Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

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Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati Federico Sperotto

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Lineamenti didiritto internazionaledei conflitti armati

Federico Sperotto

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Indice

Parte I Fondamenti del diritto internazionale dei conflitti ar-mati pagina 1

1 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti 31.1 Il diritto internazionale dei conflitti armati 31.2 Jus ad bellum e jus in bello 41.3 Le fonti del diritto internazionale umanitario 6

1.3.1 Diritto consuetudinario 61.3.2 Trattati internazionali 71.3.3 Principi riconosciuti dalle nazioni civili 8

1.4 La disciplina dei conflitti armati internazionali 81.5 La disciplina dei conflitti armati interni 121.6 L’applicazione del diritto internazionale umanitario 131.7 La gestione del territorio occupato 14

2 I conflitti armati 182.1 I conflitti armati internazionali 182.2 I conflitti armati interni 212.3 L’occupazione militare 23

3 La condotta delle ostilità 263.1 Principi di base 263.2 Il principio di umanità 283.3 Il principio di distinzione 283.4 Il principio di proporzionalità 303.5 La legittimità dell’attacco 313.6 Il principio di precauzione 333.7 Il divieto di rappresaglie contro i civili 343.8 La protezione dei beni materiali e culturali 353.9 Uso dei sistemi d’arma 363.10 Operazioni aeree. Targeting 383.11 Operazioni navali 393.12 Operazioni speciali 40

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ii Indice

3.13 Condotta delle ostilità in territorio occupato 413.14 Principi applicabili ai conflitti armati interni 41

4 Combattenti e civili 434.1 Premessa: le garanzie fondamentali 434.2 Combattenti legittimi 434.3 Combattenti non privilegiati 474.4 Prigionieri di guerra 484.5 Personale sanitario e religioso 514.6 Civili al seguito delle forze armate 514.7 Norme umanitarie nei conflitti armati interni 52

Parte II Problemi attuali del diritto internazionale dei conflitti armati 53

5 La perdita dello stato di persona protetta 555.1 Partecipazione diretta alle ostilità 555.2 Partecipazione alle ostilità nei conflitti interni 58

6 La guerra al terrorismo 606.1 La guerra globale contro il terrore 606.2 Le uccisioni mirate come risposta al terrorismo 62

7 L’uso della forza a supporto della pace 677.1 Peace-keeping e peace-enforcement 677.2 Le regole di ingaggio 70

8 La privatizzazione della funzione militare 738.1 Il monopolio statale della violenza bellica 738.2 Le Private security firms 74

9 Reagire alle violazioni del diritto umanitario 779.1 Rimedi inter-statali 78

9.1.1 La rappresaglia 789.1.2 Il risarcimento del danno 78

9.2 Repressione penale delle infrazioni 809.2.1 La responsabilità penale internazionale 809.2.2 La responsabilità dei comandanti 809.2.3 Esercizio della giurisdizione penale 819.2.4 Infrazioni gravi alle Convenzioni di Ginevra 819.2.5 Violazioni delle leggi e degli usi di guerra 849.2.6 Violazioni durante i conflitti interni 85

9.3 Crimini contro le forze delle Nazioni Unite 85

Parte III La protezione dei diritti umani durante i conflitti armati 87

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Indice iii

10 Tutela dei diritti umani nei conflitti armati 8910.1 I diritti umani e il diritto internazionale umanitario 8910.2 Operazioni militari e giurisdizione extraterritoriale 92

Riferimenti bibliografici 95Indice analitico 97Tavola dei casi 100Trattati e strumenti internazionali 102

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Parte I

Fondamenti del dirittointernazionale dei conflittiarmati

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1 Il diritto internazionale deiconflitti armati e le sue fonti

1.1 Il diritto internazionale dei conflitti armati

Il diritto internazionale dei conflitti armati, o diritto internazionale umanitario1, ponele norme e i principi che restringono la libertà degli Stati nel condurre le ostilità, alloscopo di contenere i mali derivanti dalla guerra, ma nei limiti imposti dalla necessità mi-litare, disciplinando il comportamento dei belligeranti nelle loro relazioni reciproche el’atteggiamento degli organi della violenza bellica nei confronti delle popolazioni civili.Come espressamente statuito nella IV Convenzione dell’Aja del 1907, tuttora in vigore,il diritto dei conflitti armati nasce dall’esigenza di impedire che, in assenza di normescritte (codification), l’uso della violenza bellica sia lasciato all’arbitrio dei comandantimilitari2. Nella definizione che ne ha dato la Corte Suprema americana, le leggi di guer-ra sono quella parte del diritto delle Nazioni che prescrive, in funzione della condottadella guerra medesima, lo status, i diritti e i doveri degli Stati che si fronteggiano e degliindividui che partecipano alle ostilità3.

Il diritto internazionale dei conflitti armati è un ramo del diritto internazionale pub-blico. Come tale riguarda in misura preponderante i rapporti tra gli Stati e indirizza prio-ritariamente le proprie prescrizioni agli organi statali. Le persone protette dalle normeinternazionali godono in linea di principio di una tutela riflessa, in quanto bisognevo-le dell’intermediazione dello Stato di cui l’individuo è cittadino o all’interno della cuigiurisdizione si trova. Come si vedrà in seguito, la violazione delle norme internazio-nali da parte di organi dello Stato implica la responsabilità internazionale dello Statomedesimo, cui spetta anche di risarcire (to pay compensation) l’altro Stato dei danniderivanti dall’agire delle proprie forze armate, a norma dell’art. 3 della IV Convenzionedell’Aja del 1907 e dell’art. 91 del I Protocollo del 1977. L’art. 29 della IV Convenzio-ne di Ginevra dispone che la Parte belligerante, in cui potere si trovano delle personeprotette, è responsabile del trattamento loro applicato dai suoi agenti, senza pregiudiziodelle responsabilità individuali nelle quali fosse possibile incorrere. Le norme di dirittoumanitario implicano altresì la responsabilità penale di diritto internazionale dell’indi-viduo agente per le condotte che lo stesso diritto internazionale qualifica come criminidi guerra (cfr. art. 85 del I Protocollo).

Inizialmente definito come leggi e usi di guerra e codificato dalle Convenzioni del-

1 Y. Dinstein, The Conduct of Hostilities under the Law of International Armed Conflict (2010), p. 19.2 IV Hague Convention, Preamble.3 Ex parte Quirin, 317 U.S. 1 (1942) 28.

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4 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti

l’Aja del 1907, il diritto bellico è diventato diritto dei conflitti armati con le Convenzionidi Ginevra del 1949, che ne hanno esteso la vigenza a tutte le situazioni in cui si eser-cita la violenza bellica, incluse quelle in cui lo stato di guerra non è riconosciuto dauna delle parti. Le Convenzioni di Ginevra sono il frutto di uno sviluppo dei principiumanitari già contenuti nelle diverse dichiarazioni che hanno preceduto la codificazionedell’Aja, e hanno trasformato il diritto dei conflitti armati in diritto internazionale uma-nitario, una nozione che secondo la Camera d’appello del Tribunale internazionale perla ex-Jugoslavia è emersa come prodotto dell’influenza esercitata dalle teorie dei dirit-ti umani universali anche su questo settore del diritto internazionale4. Lo scopo finaledell’intero complesso normativo sarebbe quello di salvaguardare la dignità umana (tosafeguard human dignity)5.

In fase di applicazione al caso concreto, tale corpus di norme è composto dalle re-gole enunciate negli accordi internazionali vincolanti le Parti di quel conflitto, nonchédai principi e dalle regole del diritto internazionale generalmente riconosciuti (dirittointernazionale consuetudinario).

1.2 Jus ad bellum e jus in bello

Il diritto internazionale dei conflitti armati è jus in bello, diritto che disciplina i modi incui può essere usata la forza militare nelle situazioni di conflitto armato, le precauzionida adottare in relazione ai beni che il diritto internazionale ritiene degni di protezionee i diritti da garantire alle persone coinvolte nel conflitto. Da esso si distingue lo jus adbellum, il diritto di muovere guerra, che è prerogativa degli Stati sovrani e che è oggifortemente compresso dalla Carta delle Nazioni Unite. Il sistema attuale di regolamen-tazione dell’uso della forza nelle relazioni inter-statali è basato sull’art. 2, comma 4,della Carta delle Nazioni Unite, che vieta agli Stati di ricorrere alla forza armata nelleloro reciproche relazioni e conferisce al Consiglio di Sicurezza la competenza esclusivaad occuparsi degli atti di aggressione e delle altre minacce alla pace e alla sicurezzainternazionale.

L’aggressione armata di cui parla la norma è l’azione delle forze armate regolari diuno Stato attraverso la frontiera di un altro Stato in violazione della sua sovranità o inte-grità territoriale, ma anche il consentire l’uso del proprio territorio per lanciare attacchinel territorio di un altro Stato, l’invio da parte di uno Stato di bande armate sul territorioaltrui ovvero il supporto fornito dallo Stato ad attività delle forze dissidenti o di gruppiarmati ribelli durante un conflitto interno6. Accanto alle ipotesi di aggressione esempli-ficate nella ris. 3314 dell’Assemblea Generale appena citate, il Consiglio di Sicurezza sioccupa di tutte le reali o potenziali compromissioni della pace e della sicurezza interna-zionale valendosi degli strumenti considerati al cap. VII della Carta delle Nazioni Unite,che contempla anche il potere - mai reso effettivo - di condurre vere e proprie operazio-

4 Tadic, Jurisdiction, par. 87.5 Furunduzija, Trial Chamber, par. 163.6 Definition of Aggression, 14 December 1974, A/RES/3314.

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1.2 Jus ad bellum e jus in bello 5

ni militari tramite forze che gli Stati parte dovrebbero aver messo a disposizione dellostesso Consiglio di Sicurezza (v. art. 43 della Carta).

La Carta delle Nazioni Unite prevede un’eccezione alla norma dell’art. 2(4) - che èconsiderata regola imperativa di diritto internazionale (jus cogens) -, eccezione che è diorigine consuetudinaria, e dunque risalente rispetto alla Carta, ma che è stata codificatanel suo art. 51, e che attribuisce agli Stati il diritto alla legittima difesa individuale ecollettiva. Scopo della legittima difesa è solo quello di respingere l’attacco armato e tu-telare così l’integrità territoriale dello Stato colpito. L’art. 51 permette infatti allo Statoaggredito di fare uso della forza militare in legittima difesa, per resistere ad un attaccoarmato in corso. Accanto a questa forma istituzionalizzata di autodifesa, intesa comereazione ad un attacco in atto, ne esiste un’altra denominata anticipatory self-defence,non espressamente codificata ma considerata diritto vigente tra gli Stati già nel periodoantecedente alla Carta delle Nazioni Unite. Secondo il principio della legittima difesapreventiva (anticipatory), lo Stato ha il diritto di reagire contro la minaccia di un attac-co che si profili come imminente, ossia contro una minaccia di attacco che, secondo lacosiddetta dottrina Webster, è «istant, overwehlming, leaving no choice of means andtime for deliberation»7. Il diritto alla legittima difesa, considerato dalla Carta un in-herent right, spetta allo Stato senz’altre condizioni che quelle dell’immediatezza, dellanecessità e della proporzionalità della reazione armata. La necessità indica che la rea-zione armata è un mezzo estremo, la cui liceità è legata all’assenza di alternative; laproporzionalità indica la propensione del diritto internazionale per un uso limitato dellaforza militare. A questi requisiti si aggiunge appunto il criterio dell’immediatezza dellareazione armata, la quale risulta lecita se attuata prima che il Consiglio di Sicurezza siaintervenuto sulla situazione con le misure (cioè con atti concreti) necessarie a mante-nere la pace e la sicurezza internazionale. Tuttavia è necessario che le misure adottatedal Consiglio di Sicurezza siano effettive, ossia incidano in modo rilevante sul compor-tamento dello Stato aggressore; il semplice ordine del Consiglio di cessare il fuoco, adesempio, non sarebbe sufficiente.

Non fa parte del diritto internazionale attualmente vigente invece la forma di auto-tutela teorizzata dall’Amministrazione americana nel 2002 e nota come pre-emption,messa in atto dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna con l’invasione dell’Iraq, nella pri-mavera del 2003, consistente nel diritto di attaccare un altro Stato prima che la minacciada questi rappresentata si materializzi e più in generale di attaccare uno Stato che in fu-turo possa rappresentare una minaccia, diritto giustificato facendo leva sull’idea che leminacce attuali siano di natura tale da non poter essere efficacemente fronteggiate limi-tando il ricorso alla forza all’imminenza dell’attacco, ma che debbano essere contrastatenel momento stesso in cui si profilino come possibili, anche con mezzi che vadano oltrela dissuasione.

Si tratta di un’idea non nuova, la cui prima applicazione risale forse al 1981, conl’attacco condotto dall’aviazione israeliana ai danni del reattore nucleare Osirak, 17km a sud-est di Baghdad (che era in costruzione), attacco giustificato come misura dipre-emption diretta ad impedire che l’Iraq si dotasse dell’arma nucleare8. Il Consiglio7 R.Y. Jennings, ’The Caroline and McLeod Cases’, 32 Am. J. Int’L L. 82, 82-84 7 (1938).8 N. J. Kaplan, ’The Attack on Osirak: Delimitation of Self-Defense under International Law’, 4 N.Y.L.

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6 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti

di Sicurezza, con l’astensione degli Stati Uniti, che avrebbero potuto opporre il vetoalla risoluzione che criticava l’operato israeliano, e che quindi convenirono sull’illiceitàdell’attacco, condannò l’operazione come violazione della Carta delle Nazioni Unitee seria minaccia all’intero regime di salvaguardia del rischio nucleare attuato con ilTrattato di non proliferazione (NPT) del 19689.

1.3 Le fonti del diritto internazionale umanitario

Il diritto internazionale umanitario è costituito dalle norme di diritto internazionale ap-plicabili ai conflitti armati, ossia le regole enunciate negli accordi internazionali cheobbligano le Parti in conflitto, nonché i principi e regole del diritto internazionale gene-ralmente riconosciuti che sono applicabili ai conflitti armati. Più precisamente, il dirittointernazionale umanitario in quanto ramificazione specializzata del diritto internaziona-le pubblico ha come fonti - ossia come modi di produzione giuridica dai quali derivanole sue norme - quelle proprie del diritto internazionale. Nell’art. 38 dello Statuto dellaCorte internazionale di giustizia, le fonti primarie del diritto internazionale sono:

1. i trattati e le convenzioni internazionali, frutto di accordi tra Stati;2. il diritto internazionale consuetudinario, derivante da pratiche generalizzate accettate

come legge.

A queste fonti primarie si aggiungono i principi di diritto riconosciuti dalle nazionicivili e, ma solo come mezzi sussidiari di interpretazione, le decisioni giudiziali e gliinsegnamenti dei più autorevoli pubblicisti.

1.3.1 Diritto consuetudinario

Le norme che compongono il diritto internazionale generale o consuetudinario sonovincolanti per tutti i soggetti di diritto internazionale, ossia per tutti gli Stati, e derivanodalla pratica uniforme di questi ultimi, a cui è unita la convinzione che il comportamentoripetuto sia doveroso in quanto secondo diritto (opinio juris ac necessitatis). Le duecomponenti della consuetudine internazionale sono allora:

1. usus o diuturnitas;2. opinio iuris ac necessitatis.

Gran parte delle norme di diritto internazionale umanitario, originate nella pratica de-gli eserciti e solo in seguito codificate in trattati, sono poi trasmigrate dal diritto conven-zionale al diritto consuetudinario per effetto della pratica uniforme, e sono diventate intal modo universali. La Corte internazionale di giustizia ha avuto modo di affermare chele norme umanitarie che regolano i conflitti armati esprimono elementari considerazio-ni di umanità10, e debbono essere rispettate per tale ragione da tutti gli Stati, compresi

Sch. J. Int’l Comp. L. 131 (1982-1983).9 S. C. Res. 487 (19 June, 1981).

10 Corfù Channel, I. C. J. Rep., 1949, p. 22.

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1.3 Le fonti del diritto internazionale umanitario 7

quelli che non sono parte degli strumenti internazionali in cui le norme sono contenu-te. Fanno sicuramente parte di questa categoria le Convenzioni dell’Aja del 1907 ed inparticolare il Regolamento sulla guerra terrestre annesso alla IV Convenzione.

Alcune delle disposizioni consuetudinarie sono considerate jus cogens, sono cioènorme imperative di diritto internazionale generale. Si tratta di una categoria di nor-me dotate di una forza cogente che le pone ad un livello superiore rispetto a quellodei trattati e delle consuetudini internazionali. Non sono infatti modificabili attraversotrattati e possono essere abrogate soltanto da norme contrarie che abbiano acquisito lostesso rango11. Per di più, una norma di questo genere contiene un obbligo internazio-nale erga omnes, ossia un obbligo che lo Stato ha nei confronti dell’intera comunitàinternazionale12.

Le norme di jus cogens hanno a livello inter-statale l’effetto di rendere nulli gli ac-cordi internazionali conclusi in violazione della norma imperativa. A livello del singoloStato, e dunque del suo ordinamento interno, invece, hanno l’effetto di delegittimarequalunque atto ufficiale che il governo intraprenda in violazione della norma cogente.Secondo il Tribunale per la ex-Jugoslavia, la violazione di una norma di jus cogens,come quella che proibisce la tortura, autorizza la vittima a convenire lo Stato di fronteal giudice civile di un altro Stato per chiedere il risarcimento del danno13.

Appartiene alle norme di jus cogens la cd. clausola Martens, riportata nel preambolodella IV Convenzione dell’Aja del 1907 e riproposta nell’art. 1(2) del I Protocollo del1977 e in altri strumenti di diritto internazionale, come la Convenzione sulla proibizioneo limitazione all’uso di certe armi convenzionali del 198014. Secondo tale clausola, inassenza di accordi internazionali, civili e combattenti rimangono sotto la protezione el’imperio dei principi di diritto internazionale. Tali principi derivano da prassi conso-lidate (consuetudini), dai principi di umanità (enunciati già nella Dichiarazione di SanPietroburgo del 1868) e dai dettami della pubblica coscienza.

1.3.2 Trattati internazionali

Le norme convenzionali derivano da trattati, ossia da accordi internazionali tra Stati sti-pulati in forma scritta - da plenipotenziari (accordi solenni) o da diplomatici (accordiin forma semplificata) -, vincolanti solo per le parti del trattato, cioè per gli Stati cheli abbiano ratificati, cioè che abbiano manifestato sul piano internazionale il loro con-senso a rimanerne vincolati, ovvero che in seguito vi partecipino mediante adesione oaccessione, entrando così a far parte dell’accordo in origine stipulato da altri Stati.

I trattati non hanno effetto sugli Stati terzi rispetto all’accordo, ma nulla vieta, co-munque, che le disposizioni di un trattato diventino diritto consuetudinario e dunque sitrasformino in disposizioni vincolanti per tutti gli Stati.

11 Vienna Convention on the Law of Treaties, art. 53.12 Barcelona Traction, I. C. J. Rep., 1970, par. 33-34.13 Furunduzija, Trial Judgement, par. 155.14 Convention on Prohibitions or Restrictions on the Use of Certain Conventional Weapons Which May Be

Deemed to Be Excessively Injurious or to Have Indiscriminate Effects, 10 October, 1980

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8 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti

Per regola generale l’efficacia di un trattato tra le parti cessa o è sospesa in conse-guenza di una violazione sostanziale delle sue disposizioni. Tale norma generale non siapplica ai trattati a carattere umanitario che contengono disposizioni dirette alla prote-zione della persona umana, incluse le convenzioni che tutelano le vittime dei conflittiarmati, e quelle che proibiscono nello specifico ogni forma di rappresaglia contro lepersone da esse protette15.

Un trattato che al momento della sua conclusione sia in conflitto con una normaimperativa di diritto internazionale (jus cogens) è nullo.

1.3.3 Principi riconosciuti dalle nazioni civili

I principi riconosciuti dalle Nazioni civili in materia di diritto dei conflitti armati nonsono facilmente individuabili. La Corte internazionale di giustizia ha indicato comecardinal principles16 i principi di distinzione e di umanità. Il Tribunale penale per laex-Jugoslavia ha fatto riferimento ai principi di umanità e ai dettami della pubblicacoscienza di cui parla la clausola Martens citata in precedenza come utili fonti di regoleintegrative nelle situazioni in cui una norma di diritto internazionale umanitario nonsia sufficientemente rigorosa o precisa17. A tali principi e dettami è negato il rangodi autonome fonti del diritto internazionale. Tuttavia i principi di diritto internazionaleumanitario possono trasformarsi in norme consuetudinarie sotto la spinta delle istanzedel principio di umanità o dei dettami della pubblica coscienza, anche quando la praticadegli Stati sia inconsistente, ossia insufficiente a soddisfare il requisito della diuturnitas.

1.4 La disciplina dei conflitti armati internazionali

Il generale principio del rispetto della dignità umana è la vera raison d’ être del dirittointernazionale umanitario come lo è del più generale diritto internazionale dei dirittiumani, ed è diventato così pregnante da permeare oggi tutto il diritto internazionale.Già nel 1968 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto la necessità diapplicare i principi umanitari di base in tutti i conflitti armati18. Secondo la Camerad’appello del Tribunale per la ex-Jugoslavia, soprattutto in termini di attribuzione di re-sponsabilità, la dicotomia belligeranza - insorgenza (v. infra, cap. 2) e la conseguentedifferenza di disciplina, sono sovereignty-oriented, cioè rappresentative di una comunitài cui membri, gli Stati, sono molto più propensi a difendere i loro interessi che a occu-parsi di questioni umanitarie19. Di contro, sembra oramai essersi innescato un processodi estensione della regolamentazione dei conflitti internazionali, e dunque delle tutele daessa prescritte, alle guerre civili, soprattutto in ragione della loro frequenza e intensitànel mondo attuale. Questa tendenza risulta confermata dall’emendamento all’art. 1 del-la Convenzione sull’impiego di alcune armi convenzionali (CCW, 1980) del dicembre15 Vienna Convention on the Law of Treaties, 1969, Art. 60.16 Nuclear Weapons, I.C.J. Rep., 1996, par. 78.17 Kupreskic, Trial Judgement, par. 525.18 G.A. Res. 2444, U.N. GAOR., 23rd Session, Supp. No. 18 U.N. Doc. A/7218 (1968).19 Tadic, Jurisdiction, par. 96.

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1.4 La disciplina dei conflitti armati internazionali 9

2001, che ha esteso le proibizioni e restrizioni contenute nei Protocolli della Convenzio-ne anche alle situazioni indicate all’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra (armedconflicts not of an international character). La giurisprudenza internazionale, ricono-scendo questo orientamento, sostiene che si possa parlare di crimini di guerra anchein caso di conflitti interni. Del resto, a mano a mano che cresce l’attenzione sul pianointernazionale per la salvaguardia dell’essere umano in quanto tale, diminuisce il sensodi mantenere una differenziazione nella disciplina dei due tipi di conflitti, che finisconoper avere modalità ed effetti negativi del tutto simili sulle persone che non partecipanoattivamente alle ostilità (v. anche infra, sez. 3.14). Così lo Statuto della Corte penaleinternazionale (art. 8), pur differenziandone le fattispecie, sanziona la commissione dicrimini di guerra sia durante i conflitti internazionali che durante i conflitti interni.

Come detto, i conflitti armati internazionali, ossia quelli che si svolgono tra Stati oentità statuali in via di formazione, come i movimenti di liberazione nazionale, sonoregolamentati dai due blocchi di disposizioni rappresentati dal diritto dell’Aja e daldiritto di Ginevra, cui si aggiunge un insieme di norme consuetudinarie, alcune dellequali (v. ad esempio l’ art. 51) sono state cristallizzate nel I Protocollo addizionale alleConvenzioni di Ginevra del 197720. Il diritto dei conflitti armati internazionali è dunqueformalizzato nella IV Convenzione dell’Aja del 1907, nelle Convenzioni di Ginevra del1949 e nel I Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra dell’8 giugno 1977.

Le Convenzioni dell’Aja del 1907 hanno rivisto le leggi generali e le consuetudinidi guerra esistenti al tempo21 e sono il punto d’arrivo di un processo iniziato con laConferenza di Bruxelles del 1874 - che aveva avuto come esito la formulazione delprogetto di una dichiarazione internazionale sulle leggi e gli usi di guerra, in 56 artico-li, progetto rispetto al quale la codificazione dell’Aja, oltre che come formalizzazionegiuridica, si pone come complemento e integrazione -, passato attraverso la Conferenzadi pace dell’Aja del 1899 e la II Convenzione sulla guerra terrestre, e sfociato in unaserie di strumenti internazionali ancora vigenti (anche se in buona parte obsoleti) che sioccupano nel dettaglio della condotta delle ostilità.

Prima della codificazione dell’Aja del 1899 - che è stato il frutto di un compromes-so tra le Potenze navali e gli altri Stati e che aveva avuto come aspirazione quella diprevenire i conflitti armati -, l’elaborazione, lo studio e la codificazione delle regoledel diritto bellico è stata portata avanti da gruppi di accademici ed esperti, che hannoprodotto importanti manuali, come quello di Oxford22, o come il cd. Codice Lieber,che il presidente Lincoln impose alla proprie truppe durante la Guerra di secessioneamericana23.

Le norme contenute nelle Convenzioni dell’Aja, essendo enunciazione in forma scrit-ta di regole risalenti, frutto della pratica degli Stati, valgono anche per quegli Stati chenon le abbiano ratificate. Secondo il Tribunale di Norimberga,

The rules of land warfare expressed in the [1907 Hague] Convention undoubtedly represented anadvance over existing international law at the time of their adoption. But the Convention (Hague

20 V. J. Henckaerts -L. Doswald-Beck, Customary International Humanitarian Law (2005).21 Wall in Palestine I. C. J. Rep., 2004, par. 86.22 Institute of International Law,The Laws of War on Land, Oxford, 9 September 1880.23 Instructions for the Government of Armies of the United States in the Field (Lieber Code), 24 April 1863.

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10 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti

Convention Concerning the Laws and Customs of War on Land) expressly stated that it wasan attempt ’to revise the general laws and customs of war’ which it thus recognized to be thenexisting, but by 1939 these rules laid down in the Convention were recognized by all civilisednations and were regarded as being declaratory of the laws and customs of war. 24.

La codificazione del 1907 rappresenta la revisione delle leggi e degli usi generali dellaguerra, sia allo scopo di definirli con maggiore precisione sia di meglio delineare i limitidell’impiego della violenza bellica. Si è trattato, secondo il preambolo, di mitigare i ma-li della guerra nei limiti consentiti dalle necessità militari, - all’epoca sentite comunquecome prevalenti -, prima di tutto impedendo che, in mancanza di una regolamentazionescritta, la gestione delle operazioni belliche fosse lasciata all’arbitrio di coloro che gui-dano gli eserciti. L’inserimento nel preambolo della Clausola Martens segnava l’inten-zione di non lasciare alcun vuoto giuridico in attesa che una più completa codificazionevedesse la luce, colmando le lacune nelle disposizioni regolamentari annesse alla IVConvenzione con i principi internazionali, principi risultanti dalle consuetudini in vigo-re tra le nazioni civili, dalle leggi di umanità e dai dettami della pubblica coscienza. Lanorma è formulata nel modo seguente:

Until a more complete code of the laws of war is issued, the High Contracting Parties think itright to declare that in cases not included in the Regulations adopted by them, populations andbelligerents remain under the protection and empire of the principles of international law, as theyresult from the usages established between civilized nations, from the laws of humanity and therequirements of the public conscience.

La clausola, richiamando le leggi di umanità e la coscienza pubblica, è perfetta persostenere che i principi di umanità non sono posti dalla volontà degli Stati ma vi sipongono. L’uso dei termini è accurato: popolazione e belligeranti rimangono sotto laprotezione garantita dal diritto internazionale, una protezione sancita da norme risalenti,che precedono la formulazione di un codice dettagliato di diritto bellico. Soprattutto èuna norma tesa alla salvaguardia dell’umanità; una norma che si impone agli Stati mache ne sovrasta la volontà. I principi di umanità non sono posti dalla volontà degli Stati:si impongono per la loro intrinseca giuridicità.

Le disposizioni contenute nelle Convenzioni di Ginevra mirano invece, dal 1864 -quando fu negoziata la Convenzione per il miglioramento delle condizioni dei feriti de-gli eserciti in campagna -, a garantire i diritti umani fondamentali di coloro che nonprendono parte attivamente alle ostilità e ad imporne il rispetto, anche tramite l’eserci-zio della giurisdizione penale (interna, ma a titolo universale, v. infra, sez. 9.2), ritenutastrumento necessario per garantirne l’efficacia. Le Convenzioni di Ginevra si occupanodella protezione dei civili e dei militari fuori combattimento, hors de combat (v. art. 41del I Protocollo), perché feriti, malati o fatti prigionieri, durante i conflitti armati inter-nazionali. Le quattro Convenzioni del 12 agosto 1949 sono state ratificate da pressochétutti gli Stati (193 ratifiche su 197 Stati) e si applicano nei casi di guerra dichiarata co-me anche nelle situazioni di guerra non dichiarata, e, limitatamente alle disposizioni del-l’art. 3 comune, anche ai conflitti armati non di carattere internazionale. L’art. 1 comuneimpone agli Stati parti di rispettare e fare rispettare le norme delle Convenzioni. Fare

24 I.M.T. Judgment, p. 65.

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1.4 La disciplina dei conflitti armati internazionali 11

rispettare significa anche non incoraggiare o tollerare la violazione delle Convenzionida parte di attori non statali, come la Corte internazionale di giustizia ha sottolineatonel caso Nicaragua. Nella stessa decisione la Corte ha anche affermato che gli artt. 1e 3 comuni alle Convenzioni di Ginevra sono norme consuetudinarie (e declaratorie diprincipi pre-vigenti). La decisione risale al 1986 (e riguarda come noto l’intervento de-gli Stati Uniti in Nicaragua a favore dei contras). La natura consuetudinaria di talunedisposizioni contenute nell’art. 3 comune, il divieto di uccidere deliberatamente chi nonpartecipa alle ostilità, di torturare o mutilare una persona, era indubbia. Meno scontatoappariva che l’art. 1 - ed in particolare il dovere di non incoraggiare, di scoraggiare enon tollerare violazioni delle norme umanitarie fosse norma consuetudinaria - non tantoperché contestata o contestabile, quanto perché la pratica non dimostrava che si fossecreata una opinio juris di questo tenore.

Nel parere sulla liceità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari reso nel 1996la Corte internazionale di giustizia ha affermato che le quattro Convenzioni di Ginevrahanno ormai rango di diritto consuetudinario. Sono trattati, e dunque possono esseredenunciate dagli Stati, che possono così cessare di esserne parte, ma tale eventualitàappare alquanto remota, e a fronte della vigenza quasi universale, non così rilevante.Certamente dovrebbe trattarsi di una presa di posizione inequivocabile, dunque espres-sa in modo formale, da parte dello Stato in questione, in aderanza a quanto dispostonelle Convenzioni medesime, dove è previsto che la denuncia sia notificata per iscrittoal Consiglio federale svizzero, che curerà di darne comunicazione ai governi di tutte leAlte Parti contraenti. Inoltre, la denuncia del trattato non ha effetti immediati. Il trattatocessa di essere vincolante dopo un anno dalla denuncia, ma se lo Stato si trovasse asostenere un conflitto armato, la vigenza della Convenzione nei suoi confronti si pro-trarrebbe fino alla conclusione della pace. La denuncia avrebbe effetto solo per lo Statoche l’avesse compiuta, nel senso che l’uscita dal trattato non consente a tutti gli altriStati coinvolti nel conflitto di disapplicarlo.

La sintesi dei due sistemi di norme - diritto dell’Aja e diritto di Ginevra -, è rap-presentata dal I Protocollo addizionale dell’8 giugno 1977, anch’esso divenuto dirittoconsuetudinario nelle sue disposizioni più importanti. Il Protocollo riafferma e sviluppale disposizioni che proteggono le vittime dei conflitti armati e sancisce misure direttea rafforzarne l’applicazione (v. preambolo) e costituisce un supplemento alle Conven-zioni di Ginevra nelle situazioni previste dal loro art. 2 comune, ossia durante i conflittiinternazionali e le situazioni di occupazione militare. Il nuovo diritto dei conflitti armaticontenuto nel Protocollo non ha soppiantato o abrogato le norme precedenti, ma le harielaborate e integrate, ed ha preso atto dei cambiamenti nella natura dei conflitti, for-nendo regole dettagliate in materia di condotta delle ostilità, e dunque aggiornando leConvenzioni dell’Aja, e regolamentando taluni aspetti emersi durante le nuove guerre diliberazione nazionale seguite al processo di decolonizzazione, riconoscendo tra l’altrouno statuto particolare ai guerriglieri (artt. 43-44). Significativamente, ai lavori hannopartecipato, senza diritto di voto, anche l’Organizzazione per la liberazione della Pale-stina (OLP), l’Irish Republican Army (IRA) e il Front de Libération Nationale algerino(FLN). Nel preambolo il I Protocollo riporta quale sua finalità la necessità di riaffermaree sviluppare le disposizioni che proteggono le vittime dei conflitti armati, segnatamente

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12 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti

le disposizioni delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, e completare le misureintese a rafforzarne l’applicazione. Considera conflitti armati internazionali le lotte con-dotte dai popoli per l’autodeterminazione (art. 1(4)) ma nell’art. 4 ha cura di sottolineareche il Protocollo non implica alcun cambiamento nello status delle parti in conflitto eriafferma il principio secondo il quale una situazione di occupazione non muta lo statogiuridico dei luoghi sui quali l’occupazione si esercita. L’art. 1 si preoccupa di riaf-fermare la Clausola Martens in forma modernizzata, e dunque il principio secondo ilquale in assenza di disciplina specifica il vuoto di protezione per civili e combattenti ètamponato facendo ricorso agli usi consolidati, ai principi di umanità e ai dettami dellapubblica coscienza.

1.5 La disciplina dei conflitti armati interni

Per consentire un minimo di protezione umanitaria anche durante le guerre civili è statointrodotto in ciascuna delle quattro Convenzioni di Ginevra un articolo comune, l’art.3, che contiene uno standard minimo applicabile nei conflitti, prima non regolamentati,che scoppiano all’interno del territorio di uno Stato, e che per tale ragione non possonoessere disciplinati dalle altre norme contenute nelle Convenzioni. Tale standard minimoè oggi ritenuto applicabile a tutti i tipi di conflitto armato25 e in virtù della natura con-suetudinaria acquisita dalla norma, non può essere disatteso da nessuno Stato. L’art. 3comune contiene anche un meccanismo diretto a far sì che le parti in un conflitto inter-no si accordino per favorire l’applicazione integrale delle Convenzioni di Ginevra allasituazione in atto. Auspica infatti il secondo comma che le parti del conflitto internosi sforzino di porre in vigore mediante accordi speciali le altre disposizioni contenutenelle Convenzioni.

L’art. 3 comune, che ha un soprattutto scopi umanitari, prevedendo al suo internouna serie di disposizioni dirette a proteggere in ogni circostanza i diritti fondamentali dicoloro che, trovandosi coinvolti in un conflitto non internazionale, non partecipano inmodo attivo alle ostilità, è sviluppato e completato dal II Protocollo addizionale dell’8giugno 1977. Anche il II Protocollo ha scopo eminentemente umanitario. Nel preambo-lo si legge infatti che gli strumenti di tutela dei diritti umani già forniscono alla personaumana una protezione di base, che però necessita di essere rafforzata in relazione allesituazioni di conflitto armato. La formulazione del preambolo autorizza anche a pensa-re che la protezione garantita dagli strumenti internazionali sui diritti umani non cessidurante il conflitto ma venga integrata da norme specifiche di diritto dei conflitti armati(v. infra, parte III).

Il II Protocollo disciplina i conflitti che non rientrano nel novero dei conflitti inter-nazionali, con ciò intendendosi i conflitti tra due o più Stati e - per gli Stati che hannoratificato il I Protocollo del 1977 -, le guerre di liberazione nazionale e quelle combat-tute contro l’occupazione straniera e i regimi razzisti. Secondo la Camera d’appello delTribunale per la ex-Jugoslavia, il II Protocollo è per gran parte dichiarativo di norme di

25 Nicaragua v. US, I. C. J. Rep., 1986, par. 218.

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1.6 L’applicazione del diritto internazionale umanitario 13

diritto internazionale consuetudinario26. Nel II Protocollo vengono regolamentati aspet-ti ulteriori rispetto alla semplice protezione umanitaria, inclusa la condotta delle ostilità.Lo strumento si applica altresì a particolari situazioni di conflitto, vale a dire durante iconflitti armati che si svolgono tra le forze armate dello Stato e forze armate dissidentio gruppi armati organizzati che esercitano su una parte del territorio un controllo taleda consentire loro di condurre operazioni militari prolungate e pianificate (concerted),e che siano potenzialmente in grado di implementare il Protocollo medesimo.

1.6 L’applicazione del diritto internazionale umanitario

Una clausola contenuta nell’art. 2 della IV Convenzione dell’Aja del 1907 prescrive-va che le disposizioni dell’annesso Regolamento sulla guerra terrestre fossero applica-bili solo fra le Potenze contraenti, e soltanto se i belligeranti fossero tutti parte dellaConvenzione (clausola si omnes). Tale clausola era stata poi rivista dall’art. 2 comunealle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, secondo il quale se una delle Potenzein conflitto non è parte delle Convenzioni, le Potenze che ne sono parte rimangonocionondimeno vincolate dalle stesse nei loro rapporti reciproci. Oggi il diritto interna-zionale umanitario si compone di obblighi che debbono essere osservati a prescindereda qualsiasi considerazione di reciprocità. Rispetto a questi obblighi non è ammessal’obiezione tu quoque - già respinta durante i processi tenutisi a Norimberga contro icriminali di guerra del III Reich27 - in base alla quale la violazione di norme umanitarieda parte dell’avversario consentirebbe alla controparte di fare altrettanto. Una simileimpostazione si basa sull’idea che il diritto internazionale umanitario sia un aggrega-to di obblighi bilaterali, mentre la sua vera natura è quella di un diritto che contieneobbligazioni che valgono in modo assoluto. Ciò è dovuto all’affermarsi dell’idea cheil diritto umanitario riguardi sempre meno la tutela degli interessi degli Stati e semprepiù la salvaguardia degli individui come tali e non come parti integranti delle entità sta-tali. Si tratterebbe, secondo il Tribunale per la ex-Jugoslavia, di un caso di traduzionedell’imperativo categorico kantiano in norma giuridica28. Gli obblighi derivanti dallenorme di diritto umanitario sono obblighi erga omnes, e non semplici obblighi che cia-scuno Stato ha nei confronti della controparte. Non si applica agli strumenti protettividei diritti umani, e dunque anche a quelli di diritto umanitario, la regola inadimplentinon est adimplendum, ossia la regola che consente allo Stato di sospendere la vigenzadi un accordo nei confronti di uno Stato che lo abbia violato in modo sostanziale29.

Il diritto internazionale umanitario si applica alle situazioni di conflitto armato e dioccupazione militare (occupatio bellica). Una volta che sia accertato che su un territorioè in corso un conflitto armato o che il territorio è sotto occupazione militare, lo si applicasenza ulteriori condizioni e la sua vigenza si estende oltre la cessazione delle ostilità,fino alla conclusione della pace generale, nel caso di conflitti internazionali, oppure, nel

26 Tadic, Jurisdiction, par. 117.27 US v. von Leeb et al (the High Command trial) 1948, LWT, vol. 12, p. 1, p. 64.28 Kupreskic, Trial Judgement, par. 518.29 Vienna Convention on the Law of Treaties, art. 60(5).

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14 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti

caso di conflitti interni, fino a che un accordo di pace sia stato raggiunto. In territoriooccupato, la vigenza delle disposizioni della IV Convenzione di Ginevra cessa trascorsoun anno dalla chiusura generale delle operazioni militari. L’art. 3 del I Procollo del 1977dispone che l’applicazione delle Convenzioni e del Protocollo medesimo - e dunque lavigenza del regime speciale -, cessi immediatamente dopo che sia cessata l’occupazione.

Il diritto internazionale umanitario si applica ratione personae, senza alcuna distin-zione peggiorativa derivante dalla natura o dall’origine del conflitto armato o dalla re-sponsabilità nel conflitto che possa essere ascritta ad una delle parti. Significa in parti-colare che la protezione garantita alle vittime dei conflitti prescinde da eventuali illecitidi diritto internazionale imputabili agli Stati che partecipano al conflitto. Lo stato di per-sona protetta implica che le persone rinuncino o abbiano rinunciato a partecipare alleostilità (art. 8 del I Protocollo).

Il diritto umanitario si applica senza fare alcuna distinzione fondata sulla razza, il co-lore, il sesso, la lingua, la religione o la credenza, le opinioni politiche o di altro genere,l’origine nazionale o sociale, il censo, la nascita o altra condizione, o qualsiasi altrocriterio analogo. La protezione include la cura, il rispetto e il diritto ad essere trattaticon umanità, soprattutto in riferimento alle persone internate, detenute o altrimenti inpotere di una delle parti. L’obbligo di rispettare le persone protette riguarda anche lapopolazione civile.

Il diritto internazionale umanitario si applica ratione loci ai territori su cui i bellige-ranti possono condurre le ostilità, e dunque all’intero territorio metropolitano e alle ac-que territoriali degli Stati parti del conflitto, oppure, nel caso di conflitti interni, su tuttoil territorio controllato da una delle parti, anche se non vi si svolgono combattimenti.

I diritti di belligeranza possono estendersi oltre gli spazi appena considerati, interes-sando anche l’alto mare e incidendo sui diritti dei neutrali, ossia degli Stati estranei alconflitto, per scelta contingente o in forza di un impegno preso in precedenza tramiteun trattato internazionale. Così, in alto mare, le navi degli Stati neutrali sospettate dicontrabbando di guerra - ossia di trafficare in beni essenziali per lo sforzo militare diuna delle parti del conflitto -, possono essere fermate e sottoposte a visita da parte dellenavi da guerra di uno dei belligeranti (v. infra, sez. 3.11). Il belligerante può anche isti-tuire un blocco navale (blockade), tramite l’impiego di una forza aero-navale, davantiai porti dell’avversario, rendendone impossibile ai neutrali il raggiungimento. Il bloc-co, che deve essere imparziale, non può riguardare navi che trasportano esclusivamenteaiuti umanitari (v. art. 54 del I Protocollo del 1977).

I neutrali devono impedire che il loro territorio sia usato dai belligeranti come basedi partenza per lanciare attacchi contro l’avversario e provvedere ad internare le forzearmate delle parti in conflitto che vi si siano rifugiate fino al termine del conflitto.

1.7 La gestione del territorio occupato

Diritti e obblighi dell’occupante, che derivano dall’assunzione del controllo effettivo delterritorio invaso, sono stati tratteggiati dal Regolamento annesso alla IV Convenzionedell’Aja del 1907, negli artt. da 42 a 56, e codificati nel dettaglio nella IV Convenzione

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1.7 La gestione del territorio occupato 15

di Ginevra del 1949, agli artt. 27-34 e 47-78. La IV Convenzione si applica dal momentostesso (outset) in cui inizia l’occupazione. L’amministrazione del territorio occupatospetta alla forza occupante, e dunque ad un comandante militare. La fonte dell’autoritàdel comandante militare del territorio occupato, e dunque anche dei limiti del suo potere,è il diritto internazionale:

From a legal viewpoint the source for the authority and the power of the military commander ina territory subject to belligerent occupation is in the rules of public international law relating tobelligerent occupation (occupatio bellica), and which constitute a part of the laws of war30.

La Potenza occupante, nella misura in cui esercita un controllo effettivo sul territoriooccupato, è responsabile dei diritti fondamentali dei suoi abitanti, sia secondo il dirittointernazionale umanitario, in quanto lex specialis, sia secondo il diritto internazionaledei diritti umani, sistema complementare al primo31.

La gestione del territorio occupato si presenta come difficile compromesso tra le esi-genze della popolazione e quelle dell’occupante. La Potenza occupante ha il diritto didare disposizioni alla polizia locale per il mantenimento dell’ordine pubblico e per larepressione di azioni di forze irregolari. La popolazione del territorio occupato è tenutaall’obbedienza verso l’occupante, ma non ad essere leale nei suoi rapporti con la forzadi occupazione. Anche sotto regime di occupazione, gli abitanti del territorio occupatohanno diritto ad un adeguato standard di vita e al miglioramento delle loro condizionidi esistenza. La protezione della popolazione civile include il dovere di implementa-re il meccanismo umanitario, ossia l’obbligo di garantire il libero transito degli aiutiumanitari, la consegna di beni essenziali alla sopravvivenza dei civili, la protezionespeciale dei bambini, delle donne incinte e delle madri con figli piccoli (v. art. 23 dellaIV Convenzione).

Il comandante militare è responsabile del mantenimento dell’ordine e della sicurezzadegli abitanti del territorio occupato, e primo garante della salvaguardia dei loro dirittifondamentali, anche rispetto alle attività di ribelli o altri attori non statali operanti nel-l’area di responsabilità32. Ha inoltre il dovere di investigare sulle violazioni gravi iviavvenute (v. art. 146-147 della IV Convenzione).

Nel gestire il territorio occupato, è tenuto ad operare un bilanciamento tra le esigenzedelle forza di occupazione e le esigenze degli abitanti del territorio occupato. Si tratta dimantenere l’equilibrio tra necessità militare ed bisogni umanitari che caratterizza tutti isettori del diritto internazionale umanitario, e che nella sostanza richiama un generaleprincipio di proporzionalità. Secondo tale principio, la libertà dell’individuo residentenel territorio occupato può essere limitata a condizione che la restrizione sia proporzio-nata. La misura è proporzionata se conduce in modo ragionevole al conseguimento del-lo scopo. Avendo a disposizione più strumenti, dovrà essere preferito quello che menodanneggia la controparte, in questo caso la popolazione e le infrastrutture del territoriooccupato. Così nella scelta degli strumenti per gestire situazioni locali di insorgenza

30 H.C.J. 393/82, Almashulia v. IOF Commander in Judaea and Samaria, p. 793.31 O. Ben-Naftali, ’The Extra-territorial Application of Human Rights to Occupied Territories’, Proceedings

of the Annual Meeting-American Society of International Law, 2006.32 DRC v. Uganda, I.C.J. Rep., 2005, par. 179.

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16 Il diritto internazionale dei conflitti armati e le sue fonti

o di disordini, dovrà essere preferita l’opzione law enforcement, riservando l’opzionemilitare ai casi limite (extrema ratio). Il principio di proporzionalità citato risulta adesempio nell’art. 53 della IV Convenzione, in base al quale è vietato alla Potenza oc-cupante distruggere beni mobili o immobili pubblici o privati, salvo nel caso in cui talidistruzioni fossero rese assolutamente necessarie dalle operazioni militari. L’assenza diassoluta necessità rende la misura adottata sproporzionata:

One of the primary requirements of proportionality states that actions that will injure civiliansmay be taken only after alternative acts, whose resultant injury would be less, are considered andthen rejected because they will not achieve the necessary military advantage33.

Rispetto alla regola generale secondo la quale il territorio occupato è sotto l’autoritàdi un comandante militare, la ris. n. 1483 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite- riferita all’occupazione dell’Iraq seguita all’invasione delle forze anglo-americane del20 marzo 2003 - all’atto della cessazione delle major combat operation, l’1 maggio, haratificato la decisione presa dalla coalizione di affidare il governo provvisorio dell’Iraqoccupato ad un civile, l’ambasciatore Paul Bremer,

recognizing the specific authorities, responsibilities, and obligations under applicable internatio-nal law of these states [the United States of America and the United Kingdom of Great Britainand Northern Ireland] as occupying powers under unified command (corsivo aggiunto).

invitando tutti i Paesi coinvolti a

comply fully with their obligations under international law including in particular the GenevaConventions of 1949 and the Hague Regulations of 1907.

Il ruolo di occupante del contingente britannico è stato confermato da uno specificorapporto34.

In territorio occupato la limitazione alla libertà di movimento riservata alla popola-zione civile è una misura eccezionale, mentre l’internamento vero e proprio dovrà essereattuato solo per casi di estrema necessità. Le persone protette saranno ristrette in carce-re solo per infrazioni il cui unico scopo sia quello di creare nocumento all’occupante.Una speciale norma, invero molto stringente e del tutto generica, l’art. 5, consente alcomandante militare di trarre in arresto coloro che sono sospettati di svolgere un’atti-vità dannosa per la Potenza occupante o che svolgano per certo tale attività, privandolioltre che della libertà anche dei diritti di comunicazione, ossia dei diritti di interloqui-re con la Potenza protettrice. Si tratterà giocoforza di attività condotte sotto copertura(di sabotaggio o intelligence) e soprattutto non effettivamente accertate, altrimenti nullaimpedirebbe all’occupante l’esercizio della giurisdizione penale. L’art. 65 della IV Con-venzione di Ginevra consente infatti alla Potenza occupante di emanare norme penalie il successivo art. 66 prevede espressamente che la Potenza occupante possa deferiregli imputati ai propri tribunali militari, a condizione che questi abbiano la loro sede nelPaese occupato.

33 H.C. 434/79, A. Sakhwil et al. Commander of the Judea and Samaria Region, Israeli Yearbook on HumanRights, vol. 10, 1980, p. 345.

34 UK MoD, Report concerning six cases of alleged deliberate abuse and killing of Iraqi civilians (the AitkenReport), 25 January 2008.

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1.7 La gestione del territorio occupato 17

Alla persona così privata della libertà spetta il diritto ad essere trattata con umanità, enel caso in cui debba subire un processo penale, spettano le garanzie proprie del giustoprocesso. Ad essa competerà altresì il diritto a contestare in sede giudiziale la legittimitàdella propria detenzione, quantunque un simile diritto non sia esplicitato dalla norma,sempre in virtù del ruolo integrativo che il diritto dei diritti umani ha nei confronti deldiritto internazionale umanitario. Rispetto a tali individui, la norma garantisce solo iltrattamento di umanità e il diritto ad un processo equo. Tale provvedimento può protrar-si indefinitamente, dal momento che la norma impone alla Potenza occupante di resti-tuire alla persona tutti i diritti e privilegi che la IV Convenzione conferisce alle personeprotette, non appena ciò sia compatibile con la sicurezza della Potenza occupante.

Il diritto internazionale umanitario ammette la possibilità della detenzione ammini-strativa, ossia di un provvedimento restrittivo della libertà personale di civili decisa nondall’autorità giudiziaria ma da un’autorità amministrativa, denominandola internamen-to. Il personale internato, detenuto o altrimenti privato della libertà personale non deveessere posto in pericolo (I Protocollo, art. 11) e deve esserne garantita la registrazionea norma dell’art. 138 della IV Convezione di Ginevra. Qualsiasi atto volontario che nemetta a repentaglio l’integrità psico-fisica è considerato infrazione grave del I Protocol-lo, e dunque un crimine di guerra. Oltre all’internamento dei prigionieri di guerra, cheha come scopo quello di impedire loro di partecipare nuovamente alle ostilità, esisteuna privazione della libertà di movimento dei civili in territorio occupato. Dove le nor-me di diritto internazionale umanitario nulla dicano circa la possibilità di contestare difronte all’autorità giudiziaria la legittimità della detenzione, sussistendo la relazione daspecie a genere tra il diritto umanitario e il diritto dei diritti umani, è fatto obbligo alloStato che detiene la persona di garantire un diritto analogo al cd. habeas corpus del di-ritto penale, ossia la possibilità di revisione giudiziale della detenzione amministrativa.Non si ritiene invece coerente con l’impianto complessivo del diritto umanitario la nor-ma dell’art. 43 della IV Convenzione di Ginevra, che consente di rivedere la decisionedell’internamento sia ad una corte che ad un’autorità amministrativa.

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2 I conflitti armati

2.1 I conflitti armati internazionali

Un conflitto armato è una situazione caratterizzata dal ricorso alla forza militare protrat-to nel tempo. Poiché non esiste nelle norme internazionali convenzionali una nozionegiuridicamente precisa di conflitto armato, il Tribunale internazionale penale per la ex-Jugoslavia nel caso Tadic ha provveduto a coniarne una propria, affermando che unconflitto armato sussiste tutte le volte in cui vi è ricorso alla forza armata tra Stati ovve-ro l’esercizio protratto della violenza tra autorità governative e gruppi armati organizzatio tra gruppi armati organizzati, all’interno di uno Stato:

an armed conflict exists whenever there is a resort to armed force between States or protractedarmed violence between governmental authorities and organized armed groups or between suchgroups within a State1.

La nozione così introdotta è da tempo riconosciuta come la più efficace. Il conflittoarmato è dunque l’esercizio della violenza tra Stati o gruppi armati organizzati. Tradi-zionalmente, i protagonisti di questo scontro sono appunto gli Stati, che vi partecipanocon le loro forze armate. Le Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, nel comuneart. 2, stabiliscono che le disposizioni in esse contenute si applicano in caso di guer-ra dichiarata e in ogni altro conflitto armato che sorga tra le Alte parti contraenti. Lesituazioni di conflitto non aventi carattere internazionale sono invece oggetto dell’art.3 comune, che si applica al conflitto che scoppi nel territorio di una delle Alte Particontraenti e che per tale ragione è definito come conflitto armato non di carattere inter-nazionale, a significare che si tratta di uno scontro che non ha natura inter-statale. Dallalettura di queste due disposizioni, gli artt. 2 e 3 comuni, si ricava dunque che la violenzabellica può essere un conflitto tra Stati o un conflitto che si sviluppa all’interno di unoStato e che la guerra dichiarata, ossia la guerra nella sua forma tradizionale, è solo unadelle manifestazioni del più ampio concetto di conflitto armato internazionale. L’art. 2comune alle quattro Convenzioni di Ginevra comprende dunque sia la guerra dello juspublicum Europaeum2, una guerra inter-statale combattuta da Stati sovrani valendosi dieserciti regolari, formalmente dichiarata, sia qualsiasi altra situazione assimilabile allaguerra, anche se non riconosciuta formalmente da una delle parti in conflitto. Assimilataal conflitto armato internazionale sotto il profilo della disciplina giuridica è anche l’oc-cupazione militare (occupatio bellica), ossia la situazione che si viene a creare quando1 Tadic, Jurisdiction, par. 70.2 C. Schmitt, Il nomos della terra (1998).

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2.1 I conflitti armati internazionali 19

le forze armate di uno dei belligeranti hanno invaso il territorio dell’avversario, estro-mettendone le truppe e assumendone il controllo in modo effettivo (v. infra, sez. 2.3).Le regole sui conflitti internazionali si applicano anche alla cd. levata in massa (levée enmasse) degli abitanti di un territorio non occupato di cui tratta l’art. 2 del Regolamentodell’Aja sulla guerra terrestre3:

The inhabitants of a territory which has not been occupied, who, on the approach of the enemy,spontaneously take up arms to resist the invading troops without having had time to organizethemselves in accordance with Article 1, shall be regarded as belligerents if they carry armsopenly and if they respect the laws and customs of war.

La previsione dell’art. 2 comune è stata dilatata dal I Protocollo addizionale alle Con-venzioni di Ginevra adottato nel 19774, che ritiene conflitti internazionali anche le lotteper l’autodeterminazione dei popoli e contro regimi coloniali, e la lotta contro i regimirazzisti e di apartheid. Tale norma, legata ai processi violenti di decolonizzazione deglianni 60 e 70 del Novecento, ha oggi poche probabilità di essere applicata. Naturalmen-te, trattandosi di norma convenzionale, non varrà per gli Stati che non hanno ratificato ilI Protocollo, per i quali i cd. freedom fighters rimangono insorti, e non sono legittimatia condurre operazioni militari ai danni della Potenza contro la quale è diretta la lotta perl’autodeterminazione.

L’art. 3 comune vale a distinguere la disciplina delle situazioni di belligeranza appe-na viste da quelle di insorgenza e si applica dunque in situazioni diverse e alternativerispetto a quelle cui fa riferimento l’art. 2. Riguarda allora un conflitto diverso, nonavente carattere internazionale, con ciò intendendo un conflitto interno, concetto che sisviluppa lungo un continuum, con ai due estremi le situazioni di disordine interno e laguerra civile.

Con riferimento ai protagonisti, dunque, il ricorso alla forza armata può generaresituazioni di belligeranza (tra Stati, soggetti pieni di diritto internazionale) oppure diinsorgenza (che si sviluppano all’interno di uno Stato). La situazione del primo tiposarà disciplinata da un intero complesso di speciali norme internazionali, che regola-mentano la condotta delle ostilità e la protezione delle persone che non vi partecipanoo che vi non partecipano più perché messe fuori combattimento, hors de combat, le cuicomponenti sono rispettivamente il diritto dell’Aja e il diritto di Ginevra. Nel secondocaso, invece, le norme internazionali applicabili saranno assai meno numerose, e saran-no limitate alla fornitura di garanzie minime di diritti inderogabili, enunciate nell’art.3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, che ha rango riconosciuto dinorma consuetudinaria5. Assicurate le garanzie minime imposte dall’art. 3 comune, chevalgono peraltro anche in un conflitto armato internazionale6, lo Stato sarà libero ditrattare la situazione di conflitto, e i suoi protagonisti, siano essi gruppi armati o for-ze armate ribellatesi, secondo le norme di diritto (penale) interno. Di conseguenza, neiconflitti internazionali il quadro giuridico è definito dal completo dispiegarsi dei diritti

3 Regulations Respecting the Laws and Customs of War on Land, The Hague, October 18, 1907.4 Protocol Additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, and relating to the Protection of

Victims of International Armed Conflicts (Protocol I), 8 June 1977.5 Nicaragua v. the US, I. C. J. Rep., 1986, par. 218.6 Tadic, Jurisdiction, par. 102.

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20 I conflitti armati

di belligeranza, mentre in quelli interni è rappresentato dal diritto penale vigente nelterritorio in cui si verifica l’insurrezione, ed in base al quale gli insorti vengono giudi-cati - salvo che lo Stato decida per una generale amnistia -, per avere commesso criminicorrelati al conflitto. Significativamente, l’art. 6 del II Protocollo addizionale alle Con-venzioni di Ginevra relativo ai conflitti armati non internazionali, che è intitolato Penalprosecutions, mira a garantire i diritti del giusto processo a coloro che vengono perse-guiti e puniti per avere commesso crimini riconducibili al conflitto armato, mentre l’art.3 comune visto sopra statuisce che le condanne pronunciate (e le esecuzioni compiute)senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito sono proibite.

Alcuni conflitti possono essere contestualmente caratterizzati come interni e interna-zionali. Il Tribunale per la ex-Jugoslavia ha indicato le varie modalità attraverso le qualiun conflitto interno e uno internazionale che insistono sullo stesso territorio finisconoper condizionarsi reciprocamente. Un conflitto armato interno può diventare un conflit-to interno internazionalizzato a causa del supporto esterno ricevuto da una delle parti,così come un conflitto che nasce come internazionale può essere rimpiazzato da uno opiù conflitti interni, quando a seguito del disfacimento della struttura statale, la contesainteressa solo più gruppi armati organizzati.

Una situazione di violenza generalizzata può anche essere data dalla combinazioneconflitto interno - conflitto internazionale7. Questo accade se uno Stato interviene in unconflitto interno con proprie truppe o se alcuni dei partecipanti ad un conflitto internoagiscono per conto di un altro Stato. Durante il conflitto seguito alla disgregazione dellaJugoslavia (1991 - 1995), lo scontro si è presentato come un conflitto tra cittadini di unoStato e il suo governo centrale, nel quale altri Stati hanno partecipato in misura variabi-le. Così il supporto fornito dalla neonata Croazia ai croati di Bosnia contro il governobosniaco sul suo territorio, con un coinvolgimento diretto di unità militari dell’esercitocroato all’interno dei gruppi armati dissidenti - superiore certo al supporto statuniten-se fornito ai contras del Nicaragua8 - è valso, secondo la Camera d’appello del casoTadic, a trasformare lo scontro militare in un conflitto armato internazionale. In Afgha-nistan, l’intervento anglo-americano iniziato il 7 ottobre 2001 in reazione agli attacchisuicidi sul territorio americano dell’11 settembre di quell’anno, noto come operazioneEnduring Freedom, ha trasformato il conflitto armato interno in corso nel Paese tra il go-verno de facto dei Taliban e la cd. Alleanza del Nord, rappresentata dai capi della jihadcombattuta contro i sovietici, in un conflitto armato internazionalizzato. Dal 19 giugno2002 tale situazione si è evoluta in un conflitto armato interno in cui la comunità in-ternazionale, rappresentata dalla forza multinazionale della NATO ISAF (InternationalSecurity Assistance Force) e dalla coalizione a guida americana denominata EnduringFreedom coalition supportano il governo locale nello scontro armato con diversi attorinon statali9.

A seconda della natura e delle dimensioni dell’entità coinvolta, la partecipazione diuno Stato terzo in un conflitto sarà in forma di specifiche istruzioni (rivolte ad individuio a gruppi non organizzati) oppure di controllo di massima/supervisione, overall control

7 Tadic Jurisdiction, par. 73.8 Nicaragua v. the US, I. C. J. Rep., 1986, par. 239-245.9 S. C. Res. 2069 (9 October, 2012).

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2.2 I conflitti armati interni 21

(quando vengono impiegati gruppi armati ordinati gerarchicamente e organizzati), chesussiste, secondo il Tribunale per la ex-Jugoslavia, quando uno Stato ha un ruolo bendefinito nell’organizzare, coordinare e/o pianificare l’azione militare dei gruppi armatiribelli, che peraltro provvede anche a finanziare, equipaggiare e addestrare, o a suppor-tare nella condotta delle attività operative. La forma di controllo esercitata sui gruppiarmati, overall control, usata dalla giurisprudenza penale internazionale per sostenerel’internazionalizzazione del conflitto e più in generale il ruolo attivo svolto da terzi Statiin un conflitto armato interno, si discosta dal criterio adoperato dalla Corte internazio-nale di giustizia nel citato caso Nicaragua per imputare agli Stati Uniti le attività deicontras. In quel giudizio la Corte dell’Aja aveva ritenuto che, nonostante il governodegli Stati Uniti finanziasse, addestrasse, equipaggiasse e organizzasse i contras, nonavesse un effettivo controllo sulle loro operazioni, e dunque non potesse essere consi-derato responsabile delle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario commessedai guerriglieri che si opponevano al regime sandinista10.

La definizione di conflitto armato, nell’ordinamento italiano, risulta, ai fini dell’appli-cazione delle norme per la punizione dei reati contro le leggi e gli usi di guerra di cui altitolo IV del libro III del codice penale militare di guerra (c.p.m.g.)11, dall’art. 165 delmedesimo codice di guerra: per conflitto armato si intende il conflitto nel quale almenouna delle parti fa uso militarmente organizzato e prolungato delle armi nei confronti diun’altra per lo svolgimento di operazioni belliche.

2.2 I conflitti armati interni

Si è visto in precedenza che la condotta di operazioni militari da parte di gruppi armatiall’interno di uno Stato rappresenta un problema di diritto interno, rispetto al quale ildiritto internazionale, tramite l’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra, si limita aimpedire che siano violati i diritti umani fondamentali di chi non partecipa attivamentealle ostilità e di garantire che chi abbia commesso reati connessi all’insorgenza non siagiustiziato in maniera sommaria e sia invece giudicato secondo le regole del giusto pro-cesso12. In base al II Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra dell’8 giugno197713, si ha conflitto armato interno, dal punto di vista dei soggetti, quando lo scontroavviene tra le forze armate dello Stato e forze armate dissidenti o gruppi armati orga-nizzati, aventi un controllo sul territorio tale da consentire loro di condurre operazionimilitari prolungate e opportunamente pianificate (concerted); ciò che varrebbe a distin-guerle da attività eversive a carattere episodico, vale a dire criminali o terroristiche. Lo

10 Nicaragua v. the US, I. C. J. Rep., 1986, par. 115.11 Regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303.12 La norma dice infatti che sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone

che non partecipano attivamente alle ostilità - compresi i membri delle forze armate che abbiano depostole armi e le persone messe fuori combattimento - le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senzaprevio giudizio di un tribunale regolarmente costituito, che offra le garanzie giudiziarie riconosciuteindispensabili dalle nazioni civili.

13 Protocol Additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, and relating to the Protection ofVictims of Non-International Armed Conflicts (Protocol II), 8 June 1977.

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22 I conflitti armati

Statuto della Corte penale internazionale14 (art. 8), a sua volta, e solo in riferimentoall’applicazione delle norme in esso contenute, identifica due diversi tipi di conflittointerno, uno riconducibile all’art. 3 comune (art. 8 (2)(c) e (d)), l’altro a situazioni incui gruppi armati organizzati conducono nel territorio di uno Stato operazioni militariprolungate: protracted non-international armed conflict (art. 8 (2), (e) e (f)). Secondo lagiurisprudenza internazionale, vi sarebbe una distinzione tra i conflitti contemplati al-l’art. 3 comune e quelli di cui tratta l’art. 1 del II Protocollo, distinzione basata sull’ideache questi ultimi presentino una maggiore intensità15, mentre il controllo del territoriocostituirebbe il presupposto per la capacità da parte degli insorti di condurre operazionimilitari sustained and concerted, cioè operazioni pianificate e condotte senza soluzionedi continuità.

I conflitti armati non internazionali sono in tutto simili ai conflitti internazionali, mahanno la caratteristica essenziale di svilupparsi all’interno del territorio di un singoloStato. Secondo il Tribunale della ex-Jugoslavia, la definitiva simiglianza tra i due tipidi conflitto, e dunque la necessità di estendere la disciplina dei conflitti internazionaliai conflitti interni, era già palese alla fine degli anni Trenta del secolo scorso. Già alloral’Istituto di diritto internazionale aveva identificato i caratteri della guerra civile (inveroai fini del riconoscimento di belligeranza): appropriazione del territorio, costituzionedi un governo de facto e condotta di operazioni militari da parte di forze organizzatee disciplinate (con ciò intendendo rispettose delle leggi di guerra). La Guerra civilespagnola (1936-1939) aveva poi dimostrato che la distinzione tra la guerra inter-statale,compiutamente regolamentata da norme internazionali, e guerra civile, del tutto lascia-ta all’arbitrio del sovrano territoriale, non aveva ragione di essere. Soprattutto apparivanecessario fissare, anche nel contesto di una guerra civile, regole certe per la protezio-ne della popolazione dagli effetti delle ostilità. La Società delle Nazioni, nell’occasio-ne, aveva voluto precisare alcuni principi attorno ai quali sarebbe dovuta svilupparsi laregolamentazione dei conflitti interni:

1. The intentional bombing of civilian populations is illegal;2. Objectives aimed at from the air must be legitimate military objectives and must be

identifiable;3. Any attack on legitimate military objectives must be carried out in such a way that

civilian populations in the neighbourhood are not bombed through negligence16.

L’idea di una disciplina unica, fortemente sostenuta in diverse pronunce dal Tribunaleper la ex-Jugoslavia, stenta tuttavia a prendere piede.

Per potersi parlare di conflitto armato la violenza deve avere superato una sogliaminima, che vale a distinguere le situazioni di conflitto armato da quelle di violenzaepisodica o caotica, tipica dei disordini e delle rivolte estemporanee, oppure dai fattidi terrorismo. La violenza, oltre che organizzata, deve essere protratta e su vasta scala.L’esistenza del conflitto armato si basa dunque su due presupposti:

14 Rome Statute of the International Criminal Court, 17 July 1998.15 Rutaganda, Trial Chamber, par. 94.16 Tadic, Jurisdiction, par. 97 e 100. League of Nations, O.J. Spec. Supp. 183, pp. 135-136 (1938).

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2.3 L’occupazione militare 23

1. l’intensità dello scontro armato;2. l’organizzazione delle parti in conflitto.

I due fattori indicati sopra sono da verificare caso per caso. Indizi del superamen-to della soglia di esistenza di un conflitto armato sono la gravità degli scontri, la lorodiffusione sul territorio, il numero di unità militari governative coinvolte, la natura deisistemi d’arma impiegati, ma anche l’interessamento o l’attenzione del Consiglio di Si-curezza delle Nazioni Unite. Durante il conflitto nella ex-Jugoslavia, il coinvolgimentodel Consiglio di Sicurezza è stato continuo. Fin dal 25 settembre 1991 il conflitto è sta-to inquadrato come minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale ed affrontato dalConsiglio con gli strumenti del Cap. VII della Carta delle Nazioni Unite (intitolato Ac-tion with respect to Threats to the Peace, Breaches of the Peace, and Acts of Aggression),che sono produttivi di obblighi per tutti i membri dell’Organizzazione.

Non essendo di norma legittimi combattenti, ma criminali comuni - come risultaevidente dalla formulazione dell’art. 6 del II Protocollo del 1977 già citato -, gli insortinon possono reclamare alcuna norma protettiva diversa da quelle che garantiscono loroi diritti minimi, a non essere sottoposti a tortura o a trattamenti inumani o degradanti ea non essere puniti senza un giusto processo, ossia quelli che lo stesso Protocollo indicacome humanitarian principles garantiti nell’art. 3 comune, principi che costituisconothe foundation of respect for the human person durante i conflitti non internazionali.La tutela garantita dal II Protocollo non implica dunque diritti ulteriori a favore degliinsorti. Le restrizioni imposte nella condotta delle ostilità sono a beneficio dei non-combattenti mentre agli insorti l’art. 6 citato riconosce solo le fondamentali garanzienel processo penale che segue alla loro cattura (salvo il caso in cui lo Stato, ristabilitol’ordine, decida di amnistiarli). Si noti che le prerogative stabilite dal diritto umanitariosono superiori a quelle previste dagli strumenti di tutela dei diritti umani, che in caso diguerra prevedono l’intangibilità di alcuni core rights17 tra i quali non figurano le citategaranzie del giusto processo.

Gli attori nel conflitto interno sono dunque il governo e gli insorti. A questi non sonoriconosciuti i diritti di belligeranza, salvo il caso, invero improbabile, in cui lo Stato nelcui territorio si svolgono gli scontri riconosca ai ribelli lo status di legittimi belligerantie i privilegi da esso derivanti, primo fra tutti il diritto dei ribelli ad essere trattati nonda criminali ma da prigionieri di guerra. Il riconoscimento di belligeranza trasformail conflitto interno in conflitto internazionale. Il riconoscimento ai ribelli dello stato dibelligeranti da parte di un Paese terzo solleva invece il problema dell’intervento negliaffari interni dello Stato, dell’invasione della domestic jurisdiction e di conseguenza diuna deminutio della sua sovranità.

2.3 L’occupazione militare

Il diritto dei conflitti armati internazionali si applica anche alle situazioni di occupa-zione militare. Il regime giuridico speciale di occupazione è formato dal Regolamento

17 V. ECHR, Art. 2, 3, 4 (1) 7, 15.

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24 I conflitti armati

annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907 (Sezione III), che è diritto internaziona-le consuetudinario, e dalla IV Convenzione di Ginevra del 1949. Per espressa previsionedell’art. 154 della IV Convenzione, le sezioni II e III del Regolamento dell’Aja del 1907sono parte integrante della IV Convenzione ed hanno quindi completa vigenza per gliStati parti.

L’art. 42 del Regolamento dell’Aja definisce come occupazione la situazione in cui unterritorio è effettivamente posto sotto l’autorità dell’esercito avversario. L’occupazionesi estende solo al territorio sul quale tale autorità si è stabilita e viene effettivamen-te esercitata. L’autorità sul territorio avversario è effettivamente stabilita se la Potenzaoccupante è in grado di esercitare pubblici poteri sottratti al sovrano territoriale. Di con-seguenza, le forze nemiche ivi dislocate in precedenza devono avere lasciato il territorioo essere state sconfitte, mentre l’occupante deve avere sul territorio truppe sufficienti adassicurarsene il controllo, ovvero avere la capacità di inviarne tempestivamente nel ter-ritorio occupato. Più nello specifico, perché esista una situazione di occupazione devonoverificarsi alcune condizioni:

1. deve esserci una presenza militare avversaria sul territorio;2. la forza occupante deve avere scardinato il sistema ordinario di governo e ordine

pubblico e averlo sostituito con la propria struttura di comando (militare);3. deve esistere diversità di nazionalità e di interessi tra gli abitanti del territorio occu-

pato e la forza occupante (v. art. 4 della IV Convenzione di Ginevra);4. è necessaria l’implementazione di un regime di emergenza che riduca i pericoli

derivanti dagli scontri tra la forza occupante e gli abitanti del territorio occupato18.

L’occupazione non comporta cambiamenti di sovranità sul territorio occupato, comerisulta espressamente dall’art. 4 del I Protocollo del 1977:

Neither the occupation of a territory nor the application of the Conventions and this Protocol shallaffect the legal status of the territory in question.

Un’autorevole opinione afferma che quando uno Stato subisce un’operazione mili-tare proveniente da oltre confine, il suo governo mantiene la giurisdizione in relazioneall’applicazione delle norme internazionali di tutela dei diritti umani fintanto che è ingrado di mantenere il controllo effettivo del territorio teatro dell’operazione. Tali re-sponsabilità vengono meno nel momento in cui il territorio diviene occupato ai sensidella IV Convenzione di Ginevra19.

Le norme che proteggono la popolazione civile in territorio occupato si applicanosolo dal momento in cui nel territorio invaso non si verificano più combattimenti. Nonsi applicano su quelle porzioni di territorio rispetto alle quali lo Stato ha abbandona-to l’esercizio della propria sovranità ma l’invasore non ha ancora stabilito di fatto lapropria autorità. Fino a che non vi sia effettivo controllo del territorio da parte del-l’invasore, questi sarà tenuto ad applicare solo le norme internazionali che regolano ilcombattimento e i civili avranno titolo solo alla protezione derivante da quelle norme,

18 A. Roberts, ’What is a Military Occupation?’, 53 Brit. Y.B. Int’l L., 249 (1984).19 P. Rowe, The Impact of Human Rights in Armed Forces (2006), p. 125.

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2.3 L’occupazione militare 25

e non anche a quella rafforzata prevista dalla normativa speciale contenuta nella IVConvenzione di Ginevra.

Essendo l’occupazione una situazione temporanea, dal momento che l’annessionedel territorio occupato costituirebbe una violazione della Carta delle Nazioni Unite,l’autorità del comandante militare è anch’essa provvisoria, anche se può protrarsi perdecenni, come accade in Giudea e Samaria (West Bank), territori sotto occupazionemilitare di Israele dal 1967, a seguito della Guerra dei sei giorni.

L’opinione secondo la quale l’abilità dell’occupante di imporre la propria autoritànon può essere separata dalla presenza fisica sul territorio è radicata nella formulazionedell’art. 42 del Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907. Secondola Corte internazionale di giustizia, il successivo art. 43 impone il dovere di assicurareil rispetto dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario, al fine di proteggeregli abitanti del territorio occupato dagli atti di violenza, e di non tollerare nessuna for-ma di violenza nei loro confronti da terze parti. La stessa Corte ha ritenuto che non sianecessario esplorare l’esistenza di un collegamento diretto, cioè fisico, tra l’individuoe l’autorità militare per garantire l’applicabilità delle norme sui diritti umani nei suoiconfronti, bastando il controllo rappresentato dall’occupazione militare20. Il Tribunaleper la ex-Jugoslavia ritiene che vi sia occupazione anche quando l’esercito avversarionon abbia truppe sul terreno ma abbia tuttavia la capacità di inviarne in un tempo ra-gionevole a far percepire sul territorio e su chi vi risiede il potere di occupazione21. Ilpensiero va subito all’attuale situazione della Striscia di Gaza, che Israele ha abbando-nato nel 2005, chiudendo però le frontiere, controllando lo spazio aereo sovrastante laStriscia e imponendo il blocco nel tratto di mare prospiciente, ed esercitando, tramite lacapacità di proiezione delle proprie forze e la sorveglianza continua derivante dominiodello spazio aereo, una sorta di occupazione, cioè di controllo effettivo del territorio,senza truppe sul terreno.

20 DRC v. Uganda, I. C. J. Rep., 2005, par. 178-181.21 Naletilic, Trial Judgement, par. 217.

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3 La condotta delle ostilità

3.1 Principi di base

Nel parere sulla liceità dell’uso delle armi nucleari la Corte internazionale di giustiziaha indicato i due principi cardinali che costituiscono la struttura portante (the fabric) deldiritto internazionale umanitario e ne ha individuato corollari ed implicazioni1. Il primoprincipio - che ha come scopo la protezione della popolazione civile -, è il principiodi distinzione (tra combattenti e non-combattenti). Il secondo è il principio di umanità.A questi si aggiungono il principio della necessità militare e il principio di propor-zionalità. Questi quattro principi interagiscono tra loro in ogni situazione di impiegodella forza militare. Il principio di distinzione proibisce di lanciare attacchi delibera-ti contro la popolazione civile o obiettivi civili ed impone di dirigere la violenza solocontro le persone che partecipano attivamente alle ostilità e contro gli obiettivi militari.Il principio di umanità vieta l’impiego di mezzi e metodi di guerra diretti a causare (aicombattenti) sofferenze eccessive e mali superflui. Il principio della necessità militaregiustifica l’impiego della violenza, non proibita dal diritto internazionale, al fine di assi-curare la pronta sottomissione del nemico con il minimo dispendio di risorse umane edeconomiche. Il principio di proporzionalità proibisce come attacchi indiscriminati, os-sia come attacchi in violazione del principio di distinzione, quelli che possano causareperdite incidentali di vite civili e danni a obiettivi civili che siano eccessivi in relazioneal vantaggio militare anticipato. Questi principi risalenti (definitivamente codificati nel IProtocollo del 1977) hanno ispirato nel 1965 la dichiarazione dell’Assemblea Generalerelativa ai rischi della guerra indiscriminata, che ha poi fatto da base per la risoluzione2444 (XXIII) del 1968. La risoluzione 2444 enuncia i principi umanitari di base chedovrebbero essere applicati in ogni conflitto armato:

• il diritto delle parti in conflitto di scegliere i mezzi per nuocere all’avversario non èillimitato;

• è proibito lanciare attacchi deliberati contro la popolazione civile;• deve essere fatta distinzione in ogni momento tra le persone che partecipano alle osti-

lità e i membri della popolazione civile in modo che questi ultimi siano risparmiatiper quanto possibile.

Questi principi sono stati rielaborati nel 1970 nella risoluzione 2675 (XXV), intitolataBasic Principles for the Protection of Civilian Populations in Armed Conflict, con l’in-

1 Nuclear Weapons, I. C. J. Rep., 1996, par. 78.

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3.1 Principi di base 27

tento di garantire una migliore protezione dei diritti umani nei conflitti armati di qualsia-si natura. Ai principi di diritto dei conflitti armati già citati ne viene aggiunto un altro, ilprincipio secondo cui i diritti umani fondamentali contenuti negli strumenti internazio-nali continuano ad applicarsi anche durante i conflitti armati (v. infra, parte III). Nellastessa sessione l’Assemblea Generale ha adottato due specifiche risoluzioni su quest’ul-timo tema, intitolate entrambe Respect for Human Rights in Armed Conflict (ris. 2676e 2677). In particolare, si legge nella ris. 2677 che le norme umanitarie esistenti nonsono adeguate alle situazioni che si vengono a creare nei conflitti contemporanei e cheè necessario che la sostanza di quelle norme e procedure sia migliorata tramite la con-vocazione di una conferenza di esperti, che si sarebbe dovuta riunire l’anno seguente, il1971, presso il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR).

Le dichiarazioni citate, giuridicamente non vincolanti, sono comunque consideratedichiarative di norme di diritto internazionale consuetudinario (come spesso accade incorrispondenza di prese di posizione dell’Assemblea Generale), e i loro contenuti sonostati trasformati in norme giuridiche positive nel I Protocollo addizionale alle Conven-zioni di Ginevra dell’8 giugno 1977, adottato proprio a seguito di una conferenza in-ternazionale durata dal 1974 al 1977, preparata appunto da due successive conferenzepreliminari di esperti del Comitato Internazionale della Croce Rossa, come auspicatonel 1971. Le norme fondamentali del I Protocollo sono riconosciute come inderogabili,oltre che dalla dottrina internazionalistica e dalla giurisprudenza, anche dalla pratica de-gli Stati. Non sono parti del I Protocollo, tra gli altri, gli Stati Uniti, lo Stato d’Israele, laFrancia, l’India, il Pakistan e la Turchia - tutti Paesi attivamente coinvolti in situazionidi conflitto armato - che nella pratica e nelle dichiarazioni ufficiali hanno però ricono-sciuto valenza vincolante a molta parte di quelle disposizioni. Secondo un’autorevoleopinione riferita agli Stati Uniti, in materia di condotta delle ostilità, sono norme di di-ritto consuetudinario quelle contenute negli artt. 51, 52, 54 e 57- 60 del I Protocollo.Non lo sono gli artt. 55 e 562.

La Corte internazionale di giustizia ha osservato che la gran parte delle norme di dirit-to internazionale umanitario sono essenziali per il rispetto della persona umana e debbo-no essere osservate da tutti gli Stati in quanto principi inviolabili di diritto internazionaleconsuetudinario.

I principi codificati all’art. 35 del I Protocollo come Basic rules si applicano anchealle operazioni di forze armate sotto comando delle Nazioni Unite, come risulta dalBollettino del Segretario Generale sull’osservanza del diritto internazionale umanitarioda parte delle forze delle Nazioni Unite del 19993:

The fundamental principles and rules of international humanitarian law set out in the present bul-letin are applicable to United Nations forces when in situations of armed conflict they are activelyengaged therein as combatants, to the extent and for the duration of their engagement.They areaccordingly applicable in enforcement actions, or in peacekeeping operations when the use offorce is permitted in self-defence.

2 M. J. Matheson, ’The United States Position on the Relation of Customary International Law to the 1977Protocols Additional to the 1949 Geneva Conventions’, 2 Am. U. J. Int’l Pol’y 41 9, 420 (1987).

3 V. UNSG Bullettin Observance by United Nations Forces of International Humanitarian Law, 6 August1999, ST/SGB/1999/13.

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28 La condotta delle ostilità

Anche i contingenti nazionali dispiegati all’estero in operazioni multinazionali a sup-porto della pace e della sicurezza internazionale si conformano alle norme di dirittointernazionale umanitario, indipendentemente dalla natura del conflitto e dalle ragionidel dispiegamento, come risulta sia dai manuali militari e dalle direttive nazionali chedai documenti della NATO, i cui contingenti sono impegnati in missioni che vanno dalsostegno logistico alla condotta di vere e proprie operazioni offensive in attuazione didecisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite4 (v. infra, cap. 7).

3.2 Il principio di umanità

Il principio di umanità implica il dovere in capo ai combattenti di evitare, tanto ai com-battenti nemici quanto ai civili, l’inflizione di sofferenze inutili e mali superflui, e rap-presenta, secondo la Corte internazionale di giustizia, l’essenza delle norme giuridicheapplicabili durante i conflitti armati5. La traduzione del principio in termini operativi è ildivieto di usare livelli eccessivi di forza, con ciò intendendosi livelli di forza irragione-voli rispetto agli scopi delle operazioni militari. Nella Dichiarazione di San Pietroburgodel 1868, che ne rappresenta la prima formulazione, il principio è articolato in diversecomponenti:

• uno degli scopi del progresso è quello di alleviare i danni provocati dalla guerra;• unico legittimo scopo per uno Stato durante una guerra è l’indebolimento, e non

l’annientamento, delle forze militari avversarie;• per ottenere quello scopo è sufficiente rendere temporaneamente inabili alla lotta il

maggior numero di nemici;• l’impiego di armi che aggravino inutilmente le sofferenze di coloro che sono stati

resi inabili o che rendano la loro morte inevitabile va oltre lo scopo legittimodelle ostilità;

• l’uso di quelle armi sarebbe contrario alle leggi di umanità.

3.3 Il principio di distinzione

L’art. 48 del I Protocollo del 1977, secondo il quale le Parti in conflitto dovranno fa-re, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile e i combattenti, nonché frai beni di carattere civile e gli obiettivi militari, e di conseguenza dirigere le operazionisoltanto contro obiettivi militari, rafforza le disposizioni sulla protezione dei civili con-tenute nella IV Convenzione di Ginevra (in particolare quelle della parte II, dedicata allaprotezione di tutta la popolazione degli Stati in conflitto), ed è la trasposizione in testoconvenzionale del principio consuetudinario di distinzione. Assieme al principio dellaprotezione della popolazione civile dagli effetti delle ostilità, che rappresenta l’incipit

4 Humanitäres Völkerrecht in bewaffneten Konflikten August 1992, DSK AV207320065, par. 211. TheJudge Advocate General’s Legal Center And School, Law of War Deskbook (2010), p. 23.

5 Nuclear Weapons, I. C. J. Rep., 1996, par. 95.

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3.3 Il principio di distinzione 29

del citato art. 48, il principio di distinzione costituisce, secondo la Corte internazionaledi giustizia, la struttura portante, the fabric, del diritto umanitario6.

I belligeranti devono in ogni circostanza fare distinzione tra la popolazione civile e icombattenti - e tra obiettivi civili e militari -, e dirigere attacchi solo contro questi ultimi.Sono civili le persone che non appartengono alle categorie indicate all’art. 4(A)(1), (2),(3) e (6) della III Convenzione di Ginevra e 43 del I Protocollo del 1977. La categoriacivili è dunque definita in negativo come quella che comprende le persone non facentiparte delle forze armate o di gruppi militari organizzati appartenenti ad una delle partiin conflitto. Una persona il cui status di combattente sia dubbio è considerata civile,onde la condizione di civile è presunta. Analoga presunzione di stato si ha nei confrontidei prigioneri di guerra. Una persona che prende parte alle ostilità e cade in potere diuna Parte avversaria si presume essere prigioniero di guerra e, di conseguenza, saràprotetta dalla III Convenzione. Se esiste un dubbio qualsiasi a proposito del suo dirittoallo statuto di prigioniero di guerra, la persona stessa continuerà a beneficiare di dettostatuto e, di conseguenza, della protezione della III Convenzione e del I Protocollo, inattesa che il suo statuto sia determinato da un tribunale competente.

Una popolazione non perde il proprio carattere civile se tra i civili vi sono anchedei combattenti. Il carattere civile della popolazione e la correlata protezione non ven-gono dunque meno se gli individui aventi stato di civili sono prevalenti rispetto aicombattenti.

Sono obiettivi civili tutti quelli che non sono obiettivi militari. Gli obiettivi militarisono limitati ai beni che per loro natura, ubicazione, destinazione o uso contribuisco-no effettivamente all’azione militare, e la cui distruzione totale o parziale, oppure laconquista o neutralizzazione offre, nel caso concreto, un vantaggio militare preciso. Sinoti che mentre alcuni beni o apprestamenti, ad esempio le unità sanitarie, non possonoessere oggetto di attacchi (v. art. 12 del I Protocollo), per altre, ad esempio le unità sani-tarie civili la protezione garantita dal diritto umanitario potrà cessare, ma solo nel casoin cui esse siano utilizzate per commettere, al di fuori della loro missione umanitaria,atti dannosi per il nemico (v. art. 13 del I Protocollo). Tuttavia, la protezione cesseràsoltanto dopo una intimazione ad interrompere immediatamente la condotta lesiva che,avendo fissato un termine ragionevole per la cessazione di atti ostili, sia rimasta senzaeffetto. La destinazione del bene alle contingenze militari ne fa un obiettivo militare,anche se originariamente si era trattato di un bene protetto. Lo stesso dicasi per l’usoche ne viene fatto, e che rappresenta la chiave principale per il mutamento di stato. An-che la collocazione spaziale può essere motivo di trasformazione del bene da civile adobiettivo militare. In linea di principio, dunque, qualsiasi oggetto materiale, salvo pocheeccezioni espressamente previste, può costituire un obiettivo militare.

Il principio di distinzione ha come conseguenza il divieto di condurre attacchi indi-scriminati, ossia il divieto di usare mezzi o metodi di combattimento che non permettanodi selezionare i bersagli in modo da evitare di colpire la popolazione o gli apprestamen-ti e i beni civili. Il principio di distinzione/discriminazione è strettamente collegato alprincipio di proporzionalità. Un attacco in violazione del principio di proporzionalità è

6 Ibid., par. 78.

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30 La condotta delle ostilità

un attacco indiscriminato (v. art. 51 (5) (a) del I Protocollo del 1977).

3.4 Il principio di proporzionalità

Il principio di proporzionalità serve ad operare un bilanciamento tra i legittimi scopi del-le operazioni militari e i mezzi per conseguire detti scopi. Implica dunque che il dannoai civili, che deve essere sempre accidentale ed involontario, non possa essere spropor-zionato rispetto al vantaggio militare diretto ottenuto con l’attacco. La norma parla didanno collaterale eccessivo, con ciò richiamando l’idea di eccesso e dunque di compor-tamento irragionevole o irrazionale. Tutte le volte che il vantaggio ottenuto o ottenibilecon un determinato corso di azione si presenti come irragionevole, vi sarà un eccessoe dunque una condotta illecita secondo il diritto dei conflitti armati. La considerazio-ne del danno collaterale come eccessivo va dunque fatta caso per caso, e implica unavalutazione della ragionevolezza delle decisioni assunte dai comandi militari ai diversilivelli in relazione alla soluzione del problema operativo. Rispetto al danno collaterale,è bene comunque precisare che esiste un obbligo di minimizzare il danno collaterale enon semplicemente un obbligo di mantenerlo entro il requisito della proporzionalità.

Il diritto internazionale umanitario non esclude dunque che vi possano essere perditedi vite umane accidentali, per effetto delle operazioni militari. Quelle perdite accidenta-li, definite danno collaterale, non dovranno essere sproporzionate rispetto al vantaggiomilitare previsto prima dell’attacco. Ciò significa che è realistico attendersi che le ope-razioni militari possano causare danni ad obiettivi civili e perdita di vite umane tra lapopolazione civile e che l’uso lecito della forza militare non sia limitato da un dannopotenziale. Ciò che si intende bandire con il principio di proporzionalità è il concetto diguerra totale e l’idea che il vantaggio militare possa essere conseguito ad ogni costo.La giurisprudenza ritiene che i concetti di danno sproporzionato ed eccessivo si equival-gano, per cui quando il danno collaterale è eccessivo in relazione al concreto e direttovantaggio militare anticipato, il principio risulta violato. Il vantaggio militare consistenel terreno conquistato o nella distruzione o indebolimento delle forze avversarie. Laproporzionalità dell’attacco, cioè la natura non eccessiva del danno collaterale rispettoal vantaggio militare ottenibile, è una valutazione che va fatta sulla base di un giudi-zio prognostico. Poiché il principio si fonda su una proporzione tra entità del dannocollaterale e il vantaggio militare diretto anticipato, e dunque su una valutazione del-la situazione operativa o tattica che è molto soggettiva, la norma consente un ampiomargine di discrezionalità.

In caso di attacchi ripetuti, che siano al limite del rispetto del principio di propor-zionalità quanto alla magnitudine degli effetti, si dovrà prestare attenzione all’effettocumulativo. Un corso d’azione fatto di attacchi ripetuti, se considerato nel suo comples-so, può determinare perdite di vite e di beni eccessive. La giurisprudenza internazionaleritiene infatti che attacchi che di per sé non rappresentino una violazione del principiodi proporzionalità, se ripetuti, possano essere considerati nell’insieme una violazionedi tale principio. L’effetto cumulativo di una pluralità di attacchi, provocando perdite e

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3.5 La legittimità dell’attacco 31

danni che aggregati risultano eccessivi, è contrario al principio di umanità7.Nello Statuto della Corte penale internazionale, un attacco è condotto in violazione

del principio di proporzionalità quando le uccisioni, i ferimenti o il danno sono di ma-gnitudine tale da essere chiaramente eccessivi in relazione al vantaggio concreto e com-plessivo anticipato. Lo Statuto della CPI appare qui più permissivo della corrispondentenorma di diritto umanitario. Anche la terminologia usata è diversa, ciò che non rendeagevole individuare la portata del divieto sanzionato dalla norma penale internazionale.

3.5 La legittimità dell’attacco

Il potenziale distruttivo di un apparato militare è reso attuale nell’attacco, che è uncorso d’azione che implica l’uso della violenza contro il belligerante avversario, sia essaesercitata in fase di offesa che di difesa. L’immunità dei non-combattenti rispetto agliattacchi diretti sta alla base del sistema di diritto internazionale umanitario. L’attacco afini difensivi non esime chi si difende dal rispetto dei principi fondamentali del dirittodei conflitti armati in termini di precauzioni da adottare per proteggere la popolazionecivile e i beni di carattere civile. Tale regola, applicata a situazioni in cui la popolazioneè di fatto ostaggio di uno dei belligeranti, ovvero a situazioni di presa di ostaggi vera epropria, vale a mantenere inalterato l’obbligo di adottare le precauzioni dirette a limitarela causazione di vittime innocenti, a carico di entrambe le Parti. Cosicché, l’uso di scudiumani da parte di chi si difende non può costituire esenzione dalle citate precauzioni edal più generale obbligo di proteggere i civili da parte di chi attacca.

La protezione della popolazione civile dagli effetti delle ostilità durante i conflitti in-ternazionali rappresenta il fondamento del diritto umanitario. Secondo Yoram Dinsteinrappresenta the kernel of LOIAC [the law of international armed conflict] as it cur-rently stands. Nell’opinione della Camera d’Appello del Tribunale per la ex-Jugoslavia(ICTY), costituisce un intransgressible principle of customary international law. Ogniattacco diretto contro la popolazione civile, qualsiasi sia lo scopo militare perseguito,è proibito. La protezione dei civili imposta dalle norme internazionali include anchecoloro che sostengono la parte avversaria e che vi sono leali (sempre che non vi sia par-tecipazione diretta alle ostilità, v. infra, cap. 5). Il divieto di attaccare i civili ha ragionigiuridiche e umanitarie, ma anche più prosaiche motivazioni di utilità, in quanto pre-viene atteggiamenti di insofferenza della popolazione residente nelle aree teatro delleoperazioni e la perdita di legittimazione della forza che le conduce. In questo senso èconsiderato un utile investimento per conseguire il successo.

La protezione della popolazione civile dagli effetti delle ostilità durante i conflitti in-ternazionali è materia della parte IV del I Protocollo del 1977, che rafforza la protezionegenerale già offerta dagli strumenti precedenti. In particolare, l’art. 51 contiene una se-rie di norme integrative delle regole già in vigore al momento in cui è stato adottato,ossia delle norme sulla condotta delle ostilità contenute nella IV Convenzione dell’Ajadel 1907 sulla guerra terrestre e nella IV Convenzione di Ginevra sulla protezione dei

7 Kupreskic, Trial Judgement, par. 526.

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32 La condotta delle ostilità

civili durante i conflitti armati. Così è proibito in modo assoluto l’attacco deliberato(wilful) diretto contro la popolazione civile, e quello condotto accettando consapevol-mente il rischio di perdite civili, in situazioni in cui il verificarsi di quelle perdite appaiaprobabile (recklessness). In entrambe le ipotesi, se si verificano effettivamente uccisionie ferimenti, si commette di un crimine di guerra. Ne deriva che il danno collaterale nonpuò essere pianificato ma può essere frutto di un incidente. Ed infatti l’art. 51(2) delI Protocollo del 1977, che è considerato riprodurre una norma già affermatasi per viaconsuetudinaria, stabilisce chiaramente che i civili e la popolazione civile non possonoessere attaccati, e quindi proibisce di fare della popolazione civile un bersaglio o unobiettivo tattico. La norma non consente eccezioni, onde non è ammessa alcuna derogaper ragioni di necessità militare.

Secondo il Tribunale per la ex-Jugoslavia, inoltre, il dovere di proteggere i civili risul-tante dalle norme citate ha addirittura carattere sacrosanto e comprende anche il divietoassoluto di rappresaglie contro la popolazione civile8 - strumenti di rivalsa ampiamenteusati durante la Seconda guerra mondiale. In quanto posto da una norma consuetudina-ria, il divieto di rappresaglie dovrebbe avere carattere universale, per cui riserve, inter-pretazioni e precisazioni apposte in sede di ratifica degli strumenti dovrebbero esseredivenute inefficaci (v. anche infra, sez. 3.7 e par. 9.1.1).

Il diritto internazionale umanitario vieta la presa di ostaggi, ossia il sequestro o la de-tenzione di una persona sotto minaccia di ucciderla o di privare altre persone della vita odella libertà, per costringere l’avversario a fare o non fare qualcosa, agli artt. 3 comune,34 e 147 della IV Convenzione e 75 (2) del I Protocollo addizionale. Inoltre, l’art. 51comma 7 del I Protocollo vieta di utilizzare la presenza di civili per mettere determinatipunti o determinate aree al riparo da operazioni militari, in particolare per cercare dimettere obiettivi militari al riparo da attacchi, o per coprire, favorire o ostacolare opera-zioni militari. E’ vietato usare i prigionieri di guerra e i civili sotto custodia come scudiumani. Come detto, la presenza forzata di civili a protezione di unità e apprestamentimilitari non libera l’attaccante dagli obblighi derivanti dai principi di distinzione e diprecauzione.

Gli attacchi diretti contro legittimi obiettivi militari sono illeciti se condotti usandomezzi o metodi di combattimento tali da causare danni agli obiettivi militari e civili in-discriminatamente, e sono da considerare come attacchi deliberati contro la popolazionecivile. La natura indiscriminata (o sproporzionata) di un attacco può essere desunta daalcuni fattori, legati alla dislocazione dei bersagli o alle circostanze nelle quali le ope-razioni sono condotte. Così, ad esempio, per valutare la liceità di un attacco si potrannoconsiderare la distanza dei civili o di apprestamenti civili dalla sorgente di fuoco o dal-la linea di combattimento, la vicinanza degli obiettivi militari agli apprestamenti civili,gli impedimenti alla visibilità diretta dei bersagli, l’aspetto esteriore delle persone, ilgenere, l’età, il loro comportamento. La natura indiscriminata di un attacco può esserededotta inoltre dal tipo di sistemi d’arma impiegati. Attacchi condotti con l’impiego dimezzi di combattimento indiscriminati (ad es. tramite cluster munitions) possono essere

8 Kupreskic, Trial Judgement, par. 513.

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3.6 Il principio di precauzione 33

considerati, in situazioni specifiche, attacchi diretti contro la popolazione civile9.Sono vietati gli atti di violenza e le minacce che abbiano come scopo primario quello

di diffondere il terrore tra la popolazione civile. La proibizione contenuta nell’art. 51(2)si pone in rapporto di specialità rispetto alla più generale proibizione prevista nell’art.51(1), e ne condivide il carattere di norma consuetudinaria. Uccidere e ferire civili conl’intenzione di diffondere il terrore tra la popolazione è un crimine di guerra rientrantenell’art. 3 dello Statuto del Tribunale per la ex-Jugoslavia. Presenta le stesse caratteri-stiche dell’attacco illecito contro i civili, vi differisce nello scopo specifico di seminareil terrore. Il crimine in esame deve essere tenuto distinto dagli effetti di panico o pauradiffusa connessi al compimento di legittimi atti di guerra.

Le attività terroristiche in genere non costituiscono di per sé conflitto armato e nonsono sanzionate a termini del diritto internazionale umanitario. L’uso di metodi terrori-stici contro i combattenti durante un conflitto armato internazionale non costituisce unillecito secondo il diritto internazionale umanitario, salvo si tratti di atti commessi conperfidia. Negli strumenti internazionali che si occupano di terrorismo, come la Conven-zione per la repressione degli attentati con l’uso di esplosivi (International Conventionfor the Suppression of Terrorist Bombing10), le attività delle forze armate di uno Stato,e dunque compiute da legittimi combattenti, rimangono regolate dal diritto dei conflit-ti armati e non rientrano nella disciplina specifica. Se l’attività terroristica si sviluppadurante un conflitto interno ed è diretta a colpire il personale militare, spetterà all’or-dinamento interno dello Stato in cui l’atto terroristico è compiuto dargli connotazionegiuridica. Come già detto in precedenza, la partecipazione attiva alle ostilità durante unconflitto interno è atto che solo marginalmente è regolamentato dal diritto internazio-nale, che si premura solo di impedire la tortura, l’esecuzione sommaria o la condannasenza processo dell’attentatore.

3.6 Il principio di precauzione

Il principio di proporzionalità, che inerisce sia al principio di umanità che al principiodella necessità militare, impone ai belligeranti l’adozione di tutte le misure praticabili(feasible) per evitare i danni collaterali, ossia la perdita accidentale di vite tra la popola-zione civile e danni ad obiettivi civili, che siano eccessivi rispetto al vantaggio militareprevisto (anticipato). Le precauzioni devono essere adottate sia in fase concettuale checondotta, e dunque sia da chi pianifica un attacco che da chi lo conduce materialmente.In fase di preparazione, il principio in esame implica l’accertamento della natura delbersaglio. Il passo successivo è la valutazione del possibile danno collaterale, cui seguela decisione se proseguire nel piano o abortire la missione, perché destinata a produrredanni collaterali eccessivi.

Queste regole sono enunciate in forma positiva negli artt. 57 e 58 del I Protocollo,e, secondo la giurisprudenza internazionale, sono oggi parte del diritto consuetudina-rio, non solo perché gli articoli citati rappresentano la codifica di norme preesistenti ma9 Martic, Rule 61 Decision, par. 23-31.

10 G.A. Res. 164, U.N. GAOR, 52nd Sess., Supp. No. 49, at 389, U.N. Doc. A/52/49 (1998).

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34 La condotta delle ostilità

anche perché il contenuto prescrittivo delle norme indicate è incontestato anche pres-so Stati che non hanno ratificato il Protocollo, e che dunque potrebbero non sentirvisivincolati. Nel caso Galic, riguardante l’assedio di Sarajevo, una Camera del Tribunaleper la ex-Jugoslavia ha sostenuto che gli attacchi indiscriminati sono da ritenere attacchidiretti e deliberati contro la popolazione civile. Il Tribunale ha inoltre sostenuto che dal-l’adozione dei Protocolli addizionali la stragrande maggioranza degli Stati ritiene che iprincipi enunciati negli artt. 51 e 52 del I Protocollo e nell’art. 13 del II Protocollo sianogeneral humanitarian principles. La Camera d’Appello nel caso Strugar ha ribadito chel’art. 51 del I Protocollo costituisce

a reaffirmation and reformulation [...] of the existing norms of customary international law, whichprohibit attacks on civilian and civilian objects.

Le prescrizioni degli artt. 57 e 58 devono essere interpretate in maniera estensiva, inmodo da circoscrivere al massimo il potere discrezionale di attaccare obiettivi militariattribuito ai belligeranti. Lo stesso art. 57 (comma 5) impedisce di usare le norme inesso contenute per giustificare attacchi contro i civili, la popolazione civile o obiettividi carattere civile, confermando l’assenza di deroghe al generale divieto di attaccarequei bersagli.

3.7 Il divieto di rappresaglie contro i civili

La rappresaglia è un atto violento che lo Stato pone in essere tramite le proprie for-ze armate per ottenere da un altro Stato la cessazione di una violazione, o comunquel’osservanza, del diritto internazionale (v. infra, par. 9.1.1). L’uccisione di civili perrappresaglia può ben essere considerata una forma di esecuzione arbitraria, contrariaai diritti fondamentali dell’uomo, che innegabilmente permeano il diritto internazionaleumanitario. Un numero rilevante di Stati ha mantenuto il diritto ad agire in rappresaglia,ma solo contro le forze armate, facendo così ritenere, a contrario, che le rappresagliecontro i civili non siano più ammesse dal diritto internazionale. Il I Protocollo addizio-nale contiene diverse ipotesi di divieto di rappresaglia. Sono in particolare vietati atti dirappresaglia contro la popolazione civile, contro l’ambiente naturale, contro beni indi-spensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, contro i beni di carattere civile,contro i feriti i malati e i naufraghi, contro i beni culturali e i luoghi di culto, controopere e installazioni che racchiudono forze pericolose. La risoluzione dell’AssembleaGenerale delle Nazioni Unite 2675 (XXV) ha stabilito che i civili e la popolazione civilenon possono essere oggetto di rappresaglia. Francia e Gran Bretagna hanno affermato illoro diritto a reagire in rappresaglia all’atto della ratifica del I Protocollo. In particolareil Regno Unito, nel ratificare il I Protocollo ha precisato che

If an adverse party makes serious and deliberate attacks, in violation of Article 51 or Article 52against the civilian population or civilians or against civilian objects, or, in violation of Articles53, 54 and 55, on objects or items protected by those Articles, the United Kingdom will regarditself as entitled to take measures otherwise prohibited by the Articles in question to the extentthat it considers such measures necessary for the sole purpose of compelling the adverse party

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3.8 La protezione dei beni materiali e culturali 35

to cease committing violations under those Articles, but only after formal warning to the adverseparty requiring cessation of the violations has been disregarded and then only after a decisiontaken at the highest level of government11.

3.8 La protezione dei beni materiali e culturali

La protezione dei beni e delle proprietà di carattere civile, siano essi pubblici o privati,è articolata in diverse norme. Alcuni beni sono presuntivamente protetti contro gli ef-fetti delle ostilità perché destinati a specifiche attività di protezione umanitaria, comei luoghi sanitari, ovvero per la loro intrinseca natura, come i beni culturali di specialeimportanza. La loro protezione cessa solo se vengono usati per scopi militari e solo do-po che sia stato concesso un ragionevole periodo di tempo perché ne cessi l’uso a finimilitari. Altri beni che sono normalmente destinati ad attività di natura civile possonoessere attaccati se usati in modo da fornire un contributo essenziale alle operazioni mi-litari. In altri casi, la distruzione di beni materiali è ammessa solo in caso di necessitàmilitare imperativa, così mentre è proibito affamare la popolazione civile, i mezzi disostentamento possono essere distrutti per ragioni di necessità militare imperativa dellaparte che controlla il territorio in cui i beni sono dislocati. L’art. 53 della IV Conven-zione di Ginevra proibisce la distruzione di proprietà situate nei territori occupati chenon sia assolutamente necessaria alle operazioni militari. La distruzione estesa, illecitae fine a se stessa (wanton) di beni in territorio occupato costituisce infrazione grave.

Il diritto consuetudinario proibisce il saccheggio, inteso come atto di appropriazionee spossessamento sistematico che comporti di fatto l’acquisto di beni in violazione deidiritti dei proprietari, così come l’appropriazione indebita di beni da parte di singoliindividui per finalità private (cd. plunder).

Gli attacchi contro la proprietà culturale sono vietati dall’art. 27 del Regolamentodell’Aja del 1907, dalla Convenzione dell’UNESCO adottata all’Aja nel 1954, dall’art.53 del I Protocollo alle Convenzioni di Ginevra e dall’art. 16 del II Protocollo. Il Re-golamento dell’Aja collega la protezione della proprietà culturale al fatto che non siausata per scopi militari. La norma impone l’adozione di tutte le precauzioni possibili perrisparmiare la proprietà culturale e il dovere di renderne nota la presenza all’avversario.La Convenzione dell’Aja del 1954 si riferisce a beni di grande importanza per l’ereditàculturale di ogni popolo, e ne impone la salvaguardia fino dal tempo di pace e il rispettonelle situazioni di conflitto armato, proibendo l’uso dei beni culturali e dei luoghi adia-centi per scopi che possano esporli a danneggiamento o distruzione e la condotta di attiostili nei loro confronti. La perdita dell’immunità è prevista solo nei casi di necessitàmilitare imperativa. Alcuni edifici e centri monumentali godono di speciale statuto inquanto eredità comune a tutti i popoli (World Heritage) e sono di norma inclusi in unapposito elenco gestito dall’UNESCO.

Il I Protocollo del 1977 fa riferimento a monumenti storici, opere d’arte o luoghi diculto che costituiscono l’eredità culturale e spirituale dei popoli. L’art. 53 introduce adintegrazione della Convenzione del 1954 tre specifici divieti, vale a dire: i) il divieto11 UK Statement on Ratification of AP I.

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36 La condotta delle ostilità

di commettere atti ostili nei riguardi dei monumenti, delle opere d’arte e dei luoghi diculto; ii) il divieto di usare detti beni a supporto delle operazioni militari; iii) il divietodi condurre atti di rappresaglia ai danni dei beni citati. Ne risulta che la condotta di attidi ostilità diretti contro beni culturali è proibita. Dal danneggiamento o dalla distruzionedei medesimi deriva una responsabilità penale di diritto internazionale.

Se i beni culturali sono impiegati per scopi militari, perdono la loro immunità. IlProtocollo non prevede la necessità militare imperativa come causa di cessazione del-l’immunità dagli attacchi, ma riporta in premessa che le disposizioni sulla proprietàculturale previste dalla Convenzione dell’Aja non sono modificate dalle nuove norme.

3.9 Uso dei sistemi d’arma

Nel diritto internazionale umanitario il divieto a fare uso di alcune armi deve essereespresso. Così l’art. 23 del Regolamento dell’Aja proibisce di usare veleni e armi avve-lenate, richiamando altresì le proibizioni derivanti da convenzioni speciali. Nel quadrodella Conferenza di pace del 1899 i plenipotenziari delle nazioni partecipanti avevanosottoscritto dichiarazioni sulla proibizione dell’uso di gas asfissianti e delle pallottoleche si espandono all’impatto con il corpo umano12.

In caso di adozione di nuove armi o sistemi d’arma, l’art. 36 del I Protocollo del 1977impone un obbligo di valutazione - sia fase di studio che di sviluppo o acquisizione-, della compatibilità con le prescrizioni del Protocollo e di altri strumenti di dirittointernazionale applicabili allo Stato cui si riferiscono le nuove armi. Non essendoviulteriori specifiche in materia, le norme e le procedure necessarie alla valutazione sonolasciate all’iniziativa degli Stati parti del Protocollo, che useranno come criteri guida lenorme internazionali derivanti dal diritto consuetudinario o dai trattati di cui sono parte,inclusi i trattati di disarmo.

Nel 1980 è stata negoziata la Convenzione sul divieto o la limitazione all’impiegodi talune armi convenzionali 13, costituita da un accordo quadro a cui afferiscono spe-cifici protocolli, ciascuno dei quali diviene vincolante a seguito di ratifica o accessio-ne/adesione. Ciascun protocollo annesso alla Convenzione diviene dunque obbligatorioper lo Stato soltanto se questo abbia formalmente prestato il proprio consenso. Neicinque protocolli fino ad ora approvati, ritenendo che possano causare sofferenze inu-tili o mali superflui, o avere effetti indiscriminati, la Convenzione considera illecito orestringe l’impiego di:

1. armi il cui effetto principale sia di ferire mediante schegge che non siano localizzabilinel corpo umano con i raggi X;

2. mine anti-uomo, trappole e altri similari ordigni;3. armi incendiarie;4. armi laser accecanti.12 Final Act Of the International Peace Conference. The Hague, 29 July 1899.13 Convention on Prohibitions or Restrictions on the Use of Certain Conventional Weapons, October 10,

1980.

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3.9 Uso dei sistemi d’arma 37

Il V Protocollo (2003) riguarda i residuati bellici esplosivi (explosive remnants of war),e impegna gli Stati parti a provvedere alla bonifica degli ordigni inesplosi al termine delconflitto.

La Convenzione sul divieto di impiegare talune armi ha scopi ambiziosi ed etero-genei, che potremmo suddividere in due macro-aree: effettività del diritto dei conflittiarmati e disarmo. Il preambolo ribadisce la necessità di perseguire la codificazione e losviluppo del diritto internazionale dei conflitti armati e riprende i suoi principi fonda-mentali, da quello della generale protezione rispetto agli effetti delle ostilità da garantirea beneficio della popolazione civile, al principio secondo il quale la scelta di mezzi emetodi di combattimento non è illimitata, essendo sempre vietato infliggere mali super-flui e inutili sofferenze. Poi il preambolo richiama la Clausola Martens, affidando civilie combattenti, in assenza di condizioni più favorevoli, al diritto delle genti, e dunquealle leggi e agli usi di guerra, ai principi di umanità e alla pubblica coscienza interna-zionale. Un secondo ordine di obiettivi che si intendono perseguire con la Convenzionedel 1980 riguarda la distensione e la cessazione della corsa agli armamenti, passi fonda-mentali per giungere al disarmo generale. Il momento storico è quello immediatamentesuccessivo alla rivoluzione in Iran, della guerra mortale tra Iran e Iraq, dell’invasionesovietica dell’Afghanistan. La Convenzione, pensata per i conflitti armati internazionali(incluse le guerre di liberazione nazionale di cui all’art. 1(4) del I Protocollo addizionaledel 1977), in forza di un emendamento all’art. 1, si applica anche ai conflitti armati chenon hanno carattere internazionale e si verificano sul territorio di uno Stato parte dellaConvenzione medesima, con esplicito richiamo all’art. 3 comune alle Convenzioni diGinevra.

Le armi per le quali le norme internazionali non prevedano espresso divieto posso-no essere impiegate, nel rispetto dei principi di umanità, distinzione, proporzionalitàe precauzione. In tema di impiego dei sistemi d’arma, i principi fondamentali sono imedesimi visti per la condotta delle ostilità e la scelta dei metodi di guerra:

• generale protezione dei civili dagli effetti delle ostilità;

• divieto di impiegare armi, proiettili e materie in grado di provocare mali superflui;

• divieto di impiegare armi aventi effetti indiscriminati;

• divieto di utilizzare mezzi concepiti con lo scopo di provocare, o dai quali ci si puòattendere che provochino, danni estesi, durevoli e gravi all’ambiente naturale.

Le armi che per loro natura intrinseca sono indiscriminate, non sono conformi al di-ritto dei conflitti armati, e dunque il loro impiego è illecito (v. 51(4)(b) del I Protocollo).Le munizioni che contengono sub-munizioni, come le bombe a grappolo (cd. clusterbombs) - oggetto di frequenti critiche soprattutto perché sono state spesso usate in con-testi inappropriati, come nelle aree urbane o su terreni agricoli, causando ingenti perditenella popolazione civile e permanente inagibilità di vaste estensioni di terra coltivabile-, o i proietti in forma di cd. flechettes, rimangono permessi, in quanto il loro uso non èproibito da convenzioni internazionali.

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38 La condotta delle ostilità

Una convenzione che proibisce l’impiego delle munizioni a grappolo è stata adottatanel 2008 ed è entrata in vigore nel 201014.

3.10 Operazioni aeree. Targeting

Allo stato attuale non esiste una disciplina specifica per la condotta delle operazio-ni aeree, che tenga conto sia delle capacità offensive e distruttive dei moderni mezziaerei che delle specificità del loro impiego. Anche in passato, i tentativi di introdurrenorme particolari non sono approdati ad alcun risultato concreto. Le Regole dell’Ajadel 1923 sono rimaste una autorevole bozza di regolamentazione. Una commissione digiuristi incaricata dalla Conferenza di Washington sulla riduzione degli armamenti del1922 aveva prodotto infatti un compendio denominato Rules of Air Warfare, che non èmai diventato uno strumento giuridico. Un gruppo di esperti facenti parte del Programon Humanitarian Policy and Conflict Research dell’Università di Harvard (HPCR) hadi recente pubblicato un Manual on International Law Applicable to Air and MissileWarfare, un restatement dello scarso diritto esistente in materia di operazioni aeree.

In assenza di norme specifiche, le operazioni aeree sono regolamentate in modo ana-logo a quelle di terra, il che non rappresenta una soluzione ideale. Tradotto in terminiconcreti, il processo di targeting, ossia la designazione dei bersagli dei velivoli, è im-prontato prima di tutto al rispetto dei 3 principi di distinzione, precauzione e propor-zionalità. A questo proposito il I Protocollo stabilisce che le disposizioni della II partesi applicheranno ad ogni operazione terrestre, aerea o navale e a tutti gli attacchi navalio aerei diretti contro obiettivi terrestri, ma non incideranno altrimenti sulle regole deldiritto internazionale applicabile nei conflitti armati sul mare o in aria. Riguardo al prin-cipio di precauzione, lo stesso I Protocollo prescrive che nella condotta delle operazionimilitari sul mare o in aria, ciascuna Parte in conflitto deve prendere tutte le precauzioniragionevoli per evitare perdite di vite umane fra la popolazione civile e danni ai beni dicarattere civile.

Gli sviluppi tecnologici in campo aeronautico hanno prodotto sistemi d’arma di gra-do di selezionare e colpire i bersagli con crescente precisione. Gli Stati non hanno purtuttavia alcun obbligo di impiegare sistemi d’arma di precisione (precision guided wea-pons), pur se disponibili, ma sono ovviamente tenuti al rispetto dei principi di distin-zione e proporzionalità, che nella situazione concreta impongono, tra l’altro, la scelta disistemi d’arma con essi compatibili. Analogamente, non vi sono obblighi di volare aduna quota tale da consentire al pilota di distinguere agevolmente tra un bersaglio lecitoe uno non lecito.

L’uso di alcuni sistemi d’arma, come i moderni aerei a reazione, pone in crisi il ri-spetto del principio di distinzione, senza però che ne derivi, come conclusione, che uncaccia-bombardiere è un’arma intrinsecamente indiscriminata e dunque potenzialmentesempre vietata. Com’è evidente, una conclusione del genere non reggerebbe il confron-to con la pratica degli Stati e non diverrà mai parte del diritto consuetudinario. Sotto il

14 Convention on Cluster Munitions, Oslo, 2008.

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3.11 Operazioni navali 39

profilo della proporzionalità, va detto che i sistemi d’arma in parola hanno capacità di-struttive rilevanti e il raggio d’azione delle munizioni impiegate è sempre tale da causaredanni collaterali estesi, che tuttavia, come già detto in precedenza, non coincide con ilconcetto di danni collaterali eccessivi, anche se nel comune sentire si tratta pressochédi sinonimi.

Di recente si è notevolmente diffuso l’impiego di aerei senza pilota (denominazio-ne impropria, dal momento che detti velivoli non hanno personale a bordo, ma sonoeffettivamente pilotati e gestiti da un’équipe di specialisti), noti come drones (per ilronzio prodotto dal motore), o UAV (unmanned aerial vehicles), anche per missioni dicombattimento. Si tratta di sistemi d’arma ad alta tecnologia, teleguidati, in grado disorvegliare per ore il campo di battaglia e di trasportare e lanciare bombe e missili conun grado di precisione sicuramente più elevato di quello ottenibile con sistemi d’armapiù tradizionali - a patto che siano supportati da una rete di intelligence adeguata. Unaserie di questioni, per ora al vaglio degli studiosi, riguarda l’inquadramento giuridicoda dare al pilota, che pur operando da basi molto distanti dal teatro delle operazioni, difatto vi partecipa direttamente, e la natura di tale partecipazione alle ostilità in relazioneal fatto che alcuni servizi tramite UAV sono forniti da attori privati (contractors, v. in-fra, sez. 8.2). Esistono anche parecchie critiche riguardanti l’impiego dei drones, la piùradicale delle quali è stata formulata da Philip Aston, che ha affermato che l’impiegodi aerei senza pilota favorisce negli operatori una playstation mentality15, a detrimen-to dei diritti degli individui che sono bersagli delle azioni teleguidate. Tale critica nontiene conto del carico emozionale a cui è sottoposto il pilota dell’UAV, che si trova avivere la situazione di contatto tattico dei propri connazionali (che stanno rischiando lavita sul terreno) con una consapevolezza determinata dalla visione d’insieme della si-tuazione contingente che la tecnologia gli consente (e dal collegamento radio continuocon l’unità di terra), di gran lunga maggiore di coloro che sono direttamente ingaggiatinell’azione di combattimento, e dello stress che ne consegue.

3.11 Operazioni navali

La violenza bellica può pienamente esplicarsi nei confronti del naviglio della parte av-versaria sia nell’alto mare che negli spazi marini appartenenti alle parti in conflitto. Inacque neutrali sono vietate le azioni ostili. Per acque neutrali si intendo le acque inter-ne, le acque territoriali e le acque arcipelagiche degli Stati neutrali. Per azioni ostili siintendono l’attacco o la cattura, il collocamento di mine, la visita, la perquisizione eil dirottamento. Lo Stato neutrale può vietare l’ingresso nelle sue acque delle navi daguerra, ma dovrà consentire loro il rifornimento di carburante acqua e cibo per raggiun-gere un porto nel loro territorio, e i lavori di riparazione necessari a consentire alla naveche abbia attraccato in un porto neutrale di riprendere il mare e la navigazione. Ne-gli stretti internazionali e nelle vie di navigazione arcipelagiche le navi dei belligeranti

15 Report of the Special Rapporteur on extrajudicial, summary or arbitrary executions, Philip Alston, UNGeneral Assembly Human Right s Council, 28 May 2010, GE-10 13753, par. 79.

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40 La condotta delle ostilità

conservano il diritto di transito e il più limitato diritto di passaggio inoffensivo, che ineutrali non possono impedire.

Nave da guerra è la nave che fa parte delle forze armate di uno Stato, che ne porti i se-gni distintivi, che sia sotto comando di un ufficiale della marina militare, che sia armatacon equipaggio sottoposto alla disciplina militare. Nave mercantile è la nave utilizzataper scopi commerciali o privati. Nave ausiliaria è una nave diversa dalla nave da guerra,controllata dalle forze armate e utilizzata dal governo per fini non commerciali. Il fattoche una nave mercantile batta bandiera di uno Stato nemico costituisce prova decisivadel suo carattere nemico. Lo stesso principio si applica alla nave battente bandiera di unoStato neutrale. Il sospetto che si tratti di nave nemica battente bandiera neutrale giusti-fica il diritto di visita (v. infra). Il carattere nemico può derivare dall’immatricolazione,dal contratto di noleggio o da altri criteri.

Sono protette da attacco le navi ospedale, i trasporti sanitari, le navi in salvacondotto(ad es. quelle adibite al trasporto dei prigionieri di guerra), i battelli da pesca, le naviche trasportano civili; l’esenzione avviene a condizione che il loro impiego sia inoffen-sivo, si sottopongano ai controlli di polizia marittima (identificazione e ispezione), nonostacolino volontariamente i combattenti. La perdita dell’esenzione, per le navi ospe-dale, non può significare semplicemente possibilità di attacco, ma prioritariamente chela nave è soggetta a cattura (v. infra) o dirottamento (in porto, per effettuare la visita).Solo quando ciò non sia possibile, si farà luogo all’attacco, in quanto l’impossibilità dicattura o dirottamento indicano chiaramente che la nave oppone resistenza tale da poteressere considerata obiettivo militare. L’attacco è preceduto dall’intimazione di cessarela condotta lesiva. Per le altre categorie di navi protette, l’intimazione non è necessaria.

Intercettazione, visita, perquisizione, dirottamento e cattura sono definite misure nondistanti dall’attacco. Presupposto della visita e della perquisizione è il ragionevole mo-tivo di ritenere che la nave sia passibile di cattura. La cattura della nave consiste nell’attodi impadronirsene per aggiudicarsela come preda. Le merci trasportate dalle navi neu-trali sono soggette a cattura solo se costituiscono contrabbando di guerra. Ciò si verificaquando le merci sono destinate ad un territorio posto sotto il controllo nemico e possanoessere utilizzate in un conflitto armato. I beni che non rientrano nelle liste di contrab-bando sono beni liberi e non possono essere confiscati. La lista di contrabbando deveessere stilata a priori dai belligeranti e costituisce il presupposto del diritto di cattura.Sono sicuramente beni liberi gli oggetti di culto, gli articoli destinati al trattamento diferiti e malati, gli oggetti destinati ai prigionieri di guerra, i beni di conforto per la po-polazione civile. La distruzione della nave neutrale catturata è da considerarsi misuraestrema, giustificata da imperiosa necessità militare.

3.12 Operazioni speciali

In contesti di guerra asimmetrica, che si presentano sempre più di frequente nello sce-nario globale, l’impiego di forze per operazioni speciali, ossia di forze con compitipiù tecnici e più specifici rispetto a quelli assegnati alle forze convenzionali - condotteda piccoli distaccamenti o unità, spesso affiancati a forze locali, con significativo in-

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3.13 Condotta delle ostilità in territorio occupato 41

cremento dei rischi connessi alle operazioni militari -, è sensibilmente aumentato. Ilquadro giuridico di riferimento è quello che regola la condotta delle operazioni delleforze convenzionali e le regole di ingaggio dovrebbero essere le medesime. Durante leoperazioni speciali, il personale impiegato gode perciò delle prerogative garantitegli daldiritto dei conflitti armati se assicura il rispetto dei principi fondamentali, primo fra tuttiil principio che impone ai combattenti di distinguersi dalla popolazione civile secon-do le modalità stabilite dal diritto internazionale (che saranno illustrate nel prossimocapitolo).

3.13 Condotta delle ostilità in territorio occupato

L’occupante assicura la legge e l’ordine nel territorio occupato. Essendo l’occupazioneuna situazione equiparata al conflitto armato internazionale, in assenza di norme specia-li, le forze della Potenza occupante potranno utilizzare appieno i diritti di belligeranzanei confronti delle forze avversarie che ancora siano presenti nel territorio occupato. Dalmomento che l’occupazione presuppone che il sovrano territoriale abbia perso il con-trollo del territorio e l’invasore lo abbia acquisito, scontri con le forze armate avversariepotranno avvenire in realtà solo tra l’occupante e unità nemiche che abbiano ancora ilcontrollo di zone marginali o di enclaves in territorio occupato, oppure tra l’occupantee gruppi di insorti o partigiani.

I comandanti militari, come visto in precedenza (supra, sez. 1.7 e 2.3) hanno in terri-torio occupato l’obbligo negativo di astenersi dal condurre le ostilità contro la popola-zione locale e l’obbligo positivo di condurre le operazioni in modo che la popolazionepacifica non ne subisca gli effetti dannosi. L’art. 27 della IV Convenzione di Ginevraassicura che i civili (le persone protette) in territorio occupato abbiano garantito, in ognicircostanza, il rispetto della loro personalità, del loro onore, dei loro diritti familiari,delle loro convinzioni e pratiche religiose, delle loro consuetudini e dei loro costumi, eche siano trattate sempre con umanità e protette, in particolare, contro qualsiasi atto diviolenza o d’intimidazione, contro gli insulti e la pubblica curiosità. L’occupante potràtuttavia prendere, nei confronti delle persone protette, le misure di controllo o di sicu-rezza imposte dalle necessità della guerra. L’art. 33 della IV Convenzione di Ginevradel 1949 vieta ogni misura di intimidazione o di terrorismo ai danni della popolazione interritorio occupato, e più in generale ai danni delle persone che si trovano nelle mani diuna delle parti in conflitto. L’art. 53 della IV Convenzione di Ginevra vieta alla Potenzaoccupante di distruggere proprietà mobili o immobili, siano esse di natura privata o ap-partenenti ad enti pubblici o allo Stato, salvo che tale distruzione sia resa assolutamentenecessaria dalle operazioni militari.

3.14 Principi applicabili ai conflitti armati interni

Gli attacchi diretti contro la popolazione civile sono proibiti dal diritto internazionaleconvenzionale e consuetudinario sia durante i conflitti armati internazionali che durante

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42 La condotta delle ostilità

quelli interni. La prima e fondamentale norma è anche nelle guerre civili quella che im-pone allo Stato come agli insorti di proteggere la popolazione civile dagli effetti delleostilità, rispettando i principi di distinzione e di precauzione. L’art. 13 del II Protocol-lo addizionale del 1977, che ha rango di diritto consuetudinario16, ha contenuto deltutto analogo a quello dell’art. 51 del I Protocollo. Così durante i conflitti interni i ci-vili non possono essere attaccati, non sono consentiti attacchi diretti a terrorizzare lapopolazione civile, non è consentita la presa di ostaggi. Il II Protocollo non contienedisposizioni che impongono di rispettare i beni di carattere civile di tenore analogo al-l’art. 52 del I Protocollo. Tuttavia, l’idea che non si possa distinguere la condotta delleostilità a seconda che si tratti di un conflitto interno o internazionale risale alla Guerracivile spagnola (1936-1939) ed è stata confermata nel 1970 dall’Assemblea Generaledelle Nazioni Unite con la risoluzione 2675 (XXV) già citata. L’art. 16 del II Protocolloprotegge invece i beni culturali e i luoghi di culto. La Convenzione dell’Aja del 1954impone ai contraenti il rispetto delle disposizioni convenzionali che si riferiscono allaprotezione dei beni culturali in caso di conflitto di carattere non internazionale. Altredue norme, l’art. 14 e l’art. 15 del II Protocollo, tutelano i beni necessari alla sopravvi-venza della popolazione civile e impongono precauzioni a beneficio della popolazionecivile negli attacchi condotti contro installazioni che contengono forze pericolose.

L’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra proibisce ogni rappresaglia chesi ponga in contrasto con la regola imprescindibile che impone di trattare le persone cheabbiano partecipato alle ostilità con umanità.

16 Blaskic, Appeals Chamber, par. 159.

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4 Combattenti e civili

4.1 Premessa: le garanzie fondamentali

Combattenti e civili sono entrambe categorie protette dal diritto internazionale umani-tario. I civili lo sono pressoché in ogni circostanza, i combattenti soprattutto (ma nonesclusivamente) quando si trovano hors de combat. I combattenti godono, una voltamessi fuori combattimento, della protezione delle prime tre Convenzioni di Ginevra,come si ricava confrontando l’art. 13 della I Convenzione e l’art. 4 della III; i civili so-no tutelati dalla IV Convenzione. Un combattente è posto hors de combat quando resoincapace di combattere (incapacitated), per effetto di ferite, malattie ovvero perché sot-toposto a misure (efficaci) di coercizione (v. art. 41(2) (c) del I Protocollo). Come vistosopra, le protezioni citate sono integrate dalle norme del I Protocollo. Le persone chenon godono di miglior trattamento secondo le Convenzioni di Ginevra e secondo il Pro-tocollo e che sono in potere di una delle parti in conflitto sono protette dalle disposizionidell’art. 75 del Protocollo medesimo. Si tratta di una norma di diritto consuetudinario,che impone agli Stati un trattamento minimo di umanità per coloro che non godono diun trattamento più favorevole, vale a dire quello riservato a civili o prigionieri di guerra.Il comma 2 riguarda il diritto alla vita e all’integrità fisica e psichica della persona, icommi successivi riguardano le garanzie conosciute nel diritto anglosassone come ha-beas corpus e le garanzie del giusto processo (fair trial). Beneficiari di questa normasono coloro che sono reclusi perché sono coinvolti nelle ostilità o in attività dannosedi cui tratta l’art. 5 della IV Convenzione, ovvero coloro che partecipando direttamentealle ostilità reclamino di avere diritto ad essere trattati da prigionieri di guerra ma chenon abbiano riconosciuto dalla Potenza che li ha catturati tale diritto. Avrebbero dirittoa tale protezione minima anche i mercenari.

4.2 Combattenti legittimi

Durante un conflitto armato si distinguono coloro che portano legittimamente le armi,ossia i combattenti, i non combattenti, che sono coloro che pur facendo parte delle forzearmate non possono partecipare alle ostilità, come il personale sanitario e religioso (v.art. 43 del I Protocollo, che richiama l’art. 33 della III Convenzione di Ginevra) e icivili. I civili che partecipano alle ostilità, non avendone titolo (salvo il caso della levée

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44 Combattenti e civili

en masse, v. supra, sez. 2.1), sono considerati criminali punibili secondo le norme didiritto interno o di diritto internazionale.

Il diritto di guerra classico1 stabilisce chiare distinzioni tra combattenti e non com-battenti, e tra nemico, ossia il combattente legittimo, e criminale, colui che partecipaalle ostilità senza averne titolo. Già in un’opera del 1582 il giurista fiammingo Baltha-zar de Ayala affermava che i provvedimenti presi contro i ribelli non sono atti di guerrama adempimento di una procedura legale, ovvero un procedimento penale2. I combat-tenti legittimi catturati sono prigionieri di guerra. I combattenti illegittimi sono soggettia cattura e detenzione, nonché ad un processo davanti ai tribunali militari interni e aduna sanzione penale per avere illecitamente partecipato alle ostilità:

By universal agreement and practice, the law of war draws a distinction between the armed forcesand the peaceful populations of belligerent nations and also between those who are lawful andunlawful combatants. Lawful combatants are subject to capture and detention as prisoners of warby opposing military forces. Unlawful combatants are likewise subject to capture and detention,but in addition they are subject to trial and punishment by military tribunals for acts which rendertheir belligerency unlawful3..

I combattenti sono coloro che hanno il diritto di partecipare alle ostilità, coloro chesono titolari del privilegio di belligeranza, che toglie agli atti di violenza conformi aldiritto dei conflitti armati la natura di illecito. La partecipazione diretta alle ostilità deicombattenti - purché conforme al diritto dei conflitti armati - non può essere fonte diresponsabilità alcuna. I combattenti esercitano legittimamente la violenza bellica, e nelfarlo non saranno punibili, purché agiscano secondo le norme imposte dal diritto deiconflitti armati. Correlativamente, i combattenti possono essere oggetto di violenza bel-lica per il solo fatto di essere combattenti e fintanto che non sono messi fuori combat-timento (hors de combat). Come visto in precedenza, la persona è fuori combattimentoquando si trova in potere di una Parte avversaria, manifesta chiaramente l’intenzione diarrendersi, o ha perso conoscenza o è comunque in stato di incapacità a causa di feriteo malattia e, di conseguenza, è impossibilitata a difendersi, a condizione che si astengada qualsiasi atto di ostilità e non tenti di evadere.

Vestendo l’uniforme e portando apertamente le armi, i combattenti dichiarano allacontroparte - che potrà farli oggetto di violenza bellica in tutte le circostanze consentitee con le sole limitazioni imposte dal diritto internazionale - il loro status di nemico. Unavolta messi fuori combattimento, se ne potrà impedire l’ulteriore partecipazione al con-flitto attraverso la prigionia di guerra, che non durerà oltre la cessazione delle ostilità,mentre ogni violenza o rappresaglia nei confronti di detti prigionieri sarà bandita.

Per il diritto dell’Aja, che come visto in precedenza rappresenta la prima codifica-zione a livello internazionale dello jus in bello, sono combattenti, o meglio, organi deibelligeranti, i membri dell’esercito, ossia il personale appartenente alle forze regolari diuna delle parti in conflitto (anche se inquadrati in milizie o corpi volontari), nonché imembri delle milizie e dei corpi di volontari non facenti parte dell’esercito ma che:

1 C. Schmitt, Teoria del partigiano (2005), p. 19.2 B. de Ayala, De jure et officiis bellicis et disciplina militari libri III, I, 2, 14, 1582.3 Ex parte Quirin (1942) 317 U.S. 1, 28.

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4.2 Combattenti legittimi 45

1. abbiano alla loro testa una persona responsabile dell’agire dei propri subordinati;2. portino un segno distintivo fisso e riconoscibile a distanza;3. portino apertamente le armi;4. si conformino nella condotta delle operazioni militari alle leggi e agli usi della

guerra.

Alla presenza cumulativa dei quattro requisiti è collegato lo stato di prigioniero diguerra.

L’agire in conformità alle norme del diritto dei conflitti armati è garanzia dell’in-dividuo contro incriminazioni. Ma ancor più determinante è il fatto che le forze irre-golari appartengano ad una delle Parti in conflitto, nel senso che debbono partecipa-re al conflitto a sostegno di una delle parti, alla quale garantiscono la propria lealtà(allegiance):

In fact, the matter of the allegiance of irregular combatants first arose in connection with theGeneva Convention. The Hague Convention of 18 October 1907 did not mention such allegiance,perhaps because of the unimportance of the matter, little use being made of combat units knownas irregular forces, guerrillas, etc., at the beginning of the century4.

In osservanza al divieto di guerre private (v. anche infra, sez. 8.1), gli irregolari sonocombattenti legittimi se sussiste una relazione di dipendenza e lealtà verso una partein conflitto, ciò che qualifica i gruppi di irregolari appunto come appartenenti ad unadelle parti in conflitto, come richiesto dall’art. 4 della III Convenzione di Ginevra, cheintroduce così, accanto alle 4 tradizionalmente previste, una quinta condizione: l’appar-tenenza ad una delle parti in conflitto. I quattro requisiti sopra indicati sono stati dunquemantenuti nella definizione di combattente irregolare contenuta nella III Convenzionedi Ginevra. Nel diritto di Ginevra sono allora combattenti legittimi i membri delle cate-gorie indicate all’art. 4(A) (1) (2) (3) e (6) della III Convenzione di Ginevra del 1949 e,per gli Stati che ne siano parte, all’art. 43 del I Protocollo addizionale del 1977. L’art. 43indica le forze armate come tutte le forze, i gruppi e le unità organizzate al loro internoin modo da rispondere agli ordini di un comando in grado di imporre la disciplina inter-na ed in particolare il rispetto del diritto dei conflitti armati. Dunque sono combattentiin primo luogo i membri delle forze armate, eccetto il personale sanitario e i cappellanimilitari. Sono combattenti regolari anche le milizie e i corpi volontari inquadrati nelleforze armate. Le milizie e i gruppi paramilitari non inquadrati nelle forze armate, e i mo-vimenti di resistenza organizzati, sono combattenti se soddisfano ai 4 requisiti indicatiall’art. 4(A)(2), già previsti dal Regolamento dell’Aja. Questi irregolari sono equiparatialle forze armate regolari e godono dei diritti e delle prerogative di ogni combattenteregolare, incluso il diritto alla prigionia di guerra e il più generale stato di persona pro-tetta dalle Convenzioni di Ginevra (v. art. 13 della I Convenzione). Le Convenzioni diGinevra hanno ampliato così il novero dei combattenti legittimi aggiungendovi colo-ro che sono parti di un movimento di resistenza organizzato. Il riferimento storico è aimovimenti di resistenza attivi durante la Seconda guerra mondiale5.

4 Military Prosecutor v. Kassem, Military Court sitting in Ramallah, April 13, 1969.5 ICRC, Commentary on the III Geneva Convention of 12 August 1949, 1960, p. 49.

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46 Combattenti e civili

La prigionia di guerra riguarda anche coloro che hanno fatto parte delle forze armatedi un Paese poi occupato, e che l’occupante ritienga opportuno internare per ragioni disicurezza delle truppe di occupazione, e coloro che sono stati internati da una Potenzaneutrale.

L’art. 44 del I Protocollo - norma ampiamente discussa e destinata a non divenire maidiritto consuetudinario - ha trasformato i guerriglieri attivi contro l’occupante straniero(con ciò intendendo non le truppe operanti in situazioni di occupatio bellica ma settlers,popolazioni insediatesi in territori ab origine appartenenti ad altre popolazioni) o checombattano una guerra di liberazione nazionale, ovvero che prendano le armi controregimi razzisti (art. 1(4)), in combattenti legittimi, a condizione che soddisfino ad al-cuni requisiti. In tal modo si realizza una regolarizzazione dell’irregolare, che ha comeconseguenza la legittimazione internazionale della guerriglia e il conferimento ai guer-riglieri dello stato di prigioniero di guerra. La norma in esame, come detto, riguarda sologli Stati parti del I Protocollo. Essendo prevista dal I Protocollo si riferisce a conflitti dicarattere internazionale, ampliandone la nozione con l’inserimento appunto delle guerredi liberazione nazionale e di affermazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli.Ha senz’altro al giorno d’oggi limitata applicazione, soprattutto in ragione della mutatasituazione storica. Al momento in cui fu adottata ebbe un impatto dirompente che pro-vocò un irrigidimento in tutti i Paesi, manifestatosi da un lato nella mancata ratifica delI Protocollo, dall’altro nella formulazione di eccezioni e distinguo all’atto della ratifica.Così ad esempio, la Gran Bretagna dichiarò che la situazione di cui all’art. 44 sarebbepotuta verificarsi solo

in occupied territory or in the conflicts referred to in AP I, Art.1(4) and that the word ’deployment’is to be interpreted as meaning ’any movement towards a place from which an attack is to belaunched’.

L’art. 44 del I Protocollo ribadisce alcuni principi fondamentali per poi consentirerilevanti eccezioni. La norma esordisce dicendo che i combattenti, individuati nell’art.43, sono prigionieri di guerra. Lo sono dunque le forze armate (eccettuato il personalesanitario e i cappellani militari) ma anche i gruppi paramilitari e le forze di polizia debi-tamente notificati all’avversario. Le forze armate comprendono anche gruppi e unità diirregolari (non ufficialmente inquadrati nelle forze armate), purchè sotto un comando re-sponsabile in grado di assicurare un regime di disciplina interna che imponga ai membriil rispetto del diritto dei conflitti armati. I combattenti, sempre secondo l’art. 44, devonorispettare il diritto dei conflitti armati, ma se lo violano non perdono il diritto ad essereprigioneri di guerra, per cui (art. 44, comma 2) solo la violazione dell’obbligo di distin-guersi dalla popolazione civile durante un attacco fa venire meno lo stato di prigionierodi guerra. La norma prosegue infatti confermando la validità del principio di distinzioneal fine di proteggere la popolazione civile dagli effetti delle ostilità per poi affermareche vi sono situazioni in cui una deroga a tale principio risulta ammissibile. In sostanzachi agisce in violazione del principio che impone ai combattenti di distinguersi dai ci-vili rimane legittimo combattente purché porti apertamente le armi durante l’ingaggio eimmediatamente prima. In tal modo non potrà essere accusato di perfidia, cioè di avereabusato fraudolentemente della buona fede dell’avversario nascondendo fino all’ultimo

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4.3 Combattenti non privilegiati 47

le proprie intenzioni. Se la simulazione dello stato di civile continua anche nelle circo-stanze indicate, la condotta si configura come perfidia e risulta espressamente proibitadall’art. 37 del I Protocollo. Infine, l’art. 44, al comma 4, dichiara che la violazione deldiritto dei conflitti armati implica la perdita dello stato di prigioniero di guerra; ciono-nostante, colui che commette la violazione rimane titolare del diritto di essere trattatocome fosse un prigioniero di guerra, in particolare in relazione alle garanzie processualinel caso in cui sia processato penalmente per la violazione commessa.

La previsione dell’art. 44 del I Protocollo muta il requisito del comandante responsa-bile in comando responsabile. I combattenti irregolari devono agire sotto un comandoresponsabile, sia esso un individuo o un direttorio, e conformarsi nelle loro operazio-ni al diritto internazionale umanitario. Continua ad esserci il generale obbligo per icombattenti di distinguersi dalla popolazione civile e quello di vestire l’uniforme, cheattribuisce a chi la indossa l’appartenenza al combattimento pubblico tra Stati, ma èpermesso a coloro che non sono membri dell’esercito regolare, non vestono l’uniformee si nascondono tra la popolazione civile, di partecipare legittimamente alle ostilità e, secatturati, di essere prigionieri di guerra. La norma limita il requisito a quando i combat-tenti irregolari sono ingaggiati in combattimento o stanno assumendo il dispositivo perl’attacco, e sono visibili all’avversario. La violazione della regola che impone di por-tare apertamente le armi durante l’attacco o l’assunzione del dispositivo consente alloStato di punire il combattente irregolare catturato, essendo l’uccisione, il ferimento o lacattura dell’avversario ricorrendo alla perfidia un crimine di guerra. La persona incrimi-nata per avere violato il diritto internazionale umanitario non perderà il diritto ad esseretrattata da prigioniero di guerra. Dunque, ai sensi dell’art. 44, il combattente che violal’obbligo di distinguersi dalla popolazione civile perde lo stato di combattente, può es-sere punito penalmente per avere partecipato alle ostilità, risponde di perfidia qualoraabbia causato uccisioni o ferimenti, o abbia catturato dell’avversario, rinuncia ai dirittipropri dei prigionieri di guerra, continua a godere delle garanzie processuali riservate aquesti ultimi qualora la Potenza che lo abbia catturato decida di sottoporlo a processo.

L’art. 44 è norma assai problematica in quanto comporta il rischio che tutti i civilisiano percepiti come potenziali combattenti. Resta poi da valutare il senso delle prescri-zioni di portare apertamente le armi e di indossare un segno distintivo fisso visibile adistanza nei contesti bellici attuali. Sembra infatti che, in tempi caratterizzati da con-flitti asimmetrici dove una delle parti è di norma una congerie di attori non statali, talirequisiti abbiano un senso solo se riferiti ai membri delle forze impegnate in operazionia supporto della pace.

4.3 Combattenti non privilegiati

Coloro che clandestinamente e senza uniforme (sotto falsi pretesti, art. 29 del Regola-mento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907) attraversano le linee nemiche,e operando nella zona controllata dall’avversario cercano di ottenere informazioni utilialle operazioni militari, ossia coloro che sono coinvolti in atti di spionaggio, non hannodiritto ad essere trattati da prigionieri di guerra. Se catturati, sono considerati criminali

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48 Combattenti e civili

e processati di fronte ai tribunali militari interni allo Stato che ne ha subito l’azione. Ildiritto internazionale attuale, innovando sulla tradizione, vieta che la spia possa esserepunita senza processo. Il militare che abbia compiuto un atto di spionaggio e poi siarientrato nelle fila della forza armata di appartenenza, se viene catturato non può esse-re processato per essere stato una spia, e ha, di contro, il diritto ad essere consideratoprigioniero di guerra.

I combattenti nemici, ossia gli appartenenti alle forze armate, che senza l’uniformeattraversino le linee dell’avversario per compiere in territorio da questi controllato atti diguerra, uccidendo o compiendo sabotaggio contro mezzi, materiali o infrastrutture, so-no combattenti non privilegiati. Entrando in territorio controllato dall’avversario senzavestire l’uniforme o altri segni distintivi che ne permettano l’identificazione come mili-tari appartenenti alla parte avversaria - come accaduto di recente in Afghanistan durantel’operazione Enduring Freedom -, gli infiltrati, che normalmente appartengono ad unitàspeciali delle forze armate o ad unità operative dei servizi di intelligence, commettonouna violazione del diritto dei conflitti armati e subiscono la stessa sorte che è riservataai civili che partecipano direttamente alle ostilità, ossia quella di essere processati peravere violato il diritto dei conflitti armati o le norme interne dello Stato che li ha cattura-ti (v. ad es., per l’ordinamento italiano, l’art. 158 c.p.m.g.: Distruzione o sabotaggio diopere o altre cose militari). Per espressa previsione dell’art. 44 del I Protocollo, le forzeregolari (ancorchè impegnate in compiti di lotta non convenzionale) hanno l’obbligo inogni situazione di osservare la pratica (come la chiama la norma) di vestire l’uniforme.

Il sabotaggio condotto vestendo l’uniforme del nemico, quando causa l’uccisione o ilferimento di esseri umani, è un crimine di guerra. Il sabotaggio compiuto vestendo l’u-niforme del proprio esercito è invece un comportamento non punibile come violazionedel diritto bellico, essendo una modalità lecita di condotta delle operazioni militari. Nel1942 (Ex parte Quirin) la Corte suprema americana ha affermato su questo punto che:

Modern warfare is directed at the destruction of enemy war supplies and the implements of theirproduction and transportation quite as much as at the armed forces. Every consideration whichmakes the unlawful belligerent punishable is equally applicable whether his objective is the one orthe other. The law of war cannot rightly treat those agents of enemy armies who enter our territory,armed with explosives intended for the destruction of war industries and supplies, as any theless belligerent enemies than are agent similarly entering for the purpose of destroying fortifiedplaces or our Armed Forces. By passing our boundaries for such purposes without uniform orother emblem signifying their belligerent status, or by discarding that means of identificationafter entry, such enemies become unlawful belligerents subject to trial and punishment.

Ai sensi del I Protocollo addizionale, sono combattenti non privilegiati, vale a di-re combattenti de facto privi di legittimazione internazionale a partecipare alle ostilitàanche i mercenari di cui si tratta nel cap. 8.

4.4 Prigionieri di guerra

Le persone appartenenti alle categorie indicate all’art. 4(A) della III Convenzione diGinevra, che siano cadute in mano di uno Stato di cui non abbiano la nazionalità, sono

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4.4 Prigionieri di guerra 49

prigionieri di guerra. In caso di dubbio sullo status di prigionieri di guerra, le personecatturate godranno della protezione garantita ai prigionieri di guerra fino a che un tri-bunale della Potenza che li ha catturati non abbia altrimenti statuito (v. art. 5 della IIIConvenzione). Per gli Stati che hanno ratificato il I Protocollo, lo stato di prigionierodi guerra della persona catturata che abbia preso parte alle ostilità è presunto (art. 45),fino a contraria determinazione presa da un tribunale della Potenza che ha operato lacattura. La persona catturata a cui sia negato il diritto a essere prigioniero di guerra puòfare istanza affinchè tale diritto gli sia riconosciuto per via giudiziaria. In assenza delriconoscimento, alla persona spettano le garanzie derivanti dall’art. 75 del I Protocollo,norma di diritto consuetudinario.

I prigionieri di guerra godono di uno statuto particolare che ne fa persone protette aisensi della III Convenzione e che impone allo Stato cattore precisi obblighi di salvaguar-dia dei loro diritti umani fondamentali, a cui i prigionieri stessi non possono rinunciare.Sono sempre vietati nei loro confronti gli atti di tortura, i trattamenti inumani e degra-danti, le brutalità di qualsiasi genere e gli attentati alla loro dignità personale, inclusol’esporli alla pubblica curiosità, oltre ad altri atti di coercizione tristemente noti occorsidurante la Seconda guerra mondiale, come il sottoporli ad esperimenti scientifici o ilfarli oggetto di rappresaglia (v. art. 13 della III Convenzione).

Lo stato di prigioniero di guerra è diretta conseguenza del diritto di partecipare alleostilità. Pertanto, l’esercizio di poteri di imperio sui prigionieri di guerra è motivato sol-tanto dal diritto dello Stato cattore di impedire che partecipino nuovamente alle ostilità,ma non potrà incidere sui loro beni primari, cioè la vita e l’integrità fisica. Cosicché,oltre che assicurarne i diritti fondamentali, è fatto divieto di esporli a condizioni di vitache ne compromettano l’integrità psico-fisica, metterne altrimenti a repentaglio la vita,usandoli come scudi umani o tenendoli reclusi non nelle retrovie o in zone comunqueprotette ma nella zona di combattimento. Tali comportamenti costituiscono infrazio-ni gravi ed implicano la responsabilità penale di chi li commette o dà ordine di com-metterli, punibile a titolo di giurisdizione universale da qualunque Stato parte della IIIConvenzione di Ginevra (v. infra, sez. 9.2). Se l’unità che li ha catturati, per ragioni con-tingenti legate a particolari situazioni operative, non è in grado di garantire l’incolumitàai prigionieri, dovrà lasciarli liberi. Se ritiene necessario rinchiuderli, l’internamento(captivity) non potrà assumere i caratteri propri della privazione della libertà riservataai criminali, ma dovrà essere attuato secondo precise modalità, che ne rispettino la di-gnità di combattenti, prima fra tutte il divieto di essere ristretti in strutture carcerarie edi essere internati assieme a delinquenti.

I prigionieri di guerra, durante l’internamento, possono essere adibiti a lavoro (retri-buito e rispettoso delle norme di sicurezza sul lavoro della Potenza detentrice), a duecondizioni: che ciò sia fatto nel loro interesse e che si tengano in debito conto età, ses-so, attitudine e rango. Per stabilire quali siano le attività di lavoro vietate e quali no sidovrà distinguere quelle direttamente connesse alle operazioni militari e quelle che nonlo sono. Inoltre ai prigionieri di guerra rimane garantito, in un certo senso, il diritto al-la fuga, dal momento che ogni tentativo fallito che non comporti attentato all’integritàfisica altrui sarà sanzionato solo come infrazione disciplinare.

La categoria dei prigionieri di guerra sussiste solo in situazioni di conflitto armato

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50 Combattenti e civili

internazionale e coloro che non sono prigionieri di guerra sono civili, non prevedendo ildiritto umanitario terze categorie rispetto a quelle di combattente e civile6. Nei conflittiarmati interni, non esistono prigionieri di guerra ma solo persone private della liber-tà per ragioni legate al conflitto armato («persons deprived of their liberty for reasonsrelated to the armed conflict», art. 5 del II Protocollo). I civili che partecipano alle osti-lità in linea di principio sono criminali (v. infra, sez. 6.1). Come visto in precedenza,l’art. 44 del I Protocollo consente ai combattenti irregolari impegnati in operazioni diguerriglia di godere del trattamento riservato ai prigionieri di guerra anche in violazionedel generale obbligo di distinguersi dalla popolazione civile. Questa norma non sembravalere per i combattenti regolari, i quali sono sempre tenuti a portare apertamente learmi e vestire un segno distintivo riconoscibile a distanza. Le forze regolari, siano esseforze convenzionali o forze speciali, hanno l’obbligo di vestire l’uniforme e di confor-marsi alle altre norme di diritto dei conflitti armati, altrimenti la loro partecipazione alleoperazioni si connota come illegittima.

Sono prigionieri di guerra anche i membri di forze armate regolari non appartenen-ti ad uno dei belligeranti che sottostanno ad un governo o ad un’autorità non ricono-sciuti dalla Potenza detentrice, come le truppe italiane catturate dai tedeschi dopo l’8settembre 1943, alle quali fu negato lo stato di legittimi belligeranti.

I civili non possono essere trattati come prigionieri di guerra e nemmeno altrimentiprivati dei loro diritti e della loro libertà (salvo nel caso in cui abbiano preso parte alleostilità). In territorio occupato possono essere internati, in via del tutto eccezionale,per ragioni legate alla loro sicurezza o alla sicurezza dell’occupante. La condizionedi civile è presunta. Nel caso di dubbio, sarà un tribunale ad accertarne lo stato. Sedovesse risultare una loro diretta partecipazione alle ostilità, potranno essere giudicatipenalmente per avervi illegittimamente partecipato, nel rispetto delle garanzie del giustoprocesso7. Ne consegue che per il diritto internazionale ci sono due classi di personeprotette:

1. i cittadini di ciascuna delle parti in conflitto;

2. l’intera popolazione del territorio occupato (esclusi coloro che hanno la nazionalitàdell’occupante).

Durante i conflitti inter-etnici, per impedire una sostanziale perdita di diritti spettanti al-le persone in potere della parte avversaria, devono considerarsi protette anche le personein potere dell’etnia avversaria, anche se esse hanno la medesima nazionalità delle forzearmate che le hanno catturate. Una persona, in situazioni particolari, può dunque bene-ficiare dello stato di persona protetta nonostante il fatto che abbia la stessa nazionalitàdi coloro che l’hanno catturata.

6 H.C.J. 769/02, The Public Committee Against Torture in Israel v. the Government of Israel, par. 28.7 ICCPR, art. 14-15.

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4.5 Personale sanitario e religioso 51

4.5 Personale sanitario e religioso

Il diritto internazionale umanitario attribuisce grande valore al personale e alle infra-strutture sanitarie. I membri delle unità sanitarie (così come i cappellani militari), puravendo stato di militari ed appartenendo dunque alle forze armate, non sono combatten-ti. Pertanto, quando si trovano in potere della parte avversaria, non sono prigionieri diguerra e, una volta catturati, per regola generale debbono essere senza ritardo restituitialla Potenza cui appartengono. Tuttavia, la Potenza che li ha in suo potere può decide-re di trattenerli per assicurare le cure mediche e spirituali ai prigionieri di guerra chehanno la loro medesima nazionalità. Al personale medico così trattenuto non potrannoessere richieste prestazioni contrarie ai principi deontologici, mentre l’art. 16 della IConvenzione di Ginevra vieta di punire chi abbia svolto attività medica conforme alladeontologia, quali che siano stati i beneficiari e le circostanze dell’intervento.

La nozione di personale sanitario è comprensiva del personale adibito a trasportosanitario o ad attività strumentali al soccorso, anche in via temporanea, e per tutta ladurata dell’incarico. Il personale sanitario ha l’obbligo di distinguersi, usando appositisegni distintivi, di norma una fascia con la croce rossa in campo bianco sul bracciosinistro.

Un regime speciale di protezione (e il divieto di mutarne la destinazione) è assicura-to anche ai luoghi sanitari. Le infrastrutture sanitarie non possono essere attaccate; secatturate dall’avversario, continueranno a svolgere le loro funzioni. La protezione deiluoghi sanitari viene perduta se detti luoghi vengono usati per danneggiare la Potenzaavversaria, ma non prima che sia fatta intimazione affinché si cessi la condotta lesiva. Ilcarattere sanitario delle infrastrutture, delle navi e degli aeromobili è riferito all’effettivosvolgimento di funzioni sanitarie, sia pur temporanee, ma in via esclusiva. La protezio-ne garantita agli apprestamenti sanitari non è dunque assoluta, e viene persa qualora leinfrastrutture sanitarie siano impiegate per scopi non-umanitari, ossia per commettere,al di fuori dei doveri umanitari, atti contro l’avversario. La presenza di armi in dotazio-ne alle unità combattenti all’interno dell’apprestamento sanitario, così come la presenzadi guardie o sentinelle, non sono considerate attività contro l’avversario e dunque nonmutano la natura, e il conseguente statuto di protezione, dei luoghi sanitari.

Durante lo svolgimento delle attività specifiche di prevenzione, trasporto di feriti emalati e loro cura, il personale sanitario può portare armi individuali leggere, al soloscopo di auto-difesa. Il personale sanitario, in quanto personale non-combattente, nonha diritto a partecipare alle ostilità. Partecipandovi rinuncia allo stato di persona protetta.Tuttavia ha il diritto di difendersi se ingiustamente aggredito, onde l’uso della armi daparte del personale sanitario non può essere escluso in modo assoluto.

4.6 Civili al seguito delle forze armate

Gli individui che seguono un esercito senza farne direttamente parte, come i corrispon-denti e i reporter accreditati, e i membri civili di equipaggi in servizio su aeromobilimilitari, ovvero i fornitori di servizi, inclusi coloro che, facendo parte di compagnie

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52 Combattenti e civili

private, forniscono servizi di sicurezza alle forze armate (contractors, v. anche infra,cap. 8), che cadono in potere del nemico, hanno diritto al trattamento dei prigionieri diguerra, purché siano provvisti di una legittimazione dell’autorità militare dell’esercitoche accompagnano (art. 13 del Regolamento dell’Aja e 4(A)(4) della III Convenzionedi Ginevra), formalizzata in un apposito documento d’identità. Appartengono a questacategoria anche i membri degli equipaggi della marina mercantile e dell’aviazione civileche non beneficiano di più favorevole trattamento, con ciò intendendosi il trattamentoprevisto dall’art. 6 della XI Convenzione dell’Aja del 1907 sul diritto di cattura (vedisupra, sez. 3.11), secondo il quale i membri degli equipaggi della marina mercantiledello Stato nemico non saranno fatti prigionieri e dunque subito rilasciati se dichiaranoespressamente per iscritto che non parteciperanno alle ostilità8.

4.7 Norme umanitarie nei conflitti armati interni

Durante i conflitti armati interni si applicano l’art. 3 comune (in ogni circostanza) e il IIProtocollo (nelle situazioni indicate nell’art. 1 e da parte degli Stati che lo abbiano rati-ficato). Entrambe le norme hanno contenuto eminentemente umanitario, servono cioè agarantire una serie di diritti fondamentali minimi alle persone che non partecipano atti-vamente alle ostilità. La funzione del II Protocollo è illustrata nel preambolo, nel qualesono tracciati significativi principi generali e fondamentali linee guida:

The High Contracting Parties ,Recalling that the humanitarian principles enshrined in Article 3 common to the Geneva Con-

ventions of 12 August 1949 constitute the foundation of respect for the human person in cases ofarmed conflict not of an international character,

Recalling furthermore that international instruments relating to human rights offer a basicprotection to the human person,

Emphasizing the need to ensure a better protection for the victims of those armed conflicts,Recalling that, in cases not covered by the law in force, the human person remains under the

protection of the principles of humanity and the dictates of the public conscience,Have agreed . . . (corsivi aggiunti)

Il II Protocollo richiama i principi fondamentali contenuti nell’art. 3 comune e dun-que ne conferma la validità, offrendo una protezione della persona umana più specificarispetto alla protezione di base garantita dagli strumenti di diritto internazionale dei di-ritti umani già in forza (che dunque continuano ad applicarsi, v. infra, cap. 10), in situa-zioni di conflitto armato. I diritti minimi garantiti sono antecendenti alla formulazionedelle norme citate, e perciò inderogabili, come risulta dalla lettera dell’art. 3 comunee dell’art. 4 del Protocollo, laddove si afferma che alcuni atti sono (al momento dellaformulazione della norma, nel 1949) e rimangono proibiti.

L’art. 6 riguarda le garanzie spettanti alle persone preseguite penalmente per delitticommessi in relazione al conflitto armato.

8 Convention (XI) relative to certain Restrictions with regard to the Exercise of the Right of Capture inNaval War. The Hague, 18 October 1907.

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Parte II

Problemi attuali del dirittointernazionale dei conflittiarmati

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5 La perdita dello stato di personaprotetta

5.1 Partecipazione diretta alle ostilità

Il diritto dei conflitti armati non impedisce ai civili di partecipare alle ostilità, ma viricollega conseguenze negative quali la perdita della protezione dalla violenza bellicadeliberata e la possibilità per l’ordinamento dello Stato di sottoporre coloro che parte-cipano direttamente alle ostilità a procedimento penale. La protezione generale daglieffetti delle ostilità garantita ai civili è per così dire sospesa durante il tempo in cui vipartecipano ed in questi casi si configura un diritto di punire gli atti ostili quali delitticontro la personalità dello Stato. Le situazioni in cui la protezione dei civili può esse-re limitata sono dunque ben individuate, e circoscritte a due soli casi. In primo luogo,quando i civili abusano dei loro diritti. In secondo luogo, quando i belligeranti non rie-scono ad evitare danni collaterali, quantunque l’attacco sia diretto a obiettivi militari.Alcune opinioni sostengono che vi sia una terza ipotesi di perdita di stato, rappresentatadai casi in cui lo Stato ricorre alla rappresaglia, ma si è fatto cenno sopra a quale sia laposizione della giurisprudenza internazionale su questo punto. In caso di abuso del lorostato, i civili godranno, come minimo, dei diritti fondamentali indicati all’art. 75 del IProtocollo, norma consuetudinaria che si applica in qualunque situazione, e all’art. 3comune alle Convenzioni di Ginevra.

La partecipazione diretta implica il compimento di atti di guerra, cioè di atti che perloro natura o scopo sono idonei a causare danni alle forze avversarie. Implica dunquela causazione diretta di danno all’avversario e prendere parte diretta significa compiereatti che colpiscono il personale o gli equipaggiamenti delle forze armate nemiche. Suquesto punto gli studiosi di diritto internazionale e la giurisprudenza sono divisi. L’in-terpretazione restrittiva sostiene che accanto a coloro che effettivamente usano armi osistemi d’arma, sarebbe diretta partecipazione solo l’attività operativa diretta all’assun-zione del dispositivo per l’attacco. Riguardo al problema degli attentatori suicidi, cui sifa frequente ricorso nei conflitti asimmetrici, sarebbe legittimo aprire il fuoco contro unindividuo sospettato di celare esplosivo sotto i propri abiti, solo dopo avergli intimato diarrestarsi o aver tentato di dissuaderlo dall’avanzare, tranne nel caso in cui sia evidenteche l’individuo nasconda l’esplosivo e che non vi sia tempo per costringerlo a desistere.Ma chi sostiene un approccio per così dire analitico di questo genere sostiene una mo-dalità piuttosto complessa se riferita ad una situazione operativa, in cui non c’è moltotempo per riflettere. Altri sostengono un approccio estensivo, che si sostanzia nel valu-tare la questione caso per caso e nel comprendere nella partecipazione diretta tutti i casi

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56 La perdita dello stato di persona protetta

dubbi. Un approccio equilibrato è ritenuto essere quello secondo il quale la legittimitàdell’uso della forza letale è legata alla necessità di respingere un attacco imminente,mentre i civili non possono essere oggetto di uso preventivo della forza nè essere ber-sagli oltre il tempo in cui partecipano direttamente alle ostilità. Indubbiamente questasoluzione comporta il rischio del cd. effetto porta girevole, revolving-door, esemplifica-bile come la situazione nella quale civili partecipano alle ostilità in modo regolare macon soluzione di continuità tra un episodio operativo e l’altro.

Per determinare la partecipazione attiva alle ostilità la giurisprudenza penale inter-nazionale ha individuato, quali indizi rilevanti, il modo di comportarsi nella situazionespecifica, il fatto di portare armi, il modo di abbigliarsi o anche l’età e il genere. Essereparte di un gruppo armato è un indizio importante, ma non risolutivo, e la valutazio-ne sulla effettiva partecipazione deve essere condotta caso per caso. Si può dire cosìche la partecipazione diretta si configura prima di tutto come assunzione delle funzionidi combattimento. Oltre alla partecipazione attiva alle operazioni, sono partecipazionediretta lo svolgimento di attività di intelligence a livello tattico-operativo, la pianifi-cazione operativa e l’addestramento dei combattenti. Sono partecipazione indiretta leattività logistiche, la propaganda e il reclutamento, l’intelligence a livello strategico. Unautorevole esperto (Gasser) ha sostenuto che

[c]ivilians who directly carry out a hostile act against the adversary may be resisted by force. Acivilian who kills or takes prisoners, destroys military equipment, or gathers information in thearea of operations may be made the object of attack. The same applies to civilians who operate aweapons system, supervise such operation, or service such equipment1.

Un’altro esperto (Cassese) ha invece sostenuto che

[a] civilian suspected of directly preparing an attack or an hostile act . . . may not be attackedand killed if: . . . (2) he is not carrying arms openly while in the process of engaging in a militaryoperation or in an action preceding a military operation [. . . ] For a belligerent lawfully to fire at acivilian it is necessary that such civilian carries arms openly before and during an armed action;if were not so, belligerents would be authorized to shoot at any civilian, on the mere suspicion oftheir being potential or actual unlawful combatants2.

L’idea attualmente più accreditata si fonda sul concetto di continuous combat function:il diritto dei conflitti armati permette agli organi dello Stato di colpire per mezzo del-la forza letale chiunque partecipi ad un conflitto armato indipendentemente dalla suadislocazione, fintanto che il bersaglio eserciti una funzione di combattimento. Prenden-do direttamente parte alle ostilità, i civili assumono come detto il ruolo o la funzionedi combattenti (continuous combat function), e come tali possono essere oggetto diattacco diretto e finanche individualizzato (targeted killing)3. E’ da escludere che chifaccia uso di armi per legittima difesa, per fronteggiare gruppi armati, perda lo statodi non-combattente per diventare persona che partecipa alle ostilità e dunque bersagliolegittimo al pari di un combattente4.

1 D. Fleck (ed.), The Handbook of Humanitarian Law in Armed Conflict (1995), p. 232.2 A. Cassese, Expert Opinion on whether Israel’s Targeted Killings of Palestinian Terrorists Is Consonant

with International Humanitarian Law, 2003.3 Juan Carlos Abella v. Argentina, par. 178.4 Bagosora, Kabiligi, Ntabakuze and Nsengiyumva, Trial Judgement, par. 2237-40.

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5.1 Partecipazione diretta alle ostilità 57

La protezione garantita dal diritto internazionale è soggetta alla condizione inderoga-bile dell’astenersi dal compiere atti ostili. I civili che partecipano alle ostilità in situazio-ni che non rientrano nella levée en masse sono assimilabili, quanto alle conseguenze delloro agire, alle spie. Pertanto, possono essere processati penalmente dallo Stato che liabbia catturati. Inoltre sono bersagli legittimi. Poiché lo stato di civile non combattenteè presunto, l’attacco è vietato in tutti i casi in cui sia ragionevole dedurre che il poten-ziale bersaglio non sia un combattente. Nel Commentario alle Convenzioni di Ginevrasi sostiene che coloro che cessano di partecipare alle ostilità riprendono lo status di ci-vili, e dunque non possono essere fatti oggetto di attacco. Il belligerante non è dunqueautorizzato ad aprire il fuoco su un civile sulla base del sospetto che si tratti di qualcunoche sia attualmente o potenzialmente un combattente illegittimo, ovvero in base al fattoche egli abbia un tempo partecipato alle ostilità.

Nel caso relativo alle uccisioni mirate (H.C.J. 769/02), il governo israeliano ha so-stenuto che è possibile colpire terroristi ovunque ed in ogni momento, fintanto che nonabbiano deposto le armi e siano usciti dal ciclo della violenza (circle of violence). LaCorte suprema israeliana ha adottato una nozione ampia di diretta partecipazione alleostilità, includendovi all civilians performing the function[s] of combatants. Ha ride-finito l’espressione for such time stabilendo che un civile che sia entrato a far partedell’organizzazione terroristica, che ne ha fatto la sua casa, e che commetta una serie diatti ostili intervallati da brevi periodi di inattività, perde la sua immunità di civile (v. an-che infra, sez. 6.2). L’Alta corte israeliana, nella sentenza citata, ha suddiviso la normadell’art. 51 (3) nelle sue componenti. Riguardo l’espressione hostilities ha ritenuto, ri-producendo la soluzione adottata dal Commentario, che con quell’espressione debbanointendersi atti che

by their nature and purpose are intended to cause actual harm to the personnel and equipment ofthe armed forces.

Circa l’espressione take a direct part, ha suggerito un’interpretazione estensiva, cheinclude tutti gli individui performing the function of combatants, compresi coloro chefanno attività di intelligence, che trasportano i miliziani da e per il teatro dello scontro,coloro che si occupano delle armi impiegate dai miliziani e coloro che hanno la supervi-sione sulle operazioni della guerriglia. In una parola sostiene un approccio funzionalista(functional perspective). Questa nozione è integrata dalla specificazione che le personeche forniscono approvvigionamenti ai combattenti illegittimi sono da considerare comepartecipanti alle ostilità in via indiretta, e dunque non sono bersagli legittimi5.

Un recente studio6 ha individuato la partecipazione diretta alle ostilità in un’azioneche presenza tre caratteristiche strutturali. Un atto si considera partecipazione direttaalle ostilità se: i) viene superata una soglia di danno (threshold of harm), ossia se l’attoincide negativamente sulle altrui operazioni militari e sulla sua capacità militare o sel’atto ha come conseguenza la morte, il ferimento di persone protette o la distruzionebeni protetti; ii) sussiste un nesso causale diretto (direct causation) tra l’atto e il danno;

5 H.C.J. 769/02, par. 30.6 N. Melzer, Interpretive Guidance on the Notion of Direct Participation in Hostilities under International

Law, International Committee of the Red Cross, Geneve, May 2009.

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58 La perdita dello stato di persona protetta

iii) sussiste un nesso di belligeranza (belligerent nexus), ossia se l’atto dannoso è direttoa sostenere una delle parti in conflitto a detrimento dell’altra.

5.2 Partecipazione alle ostilità nei conflitti interni

Gli strumenti che riguardano i conflitti armati interni non fanno menzione della distin-zione tra combattenti e civili, ma fanno riferimento a civili, forze armate e gruppi armatiorganizzati per indicarne gli attori, mentre precisano che titolare delle norme protetti-ve è la persona umana. Ciò rafforza l’idea che non sussistano a norma degli strumentiinternazionali di diritto dei conflitti armati benefici per chi partecipi alle ostilità diversidai diritti minimi che devono essere garantiti alla persona umana e che sono elencatiall’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra. L’art. 3 del II Protocollo espressamentedichiara che il governo ha il diritto a ristabilire e mantenere l’ordine con tutti i mezzilegittimi (secondo il diritto internazionale, dal momento che è lo Stato a potersi dare otogliere limiti di diritto interno).

L’appartenenza ad una delle categorie sopra citate (forze armate dello Stato, civilie gruppi armati) esclude l’appartenenza alle due rimanenti, pertanto un soggetto nonpuò appartenere contestualmente a più di una di esse. Gli strumenti citati non dannotuttavia una definizione di tali categorie. In base all’art. 3 comune alle Convenzioni diGinevra, le parti del conflitto sono attori statali e non-statali, distinti dalla popolazionecivile. I membri dei gruppi armati organizzati sono ritenuti non prendere parte attivaalle ostilità solo nel momento in cui sono posti fuori combattimento o si sono svincolatidalla cosidetta combat function in modo definitivo. Un’interruzione dell’attività opera-tiva non vale, secondo l’opinione prevalente, a restituirli alla categoria dei civili. Nel IIProtocollo il termine forze armate riguarda solo le forze governative (o comunque for-ze armate regolari che operano a sostegno di chi ha formalmente il potere sovrano sulterritorio conteso). Gli attori non statali sono indicati come gruppi armati organizzatioppure come forze armate dissidenti.

I gruppi armati sono tali se riescono ad esprimere un’organizzazione militare suffi-ciente a condurre le ostilità in modo del tutto analogo a una struttura militare istituzio-nalizzata. Vi fanno parte solo coloro che costituiscono l’ala militare (military wing) delgruppo di opposizione. Tale appartenenza può essere frutto di precisa volontà, ovveroinvolontaria, perché coatta oppure perché determinata da meccanismi di appartenenza,ad esempio da relazioni di clan. La membership, e dunque l’adesione al gruppo armatoe la partecipazione alle ostilità dell’affiliato al gruppo armato, non è tale laddove siariconducibile a legami familiari o a costrizione, e necessita dello svolgimento di unacontinuous combat function, ossia di funzioni continue di combattimento, intese comepianificazione, organizzazione, comando e controllo di operazioni militari. Richiededunque un’integrazione duratura nel gruppo armato, che vale a distinguere i membridel gruppo dai civili pacifici ma anche da coloro che partecipano alle ostilità in modoestemporaneo e occasionale, ovvero spontaneo, i quali non appena cessano di porre inessere attività di natura militare riacquistano pieno stato di civili.

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5.2 Partecipazione alle ostilità nei conflitti interni 59

Il diritto dei conflitti armati garantisce ai bambini un particolare status, garantendoloro protezione aggiuntive. Tuttavia è da tener presente che un bambino che partecipidirettamente alle ostilità è un bersaglio legittimo.

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6 La guerra al terrorismo

6.1 La guerra globale contro il terrore

In un saggio del 1962 Carl Schmitt indicava come criteri per l’identificazione del par-tigiano l’irregolarità, l’accresciuta mobilità, l’intensità dell’impegno politico. Ulteriorecarattere distintivo era il suo essere tellurico, il legame del partigiano con la terra, edunque la sua posizione fondamentalmente difensiva. Secondo Schmitt, tuttavia, con ilprogredire della tecnica il partigiano diventava esperto del combattimento clandestino,mentre il suo rapporto con l’avversario si poneva nella dimensione della vera inimici-zia, che attraverso il terrore e le misure anti-terroristiche cresceva fino alla volontà diannientamento. Il carattere tellurico poneva su piani diversi il difensore della propriapatria e l’attivista rivoluzionario, che aveva per campo d’azione il mondo intero1, co-lui che, secondo alcuni, è oggi il nemico da combattere in una guerra globale contro ilterrore.

Il governo americano e alcune corti statunitensi sostengono che gli Stati Uniti stannocombattendo una guerra contro il terrorismo. In una recente audizione al Congresso(febbraio 2013), John Brennan, nuovo direttore della CIA, alla domanda «whether theUnited States is at war with a terrorist organization other than al-Qa’ida and associatedforces» ha risposto «No, but we face threats from terrorist organizations other than al-Qa’ida and associated forces». In un white paper, si afferma che «all targeted killingsof “senior operational leaders” in “al-Qa’ida or its associated forces” take place in thecontext of a global non-international armed conflict (NIAC) and are thus all subject tothe laws of war (IHL)». Si tratterebbe dunque non di un conflitto armato internazionalea norma dell’art. 2 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, in quanto néAl-Qaeda né sue ramificazioni (vere o presunte) sono parti delle Convenzioni di Ginevra- e non potrebbero mai esserlo, perché non sono Stati -, ma non è nemmeno un conflittoarmato non internazionale, perché non si sviluppa sul suolo americano, e dunque nonsi applica nemmeno l’art. 3 comune, che ha come raggio d’azione un conflitto armatoprivo di carattere internazionale che scoppi sul territorio di una delle Alte Parti con-traenti. La Corte suprema ha invece sostenuto che poiché non-internazionale vale perche non coinvolge Stati, nel conflitto con Al-Qaeda, come ad ogni altro conflitto che nonriguardi uno scontro tra entità statali, si applicano le norme protettive contenute nell’art.3 comune alle Convenzioni di Ginevra. L’art. 3, come visto in precedenza, è la normache durante i conflitti non-internazionali stabilisce diritti minimi per le persone che non

1 C. Schmitt, Teoria del partigiano (2005), pp. 21, 33-34 e 47.

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6.1 La guerra globale contro il terrore 61

partecipano attivamente alle ostilità e per coloro che sono hors de combat. Tra questidiritti minimi c’è anche il diritto a non essere condannati (o peggio, giustiziati) senzaprocesso. L’ultima parte della norma indica come proibiti in ogni tempo e in ogni luogo«the passing of sentences and the carrying out of executions without previous judgmentpronounced by a regularly constituted court affording all the judicial guarantees whichare recognized as indispensable by civilized peoples».

Nel giudizio reso nel 2002 dall’Alta Corte israeliana sulla presunta politica israelia-na di uccisioni mirate, il giudice Barak ebbe ad affermare che «the State of Israel isfighting a difficult war against terror», condotta nel rispetto del diritto e con gli stru-menti che la legge mette a disposizione (oltre che sottoposta a scrutinio giudiziario inogni suo aspetto)2. Tra questi strumenti sta l’interpretazione dinamica dell’art. 78 dellaIV Convenzione di Ginevra, il cui scopo è neutralizzare terroristi e living bombs, tramitel’imposizione della residenza forzata o dell’internamento. In un giudizio successivo,

Israel finds itself in the middle of a difficult battle against a furious wave of terrorism. Israel isexercising its right of self defense. See The Charter of the United Nations, art. 513.

Nonostante queste prese di posizione siano sostenute da argomentazioni anche raffi-nate, la realtà è che uno Stato non può essere in guerra con un’organizzazione terrori-stica. Come autorevolmente sostenuto (Wright)

insurgents or native communities, not being recognized states, have no power to convert a state ofpeace into a state of war. So their declaration or recognition of war would have no legal effect4.

Cosicchè, la dichiarazione di guerra lanciata contro gli Stati Uniti e l’Occidente daBin Laden nel 1996 non può essere considerata l’innesco di un conflitto armato. Leguerre sono fatte da Stati, suppongono confini e territori, eserciti regolari e nemici certie riconoscibili5. Secondo Alberico Gentili, la guerra era

publicorum armorum contentio6.

Per potersi parlare di guerra al terrorismo come di una guerra in senso proprio devenegarsi che la guerra sia una relazione da Stato a Stato ed affermare che si tratta di unarelazione tra individui o gruppi. Tale impostazione non è conforme alle norme vigenti.Pertanto, uno Stato può essere in guerra con lo Stato che ha il controllo sui gruppi terro-risti, che potrà essere effective control7 o overall control8, a seconda dell’interpretazionepreferita del legame che intercorre tra lo Stato e gli attori non statali che agiscono persuo conto, oppure una guerra contro lo Stato che permette l’uso del proprio territoriocome base di partenza per il compimento di atti che sono per loro natura criminali, enon atti di belligeranza, e che in taluni casi hanno le caratteristiche proprie dei crimini

2 H.C.J. 7019/02; H.C.J. 7015/02, Ajuri v. IDF Commander, par. 41.3 H.C.J. 4764/04, Physicians for Human Rights v. Commander of the IDF Forces in the Gaza Strip, par. 14.4 Q. Wright, A Study of War (1983), p. 16.5 L. Ferrajoli, Il diritto penale del nemico e la dissoluzione del diritto penale, p. 91, URL:

http//:www.panoptica.org.6 A. Gentili, De iure belli libri tres (1588), a cura di J. Brown Scott (1933), lib. I, cap. I, p. 12.7 Nicaragua v. United States, par. 115.8 Tadic, Trial Judgement, par. 121.

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62 La guerra al terrorismo

contro l’umanità (violazioni gravi dei diritti umani fondamentali costituenti un attaccoesteso o sistematico contro una popolazione civile).

Nello Yemen, fronte caldo della lotta al terrorismo, dove gli Stati Uniti danno la cac-cia al gruppo Al-Qaeda nella penisola arabica, AQAP, ed hanno recentemente uccisocon un’operazione di targeted killing un cittadino americano, il chierico e militante Al-Alwaki, non si tratta tanto di colpire un tentacolo di Al-Qaeda operante nell’area, nelquadro della globale guerra al terrorismo, ma di intervenire in un conflitto armato inter-no che coinvolge il governo dello Yemen e il gruppo armato AQAP che vi si oppone.La legittimità dell’azione americana, sul piano dello jus ad bellum, è il consenso delsovrano territoriale. Rispetto allo jus in bello, la legittimità delle uccisioni mirate, ope-rate di norma tramite drones, aerei comandanti a distanza, dovrà essere accertata sullabase dei principi fondamentali del diritto dei conflitti armati, in particolare i principi didistinzione e proporzionalità. Se di conflitto interno si tratta, va comunque accertato, nelsenso che l’applicazione del diritto internazionale umanitario nella caccia ai militanti diAQAP nello Yemen richiede il superamento della soglia che trasforma una situazione didisordine interno o instabilità in un conflitto armato. Per identificare un conflitto armatointerno è necessario verificare due indicatori: l’intensità dello scontro e l’organizzazio-ne degli insorti, che sono i due fattori che differenziano il conflitto armato stesso dalbanditismo, dall’insurrezione estemporanea e dal terrorismo9.

6.2 Le uccisioni mirate come risposta al terrorismo

Si è appena fatto cenno allo strumento attualmente considerato come il più efficacenella guerra al terrorismo: l’uccisione mirata, targeted killing. Un’uccisione mirata èl’uso della forza militare diretta a colpire in modo letale una persona specificamen-te individuata come minaccia per i cittadini o gli interessi del Paese che ne ordinal’esecuzione:

targeted killings [...] reflect an administrative decision, a deliberate choice of means of warfare inresponse to attacks against Israelis in the context of the al-Aqsa Intifada.

Nel quadro di un conflitto armato, sia esso interno o internazionale, la liceità dell’uc-cisione mirata è legata alla partecipazione diretta del bersaglio alle ostilità. I criteri daadottare saranno il principi di distinzione, proporzionalità e precauzione, quest’ultimodiretto a ridurre al minimo il danno collaterale. Al di fuori di tali ipotesi, applicandosiil diritto internazionale dei diritti umani (e il diritto penale dello Stato in cui l’azioneha da svolgersi), per potere adottare una simile soluzione letale deve sussistere il peri-colo di un danno grave all’integrità fisica di una o più persone non altrimenti gestibile.L’uccisione risulta dunque una risorsa estrema, da adottare in una situazione di pubblicadifesa dalla violenza illegale. Uno dei problemi fondamentali è dato dal fatto che è l’attoterroristico a fare il terrorista, nel senso che lo status di terrorista non è altrimenti veri-ficabile che con il coinvolgimento in specifici atti diretti a colpire i civili per costringeregoverni e entità governative ad adottare o non adottare determinati corsi d’azione. Il che9 Tadic, Trial Judgment, par. 562.

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6.2 Le uccisioni mirate come risposta al terrorismo 63

riduce di molto le possibilità di intervento preventivo e rende arbitrario l’uso della forzain tutte le situazioni in cui il coinvolgimento nell’attività terroristica è solo presumibile.

Nel quadro di un conflitto armato, il terrorismo è una modalità di lotta. Se il conflit-to armato è internazionale e il bersaglio è rappresentato dalle forze armate avversarie,l’unica fonte di illegittimità dell’attacco sarà la perfidia. In un conflitto armato interno,l’atto terroristico è partecipazione del terrorista alle ostilità, ossia un atto criminoso cheespone il civile che lo commette (o che sta per commetterlo) alla violenza bellica delgoverno legittimo. Al di fuori di un conflitto armato, l’atto terroristico è un comporta-mento criminale, e il terrorista sarà trattato da criminale, ma nel rispetto del diritto deidiritti umani, che vieta le esecuzioni sommarie e permette l’uso della forza letale solocome extrema ratio. Sin dal 2002 gli Stati Uniti conducono una campagna di uccisionimirate, che riguardano sia aree in cui sono in corso conflitti armati, come l’Afghanistan,sia zone che non possono considerarsi di guerra, anche se caratterizzate da grave insta-bilità ovvero dall’essere Stati falliti che i bersagli usano come safe havens. I terroristi,veri o presunti, sono inseriti in una sorta di lista di proscrizione, una kill list, ovvero inuna JPEL, acronimo per joint prioritised effects list10. Nella sua decisione del dicem-bre 2006 la Corte Suprema israeliana ha sostenuto l’impossibilità di determinare unavolta per sempre se gli attacchi preventivi diretti contro individui a capo della SecondaIntifada, oggetto della controversia sollevata da un gruppo di ONG contro una asseritapolitica di uccisioni mirate del governo israeliano, siano o meno illegali, dichiarandoche il nocciolo della questione sta piuttosto nello stabilire se le norme consuetudinarieche regolano la condotta delle ostilità consentano o meno attacchi preventivi del generein discussione.

Il governo israeliano ha affermato la legittimità delle uccisioni mirate in quanto con-formi alle norme sui conflitti armati internazionali. Le ONG intervenute in causa hannoinvece chiesto l’adozione di un modello law enforcement basato essenzialmente sullenorme internazionali di tutela dei diritti fondamentali e sull’idea che i terroristi, in luo-go di essere uccisi, debbano essere arrestati e processati penalmente. Questa posizioneè stata ovviamente quella assunta dai ricorrenti, secondo i quali la liceità dell’uccisionedi persone individuate (specific individuals) è materia di law enforcement, governatanon dal diritto internazionale umanitario ma dagli strumenti di tutela dei diritti umani edalle norme di diritto penale. Tale posizione è peraltro difficile da combinare con l’opi-nione largamente diffusa che la situazione nei Territori Occupati sia da gestire secondole norme della IV Convenzione di Ginevra, sulla protezione dei civili in tempo di guerrae in tutti i casi di occupazione militare di un territorio. Indubbiamente la Convenzio-ne riguarda situazioni di conflitto armato internazionale, nel quale l’impiego dei mezzimilitari per fronteggiare un’aggressione è perfettamente legittimo. David Kretzmer so-stiene che si dovrebbe pensare ad una terza via e suggerisce di adottare un approccioche combini fra loro i due modelli conflitto armato e law enforcement.

Assumendo il modello law enforcement, lo Stato è obbligato a rispettare e far ri-spettare il diritto alla vita di ciascun individuo che rientri nella sua giurisdizione e ad

10 N. Davies, Afghanistan war logs: Task Force 373 - special forces hunting top Taliban, The Guardian,Sunday 25 July 2010.

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64 La guerra al terrorismo

assicurargli le garanzie del giusto processo (fair trial e due process of law). Ogni usodella forza letale dovrà essere rispettoso delle norme che garantiscono il diritto alla vi-ta e all’incolumità fisica. Ogni deviazione da queste disposizioni costituirà un caso diesecuzione extra-giudiziale (extra-judicial killing), dal momento che l’uccisione può ra-gionevolmente essere considerata il risultato di una politica diretta ad eliminare personespecificamente individuate invece di trarle in arresto e processarle.

Nel sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) la privazio-ne della vita umana non rappresenta una violazione della Convenzione se è il risultatodi una violenza assolutamente necessaria a proteggere individui sotto minaccia. L’e-spressione usata, threatened persons, implica un pericolo incombente. L’imminenza delpericolo è parte del test di necessità. Per chiarire questo punto, è utile richiamare lafrase pronunciata dal Segretario di Stato americano Daniel Webster già citato in prece-denza, secondo il quale la legittimità di un attacco preventivo è legata ad una minacciainstant, overwhelming, leaving no choice of means and no moment for deliberation. Dalmomento che è difficile sostenere che si possa colpire un presunto terrorista senza l’as-sistenza di collaboratori sul campo e delle necessarie informazioni, è altrettanto difficilenegare che un’uccisione mirata non implichi un rilevante grado di preparazione, il cherende difficile conciliare un episodio di uccisione mirata con la formula appena indi-cata. I terroristi così individuati dovrebbero essere arrestati e processati. In McCann lamaggioranza dei giudici ha sostenuto che mentre i militari non avevano agito in viola-zione della Convenzione aprendo il fuoco sui sospetti, i loro supervisori, nel pianificarel’operazione, non avevano tenuto in debito conto la possibilità di usare mezzi e metodialternativi, che avrebbero permesso la cattura dei sospetti.

In un Report on Terrorism and Human Rights, la Commissione inter-americana deidiritti dell’uomo ha precisato che uno Stato non può usare la forza letale contro civili,a meno che questi non costituiscano una minaccia concreta e attuale, e che lo Statodeve aver cura di fare una distinzione tra i civili e coloro che costituiscono la minaccia,colpendoli soltanto se è in grado di colpirli senza mettere a rischio la vita dei civilipacifici. Diversamente la forza letale non si può usare.

Un gruppo di esperti riunitosi a Ginevra in un meeting sulla protezione del diritto allavita durante i conflitti armati ha fatto riferimento alla nozione di calm occupation, persostenere che le forze occupanti debbono tentare anzitutto di arrestare coloro che costi-tuiscano una minaccia, sottolineando che le uccisioni mirate possono essere giustificatesolo se si adotta il modello armed conflict. Con riferimento all’area A dei Territori Pale-stinesi occupati, un esperto ha osservato che l’applicazione delle norme sui diritti umanicrea in quella situazione un vero e proprio dilemma, in quanto entrambi i modelli vi siadattano, ma solo parzialmente. Un altro esperto ha notato che il Regolamento annessoalla IV Convenzione dell’Aja del 1907 distingue chiaramente tra regole sulla condottadelle ostilità (Sezione II) e regole sull’occupazione militare (Sezione III), arguendo chetale distinzione implica che il diritto applicabile alle situazioni di occupazione, inclusele norme che consentono l’uso della forza, siano altre rispetto a quelle che regolano lacondotta delle ostilità. Dal punto di vista dello Stato di Israele, che subisce l’attacco deiterroristi, entrambi i modelli sono insoddisfacenti. Kretzmer aveva suggerito (prima cheSharon desse ordine di lasciare definitivamente Gaza) un regime giuridico differenziato

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6.2 Le uccisioni mirate come risposta al terrorismo 65

per le diverse aree sotto controllo israeliano, vale a dire l’applicazione del modello lawenforcement in Giudea e Samaria, del modello armed conflict nella Striscia di Gaza.Tale modello è stato effettivamente adottato nell’operazione Cast Lead, ma non nel pie-no rispetto dei principi di necessità, proporzionalità e distinzione, con il corrispettivodivieto di attacchi indiscriminati.

Se si adotta il modello law enforcement le operazioni condotte dai terroristi ai dannidell’esercito israeliano sono violazione della legge penale. Se si adotta il modello ar-med conflict sono partecipazione diretta alle ostilità di civili, i quali, partecipando alleostilità senza averne titolo, sono attaccabili ovvero punibili. Se vi fosse la possibilità diprocedere alla cattura piuttosto che ricorrere alla forza letale, la prima opzione dovrebbeessere preferibile anche nel caso di chi partecipi direttamente alle ostilità.

La questione delle uccisioni mirate è altamente problematica e rimane aperta, se nonaltro perché, come osservato dall’ex direttore della CIA,

Right now, there isn’t a government on the planet that agrees with our legal rationale for theseoperations, except for Afghanistan and maybe Israel11.

In relazione alla uccisioni mirate operate tramite velivoli senza pilota, il governo de-gli Stati Uniti adotta sempre più spesso una pratica o una tattica denominata signaturestrike (termine opposto a personality strike): il bersaglio viene colpito non sulla base didati precisi circa la sua identità ma sulla base di alcuni, per così dire, marcatori (signatu-re) che fanno presumere che si tratti di un bersaglio lecito. Il trovarsi in un determinatoluogo in determinato momento, uno specifico comportamento, il trovarsi in compagniao avere contatti con altri soggetti vengono adottati come indicatori di partecipazione al-le ostilità che trasformano il soggetto non altrimenti identificato in un obiettivo militaree dunque (sempreché ciò avvenga nel quadro di un conflitto armato) in un bersagliolegittimo. La liceità di questo tipo di azioni non è affatto pacifica, non fosse altro per-ché l’art. 50 del I Protocollo stabilisce che è considerata civile ogni persona che nonappartiene a una delle categorie indicate nell’articolo 4 A (1), (2), (3) e (6) della IIIConvenzione, e nell’articolo 43 del I Protocollo e che, soprattutto, in caso di dubbio, lapersona sarà considerata civile. In linea di principio, come visto in precedenza, qualo-ra la status di persona protetta sia dubbio, prevale la risposta positiva fintanto che nonsia determinato altrimenti, mentre il generale principio di precauzione (supra, sez. 3.6)impone a chi pianifica l’operazione di acquisire ulteriori informazioni. Il Tribunale perla ex-Jugoslavia ha sostenuto che determinare la partecipazione alle ostilità e il conse-guente diritto di chi non vi partecipa attivamente ad essere considerato persona protettaè un’operazione che va condotta caso per caso:

The Trial Chamber considers that relevant factors in this respect include the activity, whether ornot the victim was carrying weapons, clothing, age and gender of the victims at the time of thecrime. While membership of the armed forces can be a strong indication that the victim is directlyparticipating in the hostilities, it is not an indicator which in and of itself is sufficient to establishthis. Whether a person did or did not enjoy protection of Common Article 3 has to be determinedon a case-by-case basis12.

11 D. McManus, Who reviews the U.S. ’kill list’?, L. A. Times, February 5, 2012.http://articles.latimes.com/2012/feb/05.

12 Halilovic, Trial Judgement, par. 33-34.

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66 La guerra al terrorismo

In Galic la Camera di prima istanza

understands that a person shall not be made the object of attack when it is not reasonable tobelieve, in the circumstances of the person contemplating the attack, including the informationavailable to the latter, that the potential target is a combatant13.

I documenti operativi della NATO in riferimento alle operazioni di ISAF, la forzainternazionale operante in Afghanistan a sostegno del governo di Karzai, e le relativeregole di ingaggio, contengono la definizione di cosa debba intendersi per atto ostile edintento ostile. In entrambi i casi si tratta di atti/atteggiamenti che non possono qualificar-si come attacchi, rispetto ai quali è sempre ammesso l’uso della forza, come eserciziopiù che di un diritto di belligeranza, del più generale diritto alla legittima difesa propriao di altri (cd. soccorso difensivo). Così ad esempio un intento ostile (diverso da un at-tacco in corso o imminente) è a likely and identifiable threat; tale minaccia, che comedetto consente di usare la forza, è riconoscibile da

• capability and preparedness of individuals, groups of personnel or units which posea threat to inflict damage and,

• evidence, including intelligence, which indicates an intention to attack or otherwiseinflict damage.

Gli stessi documenti precisano che

The weight of evidence and intelligence indicating intention to attack or otherwise inflict damagemust demonstrate a clear and substantial threat. Isolated acts of harassment, without intelligen-ce or other information indicating an intention to attack or otherwise inflict damage, will notnormally be considered hostile intent.

Sono invece considerati atti ostili (diversi da un attacco in corso o imminente) giustifi-canti l’impiego della forza letale la posa di ordigni esplosivi o il tentativo di penetrareall’interno di basi militari.

In rapporto all’impiego di sistemi armi comandati a distanza crescono le preoccupa-zioni, sia in ambito accademico che, soprattutto, tra i gruppi a difesa dei diritti umanicirca il possibile passaggio ad una completa automazione. Il Dipartimento della Difesaamericano ha di recente emanato una direttiva secondo la quale la decisione di impiega-re la forza deve essere sempre una decisione umana e a tal fine i sistemi d’arma devonoessere verificati, sia sotto il profilo hardware che software, in modo che non vi pos-sano essere scostamenti non voluti e perdita di controllo. Inoltre secondo la direttiva«Persons who authorize the use of, direct the use of, or operate autonomous and semi-autonomous weapon systems must do so with appropriate care and in accordance withthe aw of war, applicable treaties, weapon system safety rules, and applicable rules ofengagement (ROE)»14.

13 Galic, Trial Judgement, par. 50.14 DoD Directive, Autonomy of Weapon Systems, 3000.09, November 21, 2012.

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7 L’uso della forza a supporto dellapace

7.1 Peace-keeping e peace-enforcement

In considerazione della mancata attuazione degli artt. 43-47 della Carta delle NazioniUnite, che avrebbe permesso al Consiglio di Sicurezza di gestire le crisi internazionaliimpiegando direttamente contingenti militari messi a sua disposizione dai Paesi membridell’Organizzazione, l’attuazione di operazioni coercitive per conto delle Nazioni Uniteè avvenuta tramite la concessione di un’autorizzazione (per mezzo di una o più risolu-zioni) ad una coalizione di Stati o a un’organizzazione internazionale ad impiegare tuttii mezzi necessari (all necessary means) per ottenere l’osservanza della volontà espressadal Consiglio di Sicurezza; oppure, gli Stati hanno messo a disposizione delle Nazio-ni Unite in via temporanea propri contingenti nazionali, che sono stati posti sotto laresponsabilità del Segretario Generale, ma rispetto ai quali gli Stati di invio hanno man-tenuto significativi poteri di gestione diretta. Le operazioni coercitive sono quelle che laCorte internazionale di giustizia ha individuato nel titolo del cap. VII della Carta1.

Durante la condotta di missioni sotto responsabilità del Segretario Generale, alleforze sotto egida delle NU, se ingaggiate in combattimento, si applicano le regole ei principi di diritto internazionale umanitario contenuti in un documento denominatoSecretary-General’s Bulletin: Observance by United Nations Forces of InternationalHumanitarian Law2. Le norme richiamate nel Bollettino riguardano la protezione deicivili, i mezzi e metodi di combattimento, il trattamento delle persone detenute, la pro-tezione del personale sanitario e dei feriti. Si tratta di disposizioni ormai consideratediritto consuetudinario. Tali regole e principi non rimpiazzano le leggi nazionali da cuiil personale militare rimane vincolato durante le operazioni.

Al momento della costituzione della forza internazionale, è solitamente inserita negliaccordi la formula secondo la quale le forze messe a disposizione delle Nazioni Uniteosserveranno i principi e lo spirito delle convenzioni internazionali applicabili alla con-dotta del personale militare. Le convenzioni in parola sarebbero quelle alle quali nellacomunità internazionale è dato ampio seguito, vale a dire, oltre a quelle citate sopra,anche i Protocolli addizionali alle Convenzioni di Ginevra dell’8 giugno 1977. Secondola sezione 1 del Bollettino, le norme e i principi ivi contenuti si applicano, oltre che nelcaso di conflitto armato, anche nell’ipotesi di azioni coercitive condotte nel quadro dioperazioni di peace-keeping, e si rileva espressamente al punto 2 che fintanto che le Na-

1 Certain expenses of the United Nations, I. C. J. Rep., 1962.2 ST/SGB/1999/13, 6 August 1999.

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68 L’uso della forza a supporto della pace

zioni Unite hanno diritto alla protezione concessa ai civili dalle norme di diritto bellico,mantengono lo stato di non-combattenti.

In ordine a violazioni del diritto internazionale umanitario, le Nazioni Unite sonoresponsabili per il risarcimento dei danni non giustificati da necessità militare, con pos-sibilità di rivalersi contro il contingente nazionale nel caso di manifesta negligenza ocondotta criminale volontaria. Alcuni studiosi distinguono nell’attività della forza unpiano istituzionale, in cui comprendere tutte le attività effettivamente collegate al man-tenimento della pace e della sicurezza internazionale, comprensive delle attività combat-related, e quelle più propriamente strumentali, amministrative o collaterali, che accom-pagnano lo stazionamento della forza nel teatro delle operazioni. L’Organizzazione e ilcomando di contingente esercitano un controllo simultaneo3. Nel caso in cui vi sianostate attività ultra vires, eccedenti quindi i limiti del mandato, ovvero contravvenzionead ordini ricevuti, viene coinvolto lo Stato al quale appartiene l’organo, qualora sia pos-sibile stabilire un nesso tra la violazione e precise direttive originate da organi nazionali.Il criterio per l’imputazione degli atti ultra vires è ancora una volta quello del controlloeffettivo. Ciò implica una verifica della compatibilità delle norme di dettaglio ricevutee applicate dal comandante sul campo per il tramite della catena di comando, con ladirettiva stabilita dall’Organizzazione. In caso di interferenza di organi nazionali nelledirettive che il comandante del contingente è chiamato ad applicare, in base al principiodi effettività, il contingente non può essere considerato agire come organo delle Na-zioni Unite. Altre forme di responsabilità in capo allo Stato che fornisce il contingentemilitare potrebbero discendere dall’obbligo contenuto negli atti delle Nazioni Unite diprovvedere in ambito nazionale all’istruzione dei contingenti nazionali sulle leggi e gliusi di guerra prima che l’unità lasci il territorio nazionale.

Un secondo ordine di operazioni sotto egida delle Nazioni Unite sono condotte suautorizzazione del Consiglio di Sicurezza non da truppe messe a disposizione del Se-gretario Generale, ma da contingenti multinazionali forniti da coalizioni di Stati o daorganizzazioni regionali. In questo caso la forza non dipende dalle Nazioni Unite e dun-que non può essere considerata organo ausiliario ai sensi dell’art. 24 della Carta. Nelcaso in cui la forza multinazionale si trovi ad operare sul territorio controllato da unoStato sovrano in regime di effettività di poteri, i poteri attribuiti alla forza si configuranocome concessioni del sovrano territoriale, titolare della pienezza del potere di imperio.

Ad alcune di queste operazioni sotto mandato ONU si attaglia un modello di rego-lamentazione dell’uso della forza di tipo Law Enforcement, cioè una sorta di attività dipolizia rafforzata, condotta da forze internazionali. In altre operazioni, alle forze dellacoalizione è consentita la possibilità di lanciare operazioni offensive su vasta scala. Intal caso, l’operazione richiede un modello di regolamentazione della forza di tipo ArmedConflict, con pieno dispiegarsi delle norme che regolano la condotta delle ostilità. Nelcaso in cui la coalizione intervenga a sostegno di un governo impegnato in un conflittoarmato interno, l’ambiguità sul regime giuridico applicabile alle forze della coalizioneviene risolta adottando una policy che richiede alle truppe degli Stati facenti parti dellacoalizione di applicare oltre all’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra e al diritto

3 V. UN doc. A/51/389.

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7.1 Peace-keeping e peace-enforcement 69

consuetudinario, ogni altra norma di diritto umanitario rispondente alla situazione chesia contenuta in strumenti da essi ratificati, anche se riferita a situazioni di conflittoarmato internazionale. Nulla osta, in ogni caso, alla piena applicazione delle norme bel-liche del caso, anche a situazioni incerte; si potrebbe addirittura parlare di un obbligodi applicazione, in quanto la finalità di dette norme è umanitaria, vale a dire diretta aproteggere le vittime dei conflitti armati, prima ancora che le parti in lotta.

La missione NATO in Afghanistan rappresenta un’operazione di peace-enforcementautorizzata dal Consiglio di Sicurezza (con cadenza annuale; attualmente dalla ris. n.2069 (2012)), legittimata da tale autorizzazione e dal consenso del sovrano territoriale,cioè del governo afghano, estesa a tutto il territorio (ris. n. 1510 (2003)), e condottain cooperazione con l’operazione Enduring Freedom a guida statunitense (impegnatain Afghanistan in operazioni contro-terrorismo). La direzione politica della missione aguida NATO spetta al Consiglio Atlantico (North Atlantic Council, NAC), che decideper consensus, ossia con il diretto coinvolgimento e l’approvazione di tutti i governi chesono parte dell’Organizzazione e che abbiano messo a disposizione le proprie truppe(Troop contributing nations, TCN). Spetta al NAC la decisione sulle regole di ingaggioda applicare durante la missione, così come la loro implementazione e la loro modifica(v. infra, sez. 7.2).

Nella risoluzione con la quale il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha rinno-vato il mandato della forza internazionale di sicurezza in Afghanistan (ISAF), si leggein due distinti paragrafi, che la Forza deve

to continue to undertake enhanced efforts to prevent civilian casualties, including the increasedfocus on protecting the Afghan population as a central element of the mission. . . conducting continuous reviews of tactics and procedures and after-action reviews and inve-stigations in cooperation with the Afghan Government in cases where civilian casualties haveoccurred4.

La NATO, in attuazione del mandato di ISAF, opera in Afghanistan secondo un’ideadi contaminazione tra attività di polizia e attività di combattimento, che tenga altresìconto della necessità di adottare rigide procedure di force escalation. Una sorta di qua-dro di riferimento a geometria variabile, nel quale l’uso della forza in chiave offensivaè consentito, ma solo laddove misure normalmente catalogate come law enforcementdovessero dimostrarsi inadeguate. Il livello di forza permesso è sempre quello minimo(il che non esclude che si possa passare direttamente all’uso della forza letale) per fron-teggiare un attacco o una minaccia di attacco imminente. La NATO afferma il dirittonaturale alla legittima difesa dei militari appartenenti ai contingenti della coalizione,impone loro di tenere un profilo basso e di controllare per quanto possibile la situazionesenza usare la forza, adottando procedure atte ad ottenere la desistenza dell’avversario,che possono essere segnali visivi e audio, tiri di razzi da segnalazione, fuoco d’avver-timento. Nonostante le linee guida volute dalla NATO, comunque, in questa come intutte le altre operazioni multinazionali, le leggi dello Stato della bandiera sono al primoposto nel quadro giuridico di riferimento della missione, soprattutto in relazione alleconseguenze penali derivanti dall’uso della forza.

4 V. S/RES/2069 (2012), p. 5.

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70 L’uso della forza a supporto della pace

Durante la missione, war-like conditions non sono escluse. Nella condotta di opera-zioni offensive le forze NATO si atterranno ai principi fondamentali del diritto interna-zionale dei conflitti armati. Le autorità militari cureranno di impartire al personale mili-tare istruzioni di dettaglio sull’impiego della forza armata e di altri mezzi di coercizione,chiamate regole di ingaggio (ROE).

7.2 Le regole di ingaggio

Le regole di ingaggio sono autorizzazioni ad usare la forza in situazioni diverse dallalegittima difesa, ossia strumenti attraverso i quali il vertice politico impone un controllo,per ragioni politiche ed operative, sull’impiego della forza militare, incluse le circostan-ze in cui è consentito l’uso o la minaccia della forza armata. In linea generale, lo scopoè quello di assicurare l’assolvimento del compito e contestualmente la protezione dellaforza.

Le ROE sono direttive imposte da autorità militari. In quanto tali non possono con-tenere norme giustificative di comportamenti illegali, né sollevare i comandanti dallaloro responsabilità di comando. Sono adottate in relazione ad un particolare impiego,possono mutare, ma devono essere fondate sul diritto bellico. Hanno lo scopo di meglioprecisare i contenuti del diritto dei conflitti armati e di facilitarne la messa in praticadurante le operazioni:

According to the humanitarian principles of international law, military activities require the fol-lowing: First, that the rules of conduct be taught to, and that they be internalized by, all combatsoldiers, from the Chief of General Staff down to new recruits. [... ] Second, that procedures bedrawn up that allow implementation of these rules, and which allow them to be put into practiceduring combat5.

Le ROE partecipano di considerazioni politiche, giuridiche e militari, e nelle ope-razioni multinazionali sono particolarmente problematiche. Dovendo essere in accordocon il diritto internazionale, la natura della missione è particolarmente rilevante. L’u-so della forza subisce le limitazioni di volta in volta imposte dal diritto internazionale,comprensivo della Carta delle Nazioni Unite, dalle leggi nazionali, da accordi con lahost nation, dal piano della missione, e nelle operazioni multinazionali, dalle ROE dialtre nazioni partecipanti, oltre che dalle risoluzioni degli organismi internazionali.

Che il militare abbia impartite delle regole di ingaggio è pressoché indispensabile insituazioni a bassa intensità - come durante le operazioni di peace-keeping - o in altricontesti in cui l’uso della forza rappresenta un’eventualità - come ad esempio durante leoperazioni di pattugliamento del golfo di Aden da parte di unità della NATO per preve-nire atti di pirateria. Nel primo caso il contesto operativo è sostanzialmente pacificato,e dunque l’uso della forza da parte delle forze internazionali deve essere strettamentelimitato all’auto-difesa personale. Nel secondo caso potremmo parlare di operazioni dipolizia marittima internazionale, ed anche in questo caso un approccio restrittivo al-l’impiego di mezzi coercitivi appare doveroso. Diverso è il caso delle operazioni in

5 H.C.J. 4764/04, Physicians for Human Rights v. Commander of the IDF Forces in the Gaza Strip, par. 66.

Page 77: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

7.2 Le regole di ingaggio 71

Afghanistan, dove è in corso un conflitto armato interno che vede il governo impegnatoa fronteggiare, con l’aiuto della comunità internazionale rappresentata dalla forza multi-nazionale ISAF, una galassia di gruppi armati, più o meno organizzati, molti dei quali ingrado di condurre vere e proprie operazioni militari. In simili contesti operativi, le rego-le di ingaggio non avrebbero di per sé grande rilevanza. I militari di ISAF, nel difendersidagli attacchi degli insorti, esercitano non un diritto imprescindibile alla legittima dife-sa propria e della propria unità, ma i loro legittimi diritti di belligeranza, regolamentatidal diritto dei conflitti armati. Gli insorti sono infatti civili, che nell’attaccare le forzesotto mandato internazionale partecipano direttamente ad ostilità dirette a destabilizza-re il legittimo governo del Paese, rinunciando in tal modo alla protezione che il dirittointernazionale riserva loro in quanto civili. Partecipando alle ostilità diventano bersaglilegittimi per tutto il tempo in cui vi partecipano, e dunque sono oggetto di legittimaviolenza bellica da parte delle forze delle coalizione, la quale violenza potrà assumerela forma e l’intensità richieste nella situazione specifica, con il solo limite rappresentatodalle norme e dai principi di diritto internazionale umanitario.

Le restrizioni all’uso della forza in circostanze diverse dalla legittima difesa, dettateappunto da regole di ingaggio, dipendono dall’indirizzo politico che si è inteso darealla missione, ma il core, il nocciolo, della disciplina del fuoco è stabilito dal diritto deiconflitti armati. Le regole di ingaggio valide per le operazioni sotto comando NATO,che ad oggi (2012) riguardano diversi teatri (Afghanistan, Kosovo, Golfo di Aden) edimpegnano significativi contingenti multinazionali, sono catalogate in un compendioemanato nel 2003, prodotto a seguito di una decisione del Consiglio Atlantico (NAC).Il documento è denominato MC 362/l, NATO Rules of Engagement, e istituisce uno«Standing Multinational ROE System».

Le regole di ingaggio non limitano il diritto di usare la forza in legittima difesa, el’esercizio di tale diritto rimane regolato dalla norme dell’ordinamento dello Stato a cuiappartiene il contingente sotto comando NATO. Comuni sono i requisiti di necessità(extrema ratio) e proporzionalità (forza minima necessaria) della reazione armata, davalutare in funzione dell’attacco subito o della minaccia, che deve essere una minacciaimminente. Una volta autorizzate, le ROE sono implementate in un ordine di opera-zioni. Eventuali restrizioni di carattere politico o giuridico, ovvero di capacità, sonocomunicate al comandante NATO in forma di national caveats. Ai governi che invianoi contingenti spetta di rendere le ROE operative a livello di contingente nazionale e aprovvedere ciascun militare del contingente con una loro versione in forma sintetica(cd. ROE card).

Una questione cruciale in termini di regole di ingaggio è quella della detenzione dipersonale estraneo alla forza dispiegata sul terreno. Le ROE di ISAF autorizzano, co-me misura temporanea, la detenzione di «Non-ISAF personnel». Si tratta di un ambitoalquanto delicato, soprattutto per i Paesi membri del Consiglio d’Europa, costretti danorme molto rigide derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dallagiurisprudenza della Corte di Strasburgo, prima fra tutte quella che impone il divieto diconsegnare o estradare i detenuti ad altri Stati quando vi sia il rischio per il detenutodi subire tortura. Il rilascio ad un altro Stato è ammesso soltanto se compatibile congli obblighi internazionali dello Stato che procede alla consegna e con il suo ordina-

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72 L’uso della forza a supporto della pace

mento interno. Le prescrizioni di dettaglio in materia di detenzione per i contingentidispiegati in Afghanistan sono comprese in una procedura operativa standard denomi-nata ISAF SOP 362. La misura è autorizzata in quanto necessaria alla protezione delleforze (Force Protection), come strumento di legittima difesa ovvero quando necessarioper l’assolvimento del mandato internazionale. In un recente documento un gruppo diStati ha prodotto in materia un elenco di best practices6 che ha come scopo primarioquello di mediare tra due fondamentali obiettivi: «to ensuring the humane treatment ofdetainees and the effectiveness of international military operations». Il documento siriferisce a situazioni di conflitto armato interno internazionalizzato, ossia all’invio dicontingenti militari multinazionali a sostegno di uno Stato nel cui territorio è in corsoun conflitto armato (esattamente la situazione che si è sviluppata in Afghanistan), e nonriguarda situazioni di conflitto armato internazionale né operazioni di law enforcement(ad esempio operazioni di contrasto alla pirateria condotte da unità militari multinazio-nali, come quelle in corso nel Golfo di Aden). Tra i principi contenuti è da segnalarequello secondo il quale il trasferimento di individui in custodia di un’unità militare adaltra autorità, incluso il governo del Paese in cui si svolgono le operazioni, dovrà avve-nire nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato a cui appartiene il contingenteche lo ha catturato e che ha l’individuo in custodia.

6 The Copenhagen Process: Principles and Guidelines on the Handling of Detainees in InternationalMilitary Operations, 2012.

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8 La privatizzazione della funzionemilitare

8.1 Il monopolio statale della violenza bellica

Il divieto della guerra privata può essere fatto risalire alla Pace di Utrecht (1713)1, chepose fine alla guerra di successione spagnola e che tra l’altro mise al bando la praticaconosciuta come privateering, ossia l’atto di predare navi mercantili su autorizzazionedi un governo (formalizzata in letters of marque e comprendente il diritto a trattenereuna parte del bottino). Il divieto fu ribadito nel Trattato di Parigi del 18562. Tale attivitàera posta in essere da corsari (agenti della guerra di corsa), che proprio in quantoautorizzati da lettere di marca rilasciate da uno Stato, rappresentavano una figura distintada quella dei pirati, da sempre fuorilegge (addirittura hostes humani generis) in ragionedel fatto che il predare era a loro esclusivo beneficio.

Il monopolio statale nell’esercizio della violenza bellica - che diventa definitivo dopola scomparsa alla fine dell’800 del secolo scorso delle cd. chartered companies, cate-goria a cui apparteneva, per esempio, la East India Company -, è un corollario dellasovranità (esterna). Allo Stato, in quanto sovrano, spetta tra l’altro di impedire a chi èsottoposto alla sua giurisdizione di combattere (da privato) a favore di uno Stato terzo.Nel diritto italiano è punito il fatto di compiere arruolamenti o atti ostili contro uno Sta-to estero in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra (art. 244 c.p.),che è una fattispecie del tutto simile alla realtà del terrorismo transnazionale, quello checolpisce a partire da basi situate in un diverso territorio. In quanto concorre al delitto, nerisponde anche chi si arruola, ossia il terrorista che entra a far parte dell’organizzazionefacendosi reclutare. Anche nell’ordinamento italiano sussiste dunque il divieto di guerreprivate. La norma citata esemplifica proprio il monopolio dello Stato nella condotta del-la politica estera e nell’esercizio della funzione militare. Il che implica anche che soloai propri cittadini lo Stato potrà imporre la partecipazione ad attività belliche. L’art. 147della IV Convenzione di Ginevra del 1949 considera infrazione grave il fatto di costrin-gere i civili a prestare servizio nelle forze armate della Potenza nemica, mentre l’art.130 della III Convenzione riproduce tale norma in relazione ai prigionieri di guerra (v.anche art. 23 del Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907).

La transnazionalità è insita nel fenomeno mercenario3. Il mercenario (dal latino mer-ces, compenso), opera secondo una logica privatistica ed ha come elementi distintivi

1 C. Schmitt, Terra e mare (2011), p. 44.2 The Paris Declaration Respecting Maritime Law of 16 April 1856.3 S. Ruzza, Guerre conto terzi (2011), p. 28.

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74 La privatizzazione della funzione militare

essenziali l’essere straniero (rispetto al territorio in cui si combatte e alle parti che vi so-no coinvolte) e l’essere motivato da finalità di lucro personale (oltre, naturalmente, allosvolgere attività di combattimento). Una definizione in termini più analitici, nell’am-bito del diritto internazionale, è quella fornita dall’art. 47 del I Protocollo addizionalealle Convenzioni di Ginevra, che nega ai mercenari il diritto di partecipare alle ostili-tà e enuncia tre condizioni positive e tre negative, le prime appunto riferite al lucro leseconde all’estraneità rispetto ai contendenti. Il mancato riconoscimento del diritto dipartecipare alle ostilità implica che il mercenario, in quanto soggetto che impiega laviolenza bellica senza averne il diritto, esercita un’attività criminale.

8.2 Le Private security firms

Con l’espressione privatizzazione della funzione militare si intende il fenomeno dellacomparsa e della diffusione di società private di servizi specializzate in prestazioni dicarattere militare, in grado di fornire un’ampia gamma di funzioni grazie alla diversifi-cazione e alla flessibilità che le caratterizza, gamma che comprende attività di addestra-mento, consulenza specialistica e fornitura diretta di servizi di sicurezza4. Un autorevolestudioso le ha definite come «business organizations that trade in professional servicesintricately linked to warfare»5. Secondo questa definizione, le compagnie private svol-gono attività comunque mercenarie, ossia offrono prestazioni retribuite essenzialmentelegate ad un conflitto armato. Il loro coinvolgimento nelle operazioni militari, sotto ilprofilo quantitativo, è ben esemplificato dal rapporto 1:1 tra truppe americane dispie-gate in Iraq e operatori privati di sicurezza. Sotto il profilo qualitativo, Peter Singer haelaborato un modello a punta di lancia, il cui vertice è rappresentato dalle operazioni dicombattimento condotte da military provider firms (mpf), mentre al di sotto stanno mcfe msf, rispettivamente dedicate a consulting e support. Il loro differenziarsi dai merce-nari è dato dal fatto che rivendicano sì il diritto ad usare la forza armata, ma soltanto perlegittima difesa.

Per meglio inquadrare le attività e le responsabilità di questi particolari attori eco-nomici è opportuno riferirsi al caso iracheno ed in particolare al coinvolgimento delpiù noto di essi, la società Blackwaters, cominciando dallo status loro garantito appun-to nel teatro iracheno. L’Order no. 17 della CPA6, l’autorità provvisoria in Iraq (CPA,Coalition Provisional Authority) - una creazione di Stati Uniti, Gran Bretagna e altripartners della Coalizione che faceva capo al proconsole americano Paul Bremer -, sta-biliva (section 4) che i contractors - definiti come «non-Iraqi legal entities or individualsnot normally resident in Iraq, including their non-Iraqi employees and Subcontractorsnot normally resident in Iraq, supplying goods or services in Iraq under a Contract»- erano immuni dalla giurisdizione irachena nello svolgimento delle funzioni oggettodel contratto. Lo stesso provvedimento imponeva alla Forza Multinazionale di adottare

4 S. Ruzza, op. cit., pp. 65 e 77.5 P. Singer, Corporate Warriors, The Rise of the Privatized Military Industry (2009), p. 8.6 Coalition Provisional Authority Order No. 17 (Revised), Status of the Coalition Provisional Authority,

MNF - Iraq, Certain Missions and Personnel in Iraq [Iraq], No. 17 (Revised), 27 June 2004.

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8.2 Le Private security firms 75

misure preventive per impedire la commissione di illeciti da parte dei contractors. Trale misure indicate erano inclusi l’arresto e la detenzione a premessa di una tempestivariconsegna allo Stato di invio (con ciò intendendosi lo Stato parte del contratto).

Le regole internazionali consolidate in questo settore sono poche ma significative.L’art. 4A(4) della III Convenzione di Ginevra stabilisce che le persone che seguonole forze armate senza farne direttamente parte, come i fornitori, i membri di unità dilavoro o di servizi incaricati del benessere delle forze armate, a condizione che sianoautorizzati dalle forze armate che accompagnano, sono prigionieri di guerra. In assenzadell’autorizzazione delle forze armate che accompagnano (formalizzata in un appositodocumento di identità rilasciato dalle autorità di una delle parti in conflitto), sono ci-vili in zona di operazioni. In ogni caso, non possono essere considerati combattenti equindi partecipare alle ostilità. Ciò si ricava dall’art. 50 del I Protocollo addizionale alleConvenzioni di Ginevra, che definisce i civili come coloro che non appartengono allecategorie indicate nell’art. 4A(1), (2), (3) e (6) della III Convenzione e 43 del Protocol-lo medesimo, e che in quanto non appartenenti alle forze armate, non hanno il dirittodi partecipare alle ostilità. Il 17 Settembre 2008, 17 Stati hanno raggiunto un accor-do su un documento denominato Montreux Document on pertinent international legalobligations and good practices for States related to operations of private military andsecurity companies during armed conflict, con riferimento appunto ai rapporti tra Statie private military and security companies (PMSCs), non giuridicamente vincolante, incui tra l’altro si sostiene che lo status del personale appartenente alle PMSCs è stabi-lito dal diritto internazionale umanitario. Come visto in precedenza (supra, cap. 4), lalogica del diritto umanitario impedisce l’esistenza di categorie ulteriori rispetto a quelledei civili e dei combattenti. Se i contractors non appartengono alle persone individuatedall’art. 4 citato, sono civili e non possono essere oggetto di attacco, a meno che nonpartecipino direttamente alle ostilità, nel qual caso sono esposti, oltre che al fuoco dellacontroparte, anche a responsabilità penale a norma dell’ordinamento dello Stato sul cuiterritorio agiscono, e dunque di diritto interno, o di diritto internazionale. Il documentoinclude nelle clausole contrattuali l’impegno ad usare la forza solo quando necessario indifesa di sé o di terze persone. Questo della legittima difesa è uno snodo cruciale. Il nonfare parte delle forze armate limita l’impiego delle armi all’auto-difesa. Ed è importanteche si tratti di difesa della propria o altrui persona, e non di difesa in senso generico,dal momento che il diritto internazionale umanitario considera l’attacco come un corsod’azione rispetto al quale non è rilevante se condotto in chiave offensiva o difensiva (v.art. 49 del I Protocollo del 1977). Non bisogna dimenticare altresì che fare uso dellearmi per difesa personale non è considerato dal diritto internazionale umanitario par-tecipazione diretta alle ostilità. Ciò si ricava dalla I Convenzione di Ginevra, art. 22,secondo il quale al personale sanitario è consentito portare armi e farne uso per la difesapropria (e dei feriti e dei malati) senza che ciò significhi perdere la protezione garantitadalla Convenzione, ed è riconosciuto anche dalla giurisprudenza del Tribunale per la ex-Jugoslavia, secondo il quale fare uso di armi per difendersi dalle vessazioni di milizianie paramilitari non costituisce per i civili partecipazione diretta alle ostilità7. Tuttavia è

7 Bagosora, Kabiligi, Ntabakuze and Nsengiyumva (Trial Chamber), par. 237-240.

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76 La privatizzazione della funzione militare

innegabile che garantire la sicurezza di un’installazione militare - ossia la difesa di unobiettivo militare - in una situazione di conflitto armato integri la partecipazione direttaalle ostilità.

Il diritto internazionale umanitario protegge i contractors tramite la IV Convenzio-ne di Ginevra. Per di più, se del caso, i contractors, come le altre persone non aventititolo a condizioni più vantaggiose, godono delle protezioni minime garantite dall’art.75 del I Protocollo addizionale del 1977, che, essendo norma di diritto consuetudinario,vincola tutti gli Stati, e nel caso di conflitti interni, dell’art. 3 comune alle Convenzio-ni di Ginevra e delle norme consuetudinarie riprodotte nel II Protocollo del 1977. Dalmomento che il legame con la parte in conflitto è necessario elemento per la qualificadi combattente, solo coloro che sono impiegati di compagnie private ingaggiate da unoStato potrebbero in linea di principio essere considerati combattenti. Sicuramente civilisono invece i contractors che prestano servizio a favore di attori non statali, come leorganizzazioni inter-governative o le NGOs.

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9 Reagire alle violazioni del dirittoumanitario

Le infrazioni al diritto dei conflitti armati, in ragione dei beni fondamentali che talicondotte violano o mettono a repentaglio (la vita umana, l’integrità della persona e laproprietà) sono per molta parte crimini. Le più gravi tra esse sono crimini di guerra.In quanto crimini, comportano la responsabilità individuale (di diritto internazionale e,qualora l’ordinamento contempli tali illeciti, di diritto interno) dell’agente e di chi or-dina, istiga, lo supporta, o lo aiuta ovvero, in quanto titolare di supremazia gerarchica,omette di vigilare sull’operato del proprio subordinato. Come si vedrà in seguito, gliStati parti delle Convenzioni di Ginevra hanno l’obbligo di punire penalmente, a titolodi giurisdizione universale, le infrazioni gravi alle Convenzioni. Se si accoglie l’ideasostenuta dalla Corte internazionale di giustizia secondo la quale le Convenzioni di Gi-nevra del 1949 sono diritto consuetudinario, ciascuno Stato è obbligato dal diritto inter-nazionale a predisporre strumenti idonei, a livello nazionale, a perseguire le infrazionigravi citate1.

Oltre ad implicare la responsabilità penale dell’individuo, una violazione del dirittodei conflitti armati è una violazione del diritto internazionale che regola i rapporti tra gliStati, in quanto violazione di un obbligo internazionale volontariamente assunto dalloStato entrando a far parte del trattato (ovvero imposto da una norma consuetudinaria,nell’ipotesi in cui si accolga l’interpretazione della Corte internazionale di giustizia)commessa da suoi organi ai danni di un’altra parte contraente. La violazione del dirittoumanitario integra dunque un illecito internazionale per il quale lo Stato deve rispondereallo Stato che abbia subito il torto.

Lo Stato commette illeciti internazionali, ossia illeciti che sono sanzionati secondo ildiritto internazionale, con mezzi predisposti da quel ramo del diritto (primo fra tutti larappresaglia, di cui si dirà tra breve). L’individuo organo dello Stato (ma anche qual-siasi altra persona) che agisca in violazione di prescrizioni a cui il diritto internazionalericonnette una responsabilità penale, commette un crimine internazionale. Le violazionigravi del diritto internazionale umanitario sono crimini di guerra.

Per prevenire e reprimere le violazioni del diritto internazionale umanitario esistonodue ordini di strumenti. Al primo ordine appartengono gli strumenti che fanno diretto ri-ferimento alle relazioni tra gli Stati, al secondo quelle che pongono l’atto dell’individuoin relazione con l’ordinamento penale interno agli Stati, ovvero con la giustizia penaleinternazionale. Gli Stati soggetti alle Convenzioni di Ginevra (tutti, se si considera va-lida l’opinione maggioritaria, che si tratti di diritto consuetudinario) hanno l’obbligo di

1 v. sul punto, il preambolo dello Statuto della Corte penale internazionale, VI paragrafo.

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78 Reagire alle violazioni del diritto umanitario

rispettare e fare rispettare, prima di tutto ai propri agenti e organi, le Convenzioni me-desime (e il I Protocollo, v. art. 1) in ogni circostanza, oltre a far sì che la loro condottadurante il conflitto sia supervisionata tramite il sistema delle Potenze protettrici (cuispetta soprattutto di tutelare gli interessi delle Potenze che le hanno designate), ovvero,in subordine ma ormai pressochè esclusivamente, a consentire al Comitato internazio-nale della Croce Rossa (cui spetta soprattutto proteggere gli interessi delle vittime deiconflitti armati) o ad altra similare organizzazione umanitaria di vigilare sull’implemen-tazione delle Convenzioni di Ginevra e di prestare i suoi buoni uffici (v. anche art. 5 delI Protocollo).

9.1 Rimedi inter-statali

9.1.1 La rappresaglia

La rappresaglia rimane un rimedio rudimentale, una misura rientrante nello jus ad bel-lum, la cui ammissibilità è divenuta via via più limitata per effetto delle restrizioniimposte dal diritto umanitario e dalla Carta delle Nazioni Unite, e consiste nell’usodella forza, in violazione di una norma di diritto internazionale, per costringere l’av-versario ad obbedire ad una norma internazionale o a cessare una violazione del dirittointernazionale che danneggia lo Stato che agisce in rappresaglia.

Dopo l’entrata in vigore la Carta delle Nazioni Unite, per effetto dell’art. 2(4), larappresaglia è consentita solo nel corso di conflitti armati. In tempo di pace, qualsiasiuso della forza militare da parte di uno Stato diverso dalla legittima difesa è proibito.Le Convenzioni di Ginevra del 1949 hanno vietato la rappresaglia contro le personeprotette e i civili in territorio occupato, mentre è rimasta consentita nei riguardi dei civilipresenti nella zona di operazioni. Il I Protocollo ha ristretto la possibilità di far uso dellarappresaglia in modo radicale2, per cui attualmente è consentita solo nei confronti deicombattenti (ad esempio usando contro di loro armi vietate).

9.1.2 Il risarcimento del danno

Le norme di diritto internazionale umanitario, convenzionali e consuetudinarie, si ap-plicano agli Stati e sono in primo luogo dirette a tutelarne gli interessi, tant’è che sia laIV Convenzione dell’Aja (art. 3) che il I Protocollo (art. 91) impongono ai belligerantil’obbligo di risarcire il danno (to pay compensation) causato dalle loro forze armate.

In tema di responsabilità per danni, l’art. 3 della IV Convenzione dell’Aja del 1907stabilisce che se una parte belligerante viola le norme previste dal Regolamento annes-so alla Convenzione, sarà ritenuta responsabile per il risarcimento, e per tutti gli atticommessi dagli appartenenti alle proprie forze armate. Su queste basi, l’art. 51 dellaI Convenzione di Ginevra del 1949 dispone una generale responsabilità dello Stato inordine al risarcimento di danni derivanti dalla commissione di infrazioni gravi, di cui

2 Artt. 51(6), 53(c), 54(4), 55(2), 56(4).

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9.1 Rimedi inter-statali 79

all’art. 50. La norma è comune a tutte le quattro Convenzioni. L’art. 91 del I Proto-collo del 1977, che riprende l’art. 3 della Convenzione (IV) dell’Aja del 1907, non èinvocabile da parte dei singoli di fronte alle giurisdizioni nazionali. Spetta allo Statodi cui il danneggiato è cittadino, e dunque allo Stato (indirettamente) leso, chiedere lariparazione. Gli Stati sono tradizionalmente immuni rispetto alla giurisdizione civiledi altri Stati. Esiste una tendenza dottrinale a giustificare una human rights exception,confermata dalla Corte di Cassazione italiana nel caso Ferrini3 (relativo ad una pretesarisarcitoria per avere subito un cittadino italiano deportazione ed essere stato sottopostoa lavoro forzato durante la Seconda guerra mondiale), vale a dire una deroga al prin-cipio generale dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione di uno Stato estero al finedi consentire la piena tutela dei diritti umani fondamentali, che permetterebbe di chia-mare in giudizio di fronte ad un tribunale civile uno Stato i cui organi si fossero resiresponsabili di crimini internazionali. Tale eccezione è stata tuttavia respinta dalla Cor-te internazionale di giustizia nella recente controversia sollevata dalla Germania control’Italia proprio in relazione al caso Ferrini, avendo la Corte ribadito la piena vigenzadel principio consuetudinario dell’immunità dello Stato dalla giurisdizione civile di unaltro Stato4.

Secondo il codice penale militare di guerra italiano, la condanna penale per la com-missione di un crimine di guerra comporta il risarcimento del danno a norma dell’art.538 del c.p.c. Un caso notevole in materia si è avuto nel 2002, quando la Suprema Cortedi Cassazione è stata chiamata ad esprimersi sulla tutela risarcitoria a carico dello Statoitaliano delle vittime civili dei bombardamenti alleati in Kosovo (1999). Nella fattispe-cie, si è trattato del risarcimento dei danni subiti dai parenti di due persone decedutedurante l’attacco alla stazione radio televisiva di Belgrado5. La domanda risarcitoriaè stata fondata sulla violazione del I Protocollo addizionale e degli artt. 2 e 15 dellaConvenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché dell’art. 174 del c.p.m.g. La giu-risdizione italiana è stata affermata in forza dell’art. VIII par. 5 della Convenzione diLondra del 1951, che regola lo stato delle forze NATO nei Paesi alleati. La Cassazioneha negato la giurisdizione del giudice italiano argomentando che gli atti di condotta delleostilità erano espressione di una funzione politica e quindi non sindacabili dal giudice eche le norme invocate, essendo norme di diritto internazionale, regolano esclusivamen-te rapporti tra Stati. Investita della questione, la Corte europea dei diritti dell’uomo hanegato che nel caso di specie vi fosse giurisdizione, da un lato perché la Convenzioneeuropea è un trattato multilaterale a vocazione regionale, e la Repubblica Federale diJugoslavia, sul cui territorio si era verificata la violazione, non ne faceva parte. Dall’al-tro, pur ammettendo che in casi eccezionali uno Stato parte della Convenzione esercitila propria giurisdizione al di fuori del proprio territorio, la Corte ha precisato che talicasi sono determinati da situazioni in cui lo Stato convenuto assuma tutti o parte deipoteri pubblicistici su un territorio al di fuori delle proprie frontiere, ciò che avviene incaso di occupazione militare o in virtù del consenso del governo locale.

3 Cassazione, sezioni unite n. 5044/04.4 Jurisdictional Immunities of the State (Germany v. Italy: Greece intervening), I. C. J. Rep., 2012.5 V. Decision as to the admissibility of Application no. 52207/99 of 12 December 2001 (Grand Chamber)

in the case Bankovic and Others v. Belgium and 16 Other Contracting States.

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80 Reagire alle violazioni del diritto umanitario

9.2 Repressione penale delle infrazioni

9.2.1 La responsabilità penale internazionale

Un mezzo per ottenere il rispetto del diritto internazionale ritenuto molto più efficacedella rappresaglia è l’esercizio della giurisdizione penale da parte dei tribunali internie internazionali. Le norme di diritto internazionale umanitario si rivolgono agli Statima riguardano tuttavia comportamenti di individui, prima di tutto comportamenti degliorgani dello Stato, che se sono liberi dalle conseguenze del loro operato rispetto allegiurisdizioni straniere in virtù dell’immunità funzionale derivante dalla dottrina dell’at-to di stato (act of state doctrine)6, quando agiscano iure imperii, ossia in esecuzionedi un ordine del proprio governo, tuttavia rispondono direttamente (e penalmente) dellacommissione di atti costituenti crimini di diritto internazionale, come i crimini di guer-ra. Le norme internazionali che incriminano l’individuo si applicano anche a coloroche agiscono su istigazione oppure con il consenso o l’acquiescenza di una delle partiin conflitto, come avviene, ad esempio, nei casi di tortura. Significativa in tal senso èl’affermazione del Tribunale militare internazionale di Norimberga, secondo la quale

acts against international law are committed by men, not by abstract entities, and only by puni-shing individuals who commit such crimes can the provisions of international law be enforced7.

Il principio della responsabilità individuale per le violazioni gravi del diritto internazio-nale, affermata nell’art. 6(1) dello Statuto del Tribunale militare internazionale8 rifletteuna norma di diritto internazionale consuetudinario e comprende 5 forme di partecipa-zione alla commissione del crimine internazionale. Ne risponde chi lo ha materialmentecommesso, ma anche chi

1. lo ha pianificato;2. ha istigato altri a commetterlo;3. ha dato ordine di commetterlo;4. ne ha agevolato o aiutato la commissione.

A queste ipotesi si aggiunge una ulteriore modalità di commissione del crimine, diorigine giurisprudenziale, denominata joint criminal enterprise, che si ha quando dueo più persone si uniscono nel comune e condiviso proposito di commettere un crimineinternazionale9.

9.2.2 La responsabilità dei comandanti

La responsabilità penale del superiore gerarchico per fatti commessi dai subordinatisussiste, oltre che nel caso di ordine diretto alla commissione di un crimine di guerra,

6 Cassazione, I sezione penale n. 31171/08.7 Trials of the Major War Criminals Before the International Military Tribunal,Vol. I, p. 223.8 Charter of the International Military Tribunal (Nuremberg), annexed to the London Agreement of August

8, 1945.9 Kvocka et al., Appeal Judgement, par. 82; Ntakirutimana and Ntakirutimana, Appeal Judgement, par.

465.

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9.2 Repressione penale delle infrazioni 81

anche in tutti i casi in cui il superiore sapeva o avrebbe dovuto sapere che il subordi-nato stava commettendo o era sul punto di commettere un crimine di guerra e non hafatto quanto in suo potere per impedirne la commissione. La responsabilità può derivareanche da colpa (negligence), ma deve essere una negligenza talmente grave da rasen-tare il dolo eventuale, che sussiste quando il superiore non si è attivato per prevenireo arrestare un corso di eventi, pur nella consapevolezza che il crimine si sarebbe pro-dotto, in quanto normale conseguenza di quel corso di eventi. Secondo lo Statuto dellaCorte penale internazionale, la responsabilità di comando riguarda anche i superiori ci-vili, ma è meno stringente, in quanto non richiede l’attenzione continua all’operato deisubordinati, e dunque il dovere di tenersi costantemente aggiornato e informato, che èrichiesta al comandante militare. Il comandante militare risponde secondo lo standard«knew or, owing to the circumstances at the time, should have known», il civile secondolo standard «knew, or consciously disregarded information»10.

9.2.3 Esercizio della giurisdizione penale

Nella sanzione delle condotte criminali commesse durante i conflitti armati gli Statihanno da sempre punito i responsabili secondo il principio di nazionalità passiva, inbase al quale lo Stato esercita la giurisdizione sui crimini commessi ai danni di propricittadini11, mentre l’esercizio della giurisdizione sulla base della nazionalità attiva, os-sia da parte dello Stato di cui l’autore è cittadino è stato meno frequente, soprattuttoin relazione al fatto che i crimini di guerra sono espressione di criminalità sistemica12,commessa su vasta scala e spesso per ordine dei vertici dello Stato o di suoi apparati,primariamente per conseguire gli scopi stessi della guerra, per cui fin dall’origine deldiritto internazionale penale (dal processo di Norimberga) detti crimini internazionali(crimini di guerra e contro l’umanità, genocidio) sono oggetto di giudizio di fronte atribunali internazionali13, nonostante il fatto che la repressione dei crimini internazio-nali sia considerato un dovere di tutti gli Stati14. Sono nello specifico crimini di guerrale infrazioni gravi alle Convenzioni di Ginevra (e del I Protocollo, v. art. 85) e le altreviolazioni gravi delle leggi e degli usi di guerra, a cominciare dalla violazione dei di-vieti contenuti nell’art. 23 della Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja del1907.

9.2.4 Infrazioni gravi alle Convenzioni di Ginevra

Le infrazioni gravi sono definite agli artt. 50, 51, 130 e 147 di ciascuna delle 4 Conven-zioni di Ginevra, e all’art. 85 del I Protocollo, e sono crimini di guerra. In particolare,sono infrazioni gravi:

10 V. Statute of the International Criminal Court (ICC St.), art. 28.11 The Versailles Treaty, June 28, 1919, art. 22912 B. V. A. Röling, The Significance of the Laws of War, in A. Cassese, Current Problems in International

Law (1975), p. 137.13 A. Cassese, International Law in a Divided World (1986), p. 275.14 ICC Statute, preamble.

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82 Reagire alle violazioni del diritto umanitario

1. l’omicidio intenzionale;2. la tortura e i trattamenti inumani, compresi esperimenti biologici;3. il fatto di cagionare intenzionalmente grandi sofferenze o di danneggiare gravemente

l’integrità fisica o la salute delle persone protette;4. la distruzione o appropriazione di beni non giustificate da necessità militari e com-

piute su vasta scala e ricorrendo a mezzi illeciti e arbitrari;5. il fatto di costringere un prigioniero di guerra a prestar servizio nelle forze arma-

te della Potenza nemica, o quello di privarlo del suo diritto di essere giudicatoregolarmente e imparzialmente secondo le prescrizioni della III e IV Convenzione;

6. la deportazione o il trasferimento illegali;7. la detenzione illegale;8. la cattura di ostaggi;9. gli esperimenti medici senza il consenso dell’interessato;

10. fare oggetto di attacco la popolazione civile o le persone civili;11. lanciare un attacco indiscriminato che colpisca la popolazione civile o beni di carat-

tere civile, o contro opere o installazioni che racchiudono forze pericolose, sapendoche l’attacco stesso causerà morti e feriti fra le persone civili o danni ai beni dicarattere civile che risultino eccessivi;

12. attaccare località non difese e zone smilitarizzate;13. attaccare una persona che si sa essere fuori combattimento;14. usare perfidamente, in violazione dell’articolo 37, il segno distintivo della croce

rossa, della mezzaluna rossa o del leone e sole rossi, o altri segni di protezione ;15. il trasferimento da parte della Potenza occupante di una parte della propria popola-

zione civile nel territorio occupato, oppure la deportazione o il trasferimento all’in-terno o fuori del territorio occupato della totalità o di una parte della popolazione delterritorio stesso in violazione dell’articolo 49 della IV Convenzione;

16. il ritardo ingiustificato nel rimpatrio dei prigionieri di guerra o dei civili;17. la pratica dell’apartheid e le altre pratiche disumane e degradanti, fondate sulla

discriminazione razziale;18. dirigere un attacco contro monumenti storici, opere d’arte o luoghi di culto chiara-

mente riconosciuti, che costituiscono il patrimonio culturale o spirituale dei popoli,e ai quali sia stata concessa una protezione speciale, provocando ad essi, di conse-guenza, distruzioni su grande scala, e quando i monumenti storici, le opere d’artee i luoghi di culto in questione non siano situati in prossimità di obiettivi militari osiano usati per scopi militari;

19. privare una persona protetta del diritto di essere giudicata regolarmente e imparzial-mente.

Le infrazioni gravi previste dal I Protocollo sono tali soltanto per gli Stati che abbia-no ratificato il Protocollo medesimo. Le ipotesi formulate dall’art. 85 non compaionotra le violazioni delle leggi e degli usi di guerra di sicura matrice consuetudinaria risul-tanti dall’art. 3 dello Statuto del Tribunale per la ex-Jugoslavia. L’art. 3 riporta infattisolo le violazioni delle norme sulla condotta delle ostilità che risultano dal Regolamen-to annesso alla IV Convenzione dell’Aja del 1907. Tuttavia è necessario tenere conto

Page 89: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

9.2 Repressione penale delle infrazioni 83

del fatto che le norme che si assumono violate nelle fattispecie indicate all’art. 85 han-no sicuramente natura di diritto consuetudinario. L’art. 51(2), che vieta di attaccare lapopolazione civile, ha rango di norma consuetudinaria. L’art. 51(4), che proibisce gliattacchi indiscriminati, ha parimenti rango di norma consuetudinaria. Il divieto di com-piere atti diretti a seminare il terrore tra la popolazione civile (art. 51(2), seconda parte)è una specificazione del più generale divieto di attaccare i civili, e dunque rappresentaanch’esso una norma consuetudinaria. La responsabilità penale di diritto internaziona-le derivante da queste norme è stata ribadita in diverse occasioni dal Tribunale per laex-Jugoslavia.

Le infrazioni gravi sono commesse durante i conflitti internazionali ai danni dellepersone protette dalle Convenzioni medesime. Sono persone protette le persone inter-nate o detenute o altrimenti private della libertà personale per ragioni legate al conflitto,i feriti, i malati e i naufraghi, i prigionieri di guerra, il personale sanitario e religioso,i civili. Lo stato di persona protetta non necessariamente deriva da vincoli formali oprescrizioni di carattere giuridico, per cui, per esempio, lo stato di persona protetta se-condo l’art. 4 della IV Convenzione, pur se letteralmente riservato a individui che sianoin potere dello Stato occupante senza esserne cittadini, nei conflitti inter-etnici può es-sere concesso anche a chi, pur formalmente cittadino, appartiene a diversa etnia rispettoa coloro che esercitano su di lui l’autorità15.

Per la repressione delle infrazioni gravi le Convezioni stabiliscono un meccanismoobbligatorio di giurisdizione penale universale. Il sistema ha la sua parte sostanzialenell’ elenco di condotte proibite elencate in precedenza e quella procedurale nell’obbli-go di processare penalmente o in alternativa estradare le persone responsabili di infra-zioni gravi. Il meccanismo della giurisdizione universale impone agli Stati di esercitarel’azione penale al fine di perseguire e punire gli autori di infrazioni gravi che si trovinosul territorio sottoposto alla loro giurisdizione, indipendentemente dal luogo in cui ilcrimine è stato commesso e dalla nazionalità del reo o delle vittime, o in alternativa,a consegnarlo ad un altro Stato che intenda processarlo e che fornisca a tal fine provesufficienti a sostenere l’accusa.

Tale meccanismo ha avuto ad oggi scarse applicazioni, considerato anche il fatto che,come visto sopra, i crimini di guerra difficilmente vengono commessi senza la com-plicità o almeno la tolleranza delle strutture ufficiali dello Stato. Così ad esempio, perportare alla sbarra i criminali di guerra del conflitto che è seguito al disfacimento dellaJugoslavia dopo la morte di Tito), dove si è giunti a livelli di violenza medievali16, si èdovuti ricorrere all’istituzione di un tribunale ad hoc, cioè una corte internazionale consede all’Aja, dotata di una giurisdizione specifica e limitata, cui è spettato di occuparsidi violazioni gravi del diritto internazionale umanitario commesse in un area precisatae durante uno specifico lasso di tempo, che inizia con il 1991 e si protrae oltre la finedelle ostilità in Bosnia e in Croazia17, fino al conflitto per il Kosovo, provincia serbae dunque territorio della ex-Jugoslavia, del 1999. E’ stato anche necessario indicarela giurisdizione del Tribunale come prevalente rispetto alle giurisdizioni nazionali (cd.

15 Celebici, Appeal Judgement, par. 83.16 Galic, Trial Judgement, par. 2.17 Dayton Peace Agreement, November 1995.

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84 Reagire alle violazioni del diritto umanitario

primacy). La primazia della giurisdizione internazionale su quella interna fa sì che unprocedimento iniziato in sede nazionale possa essere trasferito in sede internazionaleper ordine del Tribunale.

Il Tribunale internazionale penale per la ex-Jugoslavia è un tribunale internazionalee non un tribunale multinazionale, come sono stati i Tribunali di Norimberga e Tokio,che rappresentavano solo una parte della comunità internazionale. La sua competenzaè determinata dallo Statuto, e si basa, nel caso concreto, su un duplice accertamentopreliminare: che l’atto o omissione sia stato commesso durante un conflitto armato eche la condotta criminosa abbia un nesso con il conflitto, ciò che vale a distinguere ilcrimine di guerra dai reati ordinari.

La sanzione delle infrazioni gravi è prevista all’art. 2 dello Statuto del Tribunale. Perl’applicazione dell’art. 2 è necessario che si verifichino le seguenti condizioni:

1. deve sussistere un conflitto armato;2. il conflitto armato deve essere internazionale;3. deve esserci un nesso tra il conflitto armato e il crimine;4. le persone o i beni cui si riferisce l’infrazione devono essere protetti ai sensi delle

Convenzioni di Ginevra.

9.2.5 Violazioni delle leggi e degli usi di guerra

Le violazioni delle leggi e degli usi di guerra sono in primo luogo quelle indicate al-l’art. 23 del Regolamento annesso alla IV Convenzione dell’Aja sulla guerra terrestredel 1907. Le ipotesi criminose sono riprodotte all’art. 3 dello Statuto del Tribunale perla ex-Jugoslavia, e dunque ne fondano la giurisdizione ratione materiae. L’art. 3 preci-sa che l’elenco non è esaustivo. Il che conferisce all’art. 3 ruolo di norma di chiusura(umbrella rule) rispetto alla giurisdizione del Tribunale in materia di crimini di guer-ra. Pertanto, rientrano nella previsione dell’art. 3 tutte le violazioni gravi (serious) deldiritto umanitario che non sono infrazioni gravi alle Convenzioni di Ginevra, inclu-se le violazioni dell’art. 3 comune e quelle di doveri derivanti per le parti da accordiinternazionali in materia di diritto umanitario.

La giurisdizione del Tribunale sussiste in relazione a violazione delle leggi e degliusi di guerra se sono soddisfatte 4 condizioni, indicate dalla Camera d’appello nel casoTadic18:

1. deve trattarsi della violazione di una norma di diritto internazionale umanitario;2. deve trattarsi di una norma consuetudinaria, o di una norma convenzionale applica-

bile al caso di specie (dunque obbligatoria per le parti in conflitto);3. deve trattarsi di una violazione grave (che compromette la vita di essere umani

protetti dalle Convenzioni internazionali o la loro integrità fisica, o che implica ladistruzione ingiustificata di beni materiali);

4. deve trattarsi di violazione che implica la responsabilità penale di diritto internazio-nale in capo all’autore della condotta vietata.

18 Tadic, Jurisdiction, par. 94.

Page 91: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

9.3 Crimini contro le forze delle Nazioni Unite 85

9.2.6 Violazioni durante i conflitti interni

Secondo il Tribunale per la ex-Jugoslavia,

States specified certain minimum mandatory rules applicable to internal armed conflicts in com-mon Article 3 of the Geneva Conventions of 1949. The International Court of Justice has confir-med that these rules reflect elementary considerations of humanity applicable under customaryinternational law to any armed conflict, whether it is of an internal or international character. (Ni-caragua Case, at para. 218). Therefore, at least with respect to the minimum rules in commonArticle 3, the character of the conflict is irrelevant19.

Le violazioni dei divieti posti dall’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra del 1949rientrano nella previsione dell’art. 3 dello Statuto del Tribunale per la ex-Jugoslavia esono quindi violazioni delle leggi e degli usi di guerra per le quali valgono le condi-zioni di applicabilità stabilite nel caso Tadic appena citate. Lo stesso Tribunale ha poiaffermato che

Indeed, elementary considerations of humanity and common sense make it preposterous that theuse by States of weapons prohibited in armed conflicts between themselves be allowed whenStates try to put down rebellion by their own nationals on their own territory. What is inhumane,and consequently proscribed, in international wars, cannot but be inhumane and inadmissible incivil strife20.

Il diritto internazionale consuetudinario impone una responsabilità penale per le viola-zioni gravi dell’art. 3 comune, così come integrato da altri principi generali e normesulla protezione delle vittime dei conflitti armati interni e per la violazione di normespecifiche che riguardino la condotta delle ostilità durante le guerre civili (v. supra, sez.3.14).

9.3 Crimini contro le forze delle Nazioni Unite

La protezione delle Nazioni Unite in missioni di pace è materia dello Statuto della CortePenale Internazionale (art. 8), che inserisce le aggressioni ai danni di personale impie-gato in missioni di peace - keeping o di aiuto umanitario nelle serious violations delleleggi o delle consuetudini applicabili nei conflitti armati internazionali. La norma speci-fica l’ambito operativo della protezione, la quale è esclusa nelle ipotesi in cui vengonocondotte operazioni di peace - enforcement, in quanto precisa che la Convenzione siapplica ai membri della missione delle Nazioni Unite

as long as they are entitled to the protection given to civilians or civilian objects under theinternational law of armed conflict.

Le forze delle Nazioni Unite, che hanno uno status di particolare protezione, riservatadal diritto dei conflitti armati ai civili, non hanno lo stesso status in situazioni diverseda quelle menzionate. Se accettiamo una visione ristretta della nozione di peace - kee-ping, la conclusione logica è che nelle operazioni di peace - enforcement lo status, non

19 Tadic, Jurisdiction, par. 102.20 Ibid., par. 119.

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86 Reagire alle violazioni del diritto umanitario

potendo essere quello di civili, deve essere giocoforza quello di combattenti anche inriferimento a chi opera sotto diretto controllo delle Nazioni Unite.

La norma dell’art. 8 dello Statuto della CPI deriva dalla Convenzione sulla sicurez-za delle Nazioni Unite e del personale associato del 1994. La Convenzione è limitatanell’applicazione alle operazioni delle Nazioni Unite che non siano enforcement actionunder Chapter VII (nel qual caso si applica il diritto dei conflitti armati) e prevede se-gnatamente che il personale delle Nazioni Unite non possa essere detenuto o catturatonell’espletamento dei compiti connessi al mandato internazionale, e deve comunqueessere rilasciato immediatamente dopo essere stato identificato come tale (art. 8). La ru-brica dell’art. 9 parla esplicitamente di Crimes against United Nations and associatedpersonnel. Il successivo art. 10 impone agli Stati parti di istituire un meccanismo di re-pressione delle infrazioni commesse ai danni del personale delle Nazioni Unite nel casoin cui la violazione venga commessa sul territorio di tale Stato, ovvero a bordo di unanave o di un aeromobile immatricolati in tale Stato, oppure nel caso in cui il presuntoautore dell’infrazione abbia la nazionalità di tale Stato. Le norme appena esaminate, inquanto contenute in trattati internazionali, valgono soltanto per gli Stati che ne sianoparte.

Page 93: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

Parte III

La protezione dei dirittiumani durante i conflittiarmati

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Page 95: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

10 Tutela dei diritti umani neiconflitti armati

10.1 I diritti umani e il diritto internazionale umanitario

I diritti dell’uomo, come noto, scaturiscono dal processo di implementazione della Di-chiarazione universale del 19481. In riferimento alle situazioni di conflitto armato si puòritenere che costituiscano un terzo corpus normativo che viene ad aggiungersi al dirittodell’Aja e al diritto di Ginevra. La relazione tra diritto internazionale umanitario e di-ritto internazionale dei diritti umani si fonda sul principio di specialità, per cui il primosi applica in via prioritaria mentre al secondo, durante un conflitto armato, spetta unafunzione integrativa o suppletiva. La Commissione interamericana dei diritti dell’uomo,trattando il caso noto come La Tablada2, ha affermato che la Convenzione americana,come gli altri strumenti internazionali e regionali di tutela dei diritti dell’uomo, e leConvenzioni di Ginevra del 1949, condividono un comune nucleo di diritti inderoga-bili e che è nel caso dei conflitti armati interni che i due corpi normativi convergono,supportandosi l’un l’altro.

Rispetto al diritto internazionale dei diritti umani, il diritto umanitario fornisce unatutela dei diritti più ampia, in quanto obbliga al rispetto di diritti umani fondamentalialcuni soggetti diversi dagli Stati e tendenzialmente irresponsabili, come i gruppi armatiirregolari e i movimenti di liberazione nazionale. In linea di principio, il diritto interna-zionale dei diritti umani si occupa dei rapporti tra lo Stato e l’individuo, ed è fondato sulprincipio generale secondo il quale le sorti degli individui che si trovano sul territoriodi uno Stato o che sono sottoposti alla sua giurisdizione non sono da considerare affariinterni ai sensi dell’art.2 (7) della Carta delle Nazioni Unite, anche se vi è la tendenza adescludere dal dominio riservato le situazioni di massiccia violazione dei diritti umani. Ildiritto internazionale umanitario tutela l’individuo dalla violenza bellica, da qualunquesoggetto essa provenga, e si distingue per la generale applicabilità extraterritoriale dellenorme protettive, mentre, come di vedrà in seguito, l’applicabilità extraterritoriale del-le norme poste a tutela dei diritti umani rappresenta un’eccezione. Il luogo di elezionedella tutela dei diritti umani rimane infatti il territorio dello Stato.

L’applicabilità degli strumenti di protezione dei diritti umani anche durante i conflit-ti armati (soprattutto durante i conflitti interni) è però di importanza fondamentale perdue motivi: a livello sostanziale, il diritto dei diritti umani, andando oltre le previsionidel diritto internazionale umanitario, contribuisce a colmare le lacune. A livello pro-

1 Universal Declaration on Human Rights, December 10, 1948.2 Juan Carlos Abella v. Argentina, Reports, 55/97, n. 11137.

Page 96: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

90 Tutela dei diritti umani nei conflitti armati

cedurale, gli strumenti di tutela dei diritti umani contengono sofisticati meccanismi dienforcement, dotati di minor rigore ma certamente più efficaci sotto il profilo pratico diquelli propri del diritto internazionale umanitario, caratterizzati dal consenso preventivoe da un approccio essenzialmente State-oriented. I giudizi di fronte alle corti per i dirittiumani assicurano alla vittima visibilità e, in alcuni casi, veri e propri diritti ad otteneregiustizia, incluso il risarcimento dei danni.

Come visto in precedenza, le quattro Convenzioni di Ginevra dispongono affinché gliStati introducano nei loro ordinamenti sanzioni penali per la prevenzione e la repressio-ne delle gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona (l’omicidio intenzionale,la tortura o i trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici, il fatto di cagio-nare intenzionalmente grandi sofferenze o di attentare gravemente all’integrità fisica oalla salute, la distruzione e l’appropriazione di beni non giustificate da necessità mili-tari e compiute in grande proporzione ricorrendo a mezzi illeciti e arbitrari; v. supra,sez. 10.2) e procedano contro i responsabili secondo il principio aut judicare aut de-dere, vale a dire in base al principio della giurisdizione universale. La sovrapposizionetra diritti umani e diritto umanitario garantisce dunque un elevato standard di tutela deidiritti della persona. Sull’effetto combinato dei due sistemi di norme, la Commissioneinter-americana ha sostenuto che

[t]he American Convention contains no rules that either define or distinguish civilians from com-batants and other military targets, much less, specify when a civilian can be lawfully attacked orwhen civilian casualties are a lawful consequence of military operations. Therefore, the Commis-sion must necessarily look to and apply definitional standards and relevant rules of humanitarianlaw as sources of authoritative guidance in its resolution of this and other kinds of claims allegingviolations of the American Convention in combat situations3.

Il rispetto dei diritti umani durante i conflitti armati è stato affermato con decisionedall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella risoluzione XXIII adottata nel corsodella Conferenza di Teheran del 12 maggio 1968, la quale, rifacendosi alle Convenzionidell’Aja del 1899 e del 1907, ha riproposto l’attualità della Clausola Martens. L’Assem-blea Generale delle Nazioni Unite ha poi dichiarato nella risoluzione 2675 (1970) chei diritti umani fondamentali riconosciuti dal diritto internazionale e accolti in strumentiinternazionali continuano ad applicarsi integralmente durante le situazioni di conflittoarmato4. La Corte internazionale di giustizia ha sostenuto dal canto suo l’applicazio-ne complementare del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto internazionaleumanitario, sulla base di una relazione lex generalis (diritti umani) - lex specialis (dirittoumanitario), sia nelle sue advisory opinions5, sia nelle decisioni rese a seguito di contro-versie internazionali6. L’affermazione reiterata della Corte è che la protezione garantitadagli strumenti internazionali di tutela dei diritti umani - in particolare del Patto interna-zionale sui diritti civili e politici del 1966 -, non cessa durante i conflitti armati ma che,in ragione del principio di specialità, in quelle situazioni le norme sui diritti umani as-

3 Ibidem, par. 161.4 G.A. Res. 2675, U.N. GAOR., 25th Sess., Supp. No. 28 U.N. Doc. A/8028 (1970).5 Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons, I. C. J. Rep., 1996, par. 25; Wall in Palestine, I. C. J.

Rep., 2004, par. 106.6 D. R. C. v. Uganda, I. C. J. Rep., 2005, par. 215-216.

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10.1 I diritti umani e il diritto internazionale umanitario 91

sumono un ruolo secondario e integrativo mentre la regolamentazione prevalente sarà ildiritto internazionale umanitario. In caso di lacune, la soluzione andrà trovata impiegan-do il diritto internazionale dei diritti umani come fonte integrativa. Di diversa opinionesono invece alcuni governi, che ritengono i due sistemi di norme mutualmente esclusivi.Così il governo degli Stati Uniti, che ritiene i due complessi normativi non applicabilisimultaneamente. In un recente manuale dell’esercito americano si legge che il dirit-to internazionale dei diritti umani è applicable to situations other than extraterritorialarmed conflict7, con ciò peraltro ammettendo che l’applicazione simultanea può riferir-si ad ipotesi di conflitto interno cui gli Stati Uniti partecipino, come sta avvenendo inAfghanistan, ovvero a contesti operativi non caratterizzati come conflitto armato, comesta avvenendo in Pakistan, all’interno del quale le forze americane compiono operazio-ni di targeted killing. Su questo punto, intervenendo sulla questione della liceità dellacostruzione di un muro nei Territori occupati, il governo israeliano ha affermato che

humanitarian law is the protection granted in a conflict situation such as the one in the West Bankand Gaza Strip, whereas human rights treaties were intended for the protection of citizens fromtheir own Government in times of peace8.

Secondo Meron9,

[t]he insistence by states that non-international armed conflicts are, except upon recognition ofbelligerency, governed by national rather than international law

sarebbe confermata dal diverso tenore della Clausola Martens nel I e nel II Protocollo.Nel I, la clausola in esame esordisce infatti con «In cases not covered by this Protocol orby other international agreements», mentre nel II l’incipit prevede «In cases not coveredby the law in force», e mentre nel I si fa espresso riferimento al diritto internazionale,nel secondo non si fa menzione di norme e principi di diritto internazionale se nonin termini di diritti umani che offrono una protezione di livello base alle vittime deiconflitti armati, protezione che il II Protocollo integra. Significativo inoltre è che nel IInon si parli di combattenti e civili (o popolazione) ma di human person.

Per determinare che cosa costituisca privazione arbitraria della vita nel contesto diun conflitto armato, si dovranno porre in secondo piano le norme generali contenutenegli strumenti di tutela dei diritti umani e si dovrà fare riferimento al diritto umanita-rio applicabile a quel conflitto armato. L’art. 15 della Convenzione europea dei dirittidell’uomo (CEDU), al comma 2, consente una deroga eccezionale all’art. 2 (diritto allavita) in caso di legittimi atti di guerra. Cosicché, anche nel diritto della Convenzione,la privazione della vita durante un conflitto armato sarà arbitraria, e quindi in violazio-ne dell’art. 2, se provocata da una violazione del diritto internazionale umanitario, male uccisioni derivate da legittimi atti di guerra non potranno essere imputate allo Statocome violazioni degli obblighi derivanti dalla Convenzione europea. In una situazionecomportante la violenza bellica varrà una speciale deroga all’art. 2, rappresentata dal-l’uso della forza conforme al diritto dei conflitti armati. L’art. 15 della Convenzione7 U. S. Department of the Army, ATTP 3-37.31, Civilian Casualty Mitigation, July 2012, p. 1-3.8 Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, I .C. J. Rep.,

2004, par. 102.9 T. Meron, Human Rights and Humanitarian Norms as Customary Law (1989), p. 73–74

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92 Tutela dei diritti umani nei conflitti armati

stabilisce in un certo senso il primato del diritto internazionale sul diritto interno, dital che condizioni di liceità degli atti bellici possono essere solo quelle che risultanodalla conformità dell’atto stesso al diritto internazionale. Questo aspetto non può nonincidere sulle regole di ingaggio. Lo Stato dovrà fornire ai propri agenti specifiche au-torizzazioni ad usare la forza (in situazioni diverse dalla legittima difesa) rispettose deldiritto dei conflitti armati, in particolare assicurando la massima protezione ai civili chenon partecipano direttamente alle ostilità.

10.2 Operazioni militari e giurisdizione extraterritoriale

La maggior parte degli studiosi è dell’opinione che le norme a tutela dei diritti umanisi applicano nella loro interezza anche durante i conflitti armati. Come visto sopra,questa posizione è condivisa dalle corti per i diritti umani e trova eco anche nel dibattitopolitico. La Corte Suprema di Israele ha sostenuto, parafrasando un analoga opinionedella Corte internazionale di giustizia, che

Humanitarian law is the lex specialis which applies in the case of an armed conflict. When thereis a gap (lacuna) in that law, it can be supplemented by human rights law10.

La violazione delle norme sui diritti dell’uomo, compiuta nel territorio dell’avversa-rio, solleva la questione dell’operatività degli strumenti di garanzia in materia di dirittiumani, in relazione all’estensione del concetto di giurisdizione risultante dagli artt. 1della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 2 del Protocollo facoltativoal Patto sui diritti civili e politici del 1966. In linea di principio, la Convenzione europeatrova applicazione nel territorio di uno Stato membro, e non anche nel territorio di unoStato terzo. La giurisprudenza della Corte e della Commissione ha però interpretato insenso lato la nozione di giurisdizione, fino a comprendervi azioni compiute in territorioaltrui da organi dello Stato parte. Il principio trova applicazione anche alle attività delleforze armate, che esercitano il controllo su di una zona situata oltre i confini statali.

Il 12 dic. 2001 la Corte europea per i diritti dell’uomo, con decisione della GrandeCamera, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai parenti delle vittime delbombardamento della stazione radiotelevisiva serba a Belgrado, avvenuto il 23 aprile1999, durante la guerra per il Kosovo11. Nella sua decisione, la Corte di Strasburgo haescluso che le vittime si trovassero nella giurisdizione degli Stati convenuti, rigettandol’idea che accanto ad una giurisdizione territoriale ve ne sia una personale, riaffermandocosì il carattere essenzialmente territoriale della giurisdizione, e definendo la Conven-zione europea uno strumento destinato ad operare nell’espace juridique europeo. Nelladecisione sul caso Issa and others v. Turkey12, del 16 nov. 2004, riguardante l’uccisionedi civili da parte di forze turche impegnate in azioni contro-terrorismo nel nord dell’Iraq(dunque oltre i confini sia della Turchia che dell’espace juridique europeo), la Corte haevitato di analizzare il merito della questione, perché non è stato provato al di là di ogni

10 H.C.J. 769/02, par. 18.11 Bankovic and others v. Belgium and Other 16 Contracting Parties, Appl. No. 52207/99.12 Issa and others v. Turkey, Appl. No. 31821/96

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10.2 Operazioni militari e giurisdizione extraterritoriale 93

ragionevole dubbio che i civili si trovassero nella giurisdizione della Turchia. Tuttavia,a differenza che nel caso Bankovic, qui la Corte ha ammesso non potersi escludere cheun territorio al di fuori dello spazio giuridico europeo posto sotto controllo effettivo diuno Stato parte possa essere considerato nella sua giurisdizione ai sensi dell’art. 1 dellaConvenzione.

Un test circa l’applicazione contestuale dei due complessi di norme ad una situazio-ne di conflitto armato internazionale si è avuto dopo la chiusura delle major combatoperation in Iraq e il passaggio al regime di occupatio bellica certificato dal Consi-glio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la ris. n. 1483, e può essere ben inquadratoscorrendo il giudizio della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo nelcaso Al-Skeini13. Il caso è noto. Riguardava in particolare l’esistenza della giurisdizio-ne extraterritoriale del Regno Unito in relazione alla protezione dei diritti garantiti dallaConvenzione europea del 1950 nell’area di Bassora, in Iraq, di competenza, per quantoatteneva alla sicurezza, della brigata multinazionale sotto comando britannico. Un pri-mo aspetto da segnalare è l’affermazione del governo inglese (par. 116) secondo cuidurante l’attività di pattuglia

the military action of United Kingdom soldiers in shooting the applicants’ relatives whilst car-rying out military security operations in Iraq did not constitute an exercise of jurisdiction overthem

a meno di volere considerare una qualsiasi operazione, fosse essa un pattugliamento,una operazione offensiva di terra o un bombardamento aereo come esercizio della giu-risdizione ai sensi dell’art. 1 della Convenzione. Nel giudizio sono intervenute cometerze parti alcune organizzazioni non-governative per la tutela dei diritti umani (Bar Hu-man Rights Committee, the European Human Rights Advocacy Centre, Human RightsWatch, Interights, the International Federation for Human Rights, the Law Society, andLiberty ), che hanno sostenuto (par. 129) che

once a situation was qualified as an occupation within the meaning of international humanitarianlaw, there was a strong presumption of “jurisdiction” for the purposes of the application of humanrights law (corsivo aggiunto).

La Grande Camera ha concluso per l’esistenza della giurisdizione e del correlato do-vere di garantire i diritti fondamentali derivanti dalla Convenzione del 1950, passandoin rassegna gli episodi contestati. Le conclusioni della Grande Camera sono nettamentein favore dell’applicazione contestuale di diritto internazionale umanitario (lex specia-lis per la protezione dei civili nella specifica situazione di occupazione militare) e dellaConvenzione del 1950 (lex generalis sulla protezione dei diritti umani, per i membri delConsiglio d’Europa, da applicare in ogni circostanza, anche extraterritorialmente). Cosìnel caso in esame sussiste, secondo la legge speciale, l’art. 27 della IV Convenzionedi Ginevra, un dovere dell’occupante di proteggere i civili da qualsiasi atto di violen-za. Che cosa significhi nello specifico questa norma lo dice la Corte, che per esempiocomprende nel dovere di protezione anche le situazioni in cui l’incidente non era daattribuire alle forze britanniche ma a gruppi armati e altri attori non statali:

13 Al-Skeini and Others v. the United Kingdom , Application no. 55721/07, 7 July 2011.

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94 Tutela dei diritti umani nei conflitti armati

The third applicant’s wife was killed during an exchange of fire between a patrol of British sol-diers and unidentified gunmen and it is not known which side fired the fatal bullet. The Courtconsiders that, since the death occurred in the course of a United Kingdom security operation,when British soldiers carried out a patrol in the vicinity of the applicant’s home and joined inthe fatal exchange of fire, there was a jurisdictional link between the United Kingdom and thisdeceased also.

Page 101: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

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Page 103: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

Indice analitico

accordi in forma semplificata, 7accordi solenni, 7acque neutrali, 39aerei, 38Afghanistan, 20, 71aggressione, 4Alleanza del Nord (Afghanistan), 20alto mare, 14, 39amnistia, 20anticipatory self-defence, 5apartheid, 82armi indiscriminate, 37armi vietate, 36attacchi

effetti cumulativi, 31pluralità di, 30

attaccodefinizione, 31deliberato, 32indiscriminato, 26, 29, 30, 82

atti di guerra, 55atto di stato, dottrina, 80atto ostile, 66autodeterminazione, 19azioni ostili (operazioni navali), 39

bambini, 59bandiera (della nave), 40belligeranza, 19beni culturali, 35, 82beni liberi, 40blocco navale, 14, 25bombe a grappolo, 37

cappellani militari, 51Caroline case, 5cattura (della nave), 40civili, 29

internati, 50partecipazione alle ostilità, 55

cluster munitions, 37comandante militare (responsabilità), 81comandante militare (territorio occupato), 15combattenti

illegittimi, 50

irregolari, 46, 47legittimi, 44regolari, 45

Comitato internazionale della Croce Rossa, 78comunicazione, diritti di, 16conflitto armato

inter-etnico, 50, 83internazionalizzato, 20interno, 22, 71nozione, 18

contrabbando di guerra, 14, 40contractors, 52contras, 11corrispondenti di guerra, 51corsa agli armamenti, 37CPA, Coalition Provisional Authority, 74crimini di guerra, 77, 81, 83crimini internazionali, 77

danno collaterale, 30, 32denuncia (di trattati), 11deportazione, 82detenzione, 71, 82

amministrativa, 17Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 89diritti umani, 90

e diritto umanitario, 90nei conflitti armati, 90

diritto dei conflitti armati, 4diritto di visita, 14, 40diritto internazionale

consuetudinario, 6dei conflitti armati, 3umanitario, 3, 4, 6

diritto internazionale penale, 81dirottamento (della nave), 40disarmo, 37, 38distinzione, principio di, 8, 26, 28, 29, 41, 42, 46drones, 39

Enduring Freedom, 20, 48erga omnes, obblighi, 13

fonti del diritto internazionale, 6consuetudine, 6fonti primarie, 6

Page 104: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

fonti sussidiarie, 6principi riconosciuti dalle Nazioni civili, 8trattati, 6

forze armate, 45forze speciali, 40, 50

giurisdizione penale, 80giurisdizione universale, 49, 77, 83, 90giustizia penale internazionale, 77guerra asimmetrica, 40, 47guerra di corsa, 73guerra di liberazione nazionale, 12, 46guerra totale, 30guerriglia, 11, 46, 50

hors de combat, 43, 44

illecito internazionale (dello Stato), 77immunità funzionale, 80infrazioni gravi, 77, 83

nozione, 81repressione delle, 83

insorgenza, 19insorti, 19intento ostile, 66intercettazione, 40internamento, 16, 17invasione, 16ISAF, 20ISAF (Afghanistan), 66, 69, 71

joint criminal enterprise, 80Juan Carlos Abella v. Argentina, 89jus ad bellum, 4jus cogens, 5, 7

effetti, 7, 8nozione, 7

jus in bello, 4

Kosovo, 79

La Tablada, 89legittima difesa, 5, 71, 75levée en masse, 19liste di contrabbando, 40località non difese, 82luoghi di culto, 35luoghi sanitari, 51

Martens, clausola, 7, 8, 10, 37, 90, 91meccanismo umanitario, 15mercenari, 48mine, 36monumenti, 35munizioni a grappolo, 38

naveausiliaria, 40da guerra, 40mercantile, 40ospedale, 40

nazionalità attiva, 81

nazionalità passiva, 81necessità militare, 26, 32necessità militare imperativa, 35, 40neutrali, 14neutralità, 14

obiettivicivili, 29militari, 29

obligatio erga omnes, 7occupazione militare, 18, 23, 41

definizione, 24operazioni aeree, 38operazioni navali, 39operazioni speciali, 41ostaggi, 31, 32, 82ostilità

partecipazione diretta, 55partecipazione indiretta, 56

paramilitari, 46passaggio in transito, 40passaggio inoffensivo, 40peace-keeping, 70perfidia, 33, 46, 47, 63, 82perquisizione, 40personale sanitario, 51personality strike, 65persone protette, 14, 83pirateria, 70polizia, 46polizia marittima, 40Potenza protettrice, 16potenza protettrice, 78pre-emption, 5precauzione, principio di, 33, 38, 42prigionieri di guerra, 49

internamento, 17privateering, 73proporzionalità (nell’occupazione militare), 16proporzionalità, principio di, 26, 29, 30proprietà culturale, 35

rappresaglia, 32, 34, 49, 55, 78bellica, 78

reciprocità, 13regole di ingaggio, 66, 70, 92responsabilità internazionale dello Stato, 77responsabilità penale

del superiore gerarchico, 80dell’individuo, 80

riconoscimento di belligeranza, 22risarcimento del danno, 78Rules of Air Warfare, 38

sabotaggio, 48scudi umani, 31, 32si omnes, clausola, 13signature strike, 65

Page 105: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

soccorso difensivo, 66specialità, principio di, 89, 90spia, spionaggio, 47Stati neutrali, 14stato di guerra, 4stretti internazionali, 39

Taliban, 20targeting, 38territorio occupato, 41terrorismo, 33

transnazionale, 73tortura, 7, 82trappole esplosive, 36trasporti sanitari, 40trattato internazionale, 7Tribunale internazionale penale per la

ex-Jugoslavia, 84Tribunale militare internazionale (Norimberga), 84tu quoque, 13

uccisioni mirate (v. anche targeted killings), 57umanità, principio di, 7, 8, 26, 28, 31uniforme, 47unità sanitarie, 29unità sanitarie civili, 29

violazioni delle leggi e degli usi di guerra, 82, 84

Webster, Daniel, 5, 64

zone smilitarizzate, 82

Page 106: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

Tavola dei casi

International Court of Justice

Corfu Channel (Corfu Channel) [1949] I.C.J . Rep.Barcelona Traction, Light and Power Co. Ltd. (Belgium v. Spain) [1970] I.C.J. Rep.Military and Paramilitary Activities in and against Nicaragua (Nicaragua v. US) [1986]I.C.J. Rep.Legality of the Threat or Use of Nuclear Weapons (Advisory Opinion) [1996] I.C.J.Rep. (Nuclear Weapons)Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory(Advisory Opinion) [2004] I.C.J. Rep. (Wall in Palestine)Armed Activities on the Territory of the Congo (D.R.C. v. Uganda), [2005] I.C.J. Rep.

International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia

Tadic, Case No. IT-94-1 (Appeals Chamber), Decision on the Defence Motion for In-terlocutory Appeal on Jurisdiction, October 2, 1995Martic, Case No. IT-95-11-R61 (Trial Chamber), Rule 61 Decision, March 8, 1996Furundzija, Case No. IT-95-17/1 (Trial Chamber), December 10, 1998Tadic, Case No. IT-94-1 (Trial Chamber), November 11, 1999Kupreskic et al., Case No. IT-95-16 (Trial Chamber), January 14, 2000Blaskic, Case No. IT-95-14 (Trial Chamber), March 3, 2000Kordic and Cerkez, Case No. IT-95-14/2 (Trial Chamber), February 26, 2001Kupreskic et al., Case No. IT-95-16-A (Appeals Chamber), October 23, 2001Naletilic, Case No. IT-98-34-T (Trial Chamber) March 31, 2003Galic, Case No. IT-98-29-T (Trial Chamber), December 5, 2003Strugar, Case No. IT-01-42-T, (Trial Chamber), January 31, 2005

International Criminal Tribunal for Rwanda

Akayesu, Case No. ICTR-96-4-T (Trial Chamber), October 2, 1998Rutaganda, Case No. ICTR-96-3 (Trial Chamber), December 6, 1999

Page 107: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

Kajelijeli, Case No. ICTR 98-44A-T (Trial Chamber), December 1, 2003Bagosora, Kabiligi, Ntabakuze and Nsengiyumva, Case No. ICTR-98-41-T (Trial Cham-ber), December 18, 2008

European Court of Human Rights

McCann and Others v United Kingdom, Series A, No 324, Application No. 18984/91(1995)Ergi v Turkey, Application No. 23818/94 (1998)Assanidze v Georgia, Application No. 71503/01 (2004)Isayeva and others v Russia Application Nos. 57947/00; 57948/00; 57949/00 (2005)

Inter-american Commission on Human Rights

Juan Carlos Abella v Argentina, Case 11.137, Report No 55/97, Inter-Am. C.H.R.,OEA/Ser.L/V/II.95 Doc. 7 rev. (1997)

Giurisdizioni nazionali

Ex parte Quirin, 317 U.S. 1 (1942)United States V. Wilhelm von Leeb et al (the High Command case), 12 LRTWC 1 at 59(1948)Israel, Military Prosecutor v. Kassem and Others Israel, Military Court sitting in Ra-mallah, April 13, 1969Filártiga v. Peña-Irala, 630 F.2d 876 (2d Cir. 1980)Physicians for Human Rights v. IDF Commander (HCJ 4764/04) 24 May 2004Beit Sourik Village Council v. The Government of Israel (H.C.J. 2056/04) 20 Jun. 2004Hamdan v. Rumsfeld, 548 U.S. 557 (2006)The Public Committee against Torture in Israel et al. v. The Government of Israel (HCJ769/02) 14 Dec. 2006Physicians for Human Rights et al., v. Prime Minister of Israel et al. (HCJ 201/09) 19Jan. 2009

Page 108: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

Trattati e strumenti internazionali

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Page 109: Lineamenti di diritto internazionale dei conflitti armati

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