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LIFE SPAN AND DISABILITY CICLO EVOLUTIVO E DISABILITÀ Rivista semestrale promossa dalla Unità Operativa di Psicologia dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) “Oasi” di Troina Aspetti psicologici sociali educativi riabilitativi abilitativi CONTRIBUTI DI RICERCA Prompt aggiunti a stimolazione contingente per promuovere l’attività in persone con disabilità multiple La relazione tra le rappresentazioni mentali ma- terne della relazione con il figlio, la risoluzione materna della diagnosi d’autismo e l’attacca- mento infantile Controllo percepito e stress nei genitori di bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività Sostenere i genitori di bambini con disabilità con il parent training Relazioni tra parenting e temperamento del bambino Valutazione sperimentale dell’efficacia di inter- venti comportamentali intensivi e precoci RECENSIONI Vol. XVI / n.1 / gennaio - giugno 2013 ISSN 1721-0151 Aspetti psicologici sociali educativi riabilitativi abilitativi

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LIFE SPAN AND DISABILITYCICLO EVOLUTIVO E DISABILITÀ

Rivista semestrale promossa dallaUnità Operativa di Psicologiadell’Istituto di Ricovero e Cura a CarattereScientifico (IRCCS) “Oasi” di Troina

Aspetti psicologicisocialieducativiriabilitativiabilitativi

CONTRIBUTI DI RICERCA

• Prompt aggiunti a stimolazione contingente perpromuovere l’attività in persone con disabilitàmultiple

• La relazione tra le rappresentazioni mentali ma-terne della relazione con il figlio, la risoluzionematerna della diagnosi d’autismo e l’attacca-mento infantile

• Controllo percepito e stress nei genitori di bambinicon Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività

• Sostenere i genitori di bambini con disabilità conil parent training

• Relazioni tra parenting e temperamento del bambino

• Valutazione sperimentale dell’efficacia di inter-venti comportamentali intensivi e precoci

RECENSIONI

Vol. XVI / n.1 / gennaio - giugno 2013 ISSN 1721-0151

Aspetti psicologicisocialieducativiriabilitativiabilitativi

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CICLO EVOLUTIVO E DISABILITÀAspetti psicologici, sociali, educativi, riabilitativi/abilitativi

Ciclo Evolutivo e Disabilità promuove la ricerca interdisciplinare sugli aspetti psicologici, sociali, educativi, riabilitativi e neuropsicologi-ci dei cicli evolutivi della vita umana, nell’ottica della “life-span psychology”. L’obiettivo è favorire lo studio delle persone con problemicognitivi ed emozionali – per ragioni transitorie o persistenti – nei diversi periodi della vita; reciprocamente, esaminare come specifici mo-menti esistenziali (ad esempio adolescenza, disoccupazione, pensionamento, fine della fertilità) possano diventare fonte di disagio o di ve-ra e propria disabilità. L’attenzione viene centrata, per i diversi periodi della vita e per le differenti condizioni di disagio, sulle capacità uti-lizzabili per favorire la crescita della persona, sfruttando appieno tutte le potenzialità esistenti o residue. L’ottica secondo cui questi aspet-ti andranno considerati sarà di volta in volta educativa, sociale e ambientale, ma tenendo costantemente in evidenza i collegamenti con ifondamenti bio-psicologici e con i dati della ricerca sperimentale. Vengono pubblicati due fascicoli per anno. Ogni fascicolo include: - contributi di ricerca che riportano i risultati di studi originali di natura teorica, metodologica o empirica; - strumenti diagnostici e di intervento (presentazioni di nuove tecniche, schede, griglie in ambito diagnostico e di intervento, o verifichecon dati di sperimentazione di strumenti già in uso);

- esperienze e case-report (descrizione di approcci abilitativi e riabilitativi e di casi di particolare rilevanza clinica); - review sulle più recenti conoscenze relative a uno specifico argomento; - recensioni bibliografiche e di software specializzato.

Direzione scientifica:Santo Di Nuovo (Università di Catania) / Renzo Vianello (Università di Padova) / Serafino Buono (IRCCS Oasi, Troina)

Comitato Scientifico:• Eugenio Aguglia (Catania) • Antonetta Albanese (Milano) • Ottavia Albanese (Milano) • Ornella Andreani Dentici (Pavia)• Giulia Balboni (Aosta) • Pietro Boscolo (Padova) • Daniela Brizzolara (Pisa) • Filippo Calamoneri (Messina)• Marcello Cesa-Bianchi (Milano) • Cesare Cornoldi (Padova) • Luigi Croce (Brescia) • Loredana Czerwinski Domenis (Trieste)• Lucia De Anna (Roma) • Rossana De Beni (Padova) • Angela Maria Di Vita (Palermo) • Maurizio Elia (Troina)• Raffaele Ferri (Troina) • Rosa Ferri (Roma) • Pier Giorgio Gabassi (Trieste) • Elio Guzzanti (Troina) • Dario Ianes (Trento)• Giulio Lancioni (Bari) • Silvia Lanfranchi (Padova) • Rosalba Larcan (Messina) • Daniela Lucangeli (Padova)• Francesco Marucci (Roma) • Domenico Mazzone (Catania) • Paolo Meazzini (Udine) • Paolo Moderato (Parma)• Enrico Molinari (Milano) • Sebastiano A. Musumeci (Troina) • Luigi Pedrabissi (Padova) • Anna Maria Pepi (Palermo)• Silvia Perini (Parma) • Carlo Ricci (Roma) • Corrado Romano (Troina) • Francesco Rovetto (Parma) • Marina Sala (Milano)• Pietro Smirni (Catania) • Salvatore Soresi (Padova) • Giacomo Stella (Modena) • Stefano Vicari (Roma)

Direttore responsabile:Serafino Buono [Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Psicologia, IRCCS Oasi Maria SS. - Troina (EN)]

COORDINATORE EDITORIALE:Tommasa Zagaria

Redazione:Maria Teresa Amata / Cinzia Bonforte / Santina Città / Francesco Di Blasi / Bernadette Palmigiano / Simonetta Panerai / Fabio Scannel-la / Marinella Zingale / Rosa Zuccarello

Condizioni di abbonamento: abbonamento annuale (2 numeri) € 25,80; abbonamento biennale (4 numeri) € 46,50.Le richieste di abbonamento vanno inviate attraverso e-mail a: [email protected], o attraverso posta al seguente indirizzo: Segreteria Edi-toriale, Ciclo Evolutivo e Disabilità - Associazione Oasi Maria SS. - Via Conte Ruggero, 73 - 94018 Troina (EN)

CICLO EVOLUTIVO E DISABILITÀReg. Trib. Nicosia n. 55 dell’1 luglio 1998Vol. XVI, N. 3, gennaio-giugno 2013

© Associazione Oasi Maria SS. - IRCCS Tutti i diritti riservati.

Stampa: Grafiser srl - Tel. 0935 657813 - 94018 Troina (EN)

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LIFE SPAN AND DISABILITYCICLO EVOLUTIVO E DISABILITÀ

Rivista semestrale promossa dalla

Unità Operativa di Psicologiadell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) “Oasi” di Troina

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Finito di stampare nel dicembre 2014

da Grafiser srl, Industrie Grafiche

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Sommario

Editoriale 7

Prompt aggiunti a stimolazione contingente per promuovere l’attività

in persone con disabilità multiple: valutazione di due casi

Giulio E. Lancioni, Nirbhay N. Singh, Mark F. O’Reilly, Jeff Sigafoos,

Gloria Alberti, Doretta Oliva, Adele Boccasini, Maria L. La Martire,

Serafino Buono & Grazia Trubia 9

La relazione tra le rappresentazioni mentali materne della relazione

con il figlio, la risoluzione materna della diagnosi d’autismo e

l’attaccamento infantile

Flavia Lecciso, Serena Petrocchi, Federica Savazzi, Antonella

Marchetti, Maria Nobile & Massimo Molteni 23

Controllo percepito e stress nei genitori di bambini con

Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività

Loredana Benedetto & Massimo Ingrassia 43

Sostenere i genitori di bambini con disabilità con il parent training

Lea Ferrari, Marco Pagliai, Anna C. Benincà, Salvatore Soresi

& Francesca Concato 61

Relazione tra parenting e temperamento del bambino:

uno studio longitudinale durante il primo anno della scuola d’infanzia

Sabrina Bonichini, Valentina Basaldella & Ughetta Moscardino 79

Valutazione sperimentale dell’efficacia di interventi comportamentali

intensivi e precoci (EIBI) in un centro riabilitativo

Paolo Moderato, Cristina Copelli, Laura Villa & Massimo Molteni 99

Recensioni 119

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Editoriale

Questo numero presenta una serie di contributi la maggioranza dei quali tro-

vano un filo conduttore - seppur trasversale ad argomenti diversi - nel coinvolgi-

mento dei genitori, e più in generale della famiglia, nella gestione della disabilità.

Un articolo studia l’incidenza delle rappresentazioni mentali della relazione

con il figlio e dell’attaccamento infantile nel determinare la “risoluzione” della

diagnosi di autismo da parte della madre; intendendo per risoluzione il processo

attraverso cui i genitori fanno fronte con esito positivo ai loro sentimenti associati

all’evento della diagnosi di disabilità.

Le associazioni tra funzionamento familiare, parenting e temperamento del

bambino sono studiate in un contributo che evidenzia come per entrambi i genitori

un buon accordo di coppia è associato a un maggior orientamento sociale nei figli.

Sui genitori di bambini con ADHD sono centrati altri due studi, uno dei quali

tratta il controllo percepito e lo stress, mentre un secondo affronta le modalità in

base alle quali è possibile offrire un adeguato sostegno, verificando l’efficacia del

parent-training messo a punto inizialmente per genitori di bambini con disabilità.

L’efficacia di un trattamento su bambini con autismo è riportata in uno studio

basato sui principi dell’Analisi del Comportamento.

Infine un articolo presenta i casi di due adulti con disabilità multiple gravi in

cui vengono utilizzati ‘prompt’ automatici, consistenti in parole che regolano la

stimolazione e le risposte durante le fasi di intervento. I risultati dimostrano l’utilità

di integrare il trattamento abilitativo con tecnologie che aiutano l’impegno attivo

della persona con gravi disabilità. Questi studi sono condotti su casi singoli, con-

fermando l’utilità di questo approccio metodologico nella valutazione degli inter-

venti riabilitativi.

A partire dal prossimo numero le due versioni, inglese e italiana della rivista,

confluiranno in un unico formato, quello inglese che sempre più diffusione sta

avendo grazie alla indicizzazione su Scopus e PsychInfo e su altre banche dati, e

mantenendo la caratteristica open access consente una maggiore visibilità nel pa-

norama scientifico internazionale. Sarà impegno del comitato editoriale, insieme

ai referees che generosamente prestano la loro collaborazione, mantenere elevato

lo standard dei contributi accettati e il livello della rivista, in base agli obiettivi

proposti sedici anni fa e tuttora essenziali per lo studio interdisciplinare del ciclo

evolutivo nei sue molteplici dimensioni.

S. D. e S. B.

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Abstract

I due studi riportati hanno valutato l’uso di prompt/incoraggiamenti automatici

con due adulti con disabilità multiple gravi. In entrambi gli studi, gli eventi di

prompt/incoraggiamento consistevano in una o due parole che seguivano le ri-

sposte con oggetti durante le fasi di intervento. La stimolazione e gli eventi di

prompt/incoraggiamento erano regolati attraverso la tecnologia. Il primo stu-

dio includeva un disegno sperimentale del tipo ABCACABC, in cui A le rap-

presentava fasi di baseline, B le fasi di intervento con stimolazione contingente

alle risposte occupazionali, e C fasi di intervento con stimolazione e eventi di

prompt/incoraggiamento. Il secondo studio includeva una sequenza CBC. I ri-

sultati di entrambi gli studi mostravano miglioramenti nella performance dei

partecipanti durante le fasi C (la lunghezza dei loro tempi di sessione diminuiva

e virtualmente non richiedevano nessuna guida da parte degli assistenti di ri-

cerca). Sono state discusse le implicazioni dei risultati.

Parole chiave: Tecnologia, Livello occupazionale, Prompt automatico, Disa-bilità multiple.

© 2013 Associazione Oasi Maria SS. - IRCCS

1 Università di Bari, Italia. E-mail: [email protected] American Health and Wellness Institute, Raleigh, NC, USA. E-mail: [email protected] Meadows Center for Preventing Educational Risk, University of Texas at Austin, TX, USA. E-mail: mar-

[email protected] Wellington Victoria University, New Zealand. E-mail: [email protected] Centro di Ricerca Lega F. D'Oro, Osimo, Italia. E-mail: [email protected] Centro di Ricerca Lega F. D'Oro, Osimo, Italia. E-mail: [email protected] Centro di Ricerca Lega F. D'Oro, Osimo, Italia. E-mail: [email protected] Centro di Ricerca Lega F. D'Oro, Osimo, Italia. E-mail: [email protected] IRCCS ‘Oasi’ Troina, Italia. E-mail: [email protected] ‘Oasi’ Troina, Italia. E-mail: [email protected]

Corrispondenza: G. E. Lancioni, Dipartimento di Neuroscienze e Organi di Senso, Università di Bari, Via Quintino Sella 268, 70100 Bari, Italia.

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità / XVI, 1 (2013), 9-22

Prompt aggiunti a stimolazione contingente per promuovere l’attività in persone con disabilità

multiple: valutazione di due casi

Giulio E. Lancioni1, Nirbhay N. Singh2, Mark F. O’Reilly3,

Jeff Sigafoos4, Gloria Alberti5, Doretta Oliva6, Adele Boccasini7,

Maria L. La Martire8, Serafino Buono9 & Grazia Trubia10

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1. Introduzione

Le persone con disabilità multiple gravi e profonde sono spesso caratterizzate da abilità di attivazione limitate o da discontinuità di impegno con possibili ste-reotipie comportamentali (Duker & Schaapeveld, 1996; Lancioni, Campodonico,& Mantini, 1998; Lancioni, O’Reilly, Campodonico, & Mantini, 2001; Lancioni,Singh, O’Reilly, Sigafoos, Oliva, Campodonico et al., 2008). Una tale situazioneè considerata molto frustrante per qualsiasi ambiente finalizzato ad aiutare questepersone e, quindi, diversi sforzi sono stati fatti per modificarla (Baker, Fox, &Albin, 1995; Lancioni, O'Reilly, Campodonico, & Serenelli, 2000; Davies,Stock, & Wehmeyer, 2002; Lancioni, O’Reilly, Singh, Sigafoos, Oliva, Campo-donico et al., 2006; Falcomata, Ringdahl, Christensen, & Boelter, 2010). Il primoelemento basilare di tali sforzi è stato l’uso di attività semplici. In genere, le at-tività che i partecipanti dovevano eseguire erano abbastanza lineari e prevede-vano risposte quali il mettere via e/o assemblare oggetti (Duker & Schaapeveld,1996; Lancioni et al., 1998, Lancioni, O'Reilly, & Campodonico, 2002; Wilson,Reid, & Green, 2006; Lancioni et al., 2008). Un secondo elemento critico di talisforzi è stato l’uso di forme di stimolazione preferite (quali musica e canzoni)contingentemente alla performance delle attività (Lancioni et al., 2001; Post &Storey, 2002; Falcomata et al., 2010).

Un’altra variabile, che è stata frequentemente inclusa in tali sforzi, ha ri-guardato elementi di prompt/incoraggiamento (Götestam & Melin, 1990; Lan-cioni, Dijkstra, O'Reilly, Groeneweg, & Van den Hof, 2000; Lancioni, O’-Reilly, Brower-Visser, Groeneweg, Bikker, Flameling et al., 2001; Lancioniet al., 2008; Lancioni, Singh, O’Reilly, Sigafoos, Didden, & Pichierri, 2010;Sigafoos, Didden, Schlosser, Green, O’Reilly, & Lancioni, 2008; Chang,Wang, & Chen, 2011).Questa variabile è stata considerata rilevante, o anchecritica, per aumentare l’attenzione dei partecipanti e migliorare il loro livellodi occupazione e la continuità di risposta (Anson, Todd, & Cassaretto, 2008;Lancioni et al., 2008). Per alcuni partecipanti, l’uso di prompt/incoraggia-menti potrebbe essere una strategia momentanea e la forza motivazionaledella stimolazione contingente aiuterebbe a rendere tale strategia ridondanteed eventualmente superflua (Post & Storey, 2002; Falcomata et al., 2010).Per altri partecipanti, l’uso di prompt/incoraggiamenti potrebbe continuare arimanere una variabile piuttosto importante (Shabani, Katz, Wilder, Beau-champ, Taylor, & Fischer, 2002; Gena, 2006). In questo secondo caso, la do-manda pratica è come inserire una tale variabile nell’ambito del programma(a) senza rendere il tutto troppo costoso per il personale e, nel contempo, (b)assicurarsi che sia efficace per il partecipante. Nell’arco degli anni, la do-manda è stata affrontata con l’uso di programmi supportati da tecnologia ed

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Lancioni G. E. et al.

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in grado di presentare prompt/incoraggiamenti in maniera automatica (Lancioniet al., 2008, 2010). Mentre i risultati sono stati piuttosto positivi, rimane essen-ziale ottenere nuove evidenze empiriche per chiarire l’affidabilià` di un tale ap-proccio (Kazdin, 2001; Kennedy, 2005).Questi due studi rappresentano nuove valutazioni di prompt/incoraggiamenti au-tomatici con due adulti affetti da disabilità multiple gravi. In entrambi gli studi,gli eventi di prompt/incoraggiamento erano regolati attraverso la tecnologia, checontrollava anche la presentazione di stimoli preferiti contingentemente alle ri-sposte dei partecipanti. Le attività consistevano nel mettere via oggetti da in piedie seduto (Studio I) e dividere oggetti e metterli via da seduto (Studio II).

2. Studio I

2.1 Metodo

Participante

Il partecipante (Ryan) aveva 20 anni. La sua diagnosi riportava encefalopatia congenita con cecità totale e assenza di abilità verbali e di orientamento spaziale.Era in grado di capire frasi di approvazione sociale così come espressioni verbalidi prompt/incoraggiamento, ed entrambe queste forme di intervento erano usatenella quotidianità. Non si disponeva di valutazioni psicologiche formali o punteggidi QI, ma il suo livello di funzionamento era stato collocato nell’ambito della di-sabilità grave/profonda. Frequentava un centro per persone con disabilità gravi emultiple ed era coinvolto in attività giornaliere concernenti il semplice uso di og-getti (es., mettere oggetti dentro dei contenitori). Presentava problemi di continuitàdi performance con interruzioni e stereotipie (es., delle dita), ma rispondeva aprompt verbali con la ripresa dell’attività. La possibilità di aiutarlo ad acquisireun più alto livello di occupazione era considerata importante per estendere il pro-gramma giornaliero e migliorare il suo status sociale. Il suo rappresentante legaleaveva dato il consenso informato per questo studio, che era stato approvato da uncomitato scientifico-etico.

Attività, Tecnologia, Stimoli, e Prompt/Incoraggiamenti

L’attività selezionata per Ryan consisteva nel tirare fuori oggetti familiari (es., bottiglie) da un grande contenitore e metterli dentro due contenitori piùpiccoli. Ryan eseguiva l’attività da seduto ed anche in piedi. La tecnologiausata per lo studio includeva sensori/microswitch ottici collocati nei conte-nitori piccoli e collegati ad un sistema computerizzato. Mettere oggetti neicontenitori piccoli attivava i sensori/microswitch ottici e questi, di conse-guenza, attivavano il sistema computerizzato. L’attivazione di quest’ultimo

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Attività e disabilità multiple

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determinava 8 s di stimolazione preferita o gli 8 s di stimolazione seguiti daprompt/incoraggiamento nelle fasi di intervento (vedi di seguito). Gli stimoli in-cludevano musiche e canzoni. Queste erano state consigliate dagli operatori chelavoravano con Ryan e selezionate per lo studio dopo un breve screening di pre-ferenza. Tale screening prevedeva che uno o due brevi segmenti di ciascuno sti-molo fosse presentato 15-25 volte non-consecutive. Uno stimolo era selezionatose le due assistenti di ricerca che lavoravano insieme concordavano che il parte-cipante si allertava, si orientava, o sorrideva in oltre la metà delle presentazioni.Il prompt/incoraggiamento prevedeva una o due parole, che variavano nell’ambitodelle sessioni e fra sessioni, e avveniva subito dopo la fine degli 8 s di stimola-zione che seguivano risposte con gli oggetti. Un’occasione di prompt poteva in-cludere il nome del partecipante da solo o insieme ad una parola diincoraggiamento o la combinazione di due parole di incoraggiamento. I prompterano adottati sulla scia di quelli che usava il personale nella quotidianità e chesembravano essere efficaci a ripristinare una performance positiva.

Condizioni Sperimentali

Lo studio è stato eseguito mediante un disegno sperimentale del tipo ABCACABC, in cui A rappresentava le fasi di baseline, B le fasi di intervento con sti-molazione contingente alle risposte occupazionali, e C le fasi di intervento constimolazione e eventi di prompt/incoraggiamento susseguenti a tale stimolazione(Barlow, Nock, & Hersen, 2009). Le sessioni includevano la presenza di 20 oggettifino alla seconda fase C e 24 oggetti da quel punto in poi. Tutti gli oggetti dove-vano essere trasferiti nei due contenitori piccoli a disposizione. Le misure registrateincludevano (a) la lunghezza delle sessioni e (b) la frequenza degli eventi di guidada parte di assistenti di ricerca. Eventi di guida erano presenti dopo periodi di inat-tività di circa 40 s. L’attendibilità fra osservatori è stata valutata su circa il 15%delle sessioni. Le sessioni venivano considerate come concordanti se gli osserva-tori riportavano (a) tempi di durata che variavano di 20 s o meno (prima misura)e (b) lo stesso numero di eventi di guida (seconda misura). Le percentuali di ac-cordo (calcolate dividendo le sessioni considerate concordanti per le sessioni con-siderate come concordanti più quelle considerate come non concordanti emoltiplicando per 100) superavano 95 per ciascuna delle due misure.

Baseline (A). Durante le fasi di baseline, il partecipante aveva a disposizione i contenitori, gli oggetti, ed i sensori/microswitch. Le risposte (trasferimento dioggetti nei contenitori piccoli) erano registrate, ma non seguite da stimolazioneo stimolazione più prompt. Gli eventi di guida da parte degli assistenti di ricercavenivano applicati come descritto sopra (Condizioni Sperimentali).

Intervento (B). Durante le fasi di intervento B, le condizioni variavano dal baseline in quanto era prevista una stimolazione in relazione alle risposte di

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Lancioni G. E. et al.

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trasferire gli oggetti. Ogni evento di stimolazione durava 8 s. Intervento (C). Durante le fasi di intervento C, la stimolazione per le risposte

era seguita da un breve prompt/incoraggiamento.

2.2 Risultati

La Figura 1 riassume i dati di Ryan. Le barre rappresentano la durata media delle sessioni (in minuti) calcolata su blocchi di sessioni attraverso le diversefasi dello studio. Il numero di sessioni incluso in ciascun blocco/barra è indi-cato dal numero che appare sopra di esso. I cerchi neri rappresentano le fre-quenze medie degli eventi di guida attuati da assistenti di ricerca per sessione,nell’ambito dei suddetti blocchi di sessioni. Durante la prima fase di baseline(16 sessions), la durata media delle sessioni era di circa 11 min e la frequenzamedia di eventi di guida per sessione era di circa sei. Durante la prima fase B(40 sessioni), la durata media delle sessioni si avvicinava ai 10 min e la fre-quenza media di eventi di guida per sessione era di circa tre. Durante la primafase C (40 sessioni), la durata media delle sessioni era sotto i 6 min. La fre-quenza media di eventi di guida per sessione era vicina allo zero. La successivafase di baseline (12 sessioni) mostrava crescita della durata media delle ses-sioni e della frequenza degli eventi di guida. La seconda fase C (197 sessioni)mostrava dati in linea con quelli ottenuti nella prima fase C. La crescita delladurata media delle sessioni dal secondo blocco della fase era connessa all’au-mento del numero totale di oggetti da trasferire nell’arco di ogni sessione (da20 a 24). I dati delle ultime tre fasi (baseline, fase B, e fase C) rispecchiavanoi dati delle fasi corrispondenti precedenti.

3. Studio II

3.1 Metodo

Participante

Il partecipante (Larry) aveva 36 anni, era affetto da encefalopatia congenita con cecità totale, mancava di abilità di orientamento spaziale e presentava epi-lessia che era parzialmente controllata attraverso i farmaci. Sembrava interes-sato ad una varietà di stimoli ambientali (es., musica) e a frasi di approvazionesociale, ed inoltre rispondeva ad espressioni verbali di prompt/incoraggiamento(vedi Studio I). I rapporti psicologici lo descrivevano come oscillante fra i livellidi disabilità intellettiva grave e profonda, tuttavia non si disponeva di valuta-zioni formali e punteggi di QI. Frequentava un centro per persone con disabilitàprofonde e multiple ed era coinvolto in semplici attività giornaliere del tipo

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Attività e disabilità multiple

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assemblare o separare oggetti e metterli via. Venivano riportati problemi di di-scontinuità di performance, con rallentamenti ed interruzioni della sua azione,in particolare dopo le singole risposte, anche quando stimoli positivi erano usatiin contingenza a tali risposte. Come nel caso di Ryan, le persone coinvolte nelsuo programma consideravano di grande rilevanza introdurre un intervento chepotesse aiutarlo a migliorare il suo livello occupazionale e la sua immagine so-ciale. Esse suggerivano che aggiungere forme di prompt/incoraggiamento aglieventi di stimolazione contingente alle risposte poteva essere una strategia effi-cace per incentivarlo nell’attività, vista la sua tendenza a rispondere a prompt/in-coraggiamenti. Il suo rappresentante legale aveva dato il consenso informatoper questo studio, che era stato approvato da un comitato scientifico-etico.

Attività, Tecnologia, Stimoli, e Prompt/Incoraggiamenti

L’attività selezionata per Larry consisteva nel separare/smontare oggetti familiari e metterli in dei contenitori. Per esempio, doveva (a) separare le parte su-periore dalla parte inferiore di macchinette da caffè e mettere entrambe le parti inun contenitore alla sua destra, (b) togliere i tappi a delle bottiglie di plastica e met-tere bottiglie e tappi in un contenitore alla sua sinistra. Larry eseguiva l’attività

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Figura 1- Dati di Ryan. Le barre rappresentano la durata media delle sessioni

(in minuti) calcolata su blocchi di sessioni attraverso le diverse fasi

dello studio. Il numero di sessioni incluso in ciascun blocco/barra e`

indicato dal numero che appare sopra di esso. I cerchi neri rappresen-

tano le frequenze medie degli eventi di guida attuati da assistenti di ri-

cerca per sessione, nell’ambito dei suddetti blocchi di sessioni.

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Attività e disabilità multiple

da seduto. La tecnologia utilizzata per registrare le risposte e presentare gli stimolicon o senza prompt/incoraggiamenti era comparabile a quella usata per Ryan(vedi Studio I). Gli stimoli utilizzati prevedevano musiche e canzoni. Essi eranostati suggeriti dagli operatori che lavoravano con Larry e selezionati per lo studiodopo un breve screening di preferenza (vedi Studio I). Le forme di prompt/inco-raggiamento erano simili a quelle usate per Ryan, ed erano selezionate ed appli-cate nel modo descritto nello Studio I.

Condizioni Sperimentali

Lo studio è stato eseguito secondo una sequenza CBC, nella quale C rap-presentava le fasi di intervento con stimolazione contingente alle risposte congli oggetti e espressioni di prompt/incoraggiamento attaccate agli eventi di sti-molazione, e B rappresentava una fase di intervento con soltanto la stimola-zione per le risposte di attivazione (Barlow et al., 2009). Le sessionicomportavano la presenza di 14 oggetti che dovevano essere separati/smontatie messi nei contenitori disponibili. Come nello Studio I, le misure registrateerano la durata delle sessioni e la frequenza degli eventi di guida da parte diassistenti di ricerca. Gli eventi-guida erano previsti se Larry presentava periodidi inattività superiori ad 1 min. Le procedure di calcolo ed i risultati dell’at-tendibilità fra osservatori erano simili a quelli dello Studio I.

Intervento (C). Durante le fasi C, Larry aveva a disposizione gli oggetti e i contenitori con i microswitch. Smontare e mettere un oggetto in un conteni-tore gli consentiva di ricevere 10 s di stimolazione preferita seguita da unprompt/incoraggiamento. Gli eventi-guida da parte degli assistenti di ricercavenivano usati come descritto sopra (Condizioni Sperimentali).

Intervento (B). Le condizioni corrispondevano a quelle applicate nelle fasi C, eccetto che per l’assenza di espressioni di prompt/incoraggiamento.

3.2 Risultati

La Figura 2 riassume i dati di Larry. Le barre rappresentano la durata media delle sessioni (in minuti) calcolata su blocchi di sessioni per le diverse fasidello studio. Il numero di sessioni incluso in ciascun blocco/barra è indicatodal numero che appare sopra di esso. I cerchi neri rappresentano le frequenzemedie degli eventi di guida attuati da assistenti di ricerca per sessione, nel-l’ambito dei suddetti blocchi di sessioni. Durante le fasi C (56 e 98 sessioni),la durata media delle sessioni era appena sopra 7 minuti e virtualmente nonc’erano eventi-guida. Durante la fase B (19 sessioni), la durata media dellesessioni superava 12 minuti e la frequenza media di eventi-guida per sessioneera di circa tre.

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Figura 2 - Dati di Larry presentati come nella Figura 1

Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Lancioni G. E. et al.

4. Conclusioni

I risultati dei due studi indicano che aggiungere una breve espressione di prompt/incoraggiamento alla stimolazione per le risposte rappresenta una stra-tegia molto efficace per migliorare i livelli di attivazione dei due partecipanti.Tali dati (a) costituiscono un supplemento positivo all’evidenza finora acquisitain quest’area e (b) chiariscono che espressioni di prompt/incoraggiamento pos-sono essere introdotte in una maniera socialmente discreta e rispettosa (mini-mizzando il livello di attenzione negativa che potrebbero portare nel contesto diimpegno del partecipante). Alla luce dei risultati ottenuti e delle sequenze pro-cedurali applicate nei due studi, diverse considerazioni possono essere avanzate.

Primo, la sequenza procedurale applicata nello Studio I era sufficientemente articolata per fornire una prova solida dell’impatto della variabile prompt/inco-raggiamento sui livelli di attività. La sequenza procedurale applicata nello StudioII era più debole della precedente e i dati acquisiti nell’ambito di una tale sequenzanon possono costituire una prova definitiva dell’importanza o necessità della va-riabile prompt/incoraggiamento in se. Ciononostante, i suddetti dati potrebberorappresentare un’utile aggiunta e supplemento a quelli dello Studio I sulla que-stione del prompt/incoraggiamento. Riguardo a ciò, si potrebbe anche sottolineareche i risultati dello Studio II erano in accordo con le ipotesi (precedenti osserva-zioni) del personale che lavorava con Larry. Il personale aveva, infatti, indicatoche l’uso di espressioni di prompt/incoraggiamento poteva largamente risolverei problemi di discontinuità ed interruzioni di performance di Larry (Lancioni et

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al., 2006; Wilson et al., 2006; Anson et al., 2008; Chang et al., 2011; Faul, Ste-pensky, & Simonsen, 2012).

Secondo, gli studi non hanno indagato sulla possibilità che espressioni di prompt/incoraggiamento possono essere sufficienti ad aumentare l’impegnoda sole (anche senza l’uso della stimolazione positiva contingente alla rispo-sta). In realtà, il quesito non è stato affrontato per due ragioni. Una ragione erache un programma di intervento contenente la stimolazione positiva si ritenevafosse molto più desiderabile di un programma di intervento senza tale stimo-lazione. L’altra ragione era che l’uso di una stimolazione attraente (motivante)veniva considerato di importanza critica per assicurare una stabile tendenzadei partecipanti a rispondere a livelli minimi di prompt. Infatti, la presentazionedi un semplice prompt/incoraggiamento era ritenuta efficace a re-indirizzare ipartecipanti sull’attività (da una condizione di passività o stereotipia) anche oprincipalmente perché la risposta di attività era seguita da stimolazione positiva(Kazdin, 2001; Lancioni et al., 2008, 2010; Faul et al., 2012).

Terzo, l’uso sistematico di prompt/incoraggiamenti seguiti da risposte attive e stimolazione potrebbe rafforzare la connessione tra le prime due componentidella sequenza e quindi il ruolo critico della variabile prompt/incoraggiamentoper l’attività del partecipante (Kazdin, 2001). Sebbene questo aspetto (questaforma di dipendenza dal prompt/incoraggiamento) potrebbe sollevare qualchedubbio, si potrebbe anche argomentare che la presenza di elementi di prompt/in-coraggiamento è facile da assicurare (e senza costi dal punto di vista del personale)attraverso l’uso di programmi supportati da tecnologia (Lancioni et al., 2008;Chantry & Dunford, 2010; Reichle, 2011; Ripat & Woodgate, 2011). Va anchesottolineato che espressioni di prompt/incoraggiamento all’interno di questi pro-grammi possono essere presentate in un modo discreto e socialmente rispettoso(come fatto negli studi sopra riportati).

Quarto, programmi assistiti da computer possono essere visti come una risorsa sempre più importante per promuovere livelli soddisfacenti di attività in personequali i partecipanti dei presenti studi. In realtà, questi partecipanti avrebbero scarsepossibilità di (a) raggiungere livelli di impegno indipendente totalmente autoge-stiti o (b) ottenere un aiuto assiduo e per tempi prolungati da parte del personalenell’arco della giornata. Programmi assistiti da computer possono assicurare loroil necessario livello di supporto e quindi garantire che (a) si impegnino in attivitàcostruttive, usando materiale appropriato alla loro età, (b) siano in grado di ac-crescere il loro input sensoriale e di godere tale input con possibili benefici per illoro umore, e (c) siano nella condizione di migliorare la loro immagine sociale(Friedman, Wamsley, Liebel, Saad, & Eggert, 2009; Helm, 2000; Brown, Scha-lock, & Brown, 2009; Jumisko, Lexell, & Söderberg, 2009; Sunderland, Catalano,& Kendall, 2009; Scherer, Craddock, & Mackeogh, 2011).

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I programmi utilizzati nei presenti studi erano particolarmente semplici e cer-tamente abbordabili in termini di costi. Infatti, essi includevano soltanto mi-croswitch ottici per monitorare le risposte con gli oggetti, ed un computerprogrammato per regolare forme di stimolazione uditiva e espressioni diprompt/incoraggiamento. Programmi più complessi potrebbero essere neces-sari in situazioni in cui le risposte sono più difficili da monitorare e la stimo-lazione e/o le espressioni di prompt/incoraggiamento non sono eventiuditivo-vocali e devono essere emessi da sorgenti diverse dal computer (Baker& Moon, 2008; Lancioni et al., 2008; Borg, Larson, & Östegren, 2011; Chantry& Dunford, 2010; Shih & Shih, 2010; Reichle, 2011; Shih, 2011).

Quinto, future iniziative di ricerca in quest’area potrebbero prevedere (a) repliche dei presenti studi con nuovi partecipanti così da identificare il livello di ge-neralizzabilità dei dati oggi a dispozione, (b) identificazione e sviluppo di altri pro-grammi (di altre soluzioni tecnologiche per monitorare risposte, presentarestimolazione, e controllare eventi di prompt/incoraggiamento), e (c) implementa-zione di assessment di validazione sociale in cui chiedere al personale di cura eriabilitazione di valutare la prestazione dei partecipanti nelle attività assistite dacomputer, la prestazione con supervisione degli operatori e il tempo trascorso senzaattività programmate (Kennedy, 2005; Callahan, Henson, & Cowan, 2008; Barlowet al., 2009; Lancioni, Sigafoos, O’Reilly, & Singh, 2012).

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Abstract

Il presente studio analizza le associazioni tra le rappresentazioni mentali

materne della relazione con il figlio, lo stato mentale di risoluzione, da

parte della madre, della diagnosi di autismo del figlio e le rappresentazioni

mentali dell’attaccamento del bambino. Sono state considerate anche le

associazioni tra la risoluzione materna della diagnosi e alcune altre va-

riabili della madre e del figlio. Hanno preso parte allo studio 21 bambini

con autismo ad alto funzionamento o sindrome di Asperger (M = 7 anni e

9 mesi; DS = 2 anni e 4 mesi) e le loro madri (M = 41 anni e 2 mesi; DS

= 4 anni e 7 mesi). Lo stato di risoluzione della diagnosi, da parte della

madre, era associato al tipo di diagnosi e alla sua età. Le madri classifi-

cate come risolte, rispetto alla diagnosi di autismo del figlio, hanno mo-

strato livelli significativamente più alti nelle dimensioni di base sicura e

di assunzione della prospettiva propria e altrui e livelli inferiori di neu-

tralizzazione, rispetto alle madri classificate come non risolte. Le madri

con alti livelli di neutralizzazione avevano figli con un più alto livello di

evitamento, rispetto alle madri con bassi livelli di neutralizzazione.

Parole chiave: Diagnosi, Rappresentazione mentale materna, Attaccamento, Autismo.

© 2013 Associazione Oasi Maria SS. - IRCCS

1 Dipartimento di Storia, Società e Studi sull'Uomo, Università del Salento, Lecce, Italia. E-mail: [email protected]

2 Dipartimento di Storia, Società e Studi sull'Uomo, Università del Salento, Lecce, Italia. E-mail: serena. [email protected]

3 Dipartimento di Psicologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Italia. E-mail: [email protected] Dipartimento di Psicologia, Unità di Ricerca sulla Teoria della Mente, Università Cattolica del Sacro Cuore,

Milano, Italia. E-mail: [email protected] Istituto Scientifico E. Medea, Bosisio Parini, Lecco, Italia. E-mail: [email protected] Istituto Scientifico E. Medea, Bosisio Parini, Lecco, Italia. E-mail: [email protected]: Flavia Lecciso, Dipartimento di Storia, Società e Studi sull'Uomo, Università del Salento, via dei Salesiani, 25 - 73100 Lecce.

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità / XVI, 1 (2013), 23-41

La relazione tra le rappresentazioni mentali materne della relazione con il figlio, la risoluzione materna della diagnosi d’autismo e l’attaccamento infantile

Flavia Lecciso1, Serena Petrocchi2, Federica Savazzi3,

Antonella Marchetti4, Maria Nobile5 & Massimo Molteni6

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1. Introduzione

La nascita di un figlio con disabilità rappresenta un’ardua sfida per le famiglie coinvolte. La diagnosi di disabilità di un bambino può causare numerose reazioniemotive nei genitori, tra le quali shock, diniego e senso di colpa (Turnbull & Tur-nbull, 2001). In letteratura, alcuni autori (Pianta & Marvin, 1993; Marvin &Pianta, 1996) hanno definito il costrutto della risoluzione della diagnosi (o statodella mente risolto) come il processo attraverso cui i genitori di un bambino condisabilità fanno fronte ai loro sentimenti associati all’evento della diagnosi. I ge-nitori che hanno risolto il “lutto” legato alla diagnosi, sono in grado di focalizzarsisul presente e di riconoscere la reale condizione del figlio, considerando sia lesue risorse sia i suoi limiti (Marvin & Pianta, 1996); essi sono in grado di ricono-scere i cambiamenti intercorsi dal momento in cui hanno ricevuto la diagnosi edi descrivere i propri meccanismi di coping. Al contrario, Pianta, Marvin, Britnere Borowitz (1996) hanno definito la mancanza di risoluzione della diagnosi (ostato della mente non risolto) in termini di distorsioni cognitive da parte dei ge-nitori ed errori di valutazione delle abilità e delle difficoltà che incontra il propriofiglio. I genitori tendono a far riferimento alle esperienze passate ed i loro senti-menti sono caratterizzati da rifiuto, vittimizzazione, diniego e confusione.

Nel complesso, il processo di risoluzione della diagnosi permette a genitori e figli di raggiungere un livello ottimale di benessere. Uno stato della mente risoltorispetto alla diagnosi consente ai genitori di fronteggiare lo stress legato alla di-sabilità, di trarre vantaggio dal supporto sociale e di mantenere un alto livello disoddisfazione coniugale (Sheeran, Marvin, & Pianta, 1997). È stato provato, inol-tre, che i figli di genitori con uno stato della mente risolto mostrano un patterncomportamentale di attaccamento di tipo sicuro (Marvin & Pianta, 1996; Piantaet al., 1996; Barnett, Clements, Kaplan-Estrin, McCaskill, Hill Hunt, & Butler,2006). In quest’ottica, la mancata risoluzione della diagnosi potrebbe essere unadelle possibili cause delle distorsioni dei comportamenti genitoriali e delle rap-presentazioni della relazione con il figlio (ossia il loro Modello Operativo Interno).Elementi che, a loro volta, potrebbero influenzare la qualità delle rappresentazionimentali dell’attaccamento del bambino con il proprio caregiver.

1.1. Caregiving system, attaccamento del bambino e impatto della diagnosi di

malattia del figlio

La teoria dell’attaccamento ha descritto il caregiving system (Pianta et al.,

1996) come una struttura sviluppata dal genitore, in maniera complementare alsistema di attaccamento del bambino, che include sia aspetti comportamentalisia processi rappresentazionali. Questi ultimi, a loro volta, includono componenti

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sia cognitive che emozionali. Le componenti cognitive riguardano le percezioni,le attribuzioni, le credenze e le aspettative genitoriali sul bambino; gli aspettiemozionali si riferiscono alle esperienze emotive genitoriali e alle loro rappre-sentazioni. Entrambe queste componenti influenzano i comportamenti del geni-tore nei confronti del figlio.

L’interesse per lo studio dei processi rappresentazionali del caregiving system

è motivato dal fatto che il comportamento genitoriale non è predetto solo dallerappresentazioni mentali che gli adulti hanno delle proprie relazioni primariecon i propri caregiver (Main & Goldwyn, 1984; Van Ijzendoorn, 1992), maanche dai contenuti mentali relativi alla loro attuale relazione come genitori(Stern, 1991; Teti & Gelfand, 1991; Baden & Howe, 1992; Slade, Belsky, Aber,& Phelps, 1999; Button, Pianta, & Marvin, 2001; Sayre, Pianta, Marvin, & Saft,2001). Inoltre, esistono prove considerevoli riguardanti la relazione tra i processirappresentazionali dei genitori e la qualità dell’attaccamento dei figli (Fonagy,Steele, Moran, Steele, & Higgitt, 1991).

Di conseguenza, il caregiving system, proprio per la sua intrinseca natura sistemica, potrebbe essere distorto nel momento in cui i processi psicologici diinterazione genitore-figlio sono alterati (Main & Hesse, 1990; George & Solo-mon, 1996; Lecciso, Petrocchi, & Marchetti, in press). Infatti, la diagnosi di di-sabilità del figlio è una possibile causa di trauma per il caregiving system, dalmomento che rappresenta una condizione stressante rispetto alle credenze e isentimenti genitoriali (Pianta et al., 1996).

In letteratura, l’impatto della diagnosi di autismo sulla genitorialità è stato analizzato da pochi studi che hanno indagato l’associazione tra la prospettivamentale del genitore sulla relazione con il figlio e la risoluzione della diagnosi,come misurata da Marvin e Pianta (1996). Nello specifico, è stato indagato ilcostrutto di maternal insightfulness (Ainsworth, 1969; Koren-Karie, Oppenheim,Dolev, Sher, & Etzion-Carasso, 2002), ovvero l’abilità di interpretare gli eventidalla prospettiva del bambino. Hutman, Siller e Sigman (2009) hanno ipotizzatoche le madri con un elevato livello di insightfulness e le madri che hanno risoltola diagnosi di autismo del figlio dovrebbero essere capaci di interagire in situa-zioni di gioco con i propri figli in modo responsivo. Sebbene i risultati dello stu-dio abbiano rivelato un’associazione positiva tra insightfulness e sincronia dellamadre durante il gioco, non hanno evidenziato un’associazione tra lo stato di ri-soluzione della diagnosi e il comportamento materno durante il gioco. Oppen-heim, Koren-Karie, Dolev e Yirmiya (2009) hanno verificato l’ipotesi secondola quale una combinazione tra insightfulness e risoluzione della diagnosi, daparte della madre, dovrebbe essere con più probabilità associata ad un compor-tamento di attaccamento di tipo sicuro da parte del bambino. Come ipotizzato, le

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madri risolte rispetto alla diagnosi del figlio e con un più alto livello di insightfulness

avevano, con maggior probabilità, figli con un attaccamento di tipo sicuro rispettoalle madri non risolte rispetto alla diagnosi e con bassi livelli di insightfulness.

Gli studi appena menzionati hanno sottolineato esclusivamente il ruolo giocatodalla variabile della insightfulness materna sulla risoluzione della diagnosi. Al con-trario, nel presente studio, sono state indagate le componenti rappresentazionali delcaregiving system, considerando non solo la tendenza della madre a rappresentarsiil bambino come un agente mentale (aspetto considerato nella già citata insightful-

ness materna), ma anche una serie di dimensioni più ampie: la capacità di pensarea se stessa come soggetto mentale e come base sicura per il proprio figlio; la capa-cità di non eludere le componenti negative della relazione con il proprio figlio.

1.2. Variabili associate al processo di risoluzione della diagnosi nell’autismo e

in altre condizioni cliniche

Analizzando diverse condizioni di disabilità, alcuni autori hanno consideratol’effetto della risoluzione della diagnosi da parte del genitore, come definito e mi-surato da Marvin e Pianta (1996), su alcune variabili misurate sui bambini e sullemadri. Pianta e collaboratori (Marvin & Pianta, 1996; Pianta et al., 1996) hannoanalizzato le diadi madre-bambino con diagnosi di paralisi cerebrale infantile edi epilessia. Barnett e collaboratori (2006) hanno considerato la risoluzione delladiagnosi in caso di disordini neurologici e malformazioni congenite. Kearney,Britner, Farrell e Robinson (2011) hanno studiato la risoluzione della diagnosi daparte delle madri di bambini affetti da alcune condizioni cliniche (ADHD vs con-dizioni cliniche differenti dall’ADHD). La risoluzione del processo della diagnosinei disordini dello spettro autistico è stata analizzata in quattro studi: due studihanno coinvolto madri e bambini con disordini dello spettro autistico (Wachtel& Carter, 2008; Hutman et al., 2009); gli altri due studi hanno coinvolto madri ebambini con disturbo autistico o disordine pervasivo dello sviluppo non altrimentispecificato (DPS NAS; Oppenheim et al., 2009; Milshtein, Yirmiya, Oppenheim,Koren-Karie, & Levi, 2010).

Analizzando la risoluzione della diagnosi da parte dei genitori in relazione alle variabili del bambino, i ricercatori non hanno trovato alcuna associazionecon l’età mentale e cronologica (Wachtel & Carter, 2008; Hutman et al., 2009;Oppenheim et al., 2009; Milshtein et al., 2010), l’espressione e la ricezione dellinguaggio e il QI non verbale del bambino (Hutman et al., 2009; Oppenheim et

al., 2009) e le abilità adattive (Milshtein et al., 2010). Inoltre, Pianta e collabo-ratori (Marvin & Pianta, 1996; Pianta et al., 1996) hanno riscontrato risultati si-mili considerando l’età mentale del bambino e la severità dei sintomi in caso diparalisi cerebrale infantile ed epilessia. Anche Kearney e collaboratori (2011)

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non hanno trovato associazioni significative tra le variabili demografiche dei bam-bini (età e genere) e lo stato di risoluzione della diagnosi della madre. Al contrario,Barnett e collaboratori (2006) hanno riscontrato che la risoluzione della diagnosiera associata ad alti livelli di funzionamento intellettivo nei bambini.

Considerando invece le variabili genitoriali, la ricerca non ha individuato un legame significativo tra la risoluzione della diagnosi e l’età dei genitori (Hutmanet al., 2009; Oppenheim et al., 2009; Milshtein et al., 2010; Kearney et al., 2011),il QI (Milshtein et al., 2010), lo stato socio-economico (Milshtein et al., 2010;Kearney et al., 2011), il livello scolastico (Hutman et al., 2009; Kearney et al.,

2011), e il “quoziente di spettro autistico” (Milshtein et al., 2010). Al contrario,sono state riscontrate delle associazioni tra lo stato mentale risolto ed un alto li-vello di istruzione (Oppenheim et al., 2009) ed un elevato livello di reddito fa-miliare (Hutman et al., 2009).

Un’altra variabile considerata in letteratura è il tempo trascorso dalla diagnosi.Studi precedenti non hanno riscontrato alcuna associazione tra lo stato di riso-luzione della diagnosi ed il tempo trascorso dalla comunicazione della diagnosi(Marvin & Pianta, 1996; Pianta et al., 1996; Wachtel & Carter, 2008; Hutman et

al., 2009; Oppenheim et al., 2009; Milshtein et al., 2010; Kearney et al., 2011),fatta eccezione per lo studio di Barnett e collaboratori (2006).

Infine, lo stato di risoluzione della diagnosi è stato analizzato anche riguardo al tipo di diagnosi. In tal senso, Milshtein e collaboratori (2010) confrontandodifferenti tipi di diagnosi di autismo (disturbo autistico vs PDD-NOS), non hannotrovato associazioni significative tra tale elemento e lo stato di risoluzione delladiagnosi da parte dei genitori. Allo stesso modo, Pianta e collaboratori (1996)non hanno trovato alcuna differenza tra lo stato di risoluzione della diagnosi nelcaso di paralisi cerebrale infantile e nel caso di epilessia; Kearney e collaboratori(2011) non hanno individuato differenze tra condizioni cliniche differenti(ADHD vs non-ADHD), mentre Barnett e collaboratori (2006) hanno riscontratoche i genitori di bambini con disordini neurologici risultano classificati mag-giormente con uno stato mentale non risolto rispetto ai genitori di bambini conmalformazione fisica.

2. Obiettivi

La presente indagine si prefigge di analizzare alcuni aspetti della risoluzionedella diagnosi da parte di madri di bambini affetti da autismo ad alto funziona-mento (AAF) o sindrome di Asperger (SA). Il primo obiettivo è stato quello di

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analizzare le associazioni tra lo stato di risoluzione della diagnosi da partedella madre, alcune variabili materne (età, scolarità, professione) e alcune va-riabili del figlio (età cronologia, indici di sviluppo, tempo trascorso dalla dia-gnosi e tipo di diagnosi). Il secondo obiettivo è stato quello di analizzarel’associazione tra lo stato di risoluzione della diagnosi da parte della madre ele sue rappresentazioni mentali della relazione con il figlio. Il terzo obiettivoè stato quello di analizzare il legame tra le rappresentazioni mentali delle madrie dei figli circa la loro relazione.

3. Metodo

3.1 Partecipanti

Allo studio hanno preso parte 21 diadi madre-bambino (10 affetti da autismo ad alto funzionamento – AAF, 11 da sindrome di Asperger – SA); di cui 19maschi (10 affetti da AAF) e 2 femmine (entrambe affette da SA). L’età deibambini era compresa tra i 5 e i 13 anni (M = 7 anni e 9 mesi; DS = 2 anni e 4mesi) e il loro QI totale era > 70 (range 81-138, M = 104.81, DS = 15.42). Ibambini hanno ricevuto la diagnosi di autismo presso l’Unità di Neuropsichia-tria Infantile dell’I.R.C.C.S. E. Medea di Bosisio Parini (LC). I criteri di in-clusione erano: età compresa tra i 5 e i 14 anni; QI > 70; produzione verbalesuperiore a quella che caratterizza bambini di 4 anni nella norma; diagnosi cli-nica di AAF o SA formulata da un neuropsichiatra infantile secondo i criteridella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10) (World HealthOrganization, 1992) e il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali(DSM IV-TR) (American Psychiatric Association, 2000). Le diagnosi sonostate confermate, in modo indipendente, da uno psicologo dello sviluppoesperto di autismo, attraverso l’osservazione diretta del bambino e alcuni col-loqui con i genitori. Solo i bambini per i quali le diagnosi dei due esperti eranoconcordi sono stati inclusi nello studio. I criteri di esclusione erano: la presenzadi ulteriori patologie neurologiche, genetiche, infettive o metaboliche; la pre-senza di disturbi convulsivi; l’uso attuale o passato di farmaci psicoattivi.

Le madri avevano un’età compresa tra i 32 e i 48 anni (M = 41 anni 2 mesi; DS = 4 anni 7 mesi) e un QI totale > 70 (range 95-147, M = 125.75, DS = 12.38).La loro scolarità era in media di 13 anni e 9 mesi (DS = 3 anni 4 mesi). In riferi-mento alla professione, 2 madri erano operaie, 4 insegnanti, 8 impiegate, 1 liberaprofessionista e 6 casalinghe. Il tempo trascorso dalla ricezione della diagnosi diautismo del figlio variava tra i 4 mesi e i 10 anni (M = 2 anni 3 mesi, DS = 2 anni3 mesi). Si veda Tabella 1 per le medie e le deviazioni standard.

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Autismo: reazione alla diagnosi, attaccamento

Tabella 1 - Variabili dei bambini e delle madri

3.2 Strumenti

(a) Madri

Stima del Q.I. Per ottenere una stima del livello generale di intelligenza, sono state utilizzate due sub-scale verbali (informazione e vocabolario) e due sub-scaledi performance (completamento di figure e disegno con i cubi) della WAIS-R(Orsini & Laicardi, 1997), come suggerito da Doppelt (1956).

Reazione materna alla diagnosi di disabilità o malattia cronica del figlio. LaReaction to Diagnosis Interview (RDI; Pianta & Marvin, 1993) è stata sommini-strata per valutare la reazione delle madri alla diagnosi di autismo del proprio fi-glio. Le cinque domande che compongono l’intervista chiedono alla madre diricordare vissuti, eventi ed episodi specifici, nonché pensieri e sentimenti legati

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al momento della diagnosi ed indagano la ricerca passata o presente delle possibilicause che hanno potuto avere un ruolo nel determinare lo sviluppo della disabilità.Le interviste sono state codificate da due autori di questo articolo che non eranoa conoscenza di altre informazioni relative al figlio o alla madre; un codificatoreha svolto un training con il Prof. R. Pianta. Le interviste sono state codificate comerisolte o non risolte (Pianta & Marvin, 1993). Per essere classificate come risolte,le madri dovevano mostrare: 1) processi di ri-orientamento e ri-focalizzazionedell’attenzione sulla realtà presente; 2) capacità di problem-solving nella situa-zione attuale; 3) capacità di riconoscere i cambiamenti avvenuti nel bambino dalmomento della comunicazione della diagnosi e 4) rappresentazioni accurate delleabilità del bambino. Per essere classificate come non-risolte, le madri dovevanomostrare: 1) distorsioni cognitive (per esempio, credenze irrealistiche o diniego);2) una ricerca attiva delle ragioni della disabilità del figlio; 3) emozioni intenseassociate all’esperienza della diagnosi e 4) pensieri e capacità di problem-solvingfocalizzati sul momento della comunicazione della diagnosi. Delle 21 madri, 12sono state classificate come risolte (57%) e 9 come non risolte (43%). L’attendi-bilità della codifica data dall’accordo intergiudice era pari a K = .92, p < .001.

Aspetti rappresentazionali del caregiving system. La Parental Development

Interview (PDI) (Pianta, O’Connor, & Marvin, 1993; Pianta, O’Connor, Morog,Button, Dimmock, & Marvin, 1995; Lecciso & Petrocchi, 2012) è stata sommi-nistrata per valutare le rappresentazioni mentali genitoriali. Tale intervista è com-posta da 20 domande che indagano sia specifici episodi di interazione con il figliosia pensieri ed emozioni legati a queste esperienze (Pianta et al., 1993). Le inter-viste sono state codificate da due autori di questo contributo che non erano in pos-sesso di alcuna informazione sui bambini o sulle madri. Uno dei codificatori hasvolto un training con il Prof. R. Pianta. Le risposte delle madri sono state analiz-zate seguendo il sistema di codifica rivisto da Pianta e collaboratori (1995). Pergli scopi specifici di questo studio sono state scelte tre scale: base sicura, assun-zione della prospettiva (ossia dimensione mentalistica) e neutralizzazione. La di-mensione di base sicura considera i riferimenti della madre al proprio ruolo diconforto, alla propria capacità di calmare e di entrare in contatto con il bambino,in modo specifico in situazioni particolarmente stressanti per il figlio. La dimen-sione dell’assunzione della prospettiva mentale altrui valuta i riferimenti dellamadre a pensieri, sentimenti e qualsiasi altro stato mentale del figlio; tale dimen-sione quindi valuta la capacità materna di considerare il proprio figlio come agentementale separato da sé. Inoltre, per analizzare in maniera più approfondita la di-mensione mentalistica, è stata messa a punto e analizzata la dimensione di assun-zione della prospettiva mentale propria. Essa misura la capacità della madre di

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Autismo: reazione alla diagnosi, attaccamento

considerare se stessa quale persona dotata di stati mentali, pensieri e sentimenti.La dimensione della neutralizzazione si riferisce alla elusione delle componentiemotivo-negative della relazione con il figlio. La dimensione considera il modoin cui l’adulto tratta le emozioni negative e le eventuali strategie messe in atto pernon parlare e confrontarsi con le componenti negative della relazione. Per ognidimensione, il punteggio varia da 1, assenza del costrutto, a 7, piena evidenza delcostrutto. Le risposte con assente o vaga evidenza del costrutto sono state codifi-cate con punteggi bassi (1, 2); le risposte caratterizzate da descrizioni del costruttoadeguatamente elaborate hanno ottenuto punteggi di medio livello (3, 4, 5); le ri-sposte con descrizioni del costrutto molto elaborate sono state valutate con pun-teggi alti (6, 7). L’attendibilità della codifica data dall’accordo intergiudice pertutte le dimensioni era elevato (rs > .96).

(b) Bambini

Indici di sviluppo del bambino riferiti. La Vineland Adaptive Behavior

Scales-I (VABS) (Balboni & Pedrabissi, 2003) è stata somministrata alle madriper valutare le capacità di socializzazione, di comunicazione, le abilità quotidianee le abilità motorie (solo per bambini con età inferiore ai 6 anni). Sono stati ottenutiquattro punteggi età-equivalenti e un punteggio finale combinato.

Stima del QI. Per stimare l’intelligenza generale dei bambini come consigliato da Sattler (1992), sono state utilizzate due sub-scale verbali (informazione e vo-cabolario) e due sub-scale di performance (completamento di figure e disegno coni cubi) delle Scale di Intelligenza di Wechsler appropriate all’età dei bambini(WISC-III-R) (Rubini & Padovani, 1986), (WPPSI) (Orsini & Picone, 1998).

Rappresentazioni mentali dell’attaccamento. Per valutare le rappresentazioni mentali della relazione di attaccamento con i propri genitori da parte dei bam-bini è stata utilizzata la prova narrativa semi-proiettiva del Separation Anxiety

Test (SAT; Klagsbrun & Bowlby, 1976; Slough, Goyette, & Greenberg, 1988;Liverta-Sempio, Marchetti, & Lecciso, 2001). Sono state utilizzate delle foto-grafie che rappresentano alcune situazioni di separazione del bambino dai suoigenitori di media intensità e tre situazioni di separazione di forte intensità. Èstato applicato il sistema di codifica ideato da Slough e collaboratori (1988).Esso permette di distinguere tre diverse scale: la scala di attaccamento, chevaluta la capacità del bambino di esprimere vulnerabilità o bisogno nelle tresituazioni di separazione di forte intensità ed è a 4 punti (range finale 3-12);la scala di fiducia in sé, che misura la capacità del bambino di esprimere au-tonomia o fiducia in sè nelle tre situazioni di separazione di media intensitàed è a 4 punti (range finale 3-12); la scala di evitamento, che valuta il grado dielusione del discorso sulla separazione in tutte le sei situazioni ed è a 3 punti

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(range finale 6-18). Tutte le interviste sono state codificate indipendentementeda due codificatori e il grado di accordo intergiudice è risultato alto per tuttele tre scale (rs > .98).

3.3 Procedura

Il Comitato Etico dell’I.R.C.C.S. E. Medea ha approvato lo studio. Tutti i genitori dei bambini che rientravano nel gruppo dei possibili partecipanti hannoricevuto un foglio informativo in cui si descrivevano gli scopi dello studio ehanno, successivamente, firmato un modulo di consenso a partecipare alla pre-sente ricerca sia per sè sia per il proprio figlio. Nel primo incontro con i bambinisono stati somministrati i seguenti strumenti: le sub-scale della WPPSI/WISC-III e il SAT. Nel secondo incontro con le madri sono stati somministrati i seguentistrumenti: le sub-scale della WAIS-R, la VABS, la PDI e la RDI.

3.4 Risultati

Reazione alla diagnosi di autismo – variabili materne

L’analisi della varianza non parametrica (Mann-Whitney U Test) non ha evi-denziato la presenza di associazioni significative tra lo stato di risoluzione delladiagnosi e le variabili materne relative al livello educativo (o scolarità) e allaprofessione. Lo stato di risoluzione della diagnosi era, invece, associato all’etàdella madre: le madri con uno stato della mente risolto rispetto alla diagnosi (M= 43, DS = 4.50) avevano un’età maggiore delle madri con uno stato della mentenon risolto (M = 38.80, DS = 4.00), U = 25.50, p = .041.

Reazione alla diagnosi di autismo – variabili dei bambini

Le ANOVA non parametriche non hanno evidenziato la presenza di asso-ciazioni significative tra lo stato di risoluzione della diagnosi, l’età dei bambini,gli indici di sviluppo dei bambini (QIv, QIp, QI totale; scale VABS di comu-nicazione, socializzazione, abilità quotidiane e composita) e il tempo trascorsodalla diagnosi. Si veda Tabella 1 per le medie e le deviazioni standard.

Un’associazione significativa è emersa tra lo stato di risoluzione della dia-gnosi e il tipo di diagnosi (AAF vs SA), χ2(4) = 4.07, p = .044 (Tabella 2). L’80%delle madri con bambini con AAF ha risolto l’evento della diagnosi rispetto al36% delle madri con bambini con SA. Sulla base del calcolo delle probabilità (odd

ratio), le madri con bambini con AAF mostravano di avere 7 volte più probabilitàdi risolvere il processo della diagnosi rispetto alle madri con bambini con SA.

Tenendo in considerazione questo risultato, sono state condotte delle ANOVAnon parametriche per esaminare le possibili differenze tra AAF e SA rispetto adalcuni indici di sviluppo (QI e VABS). Sono stati ottenuti risultati significativi ri-spetto al QI verbale U = 99.50, p = .011, QI di performance, U = 90, p = .013,

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Autismo: reazione alla diagnosi, attaccamento

e al punteggio di QI totale, U = 96.50, p = .002. Per tutte queste variabili, i bambinicon AAF hanno ottenuto punteggi inferiori (MQIv = 98.60, DS = 9.86; MQIp =91.50, DS = 12.22; MQItotale = 94.40, DS = 9.88) rispetto ai bambini con SA (MQIv

= 117, DS = 13.08; MQIp = 108.64, DS = 15.49; MQItotale = 114.27, DS = 13.45).Associazione tra la reazione alla diagnosi e rappresentazioni mentali materne

della relazione. Le ANOVA non parametriche condotte tra lo stato di risolu-zione della diagnosi e i punteggi ottenuti alla PDI raggiungevano il livello disignificatività. Le madri classificate come risolte (M = 5.80, DS = .56) si dif-ferenziavano significativamente nei punteggi relativi alla dimensione di basesicura dalle madri classificate come non-risolte (M = 5.80, DS = .56, U = 6.00,p = .0001). Le madri classificate come risolte (M = 6.50, DS = .52) differivanosignificativamente nei punteggi dell’assunzione della prospettiva altrui dallemadri classificate come non-risolte (M = 5, DS = 1.12, U = 8.50, p = .0001);allo stesso modo, le madri classificate come risolte (M = 6, DS = .95) nei pun-teggi di assunzione della propria prospettiva differivano significativamentedalle madri classificate come non-risolte (M = 4.22, DS = .67, U = 12.00, p =.002). Infine, le madri classificate come risolte (M = 1.58, DS = .79) differivanosignificativamente nei punteggi di neutralizzazione dalle madre classificatecome non-risolte (M = 3.89, DS = .78, U = 105.00, p = .0001).

Associazione tra le rappresentazioni mentali della relazione da parte delle

madri e dei bambini. Le ANOVA non parametriche (Kruskal-Wallis Test)hanno messo in evidenza una relazione significativa tra i punteggi ottenutidalle madri nella scala di neutralizzazione degli affetti negativi della PDI e ipunteggi ottenuti dai figli nella scala di evitamento del SAT, H(2) = 6.34, p =.042. Si veda Tabella 1 per le medie e le deviazioni standard. Sono stati con-dotti dei test di Mann-Whitney per indagare ulteriormente la natura di tale le-game e, come controllo dei risultati dei test multipli, è stata applicata lacorrezione di Bonferroni che ha fornito un livello di significatività pari a .016. Non sono emerse differenze significative nei punteggi ottenuti dai figli nella scala

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Tabella 2 - Distribuzione di frequenza della RDI in funzione del tipo di diagnosi

del figlio (tra parentesi le frequenze attese).

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di evitamento sia tra livelli bassi e livelli medi sia tra livelli medi e livelli altidella scala di neutralizzazione delle madri. Al contrario, considerando livellibassi e livelli alti di neutralizzazione materna, emerge una differenza signifi-cativa nei punteggi di evitamento dei bambini, U = -19.28, p = .015. Le madricon un più alto livello di neutralizzazione avevano bambini con un più alto li-vello di evitamento (M = 9.50, DS = .71), rispetto alle madri con un livello piùbasso di neutralizzazione (M = 6.88, DS = 1.46).

4. Discussione

Un primo set di risultati è relativo all’associazione tra lo status di risoluzionedella diagnosi e le variabili materne. I risultati non hanno rilevato alcuna associa-zione tra la risoluzione della diagnosi e la professione materna. Il risultato è inlinea con uno studio precedente sull’autismo, che non ha rilevato associazioni conlo stato socio-economico (Milshtein et al., 2010). Nel presente studio, inoltre, nonè emersa alcuna associazione tra lo status di risoluzione della diagnosi e il livellodi istruzione della madre. Questo risultato replica quello di Hutman e collaboratori(2009), ma è in contrasto con quanto trovato da Oppenheim e collaboratori (2009).Infine, diversamente da quanto trovato in studi precedenti (Wachtel & Carter,2008; Hutman et al., 2009; Oppenheim et al., 2009; Milshtein et al., 2010), i ri-sultati del presente studio mostrano che l’età delle madri che avevano risolto ladiagnosi del figlio era maggiore rispetto a quella madri che non avevano risoltola diagnosi. È da evidenziare che in tre (Wachtel & Carter, 2008; Hutman et al.,

2009; Oppenheim et al., 2009) dei quattro studi menzionati (Milshtein et al.,

2010), l’età media delle madri era inferiore rispetto a quella delle madri del nostrostudio. Dunque, è possibile che la fase del ciclo di vita (Erikson, 1978, 1982), incui i nostri partecipanti si trovavano, abbia consentito loro di raggiungere unamaggiore integrazione personale, in grado di favorire la rielaborazione della dia-gnosi di disabilità del figlio in maniera meno traumatica. Nel complesso, i risultatiemersi dal presente studio e il confronto con la letteratura contribuiscono a evi-denziare un quadro non completamente univoco. Ciò mette in luce, ancora unavolta, la necessità di indagare ulteriormente le variabili materne.

Un secondo set di risultati riguarda i legami tra la risoluzione della diagnosi e le variabili relative ai bambini. I risultati ottenuti confermano quanto riscon-trato negli studi su persone con autismo in relazione alla mancata associazionetra la risoluzione della diagnosi da parte della madre e il tempo trascorso dallacomunicazione della diagnosi (Wachtel & Carter, 2008; Hutman et al., 2009;Oppenheim et al., 2009; Milshtein et al., 2010), l’età del bambino (Wachtel &

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Carter, 2008; Hutman et al., 2009; Oppenheim et al., 2009; Milshtein et al.,

2010), il QI (Hutman et al., 2009; Oppenheim et al., 2009) e il comportamentoadattivo (Milshtein et al., 2010).

Inoltre, nel presente studio, la risoluzione della diagnosi è risultata associata al tipo di diagnosi: le madri di bambini affetti da AAF sono state classificate inmisura maggiore come risolte rispetto alle madri di bambini affetti da SA. Mil-shtein e collaboratori (2010) non hanno trovato alcuna associazione tra la risolu-zione materna e il tipo di diagnosi dei bambini (disturbi autistici vs DPS-NAS).Risultati similari sono emersi nello studio di Pianta e collaboratori (1996) chehanno confrontato bambini con paralisi cerebrale infantile ed epilessia e nellostudio di Kearney e collaboratori (2011) in cui sono stati messi a confronto bam-bini con disturbi clinici differenti (ADHD vs non-ADHD). Al contrario, Barnette collaboratori (2006) hanno riscontrato che le madri di bambini con malforma-zione fisica sono classificate in misura maggiore come risolte, in relazione alladiagnosi del figlio, rispetto alle madri di bambini con disturbi neurologici. Dun-que, mentre in alcuni casi (Pianta et al., 1996; Milshtein et al., 2010; Kearney et

al., 2011) sembra che la risoluzione della diagnosi dipenda solo dalle caratteristi-che dei genitori, in altri casi (Barnett et al., 2006) sembra giocare un ruolo fon-damentale la percezione da parte del genitore dello specifico disturbo del figlio.Infatti, come suggerito da Pianta, Marvin e Morog (1999), alcuni aspetti, qualila natura progressiva (vs stabile) del disturbo, l’imprevedibilità (vs la prevedi-bilità) del disturbo, la gravità del decorso, la speranza (vs assenza di speranza)di remissione della malattia da parte del genitore possono contribuire ad au-mentare il rischio che il genitore non elabori in maniera adeguata la diagnosidel proprio figlio. Inoltre, nel nostro studio emerge che i bambini affetti da SApresentano un QI maggiore rispetto ai bambini affetti da AAF. Questo aspettopotrebbe rendere difficoltoso il processo di risoluzione della diagnosi di auti-smo da parte del genitore, dal momento che le competenze dei bambini sem-brano compromesse in misura minore in caso di SA rispetto ad AAF; ciòpotrebbe portare il genitore a sviluppare sentimenti di speranza collegati a unacondizione di (pseudo) normalità per il proprio figlio. Ciò non significa affer-mare che il tipo di diagnosi determini la risoluzione della stessa, quanto piut-tosto che il processo di risoluzione della diagnosi potrebbe risultare piùcomplesso in determinate condizioni cliniche infantili (per esempio, SA) ri-spetto ad altre (per esempio, AAF). In accordo con le riflessioni formulate daPianta e collaboratori (1999), i genitori possono non elaborare tutte le tipologiedi diagnosi a carico del figlio seguendo le stesse modalità: nel nostro caso, inmodo particolare, il maggiore funzionamento intellettivo dei bambini affetti daSA potrebbe incrementare il rischio che le loro madri non risolvano la diagnosi.

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Autismo: reazione alla diagnosi, attaccamento

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Le riflessioni sulla risoluzione della diagnosi in relazione alla malattia del figlio consentono di interpretare un ulteriore dato del nostro studio. Seppur con-frontate a livello descrittivo, la percentuale di madri risolte nel nostro campione(57%) risulta più elevata rispetto ai precedenti studi – 33% in Oppenheim e col-laboratori (2009) e 36% in Milshtein e collaboratori (2010). Tuttavia, se nel no-stro studio consideriamo separatamente la risoluzione materna rispetto a ciascuntipo di diagnosi, la percentuale di madri risolte con figli affetti da AAF (80%) èmaggiore della percentuale di madri risolte con figli affetti da SA (36%); que-st’ultima percentuale appare similare a quella rilevata negli studi precedente-mente citati. Queste considerazioni supportano l’ipotesi di Pianta e collaboratori(1999) relativa all’influenza della percezione della disabilità del bambino daparte del genitore sulla risoluzione della diagnosi. Infatti, nell’analizzare la rea-zione alla diagnosi gli autori hanno sottolineato la necessità di distinguere tra ledifferenti sotto-tipologie incluse in una più ampia condizione clinica.

Un terzo set di risultati riguarda il legame tra la risoluzione della diagnosi e le rappresentazioni mentali materne della relazione con il figlio. Sulla base dellaletteratura esistente (si veda Pianta et al., 1996), è stato ipotizzato che la diagnosidi autismo potrebbe avere uno specifico impatto traumatico sul caregiving sy-

stem nelle sue componenti emozionali e mentalistiche. Le madri classificatecome risolte sono maggiormente capaci di vedere se stesse e il proprio figlio intermini mentali, di considerarsi come base sicura e di non eludere le componentinegative della relazione. Tali risultati confermano quelli rilevati in altri studi(Marvin & Pianta, 1996; Pianta et al., 1996) secondo cui la diagnosi di disabilitàdel figlio rappresenta un fattore in grado di alterare le rappresentazioni mentalimaterne della relazione con il figlio. Infatti, l’esperienza materna di disabilitàdel figlio può filtrare, distorcere e trasformare le rappresentazioni mentali ma-terne circa la relazione con il proprio bambino. Di conseguenza, la difficoltà adelaborare e risolvere l’evento della diagnosi può determinare rappresentazionimentali della relazione madre-bambino più povere in termini mentalistici edemozionali, come dimostrato dai nostri risultati.

L’ultimo set di risultati concerne i legami tra le rappresentazioni mentali dellemadri e quelle dei figli. Il grado con cui le madri neutralizzano le componentinegative della relazione con il figlio risulta associato al grado di evitamento deldiscorso sulla separazione da parte del bambino. Sebbene elicitate da due stru-menti differenti, queste dimensioni valutano la medesima componente dell’at-taccamento, ossia l’incapacità di affrontare gli aspetti emotivi negativi dellarelazione genitore-bambino. Inoltre, è importante, a nostro avviso, sottolineareche le componenti negative della relazione risultano maggiormente critiche nelcaso di una diagnosi di patologia infantile. Il legame tra queste due dimensioni

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Lecciso F. et al.

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emerge in modo emblematico in un gruppo di bambini con diagnosi di autismo,una condizione in cui è necessario che i genitori entrino in contatto con gli aspettiproblematici legati alla diagnosi e alla relazione. Il legame tra queste due dimen-sioni, inoltre, può essere letto alla luce dell’ipotesi della trasmissione intergene-razionale dei modelli operativi interni (per una rassegna, si veda Van Ijzendoorn,1992) e, in particolare, dei pattern rappresentazionali di tipo evitante.

Infine, l’insieme dei dati ottenuti attraverso i differenti strumenti utilizzati (RDI, PDI e SAT) consente di ipotizzare un modello complesso in cui l’ela-borazione da parte della madre dell’esperienza di disabilità del figlio (RDI)potrebbe essere integrata nella rappresentazione mentale materna della rela-zione con il figlio (PDI). La rappresentazione mentale della madre potrebbeavere un effetto sul proprio comportamento genitoriale e, di conseguenza, po-trebbe contribuire allo sviluppo delle rappresentazioni mentali infantili rispettoalla relazione con la madre (SAT)7. Studi futuri dovranno confermare empiri-camente il modello qui proposto con un più ampio numero di partecipanti alfine di considerare congiuntamente le relazioni tra i costrutti considerati.

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Autismo: reazione alla diagnosi, attaccamento

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Abstract

La ricerca esamina in genitori di bambini con ADHD il costrutto di controllopercepito nelle interazioni educative difficili. È stato ipotizzato che: a) i ge-nitori, in conseguenza di una storia transazionale d’insuccesso con i lorofigli, sviluppino più spesso, rispetto a quelli di bambini senza problemi,schemi di basso controllo personale sulle interazioni educative; b) le credenzedi basso controllo percepito siano associate a livelli più alti di stress genito-riale e a pratiche disciplinari punitive/incoerenti. I risultati evidenziano dif-ferenze significative tra le famiglie in funzione della condizione clinica deifigli, con livelli di stress più elevati e minore controllo percepito nei genitoridi bambini ADHD, ma non supportano l’influenza dello stile attributivo dibasso controllo sull’aumento dei livelli di stress sia nelle famiglie ADHD siain quelle non cliniche. L’influenza del controllo percepito sulle pratiche diparenting cambia in funzione della condizione clinica dei bambini, con unaumento del parenting punitivo e incoerente in associazione con basso con-trollo percepito soltanto per i genitori ADHD. Un risultato inatteso è il piùalto tasso di parenting positivo nei genitori ADHD rispetto ai genitori dellefamiglie non cliniche, i quali, in linea con le ipotesi iniziali, riferiscono di es-sere più affettuosi in associazione con le attribuzioni di alto controllo perce-pito. Sono discusse le implicazioni della valutazione delle credenze dicontrollo percepito nelle famiglie di bambini con disturbi del comportamento,in particolare per il trattamento dell’ADHD.

Parole chiave: Bambini con ADHD, Stress genitoriale, Credenze di controllo percepito.

© 2013 Associazione Oasi Maria SS. - IRCCS

1 Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studi di Messina. E-mail: [email protected] Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studi di Messina. E-mail: [email protected]

Corrispondenza: Loredana Benedetto, Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studidi Messina, via Tommaso Cannizzaro 278, 98122 Messina, Italia

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità XVI, 1 (2013), 43-60

Controllo percepito e stress nei genitori di bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività

Loredana Benedetto1 & Massimo Ingrassia2

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1. Introduzione

In questi ultimi decenni molti studi clinici ed evolutivi hanno sottolineato i problemi del prendersi cura di un bambino o di un adolescente con ADHD(Johnston & Mash, 2001) e le conseguenze negative che ne derivano sul fun-zionamento familiare, come i frequenti conflitti genitore-figlio, la disarmoniae una bassa soddisfazione coniugale (Befera & Barkley, 1985). È stata inoltredocumentata una crescita delle richieste che influenzano l’adattamento del ca-regiver: i genitori di bambini con ADHD solitamente sperimentano livelli piùelevati di stress rispetto alle famiglie non cliniche (DuPaul, McGoey, Eckert,& Van Brakle, 2001) e spesso si percepiscono meno capaci e meno efficacinel loro ruolo (Mash & Johnston, 1990). Alcuni studi correlazionali indicanoche i maggiori livelli di stress che i genitori percepiscono nelle esperienze quo-tidiane sono associati alle caratteristiche del bambino, come la gravità e lapervasività dei sintomi dell’ADHD (Theule, Wiener, Tannock, & Jenkins,2013), ma non ai sintomi inattentivi (Graziano, McNamara, Geffken, & Reid,2011), soprattutto in presenza di comportamenti aggressivi e oppositivo-pro-vocatori (Anastopoulos, Guevremont, Shelton, & DuPaul, 1992).

Healey, Flory, Miller e Halperin (2011) hanno recentemente scoperto che, se si tiene conto della gravità dei sintomi, alti livelli nel bambino di impulsivitàtemperamentale (cioè emozionalità negativa, problemi d’attenzione e scarsapersistenza sul compito) si associano a un aumento dei livelli di distress ma-terno, che a loro volta influenzano lo stile di parenting che risulta più autori-tario e incoerente. Questa associazione tra stress genitoriale e pratiche diparenting inefficaci è confermata da altri risultati empirici: i bambini conADHD sono meno obbedienti nei riguardi dei loro genitori, cambiano frequen-temente attività ed esibiscono altri problemi comportamentali che accrescononel genitore la reattività che si esprime con disapprovazione, uso di comandinon efficaci, punizione fisica e poco affetto (Cunningham & Boyle, 2002).Queste pratiche di parenting inadeguate, a loro volta, sembrano in relazionecon il mantenimento o l’aggravamento delle difficoltà comportamentali giàpresenti nei bambini ADHD e sono uno dei predittori più indicativi di esitievolutivi negativi (Frick, Christian, & Wootton, 1999).

Più di recente altri studiosi del parenting hanno incorporato nelle loro ricerche le credenze o cognizioni sull’ADHD quali importanti variabili di mediazione tra lereazioni del genitore e i comportamenti problematici del figlio (Jonhston & Ohan,2005; Johnston, Mah, & Regambal, 2010). In generale, i genitori sviluppano spie-gazioni o attribuzioni, circa le cause del comportamento del bambino. Coloro chehanno un figlio diagnosticato con ADHD – più spesso di chi ha figli senza disturbi

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Benedetto L. & Ingrassia M.

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dello sviluppo – percepiscono i comportamenti problematici come causati da fattoriincontrollabili, persistenti e pervasivi interni al loro bambino (Johnston & Freeman,1997). Quando i bambini esibiscono ADHD in comorbidità con i problemi dellacondotta, i genitori in genere si ritengono meno responsabili dei comportamenti delbambino; nondimeno i comportamenti oppositivo-provocatori sono visti come piùcontrollabili da parte del bambino rispetto ai sintomi dell’ADHD e, tra questi sin-tomi, quelli iperattivo-impulsivi sono considerati maggiormente intenzionali e con-trollabili dell’inattenzione (Freeman, Johnston, & Barth, 1997).

Bugental e Shennum (1984) hanno introdotto il costrutto di controllo percepito (PCF) nelle situazioni di accudimento dei bambini per indicare un particolareschema cognitivo che tiene conto, in maniera bilanciata, del peso che il genitore as-segna ai fattori del bambino o ai propri nell’influenzare gli esiti delle interazioni.Le autrici distinguono la percezione del genitore del potere (o responsabilità) cheessi attribuiscono a loro stessi nel controllare i comportamenti del bambino, in con-fronto al controllo che essi attribuiscono al figlio. Lo schema di attribuzione si valutaconfrontando il controllo sull’insuccesso dell’adulto (ACF) o del bambino (CCF)in situazioni di accudimento difficili: gli adulti con basso controllo percepito (PCF)attribuiscono la ragione dell’insuccesso delle interazioni a uno scarso controllo per-sonale e ad alto controllo del bambino. Questo stile attributivo di basso controllo(basso PCF) è comune nelle madri con bambini aggressivi, come conseguenza dellaloro esperienza di ripetuti insuccessi nella cura dei figli (Katsurada & Sugawara,2000). Risultati simili sono stati ottenuti da Benedetto e Ingrassia (2010), i qualihanno individuato schemi di basso controllo in genitori di bambini a rischio di pro-blemi esternalizzanti. Altre ricerche evidenziano che le credenze di basso controllosono più spesso associate a disciplina ostile e a emozioni negative nei riguardi deibambini: i genitori reagiscono con uno stile interazionale più ostile (critiche, puni-zioni ecc.), con rabbia e con sentimenti negativi (Bugental & Happaney, 2002).

Soltanto pochi studi hanno esaminato le associazioni tra controllo causale percepito e stress genitoriale con bambini che presentano disturbi del compor-tamento. In uno studio che coinvolgeva madri di bambini con ADHD, Harrisone Sofronoff (2002) hanno scoperto che le attribuzioni causali interne al bam-bino, insieme a un basso controllo genitoriale percepito, sono associate a livellipiù elevati di distress del genitore. I risultati di questo studio suggeriscono chei problemi comportamentali dei bambini e le credenze materne di efficacia nelcontrollo del comportamento dei loro figli contribuiscono allo stress genitorialee alla depressione: a parità di difficoltà comportamentali esibite dai bambini,le madri che si sentono meno capaci di gestire il comportamento del loro bam-bino sperimentano maggiore stress.

Scopo di questa ricerca è ampliare i dati degli studi precedenti sul ruolo del

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Controllo percepito e stress nei genitori di bambini con ADHD

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controllo percepito dai genitori nelle interazioni con i figli (Bugental & Shennum,1984; Benedetto & Ingrassia, 2010), esaminando le relazioni tra attribuzioni per-sonali di efficacia, pratiche disciplinari e stress in genitori di bambini con ADHD.L’obiettivo è valutare se le credenze del genitore di avere un basso controllo suicomportamenti infantili siano più comuni nelle famiglie con un figlioiperattivo/disattento (ADHD) e se questo schema attributivo influenzi nei genitorile risposte emotive e comportamentali, cioè, i livelli di stress percepito e le pra-tiche di disciplina che adoperano comunemente con i loro bambini. In particolare,le ipotesi da testare sono:

1. La presenza di uno stile attributivo di basso controllo percepito (PCF) nei genitori di bambini con ADHD. Sulla base degli effetti transazio-nali di influenza dei comportamenti problematici dei bambini e delleprecedenti esperienze di fallimento sul senso di efficacia del genitore,l’attesa è che un maggiore numero di genitori di bambini ADHD pre-senti un basso PCF rispetto ai genitori di bambini senza ADHD.

2. L’influenza dello stile attributivo (basso/alto PCF) sulle pratiche dei geni-tori. L’ipotesi è che gli adulti con basso PCF riferiscano un uso più frequentedi pratiche educative punitive/incoerenti rispetto ai genitori con alto PCF,insieme a un decremento del coinvolgimento positivo e della calorosità.

3. I livelli di stress percepiti dai genitori in funzione della condizione clinica dei loro bambini (ADHD vs non clinica) e del controllo percepito (basso/altoPCF) sui comportamenti dei figlio. In base alla letteratura attuale, si ipotiz-zano più alti livelli di stress genitoriale nelle famiglie ADHD e in quelle icui genitori sentono un basso controllo all’interno della relazione.

2. Metodo

2.1 Participanti Lo studio è stato condotto con i genitori di 25 bambini con precedente diagnosi

di ADHD (gruppo ADHD) e i genitori di 29 bambini senza disturbi dello sviluppoo del comportamento (gruppo non clinico). I bambini del gruppo clinico (23 ma-schi e 2 femmine) avevano ricevuto la diagnosi di ADHD, tipo combinato (criteridel DSM-IV; APA, 2000), da un servizio pubblico di Neuropsichiatria Infantile.L’età era compresa tra 6 e 15 anni (M = 9.15, DS = 2.28). Ciascun bambino avevaun punteggio T pari o superiore a 63 (M = 67.25, DS = 4.60) alla scala dei pro-blemi esternalizzanti della Child Behavior Checklist (CBCL/4-18; Achenbach,1991) compilata dai genitori. Questi ultimi erano 25 madri e 11 padri. La loro etàmedia era 39.71 anni per le madri (DS = 5.67) e 42.87 per i padri (DS = 6.16).

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I genitori dei bambini senza problemi (gruppo non clinico) erano 51 volontari selezionati mediante una procedura di appaiamento con le famiglie ADHD (icriteri erano l’età media e il genere del bambino). Le famiglie sono state re-clutate su base volontaria nelle scuole primarie o secondarie (1° grado) fre-quentate dai figli. Per essere certi dell’assenza di problemi clinici, per ognibambino è stato compilato il questionario SDQ (vedi oltre): tutti i bambinihanno ottenuto un punteggio al di sotto del cut-off sia nel punteggio Totaledelle Difficoltà (media di gruppo = 7.27, DS = 3.65; range normale 0-13), sianella subscala Disattenzione/Iperattività (M = 2.75, DS = 1.70; range normale0-5). Il campione finale è risultato composto da 27 madri e 26 padri. Le etàmedie erano 38.87 anni per le madri (DS = 5.32) e 44.13 per i padri (DS =5.88); per i bambini, 9.42 anni (range da 6 a 15). Non vi erano differenze perl’età tra gruppi ADHD vs non clinico [F (1.52) = .16, p = .69], sono invece ri-sultati significativamente più genitori singoli o separati nel gruppo ADHD ri-spetto alle famiglie non cliniche [χ2 (2) = 13.72, p < .001].

2.2 Strumenti e proceduraI genitori del gruppo ADHD hanno compilato un set di questionari nella fase

di pretest di un parent training. Il set includeva:Parent Attribution Test (PAT; Bugental & Shennum, 1984) nella versione

italiana di Benedetto e Camera (2011). Per la valutazione dello stile attributivodel genitore il test presenta un ipotetico episodio in cui un adulto deve accudireil figlio di un vicino. Il rispondente giudica l’importanza di alcune cause (sceltetra il temperamento del bambino, la capacità dell’adulto di occuparsi dei bam-bini, la fortuna ecc.) che possono avere influenzato l’insuccesso di quella espe-rienza per mezzo di una scala Likert a 7 gradini (da “per nulla importante” a“molto importante”).

Si ottengono due punteggi che indicano il controllo dell’adulto sull’insuccesso(adult control over failure, ACF) e il controllo del bambino sull’insuccesso(child control over failure, CCF). L’ultimo valore è sottratto dal precedente(ACF-CCF) per calcolare il punteggio di PCF (un indice che bilancia il con-trollo dell’adulto vs quello del bambino sull’esito delle interazioni difficili).Secondo la procedura di Bugental (1998), gli adulti sono poi categorizzati ri-spetto al PCF usando come divisore il punteggio mediano: i genitori con bassoPCF hanno un punteggio pari o al di sotto della mediana, i genitori con altoPCF sono quelli che si collocano al di sopra.

Parenting Stress Index - Short Form (PSI-SF; Abidin, 1995), una scala self-report che misura lo stress relativo al parenting. Il questionario è compostodi 36 item, a cui i genitori rispondono su una scala a 5 punti (fortemente d’accordo,

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d’accordo, incerto, in disaccordo, fortemente in disaccordo) quanto ciascun itemdescrive loro stessi, il loro bambino o le interazioni genitore-bambino. Gli indiciottenuti sono il Distress Genitoriale, Bambino Difficile e Interazione DisfunzionaleGenitore-Bambino, che sono sommati per ottenere una misura dello Stress Totale.Punteggi più elevati indicano più stress sperimentato dai genitori. La coerenza in-terna per la versione italiana (Guarino, Di Blasio, D’Alessio, Camisasca, & Se-rantoni, 2008) varia da α = .87 per le sottoscale ad α = .93 per lo Stress Totale.

Alabama Parenting Questionnaire (APQ; Frick, 1991), una misura self-report delle pratiche dei genitori (42 item). Ogni item è valutato su una scala a 5punti (da 1 “mai” a 5 “sempre”) per indicare con quale frequenza, nel corso delleinterazioni ordinarie, il genitore adotta ogni specifico comportamento per gestirele attività del figlio. Per questa ricerca sono state utilizzate le seguenti scale: coin-volgimento (10 item; ad es. “Dialoghi amichevolmente con tuo figlio”), parentingpositivo (6 item; ad es. “Ti congratuli con tuo figlio quando fa qualcosa di buono”),disciplina incoerente (6 item; ad es. “La punizione che dai a tuo figlio dipende daltuo umore”) e punizione corporale (3 item; ad es. “Sculacci tuo figlio quando hafatto qualcosa di sbagliato”). Le prime due scale hanno una direzione positiva(punteggi più alti indicano pratiche adeguate), le altre due una direzione negativa(punteggi più alti corrispondono a un parenting inefficace). Per la versione italianadell’APQ (Benedetto & Ingrassia, 2012) la coerenza interna varia da α = .80 (coin-volgimento) ad α = .50 (punizione corporale).

I genitori del gruppo non-clinico hanno completato il precedente set di que-stionari (PAT, PSI e APQ) e lo Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ; Go-odman, 1997)3. Questo breve questionario di screening comportamentale (25 item)serve a valutare il benessere psicologico dei bambini (4-16 anni). Ogni item de-scrive attributi positivi (cioè il comportamento prosociale) o negativi (ad esempio,la non compliance) e il genitore indica se ritiene che ciascun comportamento siaper il bambino “non vero” (0), “talvolta vero” (1) o “certamente vero” (2). L’ SDQha 5 scale: sintomi emozionali (ad es. “Spesso si lamenta di mal di testa, mal distomaco o malattia”), problemi di condotta (ad es. “Spesso mente e imbroglia”),inattenzione-iperattività (ad es. “Irrequieto, iperattivo, non riesce a stare fermo permolto tempo”), problemi con i coetanei (ad es. “Piuttosto solitario, preferisce gio-care da solo”) e comportamento prosociale (ad es., “È rispettoso dei sentimenti al-trui”). La coerenza interna delle subscale per la versione italiana (Tobia, Gabriele,& Marzocchi, 2011) varia da α = .70 ad α = .88. In questo studio sono stati utiliz-zati i punteggi Totale Difficoltà (cut-off < 16) e Inattenzione-Iperattività (cut-off <5) per identificare i bambini non a rischio per problemi emozionali o di compor-tamento e comporre così il campione non clinico.

3SDQ-La versione italiana (SDQ-ita) è disponibile nel sito ufficiale www.sdqinfo.org

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Tabella 1 – Frequenza del controllo percepito sul fallimento (basso vs alto PCF) in genitori del gruppo non clinico e ADHD

Controllo percepito e stress nei genitori di bambini con ADHD

3.2 Controllo percepito e pratiche educativeLa tabella 2 riporta le medie (M) e le deviazioni standard (DS) relative alle

pratiche misurate secondo le scale dell’APQ. È stata calcolata una MANOVA2 (gruppo ADHD vs non clinico) x 2 (basso controllo percepito vs alto) consi-derando i punteggi dell’APQ come variabili dipendenti.

La MANOVA non ha rivelato effetti principali significativi per le variabili gruppo e controllo percepito, ma interazioni significative gruppo x controllo per-cepito relativamente al parenting positivo [F (1. 83) = 5.60, p < .05] e alla disci-plina incoerente [F (1. 83) = 6.54, p < .01], mentre per la punizione corporalel’interazione non raggiunge la significatività statistica [F (1. 83) = 3.74, p = .06].

4Le proporzioni di padri e madri con alto/basso PCF in entrambi i gruppi sono risultate statisticamente simili. Per questa ragione e a causa dell’esiguo numero di padri nel gruppo ADHD, abbiamo deciso di considerare i dati di padri e madri come campioniglobali per testare l’ipotesi primaria di credenze differenti in funzione delle caratteristiche di gruppo.

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3. Risultati

3.1 Controllo percepito da parte del genitorePreliminarmente i genitori del gruppo ADHD e di quello non clinico sono

stati classificati come a basso o alto controllo percepito (PCF) sulla base dellaprocedura di scoring di Bugental e Shennum (1984)4. Come si può osservarein tabella 1, nel gruppo non clinico la distribuzione di genitori con alto PCF(31.0% del totale) vs basso PCF (27.6%) è risultata bilanciata, mentre nelgruppo ADHD più genitori hanno ottenuto punteggi di basso PCF (34.5%) ri-spetto a quelli con alto PCF (6.9%), χ2(1) = 8.63, p < .01.

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Le figure 1-4 presentano i risultati 2 (gruppi) x 2 (controllo percepito) relati-vamente alle scale dell’APQ. Nel gruppo ADHD, i genitori con basso PCF(fig. 2) sono risultati più positivi di quelli che riportano alto PCF [t (34) = 1.70,p < .05], mentre la tendenza è opposta per il gruppo non clinico, in cui il pa-renting positivo ha punteggi più alti in associazione ad alto PCF [t(49) = –1.99, p < .05]. I genitori ADHD con basso PCF nella disciplina sono risultatipiù incoerenti (fig. 3) dei genitori con alto PCF [t (34) = 2.00, p < .01], mentrenel gruppo non clinico l’incoerenza disciplinare, espressa da punteggi più ele-vati nella scala APQ, è più comune nei genitori con alto PCF [t (49) = –1.79,p < .05]. Infine, per il gruppo ADHD la frequenza della punizione corporale(fig. 4) è più alta nei soggetti con basso PCF, con livelli decrescenti per coloroche riportano un alto PCF [t (49) = –1.99, p < .05], ma questa tendenza è op-posta per i genitori non clinici, in cui i livelli più bassi sono associati ad altoPCF [t (49) = –1.95, p < .05].

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Tabella 2 – Medie e deviazioni standard (tra parentesi) delle pratiche genitoriali in funzione del gruppo e del controllo percepito.

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Figura 2 – Risultati della scala del parenting positivo (APQ) in funzione delle caratteristiche del gruppo (ADHD vs non clinico) e del PCF.

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Figura 1 – Risultati della scala del coinvolgimento (APQ) in funzione delle caratteristiche del gruppo (ADHD vs non clinico) e del PCF.

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Figura 4 – Risultati della scala della punizione corporale (APQ) in funzione delle caratteristiche del gruppo (ADHD vs non clinico) e del PCF.

Figura 3 – Risultati della scala della disciplina incoerente (APQ) in funzione delle caratteristiche del gruppo (ADHD vs non clinico) e del PCF.

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Sono stati eseguiti altri confronti famiglie ADHD vs non cliniche (tab. 3): il parenting positivo è risultato più elevato per le famiglie ADHD in associazionecon basso PCF [t (55) = 3.07, p < .01], per le famiglie non cliniche con alto PCF[t (28) = – 1.81, p < .05]. Infine, la disciplina incoerente, associata con alto PCFè risultata più frequente per il gruppo non clinico vs ADHD [t (28) = –2.18, p <.05], mentre in associazione con basso PCF l’incoerenza nella disciplina non dif-ferenzia i genitori dei bambini ADHD vs quelli senza problemi.

3.3 Controllo percepito e stress del genitoreLe medie (con le relative deviazioni standard) delle risposte riferite ai livelli

di stress sono sintetizzate nella Tabella 4. Su queste misure è stata condottauna MANOVA 2 (gruppo ADHD vs non clinico) x 2 (basso controllo percepitovs alto) considerando lo stress totale del PSI e i punteggi di scala come variabilidipendenti. Nel gruppo ADHD, i livelli di stress genitoriale sono maggiori inconfronto al gruppo non clinico. Risultano differenze significative per le se-guenti misure: PSI totale, F (1. 83) = 11.98, p = .001; interazione difficile ge-nitore-figlio, F (1. 83) = 10.25, p < .05; bambino difficile, F (1. 83) = 31.28,p < .001. Riguardo al controllo genitoriale percepito, non è risultato alcun ef-fetto principale significativo; anche le interazioni gruppo x controllo percepitonon sono risultate significative, con la sola eccezione di un effetto marginaleper l’ambito dell’interazione difficile genitore-bambino, F (1. 83) = 3.75, datoche è vicino alla significatività statistica (p = .056). I genitori dei bambiniADHD tendevano a riferire stress genitoriale più elevato in associazione conbasso PCF, mentre nel gruppo non clinico i livelli di stress in funzione del PCF(basso vs alto PCF) sono risultati simili.

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Tabella 3 – Confronti post-hoc (t di Student) tra gruppo ADHD vs non clinico.

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4. Discussione

I genitori sviluppano differenti credenze circa il grado di controllo che essi riescono ad avere sui comportamenti dei loro bambini: alcuni percepiscono diavere un alto controllo e nutrono sentimenti positivi e di autoefficacia circa il lororuolo, mentre altri ritengono che le interazioni educative siano maggiormentecontrollate dal bambino. Lo scopo di questo studio era: esplorare le differenzenella percezione di controllo sui comportamenti dei figli in genitori di bambinicon ADHD e senza problemi clinici; determinare se le credenze di controllo in-fluenzano le pratiche del genitore e i loro livelli di stress. In accordo con Bugentale Shennum (1984), è stato supposto che un pattern di attribuzione basato su unbasso senso di controllo percepito (basso PCF, cioè l’adulto attribuisce un mag-giore controllo al bambino anziché a se stesso) sarebbe stato più frequente neigenitori di bambini con ADHD, in conseguenza di una storia relazionale di in-successi che questi genitori sperimentano nel gestire bambini difficili. I nostri ri-sultati, in linea con questa ipotesi, confermano che i genitori di bambini conADHD esprimono in numero maggiore pattern di attribuzione di basso PCF ri-spetto agli adulti con figli senza disturbi di attenzione/iperattività, ampliando i ri-sultati empirici ottenuti con famiglie di bambini non clinici ma “difficili” per lapresenza di moderati problemi esternalizzanti (Benedetto & Ingrassia, 2010).

La seconda ipotesi riguardava l’influenza dello stile di attribuzione sulle pratiche disciplinari, con l’aspettativa che i comportamenti inefficaci/negativi sa-rebbero stati più frequenti in associazione con basso PCF. In precedenza Bugental,

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Tabella 4 – Medie e deviazioni standard (tra parentesi) dello stress del genitore in funzione del gruppo e del controllo percepito.

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Blue e Cruzcosa (1989) hanno dimostrato che le madri con un basso senso dicontrollo percepito nelle situazioni di accudimento rispondono ai comportamentidifficili o di sfida del bambino con un parenting più coercitivo (affettività negativae disciplina più dura). In questa ricerca questo assunto è stato parzialmente con-fermato, poiché sembra che le pratiche genitoriali cambino in funzione del con-trollo percepito (basso/alto PCF) in interazione con le condizioni cliniche deibambini (ADHD vs non clinico). Nella condizione ADHD, i genitori con bassoPCF evidenziano un parenting più positivo (cioè espressioni di affetto, rinforzoecc.), ma dichiarano di usare pattern disciplinari incoerenti e reazioni punitivepiù frequentemente rispetto ai genitori con alto PCF. Un dato ancora più interes-sante è che i genitori ADHD con basso PCF risultano anche più positivi nel pa-renting in confronto con le famiglie non cliniche. In altre parole, avere un figliocon ADHD può indurre uno stile attributivo di controllo inefficace delle intera-zioni associato a un parenting permissivo, incoerente e a una disciplina ostile, masembra che questo schema cognitivo non influenzi negativamente l’affetto versoil bambino. Potrebbe essere, come alcuni studiosi hanno ipotizzato (Johnston &Ohan, 2005), che la diagnosi di ADHD funzioni come moderatore (cioè comeuna condizione attenuante) che consente ai genitori di giustificare il bambino edi compensare con l’affetto le frequenti reazioni negative (ad esempio, sculacciareo picchiare) a lui dirette. Un’opposta tendenza nel parenting emerge dalle famiglienon cliniche, in cui un basso PCF, rispetto all’alto PCF, è associato a una dimi-nuzione dell’uso di pratiche di parenting inefficaci – cioè disciplina incoerente epunizione corporale – ma anche a un decremento dei livelli di parenting positivo.Questa riduzione nel parenting positivo in associazione a credenze di basso con-trollo è simile ai risultati osservati da Benedetto e Ingrassia (2010) con un cam-pione non clinico di genitori di bambini prescolari, confermando così le influenzedi mediazione delle caratteristiche del bambino e della storia internazionale ge-nitore-figlio sui legami tra comportamenti del bambino, attribuzioni del genitoree parenting (Bugental & Johnston, 2000).

Riguardo allo stress genitoriale, i dati ottenuti ne confermano la presenza con alti livelli nei genitori di bambini con ADHD, i quali sperimentano più stress cor-relato al figlio rispetto ai genitori con figli non clinici, così come è ben documen-tato dalla letteratura empirica (Theule et al., 2013). In aggiunta in questo studioera stato presupposto che un basso PCF sarebbe stato associato a più elevati livellidi stress (il genitore si scoraggia e si preoccupa se crede di non riuscire a control-lare i comportamenti difficili del bambino). Tuttavia i risultati non supportanol’influenza dello stile attributivo di basso controllo sull’aumento dei livelli di stresssia nel gruppo ADHD sia in quello non clinico. Questi risultati sono in contrastocon quelli di Harrison e Sofronoff (2002), i quali hanno scoperto che le credenze

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delle madri di avere un controllo sul comportamento del bambino predicono lostress, con livelli più bassi sperimentati da coloro che hanno un controllo mag-giore. Una possibile spiegazione di questa discrepanza nei risultati potrebbe esserelo strumento scelto per misurare le attribuzioni genitoriali. Harrison e Sofronoff(2002) hanno adottato informazioni situazionali, cioè i comportamenti problema-tici dei bambini e i giudizi di controllabilità per i sintomi associati all’ADHD. Inquesto studio è stato utilizzato il PAT, un test che riflette più le caratteristiche delgenitore e la sua storia esperienziale (Bugental & Shennum, 1984) che gli specificicomportamenti del bambino: il PAT, infatti, presenta un ipotetico episodio di ac-cudimento con l’obiettivo di cogliere uno schema preesistente di basso/alto con-trollo sulle interazioni adulto-bambino.

In conclusione questo studio fornisce un contributo alla letteratura esistente sul ruolo delle credenze causali sul parenting, in particolare nell’esperienza conbambini con ADHD, anche se con alcune limitazioni. La prima è la dimensioneridotta del campione clinico, che non permette conclusioni generali circa l’in-fluenza delle percezioni di controllo dei genitori sulle loro reazioni emotive e di-sciplinari; il secondo limite è l’assenza di dati obiettivi circa i sintomi centralidell’ADHD e di altri problemi esternalizzanti associati, come il disturbo dellacondotta (DC) e oppositivo-provocatorio (DOP). Questi dati potrebbero esseremolto interessanti se si considera che gli schemi di attribuzione cambiano tra sot-totipi dell’ADHD (cioè prevalenza dell’inattenzione o dell’iperattività/impulsi-vità; Graziano et al., 2011) e quando sono presenti comportamenti aggressivi ooppositivo-provocatori (Johnston & Ohan, 2005).

Assumendo i limiti di questo studio, vi sono altre importanti considerazioni per valutare nelle future ricerche le attribuzioni genitoriali. Alcuni studi clinicisostengono l’idea che vi siano dei nessi tra le cognizioni genitoriali che riguardanole cause attribuite ai sintomi dell’ADHD del bambino e le scelte di trattamento,in particolare la motivazione e l’adesione a trattamenti psicosociali fondati em-piricamente. Johnston, Seipp, Hommersen, Hoza e Fine (2005), per esempio,hanno trovato che i genitori che vedono i comportamenti dell’ADHD come piùcontrollabili dal bambino anziché da loro stessi con maggiore probabilità intra-prendono trattamenti che non si basano su prove scientifiche (come le diete ol’uso di vitamine). Altri ricercatori si sono interessati ai cambiamenti nelle co-gnizioni genitoriali: Benedetto, Ingrassia, Gagliano, Germanò, Ilardo, Rando etal. (2012) hanno trovato che uno schema di basso controllo (PCF) in genitori dibambini con ADHD si inverte in credenze di alto controllo in seguito a un parenttraining cognitivo-comportamentale. Non è chiaro quanto questo cambiamentocognitivo predica miglioramenti nelle pratiche disciplinari e nel parenting, mi-gliori esiti per il bambino sui sintomi ADHD e il mantenimento dei risultati del

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trattamento (Hoza, Johnston, Pillow, & Ascough, 2006). In futuro sono necessariealtre indagini empiriche per chiarire questo importante quesito circa il ruolo delleattribuzioni genitoriali nel favorire l’adattamento positivo e gli esiti del tratta-mento per i bambini e per le loro famiglie.

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Controllo percepito e stress nei genitori di bambini con ADHD

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Abstract

Questo studio prende in esame l’efficacia di un’attività di parent training in

un gruppo di 22 genitori di bambini con ADHD e 74 genitori di bambini con

sviluppo tipico. Il training ha previsto otto incontri a cadenza settimanale di

due ore ciascuno. I partecipanti hanno completato in sede di pre- e post-test

i questionari “La mia vita da genitore” (Soresi, Nota, & Sgaramella, 2003)

che valuta la qualità della vita, “Quanta fiducia ho in me?” (Soresi & Nota,

2007) che misura le credenze di efficacia e il “Questionario sulle conoscenze

educative” (Soresi, 1998) che valuta le conoscenze educative e di parenting.

L’analisi della varianza a misure ripetute ha evidenziato che il parent training

è stato efficace con entrambi i gruppi di genitori.

Parole chiave: Parent training, Prevenzione, ADHD.

© 2013 Associazione Oasi Maria SS. - IRCCS

1 Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Facoltà di Psicologia, Università di Padova. E-mail: [email protected]

2 U.O.S. Età Evolutiva/Disabilità, ULSS5 Ovest Vicentino Arzignano (VI). E-mail: [email protected] U.O.S. Età Evolutiva/Disabilità, ULSS5 Ovest Vicentino Arzignano (VI). E-mail: [email protected] Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Facoltà di Psicologia, Università di Padova.

E-mail: [email protected] U.O.S. Età Evolutiva/Disabilità, ULSS5 Ovest Vicentino Arzignano (VI). E-mail: [email protected]

Corrispondenza: Lea Ferrari, Università di Padova, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializ-zazione, Via Belzoni 80, 35127 Padova

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Sostenere i genitori di bambini con disabilità con il parent training

Lea Ferrari1, Marco Pagliai2, Anna C. Benincà3, Salvatore Soresi4

& Francesca Concato5

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1. Introduzione

Vi è ormai un consistente accordo nel ritenere lo stile genitoriale un fattore che influenza in modo determinante il comportamento dei figli (Sameroff &Fiese, 2000; Hinshaw, 2002). A questo riguardo le attività di parent trainingsono state spesso considerate tra quelle più utili per promuovere stili e pratichegenitoriali maggiormente in sintonia con i bisogni dei figli, ridurre il rischiodi risultati indesiderati e anche come mezzo per prevenire il maltrattamentoinfantile (Lochman, Whidby, & Fitzgerald, 2000; Centers for Disease Controland Prevention, 2009; Zazula & Bender Haydu, 2012). Quando i genitori adot-tano uno stile di parenting caratterizzato da comprensione e assertività è moltopiù probabile che i bambini conseguano uno sviluppo ottimale (Winter, Mo-rawska, & Sanders, 2011). Promuovere attività che puntino ad incrementarenei genitori capacità educative più vantaggiose, stili relazionali assertivi, e cheriducano i comportamenti coercitivi e punitivi si associa allo sviluppo nei figlidi migliori abilità sociali, di maggiori livelli di autoregolazione e alla minorprobabilità di comportamenti a rischio (Bradley & Crowyn, 2007; Lengua,Honorado, & Bush, 2007; Tobin, Sansosti, & McIntyre, 2007). D’altro cantointerazioni negative tra genitori e figli si associano a problemi comportamentalinei bambini sia con sviluppo tipico che in bambini con disabilità intellettive emalattie croniche (Floyd, Harter, & Costigan, 2004). Proprio perché i com-portamenti disadattivi che i bambini manifestano nei primi anni di vita tendonoa diventare resistenti al cambiamento nel corso della crescita, appare partico-larmente importante agire il prima possibile e promuovere migliori relazionigenitori-figli (Moffitt & Caspi, 2001; Moffitt, Caspi, Harrington, & Milne,2002; Tremblay, 2006). Ciò è sottolineato anche da alcune meta-analisi checonfermano l’efficacia dei programmi di parent training nel modificare le pra-tiche educative e quindi nella prevenzione dei comportamenti antisociali deifigli (Farrington & Welsh, 2003; Piquero, Farrington, Welsh, Tremblay, & Jen-nings, 2009) e dei problemi comportamentali dei bambini piccoli con disabilitàdello sviluppo (Petrenko, 2013). Wyatt-Kaminski, Valle, Filene e Bolyle(2008) hanno stimato un effect size medio di .43, indicatore di un effetto mo-derato delle attività di parent training. Tra le componenti che sono risultate piùsignificative e che non dovrebbero mancare in un’attività di parent trainingsono state annoverate l’insegnare ai genitori a comunicare in maniera più po-sitiva con i propri figli, l’uso di specifiche strategie educative come il time oute la richiesta ai genitori di utilizzare le nuove abilità con i figli.

Le attività di parent training sono risultate anche una tra le modalità più efficaci per promuovere cambiamenti positivi nelle pratiche educative dei genitori

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di bambini con ADHD e per la prevenzione di situazioni di rischio quali abban-dono scolastico, delinquenza, abuso di sostanze e comportamenti aggressivi(Webster-Stratton, Reid, & Beauchaine, 2011). Chronis, Chacko, Fabiano,Wymbs e Pelham (2004) hanno preso in esame 28 studi che si focalizzavano sulleattività di parent training realizzati con i genitori di 1.161 bambini con ADHD ehanno messo in evidenza che i genitori migliorano le loro capacità di valutare iproblemi comportamentali dei figli e identificare le interazioni negative genitore-figlio. Inoltre il rinforzo, la gestione dei comportamenti negativi e la strutturazionedell’ambiente tipicamente insegnati nei parent training di matrice cognitivo com-portamentale, sono risultate le tecniche più utili per i genitori dei figli con ADHD.Come sottolineato da Lee, Niew, Yang, Chen e Lin (2012) partecipare ad attivitàdi parent training di questo tipo influenza positivamente le percezioni dei genitorirelativamente a sé stessi tanto che si sentono meno stressati e più competenti. Insintonia con ciò, un recente lavoro realizzato nel contesto italiano ha fatto regi-strare al termine di un training cognitivo comportamentale accanto ad un minoruso della punizione, anche una diminuzione dei livelli di stress, maggiori credenzedi efficacia e di controllo in un gruppo di genitori di bambini con ADHD (Bene-detto, Ingrassia, Gagliano, Germanò, Ilardo, Rando et al., 2012). Tuttavia pur ri-conoscendo a questi interventi finalità preventive e una certa efficacia non sonomolte le ricerche effettuate con genitori di bambini con ADHD al di sotto deisette anni (Webster-Stratton et al., 2011). Se nel caso del lavoro di Barkely, Shel-ton, Crosswait, Moorehouse, Fletcher, Barrett et al. (2000) non sono stati registraticambiamenti significativi nei genitori al termine dell’intervento, Webster-Strattonet al. (2011) hanno registrato cambiamenti significativi soprattutto nelle madri.Esse avevano ridotto l’utilizzo della punizione a vantaggio di uno stile educativopiù adeguato caratterizzato da un maggior uso di feedback positivi e rinforzi.

Come McIntyre, Blacher e Baker (2006) affermano, il constatare che i problemi di comportamento dei figli e le difficoltà nelle interazioni genitori-figli influen-zano negativamente la vita dei genitori e pregiudicano il futuro dei figli, e chedal partecipare ad interventi di parent training traggono beneficio sia i genitoriche i bambini, l’attuazione di interventi di coinvolgimento parentale si configuracome una necessità improrogabile. A questo riguardo, riferendosi in particolareai genitori, è auspicabile poter constatare se si produce un incremento nella qualitàdella vita dei genitori, nelle loro credenze di efficacia e nei livelli delle loro co-noscenza educative e di parenting (Soresi, 2004; Summers, Poston, Turnball,Marquis, Hoffman, Mannan et al., 2005; Winter et al., 2011).

La qualità della vita come è ormai documentato dall’ampia letteratura (si veda Schalock, 2004, per una revisione) è un costrutto molto complesso e mul-tidimensionale che comprende al suo interno molteplici dimensioni e condizioni:

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Parent Training nell’ADHD

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la percezione dei livelli di benessere, la qualità e il livello di supporto sociale per-cepito, la soddisfazione professionale, l’autodeterminazione, la possibilità di rea-lizzazione, la qualità degli ambienti frequentati (Schalock & Verdugo, 2002; Nota,Soresi, & Perry, 2006). Queste dimensioni consentono di descrivere la qualitàdella vita dei membri di una famiglia e anche il livello di coinvolgimento familiare(Summers et al., 2005). I fattori e i punti di forza che consentono alle famiglie difunzionare in modo adattivo e di mantenere soddisfacenti livelli della qualità divita sono stati sempre più enfatizzati nel corso del tempo tanto che vengono ormaiconsiderate un indicatore chiave della verifica di efficacia degli interventi postiin atto (Patterson, Barlow, Mockford, Klimes, Pyper, & Stewart-Brown, 2002,Soresi, 2004; Jokinen & Brown, 2005). Da questo punto di vista, particolare at-tenzione è riservata ad aspetti quali il senso di coerenza, la coesività, le strategiedi coping e le credenze di efficacia dei genitori. La consapevolezza dei genitoridi possedere strategie di coping efficaci, conoscenze adeguate e la capacità di ri-formulazione, si associa a minori livelli di stress e a interazioni educative miglioricon i loro figli (Rogers, Wiener, Marton, & Tannock, 2009).

Sempre da una prospettiva che enfatizza la necessità di sottolineare i punti di forza dei genitori, le loro potenzialità e risorse, particolare attenzione è riservataoggi all’analisi e al miglioramento delle credenze di efficacia. Come noto, dopola diffusione all’interno della psicologia della teoria di Bandura (1997), il costruttodelle credenze di efficacia è stato ampiamente analizzato nei contesti più diversi(educativo, della salute, della psicopatologia, delle organizzazioni, ecc.). A questoriguardo Coleman e Karraker (2003) hanno sostenuto che i genitori che credononelle loro capacità di poter affrontare con successo i loro compiti genitoriali, uti-lizzano strategie di coping maggiormente efficaci, percepiscono minori livelli distress e manifestano minori sintomi depressivi quando si trovano a gestire situa-zioni difficili. L’importanza delle credenze di efficacia nell’influenzare i compor-tamenti attivati è stata evidenziata anche da Jones e Prinz (2005): le credenze deigenitori si associano all’uso di strategie educative positive e a maggiori livelli dipersistenza e di coping nelle situazioni sfidanti.

Accanto a tutto questo, un aspetto poco esaminato nelle ricerche sul parent training riguarda le conoscenze educative e di parenting (Winter et al., 2011). Lamaggior parte delle ricerche si è concentrata sulla conoscenza dello sviluppo delbambino e ha sottolineato che esse si associano ad una migliore relazione geni-tori-figli e a un clima familiare più positivo (Browne & Talmi, 2005). Relativa-mente alle conoscenze educative e di parenting, Winter et al. (2011) hanno messoin evidenza che i genitori incrementavano i loro livelli di conoscenza sulla stra-tegie educative al termine di un intervento di parent training e questo era ac-compagnato da una minor percezione di comportamenti inadeguati da parte dei

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Parent Training nell’ADHD

genitori ed a comportamenti disadattivi nei figli meno frequenti. Per quanto riguarda il contesto italiano Soresi (1993) ha messo a punto un

parent training che in un’ottica educativa e preventiva è stato inizialmente utiliz-zato con successo con genitori di bambini con disabilità e che nel corso del tempoè stato sperimentato anche con genitori di bambini con sviluppo tipico (Soresi,1998; Nota, 2004; Nota, Ferrari, & Soresi, 2007). Questo programma in sintoniacon quanto messo in evidenza anche recentemente da Chronis et al. (2004) e daWyatt-Kaminski et al. (2008) punta a ridurre l’uso della punizione, incrementarel’uso dei feedback e dei rinforzi positivi e ad incrementare i comportamenti as-sertivi tramite l’utilizzo massiccio di tecniche di insegnamento come il feedback,il rinforzo, il modeling, il role play (Soresi & Nota, 2004). Inoltre viene promossonei genitori uno stile comunicativo improntato alla coerenza e alla comprensioneanche con l’utilizzo di strategie come la negoziazione e il compromesso.

2. Scopo ed ipotesi

Scopo del presente lavoro è verificare l’efficacia del parent training messo a punto da Soresi (1993) per genitori di bambini con disabilità che fino ad ora nonera ancora stato utilizzato con genitori di bambini con ADHD. In generale quindiquesto lavoro si configura come un contributo alla verifica della sua efficacia.Più in specifico, l’obiettivo della ricerca è valutare: 1) se al pre-test il gruppo digenitori con sviluppo tipico si differenzi dai genitori con bambini con ADHD; 2)se i partecipanti all’intervento facciano registrare un incremento nelle variabiliindagate; 3) se il programma realizzato abbia effetti diversi sulle due tipologie digenitori coinvolti. Ci si attende che i partecipanti mostrino al termine dell’inter-vento maggiori livelli di qualità della vita in particolare per quanto riguarda ledimensioni relazionali genitori-figli, maggiori credenze di efficacia e maggioriconoscenze sulle tecniche educative e di parenting. Ci si attende inoltre che l’in-cremento si registri sia nel gruppo di genitori di bambini con sviluppo tipico chein quello di genitori di bambini con ADHD.

3. Metodologia

3.1 Campione

Sono stati coinvolti nello studio 96 genitori di bambini di età compresa tra i 4 e gli 7 anni di cui 38 (39.6%) padri e 58 (60.4%) madri (Metà = 38.58, DS =5.2). I genitori di bambini con sviluppo tipico erano 74 (77.1%), 28 (37.7%) padri

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Ferrari L. et al.

e 46 (62.2%) madri (Metà = 37.86, DS = 4.62). I genitori di bambini con ADHDerano 22 (22.9%), 10 (45.5%) padri e 12 (54.5%) madri (Metà = 41.15, DS =6.35). Per quanto riguarda il livello educativo, 12 (12.5%) genitori erano lau-reati, 48 (50.0%) diplomati e 35 (36.5%) possedevano la licenza media;1(1.0%) genitore non ha riportato il livello educativo. Ventiquattro (25.0%)genitori avevano un solo bambino, 62 (64.6%) due figli, 7 (7.3%) tre figli, 2(2.1%) quattro figli, 1 (1.0%) cinque figli.

I bambini con ADHD erano stati certificati dal servizio dell’età evolutiva dell’ULSS, attenendosi ai criteri diagnostici del Diagnostic and Statistical Ma-

nual, 4th

Edition (DSM-IV), (A.P.A., 2000).

3.2 Strumenti

“La mia vita da genitore” (Soresi et al., 2003; Soresi & Nota, 2007) si propone di valutare i livelli di qualità della vita percepita dai genitori in diversi ambiti. Sicompone di 29 item che richiedono di essere valutati lungo una scala Likert cheva da 1 “non descrive per nulla” a 5 “descrive perfettamente”. Lo studio di vali-dazione ha coinvolto 1994 genitori. Le analisi fattoriali esplorative, con successiverotazioni oblique, hanno condotto ad una soluzione definitiva strutturata in 7 fat-tori in grado di spiegare il 62.46% della varianza totale. Le analisi fattoriali con-firmative hanno permesso di considerare come migliore la soluzione a sette fattoricorrelati (GFI: .93, AGFI: .91, CFI: .93, RMSEA: .04) e le successive analisi se-condo il modello logistico di Rasch (1960/1980) hanno permesso anche di con-statare che ogni item era in grado di rappresentare adeguatamente la dimensionea cui apparteneva (Andrich, 1988). Questo strumento permette di indagare la sod-

disfazione per il rapporto con i familiari (3 item, es.: “Sono soddisfatto/a dellarelazione che ho con il mio coniuge”; alpha: .78); il benessere percepito (3 item,es.: “Penso che a me le cose vadano meglio che alla maggior parte delle personeche conosco”; alpha: .77); la soddisfazione per l’attività professionale svolta (5item, es.: “Sono soddisfatto/a delle attività lavorative che svolgo”; alpha: .86); lasoddisfazione per il rapporto educativo instaurato con i figli (6 item, es.: “Sonosoddisfatto/a di come riesco ad educare i miei figli”; alpha: .87); la soddisfazione

per il proprio tempo libero (3 item, es.: “Sono soddisfatto/a di come trascorro ilmio tempo libero”; alpha: .83); la soddisfazione per la presenza di supporto e so-

stegno percepiti (4 item, es.: “In caso di necessità, a casa mia, c’è sicuramentequalcuno che mi può aiutare”; alpha: .78); la soddisfazione per la possibilità di

autodeterminazione (5 item, es.: “Le decisioni più importanti per la mia vita di-pendono soprattutto da me”; alpha: .70).

“Quanta fiducia ho in me? Versione per genitori” (Soresi & Nota, 2007) si riferisce alle credenze che i genitori nutrono nei confronti delle proprie capacità

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Parent Training nell’ADHD

di attuare comportamenti validi da un punto di vista educativo. Si compone di 18item che richiedono di essere valutati lungo una scala Likert che va da 1 “non de-scrive per nulla” a 5 “descrive perfettamente”. Lo studio di validazione ha coin-volto 810 genitori. Le analisi fattoriali esplorative, con successive rotazionioblique, hanno condotto ad una soluzione definitiva strutturata in 3 fattori in gradodi spiegare il 56.31% della varianza totale. Le analisi fattoriali confermative hannopermesso di considerare come migliore la soluzione a tre fattori correlati (GFI:.91, AGFI: .88, CFI: .92, RMSR: .06) e le successive analisi secondo il modellologistico di Rasch (1960/1980) hanno permesso anche di constatare che ogni itemera in grado di rappresentare adeguatamente la dimensione a cui apparteneva (An-drich, 1988). Questo strumento permette di indagare le credenze di efficacia nei

confronti della proprie capacità di insegnare ai figli (capacità educative) (9 item,es.: “Sono un genitore che è capace di insegnare ai propri figli come ci si devecomportare”; alpha: .89); le credenze di efficacia nei confronti della capacità di

mantenere la calma e di interagire positivamente con i familiari (4 item, es.:“Sono solito/a evitare di litigare con il mio coniuge davanti ai figli”; alpha: .66);e le credenze di efficacia nei confronti della capacità di fornire sostegno alle ca-

pacità decisionali dei loro figli (5 item, es.: “Penso di conoscere bene le effettivecapacità dei miei figli”; alpha: .85).

Il “Questionario sulle conoscenze educative” (Soresi, 1998) è un questionarioa scelta multipla utilizzato per valutare le conoscenze dei genitori a proposito deiprincipi e delle tecniche educative e di parenting. Si compone di 30 item (es: “Lasera, mandare a letto Carlo è sempre un problema. Cosa sarebbe opportuno chesua madre iniziasse a fare? (1) Ogni sera annotarsi a che ora Carlo entra nella suacameretta; (2) spegnere il televisore prima di iniziare a cenare; (3) non ammetterediscussioni a proposito dell’andare a letto; (4) chiedere a Carlo di decidere lui ache ora andare a letto e poi obbligarlo a rispettare questo orario) e il rispondentedeve indicare la risposta corretta tra quattro alternative.

3.3 Procedura

L’attività di parent training, a cui i genitori hanno liberamente aderito, rientra tra le usuali attività che il servizio dell’età evolutiva che l’ULSS5 Ovest Vicentinopropone in un’ottica di prevenzione nei confronti del disadattamento e della qua-lità della vita delle famiglie. Questo gruppo di genitori quindi costituisce un cam-pione “di convenienza”. L’attività di parent training viene pubblicizzata oltre cheall’interno dei servizi sanitari anche nelle scuole materne ed elementari del terri-torio con cui il servizio collabora. Sono stati 6 i parent training realizzati dall’equipedi psicologia del servizio e ogni intervento è stato curato da uno psicologo cheaveva partecipato ad una specifica attività formativa in materia di parent training

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Ferrari L. et al.

realizzata dal Centro di Ateneo di Servizi e Ricerca per la Disabilità, il Tratta-mento e la Riabilitazione dell’Università di Padova. Mediamente in ogni parenttraining erano presenti 15 genitori, casualmente assegnati ad uno dei cinquegruppi di lavoro. Il gruppo dei 22 genitori di bambini con ADHD ha costituitoun gruppo unico di lavoro.

I partecipanti hanno quindi beneficiato di otto incontri di due ore ciascuno, realizzati a cadenza settimanale. Nella prima unità didattica intitolata “Come si

apprendono i comportamenti” i genitori imparano la definizione di comporta-mento, la definizione di apprendimento e le leggi che lo regolano e si esercitanoa distinguere un comportamento da altre descrizioni come i giudizio o le opinionialtrui. Nella seconda unità didattica intitolata “Quando i comportamenti dei bam-

bini sono un problema” i genitori imparano che cos’è un comportamento inade-guato, come si mantiene e come si differenziano i comportamenti inadeguati daquelli adeguati. Nella terza unità didattica intitolata “La punizione funziona dav-

vero?” i genitori apprendono la definizione di punizione, quali sono le regole chesi dovrebbero seguire per far si che la punizione produca gli effetti desiderati e igli svantaggi di questo modo di procedere. Nella quarta unità didattica intitolata“Come osservare il comportamento infantile” i genitori apprendono a svolgerel’analisi funzionale di un comportamento problematico ovvero ad individuare an-tecedenti e conseguenti e ad utilizzare un linguaggio operazionale. Nella quintaunità didattica intitolata “Alternative alla punizione: prevenire i comportamenti

inadeguati” i genitori apprendono modalità di modificazione del comportamentoalternative alla punizione. In particolare imparano ad agire sugli antecedenti tra-mite modalità come la riduzione degli stimoli discriminanti, il modellamento ela riduzione nell’esposizione a comportamenti inadeguati. Nella sesta unità di-dattica intitolata “Alternative alla punizione: incrementare i comportamenti ade-

guati” i genitori apprendono che è possibile agire sulle conseguenze di uncomportamento per aumentare i comportamenti adeguati senza ricorrere alla pu-nizione adottando l’uso del rinforzo e l’estinzione dei comportamenti inadeguati.Nella settima unità didattica intitolata “Alternative alla punizione: ridurre i com-

portamenti inadeguati”, i genitori apprendono un ulteriore modalità di modifica-zione del comportamento alternativa alla punizione, ovvero ad agire sulleconseguenze per ridurre i comportamenti indesiderati tramite il rinforzamentodifferenziale e il time out. Nell’ultimo incontro intitolato “Il genitore come pro-

blem-solver” viene enfatizzata la capacità dei genitori di risolvere problemi edu-cativi promuovendo comportamenti adeguati nei figli tramite le abilità appresenel corso dei diversi incontri.

Nel realizzare il programma si è fatto riferimento ai seguenti principi: l’attiva partecipazione dei genitori chiedendo frequentemente loro di descrivere le loro

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Parent Training nell’ADHD

esperienze, le strategie utilizzate, le difficoltà riscontrate nell’applicare le strategiedescritte nel corso degli incontri nell’ambiente familiare; l’accentuato realismo,attraverso esempi rappresentativi della realtà e l’analisi di ciò che i genitori stessiavevano suggerito e descritto; l’attenta progettazione, attraverso la descrizioneoperazionale e la pubblicizzazione di volta in volta, dell’obiettivo da raggiungeread ogni incontro (Nota et al., 2007).

3.4 Analisi dei dati

Per verificare le ipotesi è stata condotta una Manova a misure ripetute (2x2) in cui la variabile Tempo è costituita dalle misurazioni al Tempo 1 (pre-test) e alTempo 2 (post-test), la variabile indipendente è costituita dalla variabile Gruppo(genitori di bambini con ADHD vs genitori di bambini con sviluppo tipico). Perpoter verificare se al pre-test il gruppo di genitori con sviluppo tipico si differen-ziasse dai genitori con bambini con ADHD sono stati esaminati i confronti a cop-pie al pre-test. Per poter verificare se i partecipanti all’intervento registrassero unincremento nelle variabili indagate sono stati presi in esame il cambiamento nelcorso del tempo e la presenza o meno dell’effetto di interazione Gruppo x Tempo.In particolare è stata considerata la significatività del λ di Wilks, e di seguito quelladegli effetti univariati. Per poter verificare se al post-test il gruppo di genitori consviluppo tipico si differenziasse dai genitori con bambini con ADHD sono statiesaminati i confronti a coppie al post-test. Nell’esaminare la significatività è stataapplicata la correzione di Bonferroni risultata pari a .005 (.050/11). L’effect sizeè stato calcolato per i due gruppi di genitori utilizzando come indice il d di Cohen.

4. Risultati

4.1 Confronti al pre-test

L’analisi dei confronti a coppie al pre-test ha messo in evidenza l’assenza di differenze significative in tutte le variabili considerate. Ciò permette di so-stenere che prima dell’intervento i genitori di bambini con sviluppo tipico e igenitori di bambini con ADHD manifestano livelli simili di qualità della vita,di credenze di efficacia e di conoscenze educative.

4.2 Confronti tra pre-test e post-test

Per quanto riguarda il cambiamento nel corso del tempo è emerso un effettosignificativo tra pre- e post-test (λ di Wilks = .13, F(11, 84) = 50.87, p = .001) Inparticolare l’analisi degli effetti univariati evidenzia che al post-test i parteci-panti fanno registrare maggiori livelli di soddisfazione per le relazioni familiari

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Ferrari L. et al.

(F(1, 94) = 9.14, p = .003), benessere percepito (F(1, 94) = 9.28, p = .003), soddisfa-

zione lavorativa (F(1, 94) = 19.24, p = .001), soddisfazione per il rapporto con i

propri figli (F(1, 94) = 29.55, p = .001), soddisfazione per il proprio tempo libero

(F(1, 94) = 16.59, p = .001), soddisfazione per le possibilità di autodeterminazione

(F(1, 94) = 25.64, p = .001), credenze di efficacia nei confronti della proprie capacità

di insegnare ai figli (F(1, 94) = 14.74, p = .001), credenze di efficacia nei confronti

della capacità di mantenere la calma e di interagire positivamente con i familiari

(F(1, 94) = 14.51, p = .001), credenze di efficacia nei confronti della capacità di

fornire sostegno alle capacità decisionali dei loro figli (F(1, 94) = 9.79, p = .002),conoscenze educative e di parenting (F(1, 94) = 462.57, p = .001).

Non sono emersi effetti di interazione. Nella tabella 1 sono riportate le medieal pre-test e al post-test registrate per il gruppo di genitori con bambini consviluppo tipico e genitori con bambini con ADHD.

4.3 Confronti al post-test

L’analisi dei confronti a coppie al post-test ha messo in evidenza l’assenza di differenze significative in tutte le variabili considerate. Ciò permette di sostenereche al termine dell’intervento i genitori di bambini con sviluppo tipico e i genitoricon bambini con ADHD manifestano livelli simili di qualità della vita, di credenzedi efficacia e di conoscenze educative.

Tabella 1 - Qualità della vita, credenze di efficacia e conoscenze educative al pre-

e al post-test in genitori di bambini con ADHD e con sviluppo tipico.

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Parent Training nell’ADHD

5. Discussione

Questo studio è stato condotto con l’obiettivo di verificare l’efficacia di unprogramma di parent training per l’incremento delle conoscenze educative edelle abilità genitoriali, già utilizzato in precedenza nel contesto italiano. Sonostati coinvolti un gruppo di genitori di bambini con sviluppo tipico e per laprima volta un gruppo di genitori di bambini con ADHD. Per verificarne l’ef-ficacia è stata effettuata un’analisi della varianza a misura ripetute volta a va-lutare il cambiamento tra pre-test e post-test in una serie di misure diautovalutazione. I maggiori livelli di qualità della vita, i più elevati livelli diefficacia e l’incremento nella conoscenza delle tecniche educative registrati altermine dell’intervento permettono di sostenere che questo intervento è effi-cace e si configura come un intervento educativo che incrementa le percezionidei genitori in ambiti diversi. Per altro gli effect size registrati nella maggio-ranza dei casi sono soddisfacenti e superiori al .35 registrato nella meta-analisidi Piquero et al. (2009) e al .43 registrato da Wyatt-Kaminski et al. (2008).

La qualità della vita è di per sé una variabile usata solo recentemente nella valutazione di efficacia delle attività educative. In questo caso si sono ottenuticambiamenti significativi al termine del programma. Questi risultati suggeri-scono come sostenuto da Schalock (2004) che questo costrutto dovrebbe esseremaggiormente preso in considerazione da coloro che sono interessati a valutarel’impatto che le loro attività educative fanno registrare. Nello specifico il pro-gramma è risultato in grado di incidere positivamente sulla soddisfazione delrapporto genitori figli. Questa dimensione della qualità della vita è quella chesi auspicava migliorasse in quanto maggiormente in sintonia con le finalità del-l’intervento. Il programma ha anche evidenziato un incremento nelle credenzedi efficacia circa le proprie abilità genitoriali. Ciò suggerisce che i genitorihanno modificato le loro percezioni e beneficiato di un incremento della per-cezione del senso di agency (Bandura, 1997) nei confronti di azioni educativeche puntano a migliorare le relazioni con i figli molto probabilmente attraversouna gestione più adeguata dei comportamenti disadattivi. Similmente ai risultaticonseguiti da Winter et al. (2011) anche quest’attività ha portato ad un incre-mento nelle conoscenze educative e di parenting in entrambi i gruppi di genitori.Questo risultato stimola riflessioni sulla ricerca futura, in particolare potrebbeessere interessante valutare se queste conoscenze si mantengono nel tempo ese manifestano un valore predittivo nei confronti dei comportamenti dei figli esulla relazione genitori-figli. Inoltre, come anche sostenuto da Benedetto et al.

(2012), molto probabilmente l’acquisizione di conoscenze educative e il poter spe-rimentare tecniche di gestione dei comportamenti inadeguati

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Ferrari L. et al.

e di promozione dei comportamenti adeguati influenza positivamente le cre-denze di efficacia dei genitori permettendo loro di modificare la loro visionedi sé come genitori e di porre in essere comportamenti maggiormente adeguatiai bisogni dei figli.

Il confronto effettuato tra genitori di figli con sviluppo tipico e genitori di bambini con ADHD conferma che tra i due gruppi di genitori non sussistono, al-meno per le variabili indagate, particolari differenze. Il programma è risultato ef-ficace per entrambi i gruppi di genitori in modo simile e sembra sottolineare chepuò essere positivamente utilizzato per migliorare le percezioni genitoriali e ac-crescere le loro conoscenze a prescindere dalle difficoltà dei figli. Questo pro-gramma è uno dei pochi che è stato impiegato con genitori di bambini piccoli conADHD e i risultati ne enfatizzano la potenzialità preventiva almeno nei confrontidei beneficiari. Alcune ricerche hanno infatti messo in evidenza che i genitori dibambini con ADHD tendono a manifestare minori livelli di qualità della vita eminori credenze di efficacia rispetto ad altri genitori soprattutto dopo che i bam-bini hanno raggiunto l’età scolare (Maniadaki, Sonuga-Barke, Kakouros, & Ka-raba, 2005). Poter predisporre di un intervento che sostiene nei genitori percezionipositive appare importante anche nei confronti dei figli e della possibilità di faci-litare migliori relazioni in futuro. La sua efficacia potrebbe essere ulteriormentetestata con altri gruppi di genitori di bambini con ADHD includendo nella speri-mentazione anche delle misure per la valutazione dei comportamenti dei bambinie delle relazioni genitori-figli (Webster-Stratton et al., 2011).

È da sottolineare che i risultati vanno interpretati con cautela in quanto non è stato previsto un gruppo di controllo e non è stato effettuato alcun follow-up. Difatto si dovrebbero prendere in considerazione studi di tipo longitudinale che per-mettano di valutare l’impatto del programma sia sui genitori che sui figli anchein termini di costi-benefici. Come la letteratura suggerisce alle attività di parenttraining, soprattutto se realizzate precocemente, vengono riconosciute finalità pre-ventive (Farrington & Welsh, 2007) e una consistente vantaggiosità in termini dicosti-benefici (Sanders, 2012). Prevedere quest’ultimo tipo di analisi potrebberappresentare un ulteriore punto a favore di attività di tipo educativo come quelleche è stata realizzata incentivandone la diffusione presso i servizi dedicati al be-nessere delle famiglie e al futuro dei figli. La variabilità che caratterizza il mondodei genitori e l’importanza attribuita alle dimensioni sopracitate dovrebbe stimo-lare i servizi a prestare maggior attenzione ai punti di forza e di debolezza dellefamiglie e a predisporre le condizioni necessarie affinchè possano essere mante-nuti e incrementati il loro livello di empowerment e le loro caratteristiche positive.A questo riguardo va ricordato come riporta Sanders (2010) che i servizi dovreb-bero adottare una prospettiva che non si rivolga esclusivamente a gruppi di genitori

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Parent Training nell’ADHD

che sono già conosciuti dai servizi. In quest’ottica può essere importante conti-nuare a lavorare come è accaduto in questo caso con le scuole per cercare di rag-giungere anche quei genitori che normalmente non si rivolgerebbero ai servizima che potrebbero beneficiare di azioni di parent training (Nota et al., 2007).

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Abstract

Il parenting influisce sul corso e sul risultato dello sviluppo ed è influenzato

dalle caratteristiche individuali dei genitori, dalle fonti di stress e di supporto

e dalle caratteristiche individuali del bambino. La presente ricerca ha l’obiet-

tivo di indagare le associazioni tra parenting, accordo di coppia, funziona-

mento familiare e temperamento del bambino, in un gruppo di 141 genitori

(72 madri e 69 padri) di bambini frequentanti il primo anno della scuola del-

l’infanzia. La raccolta dati si è svolta in due tempi: T1 = ottobre; T2 = marzo.

Gli strumenti utilizzati in entrambe le rilevazioni sono stati: il QUIT, il PSI-

SF, l’APQ, l’ADAS e il FAD.

I risultati hanno evidenziato che per entrambi i genitori un buon accordo di

coppia è associato a un maggior orientamento sociale nei figli, mentre

quando c’è poco accordo di coppia il bambino è più inibito di fronte alle no-

vità per le madri. Questi dati confermano la letteratura secondo cui, quando

c’è poca soddisfazione nel matrimonio e poco accordo tra i coniugi, il bam-

bino viene valutato come più problematico, anche se non è ancora stata chia-

rita la direzione di questa correlazione. Si possono evidenziare alcune

implicazioni in riferimento ai risultati, per coloro che lavorano e si occupano

dello sviluppo infantile.

Parole chiave: Parenting, Temperamento, Infanzia.

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità / XVI, 1 (2013), 79-97

Relazione tra parenting e temperamento del bambino:uno studio longitudinale durante il primo anno

della scuola d’infanzia

Sabrina Bonichini1, Valentina Basaldella2 & Ughetta Moscardino3

© 2013 Associazione Oasi Maria SS. - IRCCS

1 Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova.E-mail: [email protected]

2 Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova.E-mail: [email protected]

3 Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova.E-mail: [email protected]

Corrispondenza: Sabrina Bonichini, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione,Università di Padova, via Venezia 8 - 35131 Padova. E-mail: [email protected]; tel. 0498276523; fax0498276511

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1. Introduzione

Le prime esperienze d’adattamento al mondo esterno che il bambino compiesi svolgono nell’ambito dei rapporti con la famiglia e con la scuola e tutto quelloche apprende del mondo sarà frutto dell’interazione con le persone che lo circon-dano, che ne influenzeranno gli atteggiamenti e le abitudini future, proprie dellacultura di appartenenza.

Una larga parte degli studi cross-culturali sulla famiglia, ha analizzato le dif-ferenti pratiche di allevamento e di socializzazione che i genitori di diversi paesimettono in atto nei confronti dei loro figli durante l’infanzia, fase in cui l’impegnoe l’investimento da parte delle figure genitoriali risultano indispensabili per garan-tire la sopravvivenza di un bambino. È in questa cornice che il parenting assumeun’importanza notevole, in quanto influisce sul corso e sul risultato dello sviluppoinfantile (Bornstein, 2003; Cena & Imbasciati, 2010). Parenting è il termine soli-tamente utilizzato nella letteratura psicologica per indicare la capacità di un genitoredi soddisfare i bisogni fondamentali del proprio figlio, da un punto di vista sia fisico,sia psicologico, dalla nascita fino al raggiungimento dell’età adulta. Con il termineparenting non si intende solamente la competenza del genitore, ma anche il modocon cui quest’ultima viene espressa, ossia lo “stile genitoriale”. Il parenting è in-fluenzato da tre elementi principali (Sherifali & Ciliska, 2006): le caratteristicheindividuali dei genitori, le fonti di stress e di supporto nel contesto di vita e le ca-ratteristiche individuali del bambino, come per esempio il temperamento (Clark,Kochanska, & Ready, 2000; Putnam, Sanson, & Rothbart, 2002; Rubin, Burgess,& Hastings, 2002; Kiff, Lengua & Zalewski, 2011). Le ricerche che si sono occu-pate dello studio dell’influenza dei rapporti fra genitori sullo sviluppo del bambinoriferiscono che i figli di genitori con un alto grado di conflittualità mostrano legamidi attaccamento più insicuri con i genitori rispetto ai bambini che crescono in fa-miglie caratterizzate da un maggior accordo (Goldberg & Easterbrooks, 1984) equesto è probabilmente dovuto al fatto che i coniugi più sereni hanno maggiorienergie da dedicare ai figli e sono più disponibili e responsivi. Come sostiene Kitz-mann (2000), le madri insoddisfatte dalla loro coniugalità, tendono a svolgere piùadeguatamente il loro ruolo genitoriale quando sono sole con il figlio, piuttosto chequando sono in presenza del marito. Invece, i padri “stressati” da una relazione co-niugale insoddisfacente tendono ad essere meno coinvolti nella relazione con il fi-glio (McHale, Kazali, & Rottman, 2004). A sostegno di ciò una ricerca (NICHD,2000) basata sulle interviste ai padri di bambini di 6, 15, 24 e 36 mesi, ha dimostratoche una maggiore intimità di coppia è correlata a un atteggiamento più sensibiledei padri durante il gioco. In un lavoro di Mulvaney, Mebert e Flint (2007) è statoriscontrato che la soddisfazione coniugale è una variabile che agisce sulla valuta-

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zione del figlio. Infatti, quando c’è poca soddisfazione nel matrimonio e poco ac-cordo tra i coniugi per quanto riguarda l’allevamento del figlio, il bambino vienevalutato come più problematico (O’Leary & Vidar, 2005; Hart & Kelly, 2006;Manor & Tyano, 2006). Un lavoro di Schoppe-Sullivan, Mangelsdorf, Brown eSokolowski (2006) ha dimostrato che l’accordo di coppia influenza il comporta-mento dei genitori, in particolare se hanno un figlio con temperamento difficile.Le coppie con elevato accordo sono più coese quando il bambino è sfidante o ina-dattabile, mentre le coppie con poca coesione manifestano molta più difficoltà edisaccordo se hanno un bambino con temperamento difficile. La migliore qualitàdel rapporto di coppia è risultata predittiva dei comportamenti genitoriali più posi-tivi anche di fronte a bambini con caratteristiche temperamentali difficili e, in ge-nerale, favorisce una percezione più positiva del temperamento del bambino.

Una ricerca di Stright, Kelly e Gallagher (2006) condotta per capire la possibilerelazione tra parenting e temperamento, ha dimostrato che bambini con tempera-mento difficile sono più sensibili agli effetti del parenting rispetto agli altri. Nellospecifico, il genitore con parenting positivo riesce a modellare i comportamenti so-ciali del figlio con temperamento difficile, fino a renderlo meno inibito e più adattoall’interazione con i pari. Inoltre, si è potuto osservare che si adattano meglio aicambiamenti i bambini che hanno genitori con un buon equilibrio tra le caratteri-stiche determinanti del parenting, rispetto a genitori con parenting non “ottimale”.In uno studio condotto da Rubin, Burgess e Hastings (2002) sulla relazione madre-bambino in 108 bambini di età compresa tra 1 anno e 4 anni, si è potuto osservareche le madri che mostravano difficoltà a interagire con il loro figlio e che valutavanoil temperamento del bambino come difficile, tendevano ad avere un parenting piùbasato sul controllo costante, che inibiva i comportamenti sociali durante l’intera-zione nelle attività ludiche con i pari. Questi risultati sono confermati anche daMiner e Clarke-Stewart (2008) in uno studi longitudinale su bambini dai 2 ai 9anni.

Sulla base della letteratura esaminata, il presente studio intende valutare le pos-sibili relazioni tra parenting, accordo di coppia, funzionamento familiare e tempe-ramento del bambino.

2. Domande e ipotesi di ricerca

Il punto di riferimento della presente ricerca è rappresentato dal National In-

stitute of Child Health and Human Development Study of Early Child Care and

Youth Development (NICHD SECCYD), uno studio longitudinale iniziato negliStati Uniti nel 1989 e conclusosi nel 2008, con l’obiettivo di rispondere a molte

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domande sulla relazione tra le esperienze di cura del bambino e i risultati dello svi-luppo.

In particolare si intende verificare se anche nel contesto italiano, come in quelloamericano, esistano delle associazioni tra le variabili familiari, parenting, accordodi coppia, funzionamento familiare e temperamento del bambino, durante il primoanno della scuola dell’infanzia, un momento di passaggio importante sia per l’equi-librio famigliare, sia per lo sviluppo del bambino.

I quesiti e le ipotesi del presente studio sono i seguenti: 1. Le caratteristiche temperamentali del bambino sono stabili nell’intervallo

temporale considerato? La letteratura sull’argomento attribuisce al temperamento una certa stabilità

nel tempo: alcuni studi mettono in evidenza che se il genitore valuta positivamenteil temperamento del figlio, lo valuta con la stessa polarità anche a distanza di 4mesi (Pauli-Pott, Mertesacker, Bade, Haverkock, & Beckmann, 2003). Sulla basedella letteratura, ipotizziamo quindi di replicare i risultati in termini di stabilità deltemperamento del bambino di 3/4 anni (frequentante il primo anno della scuolad’infanzia), a distanza di 5 mesi fra la prima e la seconda valutazione.

2. Vi è un accordo tra madri e padri nella valutazione del temperamento delbambino?

La letteratura internazionale non presenta risultati univoci a tal proposito, mabasandoci su precedenti ricerche italiane (Attili, 1993; Axia, 2002), ipotizziamo ditrovare anche nel nostro gruppo di genitori un significativo livello di accordo.

3. Quali caratteristiche temperamentali del figlio sono associate al concetto di“bambino difficile” nelle valutazioni delle figure genitoriali?

Per quanto riguarda il concetto di “temperamento difficile” introdotto da Tho-mas e Chess (1977) per indicare i bambini irregolari nelle funzioni biologiche, condifficoltà ad adattarsi alle novità e con umore ed emozionalità negativi, nel presentestudio ci aspettiamo che il bambino difficile faccia osservare difficoltà ad adattarsie a rapportarsi nelle interazioni con gli altri, in accordo con quanto rilevato da Supere colleghi (Super, Axia, Harkness, Welles-Nystrom, Zylicz, Parmar et al., 2008).Inoltre ci si aspetta che le caratteristiche attribuite al concetto di bambino difficilecomprendano livelli elevati di attività motoria, emozionalità negativa e inibizionealla novità, come rilevato da Axia (2002).

4. Esistono delle associazioni tra parenting, accordo di coppia, funzionamentofamiliare e temperamento del bambino?

Come abbiamo discusso nell’introduzione, numerosi sono gli studi presenti inletteratura che sottolineano l’esistenza di alcune relazioni tra parenting positivo,accordo di coppia, funzionamento familiare e le caratteristiche temperamentali delbambino. Sulla base di questi dati, nella presente ricerca ci si aspetta che genitori

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con parenting positivo valutino il temperamento del figlio come più positivo rispettoai genitori con parenting poco positivo, che genitori con un buon accordo di coppiaconsiderino il figlio meno difficile rispetto ai genitori con poco accordo e, infine,che un buon funzionamento familiare sia associato ad un bambino poco difficile.

3. Metodologia

3.1 Partecipanti

La ricerca è stata realizzata attraverso un disegno longitudinale e ha coinvoltoun gruppo di genitori di bambini di età compresa tra i 34 e i 50 mesi, frequentantiil primo anno di tre scuole dell’infanzia.

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Relazioni tra parenting e temperamento del bambino

Tabella 1 - Caratteristiche dei partecipanti

Media Deviazione Standard

Range

Bambini (N = 72)

Età (mesi) 39.28 3.25 34-45

Femmine (%) 33

Primogeniti (%) 34

Madri (N = 72)

Età (anni) 35.68 4.68 24-45

Sposate (%) 62

Livello di istruzione (anni)

11.9 3.15 8-18

Ore lavorative settimanali

30.56 13.65 0-70

Padri (N = 72)

Età (anni) 38.75 5.16 28-59

Livello di istruzione (anni)

12.21 2.89 8-20

Ore lavorative settimanali

44.31 9.39 0-70

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Alla prima fase della ricerca (ottobre) hanno partecipato 141 genitori: 72 madrie 69 padri; mentre nella seconda fase (marzo) hanno partecipato 138 genitori: 71madri e 67 padri. Le loro caratteristiche socio-demografiche sono sopra riportatenella Tabella 1.

3.2 Procedura

I partecipanti sono stati reclutati contattando alcune scuole dell’infanzia delleprovince di Pordenone e Treviso nel mese di maggio. Inizialmente le scuole sonostate contattate telefonicamente; alle coordinatrici e al dirigente scolastico si spie-gava il progetto e si chiedeva la collaborazione per la somministrazione di alcuniquestionari ai genitori dei bambini del primo anno e alle loro insegnanti. A questoprimo contatto seguiva un incontro diretto con la coordinatrice o con il dirigentee con le insegnanti interessate, a cui veniva illustrato il materiale e chiesta la di-sponibilità di partecipare alla riunione di fine anno con i genitori dei bambini chea settembre avrebbero iniziato il primo anno della scuola dell’infanzia nelle qualiveniva illustrato il progetto. In tali incontri i genitori venivano rassicurati riguardoalla privacy e veniva loro spiegato che il progetto prevedeva due somministrazionie che quindi, a distanza di cinque mesi, avrebbero ricevuto nuovamente una bustacontenente lo stesso materiale. Inoltre venivano informati del fatto che al terminedel lavoro avrebbero ricevuto una restituzione dei risultati. Ogni busta consegnataai genitori conteneva una scheda socio-demografica e due batterie di questionari(una per la madre e una per il padre). Per entrambe le somministrazioni (ottobree marzo) un ricercatore appositamente addestrato si è recato nelle scuole per con-segnare il materiale direttamente ai genitori che avrebbero partecipato alla ricercanell’orario di arrivo dei bambini nelle scuole (7:00- 9:00) e dando loro tre setti-mane di tempo per la compilazione.

3.3 Strumenti

Per rilevare i dati della presente ricerca abbiamo utilizzato una batteria diprove composta da diversi strumenti: per misurare il temperamento del bambinoè stato utilizzato il Questionario italiano del temperamento (QUIT 3-6 anni, Axia,2002) che misura tale costrutto in tre contesti diversi: il bambino con gli altri, ilbambino che gioca e il bambino di fronte alle novità. Per potersi focalizzare sualcune caratteristiche fondamentali del comportamento del bambino che ne rendefacile o difficile la gestione e la cura, è stato utilizzato l’adattamento italiano delParenting Stress Index-Short Form (PSI-SF, Abidin, 1993) a cura di Guarino ecolleghi (Guarino, Di Blasio, D’Alessio, Camisasca, & Serantoni, 2008). Grazieall’Alabama Parenting Questionnaire (APQ; Frick, 1991) è stato possibile misu-rare i comportamenti genitoriali utilizzati in relazione ad atteggiamenti aggressivi

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MADRI

Orientamento sociale

Inibizione novità

Attività motoria

Emozionalità positiva

Emozionalità negativa Attenzione

Orientamento sociale .52**

Inibizione novità .60**

Attività motoria .64**

Emozionalità positiva .64**

Emozionalità negativa .53**

Attenzione .52**

PADRI

Orientamento sociale

Inibizione novità

Attività motoria

Emozionalità positiva

Emozionalità negativa Attenzione

Orientamento sociale .49**

Inibizione novità .75**

Attività motoria .59**

Emozionalità positiva .59**

Emozionalità negativa .44**

Attenzione .69**

* p < .05; ** p < .01

del bambino. L’Abbreviated Dyadic Adjustment Scale (ADAS, Sharpley & Ro-gers, 1984) è stata utilizzata per misurare la qualità della relazione di coppia e ilMc Master Family Assesment Device (FAD, Epstein, Baldwin, & Bishop, 2007)è servito per valutare le dimensioni del funzionamento familiare e le relazioni trai diversi componenti della famiglia.

4. Analisi dei dati

4.1 Stabilità del temperamento del bambino

Il primo quesito della presente ricerca riguardava la stabilità delle differenzeindividuali nel bambino durante il primo anno di frequenza della scuola d’infanzia(3/4 anni d’età), tra le due rilevazioni effettuate a distanza di cinque mesi.

La stabilità del temperamento è stata indagata attraverso un’analisi correla-zionale, i cui risultati sono riportati nella tabella 2, tenendo presenti i due tempi ela differenza tra padre e madre, oltre che di tutte le subscale del QUIT.

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Relazioni tra parenting e temperamento del bambino

Tabella 2 - Stabilità del temperamento nelle valutazioni di madri

e padri (r di Pearson)

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I risultati indicano che le valutazioni del temperamento da parte di entrambii genitori sono relativamente stabili nel corso del tempo in tutte le subscale con-siderate.

4.2 Accordo tra le figure genitoriali sulla percezione del temperamento del figlio

Il secondo quesito di ricerca si proponeva di esaminare gli accordi tramadri e padri nella valutazione del temperamento del proprio figlio. Per veri-ficare il grado di accordo tra i genitori in ciascuna sottoscala del QUIT è statacondotta un’analisi correlazionale nei due tempi considerati (vedi tab. 3).

Come si può osservare dalla tabella 3, sono emerse delle correlazioni sta-tisticamente significative tra i punteggi attribuiti da madri e padri in tutte ledimensioni temperamentali del QUIT, in entrambe le somministrazioni. In par-ticolare, i genitori mostrano un alto livello di accordo per quanto riguarda lavalutazione del temperamento del proprio figlio, che tende a crescere nel tempoin tutte le subscale considerate.

4.3 Caratteristiche temperamentali del figlio associate al concetto di “bam-

bino difficile”

Per poter valutare le caratteristiche temperamentali che i genitori associanoal concetto di bambino difficile, è stata condotta un’analisi correlazionale tra

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QUIT TEMPO 1 TEMPO 2

Orientamento sociale .63** .69**

Inibizione alla novità .65** .75**

Attività motoria .58** .62**

Emozionalità positiva .45** .65**

Emozionalità negativa .55** .60**

Attenzione .61** .64**

* p < .05; ** p < .01

Tabella 3 - Accordi tra pafri e madri nelle subscale

del QUIT (r di Pearson)

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le subscale del QUIT e la variabile “bambino difficile” misurata tramite il PSI-SF, i cui risultati sono illustrati nella tabella 4.

Osservando la tabella 4, si può notare che sono emerse delle correlazionistatisticamente significative tra la scala “bambino difficile” del PSI-SF e levariabili del temperamento misurate tramite il QUIT. Al tempo 1 si può os-servare come per entrambi i genitori le caratteristiche associate a una mag-giore difficoltà del bambino sono: un minore orientamento sociale,un’elevata attività motoria e alti livelli di emozionalità negativa. Inoltre, ibambini che mostrano inibizione di fronte alle novità sono valutati come piùdifficili dalle loro madri, mentre quelli che presentano poca emozionalitàpositiva e scarse capacità attentive vengono considerati più difficili dai loropadri. Per quanto riguarda il tempo 2, entrambi i genitori associano l’attivitàmotoria e l’emozionalità negativa alla difficoltà del proprio figlio, inoltreper le madri il bambino è difficile se presenta bassi livelli di orientamentosociale e scarsa attenzione. In generale dalla tabella si può notare che, perquanto riguarda le madri, le caratteristiche temperamentali associate al con-cetto di bambino difficile rimangono relativamente stabili nel corso deltempo eccetto per l’inibizione alle novità che è significativa al tempo 1, manon al tempo 2, e l’attenzione che non è significativa al tempo 1, ma lo è altempo 2. Rispetto ai padri, invece, si può notare come al tempo 1 essi asso-cino più caratteristiche temperamentali al concetto di bambino difficile

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Relazioni tra parenting e temperamento del bambino

PSI-SF TEMPO 1 PSI-SF TEMPO 2

MADRI (N = 72)

PADRI (N = 69)

MADRI (N = 71)

PADRI (N = 67)

Orientamento sociale -.28* -.38** -.23* -.12

Inibizione alla novità .24* .23 .23 .11

Attività motoria .35* .32** .36** .36**

Emozionalità positiva -.14 -.24* -.18 -.12

Emozionalità negativa .39** .31** .32** .37**

Attenzione -.21 -.34** -.34** -.19

Tabella 4 - Correlazioni tra le subscale del QUIT e la sottoscala

bambino difficile del PSI-SF (r di Pearson)

p < .05; ** p < .01

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(orientamento sociale, attività motoria, emozioni positive e negative e atten-zione) rispetto al tempo 2, dove si osservano correlazioni significative conl’attività motoria e umore negativo.

4.3 Relazioni tra parenting positivo, accordo di coppia, funzionamento fa-

miliare e caratteristiche temperamentali del bambino

L’ultimo obiettivo della presente ricerca era quello di indagare se e inche misura le variabili della famiglia (parenting positivo, accordo di coppia,funzionamento familiare) fossero associate alle caratteristiche temperamen-tali del bambino secondo madri e padri. A tale scopo sono state condottedelle analisi correlazionali tra le subscale del QUIT e l’Alabama ParentingQuestionnaire (APQ), l’Abbreviated Dyadic Adjustment Scale (ADAS) e ilMc Master Family Assesment Device (FAD), separatamente per la prima ela seconda somministrazione (vedi tab. 5 e 6).

Osservando la tabella 5 riferita alla prima rilevazione, si può notarecome per entrambi i genitori un buon accordo di coppia sia associato a unmaggior orientamento sociale nei figli; inoltre, per le madri, poco accordonella coppia correla con l’inibizione alle novità e con l’emozionalità nega-tiva del figlio, mentre un buon accordo correla con emozioni positive nelbambino.

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Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità Bonichini S. et al.

VARIABILI

TEMPO 1 MADRI (N = 72) PADRI (N = 69)

Parenting positivo

Accordo coppia

Funzionamento familiare

Parenting positivo

Accordo coppia

Funzionamento familiare

Orientamento sociale -.09 .26* .17 -.03 .31* .04

Inibizione alla novità -.01 -.29* -.13 .08 -.05 -.12

Attività motoria .03 -.04 -.03 -.05 -.01 -.23

Emozionalità positiva -.01 .25* -.05 .01 .12 -.06

Emozionalità negativa -.08 -.27* .11 -.12 .10 -.09

Attenzione .04 .15 .07 -.04 .13 .07

* p < .05; ** p < .01

Tabella 5 - Correlazioni tra le subscale del QUIT e la sottoscala bambino dif-

ficile del PSI-SF (r di Pearson)

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Dalla tabella 6, riferita alla seconda rilevazione, emerge che, per entrambii genitori, quando c’è poco accordo di coppia il bambino è più inibito di frontealle novità, mentre un maggior accordo è legato all’orientamento sociale, al-l’emozionalità positiva e all’attenzione nel figlio; inoltre, un parenting pocopositivo correla con un’emozionalità di tipo negativo, mentre un parenting po-sitivo è legato a più alti livelli di attenzione e a emozioni positive nel bambino.In particolare, per quanto riguarda le madri, dalla tabella relativa alla secondarilevazione, si può osservare in primo luogo che bassi livelli di parenting po-sitivo correlano con l’inibizione alla novità; in secondo luogo che poco accordodi coppia è legato all’attività motoria e all’emozionalità negativa del bambino;infine che un buon funzionamento familiare correla con sentimenti più posi-tivi.

Per quanto riguarda i padri, si può osservare come alti livelli di parentingpositivo, un buon accordo di coppia e un buon funzionamento familiare, cor-relino significativamente con l’orientamento sociale del figlio.

Dalle correlazioni emerge inoltre che entrambi i genitori percepiscono ilbambino come più difficile quando c’è poco accordo di coppia sia a T1 (madre:r = .26, p < .01; padre: r = .33, p < .001 ), sia a T2 (madre: r = .44, p < .001;padre: r = .28, p < .01).

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Relazioni tra parenting e temperamento del bambino

VARIABILI

TEMPO 2

MADRI (N = 71) PADRI (N = 67) Parenting positivo

Accordo coppia

Funzionamento familiare

Parenting positivo

Accordo coppia

Funzionamento familiare

Orientamento sociale .16 .30* .21 .33** .42** .26*

Inibizione alla novità -.30* -.44** -.20 -.18 -.27* -.07

Attività motoria -.08 -.25* -.06 -.09 -.19 .01

Emozionalità positiva .41** .39** .30* .43** .38** .21

Emozionalità negativa -.44** -.36** -.15 -.25* -.20 -.18

Attenzione .31** .32** .26 .39** .46** .23 * p < .05; ** p < .01

Tabella 6 - Correlazioni tra variabili familiari e temperamentali per il tempo

2 di madri e padri (r di Pearson)

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5. Discussione

L’obiettivo principale del presente studio longitudinale era quello di esa-minare le percezioni che i genitori hanno circa il temperamento dei loro figlidi età compresa tra i 34 e i 50 mesi, frequentanti il primo anno della scuoladell’infanzia. Inoltre, sono state analizzate le relazioni tra l’accordo di coppia,il funzionamento familiare e il parenting dei genitori con le loro valutazionicirca il temperamento del bambino.

Il primo quesito della ricerca riguardava l’andamento del temperamentonell’intervallo di tempo considerato, in termini di stabilità. I risultati dell’ana-lisi correlazionale hanno messo in luce una elevata stabilità nel tempo per tuttele sei dimensioni temperamentali considerate. Tali risultati confermano glistudi presenti in letteratura (Axia, 2002; Di Blas, 2002; Pauli-Pott et al., 2003),che attribuiscono al temperamento una certa stabilità a distanza di tempo. Ri-sulta importante, quindi, sottolineare che il modo in cui il temperamento simanifesta, può cambiare nei diversi periodi dello sviluppo, ma riflette comun-que alcune predisposizioni di base e benché l’età, l’esperienza e l’ambientetendano ad influenzare il modo in cui tale costrutto si manifesta, ogni individuopuò essere descritto con stili comportamentali caratteristici e costanti nel corsodella sua crescita (Keogh, 2003).

Il secondo quesito della ricerca riguardava l’accordo tra madri e padri nellavalutazione del temperamento del figlio. I risultati relativi all’accordo hannoevidenziato un alto livello di intesa tra madri e padri in tutti i tratti tempera-mentali considerati. Questi dati indicano che i genitori percepiscono in modosimile il temperamento del proprio bambino, inoltre, tale accordo tende a cre-scere nel tempo. Pur contrastando con i risultati di alcuni studi (NICHD, 2000;Louma, Tamminen, & Koivisto, 2004), che individuano poco accordo tra levalutazioni delle figure genitoriali (risultato spiegato dagli autori sulla basedella differente quantità di tempo che questi ultimi trascorrono con il bambino),questo pattern è in linea con quanto rilevato attraverso degli studi italiani con-dotti da Attili (1993) e Axia (2002), secondo cui i genitori hanno percezioni easpettative simili circa il temperamento del proprio figlio.

Il terzo obiettivo mirava a verificare quali fossero le caratteristiche tem-peramentali associate al concetto di “bambino difficile” nelle valutazioni deigenitori. I risultati relativi alle caratteristiche temperamentali associate al con-cetto di bambino difficile, hanno messo in evidenza come per le madri le ca-ratteristiche associate a una maggiore difficoltà del bambino siano al tempo 1un ridotto orientamento sociale, elevati livelli di inibizione alla novità, di atti-vità motoria e di emozioni negative, mentre al tempo 2 si aggiungono ridotte

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capacità attentive e viene meno l’inibizione alla novità. Tali risultati sono inaccordo con le ipotesi fatte in precedenza in base alla letteratura, (Axia, 2002;Super et al., 2008), secondo cui il bambino viene considerato difficile (da partedei genitori italiani) quando presenta difficoltà ad adattarsi e a rapportarsi nelleinterazioni con gli altri, quando esibisce livelli elevati di attività motoria, diemozionalità negativa e di inibizione alla novità. Le madri non presentano no-tevoli differenze tra le due rilevazioni e questo può trovare spiegazione nel pe-riodo critico e carico di preoccupazioni come può essere il primo anno dellascuola dell’infanzia, a causa del cambiamento di vita che sta interessando ilfiglio e la coppia stessa. Se si considerano le valutazioni fatte dai padri, invece,si può osservare come al tempo 1 la difficoltà del bambino è associata a bassilivelli di orientamento sociale e di attenzione e alti livelli di attività motoriaed emozionalità negativa, mentre al tempo 2 essi tendono ad individuare comedifficile il bambino che ha elevati livelli di attività motoria e di emozionalitànegativa, non considerando più le altre caratteristiche temperamentali. La spie-gazione di questo cambiamento si può ritrovare in letteratura (Attili, 1993) eriguarda il fatto che i genitori tendono ad abituarsi alle caratteristiche difficilidel figlio fino al punto da non considerarle più come problematiche. Infatti,nella presente ricerca i padri, a distanza di cinque mesi, associano meno ca-ratteristiche temperamentali al concetto di bambino difficile.

L’ultimo quesito a cui si è cercato di rispondere nel presente studio riguardavala presenza di relazioni tra il parenting positivo, l’accordo di coppia, il funziona-mento familiare e le caratteristiche temperamentali attribuite al bambino dalle fi-gure genitoriali. Dai risultati relativi alle analisi correlazionali fatte nei due tempiconsiderati tra le subscale del QUIT e i tre strumenti che indagano le variabili re-lative alla famiglia, è emerso che, al tempo 1, le madri riportano un maggior nu-mero di correlazioni rispetto ai padri. Per le prime, infatti, un buon accordo dicoppia è legato a un maggior orientamento sociale e a emozioni più positive nelfiglio; mentre un rapporto di coppia poco soddisfacente correla con l’inibizionealla novità e con emozioni negative. Questi dati confermano la letteratura secondocui, quando c’è poca soddisfazione nel matrimonio e poco accordo tra i coniugiper quanto riguarda l’allevamento del figlio, il bambino viene valutato come piùproblematico, anche se non è ancora stato chiarita la direzione di questa correla-zione (O’Leary & Vidar, 2005; Hart & Kelly, 2006). Per quanto riguarda le valu-tazioni date dai padri durante la prima rilevazione, dai risultati è emersa unacorrelazione significativa tra l’accordo di coppia e l’orientamento sociale del fi-glio. Anche questo dato trova conferma in letteratura, precisamente in uno studiodel NICHD del 2000, secondo il quale una maggiore intimità di coppia sarebbecorrelata con un atteggiamento più sensibile da parte dei padri durante l’attività

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ludica del figlio e quindi con la capacità di socializzare di quest’ultimo. In riferi-mento alla seconda rilevazione, le analisi effettuate mettono in rilievo dati mag-giormente significativi nelle valutazioni da parte di entrambe le figure genitoriali.Esaminando i risultati si può sostenere che entrambi i genitori riportino punteggipiù elevati non solo nell’accordo di coppia, ma anche nel parenting positivo e nelfunzionamento familiare. In particolare abbiamo visto come il poco accordo dicoppia sia legato ad una maggiore inibizione nel bambino, mentre un maggioraccordo correla con l’orientamento sociale, l’umore positivo e l’attenzione nelfiglio; inoltre, un parenting poco positivo correla con l’umore negativo, mentreun parenting positivo è legato a miglior attenzione e umore.

Una possibile spiegazione di tale cambiamento nei punteggi dati dallemadri e dai padri tra una somministrazione e l’altra, si può ricercare nel periododi sviluppo considerato nella presente ricerca, ossia il primo anno della scuoladell’infanzia, momento molto delicato non solo per il bambino stesso, maanche per le figure genitoriali, impegnate in una sostanziale variazione del-l’organizzazione familiare e sociale, che si identifica nel passaggio al nuovocontesto di vita del bambino. L’entrata di quest’ultimo nell’ambiente dellascuola dell’infanzia, infatti, porta con sé una necessaria trasformazione da partedell’intera famiglia per favorirne l’adattamento. Un’altra possibile spiegazionepuò risiedere nel fatto che nella somministrazione di fine marzo (la seconda),entrambi i genitori possedevano familiarità con la batteria di strumenti pre-sentata, in quanto identica alla precedente e quindi più portati ad esprimere ef-fettivamente un loro giudizio, sia sulle variabili relative alla coppia, siariguardo alle caratteristiche temperamentali del figlio.

Infine, dai risultati relativi all’analisi correlazionale fatta tra il parentingpositivo, l’accordo di coppia, il funzionamento familiare e la sottoscala bam-bino difficile del PSI-SF, è emerso che entrambi i genitori associano un bam-bino difficile a poco accordo di coppia, inoltre, le madri ritengono, a differenzadei padri, che il bambino sia più difficile quando c’è poco funzionamento fa-miliare. Tali risultati confermano la letteratura secondo cui la qualità del rap-porto di coppia influenza il comportamento dei genitori nei confronti del figlio,in particolare se quest’ultimo presenta un temperamento difficile (Schoppe-Sullivan et al., 2006), e quindi si può ipotizzare che il rapporto positivo tra iconiugi favorisca una percezione più positiva del temperamento del bambino.

Anche l’associazione tra bambino difficile e basso funzionamento fami-liare, emersa in misura maggiore nelle madri, è in accordo con la letteratura,secondo cui i genitori di bambini difficili tendono a valutare in modo negativoil funzionamento della loro famiglia, poiché percepiscono molte difficoltà nellagestione del figlio (Tschann, Kaiser, Chesney, Alkon, & Boyce, 1996).

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5.1 Limiti della ricerca

Nel presente studio, i vantaggi dell’utilizzo di strumenti self-report (eco-nomicità e velocità) sono limitati dal fatto che le informazioni raccolte possonoessere influenzate dalle caratteristiche psicologiche, cognitive e affettive di chili compila e quindi i dati raccolti possono non essere stati del tutto oggettivi.Per questo motivo sarebbe utile affiancare, nelle ricerche future, anche altristrumenti quali l’osservazione del bambino nel contesto della famiglia e dellascuola, o interviste in profondità, in modo da aumentare la validità delle evi-denze empiriche. Tuttavia, la somministrazione anche al padre dei questionari,ha permesso di ottenere una visione d’insieme apprezzabile, dettata dal fattoche non ci sono state significative riduzioni nel numero dei partecipanti nellepassaggio dalla prima alla seconda somministrazione. Un secondo limite ri-guarda il fatto che quasi tutti gli strumenti utilizzati, ad eccezione del Quit(Axia, 2002) e del Parenting Stress Index-Short Form (Guarino et al., 2008),non sono stati validati in lingua italiana. Un terzo limite riguarda il numerodei partecipanti alla ricerca, troppo esiguo per essere considerato come rap-presentativo. Sarebbe infatti interessante ampliare questo studio coinvolgendovarie province d’Italia, per verificare se l’ambiente di provenienza del bambinoe della sua famiglia, possa produrre pattern di risultati diversi.

5.2 Implicazioni operative

A conclusione di questo lavoro si possono evidenziare alcune implicazioniper coloro che si occupano di bambini nella fascia 3-6 anni. Il temperamentodel bambino viene considerato fattore di rischio quando vi è incompatibilitàtra le caratteristiche individuali del bambino e le richieste dell’ambiente chelo circonda. Questo aspetto deve essere preso in considerazione in quanto ilpericolo è quello di etichettare un bambino come difficile e problematico,senza considerare quanto il contesto possa influenzare il suo comportamento.A tal proposito si sottolinea l’importanza di una comunicazione costante tra lafamiglia e la scuola fin dal primo anno della scuola dell’infanzia. Infatti, i ri-sultati della ricerca hanno messo in luce come molto spesso la difficoltà di ge-stione del bambino sia collegata alla relazione di coppia, al funzionamentofamiliare e al concetto di parenting. Un costante confronto con le insegnantipotrebbe essere utile per ridurre le difficoltà educative dei genitori e permetterea questi ultimi di acquisire nuovi strumenti che possano contribuire a miglio-rare l’interazione con il figlio e individuare una linea comune di intervento nelcaso in cui il bambino dovesse presentare delle difficoltà.

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Abstract

In questo studio viene valutata l’efficacia applicata (effectiveness) di un

trattamento intensivo e precoce secondo i principi dell’Analisi del Com-

portamento su un gruppo clinico di 6 bambini con diagnosi di autismo di

età compresa tra 36-48 mesi lungo un periodo di tempo di 6 mesi. I bam-

bini sono stati assegnati in modo randomizzato ai gruppi sperimentale e

di controllo. I gruppi erano omogenei per genere, età e funzionamento co-

gnitivo. I bambini del gruppo sperimentale hanno ricevuto 18 ore di tera-

pia settimanali suddivise tra casa e ambulatorio. I risultati dopo 6 mesi

d’intervento mettono in evidenza differenze statisticamente significative

tra il pre e post test nel gruppo sperimentale. Inoltre, anche la dimensione

dell’effetto per i bambini del gruppo sperimentale è clinicamente signifi-

cativa.

Parole chiave: Autismo, Interventi comportamentali intensivi e precoci,Analisi comportamentale applicata, Dimensione dell’effetto.

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Valutazione sperimentale dell’efficacia di interventicomportamentali intensivi e precoci (EIBI)

in un centro riabilitativo

Paolo Moderato1, Cristina Copelli2, Laura Villa3 & Massimo Molteni4

© 2013 Associazione Oasi Maria SS. - IRCCS

1 IESCUM- Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano (Parma).E-mail: [email protected]

2 IESCUM- Istituto Europeo per lo Studio del Comportamento Umano (Parma).E-mail: [email protected]

3 I.R.C.C.S Medea-Associazione la Nostra Famiglia (Bosisio Parini-Lecco).E-mail: [email protected]

4 I.R.C.C.S Medea-Associazione la Nostra Famiglia (Bosisio Parini-Lecco).E-mail: [email protected]

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1. Introduzione

L’Analisi Comportamentale Applicata (ABA) è la scienza applicata che de-riva dalla scienza di base conosciuta come Analisi del Comportamento (Skinner,1953). Le sue origini possono essere fatte risalire al volume di Skinner The Be-

havior of Organism (Skinner, 1938), ma i principi di base dell’analisi del com-portamento trovano in Science and Human Behavior (Skinner, 1953) la loroespressione matura, in Verbal Behavior (Skinner, 1957) i fondamenti per lo stu-dio del comportamento verbale e per le future applicazioni, in Contingencies of

Reinforcement (Skinner, 1969) un’apertura allo studio del comportamento go-vernato da regole e in About Behaviorism (Skinner, 1974) importanti ripuntua-lizzazioni di epistemologia.

L’Analisi Comportamentale Applicata è l’area applicativa dei dati che deri-vano dall’Analisi del Comportamento per comprendere e migliorare le relazioniche intercorrono fra determinati comportamenti di una persona e le sue condi-zioni ambientali. È stata definita da Baer, Wolf e Risley (1968, p. 91) come l’ap-plicazione dei principi del comportamento per incrementare specificicomportamenti e contemporaneamente valutare i cambiamenti attribuibili a taleprocesso. L’ABA sottolinea la necessità di una valutazione continua del tratta-mento comportamentale attraverso una sistematica raccolta dei dati, affinché lavalidità dei risultati non sia inficiata da variabili estranee al trattamento. Nellostesso articolo Baer, Wolf e Risley (1968) descrivono sette dimensioni definientil’ABA: applicata, comportamentale, analitica, tecnologica, efficace, concettualee generalizzabile.

Sebbene l’ABA veda le prime applicazioni nel recupero delle disabilità in-tellettive ed evolutive in genere, da almeno 30 anni ABA e autismo sono un bi-nomio pressoché inscindibile. Grazie al progetto Young Autism Projectsviluppato da Ivaar Lovaas alla fine degli anni ’70 presso l’Università della Ca-lifornia a Los Angeles, noto come «UCLA YAP», l’ABA accresce la sua popo-larità e dimostra ben presto tutta la sua efficacia testimoniata da numerosericerche nel campo dell’autismo. L’intervento sviluppato da Lovaas, Ackerman,Alexander, Firestone, Perkins e Young (1981) e Lovaas (2003) ha avuto unadiffusione e un’influenza molto significativa nell’insegnamento strutturato tragli analisti del comportamento. Il modello proposto da Lovaas si basa su unametodologia specifica dell’Analisi Comportamentale Applicata nota come Di-screte Trial Teaching o Training (DTT) (Lovaas, et al., 1981; Leaf & McEachin,1999; Lovaas, 2003), probabilmente la componente procedurale dell’analisicomportamentale più conosciuta nel campo dell’autismo. Il DTT è una metodo-logia d’insegnamento che viene utilizzata per massimizzare l’apprendimento in

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diverse aree di abilità: cognitive, di comunicazione, di gioco, di abilità sociali edi autonomia.

Nel corso degli anni l’Analisi Comportamentale Applicata, pur rimanendofedele ai principi di base sostenuti da una gran mole di ricerche, ha sviluppatointerventi orientati in senso ecologico ed evolutivo. Pertanto, accanto a interventipiù strutturati basati sui tre termini della contingenza (Stimolo Discriminativo-Risposta-Conseguenza) si trovano approcci più naturalistici, come l’IncidentalTeaching (IT) e il Natural Environmental Teaching (NET), basati su quattro ter-mini della contingenza (Operazioni Motivazionali/Stimolo Discriminativo-Ri-sposta-Conseguenza).

Nello sviluppo dell’ABA si possono osservare elementi di continuità e didiscontinuità. Sia gli interventi strutturati sia quelli naturalistici enfatizzano l’im-portanza di organizzare l’ambiente in modo accurato, prestando molta attenzionea inserire oggetti e attività gradite al bambino. Entrambi sottolineano l’impor-tanza di specifiche facilitazioni e delle opportunità di insegnamento quotidianoper quanto riguarda il comportamento verbale. Inoltre, entrambi gli approcci uti-lizzano prove discrete nell’insegnamento: la differenza sta nel fatto che negli in-terventi strutturati le prove discrete sono l’elemento portante e pressochéesclusivo, negli interventi più ecologici le prove discrete vengono utilizzate in-sieme alla gestione più efficace degli antecedenti intesi come operazioni moti-vazionali (OM). Naturalmente, sia gli interventi strutturati sia quelli ecologicisi basano sugli stessi principi di base dell’Analisi del Comportamento, origina-riamente teorizzati da B.F. Skinner e successivamente integrati e analizzati daaltri studiosi (Sidman, 1962, 1994; Catania, 1988; Michael, 2004) sempre nelsolco dell’Analisi del Comportamento.

Gli interventi strutturati di prima generazione sono basati prevalentementesulla gestione delle conseguenze del comportamento, per cui viene posta mag-giore attenzione alla programmazione di procedure re-attive (ad esempio, pro-grammi di rinforzo, processi di estinzione, ecc.). Gli interventi di secondagenerazione si basano anche sulla gestione degli antecedenti del comportamento,per cui maggiore attenzione viene posta alla programmazione di procedure pro-attive (operazioni motivazionali, gestione dell’ambiente, ecc.).

Negli interventi strutturati l’insegnamento iniziale avviene essenzialmentee prioritariamente “a tavolino”, con una programmazione sistematica della ge-neralizzazione degli apprendimenti solo dopo l’acquisizione. Negli interventiecologici l’insegnamento iniziale si basa essenzialmente sui training di comuni-cazione, e la generalizzazione è già presente fin dall’inizio nella programmazionedell’intervento.

L’efficacia degli interventi intensivi e precoci sulla base dei principi del-

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l’Analisi del Comportamento per ridurre comportamenti problema e aumentareabilità adattive in persone con disabilità intellettive, autismo e deficit correlati èdocumentata in numerose ricerche e meta-analisi lungo un arco di più di 40 anni.Sei articoli (Hingtgen & Bryson, 1972; DeMyer, Hingtgen, & Jackson, 1981;Matson, Benavidiz, Compton, Paclawskyj, & Baglio, 1996; Herbert, Sharp, &Gaudiano, 2002; Kahng, Iwata, & Lewin, 2002; Sturmey, 2002) riassumono cen-tinaia di studi pubblicati dal 1964 al 2001. Ognuna di questa rassegne sostienel’efficacia delle procedure basate sull’ABA relative all’assessment e al tratta-mento dei comportamenti problema associati all’autismo, al ritardo mentale e aideficit correlati. Altre tre meta-analisi (Lundervold & Bourland, 1988; Weisz,Weiss, Han, Granger, & Morton, 1995; Didden, Duker, & Korzilius, 1997), chehanno analizzato centinaia di studi pubblicati dal 1968 al 1994, sostengono chei trattamenti basati su principi operanti dell’apprendimento sono più efficacinella riduzione dei comportamenti problema in persone con autismo rispetto aitrattamenti alternativi. Inoltre, gli approcci basati sull’ABA per l’educazione dibambini con autismo e deficit correlati sono ampiamente supportati scientifica-mente (e.g., Lovaas,1987; Krantz & McClannahan, 1998; Strain & Kohler, 1998;Koegel, Koegel, & Harrower, 1999; McGee, Morrier, & Daly, 1999; Howard,Sparkman, Choen, Green, & Stanislaw, 2005).

L’articolo più famoso è quello pubblicato da Lovaas nel 1987 in cui veni-vano applicati i metodi dell’Analisi Comportamentale Applicata per 40 ore allasettimana a bambini con autismo. Veniva dimostrato, per la prima volta, l’appli-cabilità del metodo nell’ambiente famigliare e nel setting scolastico. AncheMcEachin, Smith e Lovaas (1993) e Sheinkopf e Siegel (1998) hanno messoin evidenza miglioramenti significativi con una riduzione dei sintomi dell’auti-smo attraverso l’Analisi Comportamentale Applicata. Un recente articolo del2007 riporta la posizione e le linee guida dell’associazione statunitense dei pe-diatri sulle diverse terapie e mette in evidenza l’ABA come metodo solidamentedocumentato dall’evidenza scientifica (Myers & Johnson, 2007). 

Secondo una rassegna sistematica di 11 studi controllati, di cui solo due sonodisegni sperimentali con gruppi di controllo, gli interventi intensivi e precoci(EIBI) migliorano il quoziente intellettivo dei bambini con autismo rispetto algruppo di controllo (Howlin, Magiati, & Charman, 2009). Anche altri autoricome Eldevick, Hasting, Huges, Jahr, Eikeseth e Cross (2009) e Rogers e Vi-smara (2008) affermano che gli interventi comportamentali intensivi e precocirappresentano un intervento efficace se paragonati a gruppi di controllo che nonseguono alcun intervento o interventi eclettici. Rogers e Vismara (2008) sosten-gono che gli interventi comportamentali intensivi e precoci devono essere con-siderati “well established” e che nessun altro intervento presenta queste

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caratteristiche. Eldevick et al., (2009) nella loro rassegna mettono in evidenzacome dopo l’intervento comportamentale intensivo e precoce vi sia una dimen-sione dell’effetto più grande in tutte le scale che misurano il QI e nel comporta-mento adattivo rispetto agli interventi eclettici. Gli studi presi in considerazionenella rassegna sono ragionevolmente omogenei, il che consente di concludereche al momento gli interventi comportamentali intensivi e precoci sono gli in-terventi di elezione per i bambini con autismo.

Nonostante il diffuso consenso sull’efficacia dell’ABA per il trattamento deibambini con autismo, non mancano le critiche che riguardano principalmente lamancanza di disegni sperimentali con gruppi controllo (RCT) nella ricerca dibase: infatti, la metodologia elettiva dell’Analisi del Comportamento è quella asoggetto singolo. Tuttavia, anche nell’ambito dell’Analisi Comportamentale Ap-plicata sono stati effettuati RCT relativamente all’efficacia di strategie d’inter-vento ABA per bambini con diagnosi di Disturbi Generalizzati dello Sviluppo(Smith, Groen, & Wynn, 2000; Eikeseth, Smith, Jahr, & Eldevik, 2002; Sal-lows & Graupner, 2005; Smith, Scahill, Dawson, Guthrie, Lord, Odom et al.,

2007; Reichow & Wolery, 2009).

2. Scopo ed ipotesi della ricerca

La ricerca presentata in questo articolo ha lo scopo di valutare l’efficaciaapplicata (effectiveness) di un trattamento intensivo e precoce secondo i principidell’Analisi del Comportamento su un gruppo clinico di 6 bambini con autismodi età compresa tra 36-48 mesi in un periodo di tempo di 6 mesi. L’esiguo nu-mero di soggetti non permette di misurare adeguatamente l’efficacia teorica (ef-

ficacy) della metodologia, né questa rientra tra gli scopi della ricerca, visto cheè già ampiamente dimostrata da molte decine di ricerche (Moderato, 2008). Per-tanto, come misura dell’efficacia dell’intervento è stata scelta la dimensionedell’effetto (effect size) chiamata anche significatività clinica.

Dimensione dell’effetto e significatività statistica sono due cose diverse epossono anche non coincidere: il livello di significatività statistica non dà ne-cessariamente la misura diretta della significatività clinica del risultato osservato(Moderato, 2008). L’effetto di un trattamento può essere anche molto piccolo,ma statisticamente altamente significativo, purché la dimensione del campionesia sufficientemente grande. Con campioni molto estesi si possono evidenziaredifferenze statisticamente significative anche se poco significative dal punto divista dell’interpretazione clinica. In questa ricerca l’efficacia del trattamento ela grandezza del cambiamento sono verificate attraverso strumenti di valutazione

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standardizzati relativamente alle seguenti abilità: linguaggio vocale, comunica-zione aumentativa-alternativa, abilità cognitive, abilità sociali, abilità motorie,abilità di autoaccudimento, abilità imitative, abilità di gioco.

3. Metodologia

3.1 Campione

Hanno partecipato a questo studio 12 bambini tutti con diagnosi di autismosecondo i criteri del DSM-IV-TR (American Psychiatric Association, 2000).Dopo una descrizione completa dello studio e degli obiettivi di ogni partecipanteallo studio entrambi i genitori hanno firmato un consenso informato. I parteci-panti inclusi nello studio avevano un’età cronologica dai 36 ai 48 mesi, assenzadi diagnosi mediche oltre l’autismo, assenza di interventi prima e durante lo stu-dio. Tutti i bambini provenivano da zone limitrofe all’Istituto. I soggetti sonostati assegnati in modo randomizzato ai gruppi sperimentale e controllo. I gruppierano omogenei per la presenza di soggetti di genere maschile e femminile e perl’età media, rispettivamente 41 mesi per il gruppo di trattamento e 38 mesi peril gruppo di controllo. I bambini del gruppo sperimentale ricevevano 18 ore 1 a1 di terapia settimanali, 9 ore presso l’IRCCS e 9 ore presso l’abitazione. Le fi-gure professionali coinvolte in questo studio sono state le seguenti: 8 terapisticon formazione in psicologia o scienze dell’educazione; 1 neuropsichiatra in-fantile; 1 consulente con certificazione BCBA (Board Certified Behavior Ana-lyst®). I bambini del gruppo sperimentale hanno ricevuto un interventocomportamentale intensivo e precoce per un totale di 18 ore settimanali, 9 oreeffettuate presso la sede di Bosisio Parini dell’IRCCS “Medea” e 9 ore pressol’abitazione del bambino. I soggetti del gruppo di controllo non hanno effettuatoalcun trattamento; erano collocati in una lista di attesa per ricevere il trattamentosuccessivamente. Ad ogni bambino del gruppo sperimentale è stato assegnatoun minimo di due terapisti presso l’IRCCS e un terapista a casa. Durante il trat-tamento individuale, ogni bambino lavorava da solo con il terapista in una stanzaattrezzata ad hoc all’interno dell’Istituto. Oltre all’intervento presso l’IRCCS ea casa sono state date indicazioni agli insegnanti della scuola materna frequentatada ogni bambino del gruppo di trattamento per poter generalizzare in un settingdiverso le abilità acquisite.

3.2 Strumenti

Ogni bambino del gruppo sperimentale e di controllo è stato valutato anali-ticamente prima dell’inizio del trattamento e subito dopo la fine del trattamento.

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Le valutazioni sono state effettuate da psicologi e neuropsichiatri infantili conesperienza nel campo dell’autismo e nella somministrazione di test specifici.

Gli strumenti di valutazione utilizzati sono stati i seguenti:1. Scale Vineland per il comportamento adattivo (Sparrow, Balla, & Cic-

chetti, 1984; Balboni & Pedrabissi, 2003), il più noto e utilizzato strumento perla valutazione del comportamento adattivo. I punteggi ottenuti in queste scaleper i soggetti con autismo sono più predittivi dell’esito evolutivo rispetto allemisure ottenute tramite i test cognitivi (National Research Council, 2001).

2. ADOS - Autism diagnostic observation schedule (Lord, Rutter, DiLavore,& Risi, 1996): un protocollo di osservazione semi-strutturato, standardizzato perla valutazione della comunicazione, della reciprocità sociale, e del gioco sim-bolico in soggetti con sospetto di autismo.

3. GMDS-R - Griffiths Mental Development Scales (Griffiths, 1996): mi-surano aspetti dello sviluppo significativi per l’intelligenza o indicativi della cre-scita mentale in neonati e bambini dalla nascita agli otto anni.

4. VB-MAPP - Verbal Behavior, Milestone Assessment Placement Program(Sundberg, 2008): l’assessment contiene 170 tappe evolutive fondamentali del-l’apprendimento e del linguaggio, sequenziali, misurabili e bilanciate, lungo 3livelli di sviluppo (0-18 mesi, 18-30 mesi e 30-48 mesi).

5. CAPIRE: Checklist per l’Analisi e la Programmazione Informatica delRitardo Evolutivo (Moderato & Moderato, 2004): è una checklist di comporta-menti e conoscenze organizzati in modo sequenziale per identificare i profili diapprendimento di soggetti con ritardo evolutivo.

3.3 Procedura

Il trattamento comportamentale intensivo e precoce applicato al gruppo spe-rimentale si basa sui principi e sulle procedure dell’Analisi del Comportamentofacendo riferimento al manuale di Sundberg e Partington (1998) e Sundberg(2008).

Sulla base della valutazione funzionale per ogni bambino è stato disegnatoun curriculum individualizzato. Il trattamento ha incluso sia Discrete Trial Tea-ching (DTT) sia Natural Enviromental Teaching (NET). La proporzione di tempodedicato al DTT o NET all’interno dell’intervento variava in funzione del livellodi abilità del bambino e di altri fattori connessi a eventuali barriere (per esempio:problemi comportamentali e/o mancanza di collaborazione). Per tutti i bambinidel gruppo di trattamento si prevedeva l’alternanza di DTT e NET durante l’in-tervento.

Nel gruppo sperimentale, 4 dei 6 bambini hanno avuto bisogno di una formadi comunicazione aumentativa a causa dei deficit a livello comunicativo-lingui-

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stico. Le scelte sono ricadute essenzialmente sul linguaggio dei segni o su un si-stema di comunicazione con immagini come il PECS (Frost & Bondy, 2002). Inbase alla valutazione delle abilità iniziali è stato introdotto l’utilizzo delle im-magini (PECS) per 3 bambini e il linguaggio dei segni per 1 bambino: poiché iltrend di apprendimento non era soddisfacente, a metà dell’intervento anche peril quarto bambino è stato introdotto l’utilizzo delle immagini.

I punteggi ottenuti nella valutazione funzionale hanno agito da guida nellascelta della comunicazione aumentativa. Per esempio se un bambino totalizzavaun punteggio alto nell’area delle abilità visuo-spaziali e di corrispondenza a unostimolo campione (matching to sample), ma aveva un punteggio basso nell’imi-tazione si è scelto un sistema PECS che avrebbe dovuto aiutarlo a sviluppare iprimi mand più velocemente. Dall’altro lato, se l’imitazione era più forte dellacorrispondenza a uno stimolo campione e dell’area delle abilità visuo spaziali,allora è stata privilegiata la scelta del linguaggio dei segni. Quando le abilità diabbinamento e di imitazione erano quasi uguali si è optato per il linguaggio deisegni poiché ha una struttura linguistica parallela al vocale e presenta molti altrivantaggi a lungo termine (Sundberg & Sundberg, 1990; Shafer, 1993; Sundberg,1993; Sundberg & Partington, 1998; Tincani, 2004).

3.4 Disegno sperimentale

Nella ricerca è utilizzato un disegno sperimentale misto within subject e bet-ween subject.

Il trattamento è stato “cucito” su misura per ogni bambino e si è evoluto di-namicamente sulla base dei cambiamenti osservati. Dopo aver effettuato una va-lutazione funzionale sono stati selezionati i comportamenti da potenziare e quellida diminuire e sono state stabilite le priorità e gli obiettivi per ciascun bambino.Una volta selezionato, il comportamento è stato misurato attraverso i parametridefiniti in precedenza e attraverso un apposita scheda raccolta dati. Per ognicomportamento e per ogni bambino sono state individuate le strategie d’inter-vento più adatte identificando e programmando le contingenze. Ogni strategia èstata monitorata durante l’applicazione ed eventualmente modificata.

4. Analisi dei dati

4.1 Analisi descrittiva del gruppo clinico

Dopo 6 mesi d’intervento, dall’analisi descrittiva si può vedere che solo i6 bambini del gruppo clinico presentano un significativo miglioramento nellearee indagate dal VB-MAPP (Figura 1) a differenza del gruppo di controllo.

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Figura 1 - Media dei punteggi (Pre test e post test)

nel gruppo clinico e nel gruppo di controllo.

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Anche la valutazione effettuata con le scale Griffiths ha evidenziato unmiglioramento statisticamente significativo solo nel gruppo clinico tra il pre epost test (Figura 1). Lo stesso accade anche nell’ADOS, nelle scale Vinelande in CAPIRE.

4.2 Analisi statistiche dei risultati

La bassa numerosità campionaria ha reso necessario l’uso di un test nonparametrico. Si è deciso di considerare un livello di α = .05 come soglia di si-gnificatività. Le analisi sono state condotte con il programma Statistical Pac-kage for Social Science (SPSS) versione 15.01. Per confrontare i gruppi è statoutilizzato il test Mann Whitney. Per il confronto pre-post test entro il gruppoè stato utilizzato il test di Wilcoxon. Per confrontare i punteggi delle scale uti-lizzate, in fase di baseline, dei bambini sottoposti a trattamento e i bambininon sottoposti a trattamento è stato utilizzato il test Mann Whitney. Dal testnon si rilevano differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Quindiil gruppo clinico e il gruppo di controllo partono dallo stesso livello.

Nella Figura 1 sono presentati i punteggi medi per ogni scala di valutazionepre e post test nel gruppo clinico e gruppo di controllo. Nel gruppo clinicoemergono differenze statisticamente significative nel confronto dei punteggipre-post delle Vineland (z = -2.032; p = .042), del VB-MAPP (z = -2.001;p = .028), dell’ADOS (z = -2.207; p = .027), delle Griffiths (z = -2.201;p = .028), di CAPIRE (z = -2.201; p = .028). Nel gruppo di controllo non emer-gono differenze statisticamente significative nel confronto tra pre e post test.Se si osserva l’ampiezza dell’errore standard in CAPIRE e nel VB MAPP (Fi-gura 1) si può notare una maggiore omogeneità del cambiamento tra le valu-tazioni post test nel gruppo clinico

Inoltre, per capire quale specifico repertorio comportamentale è migliorato,sono stati analizzati i subtest di ogni scala. Nel pre e post test nei sub test dellescale Vineland emergono nel gruppo clinico differenze statisticamente significa-tive nel sub test “Comunicazione” e nel sub test “Socializzazione” (Tabella 1).

Per quanto riguarda il VB-MAPP, il gruppo clinico evidenzia differenze sta-tisticamente significative nei seguenti sub test: “mand”, “ascoltatore”, “VP-MTS”,“gioco”, “imitazione”, “ecoico” (Tabella 2).

Per quanto riguarda CAPIRE, il gruppo clinico evidenzia differenze stati-sticamente significative nei seguenti sub test: “prerequisiti”, “socializzazione”,“comunicazione”, “abilità motorie”, “autoaccudimento” (Tabella 3).

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Valutazione sperimentale dell’efficacia di interventi comportamentali intensivi e precoci

Confronto tra il g !

GRUPPO SPERIMENTALE GRUPPO CONTROLLO

PRE TEST POST TEST WILCOXON PRE TEST POST TEST WILCOXON

MISURE MEDIA DS MEDIA DS z p MEDIA DS MEDIA DS z p

VINELAND

Comunicazione 53.17 6.76 68.00 11.76 -2.21 .027* 56.50 19.98 62.67 21.65 -2-03 .042*

Abilità quotidiane 66.00 4.42 67.17 4.44 -1.6 .11 62.00 14.4 63.33 15.48 -1.34 .18

Socializzazione 62.50 3.78 68.17 6.52 -2.21 .027* 59.67 11.5 60.17 13.92 .00 .99

Abilità motorie 76.67 5.92 80.17 6.46 -.94 .35 70.67 12.4 71.00 11.73 -.74 .46

* p ! .05

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GRUPPO SPERIMENTALE GRUPPO CONTROLLO

PRE TEST POST TEST WILCOXON PRE TEST POST TEST WILCOXON

MISURE MEDIA DS MEDIA DS z p MEDIA DS MEDIA DS z p

T

Mand .75 .98 7.42 3.54 -2.2 .02* .58 .49 1.00 1.09 -1.34 .18

Tact .5 1.22 4.5 4.62 -1.86 .06 1.08 .91 .83 .98 -1.00 .31

Ascoltatore 1.41 1.9 5.08 2.88 -2.2 .02* .58 1.02 .16 .4 -1.00 .31

VP/MTS 2.66 1.77 8.00 1.78 -2.2 .02* 2.66 .6 3.83 1.4 -1.66 .09

Gioco 2.16 1.12 7.17 2.63 -2.2 .02* 4.00 .77 4.50 .83 -2.12 .034*

Sociale 1.08 .91 1.75 .52 -1.84 .06 .5 .44 1.17 .6 -2.07 .038*

Imitazione 1.50 1.37 5.25 1.75 -2.2 .02* .58 .8 .83 .75 -.36 .71

Ecoico .33 .81 4.50 4.59 -2.032 .04* .83 .4 .83 .4 .00 .99

Vocale 1.83 1.83 4.41 2.41 -2.03 .04* 1.17 .6 1.66 .68 -1.6 .1

LRFCC .00 .00 1.33 2.16 -1.34 .18 .00 .00 .00 .00 .00 .99

IV .00 .00 1.083 1.74 -1.34 .18 .00 .00 .00 .00 .00 .99

Linguaggio .00 .00 1.083 1.74 -1.34 .18 .00 .00 .00 .00 .00 .99

* p ! .05

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Tabella 1 - Test Wilcoxon nei sub test VINELAND nel gruppo clinico e di

controllo.

Tabella 2 - Test Wilcoxon nei sub test VB MAPP nel gruppo clinico e di

controllo.

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4.3 Analisi della dimensione dell’effetto

La dimensione dell’effetto per i bambini del gruppo clinico è clinicamentesignificativa in 5 dei 7 sub test del VB-MAPP. L’analisi dei dati mette in evi-denza una dimensione dell’effetto “grande” (d di Cohen > .8) nei seguenti sub-test: mand (d = 2.56), abilità dell’ascoltatore (d = 1.50), abilità visuo-spaziali(d = 3.01), abilità di gioco (d = 2.48), imitazione (d = 2.39), vocale (d = 1.21),e una dimensione dell’effetto “piccola” per quanto riguarda il sub test ecoico(d = .37).

Inoltre, in tutti i subtest di CAPIRE emerge una dimensione dell’effetto“grande”: prerequisiti (d = 2.54), socializzazione (d = 3.60), comunicazione(d = 1.90), abilità motorie (d = 2.59) e autoaccudimento (d = 1.17). Anchenelle Vineland emerge una dimensione dell’effetto “grande” in due subtest:comunicazione (d = 1.55) e abilità quotidiane (d = 1.06).

Nel gruppo di controllo si evidenzia una dimensione dell’effetto “media”solo nel sub test del VB MAPP: abilità di gioco (d = .62), e una dimensionedell’effetto “grande” solo per il sub test abilità sociale (d = 1.27). Inoltre, sievidenzia una dimensione dell’effetto “piccola” solo nel subtest comunica-zione delle Vineland (d = .30).

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Tabella 3 - Test Wilcoxon nei sub test CAPIRE nel gruppo clinico e di

controllo.

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GRUPPO SPERIMENTALE GRUPPO DI CONTROLLO

PRE TEST POST TEST WILCOXON PRE TEST POST TEST WILCOXON

MISURE MEDIA DS MEDIA DS z p MEDIA DS MEDIA DS z p

CAPIRE

Prerequisiti .83 1.6 3.83 .48 -2.07 .04* 2.00 1.41 2.33 1.96 -.54 .59

Socializzazione 2.17 2.33 9.92 1.96 -2.2 .02* 5.75 3.48 6.33 3.65 -.54 .59

Comunicazione 11.5 6.89 25.25 7.58 -2.21 .02* 13.08 6.48 14.67 4.27 -.81 .42

Abilità motorie 21.25 4.2 32.08 4.17 -2.2 .02* 16.25 5.44 18.5 5.05 -1.83 .07

Autoaccudimento 8.83 10.55 27.67 11.44 -2.21 .02* 15.50 8.82 21.67 5.09 -1.83 .07

Abilità cognitive .00 .00 2.67 3.97 -1.6 .11 1.00 2.44 1.00 2.44 .00 .99

Abilità logico deduttive .00 .00 3.33 4.5 -1.6 .11 .33 816 .33 .81 .00 .99

Abilità logico matematiche .00 .00 1.83 3.6 -1.34 .18 .67 1.63 .67 1.63 .00 .99

Abilità di lettura .00 .00 2.17 4.02 -1.34 .18 .67 1.63 .67 1.63 .00 .99

Abilità di scrittura .00 .00 .00 .00 .00 .99 .00 .00 .00 .00 .00 .99

* P ! .05

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5. Discussione e commento

Molte ricerche (Anderson, Avery, DiPietro, Edwards, & Christian, 1987;Lovaas, 1987; Harris, Handleman, Gordon, Kristoff, & Fuentes,1991; Birnbra-uer & Leach, 1993; McEachin, Smith, & Lovaas, 1993; Smith, Eikeseth, Klev-strand, & Lovaas, 1997; Sheinkopf & Siegel, 1998) hanno messo in evidenzache i trattamenti comportamentali intensivi e precoci consentono ai bambinicon autismo di raggiungere risultati significativi nei test standardizzati che va-lutano abilità cognitive, linguaggio, autonomie e abilità accademiche. Partendoda questi dati acquisiti, lo scopo di questo studio era quello di valutare l’effi-cacia applicata (effectiveness), cioè “la quantità” di cambiamento che riesce aprodurre un protocollo individualizzato e ragionevolmente sostenibile. A dif-ferenza di altri studi in cui sono stati utilizzati solo test normativi standardizzaticome la WISC, sono stati utilizzati anche test criteriali, come VB-MAPP eCAPIRE, per ottenere una valutazione funzionale individualizzata. La valuta-zione funzionale, che ha guidato l’intervento individualizzato, è stata analitica,individuale, oggettiva, comportamentale, criteriale, gerarchica, curriculare econtinua. Questo processo di valutazione determina la programmazione del-l’intervento: sebbene individualizzato nei contenuti, può diventare un modellomanualizzato e replicabile all’interno di un setting ambulatoriale e non solodomiciliare. I dati, soprattutto quelli relativi alla dimensione dell’effetto, di-mostrano la possibilità di un’applicazione efficace di un intervento comporta-mentale intensivo e precoce altamente individualizzato, basato sui principidell’Analisi del Comportamento anche in un setting ambulatoriale, con un im-piego di tempo e di risorse sostenibile da servizio pubblico convenzionato.

Dai risultati emerge che il gruppo dei soggetti che hanno ricevuto un trat-tamento comportamentale intensivo e precoce presentano un miglioramentostatisticamente e clinicamente (educativamente) significativo in tutte le 5 scaledi valutazione (Vineland, Griffiths, ADOS-G, VB-MAPP, CAPIRE) sia ri-spetto al punto di partenza sia in confronto al gruppo di controllo. Analizzandoil pre e post test dei sub test emerge che VB-MAPP e CAPIRE evidenzianonei loro sub test differenze statisticamente significative in un numero maggioredi sub test rispetto alle scale Vineland. Questo molto probabilmente è dovutoal fatto che questi strumenti, in modo particolare CAPIRE, sono disegnati spe-cificamente per gruppi di soggetti con disabilità e sono più sensibili ai cam-biamenti (Moderato, 2008).

Il miglioramento si verifica soprattutto nelle aree in cui vengono indagatigli operanti verbali: mand, abilità dell’ascoltatore, ecoico e vocale, cioè nellearee su cui il trattamento comportamentale si focalizzava maggiormente. Lo

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stesso avviene nelle altre abilità oggetto di training come le abilità visuo spa-ziali (VP-MTS), nel gioco e nelle abilità imitative. I sub test come “scrittura”,“lettura”, “matematica” o “intraverbale” etc. presentano punteggi molto bassisia in fase di pre test sia in fase di post test anche nei bambini del gruppo cli-nico, in quanto sia VB-MAPP sia CAPIRE seguono la linea evolutiva neurotipica e i bambini inseriti nel gruppo clinico e di controllo avevano un’etàmedia di circa 41 mesi e 38 mesi, età in cui non sono attese abilità di scrittura,lettura e matematica.

Due considerazioni finali: in primo luogo la rappresentazione “popolare”dell’ABA è spesso quella di un insieme di ricette o tecniche da applicare inmodo meccanico, quasi automatico e uguale per tutti (one-size-fits-all). Alcontrario, il suo punto di forza consiste nella possibilità di predisporre progettieducativi “realmente” individualizzati negli obiettivi (curriculum) e nei modiper raggiungerli, anche in un orizzonte temporale limitato come quello in cuisi è sviluppata questa ricerca (6 mesi). In secondo luogo un intervento con unorizzonte temporale anche limitato e con un impiego di ore settimanali rela-tivamente contenute, riesce a produrre cambiamenti significativi in repertoriimportanti. Da qui la necessità di formare personale adeguatamente preparatosulla conoscenza dell’autismo, sulla conoscenza dei principi etici e di specifi-che procedure basate sui principi dell’Analisi del Comportamento.

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Recensioni

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L’Analisi Comportamentale Applicata studia in modo sperimentale le in-

terazioni fra il comportamento di un individuo e gli eventi dell’ambiente, ne

spiega le caratteristiche e la probabilità di comparsa, la funzione e le modifiche.

Il modello teorico e metodologico, conosciuto anche con i termini inglesi Applied

Behavior Analysis e con l’acronimo ABA si esplica nell’applicazione sistematica

dei principi comportamentali con lo scopo di comprendere le funzioni di un de-

terminato comportamento e di dimostrare che, manipolando in modo controllato

alcune variabili, il comportamento cambierà. L’ABA non nasce come trattamento

specifico per l’autismo. Le ricerche hanno infatti dimostrato l’efficacia delle stra-

tegie e dei principi dell’analisi comportamentale applicata all’educazione di per-

sone di qualsiasi età sia con disturbo dello spettro autistico sia con altre disabilità.

Nel volume, un aggiornamento del libro “Handicap e modificazione del

comportamento”, scritto più di venti anni fa, l’autore presenta in modo chiaro

le strategie comportamentali e la loro applicazione in ambito educativo e for-

nisce inoltre indicazioni su come affrontare sia i problemi di apprendimento

sia di comportamento che le persone con sviluppo atipico possono presentare.

Il libro, composto da sei capitoli, si apre con una ampia introduzione finalizzata

a sottolineare l’importanza della comprensione e dell’analisi comportamento,

soprattutto nei casi di persone con funzionamento cognitivo compromesso.

Nel primo capitolo, l’autore delinea la nascita e l’evoluzione del paradigma

comportamentale, descrivendo il condizionamento classico, l’apprendimento

per selezione e connessione, il comportamentismo metodologico di Watson, il

condizionamento operante, l’apprendimento spiegato in base alla legge del-

l’effetto Skinner, l’intercomportamentismo di Kantor. Nel secondo capitolo

vengono descritte le procedure di insegnamento, quali “Il Discrete Trial Trai-

ning (DTT), Il Natural Environmental Teaching (NET); il Verbal Behavior

Teaching (VBT); il Precision Teaching; la comunicazione funzionale.

Vengono di seguito descritte le aree di intervento principali (attenzione,

l’imitazione, il gioco la competenza sociale, l’autonomia personale, la motri-

cità, la gestione del tempo libero) e presentati alcuni esempi di applicazione

dell’ABA nel trattamento delle persone con autismo, quali lo Young Autism

Giovanni Maria Guazzo.

L’analisi comportamentale applicata.

Strategie educative per genitori e insegnanti.

IRFID, Napoli, 2011, pp 550

Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità / XVI, 1 (2013)

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Recensioni

Project (YAP); il Pivotal Response Training (PRT); l’Intervento Evolutivo Mul-

ticomponeziale (IEM). Nel terzo capitolo, l’autore descrive come l’analisi spe-

rimentale del comportamento studi la relazione tra gli eventi dell’ambiente

“stimoli” e il comportamento dell’organismo “risposte”, presentando ricerche

sperimentali condotte su gruppi e su casi singoli. Il quarto capitolo affronta l’as-

sessment comportamentale e descrive le diverse modalità che possono essere

utilizzate per osservare e misurare il comportamento di una persona e i fattori

che lo influenzano. Vengono descritti gli strumenti utili per l’assessment com-

portamentale, quali le valutazioni, l’intervista comportamentale, le check-list,

l’osservazione diretta del comportamento. L’autore descrive in modo chiaro

“l’osservazione naturalista”, “diretta”, “documentaria”, “scientifica” e “parteci-

pante”. Particolare attenzione viene dedicata all’analisi funzionale del compor-

tamento, specificando in modo chiaro l’antecedente, il comportamento e le

conseguenze. Nel quinto capitolo, l’autore dopo aver sottolineato l’importanza

dell’osservazione, registrazione e misurazione del comportamento, si sofferma

sugli altri passaggi necessari alla modifica del comportamento. Descrive pertanto

le operazioni preliminari della sequenza di apprendimento (definizione degli

obiettivi e task-analysis), le tecniche di apprendimento in relazione al controllo

degli stimoli antecedenti (il suggerimento, il modellamento, l’attenuazione dello

stimolo, il modellaggio, la guida graduata) e al controllo delle conseguenze (le

contingenze positive, il rinforzamento, il concatenamento anterogrado e retro-

grado, l’ economia simbolica, contrattazione delle contingenze, il rilassamento

muscolare, il tutoring e autocontrollo). In relazione alla gestione dei comporta-

menti inadeguati l’autore oltre a descrivere le tecniche (estinzione, il rinforzo

differenziale, costo della risposta, la saziazione, l’ipercorrezione, la sospensione

del rinforzo, il blocco fisico, la punizione), fornisce esempi esplicativi. L’ultimo

capitolo affronta l’argomento sulle buone prassi per genitori e insegnanti.

Il volume rappresenta un manuale operativo di facile consultazione per

quanti, a vario titolo, interagiscono con persone con differenti tipologie di disa-

bilità, nel rispetto del rigore scientifico tipico dell’approccio comportamentale.

Grazia Trubia

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La Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della

Salute più conosciuta con l’acronimo ICF, messa a punto nel 2001 dall'OMS,

ha determinato una serie di importanti cambiamenti a livello culturale sui concetti

di salute, funzionamento e, soprattutto, disabilità e rappresenta oggi un sistema

di codifica condiviso a livello internazionale attraverso il quale descrivere e com-

prendere il funzionamento e la disabilità delle persone.

L’affermarsi di nuovi bisogni in tema di disabilità e la necessità di trovare

risposte in una prospettiva che tenga in considerazione gli aspetti così detti eco-

logico-comportamentali e psico-sociali, sottolinea ulteriormente l'importanza

che assume per gli operatori di base e per le agenzie che erogano servizi, la con-

divisione di linguaggi e strumenti adeguati.

Tuttavia, per quanto l’ICF rappresenti una classificazione esaustiva e completa

delle informazioni inerenti la salute e la disabilità, la sua applicabilità pratica è

risultata fin dall’inizio poco agevole. Pertanto, al fine di fornire strumenti appli-

cativi utili alla pratica clinica, subito dopo il 2001 è stato avviato l’ICF Cor Set

Project, con lo scopo di individuare, seguendo un approccio scientifico basato

su studi psicometrici e il coinvolgimento di esperti, liste di categorie ICF, rile-

vanti per descrivere determinate condizioni di salute e contesti di cura specifici.

Il volume, suddiviso in cinque capitoli, presenta i Core Set ICF in atto di-

sponibili.

Nel primo capitolo vengono introdotti i concetti di salute e disabilità, e viene

spiegata la scelta dell’OMS di adottare il termine “funzionamento”, per descri-

vere un aspetto pratico e positivo del concetto di salute. Il termine funziona-

mento, che fa riferimento sia a tutto ciò che le persone fanno (azioni, compiti,

competenze) sia a quello che aspirano ad essere, viene inteso come misurabile

lungo un continuum che va dal completo funzionamento alla totale assenza di

funzionamento. La disabilità in questa ottica coincide con quel livello di fun-

zionamento che si colloca al di sotto di una certa soglia lungo tale continuum.

Nel secondo capitolo viene presentato l’approccio multidimensionale dell’ICF,

in cui la disabilità non è più considerata caratteristica intrinseca di una persona,

ma il risultato di una interazione complessa fra le condizioni di salute dell’indi-

viduo e i fattori ambientali e personali. Vengono descritte le componenti Funzioni

e Strutture Corporee, Attività e Partecipazione, Fattori Ambientali e Personali, i

Bickenbach J., Cieza A., Rauch A. e Stucki G.

Core set ICF. Manuale per la pratica clinica.

Giunti O.S., Firenze 2012, pp. 134

Life Span and Disability / Ciclo Evolutivo e Disabilità

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livelli di classificazione e i qualificatori utili ad indicare il grado di difficoltà.

Nel terzo capitolo vengono introdotti i Core Set ICF, ovvero selezioni di ca-

tegorie estratte dalla classificazione ICF completa, con lo scopo di rendere più

pratico e funzionale l’utilizzo della classificazione stessa, in presenza di determi-

nate condizioni di salute. I Core Set ICF, sviluppati a seguito di un rigoroso pro-

cesso scientifico, e presentati nel volume sono trentuno. Esistono tre tipologie di

Core Set ICF, il Comprehensive Core Set ICF che permette la valutazione appro-

fondita e interdisciplinare del funzionamento delle persone in presenza di svariate

condizioni di salute, il Brief Core Set ICF da utilizzare quando è necessaria una

valutazione sommaria del funzionamento, il Minimal Generic Set, il quale, co-

stituito dalle sette categorie che meglio differenziano il funzionamento delle per-

sone, può essere utilizzato per confrontare differenti condizioni di salute e per

fornire una visione iniziale del funzionamento del paziente.

Il capitolo quarto affronta l’uso dei Core Set ICF nella pratica clinica. La

scelta del Core Set dipende dagli scopi dell’utente nel descrivere il funzionamento,

ad esempio bisogna considerare se si vuole descrivere una condizione di salute

specifica o gruppi di condizioni, quale è il contesto sanitario in cui tale descrizione

si sta svolgendo, ovvero la fase all’interno del continuum di cure che viene fornito

alla persona (fase acuta, post acuta o riabilitazione), quante informazioni si desi-

dera ottenere.

Infine nel capitolo quinto per mostrare l’applicazione dell’ICF nella pratica

professionale, vengono presentati cinque casi clinici di riabilitazione, in cui la va-

lutazione del funzionamento, ha lo scopo di ottimizzare le capacità del paziente

e rafforzare le sue risorse personali.

Al manuale è allegato un CD in cui vengono presentati tutti i Core Set ICF

attualmente disponibili che possono anche essere stampati.

Il volume, strutturato per un utilizzo multiprofessionale, può risultare di in-

teresse ed utilità sia in ambito clinico per quanti lavorano in differenti contesti

sanitari (medici, infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, psicologi, assi-

stenti sociali e altri specialisti della riabilitazione), sia in ambito didattico per do-

centi e studenti che affrontano discipline inerenti la terapia e la riabilitazione.

Tommasa Zagaria

Recensioni

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Note per i collaboratori

La rivista accetta articoli originali (non precedentemente pubblicati né in corso di pubblicazione in altra sede). Gli arti-coli proposti vanno inviati in formato elettronico, anche per e-mail all’indirizzo più avanti indicato, utilizzando una delleversioni di Microsoft Word. Una versione aggiuntiva al formato word, convertita in formato pdf mediante Acrobat Rea-der, può essere utile per consentire una chiara visione del formato desiderato dall’autore per la stampa definitiva.Il titolo dell’articolo va riportato insieme al nome dell’autore (o degli autori), l’istituzione di appartenenza, e l’indirizzoper la corrispondenza (compresi fax ed e-mail). Vanno indicate almeno tre parole chiave in inglese. Va allegato un abstract, che in un massimo di 200 parole consenta la chiara comprensione delle premesse teoriche, degliscopi e dei metodi del lavoro, nonché dei risultati essenziali e di un breve commento. Nel testo del lavoro vanno separate chiaramente le diverse sezioni. Esempio per un lavoro sperimentale: 1. Introduzione; 2. Scopo ed ipotesi della ricerca; 3. Metodologia: Procedura, Strumenti, Campione; 4. Analisi dei dati;5. Discussione e commento

Le tabelle e le figure in formato APA vanno ridotte al minimo indispensabile, raccolte su file apposito, e stampate cia-scuna su un foglio separato, insieme alla intestazione (es. Tabella 3, Figura III) seguita dalla legenda. Le figure devonoessere pronte per la riproduzione, in dimensioni circa doppie rispetto a quelle necessarie per la stampa (circa 190 x 120mm., incluse le didascalie). Nel testo va riportato il punto in cui tabelle e figure andranno inserite.Utilizzare per i deci-mali il punto (non la virgola) sia nelle tabelle sia nel testo. Nel caso di statistiche descrittive, correlazioni, statistiche in-ferenziali, ecc. riportare due cifre decimali. Non utilizzare lo zero prima delle cifre decimali quando il valore non può es-sere più grande di 1 (es. correlazioni e livello di significatività statistica).

Le citazioni nel testo vanno indicate con l’anno di pubblicazione dopo il nome dell’autore, seguito eventualmente dal nu-mero di pagina: Achinstein (1968, p. 32). Se si riportano due lavori dello stesso autore pubblicati nello stesso anno, alla da-ta va aggiunta una lettera ad es. Orne (1973a). In base alle norme A.P.A., se la citazione è dentro le parentesi si deve utiliz-zare il simbolo “&” invece di “e” ad esempio (Estes & Skinner, 1940). Al contrario se la citazione non è tra parentesi, uti-lizzare la lettera “e”, ad es. Estes e Skinner (1940). Nel caso gli autori siano da tre a sei, vanno riportati tutti la prima volta(es. Wasserstein, Zappulla, Rosen, Gerstman, & Rock, 1994), quindi solo il primo seguito da et al. ad es. Wasserstein et al.,1994, nelle successive citazioni. Nel caso gli autori siano più di sei, la prima volta che vengono citati, dopo il sesto autore uti-lizzare et al. per indicare i rimanenti. Dalla seconda citazione in poi va riportato il cognome del primo seguito da et al.

Una lista di riferimenti bibliografici, ordinati alfabeticamente, va riportata alla fine del lavoro, come nei seguenti esem-pi (attenzione va prestata all’uso appropriato della punteggiatura e dei corsivi):Achinstein, P. (1968). Concepts of science. Baltimore: John Hopkins Press.Anisman, H., Remington, G., & Sklar, L. S. (1979). Effects of inescapable shock on subsequent escape performance: Ca-

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Tutte le citazioni presenti nel manoscritto devono essere riportate in questa sezione bibliografica finale, e viceversa nonvanno inseriti in bibliografia riferimenti che non si trovano anche nel testo. Evitare per quanto possibile le note; quelle indispensabili vanno indicate nel testo con numeri progressivi collocati adesponente, e inserite secondo i criteri contenuti nel programma Microsoft Word per le note a piè di pagina. Per altre regole sulla preparazione dei manoscritti va fatto riferimento alla più recente edizione del Publication Manualof the American Psychological Association (Washington, APA). Gli autori devono firmare le dichiarazioni riguardanti l’assenza di conflitto d’interessi, il consenso informato e i dirittidella persona e degli animali.

La corrispondenza va indirizzata alla segreteria editoriale:Dr. Tommasa Zagaria, Associazione “Oasi” Maria SS. I.R.C.C.S., via Conte Ruggero 73, Troina, CAP 94018.Recapito telefonico 0935-936263/ 936233/ 936111, fax 0935-936533E-mail: [email protected] Gli articoli proposti per la pubblicazione verranno inviati in forma anonima a due referees. La risposta circa l’accetta-zione verrà inviata agli autori di norma entro tre mesi dalla ricezione dell’articolo preparato in base alle norme edito-riali sopra citate.

Il copyright dei contributi pubblicati è di proprietà dell’editore. Gli autori riceveranno gratuitamente due copie del fascicolo contenente l’articolo pubblicato. Gli estratti potranno essere ordinati, al prezzo di costo, su un apposito modulo che verrà inviato dall’editore al momen-to della comunicazione della accettazione del lavoro.

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