Г;9Г) da secondo {8Г;16Г} dal terzo {10Г;15Г} ed infine dal

quarto {12Г;18Г}. In questo modo avremo una matrice di 2 righe e 4 colonne con i seguenti

elementi:

6 8 10 12

9 16 15 18

Con lo stesso principio si possono generare matrici di qualsiasi forma (i x n), ma la cosa

interessante è che associando tra di loro non solo 2 operatori dimensionali, ma 3, 4 ..k avremo

matrici con k dimensioni, cosa che in matematica è difficilmente rappresentabile.

Infatti:

7 2 53 1 2( ( ( ))) ci dice che dalla matrice precedente (2X4) si svilupperà una sequenza in verticale

per ogni valore di essa data dall’operatore Г che inizia dall'indice 3 e prosegue per 5 elementi fino

all'indice 7, per il primo elemento della matrice avremo {18Г;24Г;30Г;36Г;42Г} e cosi per tutti gli

altri elementi. E’ ovvio che una matrice può essere composta dalla combinazione di operatori Г con

operatori , così come gli elementi sottinsiemi possono essere sostituiti da numeri ordinali Гn.

Page 73: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.3 Fondamenti matematici della ricorsione

1.3.1 Elementi della teoria dei gruppi

In questo paragrafo accenneremo ad alcuni concetti matematici connessi con la ricorsione, in

particolare nell’ultima sezione analizzeremo il concetto di ricorsione e l’estensione che ne facciamo

nel nostro modello interpretativo.

La teoria dei gruppi ha fatto nell’ultimo secolo dei progressi notevoli, sia per le implicazioni che

tale teoria ha avuto in altri settori della matematica come in topologia e sia per le applicazioni che

ha trovato in molti campi della fisica. 95

Ma cosa si intende per gruppo? La definizione usuale è la seguente :

Insieme G è un gruppo se esiste una operazione binaria in esso t.c.

X , ovvero ( , )G G G a b ab e dove valgono le seguenti proprietà:

1) P. Associativa : , , , ( ) ( )a b c G ab c a bc

2) Esistenza ed unicità dell’Identità o Unità: , t.c.a G u ua au a

3) Esistenza ed unicità elemento Inverso: 1 1 1, t.c.a G a aa a a u

Ovviamente si può provare l’unicità di detti elementi, ma quello che qui ci interessa sottolineare è

come rispetto ad un campo, premesso che la chiusura rimane una proprietà implicita nella

definizione, manca la proprietà commutativa, la quale non è valida per tutti i gruppi e quelli che

l’hanno sono chiamati GRUPPI ABELIANI. Un gruppo va sempre definito rispetto ad una

operazione, inoltre la possibilità di costituire un gruppo è legata alla possibilità che ogni elemento

abbia un inverso, ovvero che vi sia un simmetrico di esso rispetto all’elemento neutro definito. Il

gruppo, quindi, ci parla di una simmetria presente tra gli elementi dell’insieme, lo studio delle varie

forme di simmetria e quindi delle varie proprietà dell’operazione considerata, ha prodotto vari tipi

di gruppi, in questa sede noi ci concentreremo su una sola tipologia, quella detta dei gruppi ciclici.

Analizziamo i gruppi ciclici partendo da questa definizione: Sia a un qualsiasi elemento di G e

n è il più piccolo intero positivo tale che 1na allora n sarà chiamato ordine o periodo di n =

O(a).

In termini semplici vuol dire che l’operazione di a su a si ripete fino al punto in cui il risultato

ritorna al valore neutro o anche valore iniziale. Si tratta quindi di applicare la stessa operazione allo

stesso elemento fino a produrre l’elemento neutro del gruppo, il numero di operazioni o elementi

ripetuti definisce il ciclo rappresentato da n.

Page 74: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

In definitiva possiamo dire:

2

3

4

5 2

6 3

*

* * 1

* * *

* * * *

* * * * * 1

.

a

a a a

a a a a

a a a a a a

a a a a a a a

a a a a a a a a

ecc

In questo gruppo di ordine 3, il ciclo si ripete secondo questo ordine, se l’ordine è un numero finito

il gruppo è finito ed in questo caso è dato da:

2{1, , } con ( ) 3G a a o a

La caratteristica di un gruppo ciclico è che gli elementi del gruppo sono ottenuti dalla ripetizione,

sullo stesso elemento di una stessa operazione. Questo elemento è chiamato generatore G a ,

come abbiamo visto nel caso precedente; non può sfuggire che un gruppo ciclico di ordine n è

chiaramente isomorfo a n , il gruppo precedente è isomorfo alla classe di congruenza 3 . In

parole povere gli elementi q generati da n*3 + q = m, che in teoria dei numeri si indica con

mod3m q (m è congruo a q modulo 3), si ripetono invariati ogni 3 elementi del ciclo, essi

rappresentano le classi di congruenza. Come si vede un gruppo ciclico ha una proprietà in più

rispetto ad un gruppo, ovvero oltre alla simmetria tra gli elementi e i suoi inversi tale che

* 1m ma a , ha una fondamentale simmetria tra gli elementi del gruppo non inversi e questa

simmetria è tale che le componenti cadono in un numero definito di classi di congruenza, quindi il

ciclo si ripete periodicamente sempre allo stesso modo. Ma cosa ancora più interessante, tutti gli

elementi sono generati dalla applicazione di una stessa relazione su uno stesso elemento, che

abbiamo chiamato generatore del gruppo.

I gruppi ciclici sia essi finiti e sia infiniti (nel caso in cui n , ovvero il ciclo si chiude ad infinito

come ad esempio ( ; ) gruppo che ha come generatore 1 attraverso l’operazione di somma

genera tutti gli elementi di ), hanno la proprietà commutatività, ovvero sono gruppi abeliani.

Questa proprietà deriva direttamente da quella degli indici delle potenze, infatti:

Se e , allora , si hak hG a x y G x a y a * * * *k h k h h k h kx y a a a a a a y x

Quindi un gruppo ciclico è abeliano, come nel caso dei numeri complessi:

C = 1 2 3 4{ ; 1; ; 1}i i i i i i che è un gruppo di ordine 4.

Abbiamo già accennato che l’importanza dei gruppi sta nel fatto che essi esprimono simmetrie,

simmetrie che trovano la loro corrispondenza nello spazio geometrico. Il gruppo C esprime le

Page 75: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

simmetrie di rotazione nello spazio, così come dei gruppi possono esprimere riflessioni o

ribaltamenti, ecc. e così come avviene per le simmetrie dello spazio, un gruppo può essere

scomposto in sottogruppi più semplici che rappresentano simmetrie più semplici. Il caso di C è un

gruppo di Klein che esprime simmetria di riflessione rispetto all’origine, all’asse x e y. Il caso dei

gruppi diedrali e delle permutazioni esprimono ancora più chiaramente simmetrie.

Ma esistono anche un altra classe altrettanto importante di gruppi NON COMMUTATIVI che in

genere rappresentano trasformazioni lineari attraverso matrici, ad esempio i gruppi continui o

gruppi di Lie. Schematicamente possiamo dire che qualsiasi gruppo è una composizione di gruppi

semplici, i gruppi semplici si dividono in finiti (con un ordine dato da un numero determinato) e in

continui, la classificazione dei gruppi semplici continui è stata una delle maggiori conquiste

matematiche del XX secolo. 96 La differenza fondamentale tra queste due categorie è che la prima è

data da un numero discreto di elementi, come nei gruppi ciclici, la seconda è, invece, generata dalla

variazione infinitesima di valori, per cui essa copre una spazio continuo ed è fatta di infiniti

elementi. I primi sono generalmente commutativi mentre i secondi non lo sono.

La relazione che facciamo tra 2 insiemi in matematica viene vista come una trasformazione o

applicazione tra gli elementi di un insieme e quello di un altro. Queste applicazioni possono avere

varie proprietà legate sia al tipo di relazione e sia alla struttura degli insiemi che relazioniamo.

Dati V e U diciamo che esiste una applicazione :F V U , F può presentarsi iniettiva se per

qualsiasi valori 1 2v v di V abbiamo 1 1 2 2( ) ( )F v u F v u ; F può presentarsi suriettiva se F(V) =

U. Una applicazione che è iniettiva e suriettiva si dice isomorfismo. Abbiamo anche visto come F

può relazionarsi con se stesso arrivando a creare la struttura di regole ed elementi che definisce

l’insieme stesso. Ora la cosa interessante è che possiamo sottoporre un insieme, che ha una certa

struttura relazionale, ad una serie di trasformazioni e vedere se esse conservano o meno tale

struttura e quindi le proprietà dell’insieme. Allo stesso modo possiamo vedere se quella

trasformazione, che conserva la struttura per un tipo di insieme, ha lo stesso effetto anche per altri

tipi di insiemi.

Un esempio fondamentale in fisica è quello dato dalla struttura degli spazi vettoriali la quale viene

conservata attraverso le applicazioni lineari di uno spazio vettoriale V su se stesso. Queste

trasformazioni possono essere rappresentate attraverso matrici, in modo tale che la matrice e le

operazioni connesse giochino lo stesso ruolo di elementi di un gruppo. Tali matrici, rappresentanti

applicazioni lineari, possono esprimere varie tipologie di gruppi e proprietà ad esse connesse.

In linea generale possiamo dire che le proprietà di trasformazioni tra strutture differenti oppure di

una stessa struttura algebrica, possono essere rappresentate attraverso matrici e queste matrici

Page 76: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

possono essere viste, a certe condizioni, come un gruppo. Allo stesso modo quella classificazione di

gruppi che precedentemente abbiamo fatto, rappresenta una sottostante classificazione di

trasformazioni in spazi possibili. 97

1.3.2 Trasformazioni lineari, funzioni e algebra di Lie 98

L’algebra delle matrici si è dimostrata uno strumento fondamentale per comprendere le proprietà

connesse alle trasformazioni lineari. Nella nostra discussione al posto di utilizzare il concetto di

insieme utilizzeremo un concetto più specifico, quello di Spazio.

Definiamo Spazio una struttura algebrica con infiniti elementi, ovvero uno spazio è un insieme di

infiniti elementi dove sono definite operazioni chiuse rispetto all’insieme stesso.

Poiché si possono dare anche spazi dove, per alcuni elementi di esso, le operazioni definite

generano elementi che non appartengono più all’insieme, come ad esempio punti di singolarità o

altre situazioni, chiameremo Spazio Completo se esso è totalmente chiuso rispetto alle operazioni

definite, cioè senza eccezioni. (Nel prosieguo quando parleremo di spazio intenderemo sempre uno

spazio completo a meno che non sia indicato altrimenti). 99

Ora lo spazio che più comunemente viene usato nelle descrizioni dei fenomeni fisici è lo Spazio

Vettoriale, le cui caratteristiche di struttura si possono così definire:

Definiamo Spazio Vettoriale V un insieme di elementi dove valgono tutte le proprietà del campo

rispetto alle operazioni di somma e prodotto. 100

In cosa, quindi, uno spazio vettoriale si differenzia rispetto ad un campo numerico? Innanzitutto gli

oggetti sono n-uple ordinate di numeri, numeri che possono essere del campo dei Reali o dei

Complessi. Il simbolismo per indicare questo è:

nV ovvero n elementi nella forma 1 2( , ,... ) conn ix x x x

Ma uno spazio vettoriale ha una proprietà ulteriore che lo specifica rispetto ad altri spazi ed è quella

che possiamo chiamare dell’Omogeneità.

7) P. Omogeneità :

, , , o t.c. ( ) e

( )

v u V c d c v u cv cu

c d v cv dv

Ritroveremo questa proprietà in molti altri spazi come ad esempio in quelli di Hilbert e di Banach,

essa ci dice che gli elementi dello spazio si possono combinare tra di loro secondo coefficienti

Page 77: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

generando ulteriori elementi dello stesso spazio, ma a ben vedere questa proprietà non è altro che la

proprietà lineare di detto spazio.

Ritornando alla definizione di applicazione tra 2 strutture algebriche che chiamiamo (X,*) e (Y,#) si

definisce in generale una applicazione come : 1 2 1 2: t.c. ( * ) ( ) # ( )f X Y f x x f y f y

Questa applicazione è detta omomorfismo in quanto preserva le operazioni definite in un insieme e

nell’altro, anzi come si vede fa corrispondere una operazione di un insieme all’altra operazione

dell’altro insieme. Come tutte le applicazioni essa si può presentare come iniettiva, suriettiva o

iniettiva e suriettiva ovvero un isomorfismo. Ora caso particolare è quello in cui X = Y e quindi:

1 2 1 2: t.c. ( * ) ( )* ( )f X X f x x f x f x in questo caso abbiamo un endomorfismo ovvero un

omomorfismo dell’insieme su se stesso, se questo omomorfismo è anche un isomorfismo allora

avremo un automorfismo. 101

A questo punto possiamo definire una applicazione lineare come una applicazione F tra uno spazio

vettoriale V e uno W t.c.:

:F V W con 1 2 1 2, , , , ov v V w w W c si ha

1 2 1 2 1 2 1 1 1( ) ( ) ( ) e ( ) ( )F v v F v F v w w F cv cF v cw

Come si vede l’applicazione lineare preserva le operazioni di somma negli spazi vettoriali,

lasciando inalterate le proprietà ad esse connesse. Quindi si tratta di un omomorfismo e di un

endomorfismo nel caso dello stesso spazio vettoriale, ma esso, come abbiamo notato, è già implicito

nella stessa definizione. Quindi possiamo dire :

Una applicazione lineare lascia inalterate le proprietà di uno spazio vettoriale.

Come si può ben capire se gli spazi vettoriali riescono a descrivere cosi bene gli stati di un sistema

fisico le applicazioni lineari giocano un ruolo fondamentale nello studio di tali sistemi.

Quello che una applicazione lineare permette è di generare elementi dell’insieme da uno sottinsieme

di essi, ovvero esiste un numero di elementi che è chiamato base le cui combinazioni lineari

permettono di generare ogni altro elemento dell’insieme. In questo modo se associamo ad una

applicazione lineare una base, con essa siamo in grado di costruire l’intero insieme degli elementi.

Questo punto, che adesso formalizzeremo, è cruciale nell’analisi dei sistemi, perché qualsiasi stato

di un sistema lineare (rappresentabile attraverso un sistema lineare) è ottenuto dalla combinazione

di stati base. 102 Essi possono essere visti come le coordinate entro le quali definiamo il sistema e la

sua evoluzione, ma l’importanza ulteriore delle trasformazioni lineari è che esse sono associate a

matrici e dall’algebra delle matrici è possibile trarre proprietà simmetriche di tali applicazioni e

questo in quanto le matrici possono creare oggetti che hanno proprietà di gruppo.

Page 78: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Come abbiamo già detto, le applicazioni che noi generalmente consideriamo sono tali che ad uno o

più elementi dell’insieme di partenza corrisponde sempre un solo elemento dell’insieme di arrivo,

ovvero 1 2( , ,..., )n iT x x x y ; abbiamo chiamato specificatamente queste applicazioni, funzioni e

algoritmi funzionali. Il punto è vedere se da una tale funzione possa esistere l’inversa, in realtà non

siamo in grado di trattare funzioni inverse di quella data ovvero 11 2( ) ( , ,... )i nT y x x x , e questo

anche nel caso di una sola variabile. Trovare l’inversa vuol dire avere la condizione necessaria

perché l’applicazione sia isomorfa, che ad ogni elemento dell’insieme di partenza corrisponde uno

ed un solo elemento dell’insieme di arrivo e il contrario. Nel caso prima indicato questa possibilità

non si dà perché ad n elementi dell’insieme di partenza corrisponde 1 solo elemento di quello di

arrivo, ma una eventuale inversa dovrebbe essere del tipo 1 2( ) ( , ,... )i nR y x x x , anche se tale

relazione fosse unica, essa comunque per definizione NON è una funzione. 103

Ma che significato potrebbe avere l’operazione 1 2( ) ( , ,... )i nR y x x x , cosa vuol dire esattamente che

ad 1 elemento ne possono corrispondere n ?

Sarebbe una applicazione tale che per :R W V abbiamo 1 1 2 1( , ,.., ) ( )ky x x x R y ovvero con

un solo elemento ed una stessa applicazione si possono generare un numero definito di elementi

coesistenti. In definitiva sarebbe l’operazione opposta al determinare una base di uno spazio

vettoriale o le coordinate di un elemento; il punto è che dato un numero non siamo in grado da esso

di generare una base, né tanto meno da una distanza possiamo ricavare le coordinare del sistema, in

quanto, in generale, le possibilità risultanti sono infinite ed anche quando non lo sono, come nel

caso degli algoritmi diofantei, l’algoritmo si presenta sempre incerto.

Quindi sembrerebbe che una funzione del genere non sia logicamente possibile, e anche se lo fosse

non è trattabile come una misura. In realtà nel caso dei sistemi quantistici ci sembra di avere a che

fare proprio con strutture di questo tipo che chiamiamo: a stati sovrapposti; è il caso in cui ad un

certo istante del sistema corrispondono una serie di stati sovrapposti, ovvero coesistenti dei quali in

realtà uno solo si realizza con la misura. Questi stati sovrapposti corrispondono agli stati base,

ovvero alla base di uno spazio vettoriale, quindi la loro combinazione lineare permette la

determinazione di qualsiasi stato del sistema. Nell’istante t corrispondono una serie di stati o

variabili sovrapposte che non sono né possono essere misure, ma si potrà avere una misura solo

quando uno dei due stati si realizza. Il punto che vogliamo affrontare è quale tipo di struttura

matematica c’è dietro una relazione di tal tipo,ovvero a quale oggetto matematico corrisponde una

applicazione in grado di generare da se una serie di elementi che si presentano tra di loro coesistenti

Page 79: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

e che rimangono NON misure fino a quando un solo elemento di essi si realizza e quindi diventa

misura. 104

Ritornando alle trasformazioni rappresentate da matrici, nel caso che esse siano continue allora

saranno generalmente non commutative e si possono rappresentare attraverso matrici del tipo I +

εA , dove I è la matrice identità e ε è la variazione molto piccola di valori della matrice A, quindi la

trasformazione di valori infinitesimi partendo dalla matrice I. Quello che la teoria ci dice è che per

un gruppo continuo (finito) per valori in un intervallo definito esisterà un gruppo in GL(n) in grado

di rappresentarlo e che questo gruppo sarà non commutativo.

L’algebra che si occupa dello studio di questi gruppi locali continui e non commutativi è detta

algebra di Lie, se utilizziamo la forma matriciale I + εA per indicare un elemento del gruppo G,

allora la non commutatività degli elementi di un gruppo dovrà essere rappresentata attraverso la

formula 1 1ABA B , infatti nella forma AB e BA non si evidenzierebbe il carattere non commutativo

del prodotto in quanto 2 2( )( )I A I B I AI I B AB tenendo presente che

2 2che e 0I I AI A abbiamo ( )( ) ( )I A I B I A B . 105 Ma la somma è sempre una

operazione commutativa per cui in questo modo il valore non commutativo del prodotto si

perderebbe. Mentre nell’altra rappresentazione abbiamo:

1 1( )( )( ) ( )I A I B I A I B trasformando 1( )I A in una serie di potenze abbiamo:

1 2 2 3 3( ) ...I A I A A A se trascuriamo le potenze da 3 in poi possiamo scrivere

1 1 2 2 2 2( )( )( ) ( ) ( )( )( )( )I A I B I A I B I A I B I A A I B B

sviluppando abbiamo 2 ( )I AB BA . Dove (AB – BA) rappresenta il commutatore [A, B]. 106

A questo punto è possibile formalizzare le proprietà di un algebra di Lie utilizzando il commutatore

per cui avremo: Un algebra di Lie Λ è uno spazio vettoriale di elementi A, che possono essere

matrici, con una operazione interna (prodotto di Lie) rappresentato dal commutatore [A, B], dove

le parentesi sono chiamate anche parentesi di Lie :

Le proprietà definenti Λ sono:

1) Chiusura [A, B]

2) Linearità [A, [B, C]] = [[A, B], C]

In quanto algebra, l’aspetto additivo è rappresentata dalla somma con la proprietà distributiva tipica

dello spazio vettoriale.

3) Distributività [A + B, C] = [A, C] + [B, C]

4) Omogeneità [γA, B] = γ[A, B]

Page 80: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Oltre ovviamente alla proprietà antisimmetrica [A, B] = - [B, A] abbiamo in aggiunta una relazione

chiamata identità di Jacobi e che ha la seguente struttura:

6) Identità di Jacobi [A, [B, C]] + [B, [C, A]] + [C, [A, B]] = 0

La caratteristica di un algebra di Lie è che lo spazio vettoriale delle matrici fa si che esista una base

e la combinazione degli elementi base con delle costanti (costanti di struttura di Λ), attraverso i

commutatori, permette la generazione di tutti gli elementi (matrici) in una certa regione locale,

ovvero una regione intorno a I, a carattere infinitesimo. Ricordiamo che A,B,C,.. sono elementi

dell’algebra di Lie che definiscono un campo vettoriale, con le regole che abbiamo detto, per

trasformazioni infinitesime. Per ottenere da un elemento dell’algebra continua un elemento discreto,

finito, di un Gruppo di Lie occorre procedere alla esponenzializzazione attraverso l’operazione :

allora AA e G dove G è un Gruppo di Lie.

In questo modo le trasformazioni lineari continue (con matrici) possono essere espresse da elementi

dell’algebra di Lie con tali trasformazioni. La caratteristica di un gruppo di Lie è che l’operazione

binaria che definisce il gruppo è differenziabile, quindi continua (localmente) ed ad ogni gruppo

possiamo associare un algebra di Lie in grado di esprimere le proprietà locali del gruppo.

1.3.3 Spazi di Hilbert e topologia degli spazi 107

Uno spazio vettoriale di dimensione infinita 108 è chiuso se qualsiasi successione infinita di vettori

convergente ha il limite contenuto nello spazio stesso. Inoltre esso si dice completo se qualsiasi

successione converge secondo Cauchy e il limite è contenuto nello spazio stesso.

Uno spazio è detto Normato se esiste una applicazione da uno spazio vettoriale V ai reali .

Tale che:

1) Proprietà della positività: 0v v V

2) Proprietà della definitezza: 0 se solo se 0v v

3) Proprietà della omogeneità: ev v v V

4) Proprietà della disuguaglianza triangolare: v w v w

Definizione 1 : Uno Spazio Normato Completo è uno Spazio di Banach.

Quindi uno spazio di Banach è formato da uno spazio vettoriale di dimensione infinita dove è data

una norma e dove le successioni convergono secondo Cauchy in valori limite presenti nello spazio

Page 81: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

stesso. Dallo Spazio Normato si deduce una metrica data da ( , )d f g f g , in uno spazio

metrico valgono le seguenti proprietà:

1) Simmetria: ( , ) ( , )d f g d g f

2) Disuguaglianza triangolare : ( , ) ( , ) ( , )d f g d f h d h g

3) Positività : ( , ) 0d f g

Ed uno Spazio Metrico si dice Completo se una successione di Cauchy è la condizione necessaria e

sufficiente per la convergenza.

Definizione 2 : Uno Spazio Metrico Completo , con la metrica dedotta dalla norma, è uno Spazio di

Hilbert.

Uno Spazio di Banach garantisce la continuità della norma, mentre uno Spazio di Hilbert garantisce

la continuità della metrica dedotta dalla norma. Ma una metrica si ha utilizzando le proiezioni della

norma sugli gli assi ed esse si ottengono attraverso il prodotto scalare, quindi lo spazio di Hilbert

garantisce la continuità del prodotto scalare.

Possiamo definire uno Spazio di Hilbert come una applicazione dal prodotto HxH sul corpo o

che chiamiamo Prodotto Scalare. Con le stesse proprietà definite per la norma, se indichiamo la

norma indotta dal prodotto scalare come:

2v v v

Inoltre vale la proprietà simmetrica o hermitiana: v w w v

Quindi uno spazio di Hilbert ci permette la proiezione di uno spazio metrico su una base

ortonormale di infiniti vettori e di essi ci garantisce la continuità.

Una base di uno spazio di Hilbert è data da una famiglia di vettori ortonormali tali che:

1/21k k ke e e ed inoltre per f H si ha se 0 allora 0kk f e f

Quindi qualsiasi successione di vettori o funzioni di uno spazio di Hilbert può essere rappresentata

da una sua base.

In modo tale che:1 1

conk k k k kk k

f f f e e f e

Esistono ovviamente molte altre proprietà di uno spazio di Hilbert su cui ritorneremo solo se

interesseranno la dimostrazione che vogliamo portare avanti.

Gli spazi di Hilbert sono spazi normati dove vale la proprietà triangolare secondo la quale :

f g f g

Page 82: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Dove f è la norma (che può essere rappresentata dalla classica norma euclidea che abbiamo già

definito come 2 2 2( )f x y z dove x,y,z sono le coordinate di un generico punto di f), vi

sono molte altre funzioni rappresentanti una norma, ed esse possono essere espresse anche

attraverso matrici diagonali che meglio identificano spazi con n-dimensioni, come ad esempio lo

spazio di Minkowski. 109

Ma cosa rappresenta la norma ? E’ evidente che essa esprime una distanza tra 2 punti o tra un punto

e l’origine degli assi, distanza che soddisfa la proprietà triangolare, ovvero una proprietà che ci dice

che la proprietà metrica della distanza è uniforme nello spazio che consideriamo ed essa si cumula

in termini quantitativi in maniera uniforme. La norma è quindi un modo per generare una misura in

uno spazio, misura effettuata secondo certe regole, come nel caso della norma euclidea; inoltre la

norma trasforma un numero complesso, che se fosse una misura sarebbe una doppia misura, in un

unica misura in campo reale. 110 Come vedremo, per noi la norma è la misura dell’azione

complessiva dell’invariante, quindi è la misura completa di oggetto e strumento.

Uno spazio può essere visto sotto un approccio topologico 111 ma prima occorre chiarire bene cosa si

intende per insieme aperto e per insieme chiuso.

Un insieme B X è aperto se e solo se \X B è chiuso, ora un insieme si dice aperto se tutti i punti

dell’insieme sono INTERNI e per essere interno intendiamo che esistono sempre intorni dei punti

dell’insieme che sono all’interno dell’insieme stesso. Per intorno di un punto qualche testo utilizza

la definizione di intorno di x come di un insieme aperto A t.c. A B X . 112

Un insieme con soli punti interni, ovvero che gli intorni di questi punti sono ancora punti

dell’insieme si dice quindi INSIEME APERTO.

Un punto y X si dice esterno a B X se esso è interno a \X B , questa definizione è possibile

se diciamo che un insieme B è sempre un sottinsieme di un qualche altro insieme X e che si possa

sempre in un qualche modo indicare il complemento di B, ovvero \X B . Comunque un punto

esterno a B è un punto che non appartiene a B e che ha un intorno aperto che non gli appartiene. Ma

esistono anche dei punti di B che non hanno un intorno né in B e né in X, questi punti rappresentano

la frontiera di B che indichiamo con B , ovvero sono punti dove esiste una qualche parte di intorno

che non sono punti di B, sono quindi punti limite oltre i quali vi sono punti di \X B , tali punti sono

anche di frontiera per il complemento di B.

Ricapitolando:

Un punto x B X si dice INTERNO di B se ha un intorno in B.

Un punto y X si dice ESTERNO a B si ha un intorno in \X B .

Page 83: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Un punto si dice di FRONTIERA e cioè z B se non ha intorno né per B né per il complemento diB.Se un insieme contiene la sua frontiera allora è chiuso se non la contiene allora è aperto, quindi se B

è aperto allora \X B contiene la frontiera di B.

Ora è possibile utilizzare le definizioni di insiemi aperti o di insiemi chiusi per definire uno Spazio

Topologico 113 . Se consideriamo gli insiemi aperti allora abbiamo:

Uno spazio Topologico è una coppia (X, Φ) costituita da X e da sottinsiemi di X che formano

l’insieme Φ, dove i sottinsiemi di X sono insiemi aperti e dove valgono i seguenti assiomi:

1) Unione di sottinsiemi aperti di X è un sottinsieme aperto di X

2) L’intersezione di una coppia di sottinsiemi aperti di X è un sottinsieme aperto di X

3) L’insieme 0 e X sono insiemi aperti.

Come si vede abbiamo una struttura con 2 operazioni, l’unione e l’intersezione su entità che

abbiamo chiamato insiemi, ma che in realtà rimangono entità vaghe e che vengono in un qualche

modo definite proprio dalle operazioni che per esse abbiamo stabilito. Ora la cosa che caratterizza

una topologia è che rispetto a queste operazioni di unione e intersezione, elementi di una topologia

rimangono elementi della topologia, cioè essa è contenuta in se stessa. Ma, come abbiamo

sottolineato in precedenza, un insieme come entità va definita, e quindi associata ad un algoritmo, o

una struttura di misurazione, questo vuol dire che possiamo stabilire in maniera più chiara se una

misura è una misura dell’insieme così come se le successioni di misure sono ancora misure

dell’insieme. Nello spazio che abbiamo indicato, come lo Spazio di Hilbert, la possibilità della

misura è data dalla possibilità di una metrica, e la metrica è risultato della norma. Poichè lo spazio

delle misure, nel nostro modello, è il risultato di una ricorsiva sarà la norma di una ricorsiva in

campo complesso che ci darà le misure per un certo insieme, per un certo spazio (rispetto

all’invariante generante lo spazio) . Ed è anche il tipo di ricorsiva e di norma da essa ottenuta che ci

dirà che tipo di spazio abbiamo, se esso è di Banach, se è connesso o non lo è, ecc.

In topologia parliamo di applicazioni continue se l’immagine inversa di un insieme aperto rimane

aperto, ovvero se dato :f X Y e se U è un intorno di f(x) allora 1( )f U è un intorno di x.

Da questo punto di vista abbiamo il corrispondente dell’isomorfismo per gli spazi lineari e viene

chiamato OMEOMORFISMO.

Definizione di Omeomorfismo: Un’applicazione biettiva :f X Y è detta omeomorfismo quando

sia 1chef f sono continue, cioè quando U X è aperto se e solo se ( )f U Y lo è.

In uno spazio topologico si possono individuare 3 principali proprietà:

Page 84: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1) Connessione

2) Proprietà di Hausdorff (o Assioma di Separazione)

3) Compattezza114

La prima proprietà ci dice che se uno spazio è dato dall’unione di 2 sottinsiemi aperti e disgiunti

allora non è connesso, questo vuol dire che uno spazio connesso è tutto contenuto in se stesso, in

parole povere può essere percorso in ogni direzione senza salti o strappi.

La seconda proprietà riguarda la possibilità che dati 2 punti qualsiasi di uno spazio topologico di

essi si può sempre definire degli intorni disgiunti. Questa proprietà ci dice della continuità degli

intorni, ma anche che è possibile stabilire una metrica, quindi una misura di tali spazi.

La compattezza è una delle proprietà più importanti che troviamo in topologia e merita una

descrizione maggiore. La definizione formale di spazio compatto è che se dello spazio topologico X

abbiamo un ricoprimento aperto (per ricoprimento di B contenuto in X intendiamo una famiglia di

sottinsiemi numerabile di X che contiene B), vuol dire che esiste un numero finito di sottinsiemi di

X che ricoprono X. La proprietà principale di uno spazio compatto è che una proprietà locale

diventa una proprietà globale in quanto è estendibile comunque ad un numero finito di altri

elementi. La compattezza accenna al fatto che un insieme può essere localizzato in quanto deve

poter essere ricopribile sempre da un numero FINITO, da una curva chiusa.

Quanto detto si collega al nostro concetto di localizzazione, ma il nostro concetto è più generale, per

noi una retta è localizzata in quanto contenuta in un area determinabile dello spazio (quanto esiste

un algoritmo che la determina), per la nostra definizione una struttura localizzata è tale se è

contenuta dall’esterno, se esiste un esterno che lo contiene. In definitiva un algoritmo, in quanto

numero finito di regole, ha una analogia con il numero di regole finite definenti un Sistema

Formale, ed anche se il ciclo può non essere determinato o ripetuto ad infinito, il numero finito di

regole fa si che esso si presenti comunque come un sistema limitato, localizzato da un altro

algoritmo in grado di contenerlo, di ricoprire quello localizzato. 115 Per noi un ricoprimento finito

come condizione di compattezza trova un corrispondente nel nostro modello, in questo senso un

algoritmo con un numero infinito di regole o isomorfo all’intero spazio continuo non è un sistema

localizzato, non può rappresentare una entità compatta.

1.3.4 Generalizzazione attraverso la teoria dei Morfismi

La matematica contemporanea ha permesso una serie di generalizzazioni ed una di queste va sotto il

nome di teoria dei Morfismi o della Categorie e dei Funtori. 116

Page 85: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

L’obiettivo di una tale teoria è quello di generalizzare le proprietà di oggetti, chiamati Categorie, e

delle relazioni tra di essi, che sono chiamati Morfismi. Per cui abbiamo che gli oggetti della

categoria sono coppie (X, Y) e gli elementi Morf(X, Y) che indichiamo anche con Ξ(X, Y) sono le

relazioni e le loro proprietà esistenti tra X e Y per cui : è t.c.f X Y f . Ma sia f che X, Y

possono essere oggetti molto differenti tra di loro pur condividendo proprietà e assiomi:

Proprietà:

1) Ξ(X, Y) è disgiunto da Ξ(X’, Y’) se (X, Y) e (X’, Y’) sono disgiunti.

2) Esistenza di una legge di composizione ( , ) ( , ) ( , )X Y Y Z X Z

che possiamo anche scrivere come f gg f X Y Z

Assiomi:

1) Associatività : Se f g hX Y Z U sono morfismi allora vale la legge associativa:

( ) ( )h g f h g f

2) Identità : Per ogni X esiste un morfismo ( , ) t.c. eI X X I f f g I g per tutti i

morfismi f e g che hanno X come un elemento della coppia.

Esempi di Categorie e Morfismi sono:

1) Categoria degli Insiemi:

Oggetti = Insiemi ; Morfismi = Applicazioni

2) Categoria dei Gruppi

Oggetti = Gruppi ; Morfismi = Omomorfismo tra gruppi

3) Categoria degli Spazi Vettoriali su K

Oggetti = K-spazi vettoriali

Morfismi = Applicazioni K-lineari

4) Categoria Topologica

Oggetti = Spazi topologici ; Morfismi = Applicazioni continue

Come si vede stiamo parlando di categorie a cui abbiamo già accennato e che adesso vediamo in

una prospettiva unitaria, rappresentano strutture algebriche che sono collegate tra di loro attraverso

operazioni che abbiamo chiamato morfismi, quindi ogni elemento X della coppia ha sue operazioni

che lo definiscono e abbiamo chiamato i morfismi che legano X a X AUTOMORFISMI, ovvero

Page 86: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

( , )f X X , abbiamo invece MONOMORFISMI quando ( , )f X Y è iniettiva, mentre un

EPIMORFISMO quando ( , )f X Y è suriettiva; se f è iniettiva e suriettiva allora abbiamo come

si sa un ISOMORFISMO. In generale chiamiamo un morfismo tra strutture algebriche tali che

( ,*) e ( ,#)X Y esiste un f con 1 2 1 2( * ) ( ) # ( )f x x f x f x come un OMOMORFISMO:

Se le considerazioni che abbiamo fin qui fatto sono valide allora una ricorsiva che si presenta

inizialmente come un Automorfismo può trasformarsi in un Morfismo che lega 2 strutture

algebriche, 2 oggetti di una categoria. Abbiamo anche detto che la stessa relazione di misura si

presenta come un automorfismo dove X è l’oggetto o misura che lega oggetto misurato e strumento

di misura. Abbiamo anche considerato come questo possa rappresentarsi come un algoritmo, e

quindi un algoritmo ricorsivo.

Ma come è possibile che da un automorfismo si possa generare un morfismo? Ovvero che da

( , )f Y Y si possa generare un ( , ) o h ( , )g Y X X Y , questo è possibile se f si presenta

come una ricorsiva tale che oltre ad essere in grado di generare punti di Y da punti di Y, questi

punti siano espressione di una qualche relazione d’ordine, relazione che si esplicita proprio

nell’ordine della ricorsiva. Una relazione d’ordine secondo gli indici permette, in linea generale (e

puramente teorica), di collocare i valori Y rispetto ad uno spazio X. Abbiamo visto come le

ricorsive cicliche possano generare una serie di funzioni continue, ovvero di applicazioni tra

l’insieme dei punti X, punti della sequenza della ciclica, e Y punti ottenuti dall’azione della

ricorsiva, in tal modo abbiamo generato da un automorfismo della ricorsiva uno spazio di oggetti

con dei loro morfismi. Ma la cosa ancora più interessante è che la teoria individua tra 2 categorie C

e D un morfismo L che chiamiamo FUNTORE t.c. L(C) = D ovvero che a ciascun morfismo di C

t.c. gX Y corrisponde un morfismo di D t.c. ( )( ) ( )L gL X L Y e dove per il funtore L

valgono le seguenti proprietà:

1) L(I) = L

2) ( ) ( ) ( )L h g L h L g

Un tale funtore viene specificamente chiamato funtore covariante per distinguerlo da quello

controvariante dove a gX Y corrisponde ( )( ) ( )L gL X L Y .

Ebbene questo è quanto ritroviamo nelle funzioni Г della ricorsiva ciclica che rappresentano proprio

quei funtori applicati alle funzioni φ per cui le differenti funzioni 1 2, ,... k fanno corrispondere

valori X a valori Y e dove l’operatore Г trasformando una funzione φ in un altra trasforma anche i

valori X e Y , infatti:

Diamo : 1

1 1 1 1( )X Y X e 2

2 2 2 2( )X Y X ora se 2 1( )

Page 87: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Abbiamo la trasformazione

1 1 2 2 2 1( ( )) ( ) ( ( ))X X X

Come si vede affinché l’uguaglianza si mantenga occorre che 1 2

Ma anche per un funtore controvariante deve valere lo stesso, ovvero:

1

1 1X Y corrisponde a1

2 11 1 1 2( ) ( ) dove ( )X Y

Quindi abbiamo:

1 1 1 1 2 1 1( ) quindi ( ) ( ( ))Y X Y Y X da cui

1 12 1 1 1 1 2 1 1 2 2 1( ) ( ) ( ) ( )X X X X X

Anche qui abbiamo la conclusione che 12 2 1 1quindi ( )I X X

Ma a ben vedere questo significa :

1 1 così come 11 1 2

Possiamo generalizzare il seguente principio:

Se l’operatore è a destra della funzione allora la funzione rimane identica a se, se è a sinistra la

funzione viene trasformata in una funzione “consecutiva” alla precedente.

invecen ni i n i i

Per l’inverso dell’operatore invariante si ha :

1 invecei n

n n

i i i

In sintesi :

n qi i n

Vedremo in seguito come Г sia un operatore che genera un gruppo ciclico t.c. 2 3, , ,..., k I

generante le funzioni 1 2, ,..., k che si presenteranno come autofunzioni della matrice generata

dall’azione dell’operatore.

Page 88: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.3.5 Definizione di ricorsiva e spazi associati

Un sistema ricorsivo, in linea generale, è una funzione (o più funzioni tra loro composte) che hanno

la particolarità di avere come argomenti gli stessi risultati della funzione, inoltre questi valori-

risultati sono sequenziati secondo un indice. La prima caratteristica fa si che lo spazio dei valori

della ricorsiva dipende (non sempre) dalle condizioni iniziali della stessa (o condizioni di innesco

della ricorsiva), la seconda è che tale spazio ha una sua ordinalità desumibile dalla successione degli

steps della ricorsiva.

Fissiamo alcuni aspetti formali sulle ricorsive. 117

Definizione 1 - Ricorsiva : Una ricorsiva è una funzione da U in U (con oU U ) che ha

come argomenti solo i valori assunti dalla funzione esclusi le condizioni di innesco della ricorsiva.

Quindi: 1( ) dove ,i ix x x

Chiamiamo ix argomento della ricorsiva e 1ix risultato della ricorsiva, inoltre indicheremo con

funzioni ricorsive in campo reale e con funzioni ricorsive in campo complesso e con z i valori in

. Ogni applicazione o passaggio della ricorsiva è detta step della ricorsiva e come tale può essere

associato ad un numero naturale o indice, in tal modo abbiamo anche un ordine dei valori della

ricorsiva. Una applicazione successiva della funzione ricorsiva sarà indicato con un valore

esponente, per cui avremo:

0 1

21 0 0 2

32 0 0 3

( )

( ) ( ( )) ( )

( ) ( ( ( ))) ( )

....

x x

x x x x

x x x x

La funzione che abbiamo definito ha una sola variabile ed ha un insieme n di elementi partendo da

un valore di 0x (lo stesso ovviamente si potrebbe dire per z in campo complesso). In realtà noi

siamo interessati a funzioni che hanno k-elementi come valori di innesco, per cui una definizione

generale di ricorsiva sarà la seguente:

Una funzione ricorsiva è una funzione che trasforma un sottinsieme di R (o C) in se stesso, dove

ogni risultato della funzione è un elemento dell’argomento e quindi è sempre un valore del

sottinsieme U di R o C.

: kT U U ovvero 1 2 3( , , ,..., )k iT x x x x x con U quindi avremo:

1 1( ,... , ,.. )k a p kx x x dove 1,.. kx x sono gli argomenti della funzione e si possono fare

corrispondere ad un vettore kV , i valori ,...,a p sono parametri della funzione ricorsiva che

rimangono costanti per tutte le iterazioni della stessa. I casi che esamineremo saranno del tipo

Page 89: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

0 1( , )n k pkV x dove 0

kV è un vettore origine o condizione di innesco con k elementi e p

rappresentano p parametri λ

Quindi le caratteristiche di una funzione ricorsiva generale sono:

1) Che ad una k-upla di valori di U corrisponde sempre uno ed un solo valore di U.

2) L’insieme dei valori U è infinito, ovvero l’azione della ricorsiva non ha termine.

3) Vi sono dei valori 0x (o 0z ) per cui la ricorsiva assume valori non determinati, ovvero

la funzione va ad infinito. 118

4) Esiste un ordine ben definito nell’applicazione dei valori della funzione, questo ordine si può

rappresentare attraverso una applicazione tra l’insieme dei punti della ricorsiva U e l’insieme dei

numeri naturali N, e questa applicazione è un isomorfismo.: ' :U

Nel campo complesso, le funzioni a cui siamo interessati sono funzioni meromorfe, in analisi si

considera l’andamento delle 2 3, , ,... funzioni per tutti i valori z di e per un certo parametro

λ; ora se la ricorsiva va ad infinito il punto z viene considerata come appartenente all’insieme Julia

(J), se invece la ricorsiva converge ad un valore determinato oppure è periodica allora il valore z

viene considerato appartenente all’insieme di Fatou (F), per cui abbiamo che per

{ } , /J F . Sappiamo che ogni insieme Julia e di Fatou dipende dal parametro λ,

quindi la regione dei punti del piano complesso dove la ricorsiva va ad infinito definisce l’insieme

Julia che diventa in effetti un complemento dell’insieme di Fatou. Se consideriamo la variazione del

parametro λ otteniamo diversi insiemi Julia, l’insieme dei valori λ di C per cui un insieme Julia si

presenta connesso si definisce come insieme di Mandelbrot. 119

Se per semplicità consideriamo la funzione olomorfa 21 0ek kz z z w sappiamo che per

2w la funzione andrà ad infinito altrimenti convergerà verso un attrattore, ma la frontiera per w

non è così definita, essa si presenterà nei termini di un frattale. Se adesso analizziamo il

comportamento dell’insieme al variare di λ, potremmo descrivere un insieme di Mandelbrot per tutti

i valori di λ per cui J si presenta connesso. In realtà per stabilire questo c’è un metodo semplice che

è quello di analizzare l’andamento della funzione per 0 0z e considerare λ come la variabile w, i

valori di λ per cui la ricorsiva convergerà definirà un insieme di Julia connesso e quindi un

elemento dell’insieme di Mandelbrot per quella ricorsiva. 120

Negli ultimi decenni su questo argomento della matematica si sono fatte molte ricerche, ma come

ho precedentemente detto, quello che in questo saggio ci interessa non è l’insieme descritto dalla

variazione dei punti di innesco della ricorsiva; ma bensì, l’insieme ottenuto dalla variazione della

Page 90: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

ricorsiva per un singolo valore di innesco, in definitiva quella che i matematici chiamano orbita e

che noi invece chiameremo spazio ω, in quanto col termine orbita indicheremo un concetto

differente. Inoltre siamo interessati solo alle ricorsive che generano ad infinito valori stabili e

determinati (attrattori) o valori periodici, in definitiva le nostre ricorsive devono essere localizzate.

Quindi stiamo parlando di elementi dell’insieme di Fatou per un certo parametro, questo vuol dire

che per un certo vettore 0V i valori 0( , )n V per n saranno entro una certa area limitata a

meno di eccezioni; inoltre le funzioni che utilizzeremo saranno funzioni in campo complesso ed in

particolare funzioni meromorfe. Quello che analizzeremo è lo spazio dei punti generato dall’azione

della ricorsiva per una singola condizione di innesco e, come detto, questo spazio si localizzerà in

un area definita, chiameremo l’insieme U dei punti cosi ottenuti spazio ω. 121

Definizione 2 – Spazio : Lo spazio è uno spazio infinito, ma numerabile, descritto dall’azione

della ricorsiva , per definite condizioni di innesco, i risultati della ricorsiva sono i punti P di

detto spazio.

Caratteristiche di questo spazio:

1) Esistono i punti origine O di ω che sono le condizioni di innesco della ricorsiva, i punti origine

formano un vettore 0kV , con k le variabili della ricorsiva.

2) I punti di questo spazio sono ordinati secondo l’indice n N .

3) ω è formato da infiniti punti numerabili.

4) Questi punti, salvo punti di eccezione, saranno circoscritti in un area o sezione del piano

complesso (o reale).

5) Dati 2 punti generici qualsiasi ,i jP P allora si avrà sempre che i jP P , ovvero tutti i punti

dello spazio ω saranno tra loro differenti.

Abbiamo volutamente parlato di punti P senza specificare se P è un numero reale o complesso,

esistono, come abbiamo già sottolineato, ricorsive in campo reale e ricorsive in campo complesso,

se non c’è necessità di specificare indicheremo con ω lo spazio generato da una ricorsiva generica

e con P i punti da essa generati. Se è necessario specificare che si tratta di campo complesso,

indicheremo tale spazio con υ e la ricorsiva come , i punti come z; indicheremo con x i punti in

solo campo reale e lo spazio associato sarà indicato con ω. E’ evidente che se abbiamo uno spazio υ

nel campo complesso potremmo facilmente determinare uno spazio ω corrispondente il quello reale,

attraverso la norma dei punti di υ, anche se non altrettanto facilmente si può determinare una

ricorsiva per un ω così determinato.

Page 91: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Ma le ricorsive che saranno tema della nostra riflessione hanno una caratteristica ulteriore, molte di

esse sviluppano andamenti periodici; inoltre sicuramente saranno ricorsive cicliche modulari,

ovvero l’azione della ricorsiva si chiude dopo un certo numero di steps creando insiemi di classi di

congruenza. Vogliamo notare come se indichiamo con Vj i vettori dello spazio di dimensione k, k

possiamo avere per una ricorsiva composta di funzioni T, ovvero 1 2( .. )kT T T , con la

condizione che k sia finito, e che tale composizione sia invariante e ciclica.

Ad esempio:

1

2 1 1

3 2 2 2 1 1

4 3 3 3 2 1 1 1

5 1 4 1 1

( )

( ) ( ( ))

( ) ( ( ( ))) ( )

( ) ( ( ))

V

V T V

V T V T T V

V T V T T T V V

V T V T V

...

Si vede in questo caso come sia composto da 1 2 3( )T T T e quindi abbiamo 2 cicli ricorsivi, uno

di ed un altro delle componenti di .

1

4 1

27 4

( )

( )

....

V

V V

V V

Se consideriamo una ricorsiva generica:

1 0

22 1 0 0

0 0

( )

( ) ( ( )) ( )

.....

( ( ...( ( ))..)) ( )nn

P P

P P P P

P P P

allora si ha una ricorsiva ciclica quando t.c. kk I e quindi k è il modulo per gli n valori della

ciclica, vedremo come se k è un numero primo da cui n = m*k + p la ciclica non è scomponibile

altrimenti lo è. Quindi una ricorsiva ciclica crea k classi di congruenza 1 2, ,..., kU U U dove si

distribuiranno i punti di ω per cui abbiamo kk

U . Ma le ricorsive cicliche che generano ω

hanno una caratteristica in più, i punti infiniti degli insiemi 1 2, ,..., kU U U si disporranno ciascuno in

una funzione F(t).

Page 92: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Definizione 3 – Ricorsiva ciclica di ω : Chiamiamo ricorsiva ciclica generante uno spazio ω, una

funzione ricorsiva tale che dopo un numero finito di steps i risultati si dispongono lungo una

funzione continua definibile. Il modulo di questa ricorsiva corrisponde al numero di funzioni

continue che ricopre i punti di ω, il modulo è il numero degli steps che chiude il ciclo. 122

(Notiamo che stiamo chiamando modulo quello che è in realtà l’ordine della ricorsiva ciclica e

questo in quanto stiamo considerando moduli il cui valore coincide con l’ordine, ovvero col numero

di classi di congruenza). Ad esempio se consideriamo la seguente ricorsiva 2

1

1 1i

i i i

xx x x

nel

campo reale avremo il seguente sviluppo partendo da condizioni di innesco 1 22; 5x x che

determinano il vettore origine 0 (2,5)V , i valori successivi proseguiranno secondo la seguente:

2

1 5 15 5,128719

2 0,6 16 0,656742

3 0,533333 17 0,491871

4 4,791667 18 4,618334

5 2,266304 19 2,473266

6 0,300782 20 0,304076

7 1,908246 21 1,734004

8 5,06693 22 5,18522

9 0,627465 23 0,68792

10 0,511891 24 0,473202

11 4,707102 25 4,525616

12 2,368563 26 2,580217

13 0,302139 27 0,306602

14 1,819559 28 1,651626

e cosi via.

Il grafico risultante per le prime 1.000 iterazioni sarà il seguente.

0

1

2

3

4

5

6

0 200 400 600 800 1000 1200

Figura 9

Page 93: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Abbiamo lo sviluppo dello spazio ω lungo 7 funzioni sinusoidali del tipo ( )dy sen kx h tra loro

sfasate di h, al cambiare delle condizioni di innesco avremo un cambiamento dei valori k; h (in

genere d = 2), ma il numero delle funzioni, ovvero il modulo della ricorsiva rimarrà invariato, in

questo caso 7. Se invece consideriamo la ricorsiva parametrizzata nella forma 2

1

i

i i i

xx x x

al

variare dei valori di e avremo una variazione del modulo della ricorsiva.

Nel caso precedente avevamo 1 e 1 se poniamo 3 e 1 , lasciando le stesse condizioni

di innesco, avremo una ricorsiva modulo 10 , ovvero:

0

1

2

3

4

5

6

0 200 400 600 800 1000 1200

Figura 10

Con questi esempi vediamo concretamente come lo spazio ω di una ricorsiva ciclica sia dato da:

kk

U e dove k è il modulo della ciclica, i punti di ogni insieme U sono esprimibili attraverso

funzioni continue sinusoidali F(t). 123 E’ importante sottolineare come gli insiemi U, che sono di un

numero finito, formino un ricoprimento dello spazio ω e quindi lo spazio ω è uno spazio denso ed è

connesso, ma non è uno spazio continuo. Se esprimiamo i valori di U nei termini delle funzioni

continue F(t) allora avremo uno spazio continuo che chiameremo e tale che ( )kk

F t , esso ha

una metrica e quindi è di Hausdorff ed è sicuramente connesso se le funzioni F(t) sono continue e

differenziabili, inoltre . Quello che della ricorsiva rimane invariante, al cambiare delle

condizioni di innesco e dei parametri della ricorsiva, è che il modulo deve essere sempre un numero

finito e costante.

Nel caso precedente:

Page 94: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1 2 2*n

n n n

xx x x

=(x) (A)

(A) presenterà tutti i suoi valori ad infinito entro un area limitata, quindi ω sarà uno spazio

limitato(a meno di eccezioni) inoltre,il cambiamento dei parametri della ricorsiva cambia il modulo

della stessa . 124

Le condizioni di innesco cambiano solo la fase e l’altezza della funzione, ovvero lasciano il modulo

invariato, ricordiamo che il modulo definisce il numero di funzioni dello spazio Ω. Inoltre lo spazio

ω di (A) sarà contenuto dallo spazio descritto dall’insieme delle funzioni :

1 2{ ( ), ( ),...., ( )}kF x F x F x = Ω

In definitiva lo spazio a differenza dello spazio ω è uno spazio continuo, le ricorsive cicliche che

danno luogo ad uno spazio ω hanno quindi la caratteristica di essere contenute in un insieme finito

di funzioni continue il cui numero coincide col modulo della ricorsiva e che indichiamo come

spazio . Le condizioni di innesco cambiano solo la fase e l’altezza della funzione ovvero lasciano

il modulo invariato, anche lo spazio Ω è uno spazio limitato, le funzioni in esso descritte sono

limitate e quindi sono continue.

I valori di una ricorsiva ciclica con modulo finito sono contenuti nell’insieme determinato da un

numero finito di funzioni continue.

Per formalizzare questo aspetto diciamo che se = Spazio della ricorsiva e

= Spazio delle funzioni continue allora . Se consideriamo lo spazio ottenuto dalla

ricorsiva ( )z in campo complesso chiameremo lo spazio associato come υ per separarlo da ω

ottenuto dalla ricorsiva reale , ma le funzioni F(t) saranno sempre funzioni in campo reale anche

partendo da υ ed esse saranno ottenute attraverso la norma dei valori di υ, quindi la norma di ( )z ,

ovvero ( )z x . Quindi lo spazio υ attraverso la norma può essere trasformato in uno

spazio ω e quindi possono essere determinate funzioni F(t) che generano ; ma non è detto che

dallo spazio ω, così ottenuto, si possa esplicitare una ricorsiva ottenuta da , per avere questo

occorre che2

( )z z , da cui ( ) ( )z x ma questo è vero solo per certe condizioni. 125

Inoltre nel caso di non è detto che lo spazio sia ottenuto attraverso funzioni ben definite,

è possibile che ciò che si può determinare è una distribuzione di punti nello spazio secondo criteri di

simmetria, la condizione che comunque rimane essenziale per definire è che sia uno spazio

continuo (a meno di possibili punti-eccezioni). Se allora ( ) ( )x F t e quindi . Se,

Page 95: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

invece, allora per passare a occorre definire la norma di ( )z , ovvero

( ) ( )z F t .

In definitiva nel campo complesso la ricorsiva ciclica genererà una distribuzione di punti che

saranno sempre limitati , ovvero saranno in uno spazio limitato, ma per assegnare ad essi uno

sviluppo ciclico occorre trasformare questi punti da complessi a reali attraverso la norma e quindi

determinarne lo sviluppo lungo funzioni reali continue. 126

1.3.6 Sull’inversa di una ricorsiva

Prima di proseguire vogliamo introdurre la differenza tra ricorsive unidimensionali e ricorsive

multidimensionali.

Una ricorsiva unidimensionale ha come argomento un solo valore o punto di ω.

1( )i iP P

Una ricorsiva multidimensionale ha come argomenti più di un valore tra quelli di ω.

1 1( , ,... )i i k kP P P P

Inoltre abbiamo accennato all’esistenza dell’origine di una ricorsiva, un vettore V(0) che

rappresenta i valori di innesco della stessa, ora un teorema che si può dedurre da quanto considerato

fino ad adesso è che:

Teorema : Se '(0) (0)V V allora ω derivato da V(0) attraverso è diverso da ω’ derivato sempre

attraverso da V’(0).

Questo teorema ci dice in definitiva che se ω dipende dalle condizioni di innesco allora al cambiare

di essere cambia anche lo spazio ω anche se utilizziamo sempre la stessa ricorsiva .

Le ricorsive che abbiamo considerato sono limitate entro un area definita di valori e questo ha come

conseguenza che le funzioni F(t) sono anch’esse limitate, ovvero esiste un L t.c. ( )iF t L con i k

modulo della ricorsiva. Questo vuol dire che per le F(t) abbiamo 2 possibilità o che F(t) convergono

ad un valore determinato per t oppure che F(t) sono funzioni periodiche. 127

La periodicità di F(t) comporta una interessante proprietà per lo spazio ω. Abbiamo detto che i punti

di ω sono ordinati, ovvero dati 2 punti ,i jP P è teoricamente possibile sapere sempre se i jP P

(che vuol dire iP precede jP ; sta per precede e sta per consegue) oppure i jP P , questo per

il semplice fatto che ad ogni punto è associato un indice che è l’indice della ricorsione. Ma il fatto

Page 96: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

che sia teoricamente possibile (ossia calcolabile) non vuol dire che una condizione del genere si

possa computare, infatti le ricorsive che analizzeremo (quelle multidimensionali) hanno una sola

direzione di computabilità, ovvero non esiste una ricorsiva in grado di percorrere l’ordine degli

indici al contrario; se essa non esiste allora sapere se dato iP , percorrendo la (P), si arriverà a jP

può essere stabilito solo se P appartiene a funzioni F(t) convergenti, infatti, in tal caso, se i jP P

allora i jP P . Se esse sono periodiche l’ordine dei punti può essere stabilito solo con la

computazione effettiva ed aspettando che si ottenga il valore jP , ma nel caso in cui il valore è

antecedente a quello di partenza non vi è alcun modo di stabilirlo e la ricorsione procederà ad

infinito, quindi se jP precede iP non potrà mai essere stabilito con certezza, in sistemi periodici.

Ma le ricorsive che producono periodiche hanno un altra importante proprietà, che dati 2 punti

,P P allora esisterà sempre un punto P t.c. P P P oppure P P P , in definitiva tra

2 punti qualsiasi di ω esisterà sempre un terzo punto e questo punto è sempre ottenibile attraverso

una ricorsione finita, quindi è un punto computabile. Infatti se consideriamo F(t) ottenute, o dalla

norma di ( )z oppure direttamente da (x), esse saranno sempre punti “definiti positivi” , ovvero

(P) >= 0; inoltre t.c. 0 ( )L P L allora si hanno 2 possibilità o lim ( )n vn

P p

ovvero (P)

ha uno o più attrattori oppure le funzioni che descrivono sono periodiche ed allora

attraverseranno infinite volte l’intervallo [0, L]. Quindi avremo che se 0, allora 0,L L ,

anche se la ricorsiva procede sempre verso una sola direzione tra 2 punti qualsiasi dell’intervallo vi

sarà sempre un altro punto ed esso è ottenibile attraverso una ricorsione finita. In definitiva

possiamo dire che ω è isomorfo all’insieme numerico , dei numeri razionali, un insieme denso ma

numerabile; mentre è isomorfo a un insieme a cardinalità continua.

Abbiamo accennato al problema di percorrere una ricorsiva in direzione opposta rispetto agli indici

di ricorsione, definiamo cosa si intende per una tale proprietà.

Chiamiamo reversibilità di una funzione F(t) la possibilità che essa sia percorribile in un senso di t

e nel suo opposto. Questo concetto trova una sua espressione nella fisica, ben più interessante è, dal

nostro punto di vista, la reversibilità di una funzione ricorsiva ( )i jP P essa si dice reversibile se

esiste una ricorsiva ( )P tale che ( )j iP P .

Per inversa di una ricorsiva ( )x intendiamo invece una funzione 1( )x tale che per ogni step

della prima generi un punto inverso, quindi se ( )x genera lo spazio , 1( )x genererà lo spazio

1 , t.c. 1 1 per ogni step della ricorsiva. 128

Page 97: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

La prima funzione ci dice che dato il punto P attraverso la ricorsiva passiamo nel punto P e

poi in P , questo vuol dire che P P P e quindi 2( ( )) ( )P P P . Ora una

reversibile di vuol dire che esiste una funzione t.c. P P P , ovvero

2( ( )) ( )P P P . Chiameremo tale funzione reversa di , e dal punto di vista della

ricorsiva, l’inversa è una funzione che percorre gli indici di ω in direzione opposta, cosa diversa è

invece l’inversa dei punti determinati da , ovvero di ω. L’inversa di ω deve essere tale che

1( )P , per ogni punto da essa generato, sia l’inverso del corrispondente punto di ω, 1( )P deve

essere una ricorsiva in grado di generare tutti i punti di 1 e questo vuol dire avere

1 11 1 1P P P

; in definitiva quando parliamo di inversa di ω non parliamo solo di

inversa della ricorsiva ma anche di inversa di tutti i punti da essa generati e questo è cosa differente

dall’inversa della sola applicazione. Quindi in realtà dovremo tenere presenti 2 possibilità:

1) L’esistenza di una funzione reversa di per tutti i punti di ω.

2) L’esistenza di una ricorsiva inversa 1 1 1( ) ( )P P in grado di generare uno spazio 1 .

Quindi la ricorsiva reversa è data da 1( )P e percorre gli stessi punti P di ma in ordine

inverso, la ricorsiva inversa genera invece lo spazio 1 , inverso di ω. Si può dimostrare che una

ricorsiva complessa meromorfa (non trascendentale) è sempre invertibile, così come una funzione

razionale per (x). In generale sappiamo dall’analisi complessa che ogni funzione complessa

esprimibile con una serie di potenze infinite del tipo0

kk

k

a T

sarà sempre invertibile se per k = 0

0ka , ed in particolare è uguale a 1. 129

Nel caso di una ricorsiva inversa avremo, data una ricorsiva complessa ( )z allora per ogni

1. . 1 ovveronn n n n nz w t c z w w z questo vuol dire 1

2n

n

n

zz

z

, se ( ) ( ) e ( )z x z abbiamo

2

( )( ) 1

( )

zz

x

per ogni punto z.

Se consideriamo la ricorsiva 12

1 1

11 1( ) i

i

i i i i i

zz z

z z z z z

allora abbiamo che la norma di ( )z

sarà2

( ) ( ) ( ) da cui ( ) ( )z z z z z z , infatti:

Page 98: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

2

1 11 12 2

1 1 1

1 21 1( ) ( ) ( )( ) i ii i

ii i i i i

x zz zz z

z z z z z z

in questo caso non avremo la condizione

( ) ( ) ( )z z x infatti

2

1 1

2

1

1 2( ) ( , )

i i

i

i i

x zz x z z

z z

Come si vede la ricorsiva generante lo spazio ω non dipende solo dai valori della norma di z ma

anche dai valori x di z , questo aspetto avrà delle implicazioni interessanti che vedremo in seguito.

Per adesso vogliamo definire l’inversa della ricorsiva generante ω, ed essa dovrà essere per ogni

punto 1( , )x z , ovvero1

2iz

ma per ottenere tale valore per tutti i punti di ω non è sufficiente

la11

22

1 11 2

i ii

i i

z zz

x z

, infatti questa funzione corrisponde alla 1( , )x z essa è l’inversa

della funzione, e ci riporta al punto di partenza ma solo ed esclusivamente per il tratto considerato,

ovvero i punti che otteniamo da 1( , )x z vanno considerati solo come prodotto di (x), non

possono essere considerati come elementi di uno spazio ricorsivo ω, infatti se utilizzassimo1

2iz

come elemento di 1( , )x z avremmo immediatamente una funzione differente con valori

totalmente differenti da ω. Se, invece, vogliamo generare uno spazio inverso a ω anche i punti della

ricorsiva devono essere quelli inversi e questo vuol dire che la funzione finale sarà del tipo:

1 111 1

2

1 1

( )1 2

i i

i i

z zz

x z

Questa ricorsiva sarà proprio quella in grado di generare lo spazio inverso 1 .

Questione ben diversa è quella della reversibilità della ricorsiva, malgrado le F(t) in siano

reversibili rispetto a t in quanto continue, la (x) non ammette la possibilità della reversibile nella

forma 1( )x , ovvero una ricorsiva che generi1 1

P P P

,e nel contempo che sia

multidimensionale. La possibilità di una funzione reversibile nei termini di una reversa di (x) si ha

solo se la ricorsiva è unidimensionale, in questo caso R(x) è reversibile se 1( )n nx x allora esiste

una ( )x t.c. 1( )n nx x , infatti nel caso di una ricorsiva unidimensionale espressa in termini di

polinomi come con la “Mappa Logistica” 130 abbiamo solo da esprimere un termine in funzione

dell’altro 1 (1 )i i ix kx x diventa2

1 14 1 1

2 2 4i i

i

k k kx xx

k k

Cosa accade, invece, se la ricorsiva è multidimensionale?

Page 99: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Noi stiamo considerando gli spazi ω che dipendono dal vettore origine V(0) questo vuol dire che

per 'o oV V si ha ' fissato un certo ; inoltre ω ha la caratteristica per cui ,a bP P si ha

sempre a bP P . Se consideriamo una ricorsiva con 2 dimensioni tale che 2 1( , )i i ix x x abbiamo

che per una certa origine V(0) sarà associato un unico spazio ω, per cui cambiando origine e

lasciando inalterata la funzione avremo spazi ω sempre differenti; ovvero ω(V(0)), ω è funzione

di V(0) per cui se '(0) (0)V V allora ' dato un certo . Ora si può dimostrare che una

ricorsiva reversa di nella forma 1 2( , )i i ix x x per ripercorrere ω in direzione opposta

dovrebbe originare da un qualche punto di ω e ripercorrere ω verso la sua origine. Quindi se

l’origine di è un vettore di , ovvero 11 0 0 1( ) ( , ) ( ( ), ( ))k k

k k k kV x x V V x si ha che

essa descriverà uno spazio ζ che ipotizziamo ricopra gli stessi punti di ω dal vettore kV al vettore

V(0) , ma se vogliamo estendere tale spazio ad esempio da ak j kV V allora dovremo avere una

ricorsiva reversa che parte da '( )k jV per arrivare a V(0), ma per il teorema precedente non vi può

essere uno stesso spazio con una ricorsiva che parte da vettori differenti, per cui se ammettiamo che

vi sia uno stesso spazio e origini differenti allora di conseguenza le 2 ricorsive devono essere

differenti, ne consegue che ' . Poiché ω è infinito non esiste un ultimo vettore, per cui

dovremmo ricostruire questo spazio attraverso infinite ricorsive reverse che percorrono a ritroso

lo spazio ω ed esse saranno differenti a seconda dell’intervallo di punti di ω che si vuole ricoprire.

In definitiva ammesso che esista, per ricoprire lo spazio ω ne dovranno esistere un numero

infinito. Una ricorsiva, funzione dell’origine, ha una singolarità legata alla sua origine e quindi non

esiste alcuna ricorsiva che partendo da un altra origine la possa ricoprire totalmente.

Quindi data una (x) multidimensionale che genera lo spazio ω non esiste una ( )x che ripercorra

lo stesso spazio ω in direzione contraria. Il motivo fondamentale di questo è che ω ha una origine ed

una direzione, indicheremo questa proprietà di ω con 0( )V

, quindi V(0) è una singolarità che non

può essere ritrovata in alcun punto di ω, una ricorsiva che percorre ω in direzione opposta dovrà

anch’essa originare da una singolarità, da un vettore definito, e quindi per forza di cosa potrà

ripercorrere ω solo da quel punto a ritroso essendo del tipo ( )kV

, in questo modo rimarranno non

coperti tutti i vettori di ω da akV . In conclusione, anche nell’ipotesi che possa esistere una

reversa di una ricorsiva multidimensionale, essa non sarà unica, ma ve ne saranno infinite tante

quante sono i vettori che possono fungere da origine della ricorsiva. 131

Page 100: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

1.3.7 Spazi ω e spazi con orbite associate

Abbiamo visto come la funzione ricorsiva complessa ( )z genera uno spazio complesso υ che ha le

seguenti caratteristiche:

1) E’ uno spazio infinito di punti differenti tra di loro. Ovvero 1i iz z i

2) Ha una origine definita. Ovvero ' '0 ,..,z z che sono punti definiti, iniziali della funzione in campo

complesso 1 1( ,..., )i iz z z .

3) Lo spazio è limitato, ovvero tutti gli infiniti punti di υ giacciono in un area limitata e limitabile

dello spazio complesso a meno di punti-eccezioni.

Questo vuol dire che esiste un area rettangolare M delimitata dalle rette e ( )y id y i d h e

'ex l x l h , con y componente immaginaria del numero complesso generico z e x componente

reale, dove giacciono gli infiniti punti di υ a meno di un numero limitato di eccezioni.

4) I punti di υ essendo limitati in un area possono avere 3 comportamenti possibili:

a) Convergere verso uno o più punti dell’area, che saranno gli attrattori dello spazio detto.

b) Essere periodici nell’intervallo dell’area.

c) Avere una distribuzione più o meno uniforme nell’area detta.

Lo spazio complesso cosi descritto può essere visto anche come una distribuzione discreta di punti

in che assume certe caratteristiche topologiche. Una di queste caratteristiche è la determinazione,

attraverso il complesso coniugato, dello spazio normato di υ ovvero , che svilupperà la sua

sequenza non più nel campo complesso ma in quello reale. Abbiamo chiamato lo spazio così

definito in come spazio ω. La possibilità di avere uno spazio normato di υ vuol dire che esso si

presenta sempre come uno spazio misurabile anche se discreto, ogni valore di ω è una misura; una

misura ottenuta dalla norma dei punti z di υ, misure complesse che assumono il significato che

abbiamo ad esse dato. Questo vuol dire che la misura x di ω è una misura rispetto all’invariante

generante υ, invariante ottenuto dalla norma di , dei valori di z ma anche dei valori di x come

abbiamo visto. Lo spazio ω che andiamo a costruire se ha un andamento periodico allora è uno

spazio di Hausdorff, inoltre è uno spazio denso e isomorfo a ; ma ω, in quanto limitato, è anche

uno spazio compatto e questa è una delle proprietà più importanti e che andremo adesso ad

analizzare, inoltre esso può essere connesso se, come vedremo, è ricopribile da . In linea generale

se abbiamo una ( )z , avremo una (x) con x che, come abbiamo visto, può essere rappresentato

dalla norma di z, ma anche da componenti di z stessa. La possibilità di una (x) è legata alle

Page 101: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

proprietà della norma ed al fatto che stiamo considerando funzioni meromorfe non trascendentali.

Le (x) da noi considerate presentano 2 caratteristiche fondamentali: sono modulari su un ciclo

finito k e generano k funzioni continue dove andranno a distribuirsi i punti di ω.

Ora tutto quello che riguarderà la connessione dei punti di ω sarà chiamato orbita, quindi un orbita

è la connessione di più punti di ω secondo un criterio ben determinabile.

Il primo tipo di orbita che possiamo descrivere è quella che connette i vari punti di ω secondo la

sequenza o ordine della ricorsiva, chiameremo tale orbita, orbita di primo livello o orbita

principale. Le congiungenti di 2 punti consecutivi 1ei iP P , secondo l’indice della ricorsiva,

possono essere di un numero infinito, ma anch’esse devono rimanere in un area delimitata ed inoltre

tra tali infinite traettorie ve ne è sempre una che chiamiamo minima, ed è la traiettoria più breve tra

i due punti nello spazio considerato. In realtà tra 2 punti consecutivi di ω l’unica traiettoria che può

essere stabilita con certezza è proprio quella minima congiungente i due punti, non sapendo nulla

dello spazio sottostante ci limiteremo a considerare la congiungente in uno spazio piatto. 132

L’analisi che faremo nel prossimo capitolo riguarderà proprio questa orbita e la sua congiungente

minima.

Le orbite di secondo livello(o di sistema) sono quelle descritte dalle funzioni F(t) esse, come

abbiamo detto, saranno di un numero k corrispondente al modulo della ricorsiva (x). Quelle che

esamineremo in particolare saranno periodiche in un intervallo definito di valori sempre >0 e minori

di un limite L. Queste orbite saranno quelle formanti lo spazio e che conterranno i valori

misurabili presenti in ω. Ricordiamo che le F(t) sono orbite continue e congiungeranno i punti di ω

non secondo la sequenza della ricorsiva degli steps, ma secondo l’indice modulare per cui in una

ricorsiva di modulo 7 tutti i punti di ω 7 7{ , ,..., }i i i nx x x per n numero naturale giaceranno sulla

stessa funzione ( )iF t . Inoltre dobbiamo considerare che tali funzioni F(t) sono legate ad una

variabile che non è l’indice della ricorsiva come in ω, bensì è una variabile continua che collega gli

indici della ricorsiva seguendo la stessa direzionalità, vedremo come essa può diventare a tutti gli

effetti la variabile temporale.

Ma esiste un altra categoria di traettorie che chiameremo del terzo livello(o emergenti) dove i punti

saranno congiunti non sulla base di un criterio legato al loro indice di ricorsione o ad una funzione

determinabile secondo l’ordine del ciclo, bensì saranno determinate rispetto ad una distribuzione

simmetrica nello spazio, rispetto ad un determinato criterio di simmetria.

Page 102: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Per dare fin da adesso una idea di cosa stiamo parlando, immaginiamo una distribuzione di punti di

una ricorsiva su ω secondo un criterio di simmetria spaziale, come ad esempio nel seguente caso:

0

2

4

6

8

10

12

14

0 1000 2000 3000 4000 5000

Figura 11

La funzione che abbiamo qui considerata è la seguente:

3

1 2 1

1 2( )x x

x x x con condizioni di innesco 1 211; 3x x

il modulo è k = 11 (o ordine della ricorsiva) , quindi vi sono 11 funzioni ma i cui punti (della stessa

funzione) diventano tra di loro più distanti rispetto ai punti della funzione successiva. Ovvero la

distanza tra 11ei iP P diventa maggiore di quella tra 1ei iP P questo genera una distribuzione

spaziale dei punti di ω che non segue le funzioni F(t) che pur esistono, ma segue una distribuzione

spaziale simmetrica che abbiamo chiamato tassellare. Questo è possibile in quanto rimane salva la

distribuzione periodica dei punti P in un intervallo Δt, quindi perdendo la possibilità di discriminare

le funzioni singolarmente rimane però la periodicità di tali funzioni che producono come

conseguenza una distribuzione simmetrica nell’intervallo Δt. Si tratta di una simmetria tra punti di

ω che emerge nella rappresentazione S/T di tali punti, essa diventa maggiormente definita e

vincolante nell’intervallo Δt, rispetto alle funzioni F(t) originate dal modulo del ciclo. Affinchè

questo si abbia occorre che tali orbite siano stabilite attraverso la misura esterna, in tal modo si

determina un algoritmo che genera tutte le misure esterne, tali misure determineranno un area dove

è possibile trovare le misure della ricorsiva. La simmetria sarà esplicitabile tra i valori di un tale

algoritmo (o funzione) contenente le misure esterne, quindi solo per i valori al limite delle misure

effettuabili.

Page 103: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

Riassumendo, considerando le ricorsive cicliche con modulo k vediamo come i punti si

distribuiscono su traettorie ben definite corrispondenti a funzioni in genere continue e con

andamento periodico, inoltre che il numero di queste funzioni è lo stesso del modulo k della

ricorsiva.

Se k = 3 abbiamo e 1 ( )j jx x :

0 3 1

1 4 2

2 5 3

{ ( ), ( ),...} ( )

{ ( ), ( ),...} ( )

{ ( ), ( ),...} ( )

x x F t

x x F t

x x F t

I valori di ω si distribuiranno sulle funzioni continue 1 2 3( ), ( ), ( )F t F t F t , essi saranno infiniti ma

numerabili e saranno contenuti nello spazio infinito ma continuo definito da dette funzioni.

Chiamiamo questo spazio come spazio ed avremo:

con 1 2 3{ ( ), ( ), ( )}F t F t F t

Se separiamo i punti della ricorsiva generanti ω secondo la loro collocazione sulle 3 funzioni

possiamo dire che:

1 1 2 2 3 3( ), ( ), ( )F t F t F t da cui 1 2 3

La prima conseguenza che possiamo dedurre da uno spazio cosi descritto è che tra 2 punti

consecutivi di 1 esistono una infinità continua di punti di 1( )F t e seguendo la legge degli indici

della ricorsiva possiamo trovare una corrispondenza tra la relazione di ordine tra i due punti della

ricorsiva e la rappresentazione Spazio-Temporale della funzione 1( )F t , dove con t indichiamo la

progressione continua del tempo e con 1( )F t la collocazione dell’evento nello spazio delle misure

eventi possibili. Ma qui sorge una prima differenza, che ha conseguenze fondamentali nella nostra

rappresentazione, e cioè mentre la F(t) può essere percorsa in ambedue le direzioni temporali sia da

1 2 2 1a che da at t t t , per la ricorsiva (x) abbiamo visto come questo non sia possibile. Insomma se

la F(t) è simmetrica rispetto al tempo questo non vale per la ricorsiva (x).

Nei capitoli successivi verrà esplicitato come sia possibile interpretare una ricorsiva attraverso le

dimensioni S/T, quello che qui vogliamo anticipare è come da una ricorsiva modulare si possa avere

una rappresentazione di stati tra loro “coesistenti”. Possiamo immaginare una ricorsiva (x) che

cicla con un modulo 4, ovvero: 1 2 32 1 3 1 4 1( ); ( ); ( );x x x x x x fino ad arrivare a 4

5 1( )x x

che chiude il ciclo. Ora si può verificare la seguente situazione che 45 1 1 1( ) ( )x x I x x , oppure

che 45 1 1 1( )x x x e così per tutti e quattro gli elementi del ciclo per cui si ha:

Page 104: Lineamenti per un nuovo modello  interpretativo dei Sistemi Complessi. Capitolo 1

45 1 1 1

46 2 2 2

47 3 3 3

48 4 4 4

( ) ( )

( ) ( )

( ) ( )

( ) ( )

x x I x

x x I x

x x I x

x x I x

Dove gli elementi λ possono essere espressi in termini di variazione infinitesima dai valori di

partenza, utilizzando la rappresentazione con matrici abbiamo che il vettore originario dato da

1 2 3 4( , , , )AX x x x x si trasforma dopo la chiusura del ciclo nel vettore 5 6 7 8( , , , )BX x x x x . Quindi la

trasformazione ( )B AX T X , si può esprimere come una matrice del tipo T I A , per indicare

che si tratta del ciclo di una ricorsiva chiameremo la trasformazione T con , per cui abbiamo

I A e quindi ( )( )B A A AX I A X X AX .

Il significato di questa espressione è che il vettore risultante sarà dato dal vettore di partenza più la

variazione infinitesimale (data attraverso la matrice A) sul vettore di partenza. Il vettore così

definito può essere interpretato come un insieme di misure coesistenti ovvero complementari del

sistema, voglio qui precisare che il concetto di complementarietà assume nel nostro modello una

accezione più generale di quella usata in quantistica, infatti qui la complementarietà non è legata al

principio di indeterminazione e agli osservabili non commutanti, ma è invece strettamente legata al

passaggio dalla unica misura in k istanti differenti a k misure nello stesso istante, ovvero a quello

che chiameremo trasformazione Λ del tensore S/T.

In linea generale prima dell’introduzione del tensore S/T, quello che abbiamo è che stati o misure

consecutive si trasformano in stati o misure coesistenti, attraverso un unico vettore. Quindi vuol dire

che vi sarà un operatore in grado di trasformare vettori in vettori ed è proprio sul carattere

commutante o meno di un tale operatore Ψ, che si introduce, come vedremo, la essenziale

differenza tra sistemi classici e sistemi quantistici. Questo vuol dire che, malgrado l’irreversibilità

della ricorsiva (x), è il passaggio da un vettore di stato AX a BX attraverso l’operatore Ψ che

definisce se il sistema che stiamo osservando commuta e quindi le misure sono coesistenti oppure

non commuta e le misure si escludono a vicenda.