Linea di Partenza Magazine - Seconda uscita

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www.magazine.lineadipartenza.it LINEA DI PARTENZA Magazine #1 Dalla A alla Z Inchiesta a pag. 10 Caos “Bianco” nella medicina Approfondimento a pag. 13 Ed ecco Equitalia Approfondimento a pag. 20 I rischi di una città col nucleare Approfondimento a pag. 23 L’Italia e la cultura Approfondimento a pag. 15 I cambiamenti dopo il “muro” Ed ecco Equitalia

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Informazione, approfondimento e inchieste sulle maggiori tematiche d'attualità mondiale.

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LINEA DI PARTENZAMagazine

#1

Dalla A alla Z

Inchiesta a pag. 10Caos “Bianco” nella medicina

Approfondimento a pag. 13Ed ecco Equitalia

Approfondimento a pag. 20I rischi di una città col nucleare

Approfondimento a pag. 23L’Italia e la cultura

Approfondimento a pag. 15I cambiamenti dopo il “muro”

Ed ecco Equitalia

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18/05/2012, n°1www.lineadipartenza.itwww.magazine.lineadipartenza.itwww.associazione.lineadipartenza.it

Il nostro network

LINEA DI PARTENZA MAGAZINE Edoardo Laudisi

Sarah Panatta

Cosimo Laneve

Fabio G.G. De TataValentina Vanzini

Lorenzo La Face

Adele IasimoneRoberta Musolesi

Roberta Ottonello

Giada Passanisi

EditorialeSono giorni intensi, questi. Giorni che potrebbero fare la

storia e cambiare il volto della realtà in cui viviamo, nel bene

e nel male. Mentre in Italia la crisi continua a mietere vittime

e nuovi scandali politici inondano le pagine dei giornali,

l’Europa è sempre più sull’orlo del baratro, con la Grecia che,

da paese di secondo piano sulla scena globale, è diventata

l’ago della bilancia delle sorti dell’Euro. Una moneta che viene

difesa a spada tratta quasi si trattasse di una divinità - come

afferma il filosofo e giornalista Paolo Becchi -, nonostante

le evidentissime lacune evidenziate da anni a questa parte

da parte di illustri economisti quali Paul Krugman e Robert

Mundell. E si parla di Premi Nobel per l’economia, non di

complottisti di turno. Come se non bastasse, infine, negli ultimi

giorni sono tornati ad aggravarsi gli equilibri della politica

internazionale. Insomma, una situazione che instabile è dir

poco e i cui rischi sono sotto gli occhi di tutti.

Anche questa volta abbiamo cercato di esserci, sviluppando

i temi della precedente uscita e cercando di dare un piccolo

contributo sulla travagliata scena dell’informazione italiana.

Da un articolo di critica/riflessione sulle recenti vicende della

Lega, prosegue il nostro viaggio-travaglio nel mondo della

sanità, per poi passare all’approfondimento su Equitalia, sugli

equilibri della politica internazionale, sul nucleare e sulla

situazione della cultura in Italia.

Abbiamo scelto di porre al centro dell’attenzione di questa

prima uscita un interessante approfondimento su Equitalia,

sia per la qualità del contenuto, sia per l’importanza che

l’argomento riveste da qualche tempo a questa parte. Tra

notizie di cronaca e mille polemiche, infatti, ben pochi sanno

precisamente cosa sia Equitalia, come funzioni e cosa riguardi

precisamente il dibattito. Abbiamo cercato, quindi, di fare

un po’ di chiarezza per permettere a chiunque - cosa che

dovrebbe essere l’obiettivo primario di una sana informazione

- di essere realmente cosciente di uno dei tanti problemi che

imperversano sull’Italia.

Linea di Partenza Magazine è la rivista interattiva dell’omonima Associazione non

riconosciuta “Linea di Partenza”. Offre ai lettori inchieste e approfondimenti

sull’attualità nazionale ed internazionale cercando di proporre un nuovo modello

di informazione, partecipata ed autentica. Difendendo la libertà di informazione

propria di tutto lo staff che scrive su questa rivista.

Ai sensi della legge n. 62/2001, la rivista Linea di Partenza Magazine non può

essere considerata una testata giornalistica in quanto i contenuti della stessa

non vengono pubblicati con periodicità regolare. Indi per cui questa rivista non

può essere considerata un prodotto editoriale.

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Sommario

4 | Linea di Partenza

Blog di Edoardo Laudisi

Un paese tutto per loroLa sensazione è di galleggiare in un mare lordato dagli scarichi di una fognatura

Approfondimento di Roberta Ottonello

I rapporti tra Oriente e Occidente dopo il “muro”Come è cambiato il mondo, com’è cambiata la guerra, come cambierà ancora

Inchiesta di Sarah Panatta

Caos “Bianco”, il fantasma della medicina territorialeAllarme ministeriale: i codici bianchi sovraffollano i PS. Aperta la querelle sull’efficienza della medicina di base come panacea “locale” al crack degli ospedali

Approfondimento di Roberta Musolesi

Ed ecco EquitaliaEquitalia dalla A alla Z

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Approfondimento di Valentina Vanzini

Sudan: fra sangue e dolore, un paese senza paceUna terra nata dal sangue, che sempre ha conosciuto al suo interno lotte, fame e soprusi

Approfondimento di Giada Passanisi

Quali rischi corre una città dotata di centrale nucleare?Ecco perché l’Italia non è pronta all’utilizzo dell’energia atomica

Approfondimento di Adele Iasimone

Ministero dei Beni Culturali: chi, come e quando!Le principali tappe per il riconoscimento anche normativo dei Beni Culturali. Un’ analisi precipua del ruolo che la cultura ha nel nostro paese e delle potenzialità che potrebbe sviluppare

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CULTload ...della cultura-cult, fuori dal mainstream

di Sarah Panatta

Le “ret i” della cultura ol tre gli schemi, tra cinema civile, libri extra circui to, spet tacoli, mostre, event i, associazioni, meet ing, fiere “dentro” la società in evoluzione

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Un paese tutto per loroLa sensazione è di galleggiare in un mare lordato dagli scarichi di una fognatura

BLOGdi Edoardo Laudisi

di Edoardo Laudisi

Edoardo Laudisi, Genova.

Scrittore, traduttore, autore

di romanzi, poesie e testi

teatrali. Insieme al musicista

Maurizio Mongiovì fonda il

progetto musicale Einschlag!

le cui suite poetico musicali

sono visionabili su YouTube.

“Mia nipote? meglio del Trota, lui è un pirla, lei brava, bella e capace. Difendo il nepotismo. Se hai un parente, anche un figlio, preparato e capace perché non deve avere la possibilità di emergere? ”.Daniela Santanché a Radio 24.

La sensazione è di galleggiare in un mare lordato dagli scarichi di una fognatura. Con lo scandalo della Lega che diventa sempre più grottesco oltre che clamoroso, con codazzi di case restaurate a loro insaputa, soldi rubati per garantire il benessere a una family di diversamente abili, diamanti e dobloni d’oro acquistati con i soldi pubblici. Insomma un classico del made in Italy dove la realtà assume spesso il ghigno cialtronesco della farsa. A parte subire la crisi economica come nessuno al mondo, sembra che corruzione e ruberie siano le uniche cose veramente riuscite alla generazione di balordi che hanno governato negli ultimi decenni.

Gli scandali si sa, ci sono ovunque. La corruzione, diceva Churchill, sta all’economia come l’olio al motore; se manca il motore non gira, se ce n’è troppa il motore grippa. Nel caso italiano siamo ben

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oltre la grippata. Da noi infatti la corruzione è stata elevata a vertigine gerarchica verso l’alto e sparsa a piene mani come letame verso il basso finendo per inculcare una mentalità parassitaria e rinunciataria tanto nelle classi dirigenti quanto in quelli che stanno sotto. Una volta che si ha la certezza che tutto è corrotto non vale la pena muovere un dito per impegnarsi, perché non sarà mai con l’impegno, casomai con il malaffare e l’intrallazzo, che si potranno raggiungere certi obiettivi. La corruzione dilagante crea una psicologia da accattoni in basso e un istinto arrogante e allo stesso tempo servile in alto, finendo per soffocare la libertà e con essa la capacità dell’uomo di agire nel mondo.

Il mare tossico nel quale sguazziamo da troppo tempo ha corroso la forza di volontà di generazioni d’Italiani facendogli crescere nella convinzione castrante che non serve essere coraggiosi, attivi, capaci, impegnati, non serve avere delle proposte, qualcosa da dire o un idea da sviluppare se non c’hai chi unge i canali per te. Che il valore personale e la determinazione sono assolutamente inutili senza l’aiutino di papi, mami, zio o zia, badanti, l’amico introdotto negli ambienti giusti o quello camorrista e che essere coerenti con se stessi, preparati e non inclini a qualsiasi compromesso, siano dei difetti, delle zavorre di piombo in queste acque marce dove vince chi fa il morto ma è lesto ad afferrare la mano dell’amico degli amici che sfreccia in motoscafo. Da troppo tempo la morale di questo

8 | Linea di Partenza

paese è che vincono sempre i peggiori mentre i migliori stanno sottoterra. Lo scandalo della Lega da questo punto di vista è emblematico. Mentre la crisi attaccava il diritto all’esistenza di migliaia di persone distruggendo posti di lavoro e facendo a pezzi il diritto allo studio, uno come il Trota, ragazzotto dall’intelligenza scarsissima, poteva godere di un generoso assegno pubblico, i rimborsi elettorali sono equiparabili ad assegni pubblici, per completare scuole private (scuole il

Trota!) a Londra e cazzeggiare in Bmw con ben undici (undici!) body guards al seguito. Mentre centinaia di migliaia d’italiani e italiane capaci, preparati, creativi, erano tagliati fuori da ogni possibilità di riscatto sociale, in una gigantesca operazione di boicottaggio sociale paragonabile solo alla segregazione attuata dai peggiori regimi, una minoranza diffusa di cialtroni, furbi e furbetti con cricche di parenti al seguito, mafiosi, puttane e vecchi papponi, si spartiva i posti più importanti del paese e metteva le mani sulla cassa

rubando il futuro. Questo è avvenuto ovunque: in politica, nelle università, nelle aziende, nei consigli di amministrazione, nelle fondazioni bancarie, negli ospedali.

A questo punto bisogna dire chiaro come stanno le cose: ci troviamo in piena decadenza economica, sociale, civile, politica e morale, e se non troveremo in fretta le forze per reagire sarà la rovina totale. La forma e l’intensità che la rovina potrà assumere ci sorprenderà, poiché gli schianti giungono

BLOGdi Edoardo Laudisi

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sempre inaspettati. Il governo, e i partiti che lo sostengono, continua a parlare della crescita economica come di un esercito di salvezza che ci solleverà dall’assedio, come se un modello econometrico differente e qualche riformetta varata in fretta e furia fosse sufficiente a far rinascere un paese. Perché è necessaria una rinascita, non qualche piccolo aggiustamento temporaneo buono soltanto a garantire l’interesse di qualche cricca furbetta.

Cosa significhi rinascita noi italiani dovremmo saperlo bene dal momento che il Rinascimento è nato qui, fa parte dell’asse ereditario positivo lasciatoci dai nostri antenati. Per Machiavelli il solo modo in cui le comunità potevano rinnovarsi e sfuggire a rovina e decadenza era tornare ai loro valori e principi costitutivi. Ciò era possibile a due condizioni: che i principi a cui si doveva tornare fossero chiaramente riconosciuti e intesi da tutta la comunità e che fossero riconosciute le condizioni di fatto attraverso le quali tale ritorno doveva essere realizzato. Per l’autore del Principe i principi costitutivi erano quelli della repubblica romana, da raggiungere attraverso l’unificazione politica del territorio italiano. Se volessimo provare a usare il pensiero del Machiavelli senza voler tornare alle origini di Roma, sulla quale il ventennio fascista ha reso impossibile innalzare alcunché, e volendoci tenere alla larga dalla sterile retorica risorgimentale tanto cara al nostro Presidente della Repubblica, non ci rimarrebbe che guardare all’atto di nascita

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Un paese tutto per loro

della Repubblica Italiana democratica e antifascista; la Carta Costituzionale del 1946.

A Machiavelli quella carta sarebbe parsa un sogno, mentre oggi qualche cialtrone al potere vorrebbe buttarla nella spazzatura o aggiornarla con slogan commerciali. Molti suoi articoli, quelli più importanti, non sono andati oltre l’enunciato del buon intento tuttavia ciò che interessa è lo spirito con il quale la carta fu scritta. Lo spirito di un paese che usciva con le ossa rotte da venti anni di dittatura e cinque di guerra e voleva proiettarsi nel futuro cambiando il corso della sua storia

fissando alcuni principi di base. La questione allora diventa quella di sapere se oggi in questo paese corroso dalla corruzione fin nelle sue fondamenta e devastato dal clientelismo, sia possibile anche solo l’idea di cambiare il corso della storia e

diventare protagonisti - e quindi responsabili - del proprio destino.

L’impressione è che il saccheggio continuo attuato a più livelli da più generazioni sia penetrato così a fondo nella coscienza collettiva, da trasformare la percezione della realtà. Funziona come il peccato originale: ogni nuova generazione se lo carica sulle spalle indipendentemente dai suoi meriti o dalle sue colpe e finisce per piegarsi sotto il suo peso. E se la catena non si spezzerà in qualche punto, la gobba finiremo per portarla tutti fino alla fine dei nostri giorni.

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10 | Linea di Partenza

APPROFONDIMENTOdi Sarah Panatta

Caos “Bianco”, il fantasma della medicina

Allarme ministeriale: i codici bianchi sovraffollano i PS

di Sarah Panatta

Scrivere “dentro”. Nella

rete di una cultura-mondo

libera e stratificata. E

attraverso la volontà di

una controinformazione

appassionata. Questo

il suo istinto. Laureata in

Letteratura Comparata e in

Editoria poi. Chiodo fisso, il

cinema e i viaggi, “di confine”.

La kryptonite nella borsa. Da medico. Medicina di base - pronto soccorso - “codici bianchi” (classificazione: nessuna urgenza). Agenti repulsivi di un sistema che non riesce ad integrarsi. Il triangolo della diatriba, il crocicchio congestionato di contestate soluzioni lampo, il girone dell’ignavia amministrativa.

Il Ministro della Salute Balduzzi denuncia l’invasione ai PS. Nei “titoli” si diffonde endemica l’equazione (dissonante perché binaria, dunque limitativa) pronto soccorso iper trafficato-rete medicina generale insoddisfacente, e l’altrettanto semplificativa unica controproposta scovata nel riequilibrio drastico della rete suddetta. Passo radicale e da molti operatori ritenuto necessario. Ma obbedendo alle cifre e al senso complessivo (ipoteticamente lungimirante) di una nuova seppur ardua e macchinosa ripartizione delle risorse umane ed economiche, la questione della redistribuzione dovrebbe forse investire massicciamente prima gli stessi PS e le strutture pubbliche, dove proprio le carenze di medici e infermieri bloccano, come da vissuto quotidiano, il servizio pubblico. Da dove trarre le ragioni della disfunzione? Nella confusione dei pazienti, in

territoriale

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Caos “Bianco”, il fantasma della medicina territoriale

diaspora colpevolizzata? Nei miopi piani nazionali di riassetto sanitario? Nei disomogenei territori da ridisegnare? Quali le corrispondenze, quali le variabili tangibili dell’“assalto”ai PS? Quali riconfigurazioni (im)possibili?

I pazienti sembrano bypassare in modo abituale gli ambulatori dei medici di base (tecnicamente medici di medicina generale, mmg), indirizzandosi direttamente al pronto soccorso. L’aritmetica non fornisce cause. Bensì i numeri dell’“assalto”. 47mila i medici di base, con una media di 1000 pazienti “assistibili” ciascuno, e di 8 accessi per paziente in pronto soccorso l’anno. Ergo, 376 milioni di codici bianchi o verdi (classificazione: urgenza minore - lesioni che non interessano le funzioni vitali ma vanno curate) annuali. La mostruosità non risiede nella cifra, ma nell’affaticamento del SSN e dei pronto soccorso ad essa in parte correlato.

Lo dicono, nell’assillo degli ultimi mesi di crisi, moltiplicati sondaggi, inchieste, statistiche e i diversi rappresentanti delle parti sociali a confronto. Le voci si scontrano contraddittorie. Da un lato emergono sommariamente le prospettive degli utenti. Sono sfiduciati, specialmente nelle metropoli e nei capoluoghi ad alta densità si sentono trattati come cifre, pari o dispari nelle file ambulatoriali, decimali della spesa sociale. O valutano inadeguata la copertura oraria del proprio mmg. Oppure non possono usufruire a sufficienza delle visite

domiciliari. Ancora, giudicano in autonomia preventiva la gravità del malessere e si auto direzionano. Infine, fattore scarsamente considerato, indirettamente influenzate dal bombardamento pubblicitario e dai fad on-line che propagano ciclicamente nuovi modelli salutari (la cui provenienza e scientificità sono raramente certificate), le persone si auto medicano in base alle prescrizioni catodiche delle case farmaceutiche o dei guru di turno. Precipitandosi poi al PS, anche per malesseri evitabili o accentuati da comportamenti inadeguati.

Dall’altro lato la situazione martellante dei pronto soccorso. Scene di ordinaria follia. Nel martoriato Lazio, nel mirino costante della cronaca nazionale, fanno scandalo il “San Camillo” implosivo e le disattenzioni al Policlinico

universitario “Umberto I” di Roma. Letti e pazienti affastellati nei corridoi. Autoambulanze posteggiate “a castello”, in coda per l’accesso al pronto soccorso. Rianimazioni operate a terra, in mancanza di materassi e persino di barelle. Paramedici e operatori della Croce Rossa che aiutano operatori dei PS, prestandosi oltre il proprio dovere nelle emergenze che non riescono ad neppure ad “entrare”. Dal Lazio alla Lombardia, altra regione limite. Da un’indagine della Cisl Medici Lombardia, realizzata attraverso un monitoraggio nei pronto soccorso di Milano e negli ospedali di Bergamo, Como e Lecco, spunta il 15% degli accessi ingiustificati. E un massimo di 6 ore di attesa negli

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ospedali di Milano, 5 ore a Lecco (10% dei codici bianchi), 4 ore a Como (7%), 2 ore a Bergamo (9%). “Tra le variabili dell’organizzazione sanitaria – ha dichiarato Arturo Bergonzi, segretario generale Cisl Medici Lombardia – bisogna tener conto anche di un fattore molto umano, che si chiama paura: quando un cittadino sta male si rivolge al Pronto soccorso, perché si sente più tranquillo rivolgendosi alla struttura ospedaliera”. Roma-Milano. Foto-copie dell’allarme afflusso “anomalo” scattate dall’occhio/indice mediatico, che contribuisce a confondere le “corsie”, farcendo inconsistenti, deragliate scalette con generici avvisi di malasanità.

Un’informazione perniciosa e incompleta spalleggiata da singole ricerche che nel 90% dei casi continuano a snocciolare numeri, avvistando soltanto la punta di un decennale iceberg, sostanza scivolosa del caos vero, sotterraneo del SSN. Pullulano dati, fervono risposte flash, tuttavia azzerate analisi comparate e/o indagini strutturate su numerose variabili.

Niente che ricordi come l’accesso al PS sia anche un diritto oltre che, per codici bianchi-capri espiatori, un errore, un disavanzo numerico. Il soccorso deve essere “pronto”, in ogni caso. Politici e ministero (che ha recentemente aperto una campagna informativa per ridurre la domanda dei servizi di “emergenza-urgenza”, visionabile sul portale dedicato) fanno a gara nel ricondurre univocamente le cause del disastro dei PS allo scarso “credito” che tiene a galla il rapporto medico di base - paziente e dall’aggravata scarsa recettività dei nuclei sanitari

APPROFONDIMENTOdi Sarah Panatta

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delle Asl, in cui i medici di medicina generale (mmg) appaiono unico collante sostituibile nella risoluzione dei cosiddetti “codici bianchi” e dei “codici verdi” a “minor impegno”. Scattati alcuni provvedimenti dal Ministero. Esperimenti dalle Regioni.

Obiettivo comune: ingolfare la medicina di base. Consolare le statistiche con riconversioni troppo rapide anziché confrontare le urgenze delle varie province, stilare mappe

territoriali e ridistribuire ai PS, dove necessario e con graduatorie e concorsi pubblici per medici e infermieri. Quale ricerca metterà all’indice gli sprechi, le assunzioni amministrative esuberanti e i dissanguamenti dei PS di provincia? Ascoltiamo le panacee di Balduzzi & Co.

Niente che ricordi come l’accesso al PS sia anche un diritto

oltre che, per codici bianchi-capri espiatori, un errore,

undisavanzo numerico

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APPROFONDIMENTOdi Roberta Musolesi

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Ed ecco Equitalia Dalla A alla Z

di Roberta Musolesi

Bologna, 47 anni.

Appassionata di politica

e scrittura. Nella vita è

un’insegnante di scuola

elementare, con una breve

esperienza nella scuola

superiore. Professione

adorabile, missione da vivere

con un senso del dovere quasi

kantiano, sorreggendone

stanchezza e frustrazioni.

Equitalia è una società pubblica italiana – per il 51% dell’Agenzia delle Entrate e per il 49% dell’Inps - incaricata della riscossione nazionale dei tributi. Equitalia, che prima del 2007 si chiamava Riscossione S.p.A., nasce in seguito ad una riforma della riscossione dei tributi, per effetto dell’art. 3 del decreto legge n. 203 del 30 settembre 2005. Tale decreto stabilisce la soppressione del precedente sistema di affidamento in concessione del servizio nazionale della riscossione, che vedeva come affidatari un gruppo di privati, prevalentemente istituti bancari, e attribuisce le funzioni relative alla riscossione dei tributi nuovamente all’Agenzia delle Entrate, che le esercita appunto attraverso Equitalia, sulla quale svolge attività e coordinamento.

Le competenze di Equitalia sono così molto sinteticamente riassumibili:1. Elaborazione e stampa delle cartelle di pagamento, cioè di quei documenti che vengono predisposti e notificati ai contribuenti per invitarli a pagare le somme dovute al fisco entro sessanta giorni;2. Servizio di elaborazione e stampa di preavvisi e avvisi di fermo amministrativo, cioè di comunicazioni mediante le quali Equitalia, decorsi i 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, preavvisa e avvisa il contribuente dell’attivazione delle procedure di fermo

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amministrativo di un bene “mobile” (ad esempio l’automobile); 3. Servizi di elaborazione e stampa di avvisi di varia natura: questi servizi coordinano l’elaborazione, la stampa tipografica e l’invio tramite posta degli avvisi, solleciti di pagamento o diffide, con cui Equitalia attiva le procedure esecutive per intimare al contribuente il pagamento dei tributi e degli oneri accessori ancora dovuti, delle comunicazioni con cui “propone” al contribuente il pagamento di debiti utilizzando crediti d’imposta che lo stesso contribuente vanta nei confronti dello stato e di cui risulta beneficiario, o con cui notifica l’annullamento, in tutto o in parte, dell’ordine di riscossione delle somme richieste;4. Servizio di elaborazione e stampa dei bollettini di pagamento relativi al piano di rateazione concesso da Equitalia al contribuente; 5. Servizio di elaborazione, stampa tipografica e invio tramite posta delle comunicazioni delle sanzioni per violazioni al Codice della Strada, che Equitalia svolge per conto dei Comuni; 6. Servizio di elaborazione e stampa delle comunicazioni relative al pagamento dell’ICI, ora IMU, da inviare ai contribuenti per il pagamento dell’Imposta Comunale sugli Immobili.

Equitalia offre inoltre un servizio di assistenza clienti, definito dalla stessa agenzia di riscossione dei tributi come “presidio costante per la risoluzione delle problematiche e l’erogazione delle informazioni sui molteplici servizi forniti”, e un servizio documenti web, che consente la consultazione online dei documenti di riscossione e, in alcuni casi, anche la stampa puntuale dei documenti stessi. Equitalia, infine, relativamente al servizio di riscossione dei tributi, distingue in modo molto netto la procedura di riscossione spontanea da quella invece di riscossione coattiva. Nel primo caso si tratta della riscossione dei tributi senza che vi siano inadempimenti da parte del contribuente; un esempio di tale forma di riscossione è la tassa sui rifiuti urbani (TARSU), che può avvenire in un’unica

soluzione o mediante rateizzazione; il secondo caso è invece la procedura di recupero forzoso di un credito, che può avvenire in forme anche molto dolorose per il cittadino, come l’ipoteca o il pignoramento dei beni immobili, il fermo amministrativo dei beni mobili e l’espropriazione forzata dei beni mobili e immobili. Insomma, Equitalia, sul suo sito e mediante una brochure cartacea scaricabile dal sito stesso, vuole proporre al cittadino i propri servizi in modo chiaro e molto lineare, e promette di essere, almeno sulla carta, interamente al servizio del contribuente. E allora da dove hanno origine i problemi? In primo luogo è necessario rilevare che Equitalia è un costo per tutti i contribuenti. La creazione di questa agenzia ha comportato infatti di per se stessa un aumento della pressione fiscale, poiché, essendo un ente a capitale pubblico, ha un costo di gestione che viene coperto dai cittadini con le imposte. Se Equitalia poi conclude la sua attività con un attivo di bilancio, sono i cittadini ad averlo reso possibile con le tasse corrisposte, ma se invece rileva un passivo saranno gli stessi i cittadini, ancora con le tasse, a doverlo risanare.

Insomma, si tratta di un’agenzia che opera, apparentemente, in modo tutt’altro che vantaggioso per il contribuente, in quanto con una mano riceve, e molto, ma con l’altra non dà.La proprietà di Equitalia, inoltre è di due enti pubblici, Agenzia delle Entrate e INPS, che, per quanto concerne le loro riscossioni, si trovano in un evidente conflitto d’interessi. La stessa INPS, in virtù di questo machiavellico conflitto di interessi determina un sicuro aumento della pressione fiscale su quel cittadino, che parte dal 5%, fino ad arrivare, in alcuni casi, fino al 100% e oltre, percentuali cioè da vera e propria usura. La quantificazione di questa usura sarà materia del prossimo articolo.

APPROFONDIMENTOdi Roberta Musolesi Ed ecco Equitalia

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APPROFONDIMENTOdi Roberta Ottonello

I rapporti tra Oriente e Occidente dopo il “muro”

di Roberta Ottonello

22 anni, genovese,

studentessa di Scienze

internazionali e diplomatiche.

Appassionata di letteratura,

cinema ed arte in genere,

è una scrittrice esordiente

e un’esperta di relazioni

internazionali. Ha pubblicato

per la casa editrice

“Habanero” il romanzo

“La filosofia della follia”,

disponibile online QUI.

Il 9 novembre 1989 fu una data simbolo: il muro che divideva l’occidente sviluppato e capitalista, capeggiato dagli Stati Uniti, dall’oriente arretrato e autoritario e con a capo l’Unione Sovietica, si dissolse. Le conseguenze furono palesi: il mondo passò da un bipolarismo che durava dal 1945, ad un sostanziale unipolarismo. Il periodo 1945-1991, infatti, è stato caratterizzato da quella che viene chiamata “guerra fredda”, termine che venne coniato per indicare quella particolare situazione politica internazionale in cui il globo si trovò diviso in due aeree d’influenza, salvato solo da quello che passò alla storia come l’”equilibrio del terrore”, che impedì lo scontro diretto tra i due “colossi” (USA e URSS), impegnandoli però in numerose guerre locali, soprattutto indirettamente, ma mai l’uno contro l’altro. La zona in cui questa divergenza si palesava in maniera più drammatica era sicuramente l’Europa e, in particolare, la Germania che si trovò a non esistere più come Paese unico, ma come due stati differenti, la Repubblica Federale di Germania (Germania Occidentale) con capitale Bonn e la Repubblica Democratica di Germania, con capitale Berlino est.

All’alba degli anni novanta, dopo la caduta del muro e l’inizio del dissolvimento dell’Unione Sovietica, il rapporto tra Occidente e Oriente mutava i suoi connotati. Il primo settore in cui questo

Come è cambiato il mondo, com’è cambiata la guerra, come cambierà ancora

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cambiamento si fece evidente fu quello, ovviamente, della guerra: secondo l’UCDP (Uppsala Conflict Data program) dagli anni novanta in poi è mutata la natura stessa del conflitto: non si assiste più a guerre inter-statali, ovvero a scontri diretti tra più Paesi con una, per lo meno apparente, parità di forza, ma si hanno sempre più conflitti di tipo intra-statale, ovvero conflitti che si generano all’interno di un solo Stato, che vengono internazionalizzati con l’intervento, solitamente, di una grande potenza (o di una coalizione di potenze). Questo può significare che, con la fine del bipolarismo, nessuno Stato vuole o può intraprendere una guerra di conquista (la maggior parte, se non la totalità, delle guerre passate ha avuto questa connotazione) perché l’egemonia statunitense inibisce qualsiasi tipo di competizione geopolitica, in quanto il divario di potenza è troppo elevato.

In realtà questo non significa che il problema della guerra “diretta” sia stato eliminato dal panorama delle relazioni internazionali perché, come detto sopra, questa ha assunto semplicemente un’altra forma. E può essere descritta benissimo nelle formule, molto spesso abusate dai media, di “guerra al terrorismo” (soprattutto dopo l’11 settembre 2001) e di “guerra per la democrazia”.

Dal punto di vista economico, poi, il rapporto Occidente-Oriente sta mutando repentinamente: gli Stati Uniti, benché dal punto di vista politico-militare detengano ancora (anche se, è il caso di dirlo, per poco) il primato mondiale, essi sono passati

dall’essere il principale creditore nei confronti della quasi totalità dei Paesi, all’essere il principale debitore nei confronti della Cina. Questo ha ovvie implicazioni nelle scelte di politica estera, in quanto il commercio è un settore fondamentale delle relazioni internazionali. La nascita e lo sviluppo di nuovi colossi economici, soprattutto nell’estremo oriente, fa in modo che il centro del potere e, quindi, il fulcro delle relazioni diplomatiche si spostino rapidamente. Come l’Europa ha perso la sua centralità all’alba della fine della seconda guerra mondiale, e si trattava di una centralità già in declino, così sta succedendo agli Stati Uniti: perdendo gradualmente la propria

preminenza, il rischio è quello di creare dei vuoti di potere che lasciano spazio a grandi interrogativi: chi prenderà le redini del mondo? Sarà davvero il nuovo oriente sviluppato e forte a sostituire questo unipolarismo o si tornerà ad una situazione, se non multipolare, per lo meno bipolare? Tutti questi interrogativi non

possono trovare risposte certe, a meno che non si voglia guardare alle crisi internazionali come a un qualcosa di risolutivo nel panorama politico mondiale. Per questo motivo occorre conoscere e capire i motivi e gli sviluppi delle singole crisi statali, con un occhio di riguardo alle zone “calde” del mondo come la Siria, Israele e l’Iran. Un’analisi accurata delle dinamiche delle relazioni di e tra questi Paesi con il resto del mondo (e, soprattutto, con l’Occidente) è fondamentale per riuscire a prevedere quali sviluppi dovranno attenderci nel futuro più prossimo.

APPROFONDIMENTOdi Roberta Ottonello La politica estera e la crisi

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APPROFONDIMENTOdi Valentina Vanzini

Sudan: fra sangue e dolore, un paese senza paceUna terra nata dal sangue, che sempre ha conosciuto al suo interno, lotte,

di Valentina Vanzini

24 anni, Roma. Laureata in

scienze della comunicazione

si sta specializzando nel

corso di Informazione e

Sistemi Editoriali. Da sempre

coltiva la passione per la

scrittura ed il giornalismo,

soprattutto d’inchiesta ed ha

come modello il grande Indro

Montanelli.

Una terra nata dal sangue, che sempre ha conosciuto al suo interno lotte, fame e soprusi. Oggi sull’orlo di una guerra che potrebbe dividere le potenze mondiali. E’ il Sudan, uno degli stati più grandi dell’africa subsahariana. Nel 1956 il paese ottenne l’indipendenza dal Regno Unito e fin da allora il Sudan fu governato da regimi militari con governi di orientamento prettamente islamico.Dilaniata da ben due guerra civili oggi il Sudan è un paese ancora fortemente diviso e attraversato da conflitti che sembrano essere insanabili. La prima guerra civile scoppiata nel 1955 vide in lotta il governo centrale contro i separatisti del sud che rivendicavano una maggiore autonomia regionale.

Il conflitto durò ben 17 anni provocando la morte di ben cinquecentomila persone per lo più civili, che perirono nello scontro mentre centinaia di migliaia di profughi inermi furono costretti a fuggire abbandonando le loro terre e perdendo tutto. Gli Accordi di Addis Abeba, permisero di sancire una breve tregua che però non fu mai rispettata a causa delle continue violazioni dei patti e delle violenze in tutto il paese. Privati dell’autonomia richiesta e promessa, i popoli del Sud del Sudan a partire dagli anni Settanta scatenarono una serie di agitazioni popolari che sfociò

fame e soprusi

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nell’ammutinamento militare del 1983 dando vita alla seconda guerra civile sudanese.

Prima di allora altre terribili prove aspettavano il paese. Nel 1964 un decreto di espulsione generalizzato sancì l’espulsione dei missionari stranieri che operavano nel paese. Pochi mesi dopo, a causa delle forti tensioni nel paese scoppiò la “rivoluzione d’ottobre” una ribellione che causo terribili sofferenze alla popolazione sudanese e nel 1969 sfociò. Pochi anni dopo nel 1969 le tensioni sfociarono in un colpo di stato ordito dai comunisti nel 1969. Nel 1978 finalmente fu firmato un accordo fra il governo centrale e le opposizioni. L’accordo doveva riportare la pace nel paese, ma non fu così, l’anno successivo la situazione non migliorò, la popolazione, ormai stanca ed affamata diede vita ad una serie di manifestazioni e scioperi in cui si chiedeva il miglioramento delle condizioni economiche e il riconoscimento dei diritti fondamentali. Nel 1983 infine un’altra guerra civile, il conflitto, il più lungo di sempre, sarebbe finito nel 2005 con ben 2 milioni di morti fra i civili. Nel frattempo il paese, colpito dalle carestie, affamato e decimato, subì un altro colpo di stato e nel 1989 il Fronte nazionale islamico salì al potere guidato dal generale Sadiq al-Mahdi. Il cambiamento al governo non portò la pace tanto sperata, ma al contrario inasprì il contrasto decennale fra nord e sud, una nuova guerra investì il paese e portò a 4 milioni

APPROFONDIMENTOdi Valentina Vanzini

il numero dei rifugiati senza contare circa 200.000 donne e bambini ridotti in schiavitù.

Nel 1996 l’Onu decretò una serie di sanzioni contro il Sudan, accusando il governo di aver organizzato il colpo di stato contro il presidente Mubarak, le sanzioni consistevano in un embargo generale, fortemente voluto dagli Stati Uniti, che mise definitivamente in ginocchio il paese. Nel 1998 un’ ondata di siccità determinò una delle carestie più gravi mai avute, l’anno successivo la lotta politica si inasprì violentemente

e il presidente al- Bashir proclamò lo stato d’emergenza scatenando una serie di bombardamenti in tutto il Sud del paese. Nel giugno del 2002, grazie agli ambasciatori dell’Onu, iniziarono le trattative di pace fra il governo sudanese e le forze ribelli. Bashir e John Garang, leader dei

ribelli, si incontrarono per la prima volta e con un accordo fu concessa maggiore indipendenza al sud del paese approvando un referendum. La presenza di ingenti risorse petrolifere nel sud del paese, gestito da compagnie cinesi, esasperò il conflitto fra le due fazioni del paese e nel 2003 le milizie ribelli attaccarono gli insediamenti governativi. Altri morti e rifugiati macchiarono di sangue la terra del paese che ricadde nuovamente nel caos.

Dopo un conflitto durato più di 40 anni fra nord e sud, la condizione del Sudan fu definita nel 2004 dalla Comunità

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Sudan: fra sangue e dolore, un paese senza pace

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Internazionale “la più grave situazione umanitaria esistente”. Sin dagli anni ‘80, il governo ha imposto il duro regime della Shari’a, la legge coranica causando privazioni e paura in tutto il paese che non è mai riuscito a crescere. Un’ altra questione scottante è quella del Darfur una zona del Sudan in cui i conflitti hanno origini remote e risalgono agli scontri per il controllo dell’acqua fra le popolazioni nomadi arabe e le popolazioni autoctone africane.

Dopo la firma dell’accordo di pace nel 2005 le elezioni parlamentari e presidenziali si tennerò nell’aprile 2010, in quest’occasione fu eletto il presidente del Sudan e quello del Sudan meridionale. Per il primo fu riconfermato hassan El Bashir mentre nel sud fu eletto il presidente Salva kiir Mayardit, ex leader dei ribelli. Tra il 9 e il 15 gennaio 2011 nel sud del paese di tenne uno storico referendum che sancì il 7 febbraio 2011 la nascita dello Stato del Sud Sudan, mentre il 9 luglio fu dichiarata l’indipendenza del nuovo stato africano.

Ma le guerre non finirono neanche allora, il petrolio, l’oro nero, ha continuato a dividere il Sud e il Nord del paese, il primo occupato a difendere il confine con i guerriglieri armati, il secondo impegnato in indistinti e continui bombardamenti aerei su tutta l’area che hanno causato una vera e propria carneficina.

Bashir ha più volte accusato il governo di Juba, capitale del sud Sudan di voler ampliare i propri confini e rovesciare il governo

del nord. La situazione in questi mesi si sta facendo sempre più incandescente, numerosi scontri a fuoco hanno infatti avuto luogo nella città petrolifera di Heglig, proprio all’interno del confine condiviso fra i due paesi che non sono ancora stati definiti. L’obiettivo del governo del sud è di prendere controllo della regione mentre il governo del Nord ha già definito il Sud Sudan come nemico, intensificando i bombardamenti. La zona di Heglig è di vitale importanza per l’economia del Sudan

in quanto rappresentava da sola circa la metà dei 115.000 barili di petrolio al giorno esportati dal paese, per questo si capisce come il governo di Bashir stia cercando un occasione di attaccare il governo del Sud e riprendersi la regione.

Se il conflitto si intensificasse il Consiglio di sicurezza dell’Onu si troverebbe spaccato in due, con la Cina e la Russia pronte ad opporsi ad un intervento in Sudan. Al contrario Usa, Francia e Gran Bretagna, patteggerebbero per il Sud e si opporrebbero ad ogni iniziativa in favore del Nord. Il conflitto a questo punto potrebbe essere uno

fra i più duri e violenti di sempre, decimando la popolazione e distruggendo per sempre un popolo, quello del Sudan, da sempre vittima delle guerre ordite da potenti assetati di denaro.

Se il conflitto si intensificasse il

Consiglio di sicurezza dell’Onu

si troverebbe spaccato in due, con la Cina e la

Russia pronte adopporsi ad un

intervento in Sudan

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APPROFONDIMENTOdi Giada Passanisi

Quali rischi corre una città dotata di centrale nucleare?Ecco perché l’Italia non è pronta

di Giada Passanisi

Studentessa ventiduenne.

Terzo anno nella facoltà di

Lettere moderne all’Università

di Catania. Tra i suoi obiettivi

principali c’è quello di

diventare una giornalista:

scrive per passione! In Linea

di Partenza spera di aprire

una nuova fase di giornalismo

innovativo.

Durante l’ultima uscita di Linea di Partenza avevamo trattato i motivi per cui l’italiano medio diffida dalla realizzazione di centrali nucleari all’interno del nostro paese.

Oggi invece vedremo quali sono i rischi che corre una città dotata di impianti atomici. La principale insidia, e non è una novità, è rappresentata dalla possibilità di imbattersi in un incidente di varie proporzioni, e quando parliamo di proporzioni ci riferiamo alla gravità di tale evento. Purtroppo la sicurezza non è una caratteristica innata all’interno delle centrali nucleari, quindi, un imprevisto comporterebbe conseguenze relative sopratutto alla salute della popolazione che abita presso le zone adiacenti, e non solo, all’impianto: crescita della percentuale di mortalità dovuta all’incremento di casi di tumore, cancro, feti con malformazioni, aborti spontanei. Altro rischio, legato sopratutto ai nostri territori, è quello legato al movimento della crosta terrestre, in altre parole, al terremoto. La penisola italiana è prima all’interno della lista di stati europei maggiormente a rischio sismico. Lasciando da parte il fattore “pole position”, che ci permette di rilegarci in prima fila all’interno di una lista così spiacevole, dovremmo considerare come si comporterebbe una centrale nucleare in caso di sisma.

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Alla luce di ciò che è avvenuto poco più di un anno fa in Giappone, a Fukushima, potremmo tracciare delle linee di collegamento tra quello che è effettivamente avvenuto in terra nipponica e quello che potrebbe accadere in qualsiasi altro territorio italiano altamente sismico. Considerando che la scossa giapponese è stata 1000 volte più forte del terremoto che ha colpito l’Aquila non molto tempo fa, ci chiediamo cosa sarebbe accaduto se la centrale nucleare di Fukushima fosse stata situata non nella lontana Asia, ma nelle nostre parti e, in particolare, nella zona aquilana.

Qualcuno asserirebbe che i danni riportati sarebbero stati molto minori e che un sisma di 5.9 della scala Richter non causerebbe motivo di pericolo per una “tecnologissima” centrale nucleare. Il punto su cui si vuol forzare la mano è proprio questo: la nostra preparazione generale al terremoto è completamente difforme a quella che i giapponesi sono soliti avere. Un terremoto non si può prevedere, e su questo non ci piove. Tuttavia siamo a conoscenza dei luoghi maggiormente esposti alla sciagura sismica. Come potremmo permettere la costruzioni di simili bombe ad orologeria se nessun italiano sa come comportarsi quando accadono tali evenienze?Questo è anche il motivo per cui la potenza del terremoto aquilano ha provocato la morte di 300 cittadini e lo sfollamento di 70.000 persone!

Infine, non per importanza, citiamo tra i rischi anche gli attacchi terroristici. L’idea che il pericolo-terrorismo esista a priori, anche senza la presenza di centrali nucleari, è appurata

e fondata, ma dal momento che potrebbero costituire mirino di anarchici, è opportuno rilegarlo nella lista che stiamo stilando.

Il terrorismo nucleare è relativo all’uso di materiali radioattivi in attacchi eversivi ed è legato alla possibilità di colpire centrali atomiche.

In sintesi, quello che ci riguarda, è l’eventualità che vengano bersagliati dei reattori nucleari o sabotati degli impianti. La storia ci ricorda che episodi simili a quelli citati qualche rigo fa si sono verificati prima in Sud Africa per ben tre volte,

presso la centrale di Pelindaba, e poi in Pakistan. In entrambi i casi, nessuno degli obiettivi dei terroristi furono raggiunti, ma i tentativi potrebbero essere ancora molti, conoscendo le realtà politiche e terroristiche che circondano le nazioni mondiali.

Proprio durante l’Ottobre 2011 è stato effettuato un test che misurava la sicurezza in caso di

terremoto o di attacco terroristico.Paurosi i risultati: le centrali nucleari delle Svezia, della Gran Bretagna e della Rep. Ceca sono quelle più a rischio! Addirittura, il dossier sulla sicurezza realizzato dai cechi consta solo di 7 pagine, a differenza dei fascicoli di altre nazioni più all’avanguardia che presentavano fino a 10.000 fogli. Questo perché i costi della sicurezza sono altissimi e non tutte le nazioni sono disposte a dilapidare le casse delle compagnie atomiche per garantire la sicurezza ai cittadini.

Insomma, l’unico pensiero che ne potrebbe venir fuori dopo

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Quali rischi corre una città dotata di centrale nucleare?

Paurosi i risultati: le centrali nucleari delle

Svezia, dellaGran Bretagna e della Rep.

Ceca sono quelle più a rischio!

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APPROFONDIMENTOdi Giada Passanisi

questa non profonda ispezione della sicurezza generale delle centrali è che la possibilità di incidenti dipende più dal modo in cui la nazione è organizzata che dalle reali evenienze.Impianti simili anche in Italia: la collettività si sente minacciata da questo tipo di energia, e non ha tutti i torti se si pensa che, ad ogni incidente avvenuto, è sempre stata quest’ultima ad essere colpita maggiormente.

L’italiano medio è convinto che, in alternativa, esistano altre modalità in grado di sviluppare energia elettrica in modo sicuro: si fa riferimento agli impianti eolici, geotermici, idroelettrici, solari. Una fetta di popolazione, però, è certa del fatto che nessuno dei sistemi citati sopra siano in grado di sviluppare una quantità di energia anche solo simile a quella che produce, in pochissimo tempo, una centrale nucleare.Se il primo non ha torto nell’ammettere che andrebbero sfruttati modi più sicuri, la seconda opzione è innegabile. Quindi, ad oggi, la scelta più corretta quale dovrebbe essere: decidere in base alla sicurezza della popolazione o alle prospettive di guadagno delle società elettriche?

Con questo non si vuole affermare che si danno per certi ipotetici incidenti all’interno di queste centrali atomiche, né di

non aver abbastanza fiducia nella tecnologia. Tuttavia, è incontestabile la potenziale pericolosità che la sola produzione di scorie nucleari costituisce per la popolazione adiacente ad ognuno di questi “mostri”. Chi assicurerebbe il corretto smaltimento di questi rifiuti pericolosi al singolo cittadino? Qualcuno risponderebbe: le compagnie elettriche.

Ma in che modo, il cittadino riuscirebbe a fidarsi se i colossi proprietari di queste centrali, come la Tepco, sono stati i primi ad essere indagati per aver gestito scorrettamente le misure di sicurezza degli impianti?

In un presente in cui gli interessi della massa non sono gestiti dai rappresentanti

delle classi sociali, è necessario che sia la comunità stessa ad armarsi contro quei vertici politici che non deciderebbero equamente, anche se l’unico strumento di difesa che ha è un referendum.Gli interessi della moltitudine non corrispondono mai agli interessi dei potenti, e quando a guadagnarci sono solo questi ultimi a discapito della massa, allora è obbligatorio, per noi cittadini, evitare anche solo la possibilità di errori o incidenti fatali.

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APPROFONDIMENTOdi Adele Iasimone

Ministero dei Beni Culturali:chi, come e quando!

di Adele Iasimone

Super appassionata a tutte

le forme d’arte e da brava

italiana è tifosissima di calcio.

La curiosità è

croce e delizia della sua

vita e ama mettersi in gioco

sempre. In Linea di Partenza

per cambiare qualcosa nel suo

piccolo.

L’attuale Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha una storia molto recente, sebbene l’attenzione alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali dal punto di vista della normalizzazione legislativa affondi le radici all’inizio del secolo Novecento. Prima della costituzione di un ministero con specifica competenza, le attività connesse al patrimonio erano suddivise tra vari uffici: il Ministero dell’Istruzione, Ministero dell’Interno e Presidenza dei Ministri. Il Ministero autonomo per i Beni Culturali e Ambientali fu istituito da Giovanni Spadolini con il decreto-legge del 14 dicembre 1974, n. 657. L’intento era quello di affidare ad un’istituzione precisa il compito di gestire il patrimonio culturale e ambientale al fine di assicurare l’organica tutela del patrimonio sia a livello interno sia a livello nazionale. Il presidente della Repubblica riconosce tale autorità nel 1975 e da allora si sono susseguiti alla poltrona della presidenza 27 ministri, dei quali sono alcuni hanno detenuto la carica per diversi anni, favorendo così un susseguirsi di cariche che hanno nuociuto alla continuità e all’organizzazione attiva di un programma coerente.

Dando un breve sguardo alla storia del ministero e alla sua implementazione in uno statuto

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legislativo, però, ci si rende conto che la difficoltà principale è stata proprio nel riconoscimento e nella definizione di bene culturale. La legge Bottai, in vigore dal 1939, ha per lunghi anni costituito l’unico documento che regolamentasse la tutela del patrimonio artistico che, però, risentiva di un approccio meramente estetico alla definizione di bene e che, quindi, non riusciva ad addurre sotto la sua giurisdizione la tutela e la valorizzazione dell’immenso patrimonio ambientale, demo-etnoantropologico e immateriale che è innestato nel tessuto territoriale italiano. Punto di svolta nell’evoluzione del concetto di bene culturale fu sicuramente la Convenzione dell’Aja del 14 maggio 1954, accompagnata da un Regolamento e da un Protocollo Aggiuntivo, alla quale ha fatto seguito un ulteriore Protocollo Aggiuntivo del 26 marzo 1999. Dal punto di vista internazionale questi sono i principali testi che regolamentano la gestione dei Beni Culturali. Lo stato di cose italiano, però, ha sempre richiesto un’attenzione particolare a queste materie, in virtù del patrimonio artistico-culturale molto eterogeneo che si avvale anche di inestimabili patrimoni ambientali riconosciuti a livello internazionale. La strada è stata lunga soprattutto per la reiterata volontà di non investire in modo costante su questo settore che, come numerosi esempi internazionali dimostrano (senza avere una regolamentazione specifica), potrebbe davvero costituire il valore aggiunto di una nazione che ha sempre messo da parte la sua più grande fortuna.

Nel decreto legislativo “Bassanini” del 1998 viene data la prima definizione di Beni Culturali, intesi come “quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà”. Nel medesimo articolo di legge vengono definiti anche i termini “beni ambientali”, “tutela”, “gestione”, “valorizzazione” e “attività culturali”. Con questo testo legislativo si allarga dunque la definizione tradizionale di “bene culturale”,

che comprende ora anche fotografie, audiovisivi, spartiti musicali, strumenti scientifici e tecnici. Il Codice che definisce i parametri di gestione, valorizzazione e tutela delle opere d’arte arriva, tuttavia, solo nel 2002 e fino ad oggi risente di difficoltà intrinseche dovute alla difficoltà di trattare materiali, ambienti, supporti, norme di proprietà. La normativa potrebbe, però, costituire una base che regolamenta almeno nelle linee generali la materia anche perché risulta all’avanguardia rispetto a normative europee nello stesso settore. La difficoltà è, però, duplice poiché il vero nocciolo della questione sta nella difficoltà organizzativa di gestire gli uffici di competenza periferici e di strutturarli in modo coerente. Si dovrebbe dare una maggiore autonomia poiché l’autorità centrale si avvale di troppe responsabilità e una gamma diversificata di soggetti. Il secondo problema, poi, compete l’effettiva attuazione delle norme prescritte poiché non ci sono organi addetti al controllo e, soprattutto, non c’è supporto economico da parte dello stato che continua a tagliare in modo becero i fondi destinati alla cultura (ricordo che gli investimenti pubblici per la cultura rappresentano lo 0,4% degli investimenti totali).

Quest’articolo di tipo compilativo che riassume le principali tappe per il riconoscimento anche normativo dei Beni Culturali vuole essere una prima apertura all’analisi precipua del ruolo che la cultura ha nel nostro paese e delle potenzialità che potrebbe sviluppare anche supportato da una legge specifica in materia. Sapendo che ci sono delle norme precise che rispondono all’articolo 9della costituzione che sancisce la promozione della cultura da parte della Repubblica. Si dovrebbe cominciare a cambiare il volto delle cose e a puntare su questi strumenti per mutare l’andamento di un sistema che subisce i soprusi di una prassi che non ne concepisce il valore. La legge c’è…mettiamola in pratica! Al prossimo articolo con l’analisi dei fattori economici e delle potenzialità tecnologiche della cultura.

APPROFONDIMENTOdi Adele Iasimone L’Italia e la cultura

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CULTload ...della cultura-cult, fuori dal mainstream

di Sarah Panatta

Le “ret i” della cultura ol tre gli schemi, tra cinema civile, libri extra circui to, spet tacoli, mostre, event i, associazioni, meet ing, fiere “dentro” la società in evoluzione

CINEpostDe-Generazioni post coloniali, idiozie (ani)sociali, “mentali” sedizioni, calendari del potere e del sogno, correndo nella nazione dei “lumi”.

Roba da matti(Ita 2011), di Enrico Pitzianti, documentario

Quartu Sant’Elena, Sardegna. “Casamatta”. Una residenza sul confine. 17 anni, otto persone, dietro

le mura di un’isola, di cemento. Pitzianti insegue senza ricatti retorici l’esistenza degli abitanti di una

casa speciale, dove il disagio mentale è solo un’alternativa ontologica, non una malattia invalidante.

Un esilio curato da operatori qualificati, una dimensione all’avanguardia, un’altra vita possibile.

Finché il contratto d’affitto scade, i finanziamenti latitano. L’associazione collassa nel debito, il

proprietario di casa si barrica senza appello. Matta casa, quale deriva?

Il primo uomodi Gianni Amelio, con Michel Cremades, Jacques Gamblin, Michael Batret, Maya Sansa, Jean-Benoit Souilh

Ricucire il Sé. Amelio torna sul grande schermo rielaborando con nostalgica seppiata autobiografia,

parte della vita del geniale narratore franco-algerino Albert Camus, prematuramente scomparso in

un incidente d’auto nel gennaio del 1960. Il primo uomo diventa romanzo filmico commosso, delicato,

gentile, ma anche tragico affondo nel rimosso della storia francese, negli angoli polverosi di un

passato coloniale mai rimarginato . Di eccezionale puntualità, mentre la destra reazionaria corre per

le elezioni presidenziali nella nazione dei “lumi”.

Il mondo di AteneLuciano Canfora, Laterza Editore, Bari 2011, pp. 517, € 22,00

Esperimento seminale. Genetica illusione. Perfettibile utopia. Scommessa irripetibile. Il modello “universale”

di Atene. Polis simbolo. Esempio matrice della cultura europea. Sopra tutti, modello politico. Professore

di filologia classica all’Università di Bari, Luciano Canfora, il più stimato storico della classicità (non solo)

in Italia, di-mostra/scardina/sviscera gli ingranaggi della macchina democratica ateniese. Fornendo un

indispensabile, acuto e acuminato, dotto ma agilissimo parallelo, con le deviazioni pseudo democratiche

dell’occidente odierno. Da Clistene a Solone, dall’impensato esito monarchico ai coevi babau default.

(dal 25 aprile)

(dal 24 aprile)

LIB(e)RANDOCILe quinte pseudo democratiche di antichi dogmi, i cantieri imbellettati della tirannia, il sangue tricolore delle giubbe depredate, atomi della Storia risucchiati nell’ossimoro del presente “irretito”, disfunzionale, di nuovo “selvaggio”

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Le teorie selvaggeT.O. Pola Oloixarac, Baldini Castoldi Dalai Editore, Milano 2012, traduzione di Anita Taroni, pp. 201, € 16,50

Filo-sofismi post moderni. Se il globo è croce e inganno (talvolta delizioso) di menti sempre interconnesse

e mai compenetrate. Se la società occidentale e suoi nuclei (ex) libertari sono un enorme inespugnabile

acquario, dove ammutoliti e senza branchie gli uomini cercano terra per le loro selvagge, vane esplorazioni.

Siamo prede cacciate o cacciatori predati? La nuova voce della narrativa in lingua spagnola, Pola Oloixarac

(Buenos Aires 1977), virtuosa della speculazione ironica, nuota tra enciclopedismi, rivoluzioni accademiche,

antropologie bislacche e nuovi abbagli.

Manifesto TQdi Steve McCurry

La generazione degli autori Trenta-quarantenni, neo avanguardia indignata (movimento, collettivo, ironica

maschera, pretesto temporeggiante?) produce ego centrati documenti. Sfornato il primo discusso decalogo.

Per risanare e proteggere la cultura. In ordine sparso: lottare contro l’“analfabestismo figurativo” che

depaupera l’arte, civilizzare in senso militante il patrimonio culturale italico, tutelare e finanziare, evitare

pompeiani crolli, farsi “bene comune”. Dopo i medioevali proclami, comincia la rivoluzione?

(www.generazionetq.org)

Bazan CubaByline Photo, spazio espositivo in Via Ariberto 31 - Milano, dal 24 aprile al 31 maggio, www.bylinephoto.com

Le fotografie, ventidue a colori e alcuni scatti vintage, “mostrano” squarci dell’isola catturati tra il 2011 e il

2005. Al centro del mirino, la routine dei contadini cubani. Un diario appassionato, generoso, mai spocchioso.

Tour iconico, smagliante. Sguardo vivido, vagabondaggio di una comunicazione diretta. Bazan, fotografo nato

in Italia, viaggiatore esperto, legato a Cuba da una moglie e due gemelli, intesse un dialogo intimo con i rituali

della terra, condividendo sogni, disillusioni, prassi inevitabili, tenerezze, sigari zuccherosi e tiepido rum. Al di

là dello stereotipo. To Cuba with Love.

(Fino al 31 maggio)

INmostra (vernissageteatreventi)“Occupando” i versanti scoscesi della cultura naufragata, visitare terre d’embargo, aspirando il fumo erotico della vita, lanciando dictat e nuove leggi d’intenti, immaginando l’arte (“biennale”), al potere

CULTload

di Sarah Panatta

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Hanno collaborato a questa rivista: Nicolò Rabboni, Francesco Cavaliere, Lorenzo LaFace, Roberta Ottonello, Fabio De Tata, Adele Iasimone, Giada Passanisi, Roberta Musolesi, Edoardo Laudisi, Sarah Panatta e Valentina Vanzini.

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