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gaetanorocca
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Hanno collaborato alla stesura del presente libretto i docenti:

- Vita Di Graziano;

- Melia Maria Giovanna;

- Sucameli M. Antonina;

- Pasqua Madonia.

Ha curato la realizzazione la docente Sucameli M. Antonina.

Le foto sono state realizzate da Silvia Spinelli I E

Il disegno in copertina è stato realizzato dalle alunne:

Roberta D’Amico I E - Maria Laura Fascetta I A.

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ANNO SCOLASTICO 2006/2007

Lezioni di Storia

PASSATO

MEMORIA

FUTURO

Historia Magistra Vitae

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“E me che i tempi ed il desio d’onore

fan per diversa gente ir fuggitivo,

me ad evocar gli eroi chiamin le Muse

del mortale pensiero animatrici.

Siedon custodi dè sepolcri e quando

il tempo con sue fredde ale vi spazza

fin le rovine, le Pimplèe fan lieti

di lor canto i deserti, e l’armonia

vince di mille secoli il silenzio.”

Da “Dei sepolcri” di Ugo Foscolo

vv 226-234

gaetanorocca
Barra
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Introduzione di Simonetta Agnello Hornby

Fino all’età di 54 anni il mio solo e amatissimo mestiere è stato quello di

avvocato specializzato nel diritto dei minori. Da allora vi ho aggiunto

quello di romanziera, anche quello molto amato, ma al secondo posto.

È dunque per me un privilegio scrivere l’introduzione alla seconda edizio-

ne di “lezioni di storia” del Liceo Scientifico “Giuseppe Ferro”, a cui hanno

collaborato le insegnanti di lettere del biennio, con la partecipazione di

tutte le classi del biennio. Hanno scritto ragazzi della I E, I A, I C, II A, e I B,

in totale 76 ed è a loro che dedico questa introduzione.

Ai miei tempi, al “Liceo Garibaldi” di Palermo studiavamo la storia fino

alla prima guerra mondiale, con un accenno imbarazzato sul fascismo e

nessuno sulla mafia. Il silenzio dà forza al negazionismo e, nel caso della

mafia, ad un fatalismo che non ha fondamenta storiche e nemmeno

umane. Non sorprende dunque la dolorosa e ignobile crescita della

mafia, nel dopoguerra.Vi ricordo, come ricordo a me stessa, nei momen-

ti di sconforto sul futuro della nostra isola, le parole di Falcone: la mafia

non è parte della sicilianità, e come è nata, così può e deve morire.

Ma bisogna conoscere la storia degli uomini, siamo tutti uguali, e rico-

noscere in noi le caratteristiche che all’apparenza ci rendono diversi gli

uni dagli altri, per potere cambiare, migliorare e arricchirci internamente

e poi materialmente. Il 27 gennaio, l’olocausto, il 10 febbraio, le foibe, e

soprattutto il 21 marzo, la memoria della mafia, sono date indelebili in voi

come lo sono per me.

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Suggerito dal Ministero della Pubblica Istruzione e attuato dai vostri vali-

dissimi e dedicati insegnanti, questo libro è un tributo a voi, i ragazzi che

hanno contribuito con i 76 passi, poesie, pensieri e perfino mini-racconti.

Li ho letti tutti, soffermandomi su ciascuno, pensando alla sofferenza che

avete provato leggendo Levi, Filippi, Allende e Lussu, vedendo

“Schindler’s list” e ascoltando dai professori gli obbrobri del razzismo e

della guerra, quella istituzionale e quella nostra, dei Siciliani: la guerra

mafiosa. E ho poi pensato alla sofferenza che avrete provato, da soli,

nello scrivere. Dalla sofferenza nasce l’arte, e leggendo i vostri scritti -

spontanei, maturi, profondi - ne riconosco la sofferta bellezza. Siete bravis-

simi.

Dalla sofferenza nascono cose belle e straordinarie: la coscienza e la

volontà collettiva e individuale di lottare contro la cattiveria, di amarci

l’uno con l’altro e di migliorare, per noi stessi e per la generazione futura.

Dalla sofferenza nasce anche una nuova e forte volontà di godere. Io

ho avuto l’onore di conoscere un’anziana ebrea, sopravvissuta ad

Auschwitz. Era una donna allegra e serena, di immensa dolcezza e pace

interiore. Le ho chiesto come abbia fatto a non avere astio, a non odiare

i suoi carnefici, ad essere una ottimista. Mi ha corretto.“Non sono una otti-

mista. L’ottimista è un grullo. Io sono una donna che crede nella dignità,

nell’onore e nella fratellanza degli esseri umani. Leggo la storia del

mondo e non dimentico il passato. E così continuo a sperare nel trionfo

della bontà. Io sono una donna che spera.”

Voi, tutti i ragazzi del Ferro, siete parte del futuro della Sicilia, perché la

ricchezza di un popolo si calcola non in termini economici ma umani; le

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basi di una nazione sono saldamente ancorate sulla sua gioventù.

Ragazzi, continuate a sperare e non dimenticate il passato: queste sono

le basi di una vita piena e serena.

Simonetta Agnello Hornby

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Presentazione

Questo libro nasce dal bisogno dei nostri ragazzi che hanno partecipato

alle attività nei giorni della memoria, di scrivere le riflessioni sugli eventi tra-

gici della storia, di cui la Shoah ha rappresentato il momento più drammati-

co, carico della consapevolezza di dover ancora lottare per preservarlo dal

pericolo dell’oblio e della negazione.

Le loro parole non sono banali, ripetitive, retoriche, celebrative, piuttosto

autentiche e rivestite da una delicata sensibilità.

Questi ragazzi hanno fatto propri i messaggi dei poeti e delle testimonianze

assumendo la responsabilità di trasformare le ceneri in fertilizzante, il grido

di dolore in grido di civiltà, i morti in monumenti, il silenzio colpevole in con-

danna. Il confronto delle testimonianze di tutti gli olocausti: Shoah, foibe, vit-

time della mafia ha fatto cogliere loro lo stesso linguaggio quello della vio-

lenza e dei diritti umani negati, e lo stesso rimedio, la memoria come moni-

to e speranza, conoscenza e impegno.

L’insegnante

Prof. Sucameli M. Antonina

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Introduzione

Davanti agli esiti della violenza molti autori scelgono la poesia come mezzo

per far conoscere il dramma della realtà al maggior numero di persone pos-

sibili e esprimere il loro grido di dolore e di dissenso verso ogni tipo di vio-

lenza e perdita di libertà. Molti poeti parlano, infatti, di oppressione, di schia-

vitù, ma anche di speranza in un futuro migliore e attraverso i loro versi espri-

mono un giudizio sulle crudeltà commesse dall’uomo nel corso dei secoli e

trasmettono un messaggio affinché possa realizzarsi il mondo in cui vorreb-

bero vivere. Le poesie lette nel giorno della “memoria” affrontano il tema

dello sterminio degli ebrei e della loro dura lezione di storia.

Noi, come questi poeti, non vogliamo rimanere indifferenti con il nostro

silenzio carico di orrore e di paura,ma comprendere, meditare, riflettere e

dare il nostro contributo contro la non cultura della banalità che oscura le

coscienze e prepara il terreno a nuove violenze.

Il bisogno di scrivere è, dunque, consolatorio, risarcisce il dolore, ma con-

tribuisce alla riflessione e al confronto.

Odisseo Giorgia IC

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La Parola ai Poeti

“27 gennaio” di Rosa Filippi

“Un paio di scarpette rosse” di Joyce Lussu

“...le anime di quelli che abbiamo perduto

son prigioniere entro qualche essere inferiore,

una bestia, un vegetale, una cosa inanimata,

perdute di fatto per noi fino al giorno, che per molti non giunge mai,

che ci troviamo a passare accanto all’albero,

che veniamo in possesso dell’oggetto che le tiene prigioniere.

Esse trasaliscono allora, ci chiamano e

non appena le abbiamo riconosciute, l’incanto è rotto.

Liberate da noi, hanno vinto la morte e ritornano a vivere con noi.”

“Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust

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Fascetta Maria Laura I A

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La Parola ai Poeti

27 Gennaio

Sterminio

che attanaglia, imprigiona

disumanizza, infrange i cuori

che restano privi di ogni emozione

di ogni segno di vitale bontà

di umano rispetto

Sterminio

che ruba bimbi alle loro madri con occhi stralunati

privi di luce

in cerca di luce

Buio!

Madri che pregano

lottano, spingono

si fanno avanti per essere ricacciate indietro

in cerca dei loro cari

Donne derubate della loro femminilità

con teste rasate, rapate

inermi, mute

con bocche serrate, prive di suoni

con occhi spenti

con gambe spezzate pronte a piegarsi

umiliate oltraggiate

Carni senza un nome, con un numero

sacrificati come agnelli per un Dio che non perdona

assiso su un trono

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LE RIFLESSIONI

“27 Gennaio: una data come tante, un giorno come altri, ma dentro di sé

una grande diversità.”

Miriam Coppola I C

“Il poeta descrive uno dei periodi più bui della storia dell’umanità e descri-

ve abilmente con un gran numero di immagini, quasi come un album di foto-

grafie, l’olocausto.”

Giorgia Pollina IE

Esseri ammassati come mandrie

dentro recinti spinati

a rubare la povera miscela

per poter emanare l’ultimo respiro

Scaraventati come sacchi

inceneriti come legna

Le ceneri del vostro martirio

possano essere germogli

colorare di azzurro le tenebre

profumare i più remoti meandri

unire ogni lembo di terra

per far nascere al fratello

l’abbraccio al proprio fratello

Rosa Filippi

La Parola ai Poeti

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La Parola ai Poeti

“Il poeta paragona lo sterminio ad un ladro che ruba i bimbi alle loro madri

privandole di tutto. Ma ruba anche la luce ai bimbi negando loro la speran-

za di fuga, di salvezza ma soprattutto di vita. E’ questo lo sterminio: una notte

buia nella quale è difficile accendere una luce di speranza.

Ruba le donne della loro femminilità, le parole dalle loro bocche perché

ormai non c’è più niente da dire, ogni supplica è vana, perché ormai nessu-

no le ascolta più. Lo sterminio trasforma i perseguitati in ladri che fanno di

tutto pur di rubare un bicchiere d’acqua che permetta loro di emanare l’ul-

timo respiro e vivere anche solo per un altro secondo. Le ceneri, che in sé

simboleggiano la fine di qualcosa, possano invece servire da fertilizzante

affinché germogli in ognuno di noi la voglia di andare avanti e l’amore per

il prossimo. Ma possono servire soprattutto per non dimenticare.”

Giuseppe Cottone I E

“Questa poesia permette di riflettere sul valore della vita che va assaporata

e anche un’ora di vita è necessaria, importante per far sì che la speranza non

smetta di vivere e cresca in noi.”

Sergio Ferrantelli IE

“Rosa Filippi con questa poesia ci ha fatto capire chiaramente le condizio-

ni degli ebrei e soprattutto delle donne.”

Elena Silvestri I E

“Le donne che, ormai sfinite per la lotta, si rassegnano con occhi vuoti, privi

di espressività, al loro destino, cioè quello di venire ammassati come sacchi

e inceneriti come legna. Che questo genocidio possa essere un vaccino per

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l’umanità e non si ripeta mai più.”

Silvia Spinelli I E

“La parte che più mi ha colpito è stata la divisione delle madri dai bambini,

perché i bambini senza i loro genitori e quindi senza validi esempi, non

sarebbero stati in grado di sopravvivere, come in effetti è accaduto.”

Marianna Coppola I C

“Tutti morti, chi nel corpo chi nell’anima. Il torto più grande che si possa fare

ad una madre: uccidere il suo bambino sotto i suoi occhi. Di certo non si può

tornare indietro nel tempo per cancellare l’olocausto, ma possiamo impara-

re da esso per non ricadere nello stesso errore, quello che è successo può

accadere. La violenza non è stata eliminata dalla storia.”

Lucia Coppola I C

“Occorre ancora ricordare perché quello che noi vediamo giorno dopo

giorno, la mancanza di fratellanza e di amicizia, dimostra che non abbiamo

imparato da questa lezione di storia.”

Domenico Provenzano IE

“La violenza è pur sempre violenza ed ancora oggi abbiamo esempi di

come l’uomo possa essere crudele e spietato buttando al vento proprio quel-

la che è la dignità dell’uomo stesso.”

Antonio Parrino I C

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La Parola ai Poeti

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La Parola ai Poeti

“Questa poesia esprime il desiderio di fratellanza, cioè essere fratelli l’uno

dell’altro.”

Rossella Badagliacqua IC

“Provo disprezzo per coloro che hanno fatto di un impossibile incubo una

vera e propria realtà. Non riesco a capire come mai gli uomini tengano den-

tro di sé tanta violenza.”

Ivana Raspanti IE

“Questa poesia mi ha fatto capire il dolore di chi viene emarginato dalla

società e non ha un’identità.”

Gianvito Cacciatore IC

“Come carni di animali al macello venivano marcati a fuoco con i numeri

che sostituivano il nome.”

Roberta D’Amico IE

“Togliendo il nome ad una persona si cancella anche la sua storia. Se noi

dimentichiamo o addirittura neghiamo la loro esistenza non facciamo altro

che ucciderli di nuovo.”

Marta Fiammetta I E

“Il loro sacrificio non è stato vano se continueremo a ricordarli.”

Caterina Pizzitola IE

“Fatti orrendi, che lasciano immaginare la sofferenza e la disperazione

provata da milioni di persone…e far sì che il tempo non faccia volare via

queste ceneri, rendendole vane.”

Nadia Milazzo IE

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“Non dimenticando possiamo costruire un futuro migliore.”

Marika Miciletto IE

“I cuori delle persone che assistettero a tutto questo si infransero restando

privi di ogni emozione. Queste persone vanno ricordate per sempre perché

solo così possiamo evitare che la loro morte sia stata vana.”

Francesco Agrusa I E

“Il messaggio è un impegno dell’umanità affinché quello che è successo non

accada più.”

Giuliana Ganci IC

“Corpi privi di vita, di piccole creature ammassati l’uno sull’altro nell’attesa

di diventare cenere. Occhi “vuoti” e “pieni”, vuoti di gioia, di felicità, di sola-

rità, di vitalità, ma pieni di terrore, di disperazione, di stanchezza. Bambini

privati della loro infanzia che ogni bimbo ha diritto di avere”.

Irene Ventura I E

“In questi giorni ci sono state molte polemiche perché una persona insinua

che la shoah non è mai esistita e che è un’invenzione americana, ma noi

sappiamo che colui che parla è pazzo.”

Simone Pirrello IE

“La vita non si arricchisce con i soldi e il profitto, ma sapendo che il tuo pros-

simo è felice e che tu lo hai aiutato e che hai partecipato alla sua salvezza.”

Vincenzo Schillaci IC

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La Parola ai Poeti

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La Parola ai Poeti

Un paio di scarpette rosse

C’è un paio di scarpette rosse

numero 24 quasi nuove;

sulla suola interna si vede ancora la marca della fabbrica

“Schuiz Monaco”

C’è un paio di scarpette rosse

in cima ad un mucchio di scarpette infantili

a Buchenwald.

Servivano a fare coperte per i soldati

non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano

prima di spingerli nelle camere a gas.

C’è un paio di scarpette rosse

di scarpette rosse per la domenica

a Bunchenwald.

Erano di un bambino di tre anni e mezzo

chi sa di che colore erano gli occhi

bruciati nei forni

ma il suo pianto lo possiamo immaginare

scarpa numero 24

per l’eternità

Perché i piedini dei bambini morti non crescono.

C’è un paio di scarpette rosse

a Buchenwald

quasi nuove

Perché i piedini dei bambini morti

non consumano suole.

Joyce Lussu

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LE RIFLESSIONI

“Mi hanno colpito i versi “ scarpa numero 24 per l’eternità, perché i piedini

dei bambini morti non crescono”. Sono versi profondi ricchi di messaggi e di

esortazioni per farci riflettere perché le violenze peggiori sono quelle subite

dai bambini, che sono il domani, sono coloro che sono stati privati dei

momenti più belli come l’infanzia e l’adolescenza. Ma in quei campi ogni

ideale, ogni speranza, ogni spiraglio di luce, bruciava nel buio e nel deserto

della morte”.

Alessia Marianna Mannina I A

“I sentimenti tristi che trasmettono queste parole e i messaggi, che hanno

forse ancora un pizzico di speranza per un mondo migliore, sono la testi-

monianza di ciò che l’uomo è capace di fare, di quante persone innocenti è

riuscito ad uccidere, del dolore che ha provocato forse anche senza ren-

dersene conto, per un motivo che un uomo con un cuore non può condivi-

dere.”

Sara Intravaia I A

“Questi uomini, ormai entrati nei campi di sterminio, perdevano ogni spe-

ranza ed ogni possibilità di sopravvivenza.”

Andrea Finazzo I C

“Trattati dai nazisti come degli oggetti prima da utilizzare e di cui liberarsi

quando non erano più utili.”

Paolo Polizzi I C

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La Parola ai Poeti

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La Parola ai Poeti

“Persone a cui non è stato concesso di morire da uomini, ma da animali.”

Giorgia Odisseo I C

“La poesia è toccante perché ci fa riflettere di più contemplando ogni paro-

la. Penso quanto sia stato brutale l’uomo con quelle idee inutili, ma soprat-

tutto penso al male che ha commesso.”

Elisa Mistretta IE

“Nessuno ha il potere di decidere sulla vita degli altri perché questo provo-

ca dolore, lutti, incubi terribili.”

Mario Accardi I C

“Le parole ci riportano a quei tempi e ci lasciano immaginare il dolore degli

ebrei tramite parole scritte con molta cura.”

Antonio Cracchiolo I E

“L’unica risposta che riesco a darmi che poi è quella che ci danno i film, i

documenti, i libri, è che i nazisti erano più che coscienti; allora mi chiedo

come fa un uomo ad uccidere un altro uomo e a riuscire a guardarsi allo

specchio con fierezza come se avesse fatto qualcosa per il bene della

comunità ?

Maria Antonietta Lorito I A

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La Parola ai ragazzi,le poesie, le emozioni...

“Jaime scese con gli altri.

Su ogni scalino dell’ampia scala di pietra

c’erano soldati appostati. Sembravano impazziti.

Prendevano a pedate e colpivano col calcio

del fucile chi scendeva,

con un odio nuovo, recentemente inventato,

che era sbocciato in loro nel giro di poche ore”

da “La casa degli spiriti” di Isabel Allende

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Cruciata Chiara I A

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Quel bambino

Una goccia d’acqua cristallina

scorre veloce…

sul viso di un bambino

una giornata buia e fredda

di un lontano 1945

graffia l’anima del bambino

che vede, ma non vorrebbe,

la sua mano lasciare quella dei suoi genitori.

Scende la neve e il sole la scioglie

e quel bambino, ormai vecchio,

non ha ancora cancellato quel brutto ricordo;

solo che oggi è sicuro di una sola cosa:

i suoi genitori, anche se gettati in una fossa,

lo stanno guardando dal cielo.

Manno Antonella IA

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Tanti olocausti hanno segnato la nostra storia

Alle vittime degli abissi

affinché possano essere ricordati;

ai testimoni degli abissi

affinché possano ricordare e

raccontare

il vuoto negli occhi dei bambini,

la disperazione nel volto delle donne;

a quegli uomini

ai quali è stato negato

il diritto di morire come uomo.

Bambini, uomini, donne, anziani

strappati dai loro affetti

dalle loro case,

dai loro sogni.

Un numero che fa perdere l’essenza della vita.

Ma che cos’è la vita dinanzi a questi orrori?

Cenere, solo cenere

di corpi fucilati, bruciati…

La Parola ai ragazzi, le poesie, le emozioni...

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Che cos’è l’uomo dinanzi a queste atrocità?

Rimani lì attonito,

immobile

a contemplare, indifferente, pensando

che mai nulla di tutto ciò

possa nuovamente ritornare,

che possa stravolgere la tua vita,

la tua famiglia.

Tanti olocausti hanno segnato

la nostra storia,

il cammino dell’uomo

tanti, troppi per questo povero

genere umano che cerca solo

PACE e giustizia dei cuori.

Mannina Alessia IA

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Tutto ormai era finito

Tra la nebbia vedevo solo le lacrime degli uomini,

nel rumore sentivo solo gli spari delle pistole,

nelle case tutto era vuoto,

per strada non si scorgeva anima viva:

non si sentivano più i sorrisi dei bambini,

vederli giocare, vederli felici e spensierati.

Tutto ormai era finito,

come se un colpo di vento avesse spazzato via tutto quanto:

tutto è vuoto,

tutto è ignoto.

Vallone Maura IA

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Ricordo

Ricordo

di quegli uomini

senza cuore, senza anima

Ricordo

di quei volti spaventati,

di quegli occhi persi nel nulla,

di quei sorrisi ormai spenti.

Ricordo

di quei corpi privi di vita,

ammassati come carne da macello.

Ricordo

di quei grandi uomini

che cercarono di ribellarsi a tutto ciò

sacrificando anche la loro vita.

Ricordo

perché il ricordo

possa far riflettere

Fascetta Maria Laura IA

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Non c’era più vita

Nel cielo,

le stelle non brillavano,

nei campi,

i frutti più maturi erano stati strappati.

L’armonia e la felicità degli uomini erano state

sottratte dagli spari dei soldati.

Non c’era più vita:

silenzio, solitudine, sofferenza, odio.

Questi i sentimenti che ogni uomo provava

nel proprio cuore,

la cui vita era stata oltraggiata e negata.

Non esiste atrocità più grande che la

privazione della vita stessa:

il dono più grande che l’uomo abbia potuto ricevere.

Vallone Maura IA

La Parola ai ragazzi, le poesie, le emozioni...

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LE EMOZIONI

“Immagini e testimonianze agghiaccianti ci raccontano, con gli occhi di chi

li ha vissuti da protagonista, come la dignità umana sia stata calpestata, deri-

sa, distrutta, annientata, sostituita da un semplice numero, svuotata da ogni

piccolo ricordo legato alla propria famiglia, alla vita passata, al ruolo socia-

le. Rimango incredula e provo anche un po’ di timore pensando a cos’è

capace di fare l’uomo.”

Silvia Amore I B

“Tristezza, sgomento, angoscia, e compassione verso tutte le persone inno-

centi che hanno subito le atrocità di tutti coloro che, per un’idea sbagliata,

assurda, hanno tolto loro la vita, la dignità, l’umanità. Disprezzo per coloro

che si sono macchiati di crimini ingiustificati.”

Valentina Vitale I B

“ I sentimenti e gli stati d’animo che vidi nei sopravvissuti li feci miei grazie ai

loro occhi che rimandavano le immagini dei loro persecutori…mostri…

Avrei voluto non vedere quello che è successo, ma ora che ho visto mi chie-

do il perché di questi orrori e credo che quando lo avrò saputo vorrò chiu-

dere gli occhi e pensare che nessun motivo giustifica lo sterminio di massa.

Ciò che ho visto ha fatto crescere in me la consapevolezza di vivere un’oc-

casione irripetibile, la vita, che solo Dio può togliere via e nessun uomo può

avere il diritto di rubarla.”

Angela Fundarò I B

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La Parola ai ragazzi, le poesie, le emozioni...

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Così sembra e così certamente sarà

se i tedeschi non si sveglieranno da questa apatia,

se non protesteranno dovunque essi possano

contro queste cricca di criminali,

se non parteciperanno al dolore,

di queste centinaia di migliaia di vittime

e non solo essi devono provare compassione per questo dolore,

ma molto di più:

devono sentirsi corresponsabili.

Infatti è soltanto a causa del loro comportamento apatico

che uomini malvagi hanno la possibilità di agire così.

da G. Ghezzi, “La Rosa bianca,

un gruppo di resistenza al nazismo in nome della libertà”

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I tuoi occhi ormai spenti hanno aperto i miei

Non sapevo cosa fosse la paura da vicino.

L’ho vista negli occhi di una bimba che correva per sfuggire alla morte, nei

suoi occhi sbarrati ho visto il terrore, nel suo corpo straziato ho visto la dispe-

razione e l’angoscia per i sogni spezzati, perduti, per sempre! Qual era la tua

colpa, piccola bambina?

Forse quella di apparire debole, ridotta al silenzio, alla paura, uccisa nello

spirito, prima ancora che l’incubo della morte uccidesse il corpo. I tuoi occhi

ormai spenti hanno aperto i miei, rivelandomi l’assurdità di questa guerra…

Non voglio vedere mai più altri occhi pieni di paura, di sangue, di morte, ma

solo sguardi di gioia, di luce, di fratellanza, di speranza! Il serpente dell’odio

che era nel mio cuore ha cessato di vivere. Io non odio coloro che combat-

to: alzerò le mie mani per cancellare l’odio e il male, per disperdere le paure,

per costruire un mondo di pace senza più burattinai.

Buscemi Giuseppe IC

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Mio Dio ho visto la morte in faccia...

Sto lavorando intensamente da ore ormai, mi trovo in questa piccola stanza

piena di macchinari, dove non si respira e dove la gente lavora senza sosta.

Ogni tanto faccio una pausa di qualche minuto, e poi riprendo a lavorare.

Ad un tratto vedo entrare alcuni uomini delle SS, accidenti! Si dirigono verso

di me. Vogliono vedere come svolgo il mio lavoro, mi danno un tempo defini-

to per montare il pezzo e poi inizio; impiego circa un minuto, credo di avere

fatto bene, infatti uno di loro si complimenta poi mi chiede di mostrargli quan-

ti pezzi ho montato oggi: non sono abbastanza. Mi dice che è in arrivo un cari-

co di uomini più efficienti e più svelti di me; a quel punto capisco dove vuole

arrivare… Mi portano fuori, la neve è gelata, mi fanno mettere in ginocchio;

tremo dalla paura, ma cerco di convincerli che sono un ottimo operaio, che

ho sempre svolto bene il mio lavoro ma lui prende la pistola e la carica.

Perché a me? Che cosa ho fatto? Mi chiedo come questa gente possa vivere

avendo sulla coscienza il peso di migliaia di persone.

Come possono vivere senza essere consumati dal rimorso? Sono degli assas-

sini spietati che uccidono a sangue freddo senza un valido motivo, a volte per

divertimento, a volte per eseguire un ordine. È arrivata la mia ora, io non sarò

il primo e neanche l’ultimo, non ho fatto niente per meritare ciò eppure sono

qui a vivere i miei ultimi attimi inginocchiato sulla gelida neve insieme a que-

sti mostri.

Sento l’arma sopra la mia testa, quello preme il grilletto ma il colpo non

parte, riprova molte volte ma niente, in me si accende un po’ di speranza, lui

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subito prende quella del collega, capisco di essere stato uno stupido a pen-

sare di farcela e invece neanche questa funziona. L’uomo si arrabbia, mi dà

un calcio e mi ordina di tornare a lavoro. Non so se è stato uno scherzo per

farsi quattro risate e farmi morire di paura o se sono stato baciato dalla fortu-

na. Mio Dio, ho visto la morte in faccia…

Ruocco Giovanni IC

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Auschwitz - Bierkenau

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Ma la sua colpa è diventata anche la mia

Era mattina c’eravamo appena svegliati, io avevo da poco preparato la

colazione, vidi immediatamente Hans che si alzò di scatto e si mise a cerca-

re in tutta la stanza, si voltò verso di me e mi disse:

“Ce l’hai accanto tu il fucile?

Dammelo!”

io mi guardai attorno, lo presi e glielo diedi, lui sparò…, come del resto

avviene ogni mattina. Il mio amore per lui si è trasformato in odio.

Lo odio quando fa così, la colpa forse è di questa guerra che non ci fa pen-

sare e di questo stupido lavoro: ufficiale responsabile di questo campo di con-

centramento; è spietato nei confronti di quegli uomini tutti grigi, tutti uguali,

con la colpa di essere ebrei; perchè tanta brutalità?

Lo fa per noia o per squallido disprezzo?

E poi quella stupida propaganda. Devo dire che la guerra l’ha proprio cam-

biato! Tempo fa non era così.

Era una persona dolce che non aveva nemici.

Hans si affacciò al balcone e con un sorriso maligno prese di mira un ebreo.

Mentre mi accingevo a portare le tazze sul tavolo un brivido percorse il mio

corpo per la detonazione dello sparo che fece cadere le tazze per terra.

Subito mi misi a correre verso il balcone e vidi un uomo a terra, morto con il

sangue che correva sulla neve bianca e fredda.

Non posso non pensare a quell’uomo, alla sua vita, magari aveva una

moglie, dei piccoli bambini ancora da accudire a cui dare tanto affetto e

insegnamento, mi vengono i brividi al solo pensiero.

Quando vedo tutto questo mi verrebbe di andarmene via da questo posto e

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non vedere più la malvagità di Hans, ma non posso perché ho paura…chis-

sà è capace di uccidere anche me, ma la sua colpa è diventata anche la

mia.

Miciletto Marika IE

Auschwitz - Bierkenau

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Potevo fare di più e per questo mi disprezzo

Mi presentai all’ufficiale tedesco con un pugno di diamanti: “Non mi sento a

mio agio con questa roba qui” mi disse.

Ero venuto per corromperlo, perché mi lasciasse tenere aperta la fabbrica..

In effetti era da un pò di tempo che i miei dipendenti non lavoravano e assu-

mevo anche chi non sapeva lavorare, e questo lo sapevano. In realtà lo

scopo era salvare quante più persone possibile dal nazismo.

Gli ebrei venivano perseguitati senza un giusto motivo, ed io assumendoli

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Auschwitz

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come dipendenti li salvavo, perché utili.

La mia lista contiene i nomi di coloro che ho salvato.

Per farlo mi è stato utilissimo il denaro che avevo accumulato fino ad allora,

in quanto dovevo tenere la fabbrica aperta, che non produceva nulla, e cor-

rompere chi era a conoscenza della cosa.

Se ne avessi avuto di più, o avessi rinunciato ad oggetti inutili, e per questo

mi disprezzo, ne avrei salvati di più.

La mia spilla…per quella mi avrebbero dato una persona in più, che ora

invece non c’è più.

Mi dissero che avevo già fatto tanto, ma a me ciò non bastava.

Per fortuna c’era il mio assistente, e non solo, oltre mille persone, a confor-

tarmi. Poi quando arrivò la fine della guerra, c’era ancora un gruppo di tede-

schi armati pronti a uccidere.

Per una volta, in questa guerra atroce, dopo tanti delitti, non ebbero il corag-

gio di sparare, e piuttosto di tornare a casa non da assassini ma da uomini.

Mistretta Sergio IC

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Sparò con la facilità

con cui un bambino scaccia una formica

Una fredda mattina d’inverno il generale tedesco si svegliò.

Alzandosi, con tanta naturalezza, andò per prendere il suo fucile e, mezzo

nudo, si affacciò dal balcone della sua villa, la quale si trovava proprio nel

campo di concentramento.

Qui milioni di innocenti ebrei si trovavano costretti a lavorare in condizioni dis-

umane trattati dai “superiori tedeschi” come oggetti.

Il generale fiero,come se niente fosse,con la facilità con cui un bambino

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Ingresso treno di Auschwitz - Bierkenau

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schiaccia una formica,con la stessa facilità con cui il bimbo dà un calcio ad

una lattina per vederla rotolare lontano;come se fosse il gioco del tiro al ber-

saglio,diede inizio al suo atto di pazzia:cominciò a sparare sulla gente inerme.

Per primo colpì un uomo che si era fermato per la stanchezza.

Questi si piegò su se stesso e cadde senza guardare negli occhi il suo nemi-

co e senza sapere il perché; si afflosciò a terra l’ultimo momento della sua vita.

Una macchia di sangue purpureo si espandeva lentamente sulla candida

NEVE.

Pollina Giorgia IE

Marino Giulia IE

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Non servivano le suppliche e le richieste di pietà

scivolavano loro addosso

La mattina era arrivata, senza sole e calore, solo gelo, lo stesso che ormai da

tempo era dentro di me.

Ci misero subito a lavorare, la stanchezza e la fatica aumentavano sempre

più, di giorno in giorno.

Nessuno di noi aveva più la forza di parlare.

Nel nostro animo non c’era più la speranza, il nostro cuore era privo di senti-

menti, mi voltai, senza smettere di lavorare e vidi l’ufficiale tedesco uscire al

balcone della sua residenza, con una sigaretta in bocca.

Ci osservò dall’alto, per qualche momento, poi, con disinvoltura e indifferen-

za, prese un fucile e guardò nel mirino. Un secondo più tardi aveva già pre-

muto il grilletto. Si udì il rumore dello sparo.

Un uomo cadde a terra, il suo sangue scorreva sul terreno.

Mi sentii raggelare e avvertii le mie gambe che stavano quasi per cedere.

L’ufficiale, con disumana indifferenza, riprese la sigaretta e rientrò dentro.

L’ennesima vita si era spezzata, un altro di noi era morto senza aver fatto nulla.

E quell’ufficiale che dopo ha ripreso la sua giornata normalmente, aveva

ucciso quella persona come fosse un gesto consueto.

La disperazione ci attanagliava tutti, quegli uomini senza umanità non si fer-

mavano davanti a niente.

Non servivano le suppliche, le richieste di pietà scivolavano loro addosso.

Quello sparo, che aveva privato quell’uomo della vita non era altro che uno

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dei tanti.

Ogni giorno la paura di morire era con noi.

Sapevamo che il momento della morte sarebbe arrivato anche per noi di lì

a poco, ma continuavamo ad aggrapparci a quelle poche ore di vita che ci

rimanevano.

Così abbassai gli occhi, pensando che fra non molto tempo quella vittima

stesa a terra non tanto lontano da me, avrebbe avuto il mio volto.

Milazzo Nadia IE

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Auschwitz - Bierkenau

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Lo guardai come il più miserabile degli uomini

Si era alzato dal letto, invece io ero rimasta coricata, era andato in bagno

ed era uscito mezzo nudo, e aveva preso il suo fucile.

Pensai che cosa avesse in mente, ma non ebbi la forza di dirglielo, e cosi lui

lo caricò.

Si accese una sigaretta e sparò…Io rimasi dentro immaginando quello che

era successo.

Guardò di nuovo le persone che stavano lavorando e mise il suo occhio nel

mirino; ebbi una sensazione terribile, un uomo si era fermato per un attimo, per

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Auschwitz

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respirare, per prendere fiato e stava asciugando il sudore della fronte.

Ma lui non esitò e sparò, lo prese in pieno e cadde a terra, io mi sentii rab-

brividire, lo aveva ucciso a sangue freddo.

Fu una cosa terribile, disgustosa.

Entrò nella camera fiero della sua azione e della sua superiorità, e non

capendo però che aveva ucciso una persona forse per dimostrare che in

quell’inferno era lui quello che comandava.

Io, invece, ebbi paura…lo guardai come il più miserabile degli uomini, l’ulti-

mo di tutti.

Agrusa Francesco Paolo IE

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E la folla si chiedeva chi sarebbe stata

la prossima vittima di questo folle

Erano circa le dieci del mattino e la luce entrava dalla finestra e colpiva

Hans sul viso; l’ufficiale si svegliò. Era disteso a pancia in su, semicoperto; si

guardò accanto e notò che la donna era ancora lì, accanto a lui, anche lei

scoperta. Ma non diede tanta importanza a ciò.

Si alzò dal letto e si avvicinò alla vetrata: centinaia di ebrei stavano laggiù

sporchi e sudati, lavoravano fin dall’alba. L’ufficiale continuò a fissarli, li squa-

drò uno per uno, notò gli stracci che indossavano e fu fiero della sua posizio-

ne, fu fiero del fatto che tutta quell’inutile gente lavorasse per lui.

Poco dopo abbandonò quella vista e si girò verso il letto; anche la donna si

era svegliata; Hans fece il giro della stanza e finalmente trovò quel gioiellino

che gelosamente custodiva; lo impugnò e si recò nuovamente verso la fine-

stra; Anna cercò di fermarlo ma inutilmente perché la sua mente stava per

essere attraversata da un’onda di pura follia. Uscì al balcone e continuò ad

osservare gli ebrei di sotto.

Lì osservò uno per uno: Abram, l’ingegnere ebreo, si fermò per un attimo, era

molto stanco, portò il braccio alla fronte per asciugarsi il sudore. Ma alla vista

di ciò Hans non esitò a premere il grilletto. Uno scoppio si sentì nell’aria.

Poi il povero Abram si accasciò a terra, privo di vita; un attimo prima si era

toccato l’addome e la mano gli si era colorata di rosso, di sangue.

Nessuno nel campo si fermò o smise di lavorare, perché sapevano che non

avrebbero fatto altro che seguire il povero compagno. Poco dopo l’occhio

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malvagio dell’ufficiale tedesco da lassù ne squadrò un altro: Jacob, un ebreo

sessantenne. Hans lo guardò…troppo vecchio…poi un altro sparo…ed un

altro morto. Tra la folla si diffuse un brivido di terrore e qualcuno da lì sotto

riusciva a vederlo, col suo fucile, come se stesse giocando al tiro a bersaglio,

nudo al balcone, ma soprattutto con quella sua espressione di fiera superio-

rità. E la folla si chiedeva chi sarebbe stata la prossima vittima di questo folle,

che uccide solo chi non gli fa più comodo.

Cottone Giuseppe IE

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Interno di un capanno Auschwitz - Bierkenau

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… e non potei neanche andare a piangere sul suo corpo

Stavo trasportando un sacco molto pesante quando mi accorsi che l’ufficia-

le si era affacciato al balcone. Ci guardava disgustato come se fossimo ani-

mali che non si meritavano di vivere. Una donna gli portò un fucile, lui lo cari-

cò e rivolse di nuovo lo sguardo verso di noi. L’ufficiale si divertiva a giocare a

tiro al bersaglio con noi, non ci si poteva fermare neanche per un secondo

che si rischiava di essere uccisi dal suo fucile. All’improvviso prese la mira e

sparò. Colpì un uomo che si era fermato solo per riprendere fiato. Guardando

bene mi resi conto che era il mio amico Giosuè e la cosa più dolorosa fu che

non potei neanche andare a piangere sul suo corpo, perché altrimenti

anch’io sarei diventata un bersaglio. Provai rabbia e dolore nello stesso

momento e non sapevo

più se era meglio vivere o

morire. Poi mi consolai

pensando che Giosuè

aveva terminato il suo

lavoro e poteva riposarsi

quanto voleva e poteva

rincontrare i suoi cari al

contrario di me…

Fiammetta Marta IE

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Interno di un capanno Auschwitz - Bierkenau

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Era avvolta dal cappottino rosso come il sangue che ingiu-

stamente era stato versato

Immobile sul suo cavallo, Oskar osservava dall’alto, in quella giornata grigia,

quello che stava accadendo proprio sotto i suoi occhi.

Molti ebrei camminavano veloci, costretti, controllati dai tedeschi.

Forse paura, o forse disperazione, quella disegnata sui volti.

Notò una piccola bambina, dai riccioli biondi, che camminava da sola.

Il suo cappottino era di un rosso accesso, in contrasto con l’atmosfera cupa

ed angosciante che regnava. Il passo incerto e gli occhi pieni di infantile

innocenza, cercava forse un rifugio da quegli uomini in divisa che le faceva-

no sicuramente paura. Qualcosa dentro Oskar stava cominciando a cambia-

re. Continuò a fissare quella bambina che, indifesa, non poteva far altro che

nascondersi. L’uomo la vide aprire una porta e scomparire dietro ad essa.

Quegli occhi, che forse non avrebbe più rivisto, avevano aperto una breccia

nel suo cuore. Guardando quei soldati vide veramente, forse per la prima

volta, la crudeltà e la cattiveria che li animava. Poteva starsene ancora lì,

fermo, a guardare soffrire migliaia di persone, senza far nulla per loro?

Sentì un vuoto dentro di lui, una sensazione di pura incredulità per non esser-

si accorto prima del mondo spietato che stava prendendo forma attorno a lui.

Se ne andò, colmo di quella sensazione del tutto nuova e sconosciuta.

Ancora un immagine vedeva chiara nella sua mente: la bambina dal cap-

pottino rosso. Come potevano quegli uomini senza cuore prendersela anche

con una simile creatura? Quella visione lo aveva turbato ed era in parte con-

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sapevole che non sarebbe più riuscito a rimanere indifferente davanti a tutto

ciò. Rivide la bambina tempo dopo, ma questa volta era morta.

Innocente, indifesa, avevano ucciso anche lei. Era avvolta ancora dal cap-

pottino rosso, rosso come il suo sangue che ingiustamente era stato versato.

Milazzo Nadia IE

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Disegni dei bambini sul tetto del loro capannone Auschwitz - Bierkenau

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Chi salva una vita salva il mondo intero

Di fronte a me centinaia e centinaia di persone, operai in viso stanco ed

esausto, ma negli occhi la speranza, che io avevo impresso nei loro animi.

Tutti in religioso silenzio, bambini, donne e uomini, mi fissavano e ascoltava-

no le mie parole. Li informai delle ultime notizie: il regime nazista era caduto,

le truppe sovietiche quella stessa notte avrebbero invaso le Germania, tutti gli

Ebrei sarebbero stati finalmente liberi. A mio malincuore, dovetti anticipare la

mia imminente fuga, in quanto, dichiarato nemico, sarei stato catturato e con-

dannato per essere stato membro del partito nazista e per aver sfruttato il

lavoro di tanti operai ebrei. Ma ancora non era finita, tutto questo alla mez-

zanotte, ai soldati presenti che avevano avuto l’ordine di sparare li obbligai a

scegliere se tornare nelle proprie case, dalle proprie famiglie da uomini o

uccidere tutti gli ebrei lì presenti diventando assassini. Ero sicuro che avreb-

bero voltato le spalle e sarebbero usciti da quell’edificio, ma la paura che

qualcuno potesse premere il grilletto e far fuoco mi invase per qualche minu-

to. Arrivata sera, il cortile della fabbrica era gremita di gente, che aspettava

di salutarmi per l’ultima volta. Mi venne incontro il contabile, portavoce di tutta

quella gente. Mi donò un anello, realizzato in quello stesso giorno da un grup-

po di operai. Incominciai a tremare, l’emozione era forte e aumentò di più

alla lettura della frase in esso incisa: “Chi salva una vita, salva un mondo inte-

ro”. Tutta quella gente lì presente mi era riconoscente, avevo salvato le loro

vite da un destino segnato: “la morte”. Ma fu allora che fui invaso da una forte

disperazione. Come loro avrei potuto salvare altri ebrei, altre persone.

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Avrei dovuto avere più denaro e pensai a tutto quello che avevo speso inu-

tilmente, avrei potuto sottrarre altra gente al loro incombente destino di morte.

Esplosi in un pianto, sentivo che non avevo fatto il possibile per quella gente,

non avevo fatto abbastanza. Il contabile cercò di risollevarmi ma lo fecero

soprattutto gli occhi di quella gente, che vedevano in me il loro salvatore, mi

facevano sentire un eroe. Salutai il mio caro amico, la persona a cui forse tutti

dovrebbero essere riconoscenti, colui che mi aveva cambiato, devo a lui se

adesso sono così. Salii sulla macchina nella quale mi aspettava mia moglie e

continuai a fissare gli occhi di quella gente e in mente augurai loro una vita

più felice di quella trascorsa.

Gueccia Rosa IE

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Auschwitz

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Adesso sapeva che non sarebbe morto da assassino

ma da uomo

Era immobile, come del resto tutte le altre persone lì presenti, ad ascoltare

con religioso silenzio il discorso di Oskar. Intorno a lui centinaia e centinaia di

Ebrei che guardavano lui e i suoi compagni con occhi pieni di disprezzo ma

anche di paura generata dalle loro divise, dalle armi che strettamente tene-

vano nelle mani, quelle stesse armi che forse avevano ucciso alcuni dei loro

familiari, amici o vicini. Ma il soldato a tutto questo sembrava essere indiffe-

rente, lui non aveva fatto altro che ubbidire agli ordini, aveva svolto il suo lavo-

ro in modo rigoroso. Non era colpa sua se quella gente era ebrea, se il gover-

no tedesco aveva deciso di sterminarla, lui obbediva solo agli ordini.

Il suo ruolo nella guerra volgeva al termine. Come annunciato da Oskar la

Germania aveva perso, il regime nazista era caduto. Ma, comunque sareb-

bero andate le cose, tutti i soldati tedeschi avevano ricevuto un ultimo ordine:

uccidere. Fin d’allora questo non era mai stato un problema per quel soldato,

di gente ne aveva uccisa tanta, ancora una volta doveva obbedire ai suoi

superiori. Ma in pochi minuti qualcosa nell’animo del soldato cambiò, un

cambiamento cosi profondo in un arco di tempo cosi limitato.

Oskar non aveva cacciato via i soldati, non li aveva costretti a non sparare,

ma aveva imposto di scegliere: potevano continuare il loro lavoro, obbedire

ancora una volta e ritornare alle proprie case da assassini o scegliere di usci-

re da lì da “Uomini”. Quest’ ultima parola risuonò nella mente del soldato mille

altre volte, sembrava un’eco senza fine.

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Capì che fino a quel momento non era mai stato un uomo, solo uno stupido

burattino in mano a gente spietata e dalla mente deformata.

In un solo istante il peso di tutte le sue vittime gli cadde addosso si sentiva

colpevole ma anche un assassino. Guardò tutte quelle persone, l’espressione

nei loro volti non era cambiata, ma la sua sì. Adesso anche i suoi occhi rispec-

chiavano la paura, che era scaturita dal suo stesso cambiamento.

Voltare le spalle e tornare dalla propria famiglia lo avrebbe aiutato a trova-

re la dignità. Il peso di quei morti sarebbe quasi cessato, affiancato dalla fie-

rezza di non aver sparato su quella gente, di aver risparmiato le loro vite, di

aver permesso a quei bambini di continuare a vivere come i suoi figli.

Non aveva più paura, di essere catturato ed ucciso, adesso sapeva che non

sarebbe morto da assassino ma da “Uomo”.

Gueccia Rosa IE

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Auschwitz

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A una madre non è lecito immaginare

la morte del proprio figlio

Il sorriso splende sul mio e sul volto delle mie compagne.

Anche questa volta siamo salve. Abbiamo superato la selezione e il coman-

dante ci ha ordinato di rimetterci i vestiti e di tornare a lavoro.

Ci stringiamo forte l’una all’altra, incoraggiandoci a vicenda, dicendoci che

non dobbiamo mollare. Siamo in un lager nazista, costretti a lavori faticosi e

stancanti, private della nostra libertà eppure oggi riusciamo a essere felici.

Dio ancora una volta ci ha concesso di vivere.

All’improvviso, però, un tuffo al cuore. No, non può essere vero.

Forse la stanchezza e il duro lavoro mi hanno tolto la capacità di percepire

la realtà, forse quelle voci sono soltanto il frutto della mia immaginazione, o

forse sono semplicemente io che non voglio sentire. Subito, però, ogni dubbio

si dissolve. Davanti a noi, ammassati e scaraventati su dei camion come

bestie, centinaia di bambini ci salutano sventolando al cielo le loro piccole

mani. Nei loro occhi, pieni di innocenza, leggo paura, terrore.

Ci guardano fissi, chiedendoci delle risposte, ma noi, che siamo le loro

madri, questa volta non possiamo dargliele, perché a una madre non è leci-

to immaginare la morte di un figlio.

La musica che risuona nel campo si fonde con le nostre grida di disperazio-

ne e di sgomento. Cominciamo a correre instancabilmente dietro i camion

che trasportano i nostri figli, cercandoli con lo sguardo e al tempo stesso

augurandoci di non trovarli.

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Guardando Shindler’s list

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Darei la mia vita perché Danka fosse salva, perché lei è l’unica cosa che mi

è rimasta, è la mia speranza. Sono sicura che è riuscita a scappare e a met-

tere in salvo anche Olek e gli altri bambini. È sempre stata coraggiosa e intel-

ligente. Da lontano continuo a fissare i camion che stanno ormai scomparen-

do. Non riesco ad immaginare quello che potrebbe accadere.

L’unica cosa certa è che quella che era cominciata come una giornata posi-

tiva si è trasformata in un incubo.

Odisseo Giorgia IC

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Guardando Shindler’s list

Ingresso ferrovia di Auschwitz - Bierkenau: ferrovia portente direttamente ai forni crematori

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Il vento del ricordo

Auschwitz…Percorriamo strade che prima di noi hanno visto sangue, morti

innocenti, crudeltà umana. Visitiamo liberi un luogo di prigionia.

Calpestiamo erba e fiori e terra che appena qualche decennio fa hanno

fatto compagnia ad anime destinate a morire.

Anime che sono ancora qui. Prigioniere del vento, le sentiamo nell’aria

pesante che respiriamo, nel tempo ansante che passa e tira via con sé imma-

gini e volti e corpi.

Corpi abbandonati nella belletta di un Gennaio nevoso…

Corpi che mai più cresceranno, fermi nel fiore della loro età o nella triste

agonia di una condanna alla vecchiaia.

E’ un senso di morte intorno…

Eppure c’è più vita di qualsiasi altro posto.

E’ il vento che è pieno di vita.

Sono gli occhi di bambini strappati alla loro esistenza, occhi che nonostante

tutto hanno continuato a sperare e adesso sorridono, in quel posto che si sono

guadagnati accanto a quel Dio lassù, se esiste.

Occhi di donne e madri strappati ai loro figli, grembi ormai vuoti e sterili.

Occhi di uomini che hanno subito crudeltà umane.

Occhi di più di sei milioni di ebrei, ma non solo.

Con loro infatti, nello stesso cielo che, nonostante tutto, resta li, immobile,

tutte le altre vittime della barbarie umane.

Morti in genocidi dimenticati, vittime di una storia che non è saputa essere

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Guardando Shindler’s list

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maestra di vita, nuovi martiri di traffici d’organi, prostituzione, violenza di uomi-

ni contro uomini, eroi di un mondo che è tutto tranne che umano.

Il vento del ricordo. Un vento che si fa sentire e non solo sui visi infreddoliti.

Si fa spazio nell’anima, penetra su cuori che, per troppo tempo, sono rimasti

in silenzio, hanno cercato di dimenticare, hanno nascosto per cecità politica,

convinzioni e ideologie, pezzi di storia e purtroppo veri e propri drammi.

E adesso invece si sforzano di ricordare. Ora che una legge ce lo consiglia,

come se prima non fosse altrettanto giusto.

E’ nostro dovere ricordare, perché tutti devono sapere quello che è stato.

Non si possono nascondere tali crudeltà: la furia dell’uomo che si abbatte su

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Guardando Shindler’s list

Auschwitz - Bierkenau

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un altro uomo, la pazzia di pochi e la connivenza (se non addirittura la com-

plicità) di molti altri.

Eppure sono passati anni e ancora “non è contenta di sangue la belva

umana”.

Ancora continuiamo ad uccidere, diffondere odio e terrore, noi soldati di

una terribile guerra “giusta”.

Impareremo mai ad amare?

A rispettare gli altri, capire che aldilà di un colore, di una bandiera, c’è sem-

pre e solo un uomo proprio come noi?

Riusciremo a restituire la dignità di cui giorno dopo giorno continuiamo a pri-

vare milioni di uomini?

Non sono bastate due guerre, non è bastata la morte di milioni e milioni di

persone, militari e non, non è bastato lo sterminio degli ebrei, né quello del

Ruanda o della Cambogia…

Non basteranno nemmeno tutti questi occhi di bimbi che sembrano scrutar-

ci, dal loro triste paradiso, e chiederci di fare qualcosa, o almeno di non

dimenticarli, come fosse possibile…

Non possiamo andare avanti cosi…

Dara Virginia IIA

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Guardando Shindler’s list

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Di memoria in memoriaL’Olocausto... gli olocausti...le foibe

“Occhi che vagano,

menti agitate,

fratelli che corrono contro fratelli,

brandelli umani, pieni di luce,

consegnati alla morte”

da “Violenza” di Rosa Filippi

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È importante la denuncia

“Ricordo è una parola che è vicino a noi nel giorno della memoria, della

shoah, ma esistono altri genocidi come quello dei Tutsi e Hutu, degli armeni,

delle vittime della mafia.

Chi ha messo insieme tante memorie ha voluto ribadire l’importanza della

denuncia infatti Hitler prese spunto per attuare la sua politica di sterminio

dalle persecuzioni non condannate dei Turchi nei confronti degli Armani nel

1918. Se il mondo avesse condannato il genocidio degli Armeni forse l’olo-

causto non sarebbe accaduto.

E’ importante la denuncia e la crescita civile”.

Fundarò Angela IB

Tanti olocausti ma la violenza è la stessa

Due mani si stringono piene di speranza per un futuro migliore due mani dif-

ferenti, una bianca e l’altra nera, due colori diversi, due diverse etnie, ma lo

stesso dolore e la stessa persecuzione.

Tanti olocausti ma la violenza è la stessa e lo stesso vale per l’egoismo che

si manifestà in qualsiasi guerra.

Marco Angela IB

In occasione delle giornate della memoria

viene da riflettere

In occasione delle giornate della memoria mi viene da riflettere su molte

cose; le donne e i bambini dell’olocausto mi fanno pensare a quelle donne

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Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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che oggi non godono di diritti, ai bambini che, piuttosto che godere della

propria fanciullezza, sono chiusi dentro fabbriche per guadagnare quel

quasi nulla necessario per la sopravvivenza delle proprie famiglie. Il loro olo-

causto non è ancora finito.

De Blasi Federica Maria IA

le foibe in Istria

Un momento particolare e oscuro della storia italiana è rappresentata dalle

Foibe in Istria. Per rendersene conto basterebbe sfogliare le pagine di un

qualsiasi libro di storia e verificare che il dramma delle foibe non è appro-

fondito ma solo accennato.

Eppure c’è stata una grande e orrenda strage tenuta nascosta.

Le foibe che tra il 1943 e l’immediato dopoguerra inghiottirono a migliaia gli

italiani dell’Istria e della Dalmazia sono state rimosse dalla memoria colletti-

va: è una pagina bianca della storia italiana.

Lo è fino al punto che persino i semplici dati di fatto sono ancora oggi igno-

rati da molti. Ma il giorno della memoria…

Fascetta M.Laura IA

Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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Vite Violate

Corpi strappati

a mille sogni

infranti

speranze, ideali

volati su disperate ali

identità perdute,

finite in un’insenatura creata

dalla natura, la stessa natura

che le aveva messe al mondo.

Niente più collane,

orecchini vestiti

e niente mariti

uccisi anche loro e dispersi

chissà dove. Corpicini ammassati

di bambini,

che hanno perduto ogni cosa

buttati in un incavo di pietre

dove regna il terrore

ad aspettar per molte ore

la fine della loro breve

vita.

Urla di disperazione

di dolore

non vivranno più

non saranno felici mai più.

Serro Maria Cristina IA

Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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Pensieri di un martire

Cerco ancora di trovare un senso ma per quanto mi sforzi non riesco a tro-

varlo. Quando si nasce ognuno ha un destino da affrontare, e il mio mi ha por-

tato alla morte, mi ha ucciso.

Ho sofferto per il male dell’uomo, sono morto per la prepotenza dell’uomo,

ho subito per l’odio dell’uomo; di quell’uomo che il giorno prima mi viveva

accanto e che il giorno dopo mi ha reso nulla, mi ha mortificato facendomi

credere che non meritavo di vivere.

E io che sognavo il futuro…il mio futuro è volato via, trasportato da una brez-

za leggera. Qui è tutto buio: aspettando la morte lancio un grido di speranza:

“parlate scrivete, fate conoscere ciò che è stato. Se non si conosce quello che

è successo non si può evitare che si ripeta.

De Blasi Federica Maria IA

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Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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Una vita che finisce nel ghiaccio

Una vita che finisce nel ghiaccio, nella neve, macchiata e sciolta dal san-

gue umano, una morte che spezza via speranze, sogni, affetti. L’ultimo addio

è rivolto a noi, siamo noi le persone care a cui consegnano il loro sacrificio

affinché si faccia memoria dell’orrore e non si ripeta mai più “per una storia

migliore”.

Cruciata Chiara IA

Una sopravvissuta ad Auschwitz

e l’altra al genocidio dei Tutsi

Una sopravvissuta ad Auschwitz e l’altra al genocidio dei Tutsi nel Ruanda:

due vite che si incontrano e che con una semplice stretta di mano condivi-

dono gli orrori che i loro occhi hanno visto in prima persona e che rimarranno

per sempre impressi nella loro mente, un abbraccio che comunica più di ogni

parola il disprezzo e la compassione per l’indelebile ricordo che hanno vissu-

to in tempi diversi ma con la stessa atrocità…

Dobbiamo rispettare e invitare alla testimonianza i sopravvissuti, affinché aiu-

tino le future generazioni a riaffermare l’aspirazione dell’umanità a valori quale

la comprensione reciproca e la giustizia.

Amore Silvia IB

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Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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Il valore delle testimonianze

Sentire le testimonianze di queste persone sulle loro esperienze terribili fa

venire sentimenti di tristezza in particolare io ho provato un sentimento di inca-

pacità perché voglio reagire ma non sapendo cosa fare, mi sento inutile

davanti a questi terribili scenari. Ma sentire quello che è successo è impor-

tante perché nascondere in un certo senso è come approvarli perciò bisogna

parlarne per capire il significato degli avvenimenti. Penso che tutte le perso-

ne morte negli olocausti avrebbero voluto che la loro morte non fosse stata

inutile e se noi non dimentichiamo continuiamo ad alimentare la speranza di

un futuro migliore.

Provenzano Antonino IB

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Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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L’atteggiamento dei sopravvissuti

L’atteggiamento dei sopravvissuti è difficile da comprendere per chi, come

noi, reagisce in maniera esagerata e drammatica anche di fronte ai più faci-

li e futuli problemi, a differenza delle reazioni di tutta quella gente che pur

avendo assistito alla morte dei propri familiari, esterna un sentimento in cui

predomina l’assoluta mancanza di rancore nei confronti di chi ha torturato, ha

privato del diritto alla vita e del diritto alla dignità.

Piccolo Chiara IB

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Di memoria in memoria. L’Olocausto...gli Olocausti...le Foibe

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21 Marzo giorno della memoriadelle vittime della mafia

“Non sono stata io a decidere la soluzione finale” replica sulla difensiva “

io ho solo obbedito agli ordini.

Dovevo tener fede al mio giuramento e il giuramento è sacro.

E voglio dirti un’altra cosa,

e se non vuoi credermi fa lo stesso.

Tra i miei camerati delle SS ho conosciuto persone intelligenti,

colti, responsabili, ottimi padri di famiglia come Rudolf Hoss…

Uomini d’onore, uomini indimenticabili…”.

Uomini d’onore…amanti della natura, del focolare domestico

, degli animali…L’oleografia nazista in tutto il suo Kitsch più nauseabondo…

“ma definire le SS “uomini d’onore” mi sembra francamente eccessivo”

Da Lasciami andare, madre di Helga Schneider

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Come ha fatto la guardiana delle SS.

Come ha fatto la madre di Helga, guardiana delle SS nel campo di Auschwitz

a non provare sdegno verso quella patria che le impartiva il comando di ucci-

dere?

La cosa che mi lascia più perplessa è il fatto che la donna è compiaciuta

del suo passato e di essere stata un efficiente soldato, forse perché si sentiva

onnipotente quando mandava a morire i “marmocchini” ebrei?

E’ questa la sua forza e la sua onnipotenza, il suo onore e il suo coraggio?

L’onore è soprattutto rispetto morale di sé e degli altri, quello che ci fa onore,

secondo me è quando perseguiamo un giusto ideale, non ci fa onore ucci-

dere, sterminare. Anche la criminalità organizzata “cosa nostra” è composta

da uomini d’onore, quegli uomini che hanno sciolto nell’acido il piccolo

Giuseppe Di Matteo colpevole di essere il figlio di un pentito.

E’ onore questo? È coraggio? È forza?

Entrambi sono dei crudeli assassini, generano vittime, non mostrano di pro-

vare sentimenti, è questo piuttosto disonore e vergogna

Miciletto Marika IE

21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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Il linguaggio degli uomini delle SS e quello di Cosa Nostra

Il linguaggio degli uomini delle SS e quello di “cosa nostra” è identico: uomi-

ni d’onore, sterminio, violenza, struttura autoritaria piramidale, intimidazioni,

mattanza, ubbidienza cieca agli ordini.

L’olocausto terminò nel 1945 con la fine della seconda guerra mondiale, l’o-

locausto di “cosa nostra” continua ancora oggi, “cosa nostra” è più viva che

mai ed agisce sotto i nostri occhi approfittando della nostra apatia e del

nostro silenzio.

Vilardi Mauro IE

21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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Memoria è speranza

Memoria è saper leggere il nostro passato e da li’ ricominciare.

La memoria fa sentire attuale quello che non lo è più, che significa riportare

all’ evidenza quotidiana i fatti per coglierne l’ attualità con la loro carica di

tragicità e atrocità. E’ dalla memoria della conoscenza dei fatti che nasce l’e-

sigenza del cambiamento e delle proposte costruttive.Il ricordo è anche un

monito a non ricommettere gli stessi errori. I giorni della memoria sono utili per-

ché suscitano in noi riflessioni che ci aiutano a capire e nello stesso momento

ci spronano a qualcosa di concreto sull’ esempio dei nostri eroi, vittime degli

olocausti affinché il loro sacrificio non si vanifichi. Bisogna rifondare la società

sulla base dei valori della legalità, giustizia, solidarietà, solo così la società

civile si opporrà alla criminalità sinonimo di disonestà e di sporchi interessi.

Gueccia Rosa IE

Fare “Memoria”

Non possiamo più non fare nulla, dobbiamo estirpare il cancro di “Cosa

Nostra”, dobbiamo fare “Memoria” concretamente tutti i giorni, ricordando

che ci sono stati uomini che sono morti per il nostro bene e soprattutto per rea-

lizzare ideali che sono fuggiti dalla nostra terra come la libertà, la giustizia e

la legalità.

Dobbiamo continuare a fare memoria per non verificare i sacrifici che sono

stati fatti in passato da chi ha lottato contro la mafia, per non commettere gli

stessi errori e soprattutto per poter costruire una società migliore.

D’Anna Nicolò IE

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21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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CHI SEI TU

Chi sei tu per decidere il destino di un uomo

Chi sei tu per togliere la libertà di vedere

Di sentire

Di parlare

Chi sei tu che porti silenzio di fronte al sangue

Di fronte ad uno sparo

Silenzio davanti alla morte

Sei la mafia

M. Laura Fascetta IA

Cosa sarà necessario fare per combattere la mafia?

La domanda che ci dobbiamo porre nel giorno della memoria per le vittime

della mafia, non è cosa è stato per combattere la mafia ma cosa sarà neces-

sario fare? Io credo che Cosa Nostra si estirpi non solo attraverso l’operato

della polizia e della magistratura per il controllo del territorio, ma soprattutto

attraverso una rinascita culturale.

La polizia e la magistratura al massimo né possono scalfire la corteccia ma

per sradicarla è necessario insegnare che il rispetto per gli altri non limita la

propria libertà e non è prevaricando o uccidendo che l’uomo si distingue

dagli animali.

Ferrantelli Sergio IE

21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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Se non c’è memoria non c’è futuro

La memoria è alla base di tutto, se non c’è la memoria non c’è il futuro. Il

giorno della memoria è il nostro rispetto verso le persone che ingiustamente

sono stati uccisi nei diversi olocausti che sono realizzati nella storia.

E lo scopo di questo giorno è quello di far capire alla gente l’ importanza

della vita umana, ma soprattutto quello di vaccinare la gente in modo che

questi orrori non si ripetano, dando così la speranza di una vita migliore all’

intera umanità.

Mistretta Elisa IE

Ricordare coloro di cui non restano che macchie di sangue

sull’asfalto

La giornata della memoria non deve solo farci ricordare tutti coloro di cui

non restano che macchie di sangue sull’asfalto, le giovani vite spezzate, ma

deve guidare il nostro grido di giustizia, non possiamo lasciare che un’ombra

così pesante, continui a seppellire nel cemento le nostre coscienze.

Dara Virginia II A

Abbattere i muri dell’omertà

Ma se veramente vogliamo cambiare volto al nostro paese, dobbiamo noi

per primi abbattere i muri dell’omertà, denunciare i rapporti tra mafia e politi-

ca, sottrarci al controllo del territorio da parte delle “famiglie” mafiose, facen-

do valere i nostri diritti di cittadini.

De Blasi Elio II A

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21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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È difficile eliminare il fenomeno mafioso

“Cosa nostra” è un’organizzazione criminale di alto livello che si basa sui

principi del codice d’onore e dell’omertà; i conflitti tra le cosche vengono

regolati attraverso l’intimidazione e la violenza, mentre il passaggio delle infor-

mazioni alla giustizia viene punito con la morte.

E’ difficile eliminare il fenomeno mafioso poiché incute terrore alla gente e

perché è profondamente radicato nella mente dei siciliani.

Filippi A. Rita II A

Tanti hanno trovato ciò di cui avevano bisogno

Per contrastare la mafia si dovrebbe cambiare il modo di pensare e il com-

portamento di molta gente. Purtroppo nella mafia tanti e per troppo tempo

hanno trovato ciò di cui avevano bisogno. Per alcuni non è grave entrare a

far parte di “giri” illeciti pur di avere guadagni facili senza rendersi conto che

una cosa è tua quando la conquisti onestamente.

Rugeri Rossana IIA

Denunciare tutti i legami con la mafia

La giornata della memoria vuole essere uno stimolo per tutta l’opinione pub-

blica; dobbiamo capire che fare antimafia significa mobilitare tutte le forze

sane del paese, le quali devono aver il coraggio di denunciare tutti i legami

con la mafia. Occorre un risanamento della vita politica nazionale, occorre

promuovere il rispetto dello Stato e delle regole morali; ciò si ottiene anche

con la trasparenza negli appalti, con il funzionamento della giustizia con la

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21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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creazione di nuove strutture sociali, di sbocchi lavorativi per i giovani.

Buscemi Giuseppe I C

Omertà

Il silenzio si presta a diverse interpretazioni e sulla base del contesto comuni-

ca più di mille parole gridate. Esso esprime qualche volta la banalità, la super-

ficialità e il vuoto di chi smarrito e confuso non sa esprimere una scelta; dimo-

stra anche rispetto quando si carica dei sentimenti di orrore nei confronti di

eventi sanguinosi che sconvolgono le nostre coscienze di cui il silenzio espri-

me l’indicibiltà. Ma qualche volta il silenzio si trasforma in consapevolezza

quando si tace la verità, si diventa complici di azioni lesive di diritti umani fon-

damentali, è l’omertà.

Saraceno Giovanni I A

Le parole dell’antimafia

Le parole dell’antimafia sono il ricordo delle vittime, la condivisione di un’e-

sperienza, ricerca di un modo comune di capire, per trasformarla in impegno

comune, dialogo di verità, impegno civile, partecipazione responsabile.

Turriciano Davide I A

Ma è veramente la mafia un mondo immutabile o siamo noi immutabili?

Ognuno di noi vuole cambiare qualcosa in questo mondo ma nessuno è dis-

posto a cambiare se stesso, questo porta alla banalità, all’indifferenza.

Lorito Maria Antonietta I A

21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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VIVI IL PASSATO

Vivi il passato

Cancella l’atrocità

Riempi di nuovo il presente

Lotta, non arrenderti

Sacrificati per donarti

Rosa Filippi

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21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

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21 Marzo giorno della memoria delle vittime della mafia

Citazione di Primo Levi da “Se questo è un uomo” inciso sul muro di un capanno ad Auschwitz

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Indice

Presentazione 5

Introduzione 7

La Parola ai Poeti 9

27 Gennaio 11

Un paio di scarpette rosse 17

La Parola ai ragazzi, le poesie, le emozioni... 21

Quel bambino 23

Tanti olocausti hanno segnato la nostra storia 24

Tutto ormai era finito 26

Ricordo 27

Non c’era più vita 28

Le emozioni 29

Guardando Schindler’s list 31

I tuoi occhi ormai spenti hanno aperto i miei 33

Mio Dio ho visto la morte in faccia 34

Ma la sua colpa è diventata anche la mia 36

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Indice

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Potevo fare di più e per questo mi disprezzo 38

Sparò con la facilità con cui un bambino scaccia una formica 40

Non servivano le suppliche e le richieste di pietà

scivolavano loro addosso 42

Lo Guardai come il più miserabile degli uomini 44

E la folla si chiedeva chi sarebbe stata la prossima vittima di questo folle 46

...e non potei neanche andare a piangere sul suo corpo 48

Era avvolta dal cappottino rosso come il sangue

che ingiustamente era stato versato 49

Chi salva una vita salva il mondo intero 51

Adesso sapeva che non sarebbe morto da assassino ma da uomo 53

A una madre non è lecito immaginare la morte del proprio figlio 55

Il vento del ricordo 57

Di memoria in memoria L’Olocausto...gli olocausti...le foibe 61

21 marzo giorno della memoria delle vittime della mafia 71

Indice

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finito di stampare nel mese di maggio 2007

da Arti Grafiche Campo - Alcamo

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Barra
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