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DISA W ORKING P APER DISA Dipartimento di Informatica e Studi Aziendali 2011/5 Il ruolo dell’età e della dimensione nella crescita occupazionale delle PMI Italiane Marco Corsino, Roberto Gabriele, Sandro Trento

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Il ruolo dell’età e della dimensionenella crescita occupazionale delle

PMI ItalianeMarco Corsino, Roberto Gabriele, Sandro Trento

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Dipartimento di Informaticae Studi Aziendali

A bank covenants pricing modelFlavio Bazzana

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Il ruolo dell’età e della dimensionenella crescita occupazionale delle

PMI ItalianeMarco Corsino, Roberto Gabriele, Sandro Trento

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DISA Working PapersThe series of DISA Working Papers is published by the Department of Computer and Management Sciences (Dipartimento

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Marco ZAMARIAN [email protected] Organization theory

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Ricardo Alberto MARQUES PEREIRADipartimento di Informatica e Studi Aziendali

Università degli Studi di Trento

Via Inama 5, TN 38122 Trento ITALIA

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Il ruolo dell’età e della dimensione nella crescita

occupazionale delle PMI Italiane

The viability of youth and size in the employment growth

of Italian SMEs

Marco Corsinoa, Roberto Gabrieleb e Sandro Trentoc

Abstract

This paper empirically investigates gross job flows and the growth patterns of continuing limited liability

companies in Italy over the period 1996-2004, using original data on work forces and other characteristics of the

firm. The descriptive analysis reveals that the magnitude of gross job flows among small and medium-sized

companies in Italy is lower than what observed in Anglo-Saxon countries, but it is consistent with evidence for

the Euro area. Alongside, the magnitude of job flows significantly shrunk in the aftermath of the economic

downturn in 2001: firms fared worse than in the late nineties and the labour market became less efficient in

allocating job opportunities. The econometric analysis shows that size negatively affects firms’ net employment

growth, even though the negative correlation vanishes among companies with more than 24 employees. The

impact of age on growth is complex: new ventures and firms that are at most 14 years old outperform the

average firm in the sample. On the contrary, age does not have any bearing on the growth of units aged 15 years

and more, and it even represents a burden among the oldest firms in the sample.

Keywords: Gross job flows, firm growth, firm size, firm age

Parole chiave: Flussi occupazionali lordi, crescita dell’impresa, dimensione dell’impresa, età dell’impresa

Jel classification: J62, L25, L60

a Dipartimento di Scienze Aziendali, Università di Bologna, Via Capo di Lucca, 34, 40126 Bologna. e-mail: [email protected] b Dipartimento di Informatica e Studi Aziendali, Università di Trento, Via Inama, 5, 38122 Trento. e-mail: [email protected] c Dipartimento di Informatica e Studi Aziendali, Università di Trento, Via Inama, 5, 38122 Trento. e-mail: [email protected]

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Introduzione

Questo contributo presenta un’analisi empirica della dinamica occupazionale nelle piccole e

medie imprese manifatturiere italiane che si prefigge di esplorare la consistenza dei flussi

occupazionali lordi (creazione e distruzione dei posti di lavoro) per classe dimensionale ed

età dell’impresa. La rilevanza di questi fenomeni è sottolineata da recenti evidenze empiriche

che segnalano l’esistenza di flussi di posti di lavoro pervasivi e di ingente entità nei diversi

paesi OCSE (Bassanini, 2010). In aggiunta, lo studio si concentra sul contributo relativo delle

piccole imprese alla creazione di posti di lavoro, un tema molto discusso sia in ambito di

economia del lavoro (Birch, 1987; Davis et al., 1996; Haltiwanger et al., 2010) sia di

economia industriale (Sutton, 1997; Rossi-Hansberg e Wright, 2007).

Una serie di studi teorici ed empirici (Burda e Wyplosz, 1994; Davis et al., 1996; Blanchard e

Diamond, 1989 e 1990; Armington e Acs, 2004) ha riscontrato che il modo di funzionare dei

mercati del lavoro è condizionato dai fenomeni di creazione e di distruzione di posti di

lavoro. Nel caso degli Stati Uniti, ad esempio, la presenza di rilevanti flussi occupazionali ha

corroborato approcci teorici secondo i quali la disoccupazione è un fenomeno

prevalentemente frizionale (Pissarides, 2000). La dispersione geografica dei posti di lavoro e

l’eterogeneità delle competenze disponibili relativamente alle esigenze delle imprese

costituiscono fattori di frizione nel mercato del lavoro. Allo stesso tempo, la persistenza dei

flussi occupazionali nel mercato del lavoro mette in discussione la validità delle teorie che

usano la contrapposizione di gruppi diversi di lavoratori (insiders) e di disoccupati (outsiders)

per spiegare la persistenza di tassi di disoccupazione nel sistema economico.

L’analisi dei flussi lordi di occupazione ha chiarito che la riallocazione di posti di lavoro e di

input produttivi dalle imprese meno efficienti a quelle più efficienti spiega da sola una quota

molto importante dei guadagni di produttività a livello settoriale (Olley e Pakes, 1996; Baily

et al., 1996). Inoltre, essa si è dimostrata preziosa per investigare la natura del ciclo

economico e le sue relazioni con i processi di riallocazione dei posti di lavoro e dei lavoratori

(Davis et al., 1996). Fasi diverse del ciclo economico si caratterizzano per gradi differenti di

creazione e di distruzione dei posti di lavoro; anche nelle fasi di espansione dell’economia

hanno luogo significativi processi di distruzione di posti di lavoro (e viceversa, si ha

creazione di posti di lavoro anche nelle fasi recessive).

I temi concernenti l’entità dei flussi occupazionali lordi e la crescita delle imprese assumono

una particolare importanza nel caso dell’economia italiana data la prevalenza di piccole

imprese e l’intensificarsi di un processo di riduzione della dimensione media nel corso del

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tempo. Nel settore manifatturiero, in particolare, fra l’inizio degli anni settanta e la metà degli

anni novanta, l’incidenza degli addetti presso le unità con più di cinquecento addetti si è

dimezzata, scendendo al 15,1% dell’occupazione totale. In Francia l’analoga quota è scesa

dal 55,2% al 42,8%. Il calo è stato ancora inferiore negli Stati Uniti e nel Regno Unito,

mentre è stato trascurabile in Germania. Allo stesso tempo, la quota degli occupati nelle

imprese con meno di 100 addetti è aumentata ovunque; ma l’incremento è stato massimo per

l’Italia (dal 48,8% al 68,6%), seguita da Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Germania (Banca

d’Italia, 2000).

La specializzazione settoriale spiega solo in parte la frammentazione dimensionale della

industria Italiana. Se si confronta la distribuzione dimensionale delle imprese nei principali

settori delle economie europee emerge come la peculiarità italiana è quella di avere una quota

di lavoratori impiegati nelle imprese di piccole dimensioni superiore a quella media europea

nella quasi totalità dei settori (Pagano e Schivardi, 2003).

C’è pertanto in Italia un problema di “nanismo industriale” generalizzato (Traù, 1999). La

prevalenza di piccole imprese nella struttura produttiva ha una serie di implicazioni rilevanti

che in questa sede vale la pena solo di accennare. Innanzitutto, la frammentazione produttiva

si traduce, in generale, in una minore capacità innovativa e in una minore crescita della

produttività (Banca d’Italia, 2009). Sotto il profilo del lavoro, un sistema nel quale predomina

la piccola dimensione si connota per livelli retributivi mediamente più bassi e per una minore

capacità di impiego di manodopera qualificata. Le imprese più grandi, del resto, hanno più

risorse da utilizzare per aprire filiali all'estero, per accedere direttamente ai mercati di

approvvigionamento e di sbocco, per effettuare investimenti diretti. Va tenuto conto in effetti

che le imprese italiane soffrono da molti anni di una perdita di competitività evidenziata dalla

caduta delle quote di mercato sulle esportazioni mondiali e da una difficoltà di

internazionalizzazione.

Sembrano esserci in Italia rilevanti ostacoli alla crescita dimensionale delle imprese. Se si

considera l’incremento occupazionale delle nuove imprese su diversi orizzonti temporali

dopo la nascita, emerge che le nuove imprese americane già dopo due anni dalla nascita

hanno, in media, più che raddoppiato l’occupazione, a fronte di corrispondenti incrementi in

Europa inferiori al 25%. Divari simili si registrano con riferimento a orizzonti temporali più

lunghi (Bartelsman et al., 2003). Non è facile stabile quali siano i fattori che possono spiegare

la minore capacità di accrescimento dimensionale delle imprese italiane. La composizione

settoriale del sistema produttivo ha certamente una ricaduta sulle opportunità di crescita delle

imprese. Il sistema produttivo, infatti, è più presente nella produzione di beni dei settori

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tradizionali la cui domanda, negli ultimi quindici o venti anni, ha sperimentato tassi di

crescita minori rispetto alla domanda per i beni a maggiore contenuto tecnologico o per

alcune tipologie di servizi avanzati. La crescente concorrenza nei settori maturi e tradizionali

proveniente dai produttori localizzati nei paesi emergenti ha accresciuto le difficoltà per le

imprese italiane. Ricerche di natura comparata (La Porta et al., 1997 e 1998) suggeriscono,

inoltre, che paesi con sistemi giudiziari più efficienti sono caratterizzati da una dimensione

d’impresa più alta, particolarmente in settori con un’alta quota di capitale intangibile. La

regolamentazione del mercato del lavoro è un altro fattore istituzionale spesso indicato come

determinante per la dimensione d’impresa. Parte della normativa economica italiana prevede

disposizioni che variano al mutare della dimensione e potrebbero indurre le piccole imprese a

frenare la propria crescita nel timore di dover fronteggiare una più onerosa legislazione a

protezione dei diritti dei lavoratori. Va tuttavia osservato che l’evidenza empirica disponibile

suggerisce che l’impatto della soglia sulla propensione a crescere delle imprese nel breve,

così come nel lungo periodo, è quantitativamente esiguo (Torrini e Schivardi, 2003).

Il dibattito sulla questione dimensionale in Italia è stato rivitalizzato da una riflessione

concernente l’emergere di un segmento di medie imprese che costituirebbe una delle

componenti più dinamiche dell’industria italiana. Queste aziende avrebbero le caratteristiche

per affermarsi come un sistema organizzativo stabile e potrebbero costituire il vivaio per le

grandi imprese di cui il paese è carente (Corbetta, 2000; Alzona, 2007). Sebbene alcune

evidenze empiriche avvalorino l’idea che le medie imprese abbiano sperimentato una

redditività positiva e tassi di crescita superiori a quelli delle grandi imprese, anche durante il

rallentamento economico di inizio millennio (Coltorti, 2004), e che esse perseguano strategie

di internazionalizzazione più evolute delle piccole imprese (Rossi, 2008), «la conoscenza del

fenomeno è però tuttora assai vaga, e in ogni caso tuttora al di sotto di quanto necessario ai

fini di qualsiasi ambizione di governo delle sue tendenze» (Arrighetti e Traù, 2007, p. 554).

Il presente lavoro intende contribuire al dibattito sulla questione dimensionale delle imprese

italiane proponendo una serie di riflessioni basate su evidenze empiriche originali. In primo

luogo, esso fornisce nuova evidenza sui flussi occupazionali lordi e sulla dinamica

dell’occupazione utilizzando una collezione originale di dati che riguarda oltre 8.300 imprese

manifatturiere italiane negli anni 1996-2004. In secondo luogo, cerca di quantificare la

capacità relativa delle piccole e medie imprese di creare posti di lavoro analizzando in

maniera sistematica una porzione della distribuzione dimensionale che i precedenti contributi

hanno in parte trascurato (Becchetti e Trovato, 2002; Fagiolo e Luzzi, 2006; Bottazzi et al.,

2007; Angelini e Generale, 2008). In terzo luogo, la presente analisi si propone di distinguere

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il contributo relativo della dimensione e dell’età nei processi di crescita delle imprese

prestando particolare attenzione ad una serie di fattori (criteri alternativi concernenti la

definizione della dimensione d’impresa, criteri alternativi per definire le soglie dimensionali,

ecc.) che possono minare la robustezza delle evidenze empiriche.

Il lavoro è organizzato nel modo seguente. La sezione 1 discute i problemi di misurazione e

di definizione delle variabili che lo studio dei flussi occupazionali pone, e descrive i dati

utilizzati nell’analisi empirica. La sezione 2 presenta le statistiche descrittive dei flussi

occupazionali calcolate impiegando diversi criteri di raggruppamento delle aziende. La

sezione 3 è dedicata all’analisi econometrica della relazione tra dimensione, età delle imprese

e tassi di crescita dell’occupazione. Seguono le considerazioni conclusive ed alcune

implicazioni di politica industriale.

1. Problemi di misurazione e dati utilizzati

1.1. Definizioni di base

La letteratura fornisce diverse definizioni del concetto di flussi occupazionali e vari modi per

stimarli, sottolineando le possibili distorsioni che ciascuna procedura presenta (Davis e

Haltiwanger, 1992; Badwin e Picot, 1995; Davis et al., 1996; Carree e Klomp, 1996; Contini

e Revelli, 1997; Davidsson et al., 1998). La difficoltà principale risiede nell’identificare i

flussi occupazionali per la singola impresa, nella quale un posto di lavoro è definito come una

posizione che può essere occupata da un lavoratore. Va sottolineato che il flusso di lavoratori

è un concetto leggermente diverso rispetto a quello di flusso occupazionale, anche se in parte

c’è una sovrapposizione. Per esempio, un’impresa potrebbe decidere di licenziare un

lavoratore senza eliminare il corrispondente posto di lavoro. In realtà, sono pochissimi i

microdati adatti per misurare i flussi occupazionali a livello di singola impresa.

Il metodo comunemente impiegato per misurare i posti di lavoro creati dentro un’impresa è

quello di considerare il numero di dipendenti in due periodi di tempo e di confrontarli. Si

definisce pertanto come creazione di posti di lavoro per il gruppo di imprese s - dove il

raggruppamento può riferirsi a dimensioni quali l’attività economica, la classe dimensionale,

la localizzazione geografica, ecc. - al tempo t ( stJC ) l’incremento di occupazione nelle

imprese che fanno registrare un saldo occupazionale positivo (dove il confronto è svolto

tenendo conto dei livelli di occupazione al tempo t-1 e al tempo t) più il numero di occupati

nelle nuove imprese che entrano nel gruppo s al tempo t. In modo simile, la distruzione di

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posti di lavoro al tempo t nel raggruppamento s ( stJD ) si misura come la somma delle

diminuzioni nei livelli occupazionali delle imprese che fanno registrare un saldo negativo dei

posti di lavoro più le diminuzioni nel numero di occupati dovute all’uscita di impresa dal

raggruppamento in oggetto. I tassi di crescita nella creazione e nella distruzione di posti di

lavoro sono ottenuti dividendo il livello di creazione e di distruzione per una misura di

dimensione del raggruppamento.

In letteratura (Baldwin e Picot, 1995; Davis et al., 1996; Carree e Klomp, 1996; Davidsson et

al, 1998) sono state utilizzate almeno tre differenti definizioni4 della dimensione d’impresa:

(a) dimensione all’anno base (Zit=Nit-1) che utilizza il numero degli occupati nell’anno base

come proxy della dimensione dell’impresa; (b) dimensione corrente ( )(5,0 1−+⋅= ititit NNZ )

che si basa sul numero medio di occupati dei due periodi contigui t e t-1; (c) dimensione

media passata5 ( )(5,0 21 −− +⋅= ititit NNZ ) che si basa sul numero medio di occupati dei due

periodi contigui t-1 e t-2. Le misure (b) e (c) hanno il vantaggio di ridurre le distorsioni

dovute ad errori di misurazione e ad oscillazioni congiunturali che possono avere un impatto

sulla dimensione delle piccole imprese. La misura (c), inoltre, risolve un problema logico,

implicito nella definizione di dimensione corrente, che mina lo studio della relazione causale

tra dimensione e crescita dell’impresa. La definizione di dimensione corrente, infatti,

considera la variazione occupazionale che ci si propone di analizzare come un elemento

costitutivo della classificazione dimensionale dell’impresa, violando in tal modo il principio

elementare secondo cui deve esistere un ordine temporale tra variabile dipendente e variabili

esplicative (Davidsson et al., 1998).

4 Davis et al. (1996) propongono una quarta misura basata su una media di lungo periodo del numero di addetti dell’impresa. Tale misura se da una parte riduce i movimenti transitori delle imprese in termini dimensionali dall’altra cancella gran parte della dinamica presente nei dati (anche avendo a disposizione un panel di dati l’uso della misura implica di fatto la stima di un’equazione di regressione cross-sezionale) e risulta di difficile giustificazione da un punto di vista logico; si veda il commento per la misura (c) nel testo. Una delle principali motivazioni per l’impiego di misure alternative è la necessità di minimizzare un problema statistico noto come “fallacia distributiva”. L’analisi dei flussi occupazionali per dimensione d’impresa richiede una suddivisione delle imprese per classe dimensionale. Quando questo tipo di analisi viene condotta su dati longitudinali e su soglie arbitrarie può comportare delle distorsioni, note come “fallacia distributiva” ("distribution fallacy"). La fallacia distributiva, come è stato osservato da Davis et al. (1996), è relativa al possibile salto dimensionale delle imprese da una classe a un’altra. Più grande è il salto dimensionale maggiore rischia di essere la sovrastima del peso relativo delle piccole imprese nella creazione e nella distruzione di posti di lavoro. Il problema inoltre potrebbe essere aggravato dalla natura temporanea di questo tipo di fluttuazioni. 5 Baldwin e Picot (1995) definiscono questa misura come previous year measure. In questo lavoro si è preferito impiegare la definizione di dimensione media passata per sottolineare il fatto che la dimensione è calcolata come media tra due livelli occupazionali contigui e per non creare confusione con la definizione di dimensione all’anno base.

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Il tasso di crescita dell’occupazione per l’impresa i-esima è dato da: it

itit Z

Ng Δ= . Si noti che il

tasso di crescita calcolato secondo il metodo della dimensione corrente ha valori compresi tra

2,2][− e ha un andamento simmetrico nelle fasi di contrazione e in quelle espansive.

Sfruttando le definizioni date possiamo allora calcolare il tasso di creazione di posti di lavoro

per il gruppo di imprese s nel seguente modo:

!"!" =  !!"!!"!!" =

!"!"!!"!∈!! [1]

Allo stesso modo, il tasso settoriale di distruzione dei posti di lavoro è dato da:

!"!" =  !!"!!"!!" =

!"!"!!"!∈!!

[2]

Le equazioni [1] e [2] mostrano che i tassi di creazione e di distruzione possono essere

espressi come una media ponderata dei tassi individuali di crescita, dove i pesi sono costituiti

dalle quote dell’occupazione. Altre importanti definizioni per l’analisi dei flussi

occupazionali (Davis et al., 1996) sono di seguito riportate.

Tasso di crescita netto dell’occupazione: ststst jdjcnet −= , che identifica il cambiamento

netto del livello di occupazione come risultato della creazione e della distruzione di posti di

lavoro.

Tasso di riallocazione totale dei posti di lavoro: ststst jdjcjr += , che rappresenta la misura

del livello di “attività” lorda nel mercato del lavoro, e costituisce una misura del capacità

complessiva del sistema di creare e distruggere posti di lavoro.

Tasso di riallocazione di posti di lavoro in eccesso: ||= ststst netjrxjr − , che costituisce un

indicatore della capacità del mercato del lavoro di riallocare posti di lavoro una volta che si

sia controllato l’effetto della crescita; questo indice fornisce una misura dei cambiamenti nei

posti di lavoro necessari per ogni mutamento nell’occupazione.

1.2. Dati

L’analisi empirica presentata in questo contributo utilizza una banca dati che contiene

informazioni su 8.314 società di capitale italiane operanti nel settore manifatturiero tra il

1996 ed il 2004. La banca dati consente di effettuare analisi approfondite sulla dinamica delle

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imprese italiane ad un livello d’osservazione comparabile con lo stabilimento di produzione,

per un lungo arco temporale. La fonte iniziale dei dati è l’archivio AIDA del Bureau Van

Dijk’s, che fornisce informazioni dettagliate di tipo finanziario, sulla localizzazione

geografica, sul numero di addetti e sulle unità locali per un ampio insieme di società di

capitale operanti in Italia. Dall’archivio originale è stato estratto un sotto-insieme di imprese

che si distinguono per avere una sola localizzazione produttiva e per aver operato

ininterrottamente nei nove anni considerati in questa ricerca.

Un problema che riguarda la banca dati AIDA è la mancanza del dato sul numero di addetti

per molte aziende e, ove presente la sua inaccuratezza. Per ovviare a questo problema il

vettore occupazionale è stato corretto impiegando i dati provenienti dalle dichiarazioni

previdenziali mensili delle imprese italiane (modelli DM10).6 In particolare, è stato possibile

rivedere i dati dell’occupazione facendo riferimento al numero medio annuale di addetti per

tutte le imprese del campione. La procedura di integrazione ha permesso di condurre l’analisi

empirica su dati occupazionali molto affidabili, una caratteristica considerata indispensabile

dalla letteratura di riferimento (Haltiwanger et al., 2010; Neumark et al., 2011).

Una serie di caratteristiche della banca dati utilizzata differenziano il presente contributo da

gran parte della letteratura empirica sulle imprese italiane (Becchetti e Trovato, 2002; Fagiolo

e Luzzi, 2006; Bottazzi et al., 2007; Angelini e Generale, 2008). Innanzitutto, analizzando

imprese con una singola localizzazione produttiva si è riusciti ad adottare un livello di

osservazione più simile a quello utilizzato in molti studi internazionali, lo stabilimento di

produzione. Inoltre, focalizzando l’attenzione su imprese uni-localizzate si è potuto

investigare il processo di crescita “organica” dell’impresa: infatti, i cambiamenti nella

proprietà derivanti da acquisizioni e fusioni hanno impatti limitati sul gruppo di imprese

incluse nel campione. Si è potuto anche esplorare come il funzionamento dei mercati locali

del lavoro influisce sulle dinamiche industriali in atto, eliminando gli effetti spuri derivanti

dalla riallocazione intra-gruppo degli impianti e del personale. La disponibilità di

informazioni sull’età dell’impresa ha permesso, infine, di controllare per un fattore che può

influenzare la relazione tra dimensione dell’impresa e la sua propensione a creare e a

distruggere posti di lavoro (Evans, 1987; Dunne e Hughes, 1994; Haltiwanger et al., 2010).

La dimensione media delle imprese del campione, nei nove anni considerate, è di circa

cinquanta addetti: questo elemento caratterizza ulteriormente il presente studio perché

permette di realizzare una sistematica analisi del segmento delle piccole e medie imprese, un 6 L’integrazione dei due archivi è stata realizzata nel rispetto delle norme vigenti sulla riservatezza dei dati e della privacy.

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segmento che diversi studi precedenti hanno in parte trascurato. Le distribuzioni delle

imprese e degli addetti del campione (Tabella A1, in appendice) per settore ATECO a due

cifre sono coerenti con le distribuzioni delle società di capitale uni-localizzate e dei loro

addetti ricavate dal Censimento dell’industria per l’anno 2001. Tenuto conto di queste

caratteristiche si può ritenere che i risultati empirici ottenuti in questo lavoro siano

sufficientemente rappresentativi dei processi in atto tra le società di capitale italiane. Tuttavia,

va osservato che le società di capitale con un singolo stabilimento rappresentavano nel 2001

il 17,5% del totale delle imprese manifatturiere italiane e occupavamo il 33,9% del totale

degli addetti al settore manifatturiero.

2. Analisi descrittiva

2.1. Magnitudine

Il primo insieme di evidenze proposte permette di valutare l’entità dei flussi di posti di lavoro

nel periodo sotto esame. La Tabella 1 riporta i valori medi degli indicatori selezionati per

l’analisi dei flussi occupazionali. La riga finale della tabella evidenzia come l’occupazione

nelle imprese del campione sia cresciuta in media dell’1% su base annua nel periodo 1997-

2004. La crescita netta osservata dell’occupazione è il risultato dei tassi di creazione di posti

di lavoro nei dodici mesi, che in media sono stati pari al 4,8%, e dei tassi di distruzione di

posti di lavoro nei dodici mesi, che in media sono stati pari al 3,8% tra il 1997 e il 2004. I

tassi di riallocazione dei posti di lavoro sono stati in media dell’8,5% suggerendo che, nel

settore manifatturiero, circa un posto di lavoro su undici è stato creato o distrutto nell’arco di

un anno. Infine, la riallocazione in eccesso di posti di lavoro, un indicatore che cattura la

capacità complessiva del sistema di creare posti di lavoro in eccesso rispetto alla quantità

necessaria per far fronte all’incremento di occupazione osservato, è stata in media del 7,6%

all’anno.

[Inserire qui Tabella 1]

I risultati presentati nella Tabella 1 indicano che la magnitudine dei flussi occupazionali per il

campione analizzato è piuttosto ridotta se confrontata con quella di altri studi analoghi

condotti sui flussi occupazioni lordi medi (Davis et al., 1996; Contini e Revelli, 1997; Hijzen

et al., 2010; Neumark et al., 2011). Una serie di considerazioni però, suggerisce una grande

cautela nell’intraprendere un simile confronto. In primo luogo, in Italia (come in altri paesi

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europei) la legislazione sul mercato del lavoro rende difficile il licenziamento dei lavoratori

(permanenti) e anche per questa ragione scoraggia le imprese ad assumere nuovi lavoratori.

Le rigidità del mercato del lavoro mettono spesso in difficoltà le imprese nelle fasi negative

del ciclo e riducono d’altro lato i tassi di uscita dei lavoratori dallo stato di disoccupazione.

Queste forze possono spiegare in parte l’esiguità dei flussi occupazionali così come

suggeriscono i risultati di indagini empiriche condotte da Gomez-Salvador et al. (2004):

questi autori ottengono una stima dei tassi di creazione di posti di lavoro pari al 5,6% e tassi

di distruzione dei posti di lavoro pari al 3,7% per un ampio campione di società di capitale

operanti in diversi paesi europei tra il 1992 e il 2000.

In secondo luogo, è opportuno osservare che le imprese manifatturiere in generale mostrano

flussi occupazionali più contenuti rispetto a quelli che si osservano in altri settori produttivi

sia a livello nazionale (Contini et al., 2002) sia a livello regionale (Cefis e Gabriele, 2009).

Inoltre, avendo preso in considerazione solo imprese con una singola localizzazione l’analisi

qui svolta è molto vicina agli studi a livello di stabilimento produttivo che evidenziano flussi

occupazionali minori rispetto a quelli che si osservano quando l’analisi è svolta a livello di

imprese (Davis et al., 1996; Neumark et al., 2011).

In terzo luogo, va tenuto conto che la contrazione del ciclo economico avvenuta nel 2001 ha

comportato una riduzione dell’occupazione manifatturiera e, più in generale, una minore

fluidità del mercato del lavoro. In effetti, un confronto dei flussi occupazionali medi nel

periodo 1997-2000 con quelli del periodo 2001-2004 mette in risalto una diminuzione di più

di due punti percentuali nel tasso di creazione di posti di lavoro e un incremento di un punto

percentuale e mezzo nel tasso di distruzione di posti di lavoro. L’effetto congiunto di queste

dinamiche è stato un calo netto del tasso di crescita dell’occupazione dal 2,8% allo -0,8% e

una diminuzione dell’efficienza con cui il mercato crea e simultaneamente distrugge

posizioni di lavoro - l’eccesso di riallocazione occupazionale è cresciuto dal 6% al 7,5% - per

far assorbire il tasso di crescita dell’occupazione.

2.2. Flussi occupazionali per dimensione ed età d’impresa

La Tabella 2 riporta i valori medi degli indicatori utilizzati per l’analisi dei flussi

occupazionali per classe dimensionale delle imprese. Le classi dimensionali sono individuate

secondo le convenzioni correntemente adottate dall’ufficio nazionale di statistica (ISTAT) e

consentono di identificare le micro, piccole e medie imprese secondo i criteri definiti dalle

disposizioni della Commissione Europea in materia di aiuti alle imprese. La tabella riporta i

risultati riferiti alle tre definizioni di dimensione d’impresa discusse nella sezione 1.

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Dai risultati emerge una forte regolarità relativa alle piccole imprese che mostrano una

propensione maggiore a creare così come a distruggere posti di lavoro rispetto alle imprese

più grandi. L’uso delle diverse misure modifica la magnitudine del fenomeno ma non lo

compromette. I tassi di creazione di posti di lavoro ottenuti con la misura dimensionale

all’anno base declinano da una media del 12,4%, nella classe dimensionale 1-9 addetti, a una

media del 3,1% per le imprese con più di 250 dipendenti. I tassi di distruzione di posti di

lavoro diminuiscono di oltre la metà passando dal 3,9% della prima classe al 2,9% tra le

imprese più grandi del campione. L’effetto congiunto di queste due componenti genera tassi

di crescita dell’occupazione netta che appaiono negativamente correlati con la dimensione

degli impianti: si passa dal 8,5% della prima classe allo 0,1% delle grandi imprese. Tale

relazione non sembra essere robusta rispetto all’uso di una misura alternativa della

dimensione d’impresa: infatti, l’impiego della dimensione corrente cancella l’evidenza.

Al contrario, il livello di attività nel mercato del lavoro, cioè il tasso di riallocazione dei posti

di lavoro, diminuisce al crescere dell’impresa in modo simile con tutte le misure usate: nelle

stime basate sulla dimensione all’anno base, il valore medio riferito alle imprese più piccole

(16,2%) è oltre due volte più grande di quello calcolato per le grandi imprese (6%). Simile è

la stima se si considerano i tassi di riallocazione basati sulla dimensione media passata (si

passa da un 15,9% per le micro-imprese ad un 6,1% per la grandi) e la misura della

dimensione corrente (si passa dal 13,6% al 6,2% per le grandi). Dal momento che il tasso di

riallocazione misura la dispersione della distribuzione dei tassi di crescita, i risultati ottenuti

suggeriscono che le piccole imprese presentano una maggiore volatilità rispetto a concorrenti

di maggiori dimensioni.

[Inserire qui Tabella 2]

Il tasso di riallocazione in eccesso, calcolato sulla base della dimensione riferita all’anno base

e della dimensione media passata, indica l’esistenza di livelli di efficienza comparabili per

tutti i gruppi di imprese (con tassi compresi tra il 9% e il 7%), con l’eccezione delle grandi

imprese in cui il valore medio è prossimo al 6%. L’impiego della definizione di dimensione

corrente, invece, segnala una relazione monotona non crescente tra eccesso di riallocazione e

dimensione d’impresa: si passa dal 12,4% per le imprese tra 1 e 9 addetti al 5,0% delle

imprese oltre 250 addetti.

La Tabella 3 riporta i valori lordi e netti dei flussi occupazionali per classe di età

dell’impresa. Una regolarità che emerge dalla tabella riguarda i tassi di creazione di posti di

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lavoro che declinano quasi proporzionalmente con il raddoppiare dell’età dell’impresa.7 Le

imprese di età non superiore ai sette anni mostrano un tasso medio di creazione di posti di

lavoro dell’8%, quelle con un’età compresa tra 16 e 25 anni sperimentano un tasso medio del

4,7% ed, infine, le imprese che sono da oltre 50 anni sul mercato presentano un tasso medio

del 2,6%. Viceversa, non sembra esistere alcuna relazione sistematica tra tasso di distruzione

di posti di lavoro ed età dell’impresa: i valori medi lungo il periodo analizzato variano da un

minimo del 3,5% tra le imprese più giovani ad un massimo del 3,9% tra le imprese della

seconda e quinta classe di età.

[Inserire qui Tabella 3]

Il tasso di variazione netta dell’occupazione decresce in modo monotono rispetto all’età

dell’impresa e diventa negativo per le imprese più vecchie del campione. Questo andamento è

coerente con l’idea che le imprese più giovani e dinamiche godano di un vantaggio relativo

nel catturare nuove opportunità di mercato rispetto ad aziende mature. Mentre la giovane età

d’impresa è associata a migliori prospettive di crescita media, la volatilità dell’occupazione è

maggiore tra le imprese che si trovano nei primi stadi del loro ciclo di vita e declina

drasticamente con il passare del tempo: il tasso di riallocazione medio cala dal 11.5% nella

prima classe al 6.5% per le imprese con 50 anni ed oltre.

3. Analisi econometrica

In questa sezione si approfondisce lo studio del legame esistente tra crescita, dimensione ed

età dell’impresa attraverso un’analisi econometrica. Viene prima stimato un modello di base

e poi diverse specificazioni per permettere di investigare la sensitività dei risultati al metodo

utilizzato per misurare la dimensione d’impresa e, conseguentemente, per il calcolo dei tassi

di crescita e per la suddivisione delle imprese nelle classi dimensionali. Il confronto tra i

risultati dei diversi modelli permette di valutare l’impatto dell’interazione tra la scelta delle

classi dimensionali ed il fenomeno della reversione verso la media che può causare una

sovrastima del contributo fornito dalle piccole imprese alla crescita. Inoltre, la robustezza dei

risultati viene valutata anche rispetto ad una costruzione alternativa delle classi dimensionali

e delle corrispondenti numerosità all’interno di ciascuna classe. Infine, l’analisi di sensitività

7 Si noti che questa regolarità è robusta benché la struttura chiusa del nostro panel di dati implica che il numero di imprese nella prima classe di età diminuisca con il passare del tempo.

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permette di apprezzare il ruolo condizionante dell’età nella relazione tra dimensione e

crescita d’impresa.

L’analisi è condotta facendo riferimento alla metodologia proposta da Haltiwanger et al.

(2010) secondo cui i tassi di crescita delle imprese sono regrediti rispetto ad una serie di

variabili dummy che identificano le caratteristiche strutturali delle imprese. Il modello di base

ha la seguente forma funzionale:

!"!" = a+ b! !"!",!!!!!!! + b! !"#à!",!!!!

!!! + b! !"#$$%&#!",!!!!!!! + b! !"#$!",!!!!

!!! +

b! !"##$!",!!!!!!! + !!", [3]

in cui la variabile dipendente (grit) rappresenta il tasso di crescita annuale dell’impresa i-

esima. Le variabili indipendenti del modello sono rappresentate da una serie di gruppi di

variabili dummy relative alle seguenti variabili esplicative: la dimensione dell’imprese (DZit)

misurata dal numero di addetti in cui D=5 rappresenta il numero di classi considerato; l’età

delle imprese (Detà) in cui E=4 (numero di classi di età); il settore di attività dell’impresa a

livello 2 digit secondo la classificazione Ateco 2002 (Dsettoreit) in cui S=22 (numero di

settori considerati); l’area geografica di riferimento (Dgeoit) in cui G=4; le variabili dummy

relative all’anno d’osservazione (Dannoit) in cui T=8. Il modello include un disturbo

distribuito normalmente con media zero e varianza finita (εit). Le diverse specificazioni del

modello di base differiscono oltre che per la scelta di includere o meno controlli relativi

all’età dell’impresa per la scelta della misura utilizzata per definire la dimensione d’impresa.

Si noti che al variare della scelta effettuata per definire la dimensione d’impresa si ha una

diversa struttura delle classi dimensionali e una diversa stima dei tassi di crescita.

La stima di un modello di regressione con sistemi di variabili dummy, come quello

nell’equazione [3], impone una serie di restrizioni sui parametri. La scelta generalmente

adottata prevede l’omissione di una categoria individuata in modo arbitrario per ogni sistema

di dummy. I coefficienti stimati, di conseguenza, sono interpretati come scostamenti

dell’osservazione appartenente ad una specifica categoria rispetto alla categoria omessa.

Questo approccio può causare difficoltà interpretative e per ovviare a questo inconveniente si

fa riferimento al modello ausiliario:

!"!" = a+ !!∗ !"!",!!!!! + !!∗ !"#à!",!!

!!! + !!∗ !"#$$%&#!",!!!!! + !!∗ !"#$!",!!

!!! +

!!∗ !"##$!",!!!!! + !!", [4]

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in cui per ogni sistema di variabili vengono incluse tutte le categorie. I coefficienti del

modello [4] risultano essere riscalati rispetto a quelli del modello [3] secondo la relazione:

b*jl=bjl+kl, dove la costante kl è data da (Sweeney and Ulveling, 1972; Zanchi, 1998):

(!!" + !!) ∙ !!" = 0!!!!! , [5]

in cui Pj rappresenta il peso in termini di addetti della classe j-esima. Per la Nl-esima

categoria omessa nel modello originario il coefficiente risulta pari a kj. Per quanto riguarda la

costante del modello, la trasformazione la rende pari alla media generale del tasso di crescita

del campione: !"! = !∗ = ! + !!!!!! . L’impiego di questo modello ausiliario permette,

quindi, di interpretare i coefficienti stimati per i diversi sistemi di dummy come scostamenti

dalla media generale della variabile dipendente riferita all’intero campione.

[Inserire qui Tabella 4]

La Tabella 4 riporta i parametri associati alle variabili di interesse, età e dimensione

d’impresa, mentre gli altri sistemi di dummy sono utilizzati come controlli e non vengono

discussi. Tutti i coefficienti stimati sono significativamente diversi da zero con l’eccezione di

quelli relativi alla classe di imprese tra 1 e 9 addetti, quando si considera la definizione di

dimensione corrente, ed alla classe di imprese con un’età compresa tra 16 e 25 anni. La

capacità esplicativa del modello appare bassa se si considera l’R2; questa evidenza è in parte

spiegata dalla perdita di contenuto informativo che si ha quando le variabili continue sono

trasformate in dummy ed appare in linea con quella di altri studi (Haltiwanger et al, 2010).

Al fine di rendere più immediata l’interpretazione dei risultati, i coefficienti relativi alla

dimensione d’impresa e all’età, con i relativi intervalli di confidenza al 95%, sono

rappresentati graficamente nelle figure 1 e 2. In entrambe le figure i valori sull’asse delle

ordinate rappresentano le deviazioni (in percentuale) dal tasso di crescita medio calcolato su

tutto il campione. La quota zero nelle figure rappresenta un risultato in linea con la media

generale del tasso di crescita. Sull’asse delle ascisse sono riportate in modo ordinale le classi

dimensionali (Figura 1) e le classi di età (Figura 2).

L’utilizzo della misura facente riferimento all’anno base per catturare la dimensione

d’impresa indica l’esistenza di una relazione inversa non lineare (correlazione negativa) tra

tasso di crescita e dimensione d’impresa. Le micro imprese crescono mediamente di circa 8

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punti percentuali in più rispetto all’impresa media, mentre quelle che occupano tra i 10 ed i

19 addetti realizzano una performance di 2 punti percentuali superiore alla media. I

coefficienti associati alle imprese grandi appartenenti alle ultime due classi dimensionali sono

negativi e significativi, mentre le aziende che occupano da 20 a 99 addetti non sembrano

avere comportamenti difformi da quelli della media del campione. L’aggiunta di controlli per

l’età dell’impresa non modifica l’evidenza e la relativa interpretazione, anche se la correzione

per l’età riduce la magnitudine dei coefficienti delle classi dimensionali per le prime tre classi

del campione: la giovane età delle piccole imprese è responsabile di parte del risultato.

[Inserire qui Figura 1]

I risultati cambiano in modo radicale quando si considera la media corrente della dimensione

d’impresa. In questo caso, infatti, la relazione negativa tra crescita e dimensione sembra

svanire. Analogamente a quanto visto in precedenza, l’aggiunta di controlli per l’età non

cambia i risultati in modo significativo. Questo risultato è coerente, benché di diversa

magnitudine, con le evidenze presentate da Bassanini (2010) il quale rileva che le piccole

imprese non forniscono un contributo differenziale alla crescita di un campione di aziende

italiane. L’evidenza, inoltre, è coerente con quanto osservato per le imprese manifatturiere

operanti negli Stati Uniti (Haltiwanger et al., 2010; Neumark et al., 2011).

Una lettura complessiva dell’evidenza suggerisce che la scelta della misura dimensionale è

cruciale per concludere a favore o meno del ruolo positivo delle piccole imprese nel processo

di crescita del sistema. Questo è dovuto a una diversa variabilità dei tassi di crescita nelle

diverse classi dimensionali: le imprese piccole possono sperimentare tassi di crescita più

grandi rispetto ai tassi di crescita delle imprese di maggiori dimensioni. Se si considera la

dimensione all’anno base tale eterogeneità nella variabilità dei tassi di crescita governa il

risultato; mentre se si usa la definizione di dimensione corrente, si sterilizza parte della

relazione negativa tra variabilità dei tassi di crescita e dimensione e il contributo delle piccole

non appare più discriminante. Maggiori dettagli su questo aspetto saranno forniti nel resto

della sezione.

L’analisi del ruolo dell’età nello spiegare la crescita d’impresa (Figura 2) rivela l’esistenza di

una relazione negativa non lineare tra le due variabili sotto esame. I risultati mostrati

derivano da una regressione in cui le classi dimensionali sono state escluse (solo classi di età

e controlli) e da due regressioni in cui sono incluse le classi dimensionali, definite secondo le

due definizioni considerate in precedenza. I coefficienti per tutte le classi di età sono

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significativamente diversi da zero con l’eccezione della classe che comprende le unità con

un’età compresa tra 16 a 25 anni. In particolare, le imprese appartenenti alle prime due classi

sono quelle con un potenziale di crescita maggiore rispetto alla media del campione, ma

inferiore ai 2 punti percentuali. Viceversa, le ultime due classi mostrano risultati sotto la

media. La lettura combinata dei risultati sulla dimensione e sull’età delle imprese suggerisce

che l’evidenza sul ruolo positivo delle giovani imprese è robusta a specificazioni alternative

del modello di regressione, mentre il risultato sulla dimensione può risentire di shock

transitori nel numero di addetti.

[Inserire qui Figura 2]

Sulla scorta di questa osservazione, la robustezza dei risultati è valutata prendendo in

considerazione un’ulteriore definizione di dimensione d’impresa ed individuando in maniera

diversa le soglie delle classi di addetti, una scelta quest’ultima che tiene conto della scarsa

numerosità in alcune delle classi sopra considerate.

La definizione di dimensione corrente d’impresa risente di un problema legato ai nessi di

causalità che vanno dalle caratteristiche strutturali delle imprese alla loro capacità di crescita

(Baldwin e Picot, 1995). È possibile allora mantenere la logica insita in tale misura (la

volontà di neutralizzare l’incidenza di fattori transitori sulla crescita) ed evitare il problema di

simultaneità tra variabile dipendente e variabili esplicative utilizzando la definizione di

dimensione media passata. La Figura 3 mostra i risultati delle regressioni stimate usando

questa misura e controllando per l’età dell’impresa. Essa propone, inoltre, un confronto con i

risultati ottenuti utilizzando le definizioni di dimensione all’anno base e dimensione corrente

dell’impresa.

[Inserire qui Figura 3]

La relazione negativa tra dimensione e crescita emerge anche in questo caso, benché la

magnitudine dell’effetto è minore rispetto a quanto riscontrato quando si impiega la

dimensione all’anno base. Nello specifico, le micro imprese realizzano una crescita media di

6 punti percentuali superiore all’intero campione, mentre per le imprese con meno di 20

addetti il differenziale di crescita è di poco inferiore ai 2 punti percentuali. Questo riscontro

indica che i fattori transitori nell’occupazione assumono un certo peso solo nella crescita

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delle micro imprese, mentre per le unità di dimensione maggiore l’evidenza empirica non

sembra essere condizionata da effetti statistici di regressione verso la media.

La relazione negativa tra l’età delle imprese e la loro crescita (Figura 4) è robusta alla diversa

definizione della dimensione e la magnitudine dell’effetto è in linea con le evidenze ottenute

con le altre misure dimensionali (con l’eccezione della prima classe di età per la quale il

coefficiente si riduce di circa 0.6 punti percentuali).

[Inserire qui Figura 4]

Il secondo aspetto critico da analizzare è il ruolo esercitato dalle soglie riferite alle classi

dimensionali e di età. Sebbene la metodologia impiegata permette di non fare assunzioni sulla

forma della relazione funzionale tra dimensione d’impresa e crescita netta e tra età delle

imprese e crescita netta, essa ha lo svantaggio di non chiarire quale sia l’influenza sui risultati

della scelta di classi dimensionali e di età che differiscono in termini di limite inferiore e

superiore. Per ovviare a questo inconveniente le imprese sono state suddivise in gruppi

utilizzando come soglie delle classi i decili delle distribuzioni dimensionali e di età.

L’applicazione di questo criterio offre anche l’opportunità di discutere il ruolo delle

istituzioni nel mercato del lavoro italiano visto che la prima classe dimensionale risulta

comprendere imprese aventi al massimo 14 addetti, la soglia che identifica il limite al di

sopra del quale l’azienda sperimenta una serie di restrizioni sulla mobilità in uscita legate

all’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

La Figura 5 mostra i risultati relativi al sistema di variabili dummy per la dimensione

d’impresa. Con l’utilizzo delle definizioni di dimensione all’anno base e di dimensione media

passata si ottiene una relazione negativa tra dimensione e crescita netta, ma tale relazione è

limitata alle prime tre classi dimensionali (30% del campione) che comprendono aziende con

al più 24 addetti. E’ opportuno sottolineare che la magnitudine del differenziale di crescita a

favore di queste imprese rispetto alla media del campione è minore di quanto rilevato in

precedenza. 8 Nello specifico, le aziende che occupano meno di 15 addetti crescono tra i 3,3

ed i 4,2 punti percentuali in più della media, a secondo che si usi la definizione di dimensione

media passata o quella di dimensione all’anno base. Per le imprese che occupano tra i 15 ed i 8 L’uso della dimensione corrente non rivela l’esistenza di alcun vantaggio per le piccole imprese. Al contrario, le imprese che appartengono alle prime cinque classi registrano tassi di crescita inferiori rispetto alla media riferita all’intero campione. Tuttavia, il riscontro che il divario tra i risultati ottenuti impiegando la dimensione all’anno base e la dimensione media passata è confinato solo alla prima classe conferma l’idea che gli shock transitori siano rilevanti solo per un numero ristretto d’imprese e che quindi l’impiego della dimensione corrente possa introdurre più distorsioni di quante essa si prefigga di risolverne.

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24 addetti gli scostamenti riferibili alle due misure sono mitigati ed il differenziale di crescita

rispetto all’intero campione non supera il punto percentuale.

Per quanto riguarda il ruolo dei fattori istituzionali, l’ipotesi che le imprese vicine alla soglia

dei 15 dipendenti abbiano performance di crescita particolarmente basse dovute alla loro

volontà di non uscire dalla fascia più flessibile del mercato del lavoro sembra da rifiutare

quando si fa riferimento alla dimensione all’anno base e alla dimensione media passata: le

imprese fino a 14 dipendenti (che rappresentano il 10% delle imprese del campione) sono

caratterizzate da una propensione a crescere maggiori della media (circa il 4% in più).9

[Inserire qui Figura 5]

[Inserire qui Figura 6]

La relazione tra età e crescita (Figura 6) mostra un andamento diverso per le classi centrali

rispetto alle altre classi. Le imprese di età compresa tra 15 e 29 anni non si

contraddistinguono per una capacità di crescere significativamente diversa dalla media del

campione. Per le imprese giovani (da 0 a 14 anni) e per le anziane (più di 30 anni) invece

emerge ancora la relazione inversa tra crescita ed età. In particolare, si osserva che

all’aumentare dell’età diminuisce la capacità differenziale di crescita delle giovani imprese

rispetto alla media, mentre, per le imprese anziane, all’aumentare dell’età si riduce la capacità

di avere risultati di crescita in linea con la media. La correzione per la dimensione fa

diminuire i coefficienti ma non altera la relazione descritta.

Conclusioni

Il presente contributo si è occupato di due temi che rivestono una particolare importanza per

le economie dei paesi OCSE, in generale (Bassanini, 2010), e per l’economia italiana in

particolare: l’entità dei flussi occupazionali lordi ed il contributo di età e dimensione

d’impresa alla crescita occupazionale. Lo studio ha riguardato un ampio campione di società

di capitale italiane operanti nel settore manifatturiero nel periodo 1996-2004. La disponibilità

di dati originali e di alta qualità sulla forza lavoro ha permesso di ottemperare ad una delle

richieste più pressanti che la letteratura recente (Haltiwanger et al., 2010; Hijzen et al., 2010;

9 Quando si considera la dimensione corrente d’impresa, emerge un quadro diverso. Le imprese fino a 14 dipendenti hanno una performance sotto la media e, sebbene di modesta entità, lo scostamento rilevato è tale da annullare quell’uno per cento di crescita media che si registra considerando l’intero campione.

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Neumark et al., 2011) considera come un requisito essenziale per estendere la conoscenza

attuale sul fenomeno oggetto d’indagine. In aggiunta, altre caratteristiche della banca dati

utilizzata - imprese con una singola localizzazione produttiva, imprese con una dimensione

media di circa 50 addetti, disponibilità di dati sull’età dell’impresa, ecc. - differenziano il

presente contributo da gran parte della letteratura empirica sulle imprese italiane (Becchetti e

Trovato, 2002; Fagiolo e Luzzi, 2006; Bottazzi et al., 2007; Angelini e Generale, 2008).

I risultati principali che emergono dall’analisi statistica descrittiva possono essere riassunti

nei seguenti punti. Primo, l’entità dei flussi occupazionali lordi per le piccole e medie società

di capitale italiane è inferiore rispetto a quanto osservato in altri studi empirici (Davis et al.,

1996; Contini e Revelli, 1997; Cefis e Gabriele, 2009; Hijzen et al., 2010; Neumark et al.,

2011) che considerano però unità campionarie diverse da quelle prese in considerazione in

questa sede. Il confronto con analisi condotte su imprese simili (Gomez-Salvador et al., 2004)

conferma la congruità dell’evidenza qui discussa con quanto riscontrato in altri paesi europei.

Secondo, la contrazione ciclica del 2001 ha inciso negativamente sull’occupazione

manifatturiera e, più in generale, ha compromesso l’efficienza del mercato del lavoro. Il tasso

medio di creazione di posti di lavoro nel periodo 2001-2004 è di oltre due punti percentuali

inferiore rispetto a quello riferito al periodo 1997-2000, mentre si rileva un incremento di un

punto percentuale e mezzo nel tasso di distruzione di posti di lavoro nei due periodi. L’effetto

congiunto di queste due componenti si è tradotto in un forte rallentamento della crescita

occupazionale netta.

Terzo, le piccole imprese si distinguono per una propensione maggiore a creare così come a

distruggere posti di lavoro rispetto alle imprese più grandi. Tuttavia, l’uso di diverse

definizioni della dimensione aziendale, uso inteso a controllare per la presenza di shock

transitori e/o errori di misurazione nella dimensione d’impresa, modifica in modo

significativo la relazione tra crescita dell’occupazione netta e dimensione d’impresa. Mentre

l’impiego della definizione di dimensione all’anno base genera tassi di crescita che variano

dall’8,5% della prima classe allo 0,1% delle grandi imprese, l’impiego della definizione di

dimensione corrente non rivela alcuna correlazione tra dimensione e crescita d’impresa.

Quarto, l’età dell’impresa sembra giocare un ruolo importante nell’evoluzione dei flussi

occupazionali. In particolare, il tasso di creazione di posti di lavoro declina

proporzionalmente con il raddoppiare dell’età dell’impresa. Il tasso di variazione netta

dell’occupazione decresce monotonicamente rispetto all’età dell’impresa e diventa negativo

per le imprese più vecchie del campione. Infine, la volatilità dell’occupazione è maggiore tra

le imprese che si trovano nei primi stadi del loro ciclo di vita.

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L’analisi econometrica approfondisce lo studio della relazione tra dimensione, età e crescita

dell’impresa, controllando per la localizzazione dell’impresa e il settore tecnologico in cui

essa opera. Inoltre, la robustezza della relazione stimata viene vagliata prendendo in

considerazione diverse definizioni di dimensione d’impresa e soglie alternative nella

definizione delle classi di addetti e delle classi di età.

I risultati ottenuti confermano la sensibilità della relazione tra dimensione e crescita

d’impresa al controllo per la presenza di movimenti transitori nel numero di occupati. Benché

la misura della dimensione all’anno base enfatizzi il ruolo delle aziende con meno di 20

addetti nel sostenere la crescita occupazionale, i risultati cambiano quando si considera la

dimensione corrente d’impresa. In questo caso non sembra emergere alcuna relazione tra

dimensione e crescita e, addirittura, il contributo delle aziende che occupano tra 10 e 99

addetti risulta negativo. L’impiego della dimensione corrente può tuttavia introdurre

distorsioni indesiderate nella stima dei coefficienti, incidendo sproporzionatamente sugli

effetti associati alle piccole imprese. L’analisi intrapresa sembra confermare questo rischio.

Le stime basate sulla definizione di dimensione media passata, sebbene suggeriscano che i

movimenti transitori nell’occupazione possano essere presenti, indica che la loro magnitudine

non è tale da ricondurre la maggiore propensione delle imprese con al più 19 addetti a creare

occupazione ad un mero effetto statistico di reversione alla media. Identificando in maniera

alternativa le soglie delle classi dimensionali e alterando quindi la numerosità di ciascuna

classe, si rileva però che un problema statistico può ancora inficiare l’identificazione delle

imprese che fungono da motore della crescita futura. Le stime basate sull’impiego dei decili

della distribuzione per definire le soglie delle classi dimensionali, mostrano, infatti, che la

crescita occupazionale è alimentata dalle aziende che occupano al più 24 addetti.

L’analisi econometrica rivela, infine, che il contributo dell’età alla crescita degli occupati è

articolato. Le imprese con al più 14 anni sono quelle che contribuiscono positivamente alla

crescita, mentre quelle con 30 anni ed oltre non riescono a cogliere nuove opportunità di

mercato e fanno registrare tassi negativi. Tra questi due estremi si colloca una quota

consistente di unità (il 50%) con un’età compresa tra i 15 ed i 29 anni per cui non si evince

alcuna correlazione tra età e crescita.

L’analisi condotta suggerisce alcune implicazioni per il policy maker che è opportuno

sottolineare. Le politiche industriali che incentivano il segmento delle piccole imprese

dovrebbero qualificare opportunamente le piccole imprese sia in termini di dimensione per

sé, sia in termini di età. Gli effetti di queste due componenti sono di diversa intensità e non

necessariamente si auto-alimentano: nel campione qui analizzato solo una impresa su otto

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registra incrementi occupazionali generati congiuntamente dalle due variabili. La piccola

dimensione esaurisce la sua spinta alla crescita quando si arriva alla soglia dei 24 addetti.

Questo implica che l'alimentazione del bacino delle medie imprese difficilmente può

provenire dal basso. Inoltre, se da un lato questo riscontro smentisce l’ipotesi che sia l’art. 18

dello Statuto dei Lavoratori a scoraggiare la crescita delle imprese, dall’altro non è possibile

escludere che altri ostacoli istituzionali possano insorgere in prossimità della soglia dei 25

dipendenti.

Lo spirito imprenditoriale che di solito contraddistingue i nuovi entranti offre un vantaggio

nella cattura di nuove opportunità di mercato, ma solo entro i primi 10 anni di vita

dell'impresa; al di là di questa soglia il motore imprenditoriale sembra bloccato. Imprese

relativamente giovani e piccole, con un’occupazione compresa tra i 25 ed i 50 addetti, non si

caratterizzano come contesti favorevoli allo sviluppo di innovazione e imprenditorialità. Di

conseguenza, la rimozione di quegli ostacoli che affievoliscono i processi di selezione del

mercato potrebbe favorire l’espulsione di unità marginali ed improduttive dal sistema.

Le politiche industriali che si propongono di favorire processi di crescita di grandi imprese

dal bacino delle medie imprese, devono tener conto che la media dimensione per sé non

rappresenta un fattore sufficiente a garantire il conseguimento di un tale obiettivo. Le unità

con 50 addetti ed oltre non si contraddistinguono per una propensione a divenire grandi

imprese, un risultato che segna un punto a favore dell’idea che lo small business sector sia il

frutto di processi di disintegrazione verticale e di dimagrimento di precedenti imprese di più

grande dimensione.

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Appendice

[Inserire qui Tabella A1]

Tabella 1. Flussi occupazionali annuali (tassi percentuali)

jc jd net jr xjr

1997 5,58 3,15 2,44 8,73 6,29

1998 5,91 2,85 3,06 8,76 5,70

1999 5,28 3,50 1,78 8,78 7,00

2000 6,57 2,56 4,00 9,13 5,13

media 1997-2000 5,84 3,01 2,83 8,85 6,02

2001 4,48 4,74 -0,26 9,22 8,96

2002 3,74 4,54 -0,80 8,28 7,48

2003 3,35 4,47 -1,12 7,81 6,69

2004 3,35 4,31 -0,96 7,67 6,70

media 2001-2004 3,73 4,52 -0,78 8,25 7,47

Media 1997-2004 4,76 3,70 0,98 8,54 7,56 Note, Gli indicatori sono costruiti utilizzando la definizione di dimensione corrente d’impresa, jc: creazione di posti di lavoro; jd: distruzione di posti di lavoro; net: crescita netta dell’occupazione; jr: riallocazione di posti di lavoro; xjr: riallocazione in eccesso di posti di lavoro,

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Tabella 2. Flussi occupazionali per classe dimensionale: 1997-2004

jc jd net jr xjr

Dimensione all’anno base

1 - 9 addetti. 12,39 3,88 8,51 16,27 7,76 10 - 19 addetti 7,47 4,31 3,16 11,78 8,62 20 - 49 addetti 5,57 4,20 1,37 9,77 8,40 50 - 99 addetti 4,65 3,84 0,81 8,48 7,67 100 - 249 addetti 3,88 3,45 0,42 7,33 6,90 250 addetti ed oltre 3,10 2,97 0,13 6,06 5,93

Totale 4,79 3,80 0,99 8,59 7,60

Dimensione corrente

1 - 9 addetti. 7,42 6,21 1,21 13,63 12,43 10 - 19 addetti 5,62 5,65 -0,03 11,27 11,24 20 - 49 addetti 5,24 4,36 0,88 9,60 8,72 50 - 99 addetti 4,87 3,67 1,19 8,54 7,35 100 - 249 addetti 4,23 3,23 0,99 7,46 6,47 250 addetti ed oltre 3,72 2,51 1,21 6,22 5,01

Totale 4,76 3,78 0,98 8,54 7,56

Dimensione media passata

1 - 9 addetti. 11,52 4,38 7,14 15,90 8,76 10 - 19 addetti 7,15 4,59 2,56 11,73 9,18 20 - 49 addetti 5,55 4,29 1,26 9,84 8,58 50 - 99 addetti 4,61 3,90 0,71 8,51 7,79 100 - 249 addetti 3,76 3,61 0,15 7,37 7,23 250 addetti ed oltre 3,04 3,03 0,02 6,07 6,05

Totale 4,70 3,91 1,12 9,78 8,65

Note: vedi Tabella 1.

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Tabella 3. Flussi occupazionali per classe di età: 1997-2004

jc jd net jr xjr

1-7 anni 8,04 3,55 4,49 11,59 7,10

8-15 anni 5,98 3,87 2,12 9,85 7,73

16-25 anni 4,73 3,85 0,87 8,58 7,71

26-49 anni 3,89 3,65 0,24 7,54 7,30

50 anni ed oltre 2,59 3,87 -1,28 6,46 5,18

Totale 4,76 3,78 0,98 8,54 7,56 Note: vedi Tabella 1.

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Tabella 4. Crescita, dimensione ed età dell’impresa (coefficienti trasformati)

modelli Dimensione anno base Dimensione anno corrente Dimensione anno base solo classi di età

Dimensione anno base & controllo età

Dimensione anno corrente & controllo età

Parametri coefficienti errori std. coefficienti errori std. coefficienti errori std. coefficienti errori std. coefficienti errori std.

intercetta 0,988*** 0,087 0,983*** 0,019 0,988*** 0,065 0,988*** 0,013 0,983*** 0,030

1 - 9 addetti 7,693*** 0,706 -0,015 0,728 7,312*** 0,706 0,184*** 0,728

10 - 19 addetti 2,112*** 0,205 -1,343*** 0,202 1,849*** 0,206 -1,209*** 0,202

20 - 49 addetti 0,201*** 0,073 -0,410*** 0,071 0,100 0,073 -0,367*** 0,071

50 - 99 addetti -0,151** 0,078 0,256*** 0,074 -0,131* 0,078 0,252*** 0,074

100 - 249 addetti -0,455*** 0,085 0,242*** 0,082 -0,345*** 0,085 0,190*** 0,082 250 addetti e oltre -0,607*** 0,155 0,666*** 0,148 -0,453*** 0,155 0,595*** 0,149 1 - 7 anni 1,806*** 0,193 1,659*** 0,202 1,962*** 0,193

8 - 15 anni 0,695*** 0,086 0,586*** 0,090 0,795*** 0,087

16 - 25 anni 0,001 0,065 0,019 0,067 -0,008 0,065

26 - 49 anni -0,773*** 0,077 -0,675*** 0,080 -0,867*** 0,077

50 anni e oltre -0,925*** 0,145 -0,863*** 0,150 -0,972*** 0,145

F 131,11*** 153,55*** 125,31*** 128,82*** 144,01***

R-squared 0,0343 0,0399 0,037 0,0409 0,0455

Adj R-squared 0,034 0,0396 0,033 0,0406 0,0452

Note: ***: prob.<0,01; **: prob.<=0,05; *: prob.<=0,1. Errori standard in corsivo. Il numero di osservazioni in ogni regressione è pari a 66512. Gli errori standard riportati sono aggiustati secondo la procedura di Zanchi (1998). Tutte le regressioni includono i controlli per l’anno, il settore di attività a livello 2 digit Ateco 2002 e l’area geografica di attività. In tutte le regressioni l’intercetta è uguale alla media generale del tasso di crescita delle imprese.

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Tabella A1. Campione d’analisi e Censimento ISTAT 2001

ISTAT - censimento 2001 Campione

Codici ATECO

Numero Percentuale Numero Percentuale

Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti Imprese Addetti

15 6.893 100.620 7,09 6,17 607 26.578 7,30 6,19

17 6.036 117.563 6,21 7,20 732 40.036 8,80 9,32

18 5.839 82.557 6,01 5,06 258 14.014 3,10 3,26

19 4.192 74.818 4,31 4,58 392 20.703 4,71 4,82

20 2.836 41.112 2,92 2,52 217 9.829 2,61 2,29

21 1.690 33.644 1,74 2,06 246 11.400 2,96 2,65

22 6.933 60.374 7,13 3,70 285 11.718 3,43 2,73

23 240 4.110 0,25 0,25 23 1.056 0,28 0,25

24 2.910 54.660 2,99 3,35 335 17.959 4,03 4,18

25 4.954 92.484 5,10 5,67 524 27.882 6,30 6,49

26 4.966 75.025 5,11 4,60 466 22.673 5,61 5,28

27 1.558 49.105 1,60 3,01 247 15.755 2,97 3,67

28 16.075 252.867 16,54 15,49 1.304 65.554 15,68 15,26

29 13,587 263.785 13,98 16,16 1.236 66.712 14,87 15,53

30 682 6.867 0,70 0,42 23 1.022 0,28 0,24

31 4.838 79.113 4,98 4,85 366 19.153 4,40 4,46

32 1.420 30.028 1,46 1,84 87 4.458 1,05 1,04

33 2.671 37.080 2,75 2,27 145 7.934 1,74 1,85

34 940 53.518 0,97 3,28 120 8.295 1,44 1,93

35 1.242 21.306 1,28 1,31 58 3.181 0,70 0,74

36 6.704 101.399 6,90 6,21 643 33.605 7,73 7,82

Totale 97.206 1.632.035 100 100 8.314 429.517 100 100

Figura 1. Relazione tra crescita e dimensione dell’impresa

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Note: coefficienti stimati della regressione e relativi intervalli di confidenza al 95%. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA integrati con modelli DM10.

-4.00

-2.00

0.00

2.00

4.00

6.00

8.00

10.00

da 1 a 9 addetti da 10 a 19 addetti da 20 a 49 addetti da 50 a 99 addetti da 100 a 249 addetti >=250 addetti

coef

ficie

nti r

isca

lati

(dev

iazi

oni d

alla

med

ia g

ener

ale)

classi dimensionali

dimensione all’anno base dimensione all’anno base con controllo per l'età

dimensione corrente dimensione corrente con controllo per l'età

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Figura 2. Relazione tra crescita ed età dell’impresa

Note: coefficienti stimati della regressione e relativi intervalli di confidenza al 95%. I controlli richiamati nella legenda si riferiscono all’inclusione delle classi dimensionali nella regressione. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA integrati con modelli DM10.

-1.50

-1.00

-0.50

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

da 0 a 7 anni da 8 a 15 anni da 16 a 25 anni da 26 a 45 anni più di 49 anni

coef

ficie

nti c

lass

i di e

tà r

isca

lati

(dev

iazi

oni d

alla

med

ia g

ener

ale)

classi di età

dimensione all’anno base con controllo dimensione corrente con controllo solo classi di età

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Figura 3. Relazione tra crescita e dimensione dell’impresa (controllo per dimensione media

passata)

Note: coefficienti stimati della regressione e relativi intervalli di confidenza al 95%. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA integrati con modelli DM10.

-4.00

-2.00

0.00

2.00

4.00

6.00

8.00

10.00

da 1 a 9 addetti da 10 a 19 addetti da 20 a 49 addetti da 50 a 99 addetti da 100 a 249 addetti >=250 addetti

coef

ficie

nti r

isca

lati

(dev

iazi

oni d

alla

med

ia g

ener

ale)

classi dimensionali dimensione corrente con controllo per l'età dimensione media passata con controllo per l'età

dimensione all’anno base con controllo per l'età

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Figura 4. Relazione tra crescita ed età dell’impresa (controllo per la dimensione media

passata)

Note: coefficienti stimati della regressione e relativi intervalli di confidenza al 95%. I controlli richiamati nella legenda si riferiscono all’inclusione delle classi dimensionali nella regressione. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA integrati con modelli DM10.

-1.50

-1.00

-0.50

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

da 0 a 7 anni da 8 a 15 anni da 16 a 25 anni da 26 a 45 anni più di 49 anni

coef

ficie

nti r

isca

lati

(dev

iazi

oni d

alla

med

ia g

ener

ale)

classi di età

dimensione corrente con controllo dimensione media passata con controllo dimensione all’anno base con controllo

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Figura 5. Relazione tra crescita e dimensione dell’impresa (classi dimensionali definite sui

decili della distribuzione degli addetti)

Note: coefficienti stimati della regressione e relativi intervalli di confidenza al 95%. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA integrati con modelli DM10.

-3.00

-2.00

-1.00

0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

5.00

6.00

da 1 a 14 add.

da 15 a 19 add.

da 20 a 24 add.

da 25 a 28 add.

da 29 a 34 add.

da 35 a 40 add.

da 41 a 50 add.

da 51 a 67 add.

da 68 a 100 add. oltre 100 add.

coef

ficie

nti c

lass

i di e

tà r

isca

lati

(dev

iazi

oni d

alla

med

ia g

ener

ale)

classi dimensionali

dimensione all'anno base con controllo per l'età dimensione media passata con controllo per l'età

dimensione corrente con controllo per l'età

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Figura 6. Relazione tra crescita ed età dell’impresa (Classi di età definite sui decili della

distribuzione per età delle imprese)

Note: coefficienti stimati della regressione e relativi intervalli di confidenza al 95%. I controlli richiamati nella legenda si riferiscono all’inclusione delle classi dimensionali nella regressione. Fonte: nostre elaborazioni su dati AIDA integrati con modelli DM10.

-2.50

-2.00

-1.50

-1.00

-0.50

0.00

0.50

1.00

1.50

2.00

2.50

3.00

da 0 a 8 anni

da 9 a 11 anni

da 12 a 14 anni

da 15 a 16 anni

da 17 a 19 anni

da 20 a 22 anni

da 23 a 25 anni

da 26 a 29 anni

da 30 a 37 anni

più di 38 anni

coef

ficie

nti c

lass

i di e

tà r

isca

lati

(dev

iazi

oni d

alla

med

ia g

ener

ale)

classi di età

dimensione corrente con controllo dimensione all'anno base con controllo dimensione media passata e controllo

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DISA

WOR

KING

PAPE

R

DISA

Dipartimento di Informaticae Studi Aziendali

2011

/5

Il ruolo dell’età e della dimensionenella crescita occupazionale delle

PMI ItalianeMarco Corsino, Roberto Gabriele, Sandro Trento