Lidea Imperiale Nel de Vulgari Eloquent

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    ENRICO VII,DANTE E PISA

    a cura diGiuseppe Petralia e Marco Santagata

    LONGO EDITORE RAVENNA

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    Enrico VII, Dante e Pisa.A 700 anni dalla morte dellimperatore

    e dalla Monarchia (1313-2013)

    a cura diGiuseppe Petralia e Marco Santagata

    Memoria del tempo

    Collana di testi e studi medievali e rinascimentalidiretta da Johannes Bartuschat e Stefano Prandi

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    ISBN 978-88-8063-831-5

    Copyright 2016 A. Longo Editore sncVia P. Costa, 33 48121 Ravenna

    Tel. 0544.217026 Fax 0544.217554e-mail: [email protected]

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    Questo volume stato pubblicato con fondi PRIN 2012Ministero dellIstruzione, dellUniversit e della Ricerca.

    Progetto Per una Enciclopedia Dantesca digitale

    Coordinatore scientifico nazionale Marco Santagata, Universit di Pisa

    Liniziativa e il volume sono stati realizzati con il contributo di:

    COMUNE DI PISAOPERA DELLA PRIMAZIALE PISANA

    FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI SAN MINIATO

    DIPARTIMENTO DI CIVILT E FORME DEL SAPEREDIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

    UNIVERSIT DI PISA

    Participation in CLOCKSS and PORTICO Ensures Perpetual Access to Longo Editore content

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    Enrico VII, Dante e Pisaa 700 anni dalla morte dellimperatore

    e dallaMonarchia (1313-2013)

    a cura diGIUSEPPE PETRALIA E MARCO SANTAGATA

    LONGO EDITORE RAVENNA

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    ENRICO VII, DANTE E PISA.A 700 ANNI DALLA MORTE DELLIMPERATORE

    E DALLAMONARCHIA (1313-2013)

    Atti del Convegno internazionale(Pisa-San Miniato, 24-26 ottobre 2013)

    a cura diGIUSEPPE PETRALIA e MARCO SANTAGATA

    Comitato scientifico e di redazioneFABRIZIO FRANCESCHINI (dir.),

    GABRIELLA ALBANESE, MARIA LUISA CECCARELLI LEMUT,

    GABRIELLA GARZELLA, PAOLO PONTARI

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    MIRKO TAVONI

    LIDEA IMPERIALENELDE VULGARI ELOQUENTIA

    1.Lidea imperiale in tre luoghi del De vulgari eloquentia

    Lidea imperiale compare in tre luoghi del primo libro del De vulgari elo-quentia1.

    Il primo luogo nel xii capitolo, dove Dante, messosi alla caccia della linguapi decorosadItalia, la lingua illustre, dopo aver estirpato dalla selva italica, ciodal terreno di caccia, cespugli intricati e rovi (I xi 1), ovvero dopo aver liberato ivolgari italiani dalle scorie pi grossolane, passa a confrontare i volgari che sonori-masti nel setaccio, con lintenzione di individuare quello fra essi che merita e con-

    ferisce pi onore. E la scelta cade indubitabilmente, in primoluogo, sul siciliano:Et primo de siciliano examinemus ingenium: nam videtur sicilianum vulgare sibifamam pre aliis asciscere eo quod quicquid poetanturYtali sicilianum vocatur, et eoquod perpluresdoctores indigenas invenimus graviter cecinisse, puta in cantionibusillisAncor che l aigua per lo foco lassi etAmor, che lungiamente m hai menato (VE Ixii 2).

    Il merito di questo primato del siciliano dellimperatore Federico II e di suofiglio Manfredi:

    Siquidem illustres heroes, Fredericus Cesar et benegenitus eius Manfredus, nobilitatemac rectitudinem sue formepandentes, donec fortuna permisit humana secuti sunt, bru-talia dedignantes. Propter quod corde nobiles atque gratiarum dotati inherere tantorum

    principum maiestati conati sunt, ita ut eorum tempore quicquid excellentes animi La-tinorum enitebantur primitus in tantorum coronatorum aula prodibat; et quia regale so-liumerat Sicilia, factum est ut quicquid nostri predecessores vulgariter protulerunt,sicilianum vocetur: quod quidemretinemus et nos, nec posteri nostri permutare vale-

    bunt (VE I xii 4).

    1 Rimando complessivamente al mio commento alDe vulgari eloquentia in DANTE ALIGHIERI,

    Opere, ed. diretta da M. Santagata, I, Milano, Mondadori, 2011; in particolare, per il commento a VEI xii, pp. 1264-1273; a I xvi, pp. 1326-1327; a I xviii, pp. 1346-1355; inoltreIntroduzione, pp. 1068-1069, 1113-1116.

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    Il secondo luogo delDe vulgari eloquentia su cui voglio richiamare latten-zione il xvi capitolo del I libro. Il quale, veramente, non esprime alcuna idea im-periale, anzi parla di tuttaltro, ma lanalisi della fonte sottostante svela che questo

    passaggio dellargomentazione linguistica di Dante fondato sullo stesso princi-pio aristotelico, desunto dallaMetafisica, che i teorici della ierocrazia bonifaciana,negli anni fra il 1300 e il 1303, avevano adibito a sostenere la subordinazione del-lautorit imperiale allautorit pontificia: e sar su questo stesso principio cheDante nel III libro dellaMonarchia far leva, rovesciandone il senso, per confu-tare filosoficamente tale subordinazione.

    Si tratta del principio della reductio ad unum in eodem genere, che qui nelDevulgari eloquentia emerge a uso puramente linguistico. Avendo esaurito, nei ca-pitoli xi-xv, lindagine empirica sui volgari di tutte le regioni italiane senza aver tro-vato la pantera di cui andava in caccia nel frattempo, infatti, la caccia alla lingua

    pi decorosa dItalia si metaforicamente trasformata nella caccia alla panteraodorosa che sparge il suo profumo dovunque e non si mostra in nessun luogo Dante intraprende una nuova ricerca, con procedimento pi fondato sulla ragione,in modo da catturarla [la pantera], con studio ingegnoso, stretta nella nostra rete(I xvi 1). Questo secondo procedimento non sar pi a posteriori ma a priori, nonpi induttivo ma deduttivo. Il principio necessario, ai sensi dellaMetafisica di Ari-stotele, il seguente:

    Resumentes igitur venabula nostra, dicimus quod in omni genere rerum unum esseoportet quo generis illius omnia comparentur et ponderentur, et a quo omnium aliorum

    mensuram accipiamus: sicut in numero cuncta mensurantur uno, et plura vel paucioradicuntur secundum quod distant ab uno vel ei propinquant, et sicut in coloribus omnesalbo mensurantur nam visibiles magis et minus dicuntur secundum quod accedunt velrecedunt ab albo (VEI xvi 2).

    Questo principio necessario ci garantisce, a priori, che anche nel genere deivolgari ne deve esistere uno che funga da segno rispetto al quale le nostre azionilinguistiche, in quanto uomini italiani, si misurano ( 3); questo segno sar ilpi semplice e il pi nobile dei volgari italiani, una entit astratta al pari degli altripi nobili e pi semplici segni di italianit, e per i costumi e per le abitudini eper il modo di parlare ( 3), che non sono propri di nessuna citt dItalia, e sonoinvece comuni a tutte: e fra questi si pu ora discernere quel volgare di cui sopraandavamo in caccia, che spande il suo profumo in ogni citt e non dimora in nes-suna ( 4).

    Questo volgare semplicissimo deve esistere, dunque esiste. Non cessa di me-ravigliarci ladamantina certezza a priori che consente a Dante di concludere:

    Itaque, adepti quod querebamus, dicimus illustre, cardinale, aulicum et curiale vulgarein Latio quod omnis latie civitatis est et nullius esse videtur, et quo municipalia vulga-ria omnia Latinorum mensurantur et ponderantur et comparantur (VEI xvi 6).

    Sulla pertinenza indiretta allidea imperiale di questo passaggio-chiave del-largomentazione linguistica ritorneremo fra poco.

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    lItalia avr fisicamente riunita riunita in un palazzo reale, e riunita nella per-sona di un principe quella curia che oggi dispersa nelle sue membra, le per-sone dei poeti illustri, i doctores eloquentes, che in attesa dellavvento del principe

    incarnano sparsamente il divino lume della ragione ( 5):Sed dicere quod in excellentissima Ytalorum curia sit libratum, videtur nugatio, cumcuria careamus. Ad quod facile respondetur. Nam licet curia, secundum quod unita ac-cipitur, ut curia regis Alamannie, in Ytalia non sit, membra tamen eius non desunt; etsicut membra illius uno Principe uniuntur, sic membra huius gratioso lumine rationisunita sunt. Quare falsum esset dicere curia carere Ytalos, quanquam Principe carea-mus, quoniam curiam habemus, licet corporaliter sit dispersa (VEI xviii 5).

    2.Lidea imperiale nel De vulgari eloquentia: idea culturale o politica?

    Lidea imperiale, quale si trova espressa nei tre luoghi ora richiamati, in che mi-sura unidea culturale e in che misura unidea propriamente politica?

    Che sia unidea culturale stato sostenuto, decenni fa, da uno storico medievaleche pure non aveva affatto di Dante unidea puramente letteraria, Raoul Manselli.Nella sua voceFederico II, pubblicata nel 1970 nel II volume dellaEnciclopediadantesca, si legge (pp. 827-828):

    Per grande che sia lammirazione per Federico II e lelogio che ne viene fatto [in VEIxii], il poeta sembra trattenersi, in questopera, da ogni considerazione politica [] Il

    momento elogiativo, col suo giudizio attento allopera di cultura di Federico II e diManfredi [] si riferisce, soprattutto, a un tempo in cui non si era ancora venuta ma-nifestando in Dante la consapevolezza dei problemi storici dellepoca, con la ricercadelle ragioni per cui il mondo fatto reo (Pg. XVI 104).

    Due anni prima, del resto, era uscita ledizione critica delDe vulgari eloquen-tia a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, preceduta da unampia introduzione, nucleodel commento al testo che uscir undici anni dopo e che costituir il punto di rife-rimento per linterpretazione del trattato dantesco per decenni5. Introduzione ecommento che esplorano ogni snodo dellargomentazione dantesca attraverso una

    ricerca approfondita, esaustiva e raffinata tutta rigorosamente interna alla sfera lin-guistico-letteraria, pressoch priva di agganci tanto alla problematica politica idealesviluppata in parallelo dal Convivio quanto alle implicazioni politiche concreteinevitabilmente inerenti alle circostanze biografiche nelle quali i due trattati ven-nero elaborati e composti.

    riale, in data 1304-1305, fosse utopica o storicizzabile, in termini di attesa diffusa alcuni anni primache Enrico VII apparisse allorizzonte.

    5 DANTE ALIGHIERI,De vulgari eloquentia. I.Introduzione e testo, a cura di P.V. Mengaldo, Pa-

    dova, Antenore, 1968 (lIntroduzione alle pp. VII-CII); led. tradotta e commentata, a cura dello stessoMengaldo, apparir in DANTE ALIGHIERI, Opere minori, II, Milano-Napoli, Ricciardi, 1979, pp. 3-25(Introduzione), 26-237 (testo, traduzione e commento).

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    cluso a un uomo che come Dante proveniva da quel mondo. Non gli era invece pre-clusa una radicale conversione: che infatti latteggiamento di Dante in questafase, inequivocabilmente espresso dal testo. noto che laggettivo benegenitus (

    4) con cui Dante qualifica Manfredi reagisce alla libellistica guelfa che ne sfrut-tava la nascita illegittima. Ma non certo questa lunica spia lessicale dellesserequesto un testo tutto schierato a sostegno dellidea imperiale. Ancor pi rilievohanno le parole heros-heroicus: illustres heroes, Fredericus Cesar et benegenituseius Manfredus ( 4), contrapposti ai degeneri ytalorum principum successiviqui non heroico more sed plebeio secuntur superbiam ( 3). Sono parole da in-terpretare alla luce della concezione aristotelica (Ethica, VII, 1, 1145a) della vir-tus heroica o divina quale virt sovrumana che fa luomo simile alle sostanzeseparate, contrapponendosi alla bestialitas: il che chiarisce lantitesi humana-bru-talia: nobilitatem ac rectitudinem sue forme pandentes, donec fortuna permisit hu-

    mana secuti sunt, brutalia dedignantes ( 4). E sono parole dantesche esclusivedi questo preciso momento.Peraltro, gi fin da questa sua prima apparizione, lidea imperiale presentata

    da Dante come idea non di parte, non ghibellina, ma universale gi nello spiritodiPd. VI 100-108 (L uno al pubblico segno i gigli gialli / oppone, e l altro ap-propria quello a parte, / s ch forte a veder chi pi si falli, ecc.) . Lo testimo-nia linvettiva contro i degeneri ytalorum principum successivi ( 5):

    Racha, racha! Quid nunc personat tuba novissimi Frederici, quid tintinabulum secundiKaroli, quid cornua Iohannis et Azonis marchionum potentum, quid aliorum magnatum

    tibie, nisi Venite carnifices, venite altriplices, venite avaritie sectatores? (VEI xii 5)Invettiva rigorosamente bipartisan: a livello di re, Carlo II dAngi, capo del

    partito guelfo in Italia, e il suo antagonista Federico III dAragona, accomunatidalla colpa storica (dattualit: Caltabellotta 1302) di essersi infine spartiti, al ter-mine di un cinquantennio di contese dopo la morte di Federico II, il Regno di Si-cilia. A livello di marchesi, il ghibellino Giovanni I di Monferrato e il guelfo AzzoVIII dEste. Le loro colpe storiche non sono certo pari: Azzo VIII incombe sullavita di Dante ed ai suoi occhi laborrito campione del guelfismo nero pi intran-sigente, accusato di delitti nefandi; Giovanni I di Monferrato lontano da Dante

    ed colpevole solo, ai suoi occhi, di degenerazione plebea di una dinastia fra lepi prestigiose per liberalit e legami con la cultura trobadorica6. Nonostante que-

    6 Azzo VIII satireggiato in VEII vi 4, legato al succitato re Carlo II dAngi dalla turpe com-pravendita della propria moglie (Pg. XX 79-81), assassino del proprio padre (If. XII 111-112), man-dante delluccisione di Iacopo del Cassero (Pg. V 77-8), e soprattutto il punto di riferimento dellafazione guelfa bolognese dei Geremei, lapars Marchixana, filoestense, che nel 1306 chiuder ognispazio a Bologna per gli esuli fiorentini bianchi (U. CARPI,La nobilt di Dante, Firenze, Polistampa,2004, pp. 411-412, 480, 497-502). Giovanni I degli Aleramici di Monferrato esempio di perdita dinobilt rispetto allavo Guglielmo VII intrinseco di Manfredi, irrriducibile antagonista settentrionale

    di Carlo dAngi (Pg. VII 133-6) e soprattutto rispetto al buono Marchese di Monferrato (Cv IVxi 14), Bonifacio I, crociato (come Cacciaguida), la cui liberalit fu celebrata da Raimbaut de Va-queiras (U. CARPI,La nobilt, cit., pp. 599-601).

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    una precisa spia testuale, e cio lo stringente parallelismo con lEpistola II, scrittada Dante in morte di Alessandro dei conti Guidi di Romena, che era stato, anniprima, il primo capitano dei fuorusciti bianchi e ghibellini.

    Dante presenta il conte Alessandro come principe giusto e vendicatore dei prin-cipi indegni, in un passo molto simile, per opposizione, a quello sugli indegni si-gnori dItalia dopo la morte di Federico II e Manfredi. Confrontiamo i due passi:

    Racha, racha! Quid nunc personat tuba novissimi Frederici, quid tintinabulum secundiKaroli, quid cornua Iohannis et Azonis marchionum potentum, quid aliorum magnatumtibie, nisi Venite carnifices, venite altriplices, venite avaritie sectatores? (VEI xii 5).

    Hec equidem [cio la magnificentia di Alessandro], cunctis aliis virtutibus comitata inillo, suum nomen pre titulis Ytalorum ereum illustrabat. Et quid aliud heroica sua signadicebant, nisi scuticam vitiorum fugatricem ostendimus? Argenteas etenim scuticas

    in purpureo deferebat extrinsecus, et intrinsecus mentem in amore virtutum vitia re-pellentem (Ep II 1-2).

    Le due indignate interrogazioni retoriche sembrano calcate luna sullaltra: Quidnunc personat [] nisi []?, quid aliud dicebant nisi []?; i soggetti della primainterrogazione sono le trombe, la campana, i corni di battaglia di re, marchesi e ma-gnati degeneri, il soggetto dellaltra sono le insegne del conte Alessandro, sferze ar-gentee in campo vermiglio, che araldicamente esibiscono lanimo di fustigatore deivizi precisamente della nobilt degenere; le battute tra virgolette rette dal verbo di dire(Quid []personat[] nisi []?, quid aliud dicebantnisi []?), fungono

    in entrambi i casi da blasone verbale degli uni (i signori indegni) e dellaltro (il conteAlessandro): il blasone dei vizi, il blasone della fustigazione dei vizi. Inoltre heroicasua signa richiama illustres heroes, parola rarissima in Dante, addirittura esclu-siva, in tutta lopera latina e volgare di Dante, di questi due soli passi9. Lo stretto pa-rallelismo formale fra di essi esprime un identico stile e un identico animo esuggerisce, direi, che si tratti dello stesso momento biografico e psicologico: cio unmomento di poco posteriore alla disastrosa battaglia della Lastra, 20 luglio 1304,quando era ancora bruciante la sconfitta e bruciata la speranza di rientrare in Firenze.

    4. De vulgari eloquentia I xvi: la reductio ad unum

    Largomento aristotelico della reductio ad unum, che consente a Dante, nelcap. xvi, di catturare per via razionale la pantera odorosa che non si era lasciata ir-retire dai lacci della ricerca empirica, Dante lo spender, identico, nellaMonarchia(III xii), come hanno evidenziato Ruedi Imbach e Irne Rosier-Catach10, per ne-

    9 Cfr. M. TAVONI, De vulgari eloquentia: luoghi critici, storia della tradizione, idee linguisti-che, in Storia della lingua italiana e filologia, Atti del VII Convegno internazionale dellASLI (As-

    sociazione per la Storia della Lingua Italiana) (Pisa-Firenze, 18-20 dicembre 2008), Firenze, Cesati,2010, 6, pp. 64-66.10 R. IMBACH, I. ROSIER-CATACH,De lun au multiple, du multiple lun. Une clef dinterpreta-

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    gare che lautorit dellimperatore debba essere ricondotta ad unum sotto quella delpapa, come pretendevano i teorici bonifaciani del primato papale:

    (1) Ratione vero sic arguunt. Summunt etenim sibi principium de decimoPrime phy-losophie dicentes: omnia que sunt unius generis reducuntur ad unum, quod est mensuraomnium quesub illo genere sunt; sed omnes homines sunt unius generis: ergo debentreduci ad unum, tanquam ad mensuram omniumeorum. (2) Et cum summus Antisteset Imperator sint homines, si conclusio illa est vera, oportet quod reducantur ad unumhominem. Et cum Papa non sit reducendus ad alium, relinquitur quod Imperator cumomnibus aliis sit reducendus ad ipsum, tanquam ad mensuram et regulam: propter quodsequitur etiam idem quod volunt.

    Ma essi incorrono in unvizio logico, in un paralogismo: falluntur secundumaccidens, perch le dueautorit non appartengono allo stesso genere, essendo

    altera sub ambitu paternitatis, altera sub ambitu dominationis; il chepermette aDante di concludere:

    (12) Et sic patet quod Papa et Imperator, in quantum homines, habent reduci ad unum;in quantum vero Papa et Imperator, ad aliud: et per hoc patet ad rationem.

    Bene, questa ripresa dellargomento nellaMonarchiapermette diindividuarea quali testi Dante stia rispondendo, e si tratta di testi prodotti nellentourage di Bo-nifacio VIII negli anni dello scontro con Filippo il Bello: ilDe ecclesiastica pote-state di Egidio Romano, dedicato a Bonifacio VIII, composto fra laccendersi del

    conflitto col re di Francia (fine 1301) e il sinodo di Roma (novembre 1302), labolla Unam sanctam di Bonifacio VIII, del 1302, chepresenta una evidentedi-pendenza dalDe ecclesiastica potestate di Egidio Romano; e pi precisamente,come rileva Diego Quaglioni nel suorecente commento allaMonarchia, la Glossadi Jean Lemoine alla decretale bonifacianaAntiquorum habet(cio la bolla din-dizione del giubileo del 1300) contenutanella sua Glossa aurea apparsa a Pariginel 130111. Tutti testi militanti di stretta attualit filosofico-politica nei primissimi

    tion pour le De vulgari eloquentia, Mlanges de lcole franaise de Rome. Moyen ge, 117, 2005,pp. 509-529; DANTE ALIGHIERI,De lloquence en vulgaire, Introduction, annotation et glossaire parI. Rosier-Catach, Paris, Fayard, 2010, pp. 50-55, 312-315; I. ROSIER-CATACH,Man as a Speaking andPolitical Animal. A political reading of Dantes De vulgari eloquentia, inDantes Plurilingualism:Authority, Knowledge, Subjectivity (Berlin, 2-4 april 2009), ed. by S. Fortuna, M. Gragnolati, J. Tra-bant, Oxford, Legenda, 2010, pp. 34-51.

    11 D. QUAGLIONI, commento allaMonarchia in DANTE ALIGHIERI, Opere, ed. diretta da M. Santa-gata, II, Milano, Mondadori, 2014, nota aMn III xii 1, pp. 1357-1358, con riferimenti a VE I xvi nelcomune uso della stessa citazione di Aristotele, daMetaphysica 1052b 18-9: Pare che Dante si rife-risca alDe perfectione evangelica di Bonaventura da Bagnoregio, che allega il testo aristotelico, colcommento di Averro, per sostenere il primato del papa come reductio ad summum in genere homi-num, cuiusmodi est Christi vicarius, pontifex summus []. Dante per deve aver mirato pi diretta-mente alla Glossa di Jean Lemoine alla decretale bonifacianaAntiquorum habet, la bolla dindizione

    del giubileo del 1300; il glossatore infatti pone lauctoritas in concedendo come prima giustificazionedellindulgenza, riassumendo nel principio della reductio ad unum le ragioni che fanno del papa lunicocapo del corpus mysticum della Chiesa, caput unum habens plenitudinem potestatis.

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    anni dellesilio di Dante, che molto verosimilmente Dante avr letto con avidit inquegli stessi anni. Sembra dunque molto verosimile che da questi testi Dante siastato attirato sul passo del decimo libro dellaMetafisica di Aristotele che illustra il

    principio della reductio ad unum, e che il primo uso che egli abbia fatto di quelprincipio sia stato, con folgorante spostamento, di usarlo come strumento per cat-turare la pantera del volgare illustre. Anche questa una conferma dellinteressepolitico, in questo caso teorico-politico, che strettamente intrecciato allelabora-zione del pensiero linguistico, e si tratta di un interesse orientato allidea imperiale.

    5. De vulgari eloquentia I xviii: il volgare aulico e curiale; i doctores eloquen-tes membri della curia dItalia fisicamente dispersa

    Nella chiusa del I libro delDe vulgari eloquentia Dante riesce nellimpresa in-tellettuale veramente spericolata di qualificare i doctores eloquentes, cio ipoeti lirici italiani, in altre parole lui e il suo amico Cino e pochissimi altri (di cuilui ovviamente il portavoce), niente meno che come i membri, per ora uniti solodal gratioso lumine rationis, della curia dItalia, in attesa che tale curia possa, alpari di quella di Germania, unirsi nella persona unica di un principe, e materializ-zarsi in una vera aulapalatina.

    Il dilemma che ha agitato a lungo gli esegeti delDe vulgari eloquentia, se nelvolgare illustre Dante vedesse la lingua dei poeti o la lingua degli italiani, del tuttofuorviante12. Loperazione geniale del testo precisamente quella di sostenere che

    la lingua dei poeti lavanguardia, lanticipazione, di quella che un giorno sar lalingua aulica degli italiani tutti. Dante, cio, prima individua un corpus di testipoetici dai siciliani della corte federiciana ai guinizelliani bolognesi agli stilno-visti toscani che con qualche forzatura pu considerarsi documentazione di unalingua italiana unitaria ante litteram; poi, su questo fragilissimo fondamento em-pirico, trasforma i poeti che smunicipalizzandosi hanno attinto questo volgaresemplicissimo e nobilissimo addirittura nei paladini (assolutamente inconsape-voli) della rigenerazione dellItalia sotto le insegne di un imperatore che rinverdi-sca lopera eroica degli ultimi imperatori svevi.

    Che cosa significa questa costruzione vertiginosa, questo grattacielo di idee ar-

    dite che si autosostengono?Qui mi limito a poche considerazioni provvisoriamente conclusive.1. Non c alcun dubbio che la proiezione imperiale futura non sarebbe stata

    concepibile senza lesempio storico assolutizzato degli eroici imperatori svevi edella loro Magna Curia fatta in gran parte di poeti. Dante pu vedersi, col suo

    12 Tale dilemma era stato enfatizzato, divaricando le due interpretazioni per evidenziare una crepache avrebbe incrinato il pensiero di Dante, da G. VINAY,Ricerche sul De vulgari eloquentia. 1.Lin-gua artificiale, naturale e letteraria, Giornale storico della letteratura italiana, CXXXVI, 1959, pp.

    236-258; cfr. M. TAVONI,Il concetto dantesco di unit linguistica e le prime intuizioni di una na-zione italiana, inPre-sentimenti dellUnit dItalia nella tradizione culturale dal Due allOttocento,Atti del Convegno (Roma, 24-27 ottobre 2011), Roma, Salerno, 2012, 6, pp. 41-42.

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    Postilla ideologico-cronologica

    Quanto stampato fin qui corrisponde alla relazione tenuta al convegnoEnrico

    VII, Dante e Pisa il 25 ottobre 2013. Al momento di andare in stampa, a un annodi distanza, bene render conto sinteticamente degli sviluppi successivi, espan-dendo un minimo le poche considerazioni provvisoriamente conclusive (qui,numerate, alla pagina precedente) con cui chiudevo la mia relazione.

    Il lavoro dinsieme nel quale ho tentato di storicizzare le tematiche salienti delDe vulgari eloquentia e del Convivio, e fra queste lidea imperiale, allinterno delleprobabili circostanze biografiche, geografiche e politiche in cui i due trattati ven-nero composti, larticolo Convivio e De vulgari eloquentia: Dante esule,filosofo laico, teorico del volgare, Nuova rivista di letteratura italiana, XVII/1,2014, pp. 11-54.

    Nel frattempo uscito il libro postumo di Umberto CARPI,LInferno dei guelfie i principi del Purgatorio, Milano, Franco Angeli, 2013, che in pi punti tocca losviluppo dellidea imperiale nella storia di Dante, particolarmente misurandosi conla contraddizione rappresentata dalla richiesta di perdono rivolta ai governanti diFirenze, documentata dalla perduta letteraPopule mee, quid feci tibi? di cui parlaLeonardo Bruni e dal secondo congedo della canzone Tre donne intorno al cor mison venute. Ed uscito larticolo di Enrico FENZI,Dante ghibellino. Note per unadiscussione, Per leggere, 24, primavera 2013, pp. 171-198, il quale proponeunipotesi di cronologia che riesca a precisare i momenti diversi ma certamentemolto vicini della richiesta di perdono ai neri fiorentini che nella canzone Tre

    donne, e il forte spirito ghibellino che anima lelogio di Federico II e Manfredi nelDe vulgari eloquentia.

    Sia Carpi sia Fenzi concordano, giustamente, nel ritenere che lelogio di Fe-derico II e Manfredi nelDe vulgari eloquentia sia un atto di pieno e decisivo va-lore politico. Secondo Carpi ben chiaro che la lode a Federico e a Manfredi nelDe vulgari politicamente sostanziale, esprime una precisa, articolata idea geo-grafica e linguistica dellItalia e della sua collocazione in Europa14. Carpi tutta-via intende mantenere uno stacco fra lidea imperiale cos espressa nelDe vulgarieloquentia, di cui sottolinea la base linguistico-culturale (potremmo anche chia-marla intuizione linguistico-culturale,sub specie Imperii, della nazione italiana)15,

    e lidea pienamente giuridico-politica dellaMonarchia (anche se, a mio parere,largomentazione sviluppata qui ai 4 e 5 mostra che ladesione allidea giuri-dico-politica di Impero era gi tutta in nuce nelDe vulgari):

    solo in questo quadro si intende lassoluto rilievo conferito da Dante nelDe vulgari aFederico e a Manfredi: che non affatto, come taluno vuole, il punto pi alto dellac-censione imperialistica di Dante [] bens il punto cruciale di comprensione che larealinguistica del s costituisce un territorio geograficamente determinato, che a quel ter-ritorio manca non unindipendente unit politica statuale (concetto estraneo, anzi di-

    14 ID.,LInferno dei guelfi, cit., p. 154.15 Cfr. M. TAVONI,Il concetto dantesco di unit linguistica, cit., pp. 23-48.

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    scaro a Dante, e basti pensare allavversione perla Francia), bens un centro sovraor-dinato, legittimato ad assicurare equilibrio politico fra le sue diverse giurisdizioni par-ticolari16.

    Carpi, soprattutto, sottolinea giustamente come questo coincida con lamplia-mento dellorizzonte mentale dantesco dalla dimensione fiorentina alla dimen-sione italiana (ivi):

    Una visione politica che si amplia dalle scaramucce bianco-ghibelline intorno a Fi-renze; che ha cominciato a conoscere la realt declinante dei feudali dAppennino e diMaremma e insieme lemergente mondo presignorile dei tiranni di Romandiola e diLombardia; che ha percepito in pieno (dopo le polemiche anti-ierocratichedellultimo

    periodo fiorentino) la perdita di baricentro per il vuoto duna Roma senza aula e senzasoglio, insomma per leclisse italiana dei due soli. Una maturazione di coscienza poli-

    tica sulla via del primato imperiale (ma niente a che vedere, sintende, con unadesionealla ghibellinapars Imperii) e un decisivo spostamento del punto di vista dallintornodelle muradi Firenze verso Firenze che era stata sostanzialmente lottica della Uni-versitas partis alborum nei primi due anni di esilio allalto dellAppennino fra Luni-giana dei Malaspina e Casentino dei Guidi ad abbracciare lintera Italia del s.

    Fenzi altrettanto deciso a sostenere che lelogio svevo delcap. I xii ha unchiarissimo significato politico17:

    impossibile sottovalutare questo omaggio a Federico II e Manfredi che, per essere benradicato e pienamentecoerente con tutto il discorso che Dante andato svolgendo sino

    a quel punto, non cessa tuttavia di sorprendere per il suo tono vibrante, per la sua por-tatapolitica clamorosamente ghibellina e per la sua complessa sostanza ideologica, cherinvia alle teorizzazioni sulla nobiltsvolte dieci anni prima nella canzoneLe dolcirime e riprese ora e sviluppate in direzione apertamente aristocratica e imperiale nellibro IV del Convivio.

    Nonostante lammirazione per le ricerche di Carpi, Fenzi opta implicitamente,fin dal titolo del suo articolo, per definire la posizione di Dante nelDe vulgarighibellina (definizione che Carpi rifiutava)18, piuttosto che imperiale. Forse lofa per adesione alla ricostruzione, per la quale ha parole di apprezzamento, di John

    A. Scott19

    :

    Tutti questi elementi [intende i soggiorni a Forl presso Scarpetta Ordelaffi e a Veronapresso Bartolomeo della Scala] rendono piche probabile una conversione da parte di

    16 U. CARPILInferno dei guelfi, cit., p. 155.17 E. FENZI,Dante ghibellino, cit., p. 172.18 U. CARPI,La nobilt di Dante, cit., p. 488: interpretare Dante come un convertito al ghibelli-

    nismo il mito, simpatico fin che si vuole ma mero mito, del ghibellin fuggiasco sarebbe il peg-giore degli errori.

    19

    J.A. SCOTT

    , Genesi e sviluppo del pensiero politico dantesco, inLe culture di Dante. Studi inonore di Robert Hollander, a cura di M. Picone, Th. J Cachey Jr., M. Mesirca, Firenze, Cesati, 2004,p. 259.

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    Dante o quanto meno unaffinit politica con il ghibellinismo dellItalia settentrionale,conversione avvenuta negli anni 1303-04. Bisogna, per, subito aggiungere che que-sta fase ghibellina fu di breve durata, perch assai presto essa venne trasformata dalconcetto della missione provvidenziale di Roma, scoperta intorno al 1306-07 e docu-mentata dai capitoli 4-5 del quarto trattato del Convivio.

    Personalmente concordo in pieno con Scott nel ritenere che i modelli politicidi Forl e soprattutto di Verona, sullo sfondo dei regimi feudali appenninici, tuttimodelli e regimi concretamente ghibellini, siano stati importanti per la concezionedel Convivio, e anzi penso che Dante abbia progettato il Convivio e ne abbia scrittoil primo libro avendo come primi destinatari i nobili, uomini e donne, della cortescaligera20. Ma ritengo anche che questa sua evoluzione intellettuale, che unaevoluzione intellettuale profonda, sia fin dallinizio imperiale, cio abbia la suaragion dessere non in un contingente cambio di schieramento, ma nella convin-zione ben presto maturata che lendemica e autodistruttiva conflittualit comunalepoteva trovare soluzione solo in una qualche forma (al momento ancora del tuttovaga) di restaurazione imperiale.

    Certo questa convinzione Dante la matur grazie a esperienze di regimi padaniche non avrebbe mai fatto se non fosse stato esiliato, e grazie ai rapporti personalisviluppati allinterno di quegli ambienti; e le idee imperiali del Convivio e delDevulgari le pot sviluppare in una citt ghibellina come Verona e in una citt biancae alleata delle citt ghibelline di Romagna come Bologna, e mai avrebbe potuto svi-lupparle, per mancanza dellindispensabile ossigeno, in citt guelfe nere come Fi-renze, o Ferrara, o Lucca. Ma definire Dante ghibellino, anche in questa fase, misembra riduttivo, come conferma tutto il pensiero autenticamente imperiale (vedisopra) sviluppato nel primo libro delDe vulgari eloquentia, proiettato non soloallindietro verso gli eroi svevi (cap. xii), ma anche in avanti (cap. xviii), con losguardo utopico (ma dopo qualche anno lutopia si materializzer in Enrico VII)alla restaurazione dellaula e della curia anticipata dai doctores eloquentes.

    Ma veniamo alla diatriba cronologica. La diatriba cronologica, che ovviamentesussiste in quanto non abbiamo documenti darchivio che illuminino questi annidella vita di Dante, si intreccia in modo pi o meno implicito con il problema dellacoerenza intellettuale ed etica di Dante.

    Le ricerche di Carpi, infatti, hanno smontato lidea preconcetta di un Dantemonolitico che attraversa da bandito, dunque in una situazione personale di estremadebolezza e vulnerabilit, i pi vari regimi politici dellItalia centro-settentrionalerestando miracolosamente insensibile e refrattario agli inevitabili condizionamentipolitici posti da questi regimi dai quali, di volta in volta, si trovava a dipendere perquestioni di vita o di morte. Questa idea preconcetta cos vistosamente insensatache possiamo chiederci come sia stato possibile che lo sfondo biografico di com-posizione delle varie opere sia rimasto per tanto tempo sostanzialmente assentedal lavoro di interpretazione delle opere stesse.

    Ma Carpi per primo a mettere in guardia anche dal rischio opposto, cio dal

    20 Come ho argomentato in Convivio e De vulgari eloquentia, cit., 6.1, pp. 42-45.

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    di composizione dei due trattati, culminante appunto in Cv IV iv-v; per non diredel carpiano Inferno guelfo, segnato dalla richiesta di perdono e di nuovo fio-rentinocentrico, se lo si concepisce scritto in continuit, e non in discontinuit, con

    i due trattati interrotti.Eppure tutta la ricostruzione di Carpi peraltro piena di scoperte e di intui-zioni illuminanti interna a questa periodizzazione, che unisce in una sola cam-pata gli anni 1304-1308, e si trova dunque a mescolare allInferno guelfo efiorentinocentrico due opere, il Convivio e ilDe vulgari eloquentia, che sono luna(il Convivio) irriducibilmente a-fiorentina, laltra (ilDe vulgari eloquentia) anti-fiorentina, entrambe concepite e proiettate in un orizzonte politico padano, e as-solutamente imperiali. E questa troppo inclusiva campata cronologica sarebbe tuttaposteriore alla rottura di Dante con la compagnia malvagia e scempia (Pd. XVII62) dei fuorusciti bianchi fiorentini, rottura identificata con la battaglia della La-

    stra (20 luglio 1304) e con la conseguente richiesta di perdono ai Neri, e con ciautomaticamente con il tradimento dei Bianchi da parte di Dante. Per cui, di-ventate per lui terra bruciata le citt bianche o ghibelline, i due trattati imperialiDante avrebbe dovuto scriverli da qualche parte sotto protezione guelfa nera24.

    Carpi era consapevole delle difficolt di questo quadro, come traspare daespressioni quali segmento di straordinaria complessit ideologica e poetica,percorso accidentato (qui n. 24); e prima impressione di un percorso ondeg-giante e contraddittorio, impensabile [ma intanto evocata] lidea di un percorsoideologico zigzagante, fase complicata di intricatissima geografia e psicologiapolitica25.

    Fenzi ha quindi ragione a sentire lesigenza di trovare un ordine cronologicolungo il quale i fatti si dispongano in modo meno accidentato, ondeggiante, con-traddittorio, zigzagante o intricato che dir si voglia.

    La soluzione che egli propone si allontana in realt molto da quella di Carpi.Basti dire che egli semplicemente ribalta lidea dellInferno guelfo, sostenendoche lintera cantica imperiale dal primo allultimo canto, per concludere:

    24 ID.,La nobilt di Dante, cit., p. 685: e per lui Dante, in questo periodo fra 1305 e primi mesidel 1309, dove dico fisicamente e politicamente e con chi sta? Sappiamo che sta nella guelfa Tre-viso e nella guelfa Lucca, soprattutto nella Lunigiana del guelfo Moroello Malaspina che ha appenadisfatto Pistoia bianca e come ci narra Boccaccio nellAppennino del guelfo Guido Salvatico deiGuidi di Dovadola e dellUguccione non gi guelfo, per divenuto suocero di Corso Donati e cometale nelle sue trame fiorentine profondamente implicato; ID.,LInferno dei guelfi, cit., p. 25: Il qua-dro politico e il quadro esistenziale ci portano per Tre donne e per quella richiesta diperdono verso il1305, cio nel segmento biografico che dalla fine del primo periodo dellesilio segnata dalle gior-nate della Lastra e forse gi dal suo periodo di preparazione ho detto giungere fino al 1308; in-somma, ripeto, Tre donne sta concettualmente [] agli inizi della fase cruciale in cui via via, spessosovrapponendosi e intersecandosi, si collocano gli abbozzi di Convivio eDe vulgari, le ultime trecanzoni, la scrittura dellInferno: proprio quel segmento di straordinaria complessit ideologica e poe-tica ma di circostanziata congiuntura biografica, che appunto perci (per la difficile definizione poli-tica della sua coloritura eminentemente guelfa e per lidentit nera dei suoi referenti []) stato letto

    frastagliatamente e non sistematicamente, ovvero forzato e uniformato alla misura dellaMonarchia.Dalla met del 1304 al 1308-1309, invece, un percorso: accidentato, ma con una sua logica cogente.25 ID.,LInferno dei guelfi, cit., pp. 149, 151, 155.

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    Affermazione che a Fenzi suona vicinissima, mi pare, al delitto di lesa mae-st da lui sopra evocato: una deriva di atteggiamenti compromissori e oppor-tunistici di un Dante che per tutto il corso dellInferno avrebbe tradito se stesso

    (p. 177); lipotesi di una doppiezza davvero inquietante (p. 178).Dunque, per evitare la coincidenza del pentimento con lesaltazione degli im-peratori svevi (insostenibile), e per evitare che il pentimento cada troppo a ridossodellInferno, col rischio di contagiarlo, Fenzi imbocca la direzione opposta: az-zarda lipotesi di retrodatare il pentimento a prima della Lastra, a un momento an-teriore o al massimo coincidente con il tentativo diplomatico del cardinale Niccolda Prato (maggio-giugno 1304), e quindi retrodatare Tre donne a prima delDe vul-gari eloquentia:

    Se [...] ci riesce dunque di far stare Tre donne entro, che so?, il settembre o anche prima

    (con quelpi lunepotremmo addirittura pensare che Dante abbia interesse a enfatizzareun periodo non pi lungo di due mesi), saremmo riusciti a fare un poco di spazio, perquanto sempre assai compresso, attorno a quel passo delDe vulgari eloquentia (p. 179).

    Veramente, la formulazione linguistica di questo ragionamento scopre la suastrumentalit in modo fin troppo ingenuo. Credo che si renda un servizio migliorealla coerenza di Dante astenendosi dal cercare di far stare qualcosa in un tempostiracchiato per riuscire a far un poco di spazio a qualcosaltro.

    Il fatto che sia Carpi sia Fenzi sono prigionieri del dogma secondo il quale ildistacco di Dante dalla compagnia malvagia e scempia (Pd. XVII 62) dei fuo-rusciti bianchi coincide con la cosiddetta battaglia della Lastra del 20 luglio 1304,e fa tuttuno con labbandono della prospettiva politica guelfo-bianca, con la ri-chiesta di perdono ai neri di Firenze, e col conseguente, inevitabile cambio di pro-tezioni detto anche tradimento.

    Non cos. Un primo momento di distacco di Dante dai compagni desilio sicolloca nel 1303, seconda guerra mugellana, probabilmente in coincidenza con larotta di Castel Puliciano del 12 marzo ( probabilmente a questo episodio, noncerto alla Lastra, che si riferisce il famoso brano dellOttimo). Landata a Veronanel maggio 1303 conseguente a questa prima rottura, che non comport affattoil rientro di Dante nellorbita guelfa nera; anzi fu probabilmente nella ghibellina

    Verona, in mezzo allentourage scaligero in piena fase di nobilitazione, che Danteconcep e inizi a scrivere il Convivio. Il ruolo attivo di Dante nella Universitas al-borum a sostegno del tentativo di pacificazione del cardinale Niccol da Prato, nelmaggio-giugno 1304, dimostra come il distacco dellanno precedente non fosseinsanabile, ma anche quanto fosse composita di voci difficilmente armonizzabili,fra cui quella di Dante, la compagnia dei fuorusciti.

    La cosiddetta battaglia della Lastra totalmente incompatibile con le caratte-ristiche dellepisodio militare, con sospetto di tradimento a carico di Dante, di cuiparla lOttimo. Tutto fa credere, al contrario, che si sia trattato di una prosecuzionedella politica con altri mezzi, tuttaltro che una mossa improvvida e dissennata

    come se la rappresentano i dantisti: piuttosto un episodio preparato dallabile e au-torevole regia dello stesso cardinale Niccol da Prato, che riusc a costruire a tempo

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    SOMMARIO

    PROGRAMMA DEL CONVEGNO p. 5

    ATTI DEL CONVEGNO 9

    RELAZIONI INTRODUTTIVE 11

    GIUSEPPE PETRALIALItalia di Enrico VII e di Dante: una ricognizione(e unagenda) storiografica 13

    MARCO SANTAGATAEnrico VII, Dante e Pisa 37

    RELAZIONI

    KNUT GRICHIl leone dellimperatore Enrico VII.

    Domande sul contesto del dono di un animale 45GIAN MARIA VARANINI

    Le delegazioni delle citt e dei borghi dellItalia settentrionaledi fronte allalto Arrigo (novembre 1310-primo semestre 1311) 57

    MAURO RONZANILa Chiesa pisana al tempo di Enrico VII:gli arcivescovi domenicani Giovanni dei Conti di Poli e Oddone della Sala 75

    MARIA LUISA CECCARELLI LEMUTGhibellini e guelfi bianchi alla corte pisana dellimperatore 93

    ALMA POLONIAd sue voluntatis arbitrium. Enrico VII e i comuni italiani 111

    MONICA BALDASSARRIDe monetis nostris cudendis et fabricandis in Ytalia.Aspetti della politica monetaria di Enrico VII 131

    MICHELE LUZZATI - ALESSANDRA VERONESEEnrico VII e gli ebrei di Pisa e dItalia 149

    GABRIELLA ALBANESEDe gestis Henrici VII Cesaris:

    Mussato, Dante e il mito dellincoronazione poetica 161

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    518 Sommario

    MIRKO TAVONILidea imperiale nel De vulgari eloquentia 203

    ANNA FONTES BARATTO

    Linguaggio biblico e missione imperiale nellEpistola V di Dante 223ALBERTO CASADEITre canzoni in morte di Enrico VII: questioni storiche e attributive(e tracce dellInferno nel 1313) 243

    FABRIZIO FRANCESCHINILalto Arrigo e lalto Henriconella tradizione del poema e negli antichi commenti 261

    LUCIA BATTAGLIA RICCILalto Arrigo e lImpero nei commenti figurati danteschi 289

    GABRIELLA GARZELLAPisa imperiale: chiese, piazze, palazzi nellitinerario di Enrico VII 301

    GIANFRANCO FIORAVANTINobilt e Impero tra Convivio e Monarchia 315

    DIEGO QUAGLIONILa Monarchia, lideologia imperiale e la cancelleria di Enrico VII 323

    CHRISTIAN ZENDRILa legislazione pisana di Enrico VII: problemi filologici e interpretativi 337

    GIULIANO MILANIGiustizia, politica e societ nei comuni italiani al tempo di Enrico VII 359

    PAOLO PONTARILa verit storica sulla morte di Enrico VII e nuove fonti sanminiatesi:Giovanni di Lemmo Armaleoni e Lorenzo Bonincontri 373

    Testimonianze storiche sulla morte di Enrico VIItra Medioevo e Umanesimo

    (a cura di PAOLO PONTARI) 399

    FRANCESCO MALLEGNI

    A proposito dei resti mortali dellimperatore Enrico VII:analisi biologiche e memorie storiche 429

    TAVOLE 441

    INDICI, a cura di VERONICA DAD 481Indice dei nomi 482Indice dei manoscritti e dei documenti darchivio 509Indice delle tavole 512