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L’IMPEGNO CON LA TOTALITA’ DEL REALE LA LUCIDITA’ DAVANTI ALLA TRAGEDI A LIBRI E PERSONE LA SCRITTURA: LA FORZA DELLA SPER ANZA torna ai perc orsi Liceo "M. Curie" - 26 gennaio 2008

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L’IMPEGNO CON LA TOTALITA’ DEL REALE

LA LUCIDITA’ DAVANTI ALLA TRAGEDIA

LIBRI E PERSONE

LA SCRITTURA: LA FORZA DELLA SPERANZA

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Liceo "M. Curie" - 26 gennaio 2008

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Di nuovo arresti, terrori, campi di concentramento, sequestri di padri, sorelle e fratelli. Ci si interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi e con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo. Comunque, io ho smarrito qualsiasi rapporto con la vita e con le cose, mi sembra che tutto avvenga per caso e che ci si debba staccare interiormente da ognuno e da ogni cosa. Tutto sembra così minaccioso e sinistro e ci sente anche così impotente.

Sabato 14 giugno, le sette di sera 1941 (p. 48)L’impegno con la totalità del reale

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La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare a se stessi” non è proprio una forma di individualismo malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale, solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. E’ l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può essere espresso in una parola come in dieci volumoni. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra.

Sabato sera, mezzanotte e mezzo 20 giugno 1941 (p. 127)

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Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero

sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: […] tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio.

Preghiera della domenica mattina 12 luglio 1941 (p. 169-170)La lucidità davanti alla tragedia

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Ed ecco che improvvisamente, qualche settimana fa, è spuntato il pensiero liberatore, simile a un esitante e giovanissimo stelo in un deserto di erbacce: se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero.[…] quell'odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. È una malattia dell'anima. Odiare non è nel mio carattere. Se, in questo periodo, io arrivassi veramente a odiare, sarei ferita nella mia anima e dovrei cercare di guarire il più presto possibile. 15 marzo, le nove e mezzo di mattina 1941 (p. 29-30)

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Jan chiedeva con amarezza: cosa spinge l’uomo a distruggere gli altri? E io: gli uomini, dici, ma ricordati che sei un uomo anche tu. E inaspettatamente, quel testardo , brusco Jan era pronto a darmi ragione. Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi […].Non credo che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. E’ l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi e non altrove. E Jan era pronto ad essere d’accordo con me [...]. Diceva: sono anche così a buon prezzo, i sentimenti vendicativi rivolti verso l’esterno, vivere solo in funzione di quell’unico momento di vendetta: questo non ci interessa proprio. [...] E non erano teorie: i nostri professori sono imprigionati, un altro amico di Jan è stato ammazzato, ma c’è ancora dell’altro , troppo per farne un elenco, e noi ci dicevamo: sono così a buon prezzo, quei sentimenti di vendetta. Era proprio una luce, oggi.

19 febbraio 1942, giovedì pomeriggio, le due (pp. 99-100)

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Bene io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall’altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia.

1° luglio 1942 (p. 138)

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Mi sembra presuntuoso affermare che un uomo possa determinare

il proprio destino dall’interno. Quel che invece un uomo ha in mano è il proprio orientamento interiore verso il destino […].

Mercoledì mattina presto, quando con un gruppo numeroso ci siamo trovati in quel locale della Gestapo, i fatti delle nostre vite erano tutti uguali: eravamo tutti nello stesso ambiente, gli uomini dietro la scrivania come quelli che venivano interrogati. Ciò che qualificava la vita di ciascuno era l’atteggiamento interiore verso quei fatti […].

E il fatto storico di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si mettesse ad urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi sdegno, anzi, che mi facesse pena … Avrei voluto cominciare subito a curarlo, ben sapendo che questi ragazzi sono da compiangere fin che non sono in grado di fare il male, ma che diventano pericolosissimi se sono lasciati liberi di avventarsi sull’ umanità. E’ solo il sistema che usa questo tipo di persone ad essere criminale. E quando si parla di sterminare, allora che sia il male nell’uomo, non l’uomo stesso. (segue)

27 febbraio 1942, venerdì mattina, le dieci (p. 101-2)

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Un'altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi: e perciò sono più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime: così, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s’innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci.

27 febbraio 1942, venerdì mattina, le dieci (p. 102)

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E con la solita passione, anche se cominciavo a trovarmi noiosa perché finisco sempre per ripetere le stesse cose, ho detto: è proprio l’unica possibilità che abbiamo, Klaas, non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancor più inospitale. E Klaas, vecchio e arrabbiato militante di classe, ha replicato sorpreso e sconcertato insieme: sì, ma - ma questo sarebbe di nuovo cristianesimo! E, io divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma: certo, cristianesimo, - e perché poi no? 23 settembre 1942 (p. 212)

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Christien,

apro a caso la Bibbia e trovo questo: “il Signore è il mio alto ricetto”. Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci. Papà, la mamma e Mischa sono alcuni vagoni più avanti. La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall'Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Mischa. Viaggeremo per tre giorni. Grazie per tutte le vostre buone cure. Alcuni amici rimasti a Westerbork scriveranno ancora a Amsterdam, forse avrai notizie? Anche della mia ultima lunga lettera?

Arrivederci da noi quattro. Etty

Presso Glimmen, 7 settembre 1943 (dalle “Lettere” p. 149)

Alcune note su questa importante e ultima lettera di Etty

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Questa cartolina postale, che Etty buttò fuori dal treno il 7 settembre 1943, fu ritrovata lungo la linea ferroviaria e spedita da Glimmen (nella provincia di Groningen) il 15 settembre 1943.

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Domanda di E. Buia:Etty lancia la sua ultima cartolina dal vagone che la porta ad Auschwitz e vi scrive: “Abbiamo lasciato il campo cantando”. Da chi viene presa, a chi viene spedita?

Risposta di L. Scaraffia

Etty, come molti deportati, riesce a lanciare un messaggio all’ultimo momento fuori dal vagone che la sta portando a Auschwitz. La cartolina viene raccolta da alcuni contadini olandesi, che la spediscono al destinatario. La frase “abbiamo lasciato il campo cantando” ci dà un’immagine completamente in contrasto con quella che di solito associamo a questi lugubri convogli.

È qui che capiamo qual è la funzione di Ettiy: è riuscita a trasmettere a tutti coloro che vengono deportati con lei che ciò che sta accadendo non è solo male, ma anche la possibilità di tramutare il male in bene. Questa cartolina ci fa capire che lei è riuscita nel suo intento, prima all’interno di se stessa e poi con i deportati che partono con lei.

Questo canto è ciò che ci riempie di maggior stupore in tutta l’opera della Hillesum: Etty è riuscita in quello straordinario esperimento alchemico che consiste nel mutare il male in bene, dando un senso alla vita e alla sofferenza al di là della situazione in cui questa viene vissuta. Etty ha anche trascinato gli altri in questa comprensione, e il canto corale descritto nella sua ultima cartolina ce lo testimonia: questo mi sembra il vero miracolo della vita di Etty Hillesum, il compimento più alto del suo cammino.

Fonte: E. Buia intervista Scaraffia (leggi l’intervista online)

La lucidità davanti alla tragedia