Monastero Santa Chiara Faenza DELLA · IL GIORNO DELLA MEMORIA 2015 ... desolatamente inerti e...

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Comune di Faenza Monastero Santa Chiara Faenza Comunità Ebraica di Ferrara e delle Romagne Associazione nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla Guerra di Liberazione IL GIORNO DELLA MEMORIA 2015 A ricordo della Shoah del popolo ebraico e delle vittime dei campi di sterminio nazisti Faenza Gennaio 2015

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Comune di Faenza

Monastero Santa Chiara Faenza

Comunità Ebraica di Ferrara e delle Romagne

Associazione nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento e dalla Guerra di Liberazione

IL GIORNO DELLA

MEMORIA

2015

A ricordo della Shoah

del popolo ebraico e delle vittime dei campi

di sterminio nazisti

Faenza Gennaio 2015

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Sabato 17 gennaio 2015 ore 20.45 Monastero di S. Chiara Via della Croce 16 Faenza XXVI Giornata per il Dialogo ebraico-cattolico La Nona delle Dieci Parole: "Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo" (Esodo 20, 16) relatori: Gadi Luzzatto Voghera docente alla Boston University Zatelli Ida Presidente Amicizia Ebraico Cristiana di Firenze moderatore Rev.do don Maurizio Tagliaferri relatore della Congregazione per le Cause dei Santi (Roma)

Sabato 17 gennaio 2015 ore 21.00 Casa del Teatro via Oberdan 7/a Faenza Faber Teater ”Le bambine di Terezin”

Martedì 27 gennaio 2015 ore 11.30 lungofiume Amalia Fleischer Omaggio alle vittime della Shoah e dei campi di sterminio nazisti deposizione della corona al tempietto della Memoria letture a cura di studentesse e studenti della scuola primaria Carchidio e San Rocco presiede la cerimonia Giovanni Malpezzi Sindaco del Comune di Faenza Luca de Tollis Presidente Consiglio comunale Faenza prof. Cesare Moisè Finzi

Martedì 27 gennaio 2015 ore 17.00 sala del Consiglio comunale Piazza del Popolo 31 Faenza "Auschwitz. Viaggio nei dilemmi della coscienza" a cura classi 4D e 4E scientifico Liceo Faenza inaugurazione Mostra Fotografica patrocinio Istituto Storico Resistenza e dell’età Contemporanea in Ravenna e dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia Romagna introduce prof. Elena Romito Giovanni Malpezzi Sindaco del Comune di Faenza Luca de Tollis Presidente Consiglio comunale di Faenza prof. Cesare Moisè Finzi

Martedì 27 gennaio 2015 ore 20.30 Cinema Europa Via S. Antonino proiezione del film “Hannah Arendt” di Margarethe Von Trotta In collaborazione con Biblioteca comunale Manfrediana introduce Guido Zauli intervento finale di Rocco Ronchi, docente di Filosofia Università de L’Aquila e Bocconi di Milano

Mercoledì 28 gennaio 2015 ore 20.30

Biblioteca comunale Manfrediana Sala Dante Via Manfredi 14 "PRIMO LEVI, il chimico che divenne scrittore" la scienza nella biografia e nelle opere di Primo Levi a cura di Mauro Lombardi, Associazione Culturale SCIENZaFAENZA Luca de Tollis Presidente Consiglio comunale di Faenza Daniela Simonini Direttrice Biblioteca Manfrediana prof. Cesare Moisè Finzi

Teatro Masini Piazza Nenni Faenza

Progetto teatrale “Memoria” in collaborazione con Teatro Due Mondi

Giovedì 29 gennaio 2015 ore 11.00 rappresentazione realizzata dagli studenti delle scuole secondarie inferiori saluto di apertura: Massimo Isola Assessore all’Istruzione del Comune di Faenza Luca de Tollis Presidente Consiglio comunale di Faenza

Venerdì 30 gennaio 2015 ore 10.30 replica rappresentazione realizzata dagli studenti delle scuole secondarie inferiori saluto di apertura: Giovanni Malpezzi Sindaco del Comune di Faenza Luca de Tollis Presidente Consiglio comunale di Faenza

Venerdì 30 gennaio 2015 ore 20.30 replica rappresentazione realizzata dagli studenti delle scuole secondarie inferiori Giovanni Malpezzi Sindaco del Comune di Faenza Luca de Tollis Presidente Consiglio comunale di Faenza prof. Cesare Moisè Finzi

Sabato 7 febbraio 2015 ore 12.00 Aula Magna “Cova Lanzoni” via Martiri Ungheresi classe 3^E scuola secondaria di primo grado rappresentazione di una drammaturgia originale curata da Paolo Parmiani liberamente tratta dall’opera di Peter Weiss “L’Istruttoria”

Mostre

dal 27 gennaio al 15 febbraio 2015 Residenza Municipale salone delle Bandiere "Immagini da Auschwitz" a cura delle classi 4D e 4E scientifico Liceo Faenza prof. Elena Romito inaugurazione 27 gennaio 2015 ore 17.00

dal 23 gennaio al 14 febbraio 2015 Scuola Media “Europa” via degli Insorti 2 “Una bambina e la guerra. Il Diario di Anna Frank” a cura delle classi 1C e 2C cerimonia inaugurale Venerdì 23 gennaio 2015 ore 8.30 saluto di apertura Luca de Tollis Presidente Consiglio comunale di Faenza

Programma

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PRESENTAZIONE

Ricordare e onorare gli ebrei e tutte le vittime della Shoah.

Riconoscere e tutelare le nostre e altrui diversità per crescere

Lo sterminio degli ebrei, di cui facciamo memoria, chiama in causa ogni persona umana, in ogni tempo

ed in ogni parte del mondo. Il massacro di esseri umani, l’enorme numero di vittime della Shoah (non

solo ebraiche) nei campi di sterminio nazisti (insieme ai campi di concentramento fascisti), coinvolge

anche noi oggi e ci deve spingere ad una presa di coscienza rispetto ai comportamenti individuali e col-

lettivi nei confronti di chi consideriamo diversi da noi.

Per secoli sono stati gli ebrei a rappresentare la diversità. Oggi, nelle paure più o meno indotte della

gente, frutto anche di una mancata conoscenza, la diversità che genera timore di una minaccia sociale è

incarnata da altri gruppi, da altre culture, anche nel nostro Paese, ma soprattutto in Paesi a noi vicini,

così come in Africa, in Medio Oriente, in Asia. Oggi, sono soprattutto i cristiani a subire violenze e mi-

nacce da gruppi fondamentalisti, che nulla hanno a che vedere con la religione, quella vera. Per capire

come non bisogna abbassare l’attenzione, basta notare che tra i reietti di oggi, da tenere distanti, da re-

spingere dal suolo patrio, ci siano gran parte degli stessi gruppi sociali inseriti nella lista nera adottata dai

regimi nazisti e fascisti oltre settant’anni fa.

La storia ci insegna, purtroppo, che la stragrande maggioranza delle persone ha formato una moltitudi-

ne di spettatori silenziosi, desolatamente inerti e tragicamente indifferenti rispetto a tali abomini. E’ si-

curamente sbagliato affermare che la gente comune possa aver consapevolmente condiviso progetti di

eliminazione fisica di esseri umani: è certo però che la società che resta silenziosa e passiva rispetto al

massacro ne diventa complice, partendo dalla responsabilità di aver consegnato il potere agli autori di

questi orribili crimini.

Il Giorno della Memoria serve anche a richiamare ciascuno di noi a riconoscere questa corresponsabili-

tà, ad aiutare le persone a vincere la tentazione di pensare che la colpa appartenga sempre solo ad altri,

siano essi i cittadini della Germania nazista o dell’Italia fascista, dei Paesi del socialismo reale o della

Serbia nazionalista, o di altri Stati fondamentalisti, dittatoriali o confessionali dei nostri giorni.

Questo lavoro di presa di coscienza riguarda noi, le generazioni di ogni età di questo tempo; ed è un

lavoro che, anno dopo anno, ci può difendere dall’indifferenza, dal silenzio di fronte alle atrocità che

ancora oggi avvengono sotto i nostri occhi in Afghanistan e in Iraq, in Nigeria, in Siria, in Francia, co-

me è accaduto all'inizio dell'anno e come continua ancora ad accadere.

A nome dell’Amministrazione Comunale desidero ringraziare le istituzioni civili, culturali e religiose, le

associazioni e tutti coloro che hanno consentito di realizzare un programma di iniziative che vede pro-

tagonisti soprattutto i ragazzi e le ragazze delle nostre scuole. Auspico che tale programma possa rende-

re degno omaggio alle vittime della Shoah, dei campi di sterminio nazisti, dei campi di concentramento

fascisti, ai tanti uomini e donne Giusti.

Giovanni Malpezzi

Sindaco di Faenza

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Fare Memoria per costruire un futuro di speranza e di pace

Ogni anno l’amministrazione comunale e la presidenza del consiglio comunale di Faenza, nella scia di una

tradizione che dura ormai da molto tempo, organizzano un percorso di incontri, eventi e manifestazioni a

ricordo della Shoah del popolo ebraico e di tutte le vittime dei campi di sterminio nazisti.

Fare memoria di questo periodo storico, attraverso le storie e le vite di uomini e di donne appartenuti al po-

polo ebraico, consente di lanciare un messaggio di speranza, che unisce la testimonianza di chi ha vissuto sul-

la propria pelle l’orrore della persecuzione nazifascista con il dovere di educare le giovani generazioni attra-

verso i più vari strumenti artistici. Tali strumenti permettono dunque, anche a chi è nato molti anni dopo il

periodo storico in questione, di fare memoria di ciò che è stato.

Grazie alla preziosa ed insostituibile collaborazione con le scuole faentine di ogni ordine e grado sono stati

messi in cantiere molti interessanti appuntamenti, che spaziano dall’espressione teatrale a quella cinematogra-

fica, con l’obiettivo già anticipato che i primi fruitori del messaggio contenuto nei percorsi proposti debbano

essere principalmente i nostri concittadini più giovani.

E’ diventato un evento condiviso e molto partecipato un’importante iniziativa sviluppata con le scuole supe-

riori: il viaggio della memoria. Infatti, anche quest’anno alcuni studenti faentini, in particolare due classi del

Liceo Scientifico accompagnati dalla Prof. Elena Romito, si sono recati in visita al campo di sterminio di Au-

schwitz.

Si auspica che anche negli anni futuri tale tradizione venga proseguita per vivere tale esperienza molto toc-

cante ed arricchente.

Non mancheranno i momenti d’incontro e dibattito, insieme con l’importante proposta delle suore del Mo-

nastero di S. Chiara nell’ambito della giornata per il dialogo ebraico-cristiano, che danno ulteriore pregio ad

un programma che si estende per oltre due settimane.

Fare memoria ogni anno per costruire un futuro di speranza e di pace, è il nostro dovere. Per chi c’era e per

chi sarà.

Il Presidente del Consiglio Comunale

Avv. Luca de Tollis

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“NON PRONUNCERAI FALSA TESTIMONIANZA CONTRO IL TUO PROSSIMO”

(Esodo 20,16)

“ Verba volant, scripta manent”. L’autore sacro, forse proprio per dire che le Parole pronunciate da Jahvé “restano”, ci ha detto che Egli le ha scritte col suo dito sulla roccia. Le Scritture sacre ci definiscono, (Es. 20,16) spesso Jahvè come “roccia eter-na”… Egli dunque le ha come incise in se stesso. Sono là, scolpite per l’uomo di ogni tempo. La Parola su cui riflettiamo quest’anno: Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo ci chiede di dire la verità, di testimoniare senza menzogna. È un caso che in ebraico verità-sincerità (emet) significhi anche fedeltà? Nella Scrittura la fedeltà sincera è la verità e la verità sincera è sempre fedeltà! Colui che non mente mai è solo Jahvè, proprio perché è un Dio fedele, le cui parole non hanno mai sapore di vanità o menzogna. Egli dando all’uomo la sua legge, lo orienta su una strada di libertà piena, lo desidera simile a sé: un Dio che non mente, che giura sulla sua santità, che alla sua fedeltà non viene mai meno. Essere sinceri è dunque questo firmare un patto di alleanza con l’altro, con gli altri ogni giorno. Proprio come Jahvè fa con te. Essere se stessi di fronte all’altro senza doppiezze e falsità. E questa testimonianza vera sei chiamato a darla non solo in tribunale (chissà mai quando), è il quotidiano della nostra vita cha va intessuto di relazioni autentiche e sincere, di parole che costruiscono e non distruggono. Resta sempre attuale quanto affermava il grande educatore don L. Milani: Mi sono preoccupato di farli sinceri i miei ragazzi, invece mi sono venuti maleducati”.

Le sorelle di Santa Chiara

… e per finire Nell’infanzia ci ha presi tutti il personaggio di Pinocchio: le sue vicende, il suo muoversi in modo trasgressivo, non condivisibile certo, ma pur sempre così divertente … un burattino dalle mille strategie per tentare di usci-re indenni da situazioni incresciose. Ma le sue bugie gli si ritorcono sempre contro al punto che il suo naso diviene la carta torna sole della sua insincerità. Messi in guardia da quel naso allungato “in modo straordinario e cresciuto tanto che il burattino non passava più dalla porta”, si cercava di evitare bugie … Poi … poi si cresce. Ci è chiesto di affrontare la vita di viverla responsabilmente per farne un’esistenza bella, “la verità, infatti, è bellezza e la bellezza è verità”.

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Dal 13 al 16 ottobre scorso quattordici studenti e

studentesse delle classi 4D e 4E dell'indirizzo

Scienze applicate del Liceo Torricelli di Faenza,

grazie al generoso contributo dell'Istituto Storico

della Resistenza e dell'Età Contemporanea in Ra-

venna e dell'Assemblea Legislativa dell'Emilia

Romagna, hanno avuto l'opportunità di visitare il

campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau in

Polonia.

E' stato un viaggio di studio e di riflessione, du-

rante il quale hanno potuto vedere con i propri

occhi ciò che resta - i luoghi, le macerie, i docu-

menti storici, i poveri resti – del luogo simbolo

della Shoah, il nefando progetto di distruzione

del popolo ebraico, che a metà del secolo scorso,

insinuandosi pervasivamente nel cuore dell'Euro-

pa dominata dal nazismo, provocò sei milioni di

vittime e che oggi più che mai è doveroso ricor-

dare.

“Pensare e ricordare – scrive la filosofa ebrea Hannah Arendt – sono i modi in cui gli uomini mettono

radici e prendono posto nel mondo – un mondo in cui tutti giungiamo come stranieri”. Non basta ri-

cordare, urge riflettere, pensare, sforzarsi di non lasciarsi tentare dalle semplificazioni che contrappon-

gono i “noi” agli “altri”, ricordando che ogni semplificazione ed ogni generalizzazione non solo perde

qualcosa della realtà ma può indurci a gesti di inaudita violenza in cui si smarrisce l'umano. Camminan-

do su quei binari, calpestando quelle macerie, ci siamo chiesti: come è stato “umanamente” possibile

progettare e realizzare un male così grande da apparire ai nostri occhi impossibile? Eppure Auschwitz è

lì, a dire che è stato possibile, ad uomini e donne come noi, distruggere altri esseri umani incolpevoli,

imputabili della sola “colpa” di essere nati. E' stato molto più di un viaggio nella storia, è stato un viag-

gio nei dilemmi della coscienza, alla ricerca di ciò che ha spinto alcuni ad aderire all'ideologia di morte

ed altri invece ad opporvisi. Martedì 27 gennaio alle 17.00 nella sala del Consiglio comunale di Faenza,

gli studenti e le studentesse del Torricelli, inaugurando la mostra fotografica “Immagini da Auschwitz”,

racconteranno alla cittadinanza non solo ciò che hanno visto lì, ma soprattutto ciò che hanno pensato a

partire da lì, riguardo ai lati bui e ai lati luminosi dell'animo umano.

prof. Elena Romito

4D – 4E Liceo Torricelli

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HANNAH ARENDT o “LA VITA DELLA MENTE”

Tra le varie facoltà neurofisiologiche, o metafisiche per alcuni, della mente, la capacità di elaborare pensieri è quella che pare ci distingua di più come esseri umani. Ad essa è legata la memoria, o il ricordare come suggerisce l’origine greca del termine con cui definiamo questo insieme di funzioni. Questo ci da il senso del Giorno della Memoria: un ricordare ciò che è stato che trae origine dal pensare quei tragici eventi. Hannah Arendt (1906 –1975), che ha dato un determinante contributo filosofico - politico (lei preferì definirsi sociologa) alla comprensione del secolo dei totalitarismi, ha elaborato un originale e coraggioso concetto del pensiero come categoria fondante dell’essere umano, ponendosi di fronte ai sistemi di potere, alle derive totalitarie, alle responsabilità degli individui, agli eventi di male radicale come la Shoah. Per questo si è ritenuto opportuno, in occasione di questo Giorno, proporre il film di Margarethe von Trotta Hannah Arendt, che uscì nel 2012 con grande successo internazionale, che doveva essere programmato in Ita-lia nell’ottobre 2013, ma apparve solo per due giorni, il 26 e 27 gennaio del 2014, in cento sale italiane. La Von Trotta ha sempre raccontato il coraggio di donne che hanno saputo affermare la propria femminilità e le proprie idee in un mondo dominato dal potere della logica maschilista. Questo film è considerato come parte di una trilogia relativa a personaggi storici femminili con: Rosa L. (1986), sulla nota rivoluzionaria spartachista (“la prima vittima ebraica in Germania”, secondo von Trotta) la quale seppe mantenere una sua autonomia intellet-tuale, ancora oggi non molto celebrata nei movimenti a difesa della donna e Vision (2009), una biografia di Hil-degard von Bingen, monaca visionaria vissuta nel XII secolo, di cultura poliedrica, che seppe scuotere le co-scienze e opporsi al potere ecclesiastico e politico. La diversità della Arendt, ha dichiarato la regista, è che ”ha guardato indietro con grande capacità di analisi ai tempi bui del nazionalsocialismo, senza dubbi ne speranze, ma solo per vedere chiaro e di cercare la verità”. La Von Trotta ha colto una sfida: portare sullo schermo il coraggio di una donna per le sue idee, e gli sviluppi, per quanto molto avventurosi, di un pensiero, evitando biografismi da “prodotto” spettacolare, quelli che fanno entrare in classifica al box office, per una industria del cinema che “ha tutto l’interesse ad imbrigliare la parteci-pazione delle masse” (Benjamin) e ad inibire la facoltà di pensare anche di certa critica. Così partendo dal suo concetto che “It’s better for filmmakers to have a confrontation, not just abstraction” – “E’ meglio per i registi avere un confronto, non proprio un’astrazione” (New York Times) si è focalizzata su un particolare episodio della vita di Hannah Arendt: il viaggio a Gerusalemme, da lei fortemente voluto come corrispondente del The New Yorker, per guardare in faccia Adolf Eichmann, per capire un “criminale nazista” e, scrive la Harendt, “fino a che punto la Corte di Gerusalemme è riuscita a soddisfare la sete di giustizia”. Quel viaggio fu fondamentale nel definire la filosofia-politica del male nelle sue varie manifestazioni e cause, da quello cosiddetto “radicale” a quello da lei defini-to “banale”. E poi, al ritorno, l’isolamento, le calunnie, le minacce, l’ostilità, anche degli amici (come Hans Jonas, discepolo di Heiddeger, autore di una nuova teodicea dopo Auschwitz, o Ghersom Sholem studioso di mistica ebrai-ca), l’espulsione dall’università e dalla comunità ebraica, conseguenti all’uscita degli articoli e alla pubblicazione del libro che la rese famosa: Eichmann in Jerusalem. A Re-port on the banality of the Evil (prima edizione del ’63). In Italia uscì l’anno dopo per Feltrinelli con il titolo La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme. E’ un film “teatrale” (una sorta di deriva da un arte che è “immagine” in movimen-to), di interni, quelli newyorkesi anche se le atmosfere sono berlinesi. E’ un film di parola in quanto si sviluppa attra-verso dialoghi serrati e accese conversazioni, quelle fra in-tellettuali ebrei dove si passa dall’ebraico al tedesco, e ad un inglese dall’accento germanico.

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Il doppiaggio avrebbe falsato la condizione di chi, ricorda la von Trotta, “ha studiato greco e latino, sa un po’ di francese ma ora in America si sente come un analfabeta, e come un salvato ma sempre straniero”. La mac-china da presa non ha scatti ma ci porta all’interno di movimenti e scontri verbali, interiori, soffermandosi sui volti; quello della Arendt è posto spesso in primo piano quasi a carpirne i pensieri, forse favoriti da una sigaretta perennemente accesa. Volti e ambienti sono illuminati da una luce radente (della cinematrographer Caroline Champetier, un’altra donna, come anche la “tenace” produttrice Bettina Brokemper), dai tenui chiaroscuri, su riflessioni dove nulla è scontato, dove tutto è da comprendere. Diversamente, a Gerusalemme, troviamo esterni di luce quasi accecan-te, condizione forse di chi non vuole o non può vedere, impedito da preconcetti e pregiudizi Barbara Sukova, come per Anna Luxemburg e Hildergard von Bingen ma anche per Marianne nel Leone d’O-ro Anni di piombo, ha saputo ancora una volta, per Hannah, entrare nel personaggio fino al punto, racconta la von Trotta, “di diventare il personaggio … Sapevo che doveva essere lei, non potevo fare il film senza di lei”. La sceneggiatura, in un film che mette in movimento pensieri, è fondamentale: la regista ne è l’autrice (come ci si aspetta da un opera autoriale) assieme ad un’altra donna, Pamela Katz. Essa ci fornisce gli elementi di ciò che è il coraggioso, originale e decostruttivo pensiero della Arendt che certamente originò dalla cultura analitica e dialettica dell’ebraismo diasporico, dalla propria esperienza di ebrea perseguitata e internata, da una profonda conoscenza del percorso filosofico occidentale, da Socrate a Marx, ma anche dalla relazione conflittuale con Heidegger, grande filosofo ma puerilmente lontano dalla realtà del fare; dice ad Hannah nel film “Sono venuto come un fanciullo che sogna e non sa quel che fa”. C’è l’impatto sconcertante , attraverso l’eccellente montaggio del materiale di repertorio (da Uno specialista, già lavoro di montaggio di Eyal Sivan), con quella che lei definì la teatralità e la retorica del processo ad Eichmann, dove avvertì come non fosse soddisfatta l’esigenza di giustizia, quella di giudicare un uomo solo per le sue azio-ni e moventi; e poi la cattura del nazista ad opera del Mossad (nelle sequenze iniziali), come violazione del dirit-to internazionale. Ricorre più volte nel film la questione che forse più di tutte isolò la Arendt: quella della collaborazione di alcuni Judenrat (consigli ebraici) e dei loro capi allo sterminio, che emerse nello stesso processo, e che Primo Levi in-cluse ne “I sommersi e i salvati”. Il nucleo più dirompente e attuale del pensiero della filosofa, su cui la von Trotta si sofferma, è il concetto di “banalità del male” sul quale furono convergenti pensatori come Zygmunt Baumann, Emanuele Lévinas, Michel Foucalt, e il testimone oculare Primo Levi. “Banality” (dall’inglese “ban”, appartenente al signore, bando) è ciò che è norma valida per tutti, scontata. Arendt ci dice che la “criminalità”, la colpa in Eichman è stata l’incapacità di pensare, da una indotta forma mentale dove legge e obbedienza sono la discriminante assoluta, in un orizzonte manicheo dove la legge del capo è il bene e la disobbedienza è il male. Il pensiero si sviluppa attraverso un dialogo fra l’io e il sé, in una sorta di pluralità interiore su cui si fonda la capacità di rapportarsi all’altro da sé. Ignorare tale dialettica mentale, può condurre a convivere con un poten-ziale assassino, ad una corresponsabilità al male, non importa se esso avviene a migliaia di chilometri. Insegnava Socrate, ricorda la Arendt, che “ è meglio essere in disaccordo con l’intero mondo piuttosto che con se stesso”. Dunque pensiero come condizione de La vita della mente, l’ultima opera della filosofa, purtroppo incompiuta. La colpa di Eichmann è banale e attuale anche perché è diffusa e pervasiva. Viviamo in un sistema totalizzante, omologante, che tenta di ampliare quella che Levi definì “zona grigia” dove la colpa condivisa è strumento di potere . Il Giorno della Memoria è momento di presa di coscienza. Esso ci coinvolge in quanto contiene la le-zione della Arendt: pensare è ricordare, è “meditare ciò che è stato”, è dialogare con la coscienza, è la libertà dalla corresponsabilità, è la vita della mente. Guido Zauli

Fonti: Hannah Arendt, La banalità del male, Feltrinelli 2001 Hannah Arendt, Filosofia e politica, Humanitas n.6, 1998 Simona Forti, Sulla normalità del male, scritti vari da I nuovi demoni. Ripensare oggi male e potere, Feltrinelli 2012, allegato al dvd distribuito da Feltrinelli. Simona Forti, Banalità del male, in I concetti del male, a cura di Pier Paolo Portinaro, Einaudi 2002 Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi 2007

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Hannah Arendt Israele, la Shoah e due lettere da ricordare

La memoria della Shoah non ha 70 anni, come vorrebbe la logica, considerato che la scoperta degli orrori di Auschwitz risale al 27 gennaio 1945. In realtà essa è molto più recente e non parlo solo delle leggi istitutive del “Giorno della Memoria” in tanti paesi europei. Non c’è stata, come sarebbe dovuto avvenire nell’ordine “naturale” delle cose, una grande luce che man mano si affievolisce, fino ad arrivare ai grigi giorni di un ricordo sbiadito. E’ successo quasi il contrario, o, come mi-nimo, si è trattato di tante luci intermittenti che si sono accese per volontà, ma anche per caso, in questo inter-minabile dopoguerra, condizionate spesso da eventi esterni (molte volte politici) non direttamente legati al pe-riodo nazista. Dopo i primissimi anni del dopoguerra, in cui apparvero alcune testimonianze di sopravvissuti, come Se questo è un uomo di Primo Levi, dopo quei pochi che sentirono subito il dovere morale e la necessità di raccontare (vada ad essi la nostra eterna riconoscenza), la grande maggioranza delle vittime sopravvissute (e non parliamo naturalmente dei carnefici!) preferì dimenticare e dedicarsi a ricostruire una nuova vita. Come si può dar loro torto? Forse, se non fossero intervenuti altri fattori, la cosa sarebbe potuta davvero finire lì, o quasi. La Shoah sareb-be diventata, in qualche tempo, una parte appena distinguibile dalle altre distruzioni e stragi, nel grande oceano di sangue del periodo 1939-45. Così come per lunghi anni non apparvero storici che affrontassero l’argomento sulla base di grandi ricerche documentali. Ma poi dove erano tutti questi documenti su cui lavorare? Non dob-biamo dimenticare, ad esempio, che per accedere agli archivi riguardanti la Shoah nei territori sovietici si do-vette attendere la caduta del muro e perciò la ricerca più scientifica e documentata partì solo dalla metà degli anni novanta, cioè ben 50 anni dopo la fine della guerra! E ancora, ne parla un bel libro di Marco Ansaldo, Il falsario italiano di Schindler, il gigantesco archivio delle SS è stato aperto agli studiosi soltanto nel 2007. E voglia-mo non ricordare, per quanto riguarda in particolare il nostro paese, gli “armadi delle vergogne”? Inoltre, elemento fondamentale, anche il nuovo stato di Israele, che aveva accolto la parte più consistente degli scampati, ebbe, perlomeno fino alla fine degli anni Cinquanta, un rapporto assai problematico e contradditto-rio con la Shoah. Ne dà testimonianza il documentatissimo saggio della storica israeliana Idith Zertal, Israele e la Shoah di cui si parlerà ancora tra poco. Quasi improvvisamente, però, tra il 1960 e il 1963, cioè due decenni dopo l’inizio dello sterminio sistematico degli ebrei e quindici anni dopo la fine della guerra, lo scenario cambia completamente. Da allora la memoria e la riflessione sulla Shoah entrano a far parte del nostro bagaglio storico e culturale. Tre sono gli elementi che determinano questo mutamento, di qualità diversissima, ma tra loro strettamente connessi. 1 il rapimento di Adolf Eichmann (1960) da parte dei servizi segreti israeliani in Argentina e soprattutto il processo che ne seguì, svoltosi a Gerusalemme a partire dal 1961 2 il reportage sul medesimo processo di una grande intellettuale ebreo-tedesca, Hannah Arendt che dall’inizio del periodo bellico si era rifugiata a New York. 3 la pubblicazione della prima monumentale opera di documentazione sulla distruzione degli ebrei europei, scritta in America da Raul Hilberg, The destruction of the european jews (1961, ma tradotto in italiano soltanto nel 1999). Il processo Eichmann aveva un valore storico-legale, naturalmente, di accertamento giudiziale della verità e delle responsabilità sui crimini nazisti, ma assunse ben presto un potentissimo rilievo simbolico, anche al di là e al di fuori dei propositi dei governanti, in particolare il primo ministro Ben Gurion, che fortemente lo aveva-no voluto per rinsaldare, stando al parere della Arendt, il legame tra lo stato di Israele e gli ebrei della Diaspo-ra. Per la prima volta, con una risonanza mondiale, il giovane stato di Israele faceva i conti, per così dire, con l’elaborazione di quel lutto sconfinato su cui, volente o nolente posava, in parte cospicua, la propria fondazio-ne. C’era stato per la verità, qualche anno prima, un precedente giudiziario che aveva riguardato un’accusa di complicità coi nazisti di un esponente di spicco della comunità ebraica ungherese. Nel resoconto al processo della Arendt, trasformato ben presto (1963) in un libro piuttosto corposo, vide la nascita un concetto che sarebbe diventato, forse con qualche travisamento, un elemento fondamentale della nostra cultura politica ed etica: la banalità del male.

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Questo, va ricordato, fu anche il titolo della prima traduzione italiana nel 1964, mentre il titolo originale era Eichmann in Jerusalem e la banalità del male appariva solo nel sottotitolo A report on the Banality of Evil. A completamento dell’informazione: lo studio di Raul Hilberg che ho citato sopra fu determinante per l’in-quadramento storico complessivo del saggio della Arendt e anche per l’elaborazione di alcune considerazioni sulle responsabilità della classe dirigente ebraica durante le deportazioni. «Sono rari - scrive Idith Zertal nel saggio che ho citato in precedenza - testi che plasmano pensiero e discorso di una generazione in maniera tanto immediata quanto duratura, innovando profondamente sul piano concet-tuale», ma sono anche rari i testi che suscitano fin da subito (prima nella versione di resoconto giornalistico su “The Newyorker” poi come libro) polemiche così numerose e aspre. Ciò avvenne da parte della comunità ebraica americana e degli intellettuali israeliani. «La polemica sulla Arendt scosse profondamente il mondo ebraico per vari motivi. Primo perché collegata ai due avvenimenti centrali e creatori di identità della storia ebraica del XX secolo, ossia la distruzione degli e-brei in Europa e la fondazione dello stato di Israele. Secondo, perché attinente al rapporto complesso tra questi due avvenimenti. Terzo, perché implicava la lotta per il controllo della memoria ebraica, del suo linguaggio, dei suoi significati, dei suoi portatori, dei suoi custodi» (Zertal). Più nel dettaglio, alla Arendt veniva lanciata un’ampia gamma di accuse che andavano da inverosimili simpatie per Eichmann condite da sentimenti antisemiti ad una scarsa sensibilità nei confronti delle enormi sofferenze del suo popolo, che la conduceva “perfino” ad incolpare i capi delle comunità ebraiche europee di oggettiva complicità con i nazisti; o ancora ad una non sufficiente simpatia nei confronti del giovane stato israeliano. Complessivamente, secondo i suoi critici, si poteva chiaramente individuare nel suo pensiero e nei suoi com-portamenti una non adesione a quel percorso storico-politico-ideale che nel Novecento aveva portato gli ebrei in Palestina. Alcune di queste polemiche erano semplicemente malevole e pretestuose o si basavano sulla scarsa conoscen-za di ciò che la filosofa tedesca aveva effettivamente scritto, ma vi era anche, nella sostanza, una vera frattura tra le opinioni della Arendt, (che comunque non aveva mai rinnegato la propria identità ebraica) e la gran par-te degli intellettuali ebrei della Diaspora o residenti in Israele. Tra queste polemiche spicca per serietà degli argomenti e pacatezza dei toni la lettera di Gershom Scholem e la relativa risposta della Arendt. Scholem è uno dei più importanti pensatori ebrei del Novecento, Anch’egli di origini tedesche, prima dell’avvento di Hitler, aveva condiviso con lei più di una battaglia politica. Appartenenza di gruppo e lealtà nei confronti della collettività ebraica costituiscono il nocciolo degli am-monimenti di Scholem alla sua amica Hannah e il punto fermo da cui derivano tutte le altre argomentazioni tra cui quelle, particolarmente importanti, che riguardano il comportamento dei capi delle comunità ebraiche. Ma ecco alcuni brani della lettera da Scholem del 23 giugno 1963. «Ciò che rimprovero al suo libro è la sua insensibilità, è il tono spesso quasi sarcastico e malevolo che impiega nel trattare i soggetti che toccano la nostra vita nel suo punto più sensibile. C’è, nella tradizione ebraica, un concetto difficile da definire e tuttavia ben concreto, che noi chiamiamo Ahavat Israel, “l’amore del popolo ebraico”. In lei cara Hannah, come in molti intellettuali usciti dalla sinistra tedesca, ne ritroviamo ben poche tracce … «Nel suo modo di trattare il problema di sapere co-me gli ebrei hanno reagito nelle circostanze estreme alle quali né lei né io siamo stati esposti, scorgo spesso, in luogo di un giudizio equilibrato, una sor-ta di tendenza demagogica all’esagerazione. Chi fra noi potrebbe dire oggi quali decisioni avrebbero dovuto prendere in quei frangenti i notabili della comunità ebraica, con qualunque nome lei voglia chiamarli?....C’erano per esempio i Consigli Ebraici, e tra i loro membri alcuni erano dei mostri altri dei santi. Ho letto molte cose sulle due specie. C’era anche tra loro molta gente che non era diversa da noi, che è stata costretta a prendere decisioni terri-bili in circostanze che non possiamo riprodurre né ricostruire.

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E io non ho la presunzione di giudicare. Io non c’ero. «Dopo aver letto il suo libro, io non sono convinto della sua tesi circa la “banalità del male”, tesi che a stare al suo sottotitolo, sta dietro all’intero suo ragionamento. Questa nuova tesi mi colpisce come uno slogan; essa non mi sembra per certo, il frutto di una profonda analisi, del genere di quella che lei ha fornito in modo così persuasivo al servizio di una tesi del tutto differente e perfino contraddittoria nel suo libro sul totalitarismo. Lei non aveva ancora fatto a quell’epoca, evidentemente, la scoperta della banalità del male. Di questo “male radicale” del quale la sua analisi di allora testimoniava con tanta eloquenza ed erudizione, non resta che quella parola. Rispose la Arendt il 24 luglio. Anche della sua lettera sono qui di seguito alcuni brani. «Trovo singolare che lei abbia scritto: “Io la considero una figlia del nostro popolo e nient’altro”. La verità è che io non ho mai preteso di essere altro, né di essere diversa da come sono e non ne ho mai neanche prova-to la tentazione….so naturalmente che esiste un “problema ebraico”, anche a questo livello, ma questo non è mai stato il mio problema, neanche nella mia infanzia. Ho sempre considerato la mia ebraicità come uno dei dati reali e indiscutibili della mia vita … «Veniamo al punto. Comincerò … da ciò che lei chiama “l’amore del popolo ebraico”... Lei ha completamen-te ragione, Io non sono animata da alcun “amore di questo genere, e ciò per due ragioni: non ho mai nella mia vita “amato” alcun popolo, alcuna collettività – né il popolo tedesco, né il popolo francese, né il popolo americano, né la classe operaia, né niente di tutto questo. Io amo “unicamente” i miei amici, e la sola specie di amore che conosco e nella quale credo è l’amore per le persone … «C’è da rammaricarsi che lei non abbia letto il libro prima della campagna intrapresa per snaturarlo e che trae origine dall’establishment ebraico d’Israele e dall’America. Sono purtroppo poche le persone capaci di resiste-re all’influenza di quel tipo di campagna. Mi sembra del tutto inverosimile che lei abbia potuto ingannarsi su alcune affermazioni senza aver subito tale influenza … così io non ho mai fatto di Eichmann un “sionista”. Se l’ironia della frase le è sfuggita non ci posso fare davvero niente …. Inoltre io non ho mai chiesto perché gli ebrei “si sono lasciati massacrare”. Al contrario ho accusato il pubblico ministero al processo per aver po-sto questa domanda a tutti i testimoni che gli sono passati davanti. Nessun popolo, nessun gruppo in Europa, ha reagito diversamente sotto la pressione immediata del terrore. La questione che ho sollevato è quella della collaborazione di funzionari ebrei all’epoca della “soluzione finale”, e questa questione è molto imbarazzante perché non si può pretendere che fossero dei traditori … In altre parole, fino al 1939 e anche fino al 1941, tutto ciò che hanno fatto e non hanno fatto i funzionari ebrei è comprensibile e scusabile. E’ solo più tardi che la cosa diventa molto problematica ….Ho detto che ogni resistenza era impossibile, ma che esisteva alme-no la possibilità di non fare niente. E che per non fare niente non era necessario essere un santo…. Oggetto della discussione non devono essere tanto le persone [cioè i funzionari dei Consigli ebraici] quanto gli argomenti coi quali essi si giustificano agli occhi propri o a quelli degli altri. Questi argomenti noi siamo abituati a giudi-carli. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che si tratta qui di situazioni che erano senza dubbio terribili e dispe-rate, ma non erano quelle dei campi di concentramento … Restava a queste persone una qualche limitata li-bertà di decisione e di azione …. «In conclusione, veniamo alla sola questione in cui lei mi abbia capita e per cui sono felice che lei abbia tocca-to il punto capitale. Lei ha completamente ragione: ho cambiato parere e non parlo più di “male radicale”. Da molto non ci siamo più visti, altrimenti avremmo forse già parlato di questo argomento….. Oggi il mio parere è che il male non sia mai “radicale”, che sia solo estremo, e che non possieda né profondità né dimen-sione demoniaca. Esso può invadere tutto e devastare il mondo intero precisamente perché si propaga come un fungo. Esso “sfida il pensiero”, come ho detto, perché il pensiero cerca di attingere alla profondità, di per-venire alle radici, e dal momento in cui si occupa del male, viene frustrato perché non trova niente. E’ qui la sua “banalità”. Solo il bene ha profondità e può essere radicale….»

Giorgio Bassi

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RICORDARE perché NON ACCADA PIU’..........

Il senso della giornata della memoria è proprio questo: ricordare perché non accada più!!! Questo è un evento che si celebra contemporaneamente in gran parte del mondo occidentale per comme-morare le vittime dei campi di concentramento nazisti. Il 27 gennaio è una data simbolica, nell’anno 1945, infatti, le avanguardie delle truppe sovietiche raggiunse-ro il campo di concentramento di Auschwitz. Qui trovarono morti, uccisi nelle camere a gas , quattro mi-lioni di uomini, donne, bambini. La maggior parte erano ebrei, ma anche zingari, omosessuali, testimoni di Geova, oppositori politici e altri considerati nemici del Reich. In tutto le vittime furono circa sei milioni. Perché dunque ricordare? Per dare alle nuove generazioni la conoscenza del passato, ma anche la consape-volezza che ciò non dovrà più accadere e ricordare e raccontare è un modo perché ciò non si ripeta mai più. La memoria è un dovere, è un dovere verso un popolo che è stato vittima di un lucido sterminio, un moni-to per tutta l’umanità contro l’odio razziale, etnico-religioso che purtroppo ancora oggi e, in un recente pas-sato ha insanguinato una parte del mondo. Centinaia di eventi sono stati organizzati nelle scuole di tutta Italia e, anche quest’anno le scuole secondarie di I° grado di Faenza hanno contribuito con il patrocinio del Comune a commemorare questo giorno. Coordinati dal “Teatro Due Mondi” si è deciso di svolgere uno spettacolo teatrale presso il Teatro Masini, spetta infatti anche alle istituzioni serbare nel profondo di ognuno di noi il ricordo, e coltivare nei giovani il rispetto della dignità di ogni essere umano . Pensiamo che il pregiudizio, le discriminazioni , l’indifferenza non debbano sostare nelle nostre scuole. Crediamo in una scuola più aperta ad un ‘educazione dei valori civili e morali quali’: la solidarietà , l’altrui-smo, la tolleranza, il rispetto dell’altro. Attraverso questo lavoro intendiamo stimolare i nostri studenti ad una riflessione sugli aspetti ancora attuali del razzismo e dell’intolleranza verso i diversi e per le idee altrui. Il compito degli insegnanti , sarà quello di far conoscere e sensibilizzare gli alunni e la cittadinanza con que-sti percorsi didattici specifici, sulla Shoah e la diversità per poi invitare a rappresentare in chiave attuale. La storia della Shoah è soprattutto una storia umana e parla di individui. Parlarne e rappresentarla oggi im-plica lo sforzo di comprendere l’animo umano e le sue azioni. E’ una sfida che si può vincere.

classe III B scuola media Bendandi prof.ssa Concetta Bruno

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MEMORIA E CONOSCENZA

Come ormai da un po' di anni, per onorare il Giorno della Memoria, progettiamo nelle scuole secondarie di primo grado dei laboratori teatrali in cui gruppi di studenti possano, nel produrre alcune scene da rappre-sentare, ricercare e approfondire le tematiche proposte. Il più possibile facciamo in modo che le cose che verranno rappresentate sul palcoscenico siano frutto di loro pensieri e di loro desideri. Insieme impariamo e cresciamo.

Il tema proposto quest'anno è “i bambini e la guerra” e lo affrontiamo ricercando informazioni e sugge-stioni sia per ciò che concerne la nostra storia, interrogando soprattutto i nostri anziani, sia raccogliendo dati attraverso i media su cosa sta succedendo adesso con la miriade di focolai di guerra tutt'ora in essere (con mi-lioni di profughi, orfani, bambini-soldato).

Verrà così realizzato uno spettacolo-collage che si replicherà il 29 e 30 gennaio al Teatro Masini, sia in ora-rio mattutino per altri studenti, sia in orario serale per la città.

Con molti dei materiali così prodotti poi, il regista Alberto Grilli, del Teatro Due Mondi, monterà uno spettacolo itinerante da inserire nelle manifestazioni del 25 aprile.

Teatro Due Mondi

17 gennaio 2015 ore 21.00, Casa del Teatro Faber Teater “Le bambine di Terezin”

Il racconto dei bambini di Terezin, città a 100 km da Praga, durante l’Olocausto, attraverso i loro disegni, le loro parole, poesie, diari, frammenti di vite vissute in un mondo di brutalità e finite presto. La leggerezza nelle loro voci, le loro speranze sono uno sguardo diverso sull’Olocausto, come singolare è la storia di Terezin do-ve l’arte ha aiutato a tenere in vita le persone, a restare esseri umani.

Faber Teater nasce nel 1995 da un laboratorio teatrale all'interno del Liceo Newton di Chivasso (Torino). La vita artistica della compagnia è caratterizzata da diversi momenti, cui viene data pari dignità: dalla ricerca sul-l'attore alla produzione e distribuzione degli spettacoli, dalla progettazione alla realizzazione di iniziative tea-trali, pedagogiche e culturali. Obiettivo e intento comune è che le scelte siano condivise dal gruppo. Al centro della ricerca vi è il lavoro d'attore, il teatro di gruppo, la relazione attore-spettatore. La compagnia intende presentare non soltanto un "prodotto finito" (lo spettacolo), ma anche la ricerca, la fatica, la passione, la cura artigianale che sostiene e nutre questo lavoro.

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… A PROPOSITO DI HAFTLING !

… dal 20 dicembre 1963 al 20 agosto 1965 si svolse a Francoforte sul Meno un processo contro un gruppo

di SS e di funzionari del Lager di Auschwitz …

… Häftling – in italiano detenuto - è l’ appellativo dato ai prigionieri di quei tristemente noti campi di stermi-

nio partoriti dalla follia nazista…

… Häftling è una misera ed avvilente qualifica che accompagnò alla morte milioni di innocenti …

Sabato7 febbraio 2015, alle ore 12.00, la classe 3^E della Scuola Secondaria di primo grado “Cova- Lanzo-

ni” di Faenza rappresenterà, all’ interno dell’ Aula Magna del proprio Istituto, una drammaturgia originale

curata da Paolo Parmiani, liberamente tratta dall’ opera di Peter Weiss “L’Istruttoria”.

La pièce ricostruirà le fasi principali di quel processo ricreandone il clima, le tensioni, le denunce, le reticenze

e la malafede da un lato, i terribili drammi personali e collettivi di centinaia di migliaia di persone – non più

persone – dall’ altro.

Lo spettacolo-testimonianza, riservato ai ragazzi delle altre classi terze dell’ Istituto, si avvarrà di musiche ese-

guite dal vivo dagli alunni del laboratorio musicale attivato come attività alternativa IRC, sotto la guida della

prof.ssa Antonella Ronconi.

prof. Paolo Parmiani

IC “D. Matteucci” scuola secondaria di primo grado “Cova Lanzoni”

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“L'ALBERO DI ANNE”

classe seconda della scuola secondaria di I grado S. Umiltà prof.ssa Giulia Zaniboni

Anche quest'anno si ripresenta l'occasione per mettere in scena, con i ragazzi della nostra scuola, il dramma della Shoah. Questo tema pone un dilemma a noi docenti: si vuole insegnare la storia dell'Olocausto e della Seconda Guerra Mondiale, ma non è possibile far comprendere questi avvenimenti storici senza turbare profondamente gli studenti più giovani. Per questo, quando mi accingo a scegliere un testo che possa essere trasformato in copione teatrale, cerco una storia che non presenti come nucleo privilegiato solo gli aspetti più atroci della guerra, ma che contenga in sé un seme di rinascita, un'immagine positiva da cui ricominciare a sperare. La riflessione educativa offre oggi un sistema teorico e pratico che ritiene che sia possibile non solo “insegnare e apprendere la Shoah”, ma anche “apprendere dalla Shoah” attraverso l'incontro con le storie di vita dei sopravvissuti. Gli alunni, i nostri interlocutori privilegiati, attraverso l'incontro con queste storie, si aprono ad un mondo di significati che possono contribuire alla loro crescita, alla loro educazione e forse anche alla loro resilienza, quella capacità straordinaria che ha l'uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente. L'anno scorso abbiamo portato in scena “La storia di Erika”, bambina sopravvissuta all'Olocausto grazie al gesto estremo della madre che, durante la deportazione, l'ha gettata dal finestrino del convoglio, scampan-dola alla morte e riconsegnandola alla vita. Una storia d'amore che ha inizio da un abbandono, ma che si conclude con un' adozione che ci dimostra che, pur perdendo la famiglia, si può non perdere il legame con essa. Quest'anno, in aiuto alla mia lunga ricerca, è accorso il testo di Irene Cohen Janca, “L'albero di Anne” che ci ha offerto il pretesto per rileggere un grande classico “Il diario di Anna Frank” da un altro punto di vista, quello dell'ippocastano che, dal suo giardino, intravedeva la ragazzina rinchiusa nella soffitta, intenta a scri-vere. Guardare da una finestra il mondo esterno pote-va significare la morte, ma dalla soffitta Anne per due anni spiò la crescita e i cambiamenti di un albero piantato accanto all'alloggio sulla Prinsen-gracht. Dove gli uomini non arrivano più, ci pen-sa la natura, con la sua bellezza e le sue regole immutabili, a portare un po' di conforto a una piccola ragazzina, ingiustamente reclusa. Nel suo diario Anne parla del cielo, della natura, dell'albero che cambia con le stagioni, di tutte quelle grandi cose che rappresentano il mondo esterno a lei negato e quindi la libertà. Per Anna non ci sarà nessuna speranza di sopravvivenza, ma sarà l'ippocastano a tramandarne il ricordo attraverso i giovani alberi nati dai suoi frutti. “ Prima di abbattermi, gli uomini staccheranno un piccolo ramo e lo pianteranno nel posto che avrò lasciato vuoto. Un mio doppio, proprio un gemello. Per ingrandirsi, le sue radici scaveranno la terra e ne trarranno nutrimento. Ma solo il ricordo di Anne gli darà veramente il mio po-sto nel giardino della casa al numero 263 di Prinsen-gracht.” Oggi l'albero di Anne è un monumento interatti-vo in cui i giovani di tutto il mondo possono scrivere sulle sue foglie virtuali riflessioni, citazio-ni e pensieri, per non dimenticare Anna Frank.

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IL GIORNO DELLA MEMORIA Ricordare, pensare, immaginare. L'Istituto Comprensivo “Europa” entra nella Storia

di Michele Orlando

I popoli trascinati da imperativi diversi in guerra, torneranno, a ricostituirsi in nazione modificata non tanto nei confini, quanto nello spirito, poiché tali popoli avranno vissuto, in breve tempo, una esperienza secolare. Ciascun uomo che fu soldato ebbe la sua breve, ma forte e profonda meditazione, tanto più forte quanto più prossima al fato misterioso della vita o al pensiero maestoso dell’eternità fu l'ora del raccoglimento [...]

Piero Zama, da L'Azione del 23 luglio 1916

Così il marradese Piero Zama, notevole storico del Risorgimento italiano nonché volontario nella Prima Guer-ra Mondiale e combattente col grado di sottotenente e poi di capitano nel Carso, sull'altopiano di Asiago, sul monte Grappa, scriveva nel vivo del fragore della Grande Guerra, della quale il 2014 è stato l'anno del 1° cen-tenario. La sua scrittura è vibrante, una meditazione sulla Prima Guerra Mondiale che aveva incendiato molti animi di profondo nazionalismo, un attaccamento alla patria sicuramente non comune, che osannava quella guerra "con fervore d'entusiasmo" tale da viverla quale irripetibile occasione di una quarta guerra dell'indipen-denza nazionale. Zama evidentemente non aveva ancora ben chiara la dimensione e la profondità della tragedia umana che si sarebbe consumata di lì a poco, ma sicuramente già si avvertivano in lui i sussulti di un fermento spirituale che avrebbe lasciato spazio a valutazioni emotivamente più lucide, se è vero che nelle stesse pagine traspare che "la nostra vita individuale così impoverita in questa società militare attende di conoscere i suoi più grandi valori, io non so come si svolgerà questa rivoluzione, non so se nel tumulto delle passioni collettive vi sarà calore di sangue, o se si compirà in una tragedia spirituale, nel mondo delle idee. Speriamo in quest’ultimo e più proficuo svolgimento". Zama, dunque, sebbene soldato, sperava intimamente più in una tragedia spiritua-le, che si compisse nel mondo delle idee, una vera rivoluzione figlia più della cultura che delle armi. Così non è stato, perché quel primo grande conflitto radicava in sé i semi di una prossima e ancor più violenta catastrofe anziché di una pace duratura.

IL SECONDO CONFLITTO MONDIALE lascia una eredità pesante di odio e violenza inaudita. La vio-lenza della guerra attraversa sì ogni epoca e umilia ogni civiltà, con una tale persistenza che per secoli la storia degli uomini sembra collimare quasi esclusivamente con la successione dei fatti bellici. Una spirale senza fine, senza uscita, inarrestabile, che impedisce di comprendere quale sia la causa e quale l'effetto. Le cerimonie commemorative a Faenza recenti per il 70mo anniversario della Liberazione della città dall'occu-pazione nazi-fascista, che hanno riportato alla mente i bagliori e i fragori delle bombe alla fine del 1944, lascia-no nelle giovani generazioni un brivido insolito e gelido che attraversa la spina dorsale delle esistenze, della i-dentità cittadina. È una esperienza – quello della guerra – di certo ancora attuale ma anche un percorso, da un altro osservatorio, nella consapevolezza della sua inaccettabilità che non può lasciarci impassibili di fronte agli orrori che trascinano bambini, donne, anziani, i più deboli nella spietata gara per la conquista del potere, che umilia e distrugge una comunità nel suo insieme.

ANCORA OGGI, purtroppo, assistiamo in diverse parti del mondo a scontri armati per ragioni etniche, reli-giose o sociali. L'Unicef diffonde dati inquietanti. Le vittime civili costituivano circa il 50% delle perdite umane complessive nella Prima Guerra Mondiale, il 66% nella Seconda Guerra Mondiale, il 90% nelle guerre odierne. Nel decennio 1985-1995 si calcola che siano stati uccisi in guerra 2 milioni di bambini. Nel medesimo periodo, dai 4 ai 5 milioni sono stati i bambini che hanno subito ferite permanenti e mutilazioni. Un numero imprecisa-bile, nell’ordine delle decine di milioni, sono stati i casi di gravi traumi psicologici. Oltre 20 milioni di bambini sono stati costretti ad abbandonare le loro case a causa della guerra nell’ultimo decennio e a diventare profughi, insieme alle loro famiglie o persino da soli. Nel mondo sono attualmente in corso una cinquantina di conflitti armati: in almeno 30 di essi vengono impiegati minori nelle operazioni militari. Si stima che siano circa 300.000 i bambini-soldato.

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Partendo da questi scenari e meditando su tali presupposti davvero soffocanti, l'Istituto Comprensivo 'Europa' anche quest'anno contribuisce alla programmazione dell'amministrazione comunale con un cartello-ne di iniziative volto non solo all’accrescimento di conoscenze ma anche di consapevolezze della memoria del nostro passato e della nostra identità umana e civile.

Oltre 20 milioni di bambini sono stati costretti ad abbandonare le loro case a causa della guerra nell’ultimo decennio e a diventare profughi, insieme alle loro famiglie o persino da soli. Nel mondo sono attualmente in corso una cinquantina di conflitti armati: in almeno 30 di essi vengono impiegati minori nelle operazioni mili-tari. Si stima che siano circa 300.000 i bambini-soldato. Partendo da questi scenari e meditando su tali presupposti davvero soffocanti, l'Istituto Comprensivo 'Europa' anche quest'anno contribuisce alla programmazione dell'amministrazione comunale con un cartello-ne di iniziative volto non solo all’accrescimento di conoscenze ma anche di consapevolezze della memoria del nostro passato e della nostra identità umana e civile.

IL COMPITO DELLA SCUOLA è fondamentale quando aiuta bambini e adolescenti a riflettere sul valo-re del rispetto dei diritti umani, sui valori contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani (Parigi, 10 di-cembre 1948) e negli altri strumenti internazionali in materia di diritti. Promuovere la conoscenza dell’adesio-ne, responsabile e attiva, non corrisponde certo ad una fredda e sterile trasmissione di informazioni e cono-scenze, ma attraverso l’approccio intelligente e ben meditato a filmati inediti, fotografie, toccanti pagine di diario, carteggi, testimonianze, è possibile mettere in luce le pesanti responsabilità dei regimi totalitaristi, nazi-fascista e comunista, nei confronti di coloro che hanno subito la più profonda offesa alla vita e all’umanità nei campi di concentramento e di sterminio.

LE SCUOLE PRIMARIE 'DON MILANI' E 'GULLI' hanno dunque articolato con spessore un inte-ressante palinsesto di iniziative, coordinate dalle ins. Natascia Pelizzoni e Daniela Avesani, mirate a sensibiliz-zare i bambini alle tematiche della pace, della solidarietà, dell'intercultura, della bellezza della vita. A partire dalla testimonianza del dott. Cesare Finzi, rivolto principalmente a tutte le classi terze (Gulli) e quinte (Don Milani), saranno al centro delle iniziative in aula racconti e libri illustrati, che vedono protagonisti della guerra i bambini e i ragazzi, con i propri sentimenti, con l'incontenibile voglia di conoscere, la disperata tenacia a vivere e a sopravvivere in un mondo sconvolto e distrutto dagli adulti: i bambini delle classi terze, quarte e quinte raccoglieranno persino testimonianze sulla guerra per ri-elaborare un originale "Libro della memo-ria" (Don Milani e Gulli), mentre una riflessione guidata, avviata dalla visione del cartone animato 'Dragon trainer 1', attraverso un prodotto multimediale, accompagnerà i piccoli a comprendere che 'L'altro è diverso, non è un nemico' (Gulli). Non mancheranno approfondimenti su alcuni versi toccanti di Primo Levi, produ-zioni di grafico-pittoriche, saggi di riscritture e cartelloni, proiezioni di stimolanti lungometraggi quali 'La la-dra di libri', 'Perlasca' e 'Nicholas Winton' per le classi quarte, de 'La vita è bella' e 'Il bambino con il pigiama a righe' nelle quinte (Don Milani).

LA SCUOLA MEDIA 'EUROPA', quindi, ritorna con spessore e coinvolgimento emotivo sulla vicenda biografica di Anna Frank, la tredicenne ebrea di Amsterdam che nel suo Diario ha tratteggiato la segregazione della sua famiglia, tentando di sfuggire alla morte nel campo di Bergen Belsen. Sulla sua vicenda biografica finita tragicamente si è pensato di ripercorrere la 'grande storia', considerando in particolare quelle pagine del Diario che hanno emozionato a tal punto da far vivere il racconto privato di un’esperienza di grande ricchez-za umana quale spontanea fiducia «nell’intima bontà dell’uomo». Sono state scelte così quelle pagine che più hanno emozionato i ragazzi, permettendo loro di filtrarle attra-verso anche l’immaginazione e di presentarle alla cittadinanza nel Comprensivo 'Europa' il 23 gennaio 2015, in un percorso didattico-documentario (che ha come fonte primaria la documentazione reperita a scopo di-dattico dal sito www.annefrank.org/it/) dal titolo 'Una bambina e la guerra. Il Diario di Anna Frank'.

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Sono molto attese dai ragazzi le testimonianze e i dibattiti, come quelli coinvolgenti di Chiara Cenni e Ni-cola Oriani, il documentario su 'I bombardamenti e la liberazione di Faenza', a cura di Enzo Casadio, proiezioni di pellicole drammatiche ma emotivamente intense attese il giorno 27 gennaio ('Train de Vie. Un treno per vivere' in tutte le classi prime, 'Vento di primavera' in tutte le seconde e 'Napola. I ragazzi del Reich' nelle terze), a stimolare nei giovani ragazzi il coraggio di andare avanti, di lottare nonché di capire la catastrofe dell'odio e della guerra nella prospettiva di una pace possibile.

UN'ULTERIORE OCCASIONE DI CRESCITA UMANA E CULTURALE e di avvicinamento dei giovani alla Storia della propria città è quella dell’imponente catalogazione on-line che sarà realizzata entro marzo 2015 da un gruppo di alunni che guido personalmente nell'ambito di un progetto di rete mira-to ad abbattere gli insuccessi scolastici e a ridurre la dispersione scolastica. Si tratta del Progetto nazionale “Pietre della Memoria”, messo a punto dal Comitato regionale umbro dell’-ANMIG (Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi di Guerra e Fondazione - Comitato Regionale del-l’Emilia Romagna): un meticoloso censimento, una puntuale catalogazione di fotografie e informazioni che permetterà di rendere pubblici i dati e le iscrizioni relativi a monumenti, lapidi, lastre commemorative, steli e cippi che ricordano prima e seconda guerra mondiale e guerra di Liberazione della città di Faenza nel 70mo anniversario. Faenza emerge già oggi nello scacchiere nazionale grazie al contributo che la Scuola Media “Europa” ha dato nella prima edizione dell'a.s. 2013-14, un considerevole apporto al recupero della memoria storica: sono state, infatti, fotografate, censite e catalogate 33 testimonianze di Faenza. La raccolta di testimonianze orali e documentali favorisce così, attraverso la ricerca storica, i contatti inter-generazionali con protagonisti della storia d’Italia anche all’interno delle famiglie. È una gran bella espe-rienza. Le ambizioni già ampiamente soddisfatte, sia in termini di documenti acquisiti e di conoscenze che di consapevolezze, sono volte a sviluppare la cultura della pace e dell’accettazione delle diversità culturali. Hanno un ruolo di primo piano le nuove tecnologie, le più semplici e immediate a disposizione dei giova-ni, cellulari in primis, per mettere a punto così una scrupolosa catalogazione informatica, già compiutamen-te individuabile on-line (www.pietredellamemoria.it).

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UN VIAGGIO NELLA MEMORIA

“Ogni uomo civile è tenuto a sapere che Auschwitz è esistito. Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” Primo Levi

a cura di Maria Saragoni

Dal 29 aprile al 4 maggio 2014 la classe terza B della scuola secondaria di primo grado Strocchi accompa-gnata da Silvia Nannini, Clara Utili e da Maria Saragoni ha partecipato al viaggio della memoria promosso e organizzato dal Comitato per le onoranze ai caduti civili di Crespino del Lamone e Fantino in collaborazione con le amministrazioni locali di Marradi, Palazzuolo sul Senio, Modigliana e Tredozio e la partecipazione degli istituti comprensivi “D, Campana”, “S. Lega”, e “Carchidio-Strocchi”. Tanti ragazzi delle scuole elencate e tanti adulti di tutte le età, i loro insegnanti, le autorità civili dei Comuni hanno fatto insieme un viaggio che aveva come obiettivo la conoscenza dei campi di sterminio e la trasmissio-ne di un impegno di memoria per quanto in quei campi è accaduto. E' stato un viaggio di conoscenza perché il richiamo per gli educatori è quello della frase in apertura di Primo Levi e di profonde emozioni, di coinvolgimento e di incontro di persone e di storie. Il viaggio si è snodato attraverso le strade della Repubblica Ceca, della Polonia, dell'Austria sotto il sole o la pioggia leggera della primavera, tra i campi gialli di colza, attraversando piccoli villaggi, periferie, avendo sul-lo sfondo il profilo di città moderne, di boschi e colline. Abbiamo visitato Terezin, Auschwitz, Birkenau, Mautahausen, Gusen. Quello che vorremmo riportare di quella esperienza non è la descrizione di quanto visto, ma comunicare cosa ha costituito la forza di quei momenti. L'aspetto più significativo è stata la condivisione dell'esperienza, sono stati gli incontri. Le guide che abbiamo incontrato hanno saputo accoglierci, guidarci, dare informazioni, hanno saputo darci il tempo, ci hanno dato il silenzio per riflettere, ascoltare le voci che venivano da un mondo lontano, il mondo della vita di tanti esse-ri umani, famiglie, i cui oggetti della vita quotidiana ammucchiati ci hanno restituito l'idea di fratellanza, ci hanno parlato di piccoli gesti che fanno la vita. Fondamentale è stata la guida di Tiziano Lanzini che ci ha dato informazioni sui campi visitati, ci ha parlato del lavoro di ricerca storica svolta dall'ANED di Firenze per ricostruire la storia dei deportati dalla provincia , ci ha raccontato storie di persone che hanno acquisito agli occhi dei ragazzi concretezza e spessore. Due aspetti emergono dall'esperienza del viaggio: - la vastità e la grandiosità dell'organizzazione del progetto di sterminio: lo sguardo si perde nelle file di barac-che allineate, il percorso di visita di si snoda attraverso gli ambienti dei campi predisposti e pensati per lo ster-minio di massa; i numeri dei morti, della capacità delle camere a gas - il ritrovare la vicinanza e la fratellanza della vita dei milioni di morti nelle montagne di oggetti: occhiali, stoviglie, capi di abbigliamento che ci prendono alla gola, nelle fotografie che tappezzano pareti intere e ci trasmettono la vita, i sentimenti di donne, uomini, bambini, le migliaia di pagine che raccolgono i loro nomi L'essenza dell'esperienza è negli incontri, nel ritrovare negli sguardo dei compagni, degli anziani che compon-gono il gruppo lo stesso smarrimento, nel condividere i sentimenti, nell'incontrare i testimoni.

Un momento intenso è stato quando al tramonto, nella radura di un bosco cresciuto a Birkenau dopo la fine della guerra, don Bruno Malavolti, nel freddo del pomeriggio passato a percorrere il campo, i lunghissimi corridoi tra le baracche, i sentieri nel bosco punteggiati dai cippi alla memoria di uccisioni di massa, ha invi-tato ad unirci in un girotondo e in una preghiera per tutti coloro che sono morti nei campi di sterminio e per invocare una pace che non permetta mai più il ripetersi di tanto dolore. Un altro momento significativo è sta-to quando a Gusen un testimone, Corrado Frassineti, ha condiviso la sua storia con il gruppo. Figlio di un deportato politico di Firenze (treno dell’ 8 marzo 1944) fu strappato alle braccia del padre che è morto a Gusen. La voce dell'anziano signore che nel 1944 aveva 5 anni nel ricordare la figura del padre Dillio Cinelli (di cui non porta il cognome perché il padre, quando lui nacque, era latitante), era rotta dalla commozione quando raccontava della sua ricerca e quando ha voluto lasciare a tutti la testimonianza sulla vita e la fine di un uomo che “amava la libertà”.

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Cosa ha lasciato questa esperienza, questo viaggio ai ragazzi quattordicenni che abbiamo visto coinvolti e at-tenti? Cosa hanno riportato a casa, cosa hanno conservato dentro di loro? Qual è l'importanza didattica ed educativa della visita ai luoghi della memoria? Come far sì che il vedere luo-ghi, oggetti, rovine sia legato al conoscere i fatti, al comprendere, al riflettere e a trarne insegnamento per le nostre azioni? Obiettivo prioritario sono la diffusione tra i giovani di una cultura dei diritti umani e della cittadinanza, fon-data sull'inclusione e sulla convivenza delle diversità, contro ogni razzismo e forma di discriminazione nei confronti di etnie, culture e religioni diverse e la promozione della riflessione sul problema della scelta di fronte al male, della costruzione del pregiudizio, delle nuove discriminazioni, del rapporto tra il singolo e la massa. Il viaggio è una grande occasione educativa e questo viaggio, di persone diverse, non solo di scolaresche ha rappresentato un momento di crescita collettiva e di condivisione importante. (M. Saragoni) “ Molto ho letto e visto attraverso film, documentari sulla shoah, ma vedere con i propri occhi, sentire con le proprie orecchie ed ascoltare con il cuore camminando dentro la storia è stata tutta un'altra cosa. Mentre sali-vo le scale scavate dai tanti piedi che le hanno salite, camminavo fra le baracche, ho sentito la potenza del ma-le, della disumanità e il dolore di una umanità percossa, ridotta allo stremo. Non amo fare foto, tanto meno in luoghi di profondo dolore dai quali ancora lo si sente trasudare dai muri, dalle assi di legno, dalla polvere del suolo...ma ho pensato ai miei figli, ai miei alunni rimasti a casa e così per dovere di documentazione ho fotografato...e al ritorno ho raccontato, ho fatto vedere, ho riflettuto ed elabo-rato con loro. Non volava una mosca: i ragazzi in silenzio, in ascolto, provati, ma desiderosi di sapere e di comprendere. Concludo con la frase con la quale un mio alunno ha salutato i suoi genitori al rientro dal viaggi: “non sono più lo stesso ragazzo che è partito cinque giorni fa”. (C. Utili) “Primo Levi è già stato citato, ma il pensiero che mi ha spinto personalmente ad impegnarmi per concretiz-zare il viaggio è la conclusione della poesia "Se questo è un uomo" nella quale Levi dice di meditare su quello che ha evocato, perché quello che ha evocato è quello che è successo ed invita a fare memoria di ciò che è stato. Per il popolo ebraico "fare memoria" è qualche cosa in più di una sere di ricordi, é una celebrazione: il nostro viaggio della memoria questo è stato.” ( S. Nannini) A testimonianza della esperienza dei ragazzi le parole di Mirko Sangiorgi inviate alla prof.ssa Nannini: “La visita, secondo me, più forte è stata la visita al campo di Mauthausen .... Quella mattina era il mio com-pleanno, ero emozionato e felice di passarlo con gli amici, prof e genitori in gita. La mattina si presentava con un cielo grigio e aria fredda. Appena entrati a Mauthausen, un vento freddo ci ha obbligato a metterci i giub-botti, il cielo si è fatto ancora più grigio e così anche l'anima e l'umore delle persone che, vedendo e immagi-nando la crudeltà del demone del potere sull'uomo, hanno sentito profondamente questa visita. Il maltempo ha reso visibile la sofferenza e le lacrime di persone che, per noi che vediamo solo foto, non sono sentite pienamente. Prof, grazie x questa esperienza! “

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Il messaggio di Primo Levi, il chimico che divenne scrittore di Mauro Lombardi (Associazione SCIENZaFAENZA)

L’opera di Primo Levi (1919-1987) è raccolta in una decina di libri, tradotti in molte lingue, facili da reperire e da leggere grazie al loro linguaggio che fa dell’autore uno degli scrittori italiani più conosciuti ed apprezzati nel panorama mondiale del XX secolo. La memoria e la scrittura di Primo Levi, deportato reduce dal Lager, lo hanno reso uno dei testimoni più im-portanti delle violenze e degli orrori causati dal nazifascismo: la guerra e la tragedia della Shoah. “La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare: è il testa-mento che ci ha lasciato Primo Levi.” (Mario Rigoni Stern) Leggere Primo Levi nel Giorno della Memoria, a 70 anni esatti dal 27 Gennaio 1945 (data della liberazione di Auschwitz), significa ricordare l’esplicito messaggio lasciato ai giovani e ai posteri: quanto sia importante capi-re e quanto sia difficile ricordare il breve passo che separa la discriminazione dell’Altro dalla catastrofe dell’O-locausto. La distanza offerta dal corso della storia ha permesso agli studiosi l’analisi dei fatti accaduti che evidenziano l’annientamento sistematico e criminale di diversi milioni di vite umane progettato e realizzato dai nazifascisti. "In questa nostra epoca fragorosa e cartacea, piena di propaganda aperta e di suggestioni occulte, di retorica macchinale, di compromessi, di scandali e di stanchezza, la voce della verità, anziché perdersi, acquista un tim-bro nuovo, un risalto più nitido." (P. Levi, Il tempo delle Svastiche, Il Giornale dei Genitori, 1960) Levi non è un profeta illuminato, ma un saggio osservatore. Un uomo di pace, uno studioso sensibile e razio-nale della Natura e dell’Uomo, le cui parole purtroppo rimangono attuali confermando il valore del suo avver-timento. I tempi cambiano e dobbiamo prenderne atto, ma continuare a riflettere con spirito critico e vigilare sul signi-ficato e sui confini del nostro essere uomini rispettando gli altri, combattendo ogni forma di discriminazione e mantenendo il buonsenso fra tradizioni e progresso. "Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silen-zio forzato dei molti." (P. Levi, Un passato che credevamo non dovesse tornare più, Corriere della Sera, 1974) E questo nostro è il tempo di Internet, dell’informazione libera, istantanea e globale, ma anche l’epoca del fa-natismo religioso, dell’omofobia, di nuove forme di analfabetismo, del negazionismo e dei furti delle scritte “Arbeit macht frei” dai memoriali di Aushwitz e Dachau,

«Shemà!» (Ricorda!) Il primo Lager venne aperto a pochi km da Monaco il 22 marzo 1933, appena un mese do-po la presa del potere di Hitler. Dachau fu il modello per migliaia di altre strutture dell’orrore. È lì, nel cuore dell’Europa, che le SS sperimentarono e impararono le tecniche di tortura, deportarono uomini, donne e bam-bini, sfruttarono e sterminarono innocenti prima con il lavoro e poi con le camere a gas e gli inceneritori. È in un’epoca moderna e in un paese civile che degli uomini condussero esperimenti disumani e altre mostruosità su persone indifese. A Dachau, nei 12 anni in cui i nazisti furono al governo, vennero rinchiuse, tormentate e annientate persone “non gradite” al potere: oppositori politici e religiosi, criminali, minoranze etiche e religio-se, omosessuali, prigionieri di guerra stranieri, mendicanti e senzatetto. Il razzismo e la xenofobia emergono nei periodi di crisi economica e culturale, quando le disuguaglianze e le diversità evolvono in tensione politica e sociale. Nazioni avanzate nelle scienza e nella tecnologia, patria di illu-stri storici, filosofi, poeti e musicisti, hanno tollerato manifestazioni di ignoranza e di ingiustizia quali roghi dei libri e leggi razziali.

La discriminazione con forme più grezze o più sottili è ancora presente in Europa, non possiamo negarla. La riscontriamo ogni giorno anche in Italia, nelle città, nelle famiglie, nelle scuole, sui media e questo ci deve fare riflettere e ci dovrebbe preoccupare. Dobbiamo temere famiglie che crescono il corpo dei figli e scuole che insegnano e sviluppano le loro menti, ma non educano il loro spirito.

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Come chimico Primo Levi è stato un grande comunicatore riuscendo ad estrarre la filosofia di questa scienza e a cristallizzarla in frasi che sono diventate citazioni importanti e comuni anche negli pubblicazioni scientifi-che internazionali.

Ha dimostrato che è possibile descrive un esperimento di laboratorio o un processo industriale con tale chia-rezza e semplicità da permettere a tutti di capire e apprezzare implicazioni e significati più profondi. Ha sapu-to portare nella letteratura metafore scientifiche e non a caso nel 2006 Il sistema periodico si è classificato in In-ghilterra come “miglior libro scientifico di sempre” pur essendo una raccolta piuttosto eterogenea di racconti.

Per Levi chi ama la scienza deve tener conto dalle implicazioni etiche e morali delle sue applicazioni nella tec-nica: le inviolabili leggi naturali che fissano i limiti dei fenomeni si contrappongono alle leggi che l’uomo deve imporsi per regolare le proprie attività, leggi che spesso infrange con gravi conseguenze.

A metà degli anni ’80, quando Levi era già un sessantenne, imparò ad usare il Macintosh, uno dei primi perso-nal computer che lo conquistarono e lo rapirono. Evidenziò come i word processor cambiavano il modo di scrivere e certamente oggi ci farebbe notare i limiti delle comunicazioni della comunità on-line, fatta di estra-nei che interagiscono virtualmente spesso in forma anonima, che fanno affermazioni che possono essere cambiate, ma che non si chiamano bugie, un’utenza che arranca nell’incapacità di leggere e capire bene l’in-glese o di sfruttare pienamente le capacità degli strumenti informatici.

La passione di Levi per la chimica, scienza che lega la struttura molecolare alle proprietà emergenti della mate-ria, rispecchia il suo rapporto con le parole, cercate, scelte, limate e assemblate così che siano per il lettore u-no stimolo continuo a fermarsi e a riflettere in modo personale, un richiamo ad approfondire, a ragionare, a scoprire citazioni e collegamenti. Il piacere di leggere Primo Levi, che è stato anche un grande traduttore, sta in una scrittura sospesa, meditata e rielaborata per anni prima della pubblicazione che soddisfa tutti i lettori per la differente profondità con cui può essere interpretata.

Primo Levi non si sentiva un intellettuale, ma lo è stato e per molti, quest’uomo piccolo, timido e modesto, è diventato un personaggio carismatico, un “santo laico”. Levi voleva seguire la sua strada, andare controcor-rente, ed essere tuttavia pienamente compreso. Si è definito “anfibio o centauro”, ibrido di due nature separa-te forse da una profonda frattura esistenziale che ha sempre tentato di contenere (fino a quando ha potuto) vivendo un non trascurabile tormento interiore.

Dall’esterno non si vedono contrasti, ma atteggiamenti complementari, forti sentimenti imbrigliati con autodi-sciplina dalla ragione, con coraggio e grande onestà intellettuale.

Levi è stato uomo di Pace e partigiano; italiano e laico; ebreo e non sionista; ateo che leggeva la Bibbia; antifa-scista, senza tessere di partito, ma stimato dai comuni-sti; direttore si fabbrica affascinato dal lavoro manuale e degli operai; amante di scienza e di lettere; uomo semplice, umile ma orgoglioso; curioso dell’Umanità e della Natura; chimico sconosciuto e scrittore famoso; conoscitore di parole e di molecole, che amava Dante e i classici e usava uno dei primi personal computer; uomo che amava ascoltare e aveva bisogno di essere ascoltato; anima tormentata che infondeva serenità negli altri.

Usare la dialettica non significa non prendere una po-sizione definita o eccedere nella prudenza, ma esplora-re le tonalità della “zona grigia” ammettendo che pos-sano coesistervi il nero ed il bianco.

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Ecco perché per cercare di capire Primo Levi non possiamo limitarci alle celebri e fondamentali opere nelle quali è osservatore e cronista degli orrori di cui è stato testimone e vittima involontaria, da Se questo è un uomo (1946) a I sommersi e i salvati (1986) passando per La tregua (1962), Lilìt (1981) e Se non ora, quando? (1982). Per cercare l’uomo dietro allo scrittore dobbiamo provare il piacere di leggere La chiave a Stella (1978) dove la passione e l’orgoglio per il lavoro ben fatto diventano per la prima volta oggetto della lette-ratura. Ma soprattutto leggiamo Il sistema periodico (1975), l’opera rivelatrice che lo rese uno scrittore di fa-ma internazionale, un libro trascurato da molti, specie in Italia, o sottovalutato come i suoi racconti L’al-trui mestiere (1985), Storie naturali (1967) e Vizio di Forma (1971) che gettano un ponte fra scienza e letteratu-ra e che solo una cultura mutilata, afflitta da notevole ignoranza scientifica, può classificare come fanta-scienza.

Chi cerca di entrare nella sfera emotiva di Levi, celata intenzionalmente dal suo carattere estremamente riservato, scopre che la sua scrittura è un muro. Le riflessioni delle persone che hanno conosciuto Levi, l’analisi accurata della sua opera, ma soprattutto la sua poesia raccolta in Ad ora incerta (1984) e la sua anto-logia personale La ricerca delle radici (1981) evidenziano i conflitti fra la mente e l’anima: la gestione degli affetti e la depressione antecedente al trauma dell’esperienza nel Lager. Alla sua morte gli inediti e la corri-spondenza privata di Primo Levi, rimangono chiusi nel suo studio e forse sono distrutti dai famigliari, an-ch’essi chiusi e distrutti dopo quella lunga e misteriosa caduta iniziata con grave crisi depressiva e finita alla base della tromba delle scale del palazzo che lo ha visto nascere e morire nella sua Torino. Non saranno speculazioni sulle origini e l’evoluzione delle sue tensioni interiori a giustificare o a rendere più accettabile la morte di Primo Levi. Dobbiamo mantenere viva la sua opera, leggendo le sue parole, ricordando i milioni di deportati uccisi, ma soprattutto combattendo perché questo e altri orrori non si ripetano mai più.

Ricevere il testimone senza aver vissuto all’epoca dei fatti significa non generalizzare la violenza, non giu-stificarla mai come tratto della natura umana e ricordare che l’indifferenza rende complici e che tutte le guerre sono sbagliate. Ricordare nel presente che la dittatura e la guerra sono il nostro passato e non de-vono diventare il nostro futuro. E soprattutto che il nostro futuro sono i giovani.

"È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; [è poco probabile che si verifichino di nuovo, si-multaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori]. La violenza «utile» o «inutile», è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato […]. Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la di-chiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo reli-gioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incanta-tori, da quelli che dicono e scrivono «belle parole» non sostenute da buone ragioni." (P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, 1986).

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LIBRI SULLA SHOAH E SUL MONDO E LA CULTURA EBRAICI Acquisiti dalla Biblioteca Comunale di Faenza nel corso del 2014

Aharon Appelfeld, Fiori nelle tenebre, Parma, Guanda, 2013, 302 p. Nell'Ucraina occupata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale, una donna ebrea, in fuga, decide di affidare il fi-glio undicenne a un'amica, prostituta in un bordello, per salvarlo dalla furia delle persecuzioni. Il piccolo Hugo si trova così a vivere con Marianne, una ragazza infelice, costretta dalla barbarie degli uomini a un mestiere orribile. Giorno do-po giorno, notte dopo notte, chiuso nell'armadio nella camera di lei, Hugo assiste allo sfacelo di un'esistenza bruciata. Ma la ragazza, quando non è ubriaca o distrutta dal disgusto per quello che è costretta a fare ogni giorno, sviluppa una sorta di affetto verso quel ragazzino, anima persa come lei, e tra i due si instaura uno strano, complesso rapporto affetti-vo. Marianne si affeziona al ragazzino, capace di farla ridere in mezzo all'orrore. L'arrivo dell'esercito russo segnerà la tappa finale di una tragedia annunciata, perché Marianne sarà accusata di collaborazionismo per aver accolto nel suo letto gli occupanti nazisti... Ronald H. Balson, Volevo solo averti accanto, Milano,Garzanti, 2014,420 p. È la sera della prima al grande teatro dell'Opera di Chicago. Morbide stole e sete frusciatiti si scostano per far largo al vecchio Elliot Rosenweig, il più ricco e importante mecenate della città. All'improvviso fra la folla appare un uomo an-ziano in uno smoking rattoppato. Tra le mani stringe convulsamente una pistola che punta alla testa di Rosenweig. La voce trema per la rabbia, ma lo sguardo è risoluto quando lo accusa di essere in realtà Otto Piatek, il macellaio di Za-mosc, feroce criminale nazista. Ma nessuno sparo riecheggia tra i cristalli e gli specchi del sontuoso atrio. E Ben Solo-mon, un ebreo scampato ai campi di sterminio, viene atterrato dalla sicurezza e trascinato in prigione. Nessuno crede alle sue accuse, nessuno vuole ascoltarlo. Tranne Catherine Lockhart, una giovane avvocatessa alle prese con una scelta difficile della sua vita. Catherine conosce l'olocausto esclusivamente dai libri di scuola, eppure solo lei riesce a leggere la forza della verità negli occhi velati di Ben, solo lei è disposta ad ascoltare la sua storia. Una storia che la porta nella fred-da e ventosa Polonia degli anni Trenta, a un bambino tedesco tremante e con le scarpe di cartone che viene accolto e curato come un figlio nella ricca casa della famiglia ebrea dei Solomon. Ma anche agli occhi ambrati di una ragazza co-raggiosa e a una storia di amore, amicizia e gelosia che affonda le radici del suo segreto in un passato tragico. Franco Bonilauri e Vincenza Maugeri, Sinagoghe in Italia. Guida ai luoghi del culto e della tradizone ebraica, Fidenza, Mattioli 1885, 2014, 190 p. Martin Buber, Rinascimento ebraico. Scritti sull'ebraismo e sul sionismo (1899-1923), Milano, Mondadori, 201-3, LXII, 466 p. Riccardo Calimani, Storia degli ebrei italiani, Vol. 1: Dalle origini al 15. secolo, Milano, Mondadori, 2013, 631 p. La comunità ebraica a Lugo di Romagna, Lugo, Anastatica, Walberti 1795, 2014, 134 p. Gioele Dix, Quando tutto questo sarà finito : storia della mia famiglia perseguitata dalle leggi razziali, Milano, Mondadori, 2014, 151 p. Conosciuto dal grande pubblico come comico e attore, Gioele Dix è un attento studioso delle proprie radici ebraiche. Ma mai fino a ora aveva affrontato la storia più tragica e toccante della sua famiglia: di suo padre, scampato ai campi di concentramento, e di sua nonna, vittima dell'Olocausto. Dopo aver a lungo intervistato il padre su questa dolorosa vicenda, Dix racconta in questo libro una sua storia della Shoah, col tocco di un autore che sa come dare levità anche alla più indicibile delle tragedie. Bo Lidegaard, Il popolo che disse no. La storia mai raccontata di come una nazione sfidò Hitler e salvò i suoi compatrioti ebrei, Milano, Garzanti, 2014, 452 p. La Danimarca occupata dalla truppe naziste è riuscita a fare qualco-sa che gli altri paesi occidentali nemmeno hanno tentato. Venuti a conoscenza dei piani di un imminente rastrellamento dell'intera comunità ebraica del paese, i danesi hanno detto no. Per quattordici giorni gli ebrei danesi sono stati assistiti, nascosti e protetti da persone comuni che spontaneamente aiutavano i propri compatrioti diventati improvvisamente dei rifugiati. Su 7000 ebrei, 6500 riuscirono a salvarsi dai campi di concentramento raggiungendo la Svezia con ogni tipo di imbarcazione. Il paese che disse no racconta la storia di un esodo straordinario. Dal 26 settembre al 9 ottobre 1943, il libro descrive, giorno dopo giorno, due settimane in cui un intero popolo ha compiuto la più normale e allo stesso tem-po eroica delle azioni: salvare i propri fratelli.

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Anouk Markovits, Che sia cancellato il suo nome. Romanzo, Milano, Mondadori, 2014, 245 p. Romania, 194-4, la famiglia della piccola Mila viene brutalmente uccisa e la bimba viene adottata dal rabbino Zalman. Mila cresce secondo i rigidi dettami della religione chassidica assieme alla sorellastra coetanea Atara. Ormai adulte, le due ragazze si trasferiscono in America, dove però le loro strade sono destinate a separarsi. Mila infatti sposerà un uomo profon-damente religioso e costruirà la propria vita nella comunità chassidica di Brooklyn, mentre Atara sceglierà di abban-donare ogni forma di ortodossia per un'esistenza fondata sulla libertà emotiva e intellettuale. Che sia cancellato il tuo nome è una saga familiare, un'analisi dell'animo umano, dell'eterno conflitto tra il bisogno di appartenenza a una co-munità e la spinta altrettanto forte verso l'individualità e l'indipendenza. Roberto Matatia, I vicini scomodi. Storia di un ebreo di provincia, di sua moglie e dei suoi tre figli negli anni del fascismo, Firenze, Giuntina, 2014 È l'estate del 1938. Nissim è un ebreo greco, da pochi anni trasferitosi in Italia. Le sue innate capacità gli hanno con-cesso di raggiungere la tranquillità economica. L'apice del suo successo è una casa di mattoni rossi, che sorge nella via più elegante di Riccione, di fronte alla spiaggia e, soprattutto, a pochi metri dalla villa dell'uomo più inavvicinabile dell'epoca: il Duce. Mentre l'estate prosegue fra feste, ricevimenti, vita di spiaggia, l'atmosfera, per gli ebrei, comincia a farsi pesante. Una vicinanza così evidente di una famiglia di ebrei vicino alla residenza di Mussolini e della sua fami-glia è decisamente inopportuna. Così, sempre più insistenti iniziano le pressioni degli sgherri del regime sul povero Nissim affinché venda la villa. Resiste disperatamente, finché le leggi razziali non cadono, come una mannaia, anche su Nissim. Viene espulso dall'Italia, la famiglia disgregata, i suoi tre figli allontanati dalle scuole pubbliche e costretti a trasferirsi a Bologna, la moglie, Matilde, precipitata in uno stato di depressione profonda. I beni di famiglia vengono affidati alla gestione di un curatore, il quale, a seguito di violente ritorsioni, viene costretto a cedere, per pochi soldi, la famosa e sofferta villa. Intanto, Nissim riesce a rientrare, clandestinamente, in Italia dal suo esilio di Corfù, trovan-do un rifugio sicuro nella periferia bolognese. Prosegue, tra mille sacrifici, la vita di questa famiglia: la scuola, gli in-contri furtivi, l'adolescenza coi suoi turbamenti, il primo amore di Camelia, la figlia sedicenne. Camelia ci ha lasciato, come testimonianza, delle lettere, giunte sino a noi in modo fortunoso. Pur vivendo in un mondo sconvolto dall'odio e dai divieti verso la sua "razza", Camelia ci racconta i suoi sogni e i suoi progetti, ma anche il suo tormento per la famiglia disgregata, sino a giungere all'ultima lettera d'addio, scritta al suo amato, pochi istanti prima di essere portata via, per quello che sarà il suo ultimo viaggio. Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, Jan Karski. L'uomo che scoprì l'olocausto, Milano : Rizzoli Lizard, 2014, 142 p, fumetti. Jan Karski era l'ufficiale della Resistenza polacca che, nel 1942-43, dopo pericolose vicissitudini e rocamboleschi attraversamenti di confini e linee di fuoco, portò al presidente americano Roosevelt e al ministro degli Esteri britannico Eden le prove dello sterminio degli ebrei, ma fu ignorato e respinto con la risposta che la priorità consisteva nel battere militarmente la Germania, non nel fornire aiuto al popolo ebraico. In questa biografia, firmata da Rizzo e Bonaccorso, i temi della guerra, dell'Olocausto e di un Paese occupato si intrecciano con la storia di un uomo che ancora oggi incarna l'accusa nei confronti di chi - pur sapendo - non volle credere, e restò indifferente di fronte al più agghiacciante abominio della storia. Richard Sennett, Lo straniero. Due saggi sull'esilio, Milano, Feltrinelli, 2014 108 p. Richard Sennett ha tra-scorso la sua vita intellettuale a esplorare la maniera in cui gli esseri umani vivono nelle città. In questi due saggi inda-ga su due delle più grandi città del mondo in un momento cruciale della loro storia per riflettere sulla condizione del-l'esule nella sua dimensione sia geografica che psichica. Ci conduce nel Ghetto ebraico della Venezia rinascimentale, dove la condizione di forestiero imposta dallo stato diede vita a una ricca identità comunitaria. Ci fa scoprire poi la Parigi del diciannovesimo secolo quale autentica calamita per gli esuli politici (categoria di cui il russo Alexander Her-zen fu un esempio illustre in Europa), una città dove l'esperienza del dislocamento finì per filtrare nel mondo artisti-co e culturale. Proprio perché, come dice Sennett, "lo straniero deve riuscire ad affrontare la propria condizione di sradicato in modo creativo, e deve imparare a elaborare i materiali che costituiscono l'identità alla maniera in cui un artista lavora i fatti più banali trasformandoli in cose da dipingere. Ognuno deve costruire se stesso". Guido Vitiello, Il testimone immaginario. Auschwitz, il cinema e la cultura pop, S. Maria C.V., Ipermedium libri, 2011 196 p.

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Sindaco

Presidente del Consiglio comunale

Vice Sindaco

Assessore alla cultura e istruzione

Assessore alla Pace

invitano le cittadine e i cittadini a partecipare