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Hal Far, Malta, Comunità Europea. A 100 km dalle coste italiane le carceri per extracomunitari, mascherate da centri d'accoglienza, non riescono a fare fronte al flusso di arrivi di nuovi profughi, mentre i CRT italiani sono momentaneamente più vuoti. È il risultato della politica dei respingimenti adottata recentemente dall'Italia: nonostante sia in palese violazione del diritto e delle convenzioni internazionali; nonostante molti dei respinti probabilmente sarebbero riconosciuti come rifugiati, se si desse loro la possibilità di richiedere asilo; nonostante il dramma delle carrette del mare, con il loro carico di umanità bisognosa che arriva da un viaggio drammatico, pericoloso e incerto. Alle persone rinchiuse per mesi nel centro di accoglienza di Hal Far, sospese tra la Paura e la Speranza, dedicheremo una radio, in collaborazione con Peace Lab. Per informarle e per intrattenerle. Per farle sentire meno sole.

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«Lo straniero, al quale sia impeditonel suo paese l'effettivo esercizio dellelibertà democratiche garantite dallaCostituzione italiana, ha diritto d'asilonel territorio della Repubblica secondole condizioni stabilite dalla legge».

ART. 10 - COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

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Xmas Project“

Xmas Project è il regalo che vogliamo farci a Natale. E che abbiamo scelto difarci per tutti i Natali. Ci siamo regalati un’idea, la speranza e il coraggio difarla diventare realtà. Le abbiamo dato un nome, Xmas Project, l’abbiamofatta diventare Associazione, le abbiamo consegnato un compito da portare atermine; faremo un libro, diverso ogni anno. Tutti coloro che desiderano farsiquesto regalo: sono loro il Xmas Project.

L’idea nasce dalla necessità di dare una soluzione a un vecchio disagio, a unbisogno che non aveva ancora trovato risposta: il disagio del regalo inutile,della forma che ha perso significato, del piacere di donare divenuto sterile.

Tutti noi facciamo regali diversi, in occasione del Natale: regali colmi di affetto,regali innamorati, regali pazientemente cercati, regali che non potevamo nonfare, regali riciclati, regali “socialmente corretti”, regali di rappresentanza,regali frettolosi. Mille regali. Tanti soldi. Un vecchio e trito discorso. Che silega a un’altra, solita, considerazione: l’inimmaginabile divario fra il tantoche noi sprechiamo e il poco che altri non hanno.

Xmas Project si sostituisce al regalo di Natale, diventa dono, si fa libro chepropone un’idea e che contemporaneamente la realizza. Perché il libro raccontadi se stesso, del progetto di aiuto che, con i suoi proventi, riesce a realizzaree raccoglie i volti, le frasi, i disegni, le speranze di tutti coloro che hannocontribuito a esso.

Puoi scegliere anche tu di regalare e regalarti il Xmas Project, è molto facile:basta credere in un progetto di solidarietà; scegliere all’interno della tuacerchia di parenti, amici, conoscenti, clienti i destinatari di questo dono; quindiacquistare le copie del Librosolidale, alla cui realizzazione hai partecipato conun tuo segno, e contribuire così alla realizzazione del progetto, da un latofinanziandolo, dall’altro diffondendolo.

Milano, settembre 2001

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IndiceProgetto 2009: Onde radio ad Hal Far 5

Il budget 53

Noi, Xmas Project 2009 59

2001-2008: i nostri progetti 109

Xmas Project 2010: segnalateci i vostri progetti 114

Reportage fotografico realizzato da Francesco Giusti,in esclusiva per il Librosolidale 2009. Grazie Frank!

di guerra e di tormento dell’Africa e del medio oriente. Non c’èalcuna razionalità, se non la strumentalizzazione degli opportu-nisti, a giustificare la politica dei respingimenti. Così come non c’è umanità nel non accogliere con decenza que-ste persone. Esseri Umani che hanno abbandonato tutto (i fami-gliari, le case, i pochi averi) per affrontare un viaggio pericoloso,negli stenti e nell’incertezza. Esseri Umani ai quali dovremmofar sentire immediata la nostra solidarietà e la nostra vicinanza eche invece respingiamo come cani randagi o accogliamo instrutture fatiscenti. Per mesi, come avviene anche a Malta, li rin-chiudiamo in carceri improvvisate, dilatando ancora il limbo nelquale si trovano, costretti a galleggiare tra la Paura che vorreb-bero lasciarsi alle spalle e la Speranza di una vita migliore. A questi Esseri Umani, uomini donne e bambini, è dedicato ilXmas Project di quest’anno. Alla loro Paure e alle loro Speranzesono dedicate le vostre riflessioni e i vostri contributi in questolibro. A costruire una radio per dare loro informazioni, intratte-nimento, accoglienza saranno devoluti i fondi raccolti. Daquando esiste il Xmas Project questa è la cosa meno “concreta”che viene finanziata. Da quando esiste il Xmas Project questa èla cosa più sentita e doverosa che vogliamo fare. Buona lettura.

Buon Natale 2009.Molti grandi problemi della contemporaneità sono feno-meni conosciuti, per i quali esistono soluzioni, cure e spes-so anche risorse. Ciò che manca per affrontarli adeguata-mente è il consenso collettivo, la volontà politica, l’accordotra nazioni e popoli, la rinuncia all’avidità di pochi per unbenessere più diffuso. Mancano la capacità di uscire daschemi mentali precostituiti, la forza di trovare soluzioniinnovative, la lungimiranza politica di battersi per ideali evisioni di lungo periodo. L’immigrazione nei paesi svilup-pati dell’occidente è una di queste problematiche.È un fenomeno ineluttabile, perché sono i numeri e lalogica a dimostrare che questa immigrazione è necessaria,inevitabile e prevedibile. Necessaria alle nostre stessesocietà, non più fertili e incapaci di produrre forza lavoro.Inevitabile perché è nella natura dell’uomo fuggire daglistenti, dalla povertà, dalla mancanza di un futuro per col-tivare prospettive di crescita personali e famigliari. Preve-dibile perché la popolazione del terzo mondo crescerà aritmi esponenziali nei prossimi venti anni, mentre l’Euro-pa avrà bisogno di accogliere oltre 30 milioni di extraco-munitari nei prossimi 20 anni.Come reagiamo di fronte a questa prevedibile emergen-za? Come pianifichiamo l’accoglienza e l’integrazione, leuniche due parole che dovrebbero per logica e necessità,non per buonismo o terzomondismo, stare al centro dellacollettiva attenzione? Nel peggiore dei modi. Non soloper la carenza di risorse umane e finanziarie dedicate aquesta emergenza; non solo perché mancano pianifica-zione e omogeneità delle politiche; ma soprattutto per-ché qualcuno si ostina a mentire, a voler far credere che ilproblema si possa e si debba affrontare in altri modi.Negandolo. Arroccandosi in demagogica difesa dellenostre case, delle nostre scuole, del nostro lavoro. Nellapolitica, in TV e nelle fabbriche, nei condomini e nellescuole: ovunque c’è l’ottuso che si vanta di difendere l’i-dentità e la tradizione. Ovunque c’è il meschino checavalca la paura del diverso e alimenta le guerre tra pove-ri. Ovunque c’è l’interessato che si ricava il suo spazio dipotere e di consenso rappresentando gli istinti più bassidella natura umana.Ed è in questo contesto che sulle nostre coste o a pochichilometri da esse si consuma quotidianamente unoscandalo umanitario. Di fronte all’atroce sofferenza, allamanifesta precarietà, alla commuovente inoffensività diuomini donne e bambini che a bordo di una carretta,dopo aver lasciato tutto e rischiato l’impossibile bussanoalle nostre porte, l’Italia, come altri Paesi europei, riesce avoltare la testa da un’altra parte. Peggio: si dota di leggie regolamenti che l’autorizzano, in palese contraddizionecon tutte le convenzioni internazionali, a respingere que-sta gente, senza neanche tentare di riconoscere chi hadiritto all’asilo, di soccorrere che è in sofferenza. Nono-stante non sia certo a bordo dei barconi che la maggiorparte degli immigrati (sudamericani, asiatici, ucraini,rumeni) giunge nel nostro Paese; nonostante questa rottaestrema sia percorsa prevalentemente da profughi di zone

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Il progetto 2009

«Nel suo nuovo paese un rifugiato non porta con sé solo un fagotto di poche cose.

Einstein era un rifugiato.»

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42 milioni di persone in fuga nel mondo. L’80% si trova nei paesi in via di sviluppo

Sono 42 milioni, secondo il rapporto sta-tistico annuale dell’Alto Commissariatodel le Nazioni Unite per i Rifugiat i(UNHCR), - “Global Trends” - pubblicatooggi, le persone costrette alla fuga daguerre e persecuzioni alla fine del 2008.Questa cifra è dovuta ad un brusco ral-lentamento dei rimpatri e ad una mag-gior durata dei conflitti, risultante informe di esilio protratto. Il numero totalecomprende 16 milioni di rifugiati erichiedenti asilo e 26 milioni di sfollatiall’interno del proprio paese. Secondo il rapporto dell’UNHCR l’80%dei rifugiati del mondo si trova nei paesiin via di sviluppo, così come la stragran-de maggioranza degli sfollati - unapopolazione nei confronti della qualecresce l’impegno dell’UNHCR. Molte per-sone sono in esilio da anni senza la pro-spettiva di una soluzione.Sebbene la cifra totale di 42 milioni siaminore di 700 mila unità rispetto all’an-no precedente, i dati provvisori del 2009,non rappresentati nel rapporto, riflettonogià un mutamento di tendenza.«Nel 2009 abbiamo già assistito a un con-sistente movimento forzato di popolazio-ni, principalmente in Pakistan, Sri Lanka eSomalia», ha detto l’Alto CommissarioAntónio Guterres. «Se alcune forme difuga possono avere breve durata, altrepossono durare anni e perfino decenni inattesa di una soluzione. Sono diverse lesituazioni di popolazioni sradicate daormai molto tempo: in Colombia, Iraq,Repubblica Democratica del Congo eSomalia. Ciascuno di questi conflitti hainoltre generato rifugiati che hannooltrepassato le frontiere».Almeno 5,7 milioni di rifugiati vivono inun vero e proprio limbo. Si tratta di 29differenti gruppi composti da oltre 25mila rifugiati ciascuno che sono in esilioda più di cinque anni in 22 paesi senzache vi sia ancora per loro alcuna prospet-tiva per una soluzione immediata. Sono circa 2 milioni i rifugiati e gli sfollatiche sono potuti tornare a casa nel 2008,

un numero inferiore rispetto all’anno pre-cedente. Il ritorno a casa dei rifugiati (604mila rimpatriati) è calato del 17%, mentreper gli sfollati (1,4 milioni) il calo è statodel 34%. Il rimpatrio, tradizionalmenteconsiderata la soluzione durevole più dif-fusa per i rifugiati, ha raggiunto il secon-do livello più basso negli ultimi 15 anni.Questo declino riflette in parte il deterio-ramento delle condizioni di sicurezzaprincipalmente in Afghanistan e Sudan.«È un’indicazione che i rimpatri su vastascala del passato hanno subìto una dece-lerazione», ci dice il rapporto, con circa 11milioni di rifugiati tornati a casa negliultimi 10 anni - la maggior parte dei qualicon l’assistenza dell’UNHCR. Nel 2008l’UNHCR ha proposto a 121 mila personeil reinsediamento in paesi terzi e più di 67mila sono effettivamente partiti.L’UNHCR si occupa di 25 milioni di per-sone, fra i quali 14.4 milioni di sfollati -ben oltre i 13,7 dell’anno precedente - e10,5 milioni di rifugiati. Gli altri 4,7milioni di rifugiati sono palestinesi sottola competenza dell’UNRWA.Nel quadro del recente percorso di riformaumanitaria delle Nazioni Unite, l’UNHCRsi è trovato sempre più impegnato nel-l’assistenza agli sfollati, impegno che vaad aggiungersi a quello previsto dal man-dato tradizionale che prevede la prote-zione e l’assistenza ai rifugiati che hannoattraversato le frontiere internazionali.Dal 2005 il numero degli sfollati di cui sioccupa l’agenzia è più che raddoppiato.Secondo l’Internal Displacement Monito-ring Centre (IDMC), il numero totale disfollati si è fermato a 26 milioni negliultimi due anni. Non c’è un’agenzia cheha la responsabilità per tutti gli sfollati,ma le Nazioni Unite hanno introdotto un“approccio settoriale” attraverso il qualea singole organizzazioni sono assegnatiruoli in base alla proprie competenze. Perl’UNHCR, questo si traduce in coordina-mento delle misure di protezione, gestio-ne dei campi e alloggio.La Colombia possiede una delle più vastepopolazioni di sfollati, con stime che siaggirano sui 3 milioni di persone. In Iraq,alla fine del 2008, ce n’erano 2.6 milioni- 1,4 milioni dei quali sfollati negli ultimitre anni. Nella regione del Darfur, in

Sudan, gli sfollati erano più di 2 milioni.La recrudescenza dei conflitti nella regio-ne orientale della Repubblica Democrati-ca del Congo e in Somalia, lo scorsoanno, hanno generato rispettivamente1,5 e 1,3 milioni di sfollati. All’inizio del-l’anno abbiamo assistito a massicci movi-menti forzati di popolazione in Kenya,mentre il conflitto in Georgia ha messo infuga 135 mila persone. Il numero di sfol-lati è altresì aumentato in Afghanistan,Pakistan, Sri Lanka e Yemen.L’anno scorso, la popolazione di compe-tenza dell’UNHCR è calata per la primavolta dal 2006 a causa della revisione edell’aggiornamento delle stime riguar-danti il numero di rifugiati e di personein “situazioni simili ai rifugiati” in Iraq eColombia. Il numero dei rifugiati è scesodagli 11,4 milioni del 2007 a 10,5 milio-ni per il 2008. Ma il numero di richieden-ti asilo è salito per il secondo anno con-secutivo, nel 2008 sono stati 839 mila,con un incremento del 28%. I paesi chehanno ricevuto il maggior numero didomande di asilo sono il Sud Africa (207mila), gli Stati Uniti (49.600), la Francia(35.400) ed il Sudan (35.100).I paesi in via di sviluppo hanno ospita-to l’80% dei rifugiati nel mondo, a sot-tolineare la sproporzionata pressioneche grava su quei paesi che hannomeno mezzi e maggior bisogno si assi-stenza internazionale. Fra i principalipaesi di accoglienza di rifugiati nel 2008troviamo il Pakistan (1,8 milioni), la Siria(1,1 milioni), l’Iran (980 mila), la Germa-nia (582.700), la Giordania (500.400), ilCiad (330.500), la Tanzania (321.900) e ilKenya (320.600). I principali paesi di ori-gine sono stati l’Afghanistan (2,8 milioni)e l’Iraq (1,9 milioni) paesi che, da soli,rappresentano il 45% dei rifugiati dicompetenza dell’UNHCR. Altri paesi diorigine sono la Somalia (561 mila), ilSudan (419 mila), la Colombia, compresicoloro in situazioni simili ai rifugiati (374mila) e la Repubblica Democratica delCongo (368 mila).

Rapporto annuale UnhcrIl rapporto statistico completo “GlobalTrends 2008” è disponibile (in inglese)

sul sito internet dell’UNHCR:www.unhcr.org/statistics

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I rifugiati in Europa e in Italia

Attualmente i rifugiati in Italia sono 47mila e nel 2008 nel paese sono state presentate quasi31mila domande d’asilo. Negli anni ‘90 l'aumento di richieste d’asilo che si è registrato in tuttaEuropa come conseguenza di conflitti, sconvolgimenti politici e violazioni dei diritti umani indiverse parti del mondo, si è registrato anche in Italia in misura proporzionalmente elevata.Per quanto riguarda il numero di rifugiati, l'Italia presenta cifre molto basse rispetto ad altripaesi dell'Unione Europea, in termini sia assoluti che relativi. A titolo di comparazione, la Ger-mania accoglie circa 580mila rifugiati ed il Regno Unito circa 290mila, mentre i Paesi Bassi e laFrancia ne ospitano rispettivamente 80mila e 160mila. In Danimarca, Paesi Bassi e Svezia i rifugia-ti sono tra i 4,2 e gli 8,5 ogni 1.000 abitanti, in Germania oltre 7, nel Regno Unito quasi 5, men-tre in Italia appena 0,7 ovvero 1 ogni 1.500 abitanti.

PRINCIPALI PAESI D’ORIGINE DEI RICHIEDENTI ASILO IN ITALIA

2006 2007 2008

1. Eritrea 2.151 1. Eritrea 2.260 1. Nigeria 5.333

2. Nigeria 830 2. Nigeria 1.336 2. Somalia 4.473

3. Togo 584 3. Serbia-Montenegro 1.100 3. Eritrea 2.739

4. Serbia-Montenegro 597 4. Costa d’Avorio 982 4. Afghanistan 2.500

5. Ghana 530 5. Somalia 757 5. Costa d’Avorio 1.844

Fonte: Commissione nazionale per il diritto d’asilo

I rifugiati nel mondo

Nel Canale di Sicilia

Dal 1988 a oggi nel Ca naledi Sicilia sono morte alme-no 4.183 persone, lungo lerot te che vanno dalla Libia( da Zuwa r ah , T r i po l i eMisratah), dalla Tunisia (daSousse, Chebba e Mahdia) edall'Egitto (in particolare lazo na di Alessandria) verso lei sole di Lam pedusa, Pantel-leria, Malta e la costa sudorientale della Sicilia, maanche dall'Egitto e dallaTur chia alla Calabria. Piùdella metà (3.059) sono di -sperse. Altri 138 giovani so -no annegati navigando dal-l'Algeria (Annaba) alla Sar-degna.

Fonte: Rapporto di FortresseEuropa, Osservatorio sulle

vittime delle migrazioni

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Perché oggi il Gruppo Abele ha concentrato lasua r if lessione anche sul la situazione deimigranti?Il Gruppo Abele ha sempre cercato di leggere larealtà sociale, chiedendosi che cosa fare per faremeglio e fare di più. Abbiamo sempre parlatodella vita... Anche oggi vogliamo pronunciareparole di vita, in un momento in cui le parole checi circondano sono parole di morte, di respingi-mento, di incriminazione delle persone solo per-ché esiliate dalla fame e dalla povertà.Qualche mese fa si è verificata l'ennesima trage-dia nel Canale di Sicilia. Un gommone carico di78 migranti ha vagato alla deriva per ventungiorni. In settantatré sono morti. La novità inquesta tragedia è che il gommone non sarebbestato soccorso da nessuna delle imbarcazioni chelo avrebbero incrociato ormai alla deriva… Comese stesse penetrando in noi il messaggio che chiarriva via mare sia un vuoto a perdere o, comedice la nuova legge sul reato di clandestinità, uncriminale da respingere.Ciò che sta avvenendo è drammatico: – 4299 persone inghiottite dal mare negli ultimianni, in quel grande cimitero senza lapidi che è ilcanale di Sicilia, e sono quelli di cui si ha notiziacerta...– 18 mila persone che, secondo l'Unione Euro-pea, sono morte nel tentativo disperato di rag-giungere la «terra, promessa»: la fortezza Europa. Numeri drammatici, qualcosa di sconcertante chenon può lasciarci indifferenti, non può nonentrare dentro le coscienze di chi cerca di "fare”.Questo nostro fare, però, oggi ha bisogno di unoscatto in più: uno scatto culturale, politico eanche etico dentro i nostri contesti.

La notte in cui siamoLo scorso anno dicesti «c’è tanta notte intorno anoi tanto buio...». Quest’anno la clandestinità èdiventata reato, e ronde di cittadini si sonoaffiancate a forze di polizia e soldati nel control-lo delle città. Il buio sembra essersi infittito...I recenti provvedimenti rappresentano una grandeferita, un insulto ai poveri, uno schiaffo al dram-

ma di tante persone. Sono il prodotto dell’ideafasulla che la sicurezza dipenda dall'accumulo diproibizioni e non dalla creazione di opportunità. Si fa strada una politica populista che demolisceil senso della solidarietà e incoraggia una guerratra poveri. Perché oggi le fasce più vulnerabili,anziché chiedere una più equa redistribuzionedelle risorse, finiscono per prendersela con chi èpiù in basso nella scala sociale. Le conseguenzedelle ultime leggi non possono lasciare indiffe-renti. Al punto in cui siamo, non basta più farequalche manifestazione o inviare dei comunicatistampa... oggi c'è bisogno della nostra forza cul-turale e politica. Una forza che arriva dalle acco-glienze, dalla storia delle persone, una forza chedeve portare un contributo a questo Paese.È un momento di grande stagnazione: abbiamobisogno di parole di vita, abbiamo bisogno di unacultura che proponga percorsi di vita e che gene-ri voglia di cambiamento. Ci vuole più forza daparte di tutti, per trovare il coraggio e rischiareper costruire quella fiducia reciproca che creavicinanza tra le persone.Dobbiamo anche essere capaci di resistere. Resi-stere è una parola attiva, vuol dire esistere, starelì, essere presenti anche nella notte. La notte nonè solo buio, è anche il tempo della consapevolez-za, dell'attenzione, della veglia, del silenzio, è iltempo del sogno e della riflessione.Ecco perché dobbiamo credere nella propostaculturale, ieri come oggi: perché la cultura fa cre-scere dentro, dà sapere, dà forza. La forza cheviene dalla conoscenza. Ed ecco perché non bastafare: se l'accoglienza non si salda alla dimensioneculturale e politica, non usciremo da questa deri-va impressionante.

In ascolto delle paureLa vostra riflessione invita a mettersi in ascoltodelle paure della gente. Le paure sono emozioniprofonde, reazioni di difesa a un senso di mi -naccia. Oggi la minaccia è rappresentata dal“diverso”: rom, nero, extracomunitario, musul-mano... Questi sono i capri espiatori di una paurache ha radici lontane - in una globalizzazione

Presentiamo qui un estrattodell'intervista a Don Luigi Ciotti,fondatore del Gruppo Abele.L’intervista è apparsa sullarivista “Animazione Sociale” del 4 ottobre 2009 ed è a cura diRoberto Camerlinghi. Abbiamo letto questo articolomentre elaboravamo il libro esiamo stati subito colpiti dallavicinanza del suo messaggio conlo spirito del Xmas Project e del progetto che vogliamosupportare per il Natale di quest’anno…

Entrare di più nella storia.Perché non trasformare le paure in speranze?

Viviamo un momentostorico complesso esconcertante. Alla crisiglobale si somma unagrave incertezza culturale.Le culture dellacittadinanza e dei dirittisono in ritirata e in pochioggi sembrano credere chela sicurezza sociale sicostruisca partendo dallatutela dei diritti. Siamo in una fase digrande stagnazione dellacultura nel nostro Paese. La strada per uscire daquesta “notte” ci richiededi entrare di più nellastoria e di scommetteresulla forza che viene dallaconoscenza.

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senza regole - ma che ha bisogno di identi-ficare bersagli vicini per potersi scaricare.Come parlare oggi alle paure della gente?Troppe persone oggi sono vittime di unapaura che viene alimentata artificialmente eche porta al pregiudizio razziale. Chi nonha strumenti di critica in gran parte tende acredere che gli immigrati siano la causadella sua insicurezza. E dimentica che èquesto sistema economico-finanziario chegenera panico, che costringe milioni di per-sone a migrare, che rende il lavoro precarioe il futuro di tante famiglie incerto.La gravissima crisi che stiamo vivendo, chesta portando alla perdita di tanti posti dilavoro, non è solo una crisi economica, èprima di tutto una crisi etica e politica. Sisono tolte regole e controlli che garantiva-no tutti, perché l'interesse di pochi ne aves-se vantaggio. E oggi le persone stannopagando il prezzo di queste manovre spe-culative.

Purtroppo la politica soffia sulle paure dellagente, anziché capire come riequilibrarequesto sistema. Vengono così a crearsi veree proprie fobie nei riguardi degli immigrati,dipinti come predatori o potenziali delin-quenti. Anche l’informazione rischia di ane-stetizzare le coscienze: è in mano a pochepersone, filtra le notizie, non disturba “imanovratori” del Paese. Siamo di fronte alla sterilizzazione dellasocietà. Ogni giorno nel nostro Paese civiene tolta democrazia e libertà; ma l’infor-mazione, il sapere, la conoscenza sono erimangono le ossature della nostra società.

Il naufrago è un criminale?Mai come oggi chi lavora nel sociale lavoraper la società. Perché è interesse di tuttivivere in una società dove nessuno siaabbandonato al proprio destino o trattatocome criminale perché povero. Questo perragioni non solo etiche ma pratiche, legate

alla tenuta della società stessa. Eppuresiamo nell’epoca del “pensiero sbrigativo”.E immettere nel dibattito pubblico un'ipo-tesi sulla sicurezza di questo tipo sembramolto difficile…Il grave peccato del sapere oggi è la man-canza di profondità. Chi lavora sulla stradasa invece che la “strada” è il luogo in cuiogni sapere cozza contro i propri limiti. È unluogo di umile apprendimento, è luogo diformazione e di educazione permanente. La strada provoca a scendere in profondità, aimpastarsi nella storia delle persone. Perchénon basta accogliere l'altro, bisogna saperloriconoscere. E quando riconosci l'altro, lasua storia, ti accorgi che la strada non è maiuna scelta, ma è sempre il segno delladistanza delle persone dai propri diritti.Per questo è importante oggi la dimensionedella conoscenza e della ricerca. Per questola prossimità, che è la prima dimensionedella giustizia, ha bisogno di un impegno

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culturale e politico per il cambiamento. Perché se viene meno latensione a conoscere, a capire, si crea questo terreno pericoloso,fatto di diffidenza per lo straniero, coltivato da chi, nell'ansia difare ordine, ha creato un supremo disordine, calpestando la dignitàe i diritti delle persone.Oggi la strada sono i tanti amici che vengono da lontano, le viteesiliate, le vite di scarto, le vite negate, rubate, mercificate, aneste-tizzate.Questi amici superstiti di viaggi rischiosissimi per arrivare da noi,sono la ragione per cui non possiamo essere superficiali. I diritti, ladignità, la libertà delle persone sono le ragioni: difendere i lorodiritti significa difendere i nostri diritti, la nostra vita, la nostradignità. Il nostro poterci dire sicuri nella nostra umanità.

Credere nel nostro sapereRecentemente hai detto: il problema della sicurezza non è soloche per strada c'è chi delinque, ma che nessuno ti darà unamano se ti vede in difficoltà. Anche quei cinque sopravvissutihanno raccontato di aver incrociato alcuni pescherecci nel loronaufragio, ma nessuno si è fermato per il timore - dichiaratodagli stessi pescatori - di venir processati per favoreggiamentoal reato di clandestinità. Il dibattito che è seguito sulla liceità di«non fare il soccorso umanitario» a quanti a bordo dei barconitentano di attraversare il Canale di Sicilia è significativo dicome il cosiddetto “diritto del mare”, che impone di aiutarequalsiasi naufrago, venga condizionato dalle ultime leggi italia-ne sull'immigrazione...Oggi si respingono barconi colmi di persone disperate e si gridaalla vittoria. Senza identificarle, senza riconoscere loro la dignitàsancita dal diritto internazionale. Le si respinge al mittente, cioè apaesi messi in ginocchio dalla guerra, lacerati dalle discriminazionipolitiche, decimati dalla fame e dalle malattie. È questo davvero ciòche vuole il nostro Paese, che ha nel suo passato lunghe e dolorosemigrazioni? Certo bisogna sconfiggere la criminalità, ma i criminaliarrivano da canali superassicurati, non su gommoni alla deriva.Allora dobbiamo rendere più forte il nostro sapere, credere di piùnella proposta culturale e politica. Ciò significa chiedere alla politi-ca di abbandonare la facile strada del consenso per imboccarequella difficile ma feconda della giustizia sociale.Oggi è il tempo di scendere in profondità, di impastarci nella sto-ria. La nostra riflessione deve aiutare a guardarci dentro, tenendodavanti ai nostri occhi queste vite esiliate, scartate, negate, rubate,mercificate. Di recente ho incontrato una ragazza accolta dalnostro “Progetto prostituzione e tratta delle persone”. Per punirla,le hanno fatto lo scalpo... Mi sono chiesto come sia possibile.Ognuno di noi deve sentire forte dentro di sé tutto questo, guai seci ripieghiamo. Dobbiamo ritrovare le ragioni del nostro impegno,di un impegno che da sempre ci vede schierati dalla parte di chi èpiù debole, più fragile, meno garantito.

È in atto una guerraLa politologa Nadia Urbinati scrive: «Le politiche della sicurezzahanno preso il posto delle politiche sociali. La filosofia dei governicome il nostro è che - se disagio si dà - questo non è un segno diingiustizia sociale, ma di cattiva sorte e disgrazia, oppure di inca-pacità personale o di mancanza di merito…

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Il neoliberalismo libera lo Stato dall'impegno di promuovere politi-che sociali per occuparlo intensamente nel compito repressivo» (“Sei governi alimentano le paure dei cittadini”, la Repubblica, 8 otto-bre 2008). È un'analisi che condividi?Dirò di più. È in atto una guerra. Una guerra mondiale di nuovagenerazione. Non usa direttamente le armi se non in alcuni territo-ri, non fa la lotta alla povertà ma ai poveri. Respinge i fragili, eti-chetta la diversità, permette forme di razzismo. È una guerra che fa migliaia di morti, che uccide le speranze ditante persone. Non è retorica, sono i fatti che parlano: quei 18 milamorti ai confini della fortezza Europa negli ultimi anni, i 4299sepolti nel Mediterraneo, i settantatre dell'ultimo barcone.Questa guerra alimenta il conflitto, basta guardare come sta spac-cando la società, come sta dividendo le persone.La sicurezza oggi è certamente il killer delle politiche sociali. Lecarceri sono di nuovo piene di povera gente, a tre anni dall'indul-to. Si ricorre a soluzioni carcerarie per problemi sociali che non riu-sciamo ad affrontare altrimenti. E allora dobbiamo interrogarci suquanto stia penetrando nelle coscienze questa nuova guerra…Forse non tutti se ne accorgono, ma la qualità della nostra demo-crazia sta cambiando. Stiamo rischiando di tornare a un periodoprecostituzionale. Precostituzionale perché la legalità, per la Costi-tuzione, è il potere dei senza potere, è la difesa contro l'arbitrio. Maoggi, cos'è diventata la legalità? Questo continuo appellarsi al prin-cipio di legalità dimentica che prima della legalità ci sono i diritti.L'immigrazione va sottoposta a regole, certo, ma regole che per-mettano anche di includere, di riconoscere, non solo di respingeree selezionare. Regole ci vogliono, non però leggi che non rispetta-no la Dichiarazione dei Diritti Umani, che non sono rispettose dellanostra Costituzione, che non tengono conto della Convenzione diGinevra, della Convenzione dei Diritti del Fanciullo. Noi non possiamo e non dobbiamo tacere. La «coscienza» viene«prima delle leggi ingiuste», come diceva Martin Luther King. Noitroveremo i modi per continuare ad accogliere le persone e per lot-tare contro questa guerra di nuova generazione. Una guerra sottileche emargina, umilia, respinge, fa spazio all'odio. Oggi rischiamodi insegnare l'odio.Una cosa sui migranti voglio ancora dire: con le nuove leggi ancheun immigrato in regola sarà penalizzato perché non potrà piùopporsi a nessuna iniziativa ostile di controparte italiana.Se io rivendico al mio datore di lavoro alcuni miei diritti, lui mi puòbuttare fuori, e se dopo sei mesi non ho trovato un altro lavoro lalegge mi obbliga ad andarmene dall'Italia. Abbiamo sentito tantagente dire «chi credono di essere?», «dove credono di essere?». Nonè semplice la vita di un immigrato anche in regola in questo clima,in questo ricatto, in questa guerra di nuova generazione.

Su queste montagne (l’importanza della memoria)In un quartiere popolare di Torino, ad alcuni che nei dibattiti sisono lamentati urlando «siamo stufi, basta con gli stranieri...» ti seirivolto dicendo: «Ma non vi rendete conto che quarant'anni fa era-vate voi gli immigrati? Che i problemi che oggi sono degli stranie-ri all'epoca erano i vostri? Che stiamo parlando di voi e della vostrastoria?». I tuoi interlocutori sono rimasti zitti...Come la pianta muore se si tagliano le radici, così la storia di ognu-no di noi e quella delle nostre comunità si inaridisce se non traenutrimento dalla storia di chi ci ha preceduto.Considera queste nostre montagne della Valsusa: qui, nel dopo-guerra, i valligiani incontravano e soccorrevano donne, bambini,uomini infreddoliti, mal coperti, con valigie di cartone. Tentavanodi passare in Francia. I trafficanti si facevano dare i soldi, li porta-vano su queste strade e li abbandonavano. Qualcuno non sapevadov'era la strada per la Francia, la neve era alta e tanti morivano…La storia di ognuno di noi si inaridisce se non ha il nutrimentodella memoria dei nostri percorsi, della nostra storia. Allora dobbia-mo saper saldare memoria e profezia per stare da protagonisti den-tro la storia di oggi.

«Torniamo ai giorni del rischio» (la necessità di essere profetici)Nel presentare il documento con le vostre riflessioni hai parlato dellanecessità di essere profetici. E hai citato questi potenti versi di PadreTuroldo, sicuramente una delle voci profetiche del nostro tempo:«Torniamo ai giorni del rischio... Torniamo a indossare le armi dellaluce...». Che cosa vuol dire oggi per te essere profetici?Nella tradizione cristiana il profeta è colui che dà voce alla parola diDio, che la annuncia. “Pro-” vuol dire infatti prima, ma anchedavanti. E allora il profeta è colui che parla pubblicamente, davantiagli altri. Ossia che ha il coraggio della denuncia e della proposta. La profezia è anche una dimensione strettamente legata alla cono-scenza, al vedere le cose in profondità. Tradotta nel nostro discorso,non è la previsione del futuro, ma è scorgere nel presente i segni ele condizioni per costruire un futuro diverso. È andare oltre lasuperficie e scoprire davvero cosa c'è sotto. Oggi siamo chiamati aimmergerci tutti nelle dinamiche sociali, a entrare di più nella storia.Non possiamo fermarci ad analisi superficiali e semplicistiche.Si può costruire profezia, in questa società sempre più barricata, sesapremo dare una rotta culturale e politica alle nostre azioni. Oggici vuole nuovo impegno, ci vuole veramente più forza di metterci ingioco. La forza per costruire un futuro diverso, capace di trasforma-re le paure in speranze.

Entrare di più nella storia.Perché non trasformare le paure in speranze?

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Migranti (economici) Persone che lasciano il paese d’origine per motivi puramenteeconomici, che non sono in alcun modo legati alla definizionedi rifugiato, o allo scopo di migliorare le loro condizioni di vitamateriali. I migranti economici non rispondono ai criteri chedefiniscono lo status di rifugiato e non hanno quindi il dirittodi godere della protezione internazionale.

Richiedente asilo Una persona la cui richiesta o domanda formale di asilo non èstata ancora oggetto di decisione da parte del paese di poten-ziale rifugio.

Rifugiati ai sensi della ConvenzionePersone riconosciute dagli Stati come rifugiati ai sensi dell’ar-ticolo 1A della Convenzione del 1951 e che in base alla stessasono titolari di una serie di diritti.

SfollatiPersone che sono state costrette o obbligate ad abbandonarele loro case “... soprattutto a causa di un conflitto armato, disituazioni di violenza generalizzata, di violazioni dei dirittiumani o di disastri naturali o provocati dall’uomo, o allo scopodi sfuggire alle loro conseguenze, e che non hanno attraversa-to le frontiere internazionalmente riconosciute di uno Stato”(secondo i Principi guida sullo sfollamento).

Status umanitarioAutorizzazione formale, in base alla normativa nazionale, arisiedere in un Paese per motivi umanitari. Questa categoriapuò comprendere persone che non rispondono ai requisiti peril riconoscimento dello status di rifugiato.

Protezione temporaneaAccordi o dispositivi elaborati dagli Stati per offrire una prote-zione di natura temporanea a persone che fuggono in massada situazioni di conflitto o di violenza generalizzata, senzaprevia determinazione individuale dello status. La protezionetemporanea è stata applicata in alcuni paesi dell’Europa occi-dentale per garantire la protezione delle persone in fuga dalconflitto nell’ex Jugoslavia nei primi anni Novanta.

Apolide Un individuo che nessuno Stato, sulla base delle proprie leggi,considera un suo cittadino.

UNHCR ItaliaManuale per i Parlamentari “Protezione dei Rifugiati –

Guida al diritto internazionale del rifugiato”, 2001

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Le parole per capire

“Ogni individuo ha il diritto di cercare e digodere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”

ART. 14 - DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO ADOTTATA

DALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLE NAZIONI UNITE IL 10 DICEMBRE 1948

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Il principio di non-refoulement è il caposaldo della protezione internazionale dei rifugiati (ha carattere fondamentale e non derogabile).

Esso è enunciato nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del1951. L’art. 33(1) della Convenzione del 1951 dispone che:«Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere(“refouler”) - in nessun modo - un rifugiato verso le frontieredei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciatea causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza adun determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». La protezione dal refoulement si applica a ogni persona cheè un rifugiato in base alla Convenzione del 1951. Poiché unapersona è rifugiato ai sensi della Convenzione quando egli oella soddisfa i criteri enunciati nella definizione di rifugiato,la determinazione dello status di rifugiato ha una naturadichiarativa: una persona non diventa un rifugiato perché èstata riconosciuta come tale, ma è riconosciuta come taleproprio perché è un rifugiato. Ne segue che il principio di non-refoulement si applica nonsolo ai rifugiati riconosciuti, ma anche a coloro il cui statusnon è stato formalmente dichiarato. Il principio di non-refoulement è di particolare importanza per i richiedentiasilo. Poiché questi potrebbero essere rifugiati, costituisce unprincipio di diritto internazionale accettato il fatto che essinon dovrebbero essere respinti o espulsi finché non si siagiunti a una decisione finale riguardo al loro status. Il divieto di refoulement si applica non solo in relazione alritorno nel paese d’origine o, nel caso di una persona apoli-de, nel paese di precedente residenza abituale, ma anche aqualsiasi altro luogo in cui una persona abbia motivo ditemere minacce per la propria vita o libertà, in riferimento auna o più delle fattispecie elencate nella Convenzione diGinevra, o dal quale egli o ella rischia di essere inviato versoun simile pericolo. Come regola generale, al fine di dareattuazione agli obblighi assunti con la Convenzione del 1951e/o col Protocollo del 1967, agli Stati è richiesto di fornire

accesso al territorio e a eque ed efficienti procedure d’asiloagli individui che cercano protezione internazionale. L’obbligo derivante dall’art. 33(1) della Convenzione del1951 di non inviare un rifugiato o un richiedente asilo in unpaese dove egli o ella potrebbe essere a rischio di persecuzio-ne non è soggetto a restrizioni territoriali; si applica ovunquelo Stato in questione eserciti la sua giurisdizione. Ma il non-refoulement dei rifugiati è anche una norma didiritto internazionale consuetudinario e, come tale, esso èvincolante per tutti gli Stati, compresi quelli che non hannoaderito alla Convenzione del 1951 e/o al suo Protocollo del1967. Peraltro anche il divieto di tortura è parte del dirittointernazionale consuetudinario, che ha raggiunto il rango dinorma imperativa di diritto internazionale, o di jus cogens. L’UNHCR è del parere che lo scopo, l’intento e il significatodell’art. 33(1) della Convenzione del 1951 sono univoci estabiliscono un obbligo a non rinviare un rifugiato o unrichiedente asilo in un paese dove egli o ella rischierebbe per-secuzioni o altri gravi danni, che si applica ovunque lo Statoeserciti la sua giurisdizione, compreso alla frontiera, in mareaperto o sul territorio di un altro Stato.Il Segretario Generale dichiarò in un Memorandum datato 3gennaio 1950 inviato al Comitato ad hoc sull’apolidia e rela-tivi problemi che «respingere un rifugiato alla frontiera delpaese dove la sua vita o libertà è minacciata… sarebbe equi-valente a consegnarlo nelle mani dei suoi persecutori». La posizione dell’UNHCR è pertanto che uno Stato sia vinco-lato dal suo obbligo derivante dall’art. 33(1) della Conven-zione del 1951 di non rinviare rifugiati verso un rischio dipersecuzione ovunque esso eserciti la propria effettiva giuri-sdizione. Il criterio decisivo non è se tali persone si trovinonel territorio dello Stato, quanto piuttosto se esse si trovinosotto l’effettivo controllo e autorità di quello Stato.

Parere consultivo sull’applicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement derivanti

dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967 (gennaio 2007)

A cura di Francesca Paltenghi, UNHCR Italia

Il rifugiato è colui «che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza,religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni

politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito

di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra».

ARTICOLO 1A DELLA CONVENZIONE RELATIVA ALLO STATUS DEI RIFUGIATI, FIRMATA A GINEVRA IL 28 LUGLIO 1951 E RATIFICATA DALL’ITALIA

CON LA LEGGE 24 LUGLIO 1954, N. 722

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MALTA - Il porto di La Valletta

Gran parte dei migranti non desidera affatto approdare a Malta, un paese che viene generalmenteevitato per diverse ragioni: i migranti illegali e irregolari sono infatti obbligati a permanere fino a 18 mesi in centri di detenzione, in condizioni di vita estremamente dure; inoltre, stabilitisi a Malta, sono obbligati a restarvi per cinque anni prima di potersi trasferire in un altro paese dell’Unione Europea. A quanto pare, Malta è anche considerato un paese “troppo povero” per viverci dopo aver ottenuto l’asilo o lo status di rifugiato e molti tentano di trasferirsi negli Stati Uniti o in altri paesi europei.

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Il piccolo arcipelago maltese, situato al centro delMediterraneo e la cui popolazione supera di poco le400mila persone, è entrato a far parte dell'UnioneEuropea nel 2004. Grazie alla sua posizione geograficaè divenuto una delle principali vie d'accesso all'UE uti-lizzate da migranti e richiedenti asilo provenienti dallecoste dell’Africa settentrionale. Questo elemento, insie-me al fatto che l’isola, con i suoi 1.265 abitanti perchilometro quadrato, ha una densità di popolazione trale più alte d’Europa, ha contribuito a focalizzare l’at-tenzione sulle questioni legate all’asilo. Nel 1971 Malta ha ratificato la Convenzione di Gine-vra del 1951 sullo status dei rifugiati e il Protocollodel 1967 (abolendo alcune riserve nel 2004 in seguitoall'adesione all'Unione Europea). Nel 2000 ha promul-gato una legge sui rifugiati (Refugees Act), entrata invigore il 1° gennaio 2001 e la cui ultima riforma risale

al 2005. Il 70-80% delle persone che arrivano a Maltavia mare ogni anno presentano domanda d’asilo. Apoco meno della metà di esse viene riconosciuta unaqualche forma di protezione (status di rifugiato o pro-tezione umanitaria). Nel corso degli ultimi anni,migranti e richiedenti asilo, provenienti soprattutto daipaesi africani, sono partiti dalla Libia alla volta dell’Eu-ropa in cerca di protezione e condizioni di vita miglio-ri. Nonostante il ricorso a politiche di contenimentodegli arrivi più decise e a controlli più severi lungo lefrontiere meridionali dell’Unione Europea, nel 2008 ilnumero di persone sbarcate a Malta è aumentato, con2.704 nuovi arrivi registrati. Negli anni precedenti, ilnumero complessivo di nuovi arrivi era stato inferiore:502 nel 2003, 1.388 nel 2004, 1.822 nel 2005, 1.780nel 2006, 1.694 nel 2007. Il 2009 ha visto una confer-ma della tendenza del 2008.

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MALTA – Centro di accoglienza aperto Hal Far Hangar

Il centro di accoglienza aperto Hal Far ha sede in un hangar riconvertitonel quale trovano alloggio 500 persone, in gran parte provenienti dalla Somalia.

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Sono scappato senzapensare, seguendo ilconsiglio de gli anzianidel villaggio, dal Norddel mio paese fino alBurkina Faso, a piedi.

Non avevo soldi con me: neicampi non servono e non siseminano soldi!Scappando dalla Costa d’Avorioho incontrato altre per sone cheerano più o meno nella miastessa situazione, non li cono-scevo, ma ho iniziato a scam-biare informazioni e a immagi-nare quello che potevo fare. A causa del lavoro di mio padre,un buon lavoro, ma con effettidrammatici nel mio paese, eroodiato da molti nel villaggio enella zona, sia dai musulmaniche dai cristiani. Quella condi-zione di stare a metà non erapiù sostenibile, era molto peri-coloso e le voci da noi passanovelocemente da un luogo all’al-tro. Ho iniziato a capire meglioil consiglio degli anziani. Perònei paesi africani è molto diffi-c i le essere ascoltat i , quasiimpossibile essere protetti. Tuttihanno situazioni complicate.

In Burkina ho avuto un passag-gio su una piccola auto, incambio dell’aiuto all’autista percaricare e scaricare i bagaglidelle persone che viaggiavano.Sono arrivato fino in Niger.Oltre che senza soldi ero anchesenza documenti e in Burkinanon potevo stare, non è con-sentito, è pericoloso.Mi hanno detto che la soluzio-ne migliore per salvarmi eraquella di raggiungere l’Europa.Così sono riuscito ad arrivare inNiger e, da quel paese, ho viag-giato sopra diversi camion finoin Algeria. Il

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Avevo imparato che gli autistihanno spesso bisogno di aiutoe riuscivo a guadagnarmi i pas-saggi facendo il caricatore escaricatore.In Algeria ho attraversato a pie -di, insieme ad altre persone, ildeserto del Sahara.È stata l’esperienza più dram -matica fino a quel momento.Non voglio raccontare, perchého visto morire la gente lungo ilcammino, e ogni volta ripensa-vo alla morte dei miei genitori.

Dopo quel terribile cammino, inLibia, ho potuto fare qualchelavoro, ho guadagnato qualchesoldo. Rimaneva molto perico-loso, rischiavo di dover fare lastrada del ritorno se non facevoin fretta quello che mi portavafuo ri da questi posti.Con i soldi sono arrivato sul lacosta, ho lavorato an cora e conmolta più paura. Non volevoaspettare: con quattrocentodollari ho comprato il viaggiopiù scomodo e rischioso chepotevano offrire, sopra unadelle barche più piccole. Altripagavano mille o più dollari,ma io avevo troppa paura, mierano accadute già troppe coseterribili.

È stato per questo che sonofinito in un altro passaggiodrammatico attraversando ilmare su una barca da dieci,dodici posti, così piccola dasembrare un’onda in mezzo amille onde. Sono arrivato a Lampedusa eho raggiunto la salvezza.

da “Indirizzi sconosciuti. Tra richiedenti asilo e rifugiati”

di Ivan Carlot e Giorgio Bompieri

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«Non mi era possibile rimanere in Somalia se volevo restare vivo.Durante l’attraversamento del Sahara, due persone che erano con mesono morte di sete. Una volta in Libia, mi hanno arrestato e sbattu-to in un centro di detenzione. Mi hanno portato via tutto quello cheavevo con me e hanno iniziato a trattarmi come un animale. Man-giavo una volta al giorno. Di notte venivo costantemente picchiato.Ma sono stato fortunato perché sono rimasto in carcere un annosoltanto: due somali ci sono rimasti per due anni e sono impazziti.Hanno iniziato a urlare e piangere per tutto il giorno, completamen-te nudi. Alla fine uno di loro si è suicidato bevendo ammoniaca. Non avrei mai pensato di venir imprigionato anche in Europa...»

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MALTA – Centro di accoglienza aperto Hal Far Hangar

Nella cucina del centro.

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MALTA - Preghiera nella moscheadella tendopoli di Hal Far.

I migranti provenienti dall’Africapresenti a Malta sono circa 6.000 suuna popolazione complessiva di400.000 persone. L’arrivo sulle costemaltesi di centinai di migranti hasuscitato apprensione in una fasciadella popolazione locale: il paese si ètrovato impreparato ad affrontareadeguatamente la situazione e si sonoverificati episodi di violenza razziale ediscriminazione in ambito lavorativo enell’erogazione di alcuni servizi. Gli

stranieri legalmente residenti a Maltavengono spesso derisi, chiamatiimpropriamente “clandestini” per ilcolore della loro pelle, mentre laparola “rifugiato” sta assumendo unaconnotazione estremamente negativa.Tuttavia non sono solo i migranti adover fronteggiare discriminazione epregiudizi: ai membri delle minoranzereligiose, in particolare ai musulmani,vengono spesso attribuiti deglistereotipi derivanti in larga misuradalle carenze di un sistema educativoche non fornisce informazioni correttesulle altre culture.

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dalle guerre, dai confl itt iinterni e dalla de vastazioneeconomica e am bientale deiloro paesi. Quanto sta avvenendo in questimesi in Grecia ed in Libia au -menta le responsabilità già gra-vissime del governo italianonelle pratiche informali di re -spingimento “informale” daipor ti dell’Adriatico (Venezia,Ancona, Bari) verso Patrasso eIgoumenitsa e scopre tutte leipocrisie di chi afferma di rico-noscere i diritti dei rifugiati epoi rimane inerte ad assistereallo scempio del diritto di asilo,di persone che avrebbero titoloa ottenere protezione, ma sonoarrestate, respinte o espulse.Le responsabil ità di questoimbarbarimento delle regole deicontrolli di frontiera sono mol-teplici e vengono da lontano, apartire dalle scelte proibizioni-ste dei paesi che negano ai mi -granti qualsiasi possibilità di

accesso legale, dalla creazionedell’agenzia per il controllo del -le frontiere esterne europeeFrontex nel 2004, dalla incapa-cità dell’Europa di darsi unapolitica comune dell’asilo, limi-tandosi a legittimare la cosid-detta“cooperazione operativa”tra i vari paesi, una cooperazio-ne operativa che copre gli abusidella polizie di frontiera e rendeimpossibile fare valere i più ele-mentari diritti di difesa.A livello mediatico bastanopochi termini fumosi in unaintervista televisiva per rassi-curare l’opinione pubblica ecamuffare la continua involu-zione delle diverse forme dicontrasto dell’immigrazioneirregolare verso la negazionesostanziale dei più elementaridiritti fondamentali della per-sona. Il caso dei rapporti traItalia e Libia è, anche da questopunto di vista, emblematico.Nel mese di maggio del 2009 il

Alla fine del 2009dovrebbe entrare finalmente in vigore la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europeache prevede il divieto di espulsioni collettive, comprendendo in questo termi-ne qualunque forma di respin-gimento in frontiera o di allon-tanamento forzato dal territorioche non consenta una identifi-cazione individuale della perso-na, e dunque la proposizione diuna istanza di asilo, o altra formadi protezione internazionale o ilriconoscimento di una vittimadi tortura o altri trattamentiinumani e degradanti, o ancoral’accertamento della minore età.Uno strumento normativo chedovrebbe consentire agli orga-nismi comunitari, a partire dalla

Corte di Giustizia, e ai giudiciinterni, di sanzionare prassi am-ministrative, magari supportateda accordi bilaterali, che per-mettono di eludere quel divieto.L’esternalizzazione dei controllidi frontiera, che assume adessouna dimensione operativa dopogli accordi e i protocolli opera-tivi stipulati dall’Italia con laLibia, la Tunisia e l’Algeria, lachiusura di tutte le vie di acces-so per i potenziali richiedentiasilo con i respingimenti collet-ti vi in mare e alle frontiere ma -rittime, e le retate operate con“pattuglie miste” delle poliziepresenti nei paesi di transito,co me la Libia e la Grecia, aidanni dei migranti irregolari,spesso donne e minori, o altripotenziali richiedenti asilo,stanno aggravando gli effettidevastanti del le polit icheproibizioniste adottate datutti i paesi europei nei con-fronti dei migranti in fuga

Cosa sta succedendo nel Mediterraneo?di Fulvio Vassallo Paleologo*

Cosa sta succedendo nel Sud del Mar Mediterraneo? Chi ha l’obbligo di soccorrere imigranti sui barconi? E dovedevono essere trasportati?Ci siamo fatti guidare in questaanalisi molto complessa dalleparole di un professore di diritto,esperto in questa materia, ericonosciuto a livello internazionale.Sono parole di forte denuncia,anche nei confronti delleistituzioni italiane, che fondano leloro argomentazioni nel diritto. Troverete il testo un po’ ostico, con molte citazioni, ma è utilearrivare fino alla fine. Per nonrestare alla superficie delproblema. Un ringraziamento dicuore al professor VassalloPaleologo che, contattato, ci haautorizzato a pubblicare lo scritto.

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presidente del consiglio definiva irespingimenti collettivi verso laLibia un «atto di grande uma-nità», aggiungendo che per chifuggiva da guerre e persecuzionisarebbe stato possibile «rivolgersiall’agenzia Onu per dimostrare laloro situazione e, in caso, ottene-re il diritto di asilo». Ma l’ONUnon ha offerto alcuna coperturaal governo italiano e ha denunciato a più riprese l’arbitrarietà deirespingimenti, al punto che suoi rappresentanti, come Laura Bol-drini, sono stati attaccati e minacciati da di versi esponenti del cen-tro-destra. Un attacco ad personam che non ha risparmiato nep-pure Thomas Hammarberg, Commissario ai di ritti umani del Consi-glio d’Europa, “reo” di avere denunciato la si stematica disapplica-zione delle decisioni della Corte Europea per i diritti umani daparte dell’Italia e la prassi illegale dei respingimenti collettivi prati-cati dalle autorità militari su disposizione del ministro dell’interno. [...] Lo stesso Berlusconi, ha affermato che nel caso degli interven-ti operati dalle unità militari italiane nelle acque internazionali delcanale di Sicilia non si trattava di respingimenti vietati dalle con-venzioni internazionali, in quanto, a suo avviso, i mezzi della mari-na militare e della guardia di finanza “affiancano” le imbarcazionicariche di migranti per ricondurle verso le acque libiche dove ven-gono presi in consegna dalla polizia di Gheddafi. Dopo le protestesuscitate dalla riconsegna diretta dei migranti da parte delle unitàmilitari italiane entrate in un porto libico, si instaurava dunqueuna pratica più “discreta” che contemplava il trasbordo in altomare in modo da evitare fotografi e altri scomodi testimoni. Resta-vano soltanto alcuni migranti, sepolti in un carcere libico, cheavrebbero potuto testimoniare sulle violenze subite nelle operazio-ni di “ordinary rendition” ai libici.Secondo il governo italiano questa attività di “contrasto dell’immi-grazione illegale” svolta nelle acque del Canale di Sicilia avrebbeavuto un risvolto “umanitario”, contenendo il numero delle vitti-me, oltre che riducendo in modo consistente il numero degli sbar-chi. In realtà si nasconde all’opinione pubblica quanto avvienenelle acque internazionali e si ignorano le vittime delle violenzedella polizia, oltre che dei trafficanti libici. Numerosi rapporti inter-nazionali e documenti video, e di recente le stesse testimonianzedelle vittime, confermano che dopo la entrata in vigore degliaccordi di respingimento tra Italia e Libia la condizioni dei migran-ti in transito in quel paese sono peggiorate e molti di loro finisco-no sempre più spesso in veri e propri lager. Malgrado la presenza diorganizzazioni umanitarie e la ristrutturazione di alcune carceri, aduso e consumo delle ispezioni internazionali, in Libia la situazionedegli immigrati in transito è sempre peggiore, alcuni centri didetenzione come quello di Kufra sono ancora off-limits, nel carce-re di Bengasi sono stati uccisi alcuni somali che tentavano di fug-gire, molti altri sono stati feriti o torturati, e continua la collusionetra le forze di polizia ed i trafficanti. Soltanto chi paga riesce a sot-trarsi alle sevizie dei secondini che comandano nei centri di deten-zione, abusano delle donne e si fanno pagare per lasciare fuggirequalcuno, e questo avviene probabilmente anche in quelle carcerivisitate periodicamente da organizzazioni internazionali e da uffi-ciali di collegamento.

Maroni e Frattini hanno semprenegato la fondatezza delle criti-che rivolte ai respingimenti collet-tivi da parte dell’Alto Commissa-riato delle Nazioni Unite per irifugiati, della Chiesa cattolica, diautorevoli rappresentanti dellaCommissione Europea, da ultimodall’Alto commissario delle Nazio-ni Unite per i diritti umani. Per

tutti i critici, piuttosto che repliche basate sulle norme e sui fatti,soltanto minacce e insulti, oppure mistificazione del contenutodelle convenzioni internazionali e travisamento dei fatti. E anchetanta disinformazione, come quando il ministro degli esteri sostieneche l’Italia ha effettuato il maggior numero di salvataggi a mare, trai paesi europei, prendendo in esame il periodo 2007-2009. Un ulte-riore elemento di confusione perché nelle statistiche diffuse daFrattini si considerano anche i migranti salvati dalla marina italianae condotti a Lampedusa negli anni (2007 e 2008) in cui non sieffettuavano respingimenti in Libia (salvo rare eccezioni) e le regoledi ingaggio delle nostre unità militari, decise dal governo Prodi,erano considerate come un esempio positivo a livello europeo.Dal mese di gennaio del 2009, soprattutto per l’attivismo di Maro-ni che si è recato in Libia per “perfezionare” i precedenti accordibilaterali, è cambiato tutto, e se sono diminuiti gli arrivi in Sicilia ea Lampedusa sono aumentate le vittime, non solo in mare, maanche nelle carceri e nei deserti della Libia. E tutto in un clima dasegreto militare, perché mentre i protocolli di Amato del 2007 eranonoti, gli ultimi accordi stipulati a Tripoli tra Maroni ed i libici nelfebbraio scorso rimangono segreti. Sarebbe tempo che il Parlamen-to, che il giorno prima ha votato “alla cieca” la ratifica del Tratta-to di amicizia con la Libia, decida la istituzione di una commissio-ne di inchiesta sulle modalità di attuazione di quegli accordi, edunque sui respingimenti collettivi.L’attuazione concreta degli accordi tra Italia e Libia sembra desti-nata ad una continua mutazione, anche per il mutare delle circo-stanze atmosferiche o dei rapporti politici, mentre tarda a decolla-re il confronto tra L’Unione Europea e Gheddafi per la stipula di unaccordo di cooperazione nella “guerra” all’immigrazione illegale,una guerra che appare oggi rivolta soprattutto a coloro che sonovittima del traffico che si vorrebbe contrastare.Alle procedure di respingimento collettivo ed immediato verso lecoste africane, con il coinvolgimento attivo delle unità militari ita-liane e maltesi, come si è fatto per tutta l’estate, si preferisce ades-so delegare alle navi militari libiche il compito di effettuare il bloc-co e la deportazione dei migranti che sono scoperti in acque inter-nazionali, o ai limiti delle acque territoriali libiche, mentre tentanodi raggiungere l’Italia. Le mutate e più severe condizioni meteoimpediscono le “operazioni lampo” realizzate dalla Guardia difinanza di stanza a Lampedusa, che nei mesi estivi, in poche ore,anche su segnalazione delle unità Frontex, intercettava le imbarca-zioni cariche di migranti ai limiti delle acque internazionali e le“restituiva” ai libici, con trasbordi in mare spesso violenti e in viola-zione del divieto di espulsioni collettive. Con le cattive condizionimeteo dei mesi invernali, in otto-dieci ore non è facile arrivare allimite delle acque libiche, respingere i migranti e rientrare a Lampe-dusa, come è stato possibile durante l’estate quando il mare era

«...Numerosi rapporti internazionali e documentivideo, e di recente le stesse testimonianze dellevittime, confermano che dopo la entrata in vigoredegli accordi di respingimento tra Italia e Libia lacondizioni dei migranti in transito in quel paesesono peggiorate e molti di loro finiscono semprepiù spesso in veri e propri lager.»

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calmo. E l’autonomia dei mezzi veloci della Guardia di Finanza nonconsente più quel pattugliamento in alto mare che nel 2008 ha per-messo ai mezzi della marina militare di salvare migliaia di vite. Maoggi quegli stessi mezzi sono stati ritirati, per decisione politica,molto più a nord a “difendere” le coste di Lampedusa e della Siciliameridionale, e vi è stato anche un avvicendamento negli uomini chedirigevano gli interventi di salvataggio. Forse si sono accesi troppiriflettori sulle prassi di “cooperazione pratica” tra le polizie italiane,maltesi e libiche, dopo che la Commissione Europea ha chiestoinformazioni all’Italia proprio sui respingimenti collettivi, dopo chele Procure di Agrigento e Siracusa hanno aperto indagini penaliiscrivendo nel registro degli indagati alti esponenti della Guardia difinanza, dopo che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha conti-nuato a ricevere gli esposti di quanti sono stati deportati in Libia.Quanto avviene nelle acque del Canale di Sicilia dal mese di mag-gio contrasta con la normativa interna in materia di regole diingaggio delle unità navali preposte al contrasto dell’immigrazio-ne irregolare. Il decreto del Ministro dell’interno 19 giugno 2003(Misure su attività di contrasto dell’immigrazione illegale via mare),emanato in attuazione dell’art. 12, comma 9-quinquies T.U., intro-dotto dalla legge n. 189/2002, consente attività di pattugliamento diunità navali italiane anche al fine di rinviare imbarcazioni prive di ban-diera nei porti di provenienza (non in qualsiasi porto), ma rispettando

ben determinate procedure ecomunque, in ogni caso, tutte leattività devono essere impronta-te “alla salvaguardia della vitaumana e al rispetto della dignitàdella persona” (art. 7), oltre allimite, invalicabile, del rispettodei diritti umani nei terminiben definiti dal diritto nazio-nale, comunitario ed interna-zionale.Se i migranti in navigazionesi trovino in stato di pericoloogni nave italiana ha il dove-re di soccorrerli e di trasbor-darli su altre unità navali ita-liane; infatti in base alla Con-venzione internazionale sullaricerca ed il salvataggio marit-timo, adottata ad Amburgo il27 aprile 1979 (Marittime Sear-ch and Rescue Sar), a cui l’Italiaha aderito e ha dato esecuzio-ne con legge 3 aprile 1989, n.147, ogni nave ital iana èobbligata a procedere alle

operazioni di soccorso ai naufraghi e, nel caso verifichi lo statodi pericolo delle imbarcazioni dei migranti, ha l’obbligo di por-tarli in porto sicuro e dunque in Italia, essendo il luogo in cui lenavi italiane sono autorizzate ad attraccare e dove gli stranieripossono essere protetti da gravi violazioni dei diritti umani.Dove potrebbero anche presentare una domanda di asilo politicoe di protezione internazionale; anche quando una nave militare oin servizio di polizia prende misure di ispezione o controllo nei

confronti di un’imbarcazione che è sospettata di trasportaremigranti in condizioni irregolari ha comunque l’obbligo di assi-curare l’incolumità e il trattamento umano delle persone a bordoe l’applicazione del principio di non allontanamento e le altrenorme della convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati(così prevedono gli artt. 9 e 19 del Protocollo addizionale per com-battere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria della Con-venzione contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dal-l’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001,ratificati e resi esecutivi con legge 16 marzo 2006, n. 146);I respingimenti collettivi verso la Libia, anche nella versione piùrecente camuffata da omissione di soccorso e richieste di inter-vento delle unità militari libiche, contrastano con la normativacomunitaria. L’art. 12 del Codice comunitario delle frontiereSchengen prevede che le autorità di polizia possano bloccare imigranti che tentano di entrare nel territorio di uno stato Schen-gen, ma secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia questopotere non può essere esercitato in contrasto con i diritti fonda-mentali della persona umana, tra i quali va annoverato il diritto dichiedere asilo ed il diritto a non subire respingimenti collettivi.Chiunque venga raccolto a bordo di una unità battente bandieraitaliana in attività di controllo delle frontiere marittime, si trova interritorio italiano e se fa richiesta di asilo, o se si tratta di un mino-re, non può essere riconsegnato alle autorità di un paese terzocome la Libia, soprattutto quando non può essere stabilita la esat-ta provenienza delle persone raccolte in mare. Chi contravvienequeste regole viola il diritto internazionale e questa stessa violazio-ne andrebbe sanzionata anche dal giudice penale italiano quantomeno come abuso di ufficio, se non come omissione di soccorso overo e proprio sequestro di persona. Sono forse queste le ragioniper le quali per giorni si è negato un intervento di assistenza, affi-dando ad una petroliera il compito di “spianare” il mare in burra-sca, a lato del barcone carico di migranti, e adesso si affida ai libi-ci il “lavoro sporco” di effettuare concretamente la deportazione. Il principio di non refoulement (non respingimento), sancito oltreche dalla Convenzione a salvaguardia dei diritti dell’Uomo (CEDU)e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dallaConvenzione di Ginevra del 1951, vale anche in acque internazio-nali, come è ribadito nelle linee guida dell’ACNUR, e anche quandoc’è il rischio che le persone respinte verso un paese terzo come laLibia siano successivamente deportate verso i paesi di origine neiquali possono subire arresti arbitrari, torture o altri trattamentidisumani o degradanti. Le deportazioni successive praticate suvasta scala dalla Libia, anche con fondi europei, aggravano leconseguenze della violazione del principio di non respingimen-to da parte di quei paesi come Malta e l’Italia che dovrebberogarantire soccorso e assistenza, e non invece consentire depor-tazione e arresti arbitrari. Per questo motivo “chiamare” leunità militari libiche per ricondurre i migranti che si trovano inacque internazionali quando invece dovrebbe scattare un obbli-go di protezione e di salvataggio, equivale ad un “respingimen-to collettivo” vietato da tutte le convenzioni internazionali.Appare evidente come ormai le autorità italiane e maltesi non si“sporchino” più le mani con i respingimenti collettivi, per i qualisono aperti procedimenti penali davanti ai tribunali italiani e allaCorte Europea dei diritti dell’Uomo, ma preferiscano delegare almare, o ai libici, il compito di arrestare la fuga dei migranti verso

«...anche quando unanave militare o inservizio di poliziaprende misure diispezione o controllo nei confronti diun’imbarcazione che èsospettata di trasportaremigranti in condizioniirregolari ha comunquel’obbligo di assicurarel’incolumità e iltrattamento umano delle persone a bordo el’applicazione delprincipio di nonallontanamento e lealtre norme dellaconvenzione di Ginevrasullo status dei rifugiati»

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l’Europa. Anche nel caso dell’eventuale riconduzione in un portolibico la sorte di queste persone appare segnata, perché, come si èverificato negli ultimi tempi in casi analoghi, si tratterà di migrantiche non appena sbarcati in Libia saranno rinchiusi per mesi neicentri di detenzione ancora vittime di abusi di ogni genere. Abusila cui responsabilità incombe direttamente su quei governi europeiche hanno concluso accordi con la Libia, e adesso anche sullaCommissione Europea e sul Consiglio dell’Unione Europeo che vor-rebbero intensificare i rapporti di collaborazione tra l’agenzia per ilcontrollo delle frontiere esterne (Frontex) ed il governo libico.La Commissione Europea dovrà fare luce sui rapporti tra le ope-razione dell’agenzia europea per il controllo delle frontiereFrontex e le attività di pattugliamento congiunto e di respingi-mento collettivo poste in essere dalle autorità italiane, maltesi elibiche. Chiediamo inoltre di conoscere le attività di salvataggioposte in essere dalle unità aero-navali di Frontex nelle acque inter-nazionali e nella zona SAR di competenza della Repubblica malte-se, a partire dall’avvio delle missioni gestite dall’Agenzia Europeaper il controllo delle frontiere esterne con base a Malta.Il Parlamento e l’Unione Europea dovranno imporre a Malta ilrispetto dei doveri di salvataggio nella zona SAR di sua competen-za, stabilendo analogo obbligo per l’Italia quando non vi sianomezzi maltesi pronti a intervenire. Ove ciò non si verificasse, sidovrebbe adottare a livello internazionale un accordo che ridimen-sioni la zona SAR che Malta, soprattutto per ragioni economiche(pedaggi), si è riservata dalla fine della seconda guerra mondiale. Il governo maltese deve accettare gli emendamenti aggiuntivi dellaConvenzione di Montego Bay del 1982, in vigore dal 2006 e accet-tati dall’Italia, secondo i quali sono i governi rivieraschi comunqueresponsabili delle azioni di salvataggio. Ma chiediamo anche chevenga superato il Regolamento Dublino 2 che scarica sugli statiesterni dell’Unione Europea la competenza per le do mande di pro-tezione internazionale. Malta a differenza dell’Italia, non puòaccogliere un numero elevato di richiedenti asilo e gli altri paesi

europei devono accettare il ritrasferimento (resettlment) sui propriterritori di quanti raggiungono quell’isola. Assai diverso il caso del-l’Italia che accoglie soltanto un decimo (circa 50.000) dei rifugiatiche accoglie la Germania (oltre 500.000). E poi qualcuno lamentaancora che in Italia si corre il rischio di “invasione” non appenaarrivano alcune centinaia di richiedenti asilo.La magistratura italiana e gli organismi dell’Unione Europeadovranno accertare ed eventualmente sanzionare l’inadempimentodegli obblighi di protezione nei confronti delle persone in pericolodi vita a mare, poste in essere dalle autorità maltesi, o durante ope-razioni di pattugliamento o di salvataggio coordinate dalle stesseautorità nella zona SAR (Ricerca e soccorso) di competenza dellaRepubblica maltese. Ma la stessa verifica va avviata nei confrontidelle autorità italiane per i respingimenti collettivi praticati suvasta scala fino a poche settimane fa.Auspichiamo che i parlamentari europei sappiano bloccare que-sta politica di collaborazione dell’Unione Europea con i regimidittatoriali dei paesi della sponda sud del mediterraneo, unapolitica che per contrastare l’immigrazione irregolare cancella idiritti fondamentali della persona umana, a partire dal diritto diasilo. Una politica che agevola oggettivamente le mafie che aparole tutti dichiarano di combattere. Attendiamo anche chefinalmente la magistratura italiana e la Corte Europea dei dirittidell’uomo condannino le pratiche congiunte dell’omissione di soc-corso e dei respingimenti collettivi (…).

11 novembre 2009

* Fulvio Vassallo Paleologo, Professore di Diritto privato e Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero presso

la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Palermo.

Estratto di un documento a cura del Progetto Melting Pot Europa:“Respingimenti collettivi e omissione di soccorso nel contrasto

dell’immigrazione irregolare”. Per consultare l’intero articolo www.meltingpot.org

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MALTA - Centro di accoglienzafemminile Hal Far

La gioia incontenibile di Warda,somala, mentre abbraccia e baciaun’operatrice del centro dopo aver ricevuto la notiziadell’autorizzazione al trasferimentonegli Stati Uniti. Sono circa 400 irifugiati reinsediati negli Stati Unitia partire dall’inizio del programmadi reinsediamento. All’arrivo nel nuovo paese, ciascunrifugiato viene affidato a un ente di sostegno che si occupa di fornirevitto, alloggio e indumenti oltre chereindirizzamento ad altri entisanitari e occupazionali e appoggiodi vario genere durante un periododi transizione della durata massimadi due anni, al fine di garantirel’integrazione e l’assimilazione.

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MALTA - Tendopoli Hal Far

La tendopoli è uno dei quattroaccampamenti di Hal Far. Ci sono 45 tende e in ciascuna di esse trovano alloggio da 15 a 20 persone.

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Quasi tutti i richiedenti asilo arrivano a Malta via mare: lasciano il proprio paese di origine,attraversano il deserto del Sahara e affrontano i rischi di un pericoloso viaggio dalla Libia attraverso il Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

Un accordo siglato da Italia e Libia ha reso ancorpiù difficile attraversare il Mediterraneo permigranti e richiedenti asilo: sulla base dellacosiddetta politica dei respingimenti, numeroseimbarcazioni sono state rimandate in Libia.Molti di coloro che tentano il viaggio via maresono in realtà rifugiati e richiedenti asilo; per viadelle limitate possibilità di trovare rifugio e sicu-rezza in Libia, dei gravi rischi associati alle azionidi contrabbandieri e trafficanti e dell’ulterioreinasprimento delle normativa europea in materiadi asilo, troppe persone bisognose di protezionerischiano di essere abbandonate a se stesse. Tutti i migranti irregolari in arrivo a Malta vengo-no sottoposti a detenzione, per un periodo mas-simo di 18 mesi, e trattenuti in centri di detenzio-ne senza libertà di movimento creati, in granparte dei casi, in vecchie caserme militari e dotatiesclusivamente dei servizi minimi indispensabili.Di norma, i minori e le persone più vulnerabili,come le famiglie con bambini, gli anziani e colo-ro che soffrono di disturbi mentali, vengono rila-sciati e si consente loro di alloggiare in centri diaccoglienza con libertà di movimento.I richiedenti asilo vengono intervistati dal Com-missario per i Rifugiati di Malta, incaricato dideterminarne lo status e decidere se concedereloro protezione e consentirne la permanenza interritorio maltese o rifiutare la richiesta. Il siste-ma prevede la possibilità di appello; tuttavia,una seconda decisione negativa sfocia in undecreto di espulsione.In genere, i richiedentiasilo vengono trattenuti nei centri di detenzionedai 6 ai 10 mesi in media, a seconda della com-plessità del caso e del numero di persone chehanno intrapreso le procedure di asilo. Richie-denti asilo e migranti vivono una situazioneestremamente frustrante nei centri di detenzio-ne: sono in preda alla preoccupazione perché inmolti casi non sanno esattamente quantotempo resteranno in custodia e non possonoimpiegare il loro tempo in maniera costruttivaper mancanza di attività cui dedicarsi. Associati

alle difficili condizioni di vita nei centri senzalibertà di movimento, questi fattori spesso por-tano alla disperazione e all’insorgere di problemidi salute mentale.Gli operatori dell’agenzia governativa per l’assi-stenza ai richiedenti asilo e gli operatori locali diorganizzazioni non governative, come JesuitRefugee Services, Médecins Sans Frontières e laCroce Rossa, hanno accesso ai centri di detenzio-ne e prestano il loro aiuto offrendo consigli lega-li, assistenza medica e attività educative e ricrea-tive. Anche gli operatori dell’Alto Commissariatodelle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) pos-sono accedervi per vedere i detenuti e monitorarela loro situazione.Rilasciati dai centri di detenzione, i beneficiari diprotezione umanitaria vengono invitati ad allog-giare in centri di accoglienza con libertà di movi-mento e viene offerto un piccolo sussidio mensi-le a coloro che si registrano in tali strutture; tut-tavia, le condizioni di vita spesso non sonomolto diverse da quelli dei centri di detenzione.Trascorso un certo periodo di tempo, i rifugiati sivedono costretti a mettersi alla ricerca di unalloggio indipendente e di una maniera per prov-vedere al proprio sostentamento: se alcuni rie-scono a trovare un’occupazione, per molti sitratta di un processo estremamente difficile.Stabilirsi a Malta è tutt’altro che semplice: moltirifugiati non si sentono benaccetti dalla popola-zione locale e parte delle difficoltà che incontra-no è legata all’adattamento a una cultura diver-sa e ai vari ostacoli da superare per integrarsicon successo in questo paese. Per esempio,molti rifugiati hanno lasciato le loro famiglie neipaesi di origine, ma fino a ora ottenere il ricon-giungimento familiare si è rivelato molto arduo.L’UNHCR collabora con il governo degli StatiUniti e di altri paesi nella ricerca di soluzioni peri rifugiati che risiedono in altri paesi.Il governo maltese, l’UNHCR, le organizzazioninon governative e di altra natura, con la parteci-pazione della comunità dei rifugiati, sono chiama-ti a operare uno sforzo congiunto, indispensabileper migliore la situazione sull’isola. I mezzi dicomunicazione possono ricoprire un ruolo impor-tante mediante il coinvolgimento del pubblico e ladivulgazione di informazioni, creando un ambien-te di consapevolezza e maggiore tolleranza neiconfronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Mireille MifsudProtection Assistant

Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati Ufficio di Malta

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MALTA – Centro di accoglienza aperto Marsa

Davanti alla TV. Il Centro di accoglienza aperto Marsa ospita solo uomini; al suo interno ci sono dei “ristoranti”, due barbieri, negozietti e bancarelle.

L’Atelier Culture Projects opera nella gestione culturale, a livello nazionale e internazionale.

In tutti i nostri progetti ci sforziamo di creare sinergiaall’interno dell’ambito culturale, sia di strutture pub-bliche che private e, allo stesso tempo, in ambientiaziendali dove la cultura diventa un mezzo efficace epossibile di crescita economica e di sviluppo sociale.Il laboratorio intitolato “Un ritratto condiviso: dialogocreativo al Marsa Open Centre” è stato organizzato daAtelier per conto del St James Cavalier Centre for Crea-tivity di Malta. Esso faceva parte di una più ampia struttura che hacoinvolto cinque centri d’arte europei uniti da un pro-getto comune chiamato As_Tide (Art for Social Tran-sformation and Intercultural Dialogue in Europe, l’Artea disposizione della Trasformazione Sociale e del Dia-logo Inter-culturale in Europa), che ebbe luogo tra il2007 e 2009, con il patrocinio del Programme Culturedell’Unione Europea.L’idea portante connessa al progetto consisteva nelruolo fondamentale rappresentato dall’arte e dallacreatività nell’approccio alle innumerevoli sfide postedalla società contemporanea.Il Marsa Open Centre per immigrati è attivo a Malta dal2004-05 ed è situato nella città portuale di Marsa, nonlontano dalla capitale La Valletta. L’obiettivo del pro-getto era sostenere la creazione di un “profilo” condi-viso del Marsa Open Centre. Attraverso un processofinalizzato al dialogo e al raccordo tra lo staff del Cen-tro e un gruppo di creativi (artisti, operatori culturali,ricercatori) esterni al Centro, il laboratorio si appresta-va all’osservazione di quest’ultimo con l’obiettivo dielaborare una visione comune tra i partecipanti, perdare spazio a sogni, aspettative e nuove prospettive.Il processo è stato collaborativo: da una parte gli “ester-ni” e dall’altra lo staff del Centro, che insieme hannocontribuito alla realizzazione del laboratorio. Alla finedell’esperienza, tutti i partecipanti hanno avuto la sti-molante opportunità di osservare e percepire lo spaziofisico e psicologico in cui essi hanno operato in manieradiversa, con occhi diversi e da diversi punti di vista.Buona parte dei processi di comunicazione hannoormai avuto inizio e le dinamiche di gruppo hannoaiutato tutti a contribuire e a condividere l’esperienza.Il laboratorio ha raggiunto risultati promettenti e alcu-ne tra le “visioni” o le “idee” emerse durante l’incontroper migliorare il benessere del Centro, sono state appli-cate tangibilmente nei mesi successivi.

Natasha Borg e Sara Falconi Atelier culture.projects

Per maggiori informazioni relative ai nostri progetti consultare il sito: www.atelierculture.com

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«Nel marzo del 2008, ero incin-ta di quattro mesi. Siamo statiper qualche tempo in Sudan,prima di attraversare il deserto.Ci sono voluti 26 giorni perattraversarlo e raggiungere laLibia.In agosto ins ieme ad a l t r isomali che vivevano a Tripoliabbiamo deciso che non sipoteva più aspettare...Dopo il mio arrivo a Malta, mihanno preso le impronte digita-li e mi hanno ricoverata in unospedale molto grande dovesono rimasta per due giorni.Non avendo complicazionilegate a l la grav idanza, mihanno dimessa e mandata nelcentro di detenzione.

Dopo 23 giorni è nato miofiglio: la sua prima casa è statoil carcere. Non mi aspettavoquesto tipo di accoglienza inEuropa! Non avevo nulla peraccudire il mio bambino: hotagliato i miei vestiti per farnepiccoli pannolini. Il mio senonon aveva abbastanza latte pernutrirlo.

Il mio bimbo è rimasto nel cen-tro di detenzione per i primi 37giorni della sua vita. A metàottobre, ci hanno rilasciati eaccolti in un altro centro. Aisha,la mia primogenita di 20 anni, èr imasta ne l ca rce re f ino adicembre: quando le assistentimi hanno detto che io e miofiglio potevamo uscire e Aishano perché adulta, all’inizio horifiutato. Ma dopo alcuni giorniho dovuto cambiare idea.Mi hanno praticamente impo-sto di scegliere tra i miei duefigli. E ho scelto di stare conquello che aveva più bisogno diaiuto e di protezione...»

Donna somala

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MALTA - Le 120 donne che occupanoil Centro di accoglienza femminile Hal Far sono maggiorenni e nubili.

All’arrivo, i migranti ritenuti provenientida paesi “sicuri”, come l’Egitto e il

Marocco, vengono immediatamenteespulsi, gli altri vengono trattenuti

fino a un anno e mezzo neicentri di detenzione, mentre iloro casi vengono esaminati.

Una volta rilasciati, se nedispone il trasferimento incentri di accoglienza aperti

o in tendopoli. In applicazione delle

normative europee, siimpedisce di lasciare il

paese anche a coloro cuiviene concesso asilo oprotezione umanitaria.

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MALTA - Centro di accoglienza perfamiglie Hal Far

Habdulrahman, sua moglie Muna e illoro figlioletto Mahad vengono dallaSomalia. Sono costretti a vivere separatigran parte del tempo perchél’imbarcazione su cui viaggiavaHabdulrahman è approdata in Italia,dove lui vive, mentre Muna è sbarcata aMalta. Sono stati quindi registrati indue paesi diversi e secondo ilregolamento Dublino II lo statomembro dell’UE responsabile dell’esamedi una richiesta di asilo è il primo paesedi accesso. Uno degli scopi principali diquesto regolamento è impedire airichiedenti asilo di presentare domandain più stati membri e ridurre il numerodi “richiedenti asilo vaganti” che sispostano da un paese membro all’altro.

Secondo il Consiglio Europeo per iRifugiati e gli Esiliati (ECRE) e l’AltoCommissariato delle Nazioni Unite per iRifugiati (UNHCR), il sistema attuale èinadeguato a fornire una protezionegiusta, efficiente ed efficace.L’applicazione di questo regolamentopuò causare considerevoli ritardi nellapresentazione delle domande e ilmancato esame di alcune di esse.Preoccupa inoltre il ricorso alladetenzione per forzare il trasferimentodei richiedenti asilo dallo stato in cuihanno presentato la domanda allostato ritenuto responsabile diesaminarla (i cosiddetti “trasferimenti diDublino”), la separazione delle famigliee il diniego di un’opportunità concretadi appellarsi contro il trasferimento. Ilsistema di Dublino sottopone inoltre auna pressione crescente gli stati aiconfini dell’UE, che spesso sono quellimeno in grado di offrire appoggio etutela ai richiedenti asilo.

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Medici

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Ad aprile 2009 MSF pubblica il rap-porto “Not criminals” per denunciarele condizioni di vita inaccettabili edisumane nei centri di detenzione diMalta e rinnova la richiesta di miglio-ramento immediato delle condizionidi vita nei centri.

In numerose occasioni MSF ha solleva-to il problema delle condizioni dei cen-tri di detenzione alle autorità maltesi:nonostante alcuni migl ioramentiapportati, i centri sono ancora lontanidagli standard minimi di accoglienzaper i richiedenti asilo istituiti dallaCommissione Europea. Nel mese dimarzo, MSF ha sospeso le attività all’in-terno dei centri di detenzione e ha pub-blicamente denunciato le condizioni divita e i rischi connessi a cui i migranti ei rifugiati politici erano esposti. Nelrapporto “Not Criminals”, MSF eviden-zia le inaccettabili condizioni di vita deicentri e l’impatto conseguente sullasalute fisica e mentale dei migranti edei rifugiati a Malta.MSF ha cominciato a operare a Maltanell’agosto del 2008. Tra agosto 2008 efebbraio 2009 MSF ha effettuato 3.192visite mediche a circa 2.000 pazienti intre centri di detenzione. Tra dicembre2008 e febbraio 2009, MSF ha condot-to 266 consultazioni psicologici indivi-duali e organizzato 30 sessioni di grup-po di educazione alla salute. Nonostan-te la sospensione delle attività nei cen-tri di detenzione, MSF continua a forni-re assistenza medica ai migranti e airifugiati politici che vivono in centriaperti, dove i detenuti sono trasferitinel momento in cui le rispettive prati-che di asilo sono completate o in segui-to al completamento del periodo di 18mesi di detenzione.

Nel febbraio del 2009 il Peace Lab, incollaborazione con MSF, ha apertouna clinica all’interno delle propriestrutture per prestare assistenza acoloro che vivono nell’area di Hal Far.

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senza frontiere a Malta

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Questo fenomeno non è certo passato inos-servato dai politici, dal pubblico maltese edai mass media. I sondaggi rilevano costan-temente che l’esodo dall’Africa è fonte dipreoccupazione per i maltesi e l’appello deipolitici ai “fratelli” europei è chiaro: “Aiuta-teci, o qui noi affoghiamo”. Quasi tutti con-cordano sul fatto che la nostra isola, con piùdi 400.000 abitanti, e con una densità dipopolazione altissima, non può economica-mente, socialmente e culturalmente soste-nere questa “massiccia” immigrazione.Sarebbe stato lecito reagire agli sbarchi degliimmigrati con un allarme cauto, soprattuttodi tipo logistico, ma non con tutto quellosmarrimento che spesso si è trasformato inun vero e proprio panico collettivo. Èd èsignificativo che verso gruppi di immigratieuropei, molto più numerosi rispetto ai sei-mila africani sbarcati finora, non c’è maistata questa forte percezione di “mancanzadi spazio”. Vi è un’altra realtà fatta di paurae insicurezza, ed è quella vissuta dagliimmigrati. Paura di non trovare lavoro, dinon avere più contatti con la famiglia d’ori-gine, di non riuscire a raggiungere un paesecon più opportunità. È incertezza del futu-ro, ma anche del presente.

Apprensione che, in parte, viene anche dalnon sentirsi accolti, accettati. Vedere che lagente non si siede accanto a te sull’autobus,sentire continui commenti spiacevoli, osemplicemente incontrare uno sguardo osti-le, quando tutto questo diventa cosa di ognigiorno ha inevitabilmente un effetto psico-logico, oltre che pratico. Ai “neri” a Maltanon sempre è permesso salire sugli autobus,entrare in un locale o trovare un lavoro. Esistono anche casi più estremi, come quel-lo di Suleiman. Suleiman è morto lo scorsogiugno, dopo che gli era stato rifiutato l’in-gresso in un locale. Per aver protestato, ilbuttafuori gli ha dato un gran cazzotto sullafaccia. È caduto, ha perso conoscenza e, unavolta a terra, dei ragazzi maltesi hanno con-tinuato a prenderlo a calci. Suleiman èmorto una settimana dopo in ospedale. Noi che lo conoscevamo, provando rabbia einquietudine per la direzione ostile che ilnostro paese stava prendendo, abbiamoorganizzato la prima dimostrazione anti-razzista a “Piacevole”, luogo di divertimen-to oltre che teatro dell’aggressione a Sulei-man. Le centinaia di persone, molti di loroimmigrati, che hanno marciato con grandesdegno e tristezza in questa zona “razzista”

speravano di rompere il silenzio sull’odioche stava nascendo, ma nessuno ha reagito,nemmeno i politici. Anzi, il mese successivo,Abdulfatah, un immigrato dalla Somalia, èstato pestato a sangue a Hal Far, una zonadisabitata, dove si trova un grande centro diaccoglienza per gli immigrati. Ancora unavolta abbiamo gridato che se i nostri politicie le nostre istituzioni continuavano a tacereanche loro si sarebbero resi complici. Ma ilsilenzio è stato assordante. La parola che può meglio descrivere lasituazione maltese è “ignoranza”. Quandola gente ignora la cultura di chi è “altro” dasé, in questo caso gli immigrati africani, èinevitabile che la reazione a una convivenza“forzata”, non regolamentata, sia di rifiuto.E l’Europa deve fare molto di più, perchéregole come quelle della Convenzione diDublino, dove si stabilisce che l’immigratodeve per forza stare nel primo paese euro-peo in cui ha chiesto asilo, sono soltantol’espressione di un’Europa Fortezza cherende la vita degli immigrati e dei paesi di“accoglienza” sempre più dura. I due partiti politici rappresentati in Parla-mento, i Laburisti e i Nazionalisti, sonod’accordo nel dire che Malta non può

Dal 2002, a Malta sono cominciate ad arrivare le prime barche,quasi tutte provenientidall’Africa subsahariana,piene di immigrati incerca di asilo...

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sostenere questa migrazione “illegale” e chequesto fenomeno può avere ripercussionidisastrose sull’economia e sulla societàmaltese. Alcuni sono perfino arrivati a direche ci troviamo davanti a una crisi naziona-le. O addirittura, in fatto di sicurezza,abbiamo sentito il nostro ministro degliAffari Interni sostenere, quasi impaurito,che ci potevano essere dei terroristi o deicriminali tra “quella gente ignota, senzadocumenti”. Il partito Laburista e quelloNazionalista sono anche in perfetta sinto-nia nell’affermare che accordi di respingi-mento verso la Libia sono auspicabili edentrambi hanno elogiato l’Italia per lenuove prassi di respingimento collettivo.Naturalmente questi discorsi sono tuttiriportati, senza ombra di critica, su tutti igiornali e le tv maltesi controllate da questidue partiti politici.Troppo spesso l’immagine che ci viene dataè quella di un immigrato arrabiato, ingrato,incivile, che distrugge ciò che i contribuen-ti maltesi hanno pagato o che va in ospeda-le in manette scortato da un soldato… ilcollegamento è immediato: se bisogna rin-chiudere questa gente significa che è peri-colosa. La detenzione diventa un confine

che stabilisce delle categorie molto rigide diun “noi” e di un “loro”.Un altro aspetto che alimenta l’allarmegenerale è il modo in cui vengono gestiti icentri di accoglienza. Usciti dai luoghi didentenzione, gli immigrati alloggiano inuno dei centri aperti creati dal Governo sul-l’isola maltese. Il fatto che possano contaresu un posto dove stare è molto positivo. Ilproblema sta nella scelta di aver creato deicentri grandissimi, capaci di ospitaremigliaia di persone, soltanto in due località,a Marsa e a Hal Far, concentrando così gliimmigrati africani in due aree specifiche.Questo politica del ghetto rende inevitabil-mente gli immigrati più “visibili”, raffor-zando inoltre una percezione errata delnumero di persone ospitate sull’isola.Anche nel resto d’Europa, discorsi e politi-che producono intolleranza e paura neiconfronti dell’emigrazione, e l’accento vieneposto con enfasi sulla lotta all’immigrazione“illegale”. Abbiamo assistito a misure, comequella di Frontex, per bloccare l’immigrazio-ne e, implicitamente, il diritto d’asilo chehanno contribuito, come nel caso delladetenzione, ad aumentare in noi maltesi enegli extracomunitari il senso di insicurezza:

se occorre proteggere la frontiera europeacon le navi militari vuol dire che la minacciaè grande. Il confine fisico e sociale tra “noi”e “loro” diventa così sempre più rigido, purtuttavia non impenetrabile. Dare un’imma-gine dell’Africa come di un paese “incivile”è una vecchia strategia dei colonialisti cheavevano l’intento di giustificare il propriopredominio. Ancora oggi si rimane ancoratiai vecchi stereotipi, senza tener presenteche la cultura africana è il risultato di disu-guaglianze e ingiustizie globali. Molti, come me, si sentono smarriti di frontea questa fobia dell’immigrato. Credono,come la Storia insegna, che essa produca sol-tanto delle azioni orribili che la gente nonavrebbe neanche lontanamente pensato difare in un altro contesto. Ma dobbiamo ricor-dare che, se la paura è, più che altro, costrui-ta da un processo politico e sociale anzichénaturale, allora può anche essere distrutta.Sta a noi rompere questo il circolo vizioso,annientare quei confini rigidi che sono solo ilrisultato della paura e dell’ignoranza.

André CallusONG Maltese Moviment Graffitti

www.movimentgraffitti.org

Confini e paure

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L’organizzazione John XXIIIPeace Lab è stata fondata con i precipui scopi di:

• contrastare qualsivoglia teoria e praticache diffonda la superiorità di un gruppo sudi un altro;• di incentivare la comprensione reciprocaindipendentemente dal proprio credo, colo-re e nazionalità;• promuovere e preservare la giustizia sociale.Per raggiungere questi scopi, oltre a forni-re alle scuole locali libri sulla vita e le operedi persone che hanno predicato e diffusotra le genti le idee di pace, cooperazione,giustizia sociale e rispetto per i diritti umani,si occupa di:• tenere un programma radiofonico setti-manale nel quale vengono trattati temi

riguardanti sviluppo e giustizia;• intervenire in programmi radio-televisivi econ articoli nei giornali locali;• organizzare seminari aventi per tema la pace,la giustizia sociale, l’ambiente, il razzismo;• collaborare con altre ONG;• dare rifugio agli “immigrati illegali”.

Abbiamo cominciato a occuparci di “im mi -grati illegali” quando queste persone hannoiniziato a essere alloggiate nella caserma diHal Far e il nostro spirito cristiano ci haspinto ad accoglierli per aiutarli nella lorotriste condizione. Conoscendoli meglioabbiamo appreso le circostanze che lihanno costretti a lasciare il proprio paese ele proprie famiglie e, venendo a conoscenzadi quanto accaduto a coloro che sono statirimpatriati, abbiamo protestato con leautorità contro il modo in cui vengono

trattati, contro i loro essere detenuti comefossero criminali e contro la procedura chenon dà loro la possibilità di dichiarare illoro stato di rifugiati. Abbiamo anche intentato causa contro illoro essere rimpatriati. Ora la situazione stacambiando: a un buon numero di persone èstato concesso di vivere in abitazioni, incentri oppure in “open camps” messi a lorodisposizione dal Governo, dalle istituzionireligiose o da organizzazioni di volontaria-to. Alcuni, inoltre, riescono a trovare impie-go nel settore privato anche se con stipendiinferiori rispetto ai cittadini maltesi e conorari e condizioni di lavoro spesso più duri.Durante la Conferenza Nazionale sull’immi-grazione irregolare abbiamo presentato lanostra posizione: «Riteniamo che il docu-mento programmatico del Governo rappre-senti un miglioramento rispetto alla que-

John XXIII Peace Lab

Per il Natale 2009 il Xmas Projectha scelto di sostenere l’AssociazioneJohn XXIII Peace Lab fondata dalpadre francescano Dionysius Mintoff,che da più di trent’anni si occupa, aMalta, di dare sostegno e aiuto allepersone che giungono sull’isola con ibarconi dei viaggi della speranza. Il progetto consiste nell’avviamentodi una radio, che dovrà essere unavoce amica, un collegamento con ilmondo e soprattutto una fonte diinformazione, educazione e notizieper i migranti e richiedenti asilo chesi trovano a Malta.

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stione della detenzione degli immigrati.Tuttavia continuano a persistere alcuneambiguità e posizioni inaccettabili».Misure alternative alla detenzione devonoessere sviluppate e intraprese in ogni possi-bile circostanza, in particolare rispetto airichiedenti asilo che potrebbero essereimprigionati, torturati e maltrattati nei loropaesi di origine. In aggiunta alcune categorie vulnerabilidovrebbero di norma non essere sottopostea misure detentive, tra cui donne con bam-bini, anziani, disabili fisici e psichici.

In questo quadro di crescente necessità,Peace LAB ha intrapreso nel territorio diHal Far il progetto di fornire riparo eassistenza ai richiedenti asilo. Mi auspico, come direttore di Peace Lab,che oltre ai migranti e ai richiedenti asilo, ilocali di Peace Lab possano ospitare anchealtre ONG, sia nazionali sia internazionali,che condividono le stesse idee.Quando Malta ha iniziato a ricevere le primeondate migratorie, con i miei fratelli e colle-ghi di Peace Lab ho deciso di non ignorare il

cambiamento in atto e abbiamo pertantocominciato a visitare i centri di detenzionecercando non solo di aiutare coloro che vierano rinchiusi, ma anche di rendere parte-cipe il mondo esterno di quello che questepersone stavano attraversando. Peace Lab ha anche intrapreso la campagnaper evitare la detenzione di bambini e dialtre fasce più vulnerabili, ma soprattutto sibatte contro la politica di detenzione auto-matica dei migranti, dei rifugiati e deirichiedenti asilo.Dopo i 16/18 mesi di detenzione previstidalla legge Maltese, Peace Lab si sforza dioffrire riparo ai migranti, dimostrando cosìche l’impegno dell’organizzazione non èfatto di sole parole. Oltre ad aprire le propriestrutture, Peace Lab ha iniziato a organizza-re corsi di inglese e a fornire altri strumentiutili per affrontare il mondo del lavoro.

Dal Febbraio 2002 Peace Lab offre riparoe ospitalità a 45 migranti, mentre nel2005 ha siglato un accordo con le Autoritàmaltesi per fornire alloggio a 20 richiedentiasilo e immigrati irregolari.

Lo Stato provvede all’assistenza primaria elo scopo di Peace LAB è di dare a questepersone gli strumenti per realizzare un’esi-stenza migliore, una vita dignitosa metten-dole in grado di sfruttare le proprie poten-zialità e di integrarsi nelle comunità in cuivivono.Dal 2005 Peace LAB ha anche intrapresola gestione di cliniche volte alla curamedica e all’aiuto spirituale delle centinaiadi persone che si riversano settimanalmentenei centri medici.Nel Febbraio 2009 Peace LAB, in collabo-razione con Medecins Sans Frontieres, haaperto una clinica presso il proprio centrofornendo cure immediate, supporto infer-mieristico e psicologico, ma soprattuttosollevando così anche il carico di affluenzepresso l’Ospedale Policlinico a Floriana.Da Maggio 2009 è stato anche aperto unpiccolo Internet Café all’interno del centrodi Hal Far per consentire ai richiedenti asilodi mantenere attiva un’effettiva comunica-zione con le loro famiglie di origine.

Padre Dionysius Mintoff

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Il progetto 2009.Onde radioad Hal Far

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Action for Social Support and Empowerment through Radio Transmission (ASSERT)Progetto per il supporto e il rafforzamento sociale tramite trasmissioni radiofoniche

OBIETTIVI GENERALI DEL PROGETTO

• Creare un servizio radiofonico multilingue rivolto ai migranti provenienti da paesi in via di sviluppo, agli apolidi e adaltre persone che si trovano in permanenza a Malta o che desiderano spostarsi in altri paesi.

• Produrre in diverse lingue, una varietà di programmi di interesse comune tra i migranti a Malta come per esempioun notiziario e un bollettino informativo, programmi di educazione civica e musica multiculturale.

• Procurare e distribuire piccole radioline al fine di rendere fruibile l’ascolto presso i gruppi di riferimento.

DESCRIZIONE DEL PROGETTO

• Affitto di uno spazio di radio frequenze per due ore al giorno per un anno

• Creare gli spazi necessari per gli uffici e acquistare materiali e attrezzature per la radiotrasmissione

• Realizzare una varietà di programmi multilingue, che prevedano interviste dal vivo, interventi telefonici, notiziari,musica multietnica e programmi di informazione generale.

• Distribuire piccole radioline ai gruppi di riferimento.

SCOPO DEL PROGETTO

• Sviluppare, attraverso la radio, capacità, conoscenze e attitudini positive tra i migranti, siano essi stanziali a Malta odesiderosi di spostarsi verso altri paesi.

• Stabilire un contatto con e tra queste persone - attraverso trasmissioni radio multilingue e multiculturali - al fine diridurre il divario informativo e di stimolare rafforzamento e autostima attraverso l’apprezzamento della propriacultura di origine e di quella altrui.

• Migliorare le competenze civiche individuali al fine di mettere queste persone in condizione di farcela autonomamente edi essere capaci di integrarsi nel paese ospitante come cittadini attivi.

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Voci di Spesa 2010 COSTO IVA TOTALE

Costo del Personale 5,000 900 5,900

Acquisto/Noleggio/Leasing di attrezzature 8,372 1,507 9,880

Beni di consumo e approvvigionamenti 3,000 540 3,540

Subcontracting 9,050 1,629 10,697

Totale 25,422 4,576 29.998

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www.peacelab.org

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John XXIII Peace LabZRQ 2609 Zurrieq Hal Far, MaltaT (+356) 2168 9504 F (+356) 2154 1591 [email protected]

Peace Lab is a member of SKOP, The National Platform of Maltese NGDOs

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Io non ho paura. Ce lo dicevano Niccolò Ammaniti e, a seguire, GabrieleSalvatores in uno dei suoi più bei film di sempre. Io non ho paura.Un’affermazione per farsi coraggio più che un’espressione credibile.Perché la paura esiste, in ognuno di noi. Paura di fare, paura di non fare,paura di sbagliare, paura del diverso, paura di cadere, paura di morire,paura di guardare, paura di credere, paura di dire la verità, paura diesprimersi, paura del passato, paura del presente, paura del futuro, pauradi sé, paura degli altri. Paura di tutto. La paura è una delle espressionifacciali che appartiene a tutte le culture del mondo. Chi è uomo hapaura. A volte di fronte alla paura scappiamo, altre volte la affrontiamo aviso aperto. A volte vinciamo. A volte no. Quando decidiamo di farcicoraggio, alla paura rispondiamo con la speranza, con l’idea di potercelafare. Ogni paura certo è rispettabile e ha piena dignità. Dignità di esisterepoiché umana, troppo umana. Ma forse la paura che accompagna i viaggidella speranza ha davvero poco a che fare con la nostra. Immaginate perun attimo di vivere in un inferno. Un inferno fatto di guerra, violenza,carestia, sete, fame, malattia, morte. Ora immaginate di decidere discappare da questo inferno. Scappare significa sì lasciare l’inferno, maanche tutto il resto: la famiglia, i figli, gli amici, l’amore, la propria casa.Tutto. Il viaggio della speranza è la paura violenta del presente e lasperanza nel futuro. Il viaggio della speranza è traghettare dall’inferno alparadiso. E noi, che scriviamo e che leggiamo, il paradiso lo siamoveramente. Ci può sembrare impossibile, ma lo siamo davvero. La pauraquindi combatte arcigna contro la speranza. Tanto forte l’una, tanto fortel’altra. E quando la speranza vince, ecco che l’uomo parte. Noi lochiamiamo coraggio e applaudiamo l ’uomo. Nonostante tutto.

Illustrazioni di Viviana Spreafico e Alberto Ipsilanti.

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Noi, Xmas Project

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Timori e desìo (un nipote e il suo bisavolo)... né prosa né poesia…

Il nipote

Non c’è niente che mi manca perch’è tutto che io hoLa nebbia s’insinua e di nuovo (mi ritrovo) solo io. A presentireMa la mia ambizione non si fermaDevo continuare, ampliare, possedere, ingrassare, prosperare.Chi è colui che può ostacolare, che mi può fermare?È colui che non conosco, che non mi è uguale? Lo guardo di sbieco, poco attentamente, sento qualcosa molto internamenteFors’è il ricordo di aver dimenticato, fors’è un segreto del mio passato Ora è lo stomaco che già reagisce, si strizza e contorce più non capisceCosa provo davvero? Devo indagareÈ tutto troppo sottile, troppo in profondoForse son vile? Non mi guardo piùLo guardo ancoraVeste male, parla male, è scuro in viso, di malessere sta intriso Ha un odore che colpisce, uno sguardo che ferisce Cosa mai potrà portare, in che modo agevolare,quale beneficio, che vantaggio procurare? Vedo invece che minaccia, già dal mare mostra la facciaE non smette di arrivare sulle barche senza sostaNiente si può fare non si riesce ad arginareTurberà i nostri sonni, riempirà i marciapiedi Toglierà il decoro, prenderà il lavoroPunterà il suo dito, avrà tutto garantito, proprio così ho sentitoToglierà l’aria vitale, il rischio più grande lasciarlo passareIn fondo chi teme è perch’è brava gente, e s’è dunque ver che buon sangue non mentecon il conforto della pubblica opinione, del bar sotto casa e la televisione mi stringo a braccetto con gli altri miei uguali ed aiutandoci con la pauraci opporremo alla natura.

Il bisavolo

Andar per mare ! Soltanto questo io devo fareDi là dall’oceano c’è la fortuna, terra per tutti da coltivareLettere parlano e i racconti confermano… tutti lo diconoPane terra libertà Pace iniziativa opportunitàLavoro uguaglianza fraternitàCerto sì è vero non so parlareCerto può darsi potrei naufragareChissà la fortuna mi può abbandonareE se quel paese non mi accetterà?Forse la gente mi sarà ostile ma dopotutto è un paese civileE se poi terra non ci sarà?La cosa sicura è che qui non ce n’è, invece di là dicon tutti che c’èE se tutto voltasse contro?A qualsiasi ingiustizia, affronto o torto non mi piegherò, a men ch’io sia mortoE se invece io non partissi?Non saprei mai se sbagliai, maledirei che non tentai, m’accuserei vile che fuiSarà poi questa la mia audacia, salto nel buio, prova del fuoco Sarà poi la mia partenzaa garantire sussistenza, migliorare l’esistenza, preservare l’innocenzaconsentire altra gente rimanere alla sua terra, rimanere alla mia terraterra mia che pur lontano nutrirò, non dimenticherò, sempre sosterrò, anche per lei lavorerò In terra straniera lascerò i miei semi miglioriFallissi io, là nasceran figli, cresceranno nipotiE già solo a nascer saran cittadini Frutti bellissimi figli del grande sognoE ci ricorderanno loro E loro ci ricorderannoPieno di nuova emozione mi accingo a salparela ferma paura rimarrà a guardarela speranza che invece ha già preso il mare.

ADDA

Ieri

“Generalmente sono di piccola statura edi pelle scura. Non amano l’acqua, moltidi loro puzzano, perché tengono lo stessovestito per molte settimane. Si costrui-scono baracche di legno e alluminio nelleperiferie delle città dove vivono, vicini gliuni agli altri. Quando riescono ad avvici-narsi al centro affittano a caro prezzoappartamenti fatiscenti. Si presentanodi solito in due e cercano una stanza conuso di cucina. Dopo pochi giorni diven-tano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano

lingue a noi incomprensibili, probabil-mente antichi dialetti. Molti bambinivengono utilizzati per chiedere l’elemosi-na; sovente, davanti alle chiese, donnevestite di scuro e uomini quasi sempreanziani invocano pietà, con toni lamen-tosi e petulanti. Fanno molti figli che fati-cano a mantenere e sono assai uniti tradi loro. Dicono che siano dediti al furto e,se ostacolati, violenti. Le nostre donne lievitano, non solo perché poco attraenti eselvatici, ma perché si è diffusa la voce dialcuni stupri consumati dopo agguati instrade periferiche quando le donne tor-

nano dal lavoro. I nostri governantihanno aperto troppo gli ingressi allefrontiere ma, soprattutto, non hannosaputo selezionare tra coloro che entra-no nel nostro paese per lavorare e quelliche pensano di vivere di espedienti o,addirittura, attività criminali.”

.....“Si propone che si privilegino i veneti e ilombardi, tardi di comprendonio e igno-ranti, ma disposti più di altri a lavorare.Si adattano ad abitazioni che gli Ameri-cani rifiutano purché le famiglie riman-

gano unite e non contestano il salario.Gli altri, quelli ai quali è riferita granparte di questa prima relazione, proven-gono dal sud dell’Italia. Siete invitati acontrollare i documenti di provenienza ea rimpatriare i più. La nostra sicurezzadeve essere la prima preoccupazione”.

DALLA RELAZIONE DELL’ISPETTORATO PER

L’IMMIGRAZIONE DEL CONGRESSO AMERICANO

SUGLI IMMIGRATI ITALIANI NEGLI STATI UNITI,OTTOBRE 1912

Francesca Nicoli

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Speranza

Non chiedere al filo d’erba fino a quando resterà verde, né alla farfalla se i suoi colori svaniranno, non chiedere ad una bimba dallo sguardo un poco smarrito quant’è grande il suo desiderio di volare…

Domani, ancora, ci saranno prati verdi e farfalle colorate, l’alba di un nuovo mattinocancellerà le ragnatele del giorno passatoe illuminerà di speranzale ombre della notte.

Rosanna Travaglino

sperànza [spe’rantsa] s.f.

aspettazione fiduciosa di qualcosa in cui si è certi oci si augura che consista il proprio bene, o di qualco-sa che ci si augura avvenga secondo i propri desideri

nutrire, riporre speranzadare, infondere speranzaaprire il cuore alla speranzala speranza gli sorridenon c’è più speranzala speranza di vincerela speranza di tornaresenza speranzasenza speranza di scampola speranza di rivederlasperanza fallace, speranza vanauna pallida speranzaancora un filo di speranzauna mezza speranzaoltre ogni speranzala nostra speranzala speranza del futuroun giovane di belle speranze

è la mia unica speranzal’ultima speranzala speranza è l’ultima a morire

Stefano D’Adda

paùra [pa’ura] s.f.

stato d’animo, costituito da inquietudine e graveturbamento, che si prova al pensiero o alla presenzadi qualcosa, di reale o immaginario, che è o sembraatto a produrre gravi danni o a costituire un perico-lo attuale o futuro

paura della mortepaura della guerrapaura del fulminepaura degli esamipaura del buiopaura di cadereimpallidire per la paurabattere i denti di paurafarsi venire i capelli bianchi dalla pauramorire di paura e paura di moriremettere pauraavere paura anche della propria ombraessere mezzo morto di paurabrutto da far paura

niente paura!non aver paura!

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Io ho paula dei cani.Franciulli

Io ho paura dei tori, del leone, dei lupi e ... anche di un fantasma.

Lucy

Oggi ho chiesto a mio figlio di 5 anni che cosa fosse per lui la paura…Mi ha risposto: «Mamma, la paura è quella cosa che ti viene quandoun tuo compagno ti fa prendere uno spavento… ma è anche allasera… quando devo andare in un’altra stanza da solo e non voglioandarci perché ho paura che ci siano i mostri, ecco questa è la paura!Mamma mi accompagni sempre tu, vero?».Ho sorriso pensando alla sua piccola speranza…

Paola Toniolo

La mia prima paura

Il luogoAccidenti! A pensarci bene non mi sembra chesiano trascorsi così tanti anni ed invece sonoalmeno 34 o 35. Ricordo vagamente la stagio-ne, ma era prima di cena ed era già buio perciò,verosimilmente, doveva essere in inverno. Lacasa era quella di Milano, in via Brusuglio 38, alterzo piano e la stanza era la cucina. La sediaera verde come il piano che rivestiva la cucinae il tavolo si trovava sul lato opposto al pianodi cottura esattamente tra la porta di ingressoe la porta finestra che si affacciava al balcone.

Il fattoPapà e mamma dovevano andare a prendereCristina (mia sorella maggiore) che terminavala lezione di chitarra a plettro dal maestro dimusica. Credo che la casa del maestro si tro-vasse a pochi minuti dalla nostra ma sarebbestata una vera imprudenza far rientrare da solauna ragazzina delle scuole medie con la chitar-

ra per i quartieri periferici di Milano...

La storia Papà e mamma mi salutarono cercando di ras-sicurarmi che sarebbero tornati a breve. Io indossavo una maglia bianca e per inganna-re l’attesa, ubbidiente, mi sedevo sulla sediadella cucina e proseguivo con i miei ferri (inplastica color avorio) a fare la maglia. Appenala porta si chiudeva e calava il silenzio miaccorgevo che tutti i rumori, mai percepiti inaltri momenti diventavano motivo di allarme edi angoscia. Il mio cuore iniziava ad acceleraree il motore del frigorifero o lo scricchiolaredella sedia erano sufficienti per gettarmi nelpanico. Ovviamente tutto ciò innestava unaserie di fantasie che, come un effetto domino,amplificavano le mie paure. Mi immaginavocome sarebbe stata la mia reazione se qualcu-no avesse forzato la porta di casa ma subitorealizzavo che avevo i miei ferri, ribadisco diplastica, che avrei utilizzato per difendermidagli aggressori!

Tra un pensiero e un punto a maglia il tempotrascorreva e, benché a me sembrasse eterno,in realtà subito dopo ritornavano papà, mam -ma e Cris. Credo che loro non immaginasserolontanamente che io potessi essere così fifonaed è pur vero che io negavo le mie paurefacendo credere loro di avere una figlia corag-giosa e audace.Sono passati 35 anni ma la sensazione di pauraè incredibilmente la stessa, coraggiosa non losono mai stata e come allora a volte mi vergo-gno di confessare le paure ma nella maggiorparte dei casi ho imparato a dominarle e a rac-contarle, scoprendo così che alla fine siamo unpò tutti fifoni e che abbiamo provato tuttiquelle spiacevoli sensazioni anche se alladomanda risponderemmo sempre “in fin deiconti è fatta di niente“.

Chicca Poletti

P.S. Sarà un caso, ma ho scelto di abitare alsesto piano!

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Io non ho paura di niente, anzi ho un po’ paura del lupo e di perdermi. Ho anche paura che mia sorella

Irene, che continua a muoversi, rompe il letto a castelloe mi viene addosso che sono sotto. Spero quindi

di non incontrare mai nessun lupo e se mi perdo mi sparo.

Camilla Fiorini

Io invece ho paura

Ho sempre avuto paura. Di tantissime cose. Di chi ti fa sentireinadeguata , e degli anni che si perdono inutilmente cercando dirincorrere l’affetto e l’approvazione di chi sposta sempre l’obiet-tivo, così che non lo raggiungerai mai, fino a quando scopri chenon ti interessa più raggiungerlo.Ho paura dell’arroganza e degli arroganti. Ed è arroganza pretendere di guidare senza rispettare il codice, ecosì in una notte di nebbia uccidere in un sorpasso imbecille,due ragazze di 18 e 20 anni; e la ragazzina di 18 era a scuola conmia figlia, e l’ho rivista alla camera mortuaria, e non mi tolgodagli occhi il suo visino. E non mi tolgo dalla mente l’idea chemolti, troppi, di coloro che insultano il ragazzo che le ha uccisesiano degli arroganti che guidano senza rispettare limiti o divietidi sorpasso.Ho paura delle persone che trasformano il non essere d’accordo inaggressioni personali. Come se lo scopo non fosse capire e farsicapire, o convincere delle proprie idee, ma annientare l’altro, comein una lotta da cui esce vincitore il più cattivo e becero. Ed è veroche l’unico modo per vincere è non giocare, ma è vero anche che sista perdendo la capacità di discutere delle divergenze.

Ho paura delle persone che hanno sempre insegnato la com-prensione e la correttezze e che poi, giustificate da un dolorepersonale, azzannano a destra e sinistra e non puoi difenderti,perché loro soffrono. E si è costretti a scegliere se accettare difare da bersaglio o scappare.Ho paura di questa generazione di adulti, che si muove per spin-te emotive, che non sa assumersi la responsabilità di essereesempio e argine per i figli ma solo eterni coetanei, troppo occu-pati a seguire se stessi per aver tempo di ascoltare e di porsi qual-che domanda. E ho paura per le mie figlie, che crescono in unpaese sempre più cialtrone e stupido. Non ho grandi risposte da dare e da darmi contro queste paure,anche se credo che alcune piccole regole possano aiutare, eprovo ad applicarle; il rigore, il fare tutti i giorni il proprio doverecon serietà, senza prendere in giro se stessi, senza auto assolversidi fronte agli errori. Evitare il più possibile persone e situazioniche feriscono perché da feriti si diventa spesso cattivi. E cerco diapplicare il consiglio che mi ha dato mia sorella Elena questaestate, apparentemente banale, di essere gentile anche, e soprat-tutto, nei rapporti familiari. Forse si può coltivare una faticosasperanza.

Sandra Casadei

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Spero che diventerò uno che giocherà in nazionale di calcio.Ho paura di essere rapito dai ladri.

Ettore D’AddaEmma e il lupo

«... parura? Io non ho parura... io sono la Emma!»

Emma Gallio

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Chi sogna i milioni, chi gioca d’azzardo chi gioca coi fili chi ha fatto l’indiano chi fa il contadino, chi spazza i cortili chi ruba, chi lotta, chi ha fatto la spia na na na na na na na na na Ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, uh uh... Chi è assunto alla Zecca, chi ha fatto cilecca

chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori chi legge la mano, chi regna sovrano

chi suda, chi lotta, chi mangia una volta chi gli manca la casa, chi vive da solo

chi prende assai poco, chi gioca col fuoco chi vive in Calabria, chi vive d’amore

chi ha fatto la guerra, chi prende i sessanta chi arriva agli ottanta, chi muore al lavoro

na na na na na na na na na Ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, ma il cielo è sempre più blu uh uh, uh uh, ma il cielo è sempre più blu…

RINO GAETANO

Giorgia Lodigiani

Nicola e Roberto Frigatti

Niente di più indifeso, di più soggetto alla paura

di un bambino piccolo.Ma basta così poco per

rassicurarlo... Perché ritrovi la speranza e la serenità.

Anna, Claudio e Noemi Negri

Alessandra

Le due mamme

Emma e Marco Bruno

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Filastrocca impertinente

Filastrocca impertinente,chi sta zitto non dice niente;chi sta fermo non cammina;chi va lontano non s’avvicina;chi si siede non sta ritto;chi va storto non va dritto;e chi non parte, in verità,in nessun posto arriveràGIANNI RODARI

La nostra paura e la nostra speranza sono proprio i nostri bimbi, la paura di non offrireloro quanto di meglio vorremmo, la speranzache possano cambiare con le loro risorse ciòche non funziona. Certo vince la speranza, altrimenti non ci troveremmo ad aspettare con tante emozionil’arrivo di un nuovo bimbo...

Michela e Dario Regazzoni, con Chiara, Alberto, Elena

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Quest’anno dirò una cosa snob

Perché anch’io ho paura della malattia e della sofferenza. Non credo diaver paura di morire, ma forse solo perché per ora non è stata un’e-ventualità imminente. Ho paura, come tutti, che succeda qualcosa digrave a qualcuno a me caro. Ma se provo a guardare fuori dalla miafinestra, c’è un’altra cosa che mi fa davvero paura: è la mancanza dicuriosità. Detto un po’ più snob, appunto, mi fa paura l’ignoranza. Quella che ci impedisce di chiederci chi c’è dietro tutti gli sguardi cheincrociamo in una giornata qualsiasi; perché la nostra vicina di trenopassa tutto il viaggio lamentandosi al cellulare; perché chi guidavaquell’auto mi ha quasi investita stamattina per la fretta; o come fa laportinaia ad avere sempre uno splendido sorriso per tutti. Chi saranno tutte quelle persone che mi circondano? Chi sarannotutte quelle che vedo alla televisione? Chi saranno quegli uomini edonne e ragazzi e bambine che scendono stremati dai barconi?Voglio provare a fare un esercizio. Immagino un giorno di una dozzinadi anni fa.

Una ragazza italiana con un’enorme valigia si avvia al check-in con untimore: che le facciano pagare il sovraccarico del bagaglio. Una ragazza africana si avvicina al barcone con una paura: morire inmare. Hanno la stessa età, ma la ragazza africana è già una donna, per-ché per loro il tempo corre più veloce. L’italiana lascia a terra una famiglia un po’ in pensiero, ma in fondofiduciosa, forse persino un po’ orgogliosa. Cosa lascerà l’africana?Forse davvero un inferno di violenza impietosa e ingiustificata, forseinvece dei figli che non sono in pericolo di vita, ma a cui vuole dare unfuturo migliore. L’italiana atterra in un altro Paese, ha degli amici che l’aspettano; dopopochi giorni ha un lavoro, una stanza e un conto in banca – vuoto. L’africana passa giorni o settimane stipata su una barca, forse rimanesenza cibo e senz’acqua, forse viene costretta a buttarsi vicino a unacosta, forse sopravvive; anche lei ha dei conoscenti o dei parenti; dopoqualche tempo forse ha un modo di guadagnarsi da vivere, un letto edei contanti. L’italiana siede a una scrivania, davanti a un pc, “affronta una sfidaprofessionale”, come si dice adesso.

Lettera di Natale

Varese, Italia

Caro Gesù Bambino,Per questo Natale, oltre a tanti giochi, vorrei un regalo speciale.Ti chiedo di darmi speranza, speranza in un mondo più bello. Unmondo senza paura. A casa viviamo nella paura e non è un bel vivere.Sento papà che si lamenta e dice che ha paura: ha paura di tutti questizingari che girano per strada, e nessuno fa niente. Sporcano e rubano, epuzzano e portano malattie. Ho paura di ammalarmi. Non voglioammalarmi. E anche noi abbiamo paura che vengono a rubare a casanostra. Papà dice che ha dovuto pagare tanti soldi per la nostra sicu-rezza. Non so cosa ha fatto. Ho visto tante persone lavorare. Tutto ilnostro giardino è pieno di telecamere. È divertente vedere le personepassare. A volte sto davanti a questa specie di televisione a vedere chi ecosa passa attorno alla nostra casa. Però quando usciamo abbiamopaura. A volte anche d’estate abbiamo paura di stare fuori in piscina.Mamma e papà vogliono ci sia sempre qualcuno con noi. Ma perchétutte queste persone nonstanno a casa loro? Sentoi discorsi di papà con isuoi amici, e sento che èpreoccupato e arrabbiato. Per-ché vengono qua a spaventarci?Papà dice che una volta si stava meglio, quando non c’erano tuttiquesti negher, come dice lui… E quando i poveri se ne stavano buonisenza dare fastidio… Noi andiamo tutte le domeniche a messa e soche mamma e papà fanno elemosina, regaliamosempre vestiti e giochi che non usiamo più… ioprima piangevo, ma ora so che è giusto così… hotanti giochi e vestiti nuovi che posso fare qual-che rinuncia… Ma perché ci spaven-tano? Ti chiedo di farscomparire la paura…

Cristina, 8 anni

Kabala, Sierra Leone

Caro Gesù bambino,per questo Natale voglio avere la speranza di una vita e di un mondomigliore. Vorrei che il viaggio della speranza, come lo chiama mio fra-tello, riesca ad andare a buon fine. Non possiamo più vivere nellapaura. Ho visto cugini morire di fame. Una cugina è stata violentata.A mio padre hanno tagliato un piede. Abbiamo perso la casa. Diconoche la guerra è finita, ma noi abbiamo paura. Mi parlano di Europa, di viaggiare in barca. Non ho mai visto il mare,non so cos’è l’Europa. Mi dicono che è lontano, ma che lì possiamoavere un tetto, e forse mangiare tutti i giorni e avere vestiti percoprirci. Dicono che fa freddo in Europa. Ma almeno riusciremo adormire senza incubi. La paura è tanta ma dobbiamo partire. Dacci ancora una speranza.

Mariatu, 9 anni

Carlo Carlini

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L’africana forse lavora lungo una strada di periferia, forse non si ammalae riesce a mandare soldi a casa. L’italiana ogni tanto torna a trovare la famiglia e gli amici. L’africana non può uscire dal Paese per rivedere i suoi bambini, perchénon potrebbe più rientrare. Non so come andranno a finire questedue storie. Forse peraltro l’africana era arrivata in aereo con un vistoturistico. Forse dopo qualche tempo ha trovato un lavoro in regola,probabilmente come colf o badante. O forse invece la sua storia è giàfinita, in un mare troppo grande o in una stanza non riscaldata. Ma la domanda è una sola: cos’ho fatto, io, per meritarmi di essere l’i-taliana?

Silvia Bailo

P.S. Dedicato a tutti i lombardi meticci come me, ai lombardi di secondagenerazione e ai lombardi puri, anche se dubito esistano, e dedicato anchea quelli a cui i senegalesi stanno più simpatici dei vicini di treno brianzoli.

P.P.S. L’essere umano è un animale, e come tale ha l’istinto atavico di proteg-gere il branco e se stesso dai pericoli. Ma l’essere umano è anche quell’ani-male che, alle soglie dell’età adulta, lascia il branco per creare un propriofuturo altrove. E infine, l’essere umano è anche quell’animale stra-ordinario,che è in grado di formulare pensieri complessi e di comunicarli ai proprisimili; e che quindi può imparare non solo dalla propria esperienza, maanche da quella altrui, e ad oggi ha a disposizione interpretazioni dellarealtà e modelli di governo della società accumulati e perfezionati nel corsodi millenni. Mi sa che li abbiamo persi durante l’ultimo letargo...

Ho paura di …

Ore 6:30: ho paura che non suoni la svegliaOre 7:00: speriamo che la Bianca non abbia la febbre

Ore 7:50: ho paura di arrivare in ritardo al lavoroOre 8:30: speriamo sia un caso facile

Ore 13:30: ho paura che anche oggi salterò la mensaOre 14:30: speriamo che il capo scelga me per il caso di domani

Ore 17:30: ho paura di non riuscire ad andare a prendere la LudovicaOre 19:30: speriamo che la Bianca mangi la cena senza farci disperare

Ore 22:00: ho paura di non aver speso al meglio il mio oggi

Chissà se domani avrò il coraggio di non aver paura o sperare solo per me!

Guido Gelpi

Spero che…

Ho letto il tema per i contributi…, ho letto la traccia lasciata..., ho pen-sato a cosa potervi mandare…, mi sono convinta che non avrei fatto intempo, mi sono giustificata dicendomi che in effetti avevo troppopoco tempo per scrivere qualcosa di sensato, non banale. Certo tuttihanno paure; io credo di essere sommersa da piccole e grandi paure…,ma non riesco a esprimerle riesco solo a sentirle. Speranze (quantesono!), ne passo in rassegna qualcuna, ma poi rinuncio a scriverle. Equel discorso sulla guerra personale… io non ho intrapreso nessunaguerra personale per un futuro migliore e così mi sento ancora più ina-deguata. Allora credo che aspetterò. Aspetterò di leggere e guardare lepaure e le speranze di altri che hanno avuto il coraggio di scrivere.

Francesca Grandi

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Cari genitori…

Lo sapete che io ho molta paura di voi quando magari prendo unanota (e a proposito oggi ne ho presa una ma come si dice posso spie-gare tutto! Stavolta non centro… è vero non come le altre volte…perdirvelo ho aspettato ora visto che siamo in tema) ma poi non capiscodi cosa debba avere paura perché so che non mi può succedere nien-te… magari mi sequestrate il cell ma ci sono abituata. Ecco in realtà ho timore di essere sgridata ma la paura è un’alta cosa.Stasera però ho la speranza che quando voi avrete letto ciò che ho scrit-to direte che sono stata sincera anche se stavolta si è sbagliato il prof. Ero zitta perché stavo leggendo il tema di Jacopo che non avevo ascol-tato quando lo ha letto ad alta voce perché sono andata in bagno;nessuno mi aveva detto dove stavano leggendo di storia, allora il profha detto di proseguire ma io avevo capito male, ho chiesto se potevaripetere e il prof mi ha detto di non provocare…. Io gli ho detto chenon avevo parlato allora lui visto che era già arrabbiato mi ha datouna nota con scritto che io polemizzavo con lui. Stavo per piangere anche per altri motivi perché in questo periodosono distratta, assente e triste… non so come abbia fatto a trattenerele lacrime ma avevo bisogno di sfogarmi perché in questi giorni la miascala di cristallo si è rotta. Nella vita ci sono momenti in cui ti devi sfo-gare e non sai perché e scoppi in lacrime – come questa estate agliscout – almeno per me è così. Beh, ma nella vita ci saranno sempre

paure da affrontare anche banali, ma sono sicura che la speranza ci èamica e non dobbiamo perderla perché è l’amica più speciale e che cipuò aiutare… Ve lo dico io per le mie note… ciao.

Lara Cimmino - classe II GCara Lara,

capiamo solo ora leggendo cosa volevi dire oggi con quel gran discor-so sulla paura. Impossibile però credere che tu non sia polemica! Lo sei eccome e nella vita dovrai imparare a controllare questo aspet-to del tuo carattere. È nostro dovere aiutarti a farlo, con qualsiasimetodo a nostra disposizione.Purtroppo non c’è più nessuno che dia le note ai genitori perché, perquanto umiliante sia riceverne, servono per crescere e per impararecosa sia giusto fare o meno. Per questo anche noi abbiamo paura;paura di non riuscire a trovare il giusto equilibrio tra comprensione eseverità per insegnarti che le regole esistono, vanno rispettate e che civuole impegno; paura che tu non voglia confidarti con noi e a dodicianni non si può risolvere tutto da soli pensando di essere sempre dallaparte della ragione. La nostra speranza? Che crescendo tu comprendale nostre motivazioni e che tu abbia sempre la certezza che ti puoifidare di noi perché, per quanto esigenti, ti vogliamo bene.Con affetto,

Mamma e papà

Io ho paura di tante cose: piccole, grandi, giuste, sbagliate.Sono speranzosa che una volta mi passeranno perché è meglioessere felici che spaventati.

Irene Fiorini

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Paura

Su questo credo di essere un’esperta. Ho iniziato ad avere paura quando, ancora bambina, mi è capitato di vede-re un film, “Incompreso” di Luigi Comencini. Non so se tutte le mie conseguenti paure sono nate da una pura fic-tion o dalla realtà delle esperienze. Quello che so è che le mie paure ogni volta fanno capolino lì, nel mio incon-scio, alla voce “incompreso”.La mia vita mi ha portato a essere un’eterna passegera, un’eterna fuggiasca, approdando a lidi sempre differentie alla fine sempre uguali. Culture diverse, persone diverse, ideologie diverse, credenze diverse, modo di relazionarsi diversi. Nella miaancor breve vita ho vissuto a Milano, Parigi, Barcellona, Londra e, infine, Shanghai.Città grandi, metropoli, dove nessuno o quasi bussa al vicino per offrire un caffé o un tè, dove nessuno, se non ituoi amici più stretti, ti chiede “come stai” per sapere veramente come stai. Eppure in queste metropoli, dovedevi imparare a sopravvivere prima ancora che vivere, si può incontrare e provare il miracolo. Il miracolo di cuiparlo è realizzare che, in mezzo a così tanti estranei, avvengono momenti di intimità, di condivisione dellepaure più recondite, quelle che ci si vergogna a dire ai familiari o agli amici di lunga data. La paura di essere diversi. Per colore della pelle, per inclinazioni sessuali, per cultura, per ideologia politica,per soldi. La condivisione con fino-a-quel-momento-estranei che non ti guidicano per il tuo passato, che nonti giudicano affatto, almeno per un po’. La barca che ci fa approdare sulla riva di un nuovo paese, la barca con destinazione paradiso, a volte può esse-re un aereo, un treno, un telefono, un sorriso, una voce.

Aloïse Creosi

Non ho più paura...

Non ho più paura del buio:mi basta aprire gli occhi e intorno c’è chi mi fa luce. Non ho più paura di sbagliare: ho vicino persone che sanno perdonare. Non ho più paura del futuro: le esperienze vissute mi porteranno avanti.Non ho più paura del dolore: insegna ad apprezzare anche le piccole gioie.Non ho più paura della morte: “di là” continuerò con le persone con le qualinon ho mai interrotto il mio rapporto d’amore.

Spero che le mie nipoti abbiano gioia di vive-re e voglia di guardare fuori dal loro guscioper apprezzare e imparare dalle diversità chehanno intorno.

Augusta Mamoli

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Alessandro Magno e i GimnosofistiI brahmani, come seppero che stava venendo da loro il re Alessandro, gli mandaronoincontro i migliori fra i loro sapienti, con una lettera sulla quale era scritto:«Noi gimnosofisti scriviamo all’uomo Alessandro: se vieni da noi per farci guerra, nonne avrai alcun vantaggio, perché non hai niente da portarci via. E se vuoi prendere ciòche abbiamo, non ti serve combattere ma pregare: non noi, bensì la superiore prov-videnza. Se invece vuoi sapere chi siamo, sappi che siamo uomini che usano esercita-re nudi la filosofia e che questa scelta non l’abbiamo fatta da noi stessi, ma per dispo-sizione della divina provvidenza: a te spetta combattere, a noi esercitare la filosofia».Come ebbe letto questo messaggio, Alessandro si dispose ad andare da loro in pace.E vide molte selve e molti alberi bellissimi, con frutti di tutte le specie e un fiume checircondava tutto quel territorio, la cui acqua era trasparente e bianca come se fosselatte e palme ricche di molti frutti, e il tralcio della vite con migliaia di splendidi grap-poli, che allettavano il desiderio.Alessandro li interrogò così:– Non avete tombe?– Questo posto in cui stiamo – risposero – è anche la nostra tomba: qui moriamo,stendendoci per il sonno della morte su questa terra, che ci fa da tomba; la terra cigenera, la terra ci nutre, sotto terra, da morti dormiamo il sonno eterno.Alessandro chiese ancora: – Chi sono di più, i vivi o i morti?– I morti sono di più, – risposero quelli – ma non si possono più contare: e pertantoquelli che si vedono sono di più degli altri, che non si possono vedere.– Cos’è più forte, – chiese ancora Alessandro – la morte o la vita?E quelli risposero: – La vita, perché il sole, quando sorge, ha raggi luminosi e splen-denti, e quando tramonta appare più debole.– Cos’è maggiore, – chiese ancora – la terra o il mare?– La terra, perché anche il mare poggia su un fondo di terra.Alessandro domandò ancora: – Qual è il più feroce degli animali?– L’uomo – risposero i saggi.– E perché?– Domandalo a te stesso – gli risposero. – Anche tu, vedi, sei una fiera che ha con séaltre fiere, e da solo vuoi privare della vita tutte le altre fiere.Alessandro non si adirò, ma sorrise, e chiese di nuovo: – Cos’è il potere del re?– L’ingiusta forza della sopraffazione, l’audacia che incontra la fortuna delmomento, un peso d’oro – risposero.E ancora chiese: – Cos’è venuto prima, la notte o il giorno? – La notte – risposero. – tutto ciò che nasce si forma e cresce nel buiodel ventre, e poi viene partorito e viene dato alla luce.Poi chiese: – Qual è la parte migliore, la destra o la sinistra?– La destra – dissero quelli. – Infatti anche il sole sorge dadestra e percorre la sua orbita in cielo verso sinistra.Infine, Alessandro chiese loro: – Avete un capo?– Sì, – risposero quelli – abbiamo chi ci guida.– Vorrei salutarlo – disse.E gli indicarono Dandami, che stava disteso aterra, su uno spesso strato di foglie d’albero eintorno a lui stavano meloni e altri frutticaduti a terra dagli alberi.Alessandro lo salutò e quegli rispose: –Salve –, ma non si alzò per fargli onore,come spettava a un re.

Alessandro gli chiese se possedessero qualcosa. – Possediamo la terra, – rispose lui –gli alberi da frutto, la luce, il sole, la luna, la schiera degli astri, l’acqua. Quando abbia-mo fame, ci avviciniamo alle fronde degli alberi e mangiamo i loro frutti, che nasco-no da soli: seguendo le fasi della luna, tutti i nostri alberi producono i loro frutti.Abbiamo anche un grande fiume, l’Eufrate: quando abbiamo sete andiamo da lui ebeviamo la sua acqua e di ciò siamo soddisfatti.Alessandro ascoltò tutte queste cose e quindi disse, rivolto a tutti loro:– Chiedetemi ciò che volete, e io ve la darò.E tutti risposero, in un solo grido: – Dacci l’immortalità!– Non ho questo potere, – rispose Alessandro – anch’io sono mortale.– E perché allora, – chiesero quelli – se sei mortale, fai tante guerre? Per conquistaretutto e portarlo dove? Non dovrai, a tua volta, lasciare tutto ad altri?E Alessandro: – Così dispone la superiore provvidenza: noi siamo servi e ministri deisuoi ordini. Anch’io vorrei smettere di combattere, ma non me lo consente il signoredella mia mente. Quanta gente si è rovinata nelle guerre che io ho intrapreso e haperso tutto ciò che aveva? Ma altri sull’altrui sfortuna hanno costruito la propria for-tuna! Capita sempre che ci si impossessi delle cose degli altri, per poi ad altri cedere ilpasso: e in realtà nulla appartiene a nessuno.Dopo aver parlato così, Alessandro offrì a Dandami oro, pane, vino e olio. – Prendi,vecchio, – gli disse – per nostro ricordo.E Dandami ridendo rispose: – Queste cose a noi non servono affatto: ma perché nonsembri che disprezziamo i tuoi doni, prenderemo l’olio. Fece quindi un cumulo dilegna, vi appiccò il fuoco, e vi versò sopra l’olio di Alessandro.CURZIO RUFO – STORIE DI ALESSANDRO

Claudio Covini

La mia o l’altrui incoscienza?Se hai paura quando non hai speranza

E hai speranza quando non temi la paura,Quando smetti di aver paura,

Dunque hai cessato di vivere male…Ma, quando a farti paura

È il tuo stesso fratello,allora, uomo incosciente,

a chi serve vivere ancora?

Chiara Palmieri, “maestra elementare”

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Quando si “possiede”tutto, nulla fa paura

Sono circondata dall’affetto di per-sone care, al la mia famiglia non

manca niente perché il lavoro ci dàquello di cui abbiamo bisogno, ho tanti

amici con cui condivido esperienze di vitae faccio cose che mi arricchiscono, faccio il

lavoro che desideravo fare da piccola.Poi mi fermo. C’è qualcosa che in fondo mi fa

paura: l’ignoto, quello che non è prevedibile,quello che se ne frega se la tua vita deve andare

dritta fino alla fine, senza intoppi. Eppure ce l’hodavanti tutti i giorni…è una bella corsia d’ospedale, le

strade di Milano, le notizie sui giornali.Ma la mia testa si difende, i miei occhi sono offuscati.

Ecco io vivo esattamente la situazione opposta dei nostri“disperati”. Loro hanno paura ma anche speranza, perché

comunque è possibile che vada meglio. E allora forse devo cambiare prospettiva. Ci provo ma scopro

che mi manca il coraggio di uscire dalla palude di questotempo. Ma soprattutto scopro che ho perso la fede.

E allora l’ignoto continua a fare paura.

Benedetta Nocita

E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire. FRANCO BATTIATO

Silvia Marchetto

Nina ci vogliono scarpe buonee gambe belle LuciaNina ci vogliono scarpe buonepane e fortuna e così siama soprattutto ci vuole coraggioa trascinare le nostre suoleda una terra che ci odiaad un’altra che non ci vuole.IVANO FOSSATI, PANE E CORAGGIO

La paura permea le scarpe logore e le parole di chi attraversa i marie le frontiere verso una chimerica felicità. E chi ha scarpe nuove eparla una lingua che tutti capiscono è spaventato dai suoni stranie dalle voci fuori dal coro e dalle parole che non comprende.È la diversità che ci fa vivere nella paura e, malgrado la diversitàdei suoni, della pelle e delle scarpe, chi arriva e chi accoglie hale stesse paure.E il solo modo per liberarci della paura è il coraggio diincontrare e conoscere la diversità.Il coraggio e la speranza di chi ha già attraversato i mari e lefrontiere, il coraggio e la speranza di chi attende con la manotesa e abbozza un sorriso che vale più di mille parole.

Martina Nencini

Io ho paura dei ladri e dei fuochi di artificio.

Emma Cometto

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La speranza è quel punto di luce capace di illuminare anchei colori cupi della paura. Nella nostra classe, una primamedia sulle rive piemontesi del lago Maggiore, abbiamotante paure ma anche tante speranze per difenderci. Le abbiamo raccontate così.

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Sofia, Mario, Cecilia, Kelly, Enya, Marco,Alessandro, Olivia, Giulia, Noemi,Jonathan, Niccolò, Omar, Loubna,Roberta, Alessandro, Luca, Pietro,Camilla, Valentina, Vivenne, Lucia.Scuola media Lesa – classe 1° B

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EUROLOGOS SHANGHAIsupporta e diffonde

il Xmas Project 2009

Raimondo, GiacomoFederica, Larry,You, Emma

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Riflettendo con Ernst Bloch

Si può definire la speranza un sentimento che appartiene a ogni essere umano in quanto tale,“innato” e non dipendente dall’ambiente? La psicologia contemporanea ha risposto negativamente a questa domanda, indicando nel-l’educazione all’emotività la condizione che crea lo spazio in cui vive la speranza; e sottoli-neando, al tempo stesso, che la presenza di favorevoli condizioni ambientali, sociali, econo-miche, etico-culturali, politiche, permette a questo peculiare stato d’animo di persistere egarantire così all’individuo la sensazione di un futuro di possibilità aperte, e con esso unoslancio positivo. Se, al contrario si realizzano negative circostanze di degrado, questo sentimento si riduce, ecompare la depressione cioè il sorgere delle paure più o meno motivate. Ma davvero bastano le spiegazioni sociali o psicologiche per determinare situazioni in cuisingolarmente o collettivamente, siamo più o meno capaci di volgere lo sguardo al futuro? Oc’è dell’altro? Che nesso esiste tra paura e speranza, ed è possibile che esse siano le due faccedi una stessa medaglia? Speranza e paura sono tra loro strettamente collegate? Una linea di pensiero della filosofia classica ha per lo più letto la speranza come una conso-nanza tra le aspettative degli uomini e la realtà del mondo stesso. Difendendone, con accen-ti diversi, la fondatezza. Viceversa, la filosofia contemporanea si è impegnata soprattutto adenunciare lo scollamento che esisterebbe tra ciò che l’uomo desidera e crede e l’evidenzatragica delle cose, essendo il mondo privo di senso. Tuttavia, per molti autori che la speranzaappartenga alla sfera pratica e non a quella concettuale, non è necessariamente una diminu-tio: anzi, la fede in una ulteriorità è ciò che contraddistinguerebbe l’essere umano e lo spinge-rebbe ad agire, laddove l’ascolto della sola ragione lo porterebbe a una immobile angoscia.Inoltre, secondo alcuni pensatori, la scomparsa di una speranza religiosa o trascendente nonnecessariamente implica la fine della speranza in senso lato; il mai appagato desiderio di ulte-riorità continua infatti a manifestarsi o in utopie di tipo politico – la ricerca di un mondomigliore e più giusto – o nelle “micro-speranze” che costellano l’immaginario collettivo. Magistrale è in questo senso la riflessione del filosofo tedesco Ernst Bloch che nell’opera “Ilprincipio speranza” stila una sorta di catalogo dei desideri e dei sogni, privati e collettivi, del-l’uomo contemporaneo. La speranza di Bloch, non riguarda tanto il futuro quanto il presente, nel senso che per Blochogni istante può diventare significativo, noi dobbiamo imparare a vivere ogni momentocome se fosse eterno. Naturalmente per “eternità” si intende la pienezza dell’esistere, eriguarda quei momenti dell’essere in cui sembra di scoprire il senso delle cose, e questo sensodelle cose lo si scopre andando al di là dell’indeterminatezza dell’attimo vissuto. La speranzaperò non è soltanto pathos ma è anche misura e dell’azione che mobilita le coscienze e il faredegli uomini.

Salvatore Nocita

Dialogo

Tu non lo immagini, amico mio, maanch’io ho paura quando ti facciocenno di entrare nella mia stanza.Guardo il tuo viso scuro e accennoad un “bonjour”.Ma ho paura. Paura di non com-prendere quello che mi dici, pauradi non saperti ascoltare. Ti domando, ti interrompo, alzo lavoce. E tu non sembri capire. Cercodi spiegarti con le “mie” parolequello che è importante che tu sap-pia, ma tu vuoi raccontarmi di te,dei tuoi cari lasciati in un paesedove sono in pericolo, dei quali nonhai più notizie da mesi, del tuo viag-gio, in mezzo al deserto e poi sullabarca, dopo mesi di attesa.La paura mi sopraffà; non vogliosentire fino in fondo quello che ti èsuccesso. Che sono venuti, armati,“erano tanti, e hanno abbattuto laporta di casa. Sono entrati hannopreso mia sorella e l’hanno …”. Ecco, ci siamo! Fermati! Non è necessario che tu lo raccontiproprio a me. Io sono qui per dirtiquali sono i tuoi diritti, che, se haipazienza , avrai anche un postodove stare . E tu mi guardi . Noncapisci. “Ma come?” mi dici “io sonoscappato, guarda, sono rifugiato,perché nessuno mi aiuta?”. Allora mi fermo. Sto in silenzio. Ripongo i miei libri e ti guardo negliocchi. Almeno ci provo. Accenno adun sorriso, non è molto, ma vogliodirti che ti sono vicina. Che provo a comprendere quelloche non è umano comprendere.Che forse c’è una speranza.Capisco che tu non hai bisogno dirisposte da me. Oramai sei in salvo. Sono io che rischio di affogare.

Sarah Nocita

We shall not cease from explorationAnd the end of all our exploringWill be to arrive where we startedAnd know the place for the first time.THOMAS STEARNS ELIOT “THE FOUR QUARTETS”- 1943

In un mondo che esporta paura, il viaggio è continuo e irto di insidiema la nostra esplorazione parte da noi e ritorna a noi. La paura è l’e-mozione primaria che fa sbarrare le mascelle, vibrare le viscere,abbandonare le nostre dimore per condurci dove veleggia incontra-stata la speranza.

Paola Mirra

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Piangi quando hai paura e nello stesso tempo piangi sperando che tutto passi.Paura-speranza, insieme dominano gran parte della nostra vita e ti sbriciolano sempre più soprattutto quando capisci che la tua non

è speranza, ma utopia. E così si vive a metà.

Enrica Mamoli

Mai come in questo periodo la paura e la speranza sono stati, perme, sensazioni così presenti e ricorrenti.

C’è un senso di precarietà diffuso, che mi sembra di poter toccarecon mano ogni giorno. È come se fossimo davvero appesi ad un filo,

e che vivessimo con la paura che si spezzi, contrastata dalla speranzache resista, almeno ancora un po’.

È la paura di non farcela, che combatte con la speranza di riuscire.Ma è quest’ultima che prevale, che deve prevalere, per nonfarci naufragare, per non leggere in chiave negativa tutto quel-

lo che accade intorno a noi. La paura è strumentale a mantenerealta la sensazione di precarietà, di emergenza, che giustifica tutto, e

mette tutti contro tutti.Ci vuole speranza se davvero vogliamo un mondo migliore dove far cresce-

re i nostri figli. Speranza nel prossimo, speranza in noi stessi, quel gusto dellavita che ci ricordi, ogni giorno, quanto siamo fortunati. E che ci richiami, ogni

giorno, a dare a chi fortunato non è stato, un messaggio semplice ma nonscontato: Non aver paura, il peggio è passato.

Renato Plati

«Io non ho paura... continuo a combattereper quello in cui credo.»Gabriella Fulvi

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ClandestinoPer i canti della tua terra, per gli occhi delle sue donne e le cadenze

delle sue voci e le veloci manidelle ragazze e i loro amori, quasi ponti sospesi nella notte.Per le preghiere ininterrotte di tua madre,

e l’onda sonora delle acque,e il tuo cielo sereno o nuvoloso, o il vento o lo stellato con i suoi sentieri volti a nuovi sogni.

Per tutto quanto ieri colorava i tuoi giovani giorni, per te che tutto ora hai perduto,

vorrei poter dire “Sorridi!”anche in questo mondo sconosciuto.

Bruna Dell’Agnese

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Page 81: Librosolidale_2009

Non lasciamo che lapaura ostacoli i nostriprogetti, le nostreidee, i nostri sogni manon lasciamoneppure che lasperanza, fine a sestessa, ci illuda di unrisultato che senza

determinazione econsapevolezza non

può arrivare. Nulla puòessere realizzato senzal’impegno sociale,politico, economico…Apriamo gli occhi, sporchiamoci le mani.

Alberto Viganò

Affrontare la paura è un noviziato che dura tutta la vita

Con il passare del tempo la paura può diventare un’amica e conl’esperienza può sfociare in prudenza, che al bisogno ci difende ma che,allo stesso tempo, ci fa aprire in modo adeguato verso gli altri e verso lesituazioni che non conosciamo, con un arricchimento interioreevolutivo, facendo così dileguare il pregiudizio, il rifiuto, il nulla. È cosìche finalmente nasce il coraggio a essere felici. Perché veniamo almondo per imparare a essere felici ma per esserlo ci vuole coraggio!

Natalia Schiavon

Io ho paura dei cani grossi

Delle scimmie che si avvicinano curiose.Del bagno in mare se prima non sono passate tre ore.Dell’ospedale.Delle macchine di sera che magari agli incroci non si fermano.Di ubriacarmi perché poi dopo sto male.Di una rapina.Del terremoto anche se abito a Milano.Dell’Inter quando giochiamo il derby.Delle interrogazioni all’improvviso.Dei ragni.Degli scarafaggi, delle cimici, dei topi.Del gatto degli altri che ti dicono che non fa niente.Dei gatti randagi che non sai mai da dove arrivano e dove vanno.Dei delinquenti.Delle persone che ti fanno credere che sono tuoi amici.Dei formaggi per colpa del loro odore.Di andare a casa di sconosciuti a cenae non sapere cosa preparano.Delle malattie.Dell’ascensore dopo che son rimastochiuso dentro.Di andar forte in vespa, così come in macchina o in bici.Dell’aereo.Del decollo.Dell’atterraggio.Delle poltrone dell’aereo perchéquello davanti a me reclina il sedile e io non mi posso muovere.Delle pallonate nelle palle.Di andar giù forte dalle piste da sci.Del freddo soprattutto quando ti si congelano i piedi negli scarponi.Delle api, dei pipistrelli, dei piccioni.Dei motorini se non lo guido io (idem le auto).Di andare a mangiare al ristorante per poi mangiare male.Di dormire se qualcuno guida.Di arrivare in ritardo.Di non fare ridere.Di avere l’alito pesante.Di menare le mani.Di far male.Di scottarmi i piedi sulla sabbia bollente.Di perdere la pazienza.Delle persone arroganti.Delle siringhe ai giardinetti.Di bucare in vespa.

La speranza però è che queste paure mi passino!

Dario Bertolesi

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Paura e speranza si intrecciano nella vita, difficile definirne i contorni

In questi testi di De André noi ci riconosciamo da sempre!

Dove fiorisce il rosmarinoc’è una fontana scuradove cammina il mio destinoc’è un filo di pauraqual è la direzionenessuno me lo imparòqual è il mio vero nomeancora non lo so …1981 DAL CANTO DEL SERVO PASTORE

… E se nei vostri quartieritutto è rimasto come ierisenza le barricate,senza feriti, senza granate;se avete preso per buonele verità della televisioneanche se allora vi siete assoltisiete lo stesso coinvolti …1968 DA CANZONE DI MAGGIO

Primavera non bussalei entra sicuracome il fumo lei penetrain ogni fessura …1971 DA UN CHIMICO

Gli arcobaleni d’altri mondihanno colori che non so.Lungo i ruscelli d’altri mondinascono fiori che non ho.1968 DA PRIMO INTERMEZZO

Ma tu che vai, ma tu rimanivedrai la neve se ne andrà domanirifioriranno le gioie passatecol vento caldo di un’altra estate …La terra stanca sotto la nevedorme il silenzio di un sonno grevel’inverno raccoglie la sua faticadi mille secoli da un’alba antica.Ma tu che stai, perché rimani?un altro inverno tornerà domani …1968 DA INVERNO

Agnese e Giampaolo

Federica Adami

Io ho paura: forse è ciòche pensavano fin dall’an-

tichità gli uomini… La paura è infatti un istinto

arcaico, legato alla sopravvi-venza della specie umana. I

centri che controllano l’istintodella paura sono nel cosiddetto

cervello rettiliano, il più anticonella filogenesi umana.

La paura è strettamente collegata aidue istinti primari attacco-fuga;

nelle foreste dei cacciatori, infatti, ilpericolo poteva arrivare da qualsiasi

parte, in qualsiasi momento e sottoqualsiasi forma, quindi la paura costi-tu iva uno st ato f unz iona le nel lasopravvivenza della propria specie.Il termine greco antico utilizzato perdesignare la paura (phobos) è tutt’orada noi utilizzato per fare riferimento adelle paure patologiche, le cosiddettefobie. Per gli antichi greci infatti Pho-bos era figlio di Ares, quindi la paura èfiglia della guerra…

Paola Toniolo

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EUROLOGOS MILANO supporta e diffonde

il Xmas Project 2009

Dario Enrica Francesca Marika Maristella MatteoMartina Patrizia Paola M. Paola S. Riccardo Simon

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Page 84: Librosolidale_2009

CAPRICORN SRLsupporta e diffonde

il Xmas Project 2009

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L’essenza di un Fagiolo

Una scatola di fagioli guarda il mondo dal suo scaffale. Ermetica.Come tutte le scatole, esiste per se stessa,non per quello che contiene, anche se ogni tanto tende a dimenticarlo.

Una scatola di fagioli piange, ride, sente, comunica più intensamente delle altre scatole: il dono della lentezza le permette di osservare per la prima volta i colori di tutti gli altri universi possibili.

Una scatola di fagioli spera che ognuno dei suoi fagiolipossa un giorno camminare libero nel mondo. Quando sai di essere una scatola di fagioli, improvvisamente comprendi il significato della parola: Osmosi.

(Quesito: quanti tipi di fagioli potrà contenere una scatola di fagioli?)

Francesca Nicoli I vividi occhi neri mi guardano attenti, nel minuto viso di bambina. Hanno alle spalle storie di fughe e di paura hanno lampi di smarrimenti e di incertezza. Hanno visto avvenimenti difficili a capirsi, hanno attesoper lunghi giorni lenti a trascorrere.

Ora hanno sete di cieli sereni, hanno famedi certezze che non muoiono.

Signore, ripetici ancora:“Lasciate che i fanciullivengano a me!”.

A te,tutti i bambini del mondo, tutti i bambini che hanno alle spalle storie di fughe e di paura.

Rosanna Travaglino

Dedica alla Vita

Ho 48 anni, e le mie paure cominciano adesso.La mia giovinezza è stata bella, spensierata, finché lavita ha deciso di causarmi una grande tristezza. Daquesto momento sono trascorsi altri anni, altri tempi.Oggi ho una grande speranza, mi sono fatta forza ecoraggio, ho fretta di fare, voglia di dare. La mia pauraora è non avere il tempo di potercela fare.

Cyndra Velásquez

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Page 86: Librosolidale_2009

Spirale

Si può scegliere di vivere come un cerchio chiuso,Un cerchio che chiude l’uomo su se stesso,Dal primo grido all’ultimo respiro,Prigioniero delle sue mille paure.Un ciclo di vita sterile, inutile,Per se stesso e per gli altri.

Un ciclo di morte.Si può scegliere di farsi coraggio,Malgrado le avversità, malgrado le indifferenze,Malgrado gli egoismi, malgrado le differenze.Perché il cerchio chiuso diventi una spirale.Una linea magica che sale, scende, oltrepassaIl punto di chiusura del cerchioPer allargarsi, risalire, scendere di nuovo…In un movimento di apertura senza fine.

Nel suo cammino, più si allarga, più incontraAltre spirali. Ognuna diversa.Per colore, per credo religioso o politico,Per lingua e cultura, per vissuto…Con alcune si unirà, con altre si scontreràMa a tutte si aprirà per dare e ricevereIn una vorticosa farandola di vita.

Nathalie Lastella

«Down beneath the swoosh of the turbines, the long grass blows in ripplesThere’s a beautiful spiral of roads that leads the lost up hereI was watching the birds taking off to swoop down over the cityThey find and take just what they need and turn, turn, turn

The movers move, the shakers shake, the winners write their history

But from high on the high hills it all looks like nothing (...)The movers move, the shakers shake, the winners

rewrite their historyBut from high on the high hills it all looks like nothing

All these things you fear so much depend on angles of visionFrom down in the maze of walls you can’t see what’s comingBut from high on the high hills it all looks like nothingBut from high on the high hills it all looks like nothing, nothing.»

"HIGH", NEW MODEL ARMY, 2007

Alexandra Rauter

Sono nata un po’ paurosa

Pare che io abbia gattonato a lungo (quattro appoggi, meglio didue!), fino a quando la curiosità non ha vinto e a quel punto misono dovuta alzare in piedi… senza mai cadere ovviamente.Non mi dispiace poi tanto la mia “paura”. Ha significato conte-nimento, autodisciplina, tutela per tanto tempo. Poi l’incontro che mi ha cambiato la vita: un ragazzo, ilmio uomo. Per lui il bicchiere mezzo pieno, per me –quasi sempre – mezzo vuoto.

Grazie Rena, sei il mio appiglio tutti i giorni,quando mi sembra di non farcela, quando milasci libera di scegliere, quando mi dici difare spallucce e guardare avanti, quandoincontro lo sguardo dei nostri bimbi elavoro e fatico tanto sperando che fac-ciano proprio il senso dell’impegno.Da sola non ce la potrei fare.

Francesca Colciaghi

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inIo ho avuto paura

A otto anni non hai paura. L’innocenza è la soglia della paura. Se hai una famiglia che tipensa e che pensa per te. Se ti portano via e non sai perché, ancora non hai paura.La paura è presa coscienza, ti raccontano il perché ti hanno portato via, a otto anni noncapisci, capisci solo che la tua famiglia non c’è. E che non ci sarà. E da solo hai paura aotto anni. Anche a trent’anni. La speranza è la certezza dell’amore, l’amore della tua famiglia che ti riporterà a casa.

Gli Agrati

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Page 87: Librosolidale_2009

Cerco un approdo...

per ancorare le mie paure, scruto l’orizzonte addormentandoinquietudini e tormenti. E incontro Te che sei la pace, Signore della vita che rica-pitoli l’ordito dei miei giorni. Con il tuo soffio fai aleggiare il tempo, ciò che è stato,l’oggi, il domani, la storia degli attimi e dell’eternità. Nel tuo libro vuoi scolpire il mionome fissando il mio futuro nel destino dei giusti. Aiutami a vegliare come sentinella che avvi-sta fioriture inattese. Fammi sperare e scoprire risvegli insperati accesi dal tuo Spirito per inteneri-re le arsure della mia vita e della storia.

Antonio Panizza

Paura del dentista, quella sì e tanta. Io non ho paura mi ripetevo sempre quan-do a sette anni, con la manina stretta in quella della mia mamma entravo nellostudio dentistico. Quell’odore di disinfettante, le prime otturazioni senza ane-stesie perché denti da latte non ne avevo già più a quell’età e dolci e scarsaigiene orale avevano ben fatto la loro parte. Ancora oggi, quando mi siedo su quella poltrona inspiegabilmente sudo freddo.Così ho pensato di porre un rimedio. Meglio tardi che mai mi sono detta! Misono comprata una clessidra per obbligarmi a misurare il tempo dedicato allospazzolino con la speranza che ciò possa servire per il futuro.Eppure, a pensarci bene, invidio un po’ quella paura; era tangibile, aveva una

sua ragione di essere, soprattutto aveva una fine. Oggi le miepaure sono fantasmi; spesso diventano alibi. Spero di

non dovermi svegliare una mattina e accorgermi cheda anni sto guardando il futuro solo attraverso gli

occhi di mia figlia perché l’unico modo per otte-nere un futuro migliore per gli altri è cominciarea cercare il meglio per noi stessi.

Cristina Poletti

Fino a dentro le ossaNon va mai via

Amore.Calore umidobagna le ascelle.Deflagrante rossocolora la culla dei sorrisi e dei pianti.Peli danzano rittii suoni di battiti profondi.Rabbia.Soffio secco d’ariada narici divaricate, urlanti.Cumulo grigio di rancorosi focolaifuoriesce dai pori della pelle tesae si dissolve in nuvole ad una spanna dall’epidermide.Paura.Non esce mai,resta infilzata dentro, tra la carne.Abita le ossa,in profondità.Immobile, sorda e sola.Non va mai via,come l’umido che penetra il corpo.Quando esplode, fugge dai campi materni,da voce all’istinto di sopravvivenza.E un po’ di speranza dà sollievo alle ossa.

Saudade.Gola secca,bagnata da saliva,amore amaro sale dalle viscereal cavo orale.L’orizzonte distante trema negli occhicolmi d’assenza.

Quando il mondo darà una terra alle nostre radici?

Fabio Russo

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Uno sguardo inconfondibile,una frase devastantee quel vuoto che tante,troppe voltemi ha divorato l’anima:

la mia più grande paura èperdere, ancora una volta,le persone che più amo,senza possibilità di ritorno,senza scampo.

Luci e ombre di una vitache tengo stretta a me,nel vortice di una speranzache tutto riaccendepur nel buio più profondo.

Marika Cenerini

Un mattino apri gli occhi e tirendi conto che nella tua vitatutto potrebbe cambiare da unmomento all’altro...Ti guardi intorno e miracolosa-mente ti rendi conto che nulla èscontato... tutte le certezze chehai avuto nella tua vita potrebbe-ro svanire all ’ improvviso, cheanche la più piccola cosa, il piùinsignif icante gesto è uno dei

tesori più preziosi che il Cielopotesse donarti.La tua vita ti passa davanti comeun film in bianco e nero e ti ritro-vi con le paura di perdere tutti ituoi affetti più cari. Ma la speran-za di una vita mi -gliore fa brec-cia dentrodi te ches o gn i d i

vivere per sempre e cominci acombattere, cominci a sperare,cominci a costruire le basi per unfuturo da vivere serenamente.Senti le voci dei topolini che nel-l’altra stanza si svegliano, guardi

negli occhi il tuo Amore, gliaccarezzi dolcemente il

viso, gli doni un sor-

riso complice e sereno e affidi adun silenzio senza tempo l’eternapromessa del tuo cuore: difende-re l’Amore della tua eternità acosto della vita. Solo chi ha perso tutto non hapaura di niente...

Bruno Quaini

In questi ultimi anni ho conosciuto la paura di sbagliare.

La paura di non essere all’altezza del ruolo di madre. Il timore di dover decidere per qualcunaltro, sbagliando. In questi ultimi anni ho conosciuto la paura e la tristezza di giovani donne chehanno affrontato viaggi infiniti e abbandonato i loro figli per accudire i nostri. Spero in unmondo migliore per noi donne…

Simona Dinetta

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Ogni volta che sento le notizie di questi “viaggi della speranza” che fini-scono in modo tragico, non posso fare a meno di soffermarmi a pensarealle motivazioni per le quali queste persone decidono di lasciare TUTTOper l’ignoto; perché scelgono di investire una somma incredibile di dena-ro per il NULLA, solo ed esclusivamente nella SPERANZA di una vitamigliore... ben sapendo che tanti che li hanno preceduti non hanno maipiù fatto ritorno, che quella SPERANZA si è inabissata nel mare!La conclusione a cui giungo è che noi non possiamo e non potremomai capire: le nostre paure sono legate comunque a speranze moltopiù tangibili, molto più semplici... permettetemi anche un “molto piùstupide”... ci preoccupiamo che non capiti mai nulla di brutto a noi ealle nostre famiglie... ma che cos’è il “brutto” nel nostro bel mondo

civile??? Il dentista?? Rompersi una gamba?? Che cosa“speriamo”? Sempre che tutto vada bene, di non per-dere il lavoro, che la malattia non ci colpisca.... Ognu-

no guarda il proprio ambito, questo è vero:noi siamo in un altro

contesto, in un’altrarealtà... ma quanto

ci impegniamo a capire cosa spinge queste persone a compiere questigesti, nella totale indifferenza delle conseguenze??? Persone che lascia-no situazioni di conflitto, di estrema povertà solo ed esclusivamentecon la speranza di superare chilometri di mare, di non annegare e ditoccare terra, per cosa? Per una nuova situazione di incertezza!E il giudizio della società nei loro confronti è comunque sempre nega-tivo: non riusciamo a capire che anche se clandestini, anche secostretti alla povertà e ad un inevitabile sfruttamento, forse la situa-zione che troveranno qui sarà migliore di ciò che hanno lasciato.Quando ho letto il tema del libro di quest’anno, mi è subito venuta inmente la canzone “Hey Mà” di Gino Paoli... soprattutto il ritornello:«Sarà è vero, che il colore è solo luceE la luce è la speranzaE che siamo noi la speranzaCamminando noi verso il sole, dentro al sole che salirà».... forse è proprio così: per tutte queste persone, solo il fatto di vederedi nuovo sorgere il sole, è la speranza più grande: vuole dire che sonovive!!! Perché non sentiamo il bisogno di far sorgere per loro questosole? Perché non impegnarci tutti a farlo salire e splendere??

Federica (con MassiMatiGioia)

Beatrice e Jacopo Penzo

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Patrizia Sevieri

Veronica Capellupo e Veronica D’Angelo

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Pastigliette di Xamamina(monologo semiserio sulle rotte dei mari)

Ma chi me lo ha fatto fare? Ma chi mi ha convinto a salire? Ma chi miha detto che in barca non si sta male? Che dopo un po’ ci si abitua!Che il mare non si sente su una barca grossa? Smettetela con i luoghicomuni. Piccola o grande che sia la barca è una cosa seria. Mica sischerza. Ognuno deve fare del proprio meglio e deve mettercelatutta. E infatti io ce l’ho messa tutta… per non vomitare. Salito abordo ero già a disagio. Un po’ come quando si è invitati ad una festa,ma non conosci nessuno e inizi a guardare le piante dentro i vasi e aleggere i titoli dei libri messi di traverso sui ripiani dei mobili. Lo spazioera stretto e non sapevo dove mettermi. Davanti (a prua) tirava un’a-ria che ti spettinava le sopraciglia. Dietro (a poppa) semplicemente siballava. Si danzava senza musica, al ritmo del vento, delle onde e delmare. Di note non se ne sentivano, ma cantavano tutti facendo degli“oh oh” lunghissimi. Chi mi diceva “attento al beccheggio”, chi mi spie-gava dove stare e io ballavo senza sapere cosa dire, come un pupo sici-liano mi sentivo tirare un braccio di qua una gamba di là tradito anchedalla suola antiscivolo delle mie Timberland. Per non capitolare mison messo a camminare in quel corridoio stretto che è separato dalmare da una sottile linea metallica, un cavo capace di lasciarti dei

segni sui polpacci neanche fosse un filo spinato. Con passo svelto pog-giando un piede davanti all’altro mi sono lanciato su un parabordoafferrandolo come se fosse il sacco del pugilato. Arrivato “davanti”pensavo di avercela fatta: avevo tutto il mare a disposizione e lo pote-vo inondare con quel maremoto stomachevole che mi tramortiva.Non ho fatto in tempo a pensarlo che il vento mi stava ributtando infaccia come un boomerang tutto quello che stavo per regalare alleonde. Non mi sono perso d’animo. Ho guardato i miei braccialetticomprati in farmacia insieme alle gomme da masticare e ho pensatoalle pastigliette di Xamamina che avevo preso per paura e che mi cau-savano una leggera sonnolenza. Sono previdente, pensai, ma non riu-scivo a compiacermene, tenevo duro a bocca chiusa. Ripetevo tra mee me che la speranza è l’ultima a morire, tanto per usare un proverbioe non pensare a rimettere, e subito me ne venne in mente un altro,ossia che la paura fa novanta. Esattamente 90 secondi dopo vomitavol’anima e tutto il resto; paure e speranze comprese. A farmi compa-gnia insieme a una fetta di limone tra i denti comunque il ricordo diuna bella gita in barca. Anche chi fugge in mezzo al mare o al deserto, a maggior ragione, hale proprie paure e le proprie speranze. Piccole o grandi che sianovanno rispettate. E accolte. Sempre!

Dario Bertolesi

Durante il mio pellegrinare nelviaggio della vita, la cosa che anco-

ra non ho potuto superare è lapaura di voler e poter migliorare

che – per quanto importante enecessario – costa troppa fatica. Mi affido, quindi, non al fato, ma

alla speranza di potercela fare.

Piero Fiorini

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C’è un momento...

...preciso, durante il quale la paura quotidiana, subdola e strisciante,con la quale hai ormai imparato tuo malgrado a convivere, ma cheallo stesso tempo è il motivo per cui hai deciso di scappare, lascia spa-zio alla paura che strozza la gola, taglia le gambe, il fiato e ti fa sudarfreddo, come non vorresti mai augurare a nessuno.È anche il primo momento in cui ti volti e guardi indietro. Non pensa-vi sarebbe arrivato così presto e comunque non lo farai più per moltotempo. Stai scappando. È l’unica cosa che puoi fare. Non ti volti, per-ché non si può. All’inizio non ne provi, di paura. Ogni cellula del tuocorpo ti dice che hai paura, ti chiede conto di quel che stai facendo,ma tu non fai in tempo a pensarlo, non riesci a dirlo. Il viaggio si fa susubito impegnativo, faticoso e poi arrivi lì, sulla spiaggia, al buio. Dinotte, il mare fa paura, anche se ci vai in vacanza. Alla luce appare cosìgrande che ti fa sentire niente e quando guardi là, in fondo, dietro lalinea, non riesci bene a spiegare neanche a un bambino, che te lo chie-de curioso, cosa c’è, là in fondo. Allora ti volti e pensi, per un momen-to, che forse è il caso di tornare indietro. Una volta, nella vita, almeno una, ci sarete andati per mare, su unabarca. Non si dice una parola. Fa troppo freddo, sono tutti stanchi.Molti già deboli. Non ti riesci neanche a muovere. E tutti hanno trop-pa paura. Hanno paura di salire e di non scendere più. Hanno paura di

perdersi, di essere rimandati indietro, di essere buttati a mare, diammalarsi. Di non rivedere più le persone che hanno lasciato. Di salire. E di non scendere più. Perseguitati, torturati, discriminati per colore della pelle, idee politi-che, fede religiosa, orientamenti sessuali, appartenenza a gruppi etnici.O semplicemente disperati. Disperati in cerca di altro, per se stessi eper i figli. Avete dei figli voi? E un po’ di amore per voi stessi, lo avete?Chi riesce, rimane sospeso tutto il tempo. In una bolla di sapone chela mente crea per scacciare la paura, perché non puoi essere lì, vera-mente. Quando arrivi la pellaccia è tutta intera e la bolla di sapone, tela mettono addosso. Dalla testa ai piedi. Per mesi non sei niente,meno di quel poco che già eri. Un pensiero per chi hai lasciato, uncompagno per altri, come te. Tutto va avanti senza di te. Fino a quan-do di notte, di nuovo, aprono la porta e ti fanno uscire. E comincia unaltro viaggio. Della speranza. E poi li incontri tutti. Ad alcuni fa paura,la tua speranza. C’è chi non ce l’ha più, da un pezzo, nemmeno per sestesso. Ad altri interessano solo le braccia. Ma qualcuno trova frutto etorna possibile voltarsi e guardare indietro. Allora non sei più soloscappato dalla paura. E si può cominciare a sperare.

Alberto Cometto

Io ho paura...

...di tuffarmi, anche se poi mi piaccionoquegli attimi nel vuoto e l’impatto conl’acqua fresca. Ho paura delle montagnerusse, anche se quella volta a Gardalandho poi riso per mezz’ora.Ho ancora un po’ di paura del buio, deiboschi di notte, degli insetti e dei filmhorror. Tutte cose che, senza dar trop-po nell’occhio, quando posso evito.Ho paura quando gli altri crossano,entrano in area, tirano: di solito facciobene ad averne, ma diciamo anche chec’ho fatto il callo.

Ho paura di non fare/ dire/esemplifica -re sempre il Meglio e il Giusto per Etto-re, ma esiste? E poi non posso esimermi.Ho paura di rimanere solo e di nonessere adeguato perché lo so che lei nesarebbe capace, ma m’impunto-discu-to-capzio-preciso e soprattutto sbagliolo stesso, è più forte di me.Ho una paura fottuta della morte: quel-la che lentamente e inesorabilmentemodifica il mondo che mi circonda eche mi aveva accolto, quella che elimi-na i punti di riferimento sociali e, male-detta, anche familiari. Quella che primao poi mi starà sempre più vicina fino a

che, boh, chi lo sa . Tutto sommatocredo di aver paura di ciò che hannopaura un po’ tutti. Delle cose che fannoparte della vita e con le quali si imparaa convivere. Ma NON è così. Perchè io non ho paura della guerra,della malaria, delle pulizie etniche, dellafame e della sete, degli stupri, dellebombe, di non avere un futuro, dell’igno-to, del mare, delle onde, di non arrivare,di non sapere, di sperare, di trovare unmuro che respinge le mie speranze e miriporta indietro alle mie paure...

Maurizio D’Adda

Nicola Moletto

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Non me lo immagino nemmeno

Una volta sola, sul volo TWA per la Grande Mela, al decollo,per gioco, ho provato ad immaginare di star lasciando tutto.Solo un momento, tempo di un decollo. Pensavo a mio padre,che mi raccontava di una partenza con in valigia un uovo inplastica per rammendare i calzini. E per lui si trattava già di“partenza agevolata”. Niente a che vedere con le nostre“partenze intelligenti” ferragostane.

Non me lo immagino nemmeno. Cosa significhi averpaura. Esistenza facilitata a scorrimento prevedibile. Ed è probabilmente di quest’assenza di paura che dovreiaver più timore. Di pari passo, poche speranze. Come giàscrisse e cantò qualcuno: «... due miserie in un corposolo…». Time will tell.

Claudio Elie

Credo che in fondo la paura più grande di tuttesia quella di guardare dentro noi stessi...

... e di trovare qualcosa di diverso da quello che ci aspet-tiamo, da quello che ci siamo sempre raccontati e abbia-mo raccontato all’esterno… qualcosa da affrontare per-ché a volte non riesce a restare chiuso dentro, ma si affac-cia all’esterno, facendoci spaventare oppure causandocidei danni. Qui entra in gioco il coraggio, il coraggio di dire a se stes-si che non si è esattamente come ci si è sempre adattati acredere, il coraggio di raccontare a se stessi quello che dinoi non ci piace e che vogliamo cambiare, coraggio cheva trovato per poter continuare a credere in se stessi. A volte il cambiamento esterno aiuta questo processo,ma la cosa che davvero ci consente di superare questepaure a effrontarle è il loro riconoscimento e la loro con-divisione con la persone che hanno affinità con noi. Credo sia questa in fondo la spinta interiore che trovanole persone che, nei più sperduti angoli del mondo, sono

costrette da situazioni ambientali e sociali insostenibilia cambiare paese e quindi vita, perdendo tutti i rife-

rimenti, e che nonostante questo riescono a nonfar spengere la propria volontà di vivere e pro-

seguire nella loro strada.

Michele Panichi

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Nel sonno la mente migra, consapevole,

verso i lidi dell’infanzia.

Patria, nazione, casa, poltrona, Via!

Di notte tutto sfuma e lo spirito sottile

s’arma di stivali e s’incammina verso il bello,

Atlantide e Lemuria.

Si sfibra il cavo che lega il cuore a santi e fatti,

l’anima si libera dalla

carne tremolante e s’invola nell’ignoto. Si passa,

niente dazi o muri o sbarre.

Al culmine del viaggio, ogni mattina,

lungo l’orizzonte che monta la frontiera,

uno scampolo di fuoco annuncia il giorno.

Risveglio. Ritorno. Materia.

Ancora, cemento, lavoro, paura.

Patria, nazione, casa, poltrona.

Gabriele Dozzini

SPEED TRANSPORT S.I. SRLsupporta e diffonde

il Xmas Project 2009

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Ecco tutto quello che di più caro c’è nella mia vita... la paura di poterlo perdere, la speranza che si possa restare sempre uniti!

Alessandra Ghirotti

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era2009: io e la mia mamma a Stoccolma

Con amore, Serena

Nell’aria sento la paura del domani, poi vi guardo e la speranza diventa realtà.

Paolo Pagani

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Page 96: Librosolidale_2009

Avventura dopo avventura...

noi due insieme... per superare con coraggio le paure e gli ostacoli che

incontreremo sulla nostra strada.

Con amore, fof

chiara-simone-giulia-alessandro-edoardo-davide-camilla-alessia-francesca

È grazie a voi che vivo senza la paura di non avere speranze, ma con la speranza di non avere paure.

Vi amo, Marty92

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Page 97: Librosolidale_2009

Paura dell’uomo nero

La paura è un sentimento davvero comune. Accompagna la vita di ognuno di noi. A volte siprova pure piacere nel vivere la paura, se siamodavanti ad uno schermo o sopra alla carrozza di unottovolante. La paura è vita, dà emozioni. Un istantedi paura è sentire con intensità.La paura però è anche quella che paralizza. Che tiimpedisce di muoverti se stai sognando, che ti portaa cambiare strada per non incrociare chi non vuoi. Lapaura è quella che ti fa rimanere fermo, sulle tue posi-zioni. Quella che ti impedisce di cambiare, di ascolta-re, quella che ti porta a difenderti. A mostrarti forteperché sei debole, a mostrarti d’accordo anche se seicontrario, ad aspettare invece che avanzare.In alcune persone la paura porta a nascondersi. Main altre diviene la forza per diventare qualcun altro.Nella vita privilegiata di chi ha una casa, un lavoro,una famiglia, un affetto o, anche più semplicemente,la sicurezza di mangiare ogni giorno, più volte al gior-no e la ragionevole certezza di non essere in pericolodi vita, la paura è il più delle volte una nostra creatu-ra. È “paura di secondo grado”. Viene dalle nostredebolezze di esseri umani. Profondo rispetto ancheper questa paura, ma se la confronto per un attimoalla paura di morire, di fame, di guerra, di persecuzio-ne, di carcere o di omicidio, imparo per qualcheistante a ridimensionare me stesso. La mia paura esi-stenziale diviene poco o nulla di fronte a quella pri-mordiale di chi vive in un inferno.Quando si incontra un migrante, siamo abituati avedere prima di tutto la sua pelle, il suo modo divestire, sentire il suo accento. È quasi inevitabile. E glidiamo del tu, anche se non lo conosciamo. Prevale lanostra paura del diverso e i nostri dubbi su come fa amantenersi, su che pericolo rappresenta per noi.Qualcuno pensa “che si cerchi un lavoro”. Qualcunosi chiede “cosa è venuto a fare in Italia, se è qui perelemosinare”. Qualcuno pensa che “ho appena datola mia quota di paradiso all’uomo nero di qualcheminuto fa e ce ne sono troppi”.Non ho la risposta politica al problema (anzi un po’ce l’ho) ma prima di tutto, prima di tutti i miei pen-sieri, vorrei imparare ogni volta che vedo un immi-grato a chiedermi “perché?”. “Perché è venuto in Ita-lia?”. La domanda mi porta ad immaginarmi l’uomo,prima del problema.Ha scelto di emigrare perché era insoddisfatto delsuo stipendio e perché voleva permettersi un altropaio di scarpe o voleva cambiare cellulare. Anche lasua tv, ad un certo punto, come a me, gli è sembratatroppo piccola.Forse no. Forse questo è vero per chi ha raggiunto l’I-talia in treno o in aereo. Certo non il motivo di chi harischiato la vita su di un barcone. Perché questa è lasostanza del tema.

Di fronte ai mille messaggi dei media che mettonotutto e tutti sullo stesso piano, si perde molto spessola sostanza dei problemi. Chi prende un barcone noncerca l’avventura. Scappa. Supera la paura per un filodi speranza che gli fa credere che abbandonare tutto,famiglia, amici, casa, figli, genitori, potrà essere ilmodo migliore per continuare a sopravvivere. O, perdirla in altro modo, per continuare a respirare. Ora provo ad immedesimarmi. E mi immagino ilcoraggio che ci vuole per scegliere la follia del viag-gio, aggrappato all’auspicio del tempo sereno, dellaresistenza fisica alla fame e alla sete, dell’accoglienzadi un lembo di terraferma. Davvero troppo per ilcoraggio che potrei avere io. E davvero troppo perdecidere di chiudere le porte all’accoglienza in modoindiscriminato, con la fretta di mostrare la propriaipocrita coerenza elettorale e la consapevolezza diviolare i principi minimi dell’essere uomo.Il barcone non è l’immagine della delinquenza, dellaviolenza, della barbarie. Il barcone è l’infernale cro-ciera della speranza. Dobbiamo sapere riconoscere ledifferenze.Nel mondo del relativismo assoluto mi piacerebbepoter credere che, grazie a questo libro e a quelli cheverranno dopo, torni a risplendere uno dei pochivalori laici e universali che accomuna tutti noi: l’uma-nità. Umanità di pensiero, umanità di sostanza.Se oggi la sensazione di paura comincia a colpireanche noi, fieri sostenitori del mondo civilizzato,possiamo forse iniziare a capire come la civiltà chesoffre è un problema anche nostro. Che l’uomo non èpiù espressione di una bandiera ma di un intero pia-neta, che lo vogliamo o no. Prima lo capiremo, primaimpareremo a costruire una buona convivenza. Eancor prima cominceremo a risalire la curva delladecadenza che ha colpito l’uomo moderno, investitoda un crollo camuffato da crisi economica e finanzia-ria, per nascondere la ben più preoccupante crisi cul-turale. L’uomo non può che piangere e avere paura diguardarsi allo specchio.

Roby Bernocchi, www.bebetterworld.com

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Tremo

Ha inizio la mia battaglia interiore. Pauradinonfarcela, Amorproprio: è un duello e ciascuno

dei contendenti aspira a prevalere sull’altro.Non posso mollare,

ma muoio di paura.Frustrazione... smarrimento,

ma la meta non è irraggiungibile...Ed all’improvviso la luce...

Finalmente ce l’ho fatta... per pochi gloriosi istanti un’adrenalinica sensazione

di fierezza pervade il mio spirito.Pace.

Riflessione. Saggezza.

Non credevo che mettersi in gioco con le propriepaure potesse modellare tanto un’anima.

Riccardo Brioschi

La speranza in un mondo menoimpaurito. La paura di perdersi

dentro vane speranze. La speranza diimparare a incontrare e superare le

paure. La paura che “questi” non se nevadano più; la speranza che gli “altri”

rinsaviscano, anche solo un po’. La paura diperdere, la speranza di perdere bene, almeno.

Paura di essere avventato, superficiale, dopoaver imparato la speranza spremuta in ogni

attimo (gianni fiorini, grande maestro). La pauradi essere inadatto… la speranza che nessuno se ne

accorga. La paura del dopo, sperando sia a colori. Paura e speranza di incontrare qualcuno di là che da

un po’ non vedo più: e cosa dire?La paura che la speranza ci renda troppo fragili.

La paura che questo sia l’ultimo libro, la speranza che poice la si faccia, ancora una volta... La speranza di

riconoscere che alcune paure servono, fanno crescere. La paura di non saper spiegare la speranza. La speranza nel

tempo buono, ma se la vita è tempesta, tempesta sarà... Paura e speranza in sei occhi, anzi otto, che mi guardano tutti i

giorni, un’emozione paurosa, tutta la mia speranza.Matteo Fiorini

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Ho paura se NON ci penso. Se ci penso mi passa.Spero non sia ansia da controllo...

Elena Casadei

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Lara Bellardita e Dario Piletti

Per Coletta

Sarà tutto finito quando leggerai queste righe esono sicura che la paura avrà ormai lasciato ilposto alla speranza. Proverai una emozione forte eintensa sentendo battere il tuo cuore. Sì perché,come avviene per tutti noi, questo bizzarromuscolo che ci tiene in vita nemmeno ciaccorgiamo di averlo; pensare che lavora come unforsennato senza fermarsi mai.E sorrideremo insieme pensando alle dosi massiccedi tranquillanti assorbite in queste settimane e a

tutte le volte in cui ti sarai ripetuta davanti allospecchio “io non ho paura”, non sapendo tuper prima se crederci o meno. Prenditi iltuo tempo, lascia che siano gli altri a

correre un po’ per te. Io ti aspetto a casa.

Cristina Poletti

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Power Rangers

L’ultima volta che parlai con Claudio era il 29 Maggio 2007, eravamonella valle di Pagman a 15 km da Kabul e a 5.238 Km da casa, Milano.Eravamo di guardia al campo base da 427 giorni e 9 ore circa. In guer-ra non esiste il “cambio della guardia”. Certo, stacchi ogni tanto dallagaritta, ma sei sempre vigile. Dopo aver deglutito con soddisfazionel’ultimo sorso del primo caffè della mattina, Claudio esordì: Tu hai paura?Beh no. O meglio non ci penso. Tanto può capitare qui come sulle striscepedonali. Statisticamente è più facile lasciarci la pelle a Milano che qui.Sì, ma non intendevo necessariamente “di morire”. Voglio sapere se tu haipaura di essere cambiato, di tornare e di sentirti a disagio o di non ricono-scerti più in quel mondo.Ma no. Che cazzo stai dicendo? Io non vedo l’ora di tornare. Anzi lavedo bene, mancano 44 giorni, caro. E so esattamente cosa farò appe-na arrivato. Innanzi tutto chiedo a Francesca di sposarmi e poi, con isoldi della Missione, mi compro l’Audi A3.Questa notte ho pensato a quello che diceva l’altro giorno il Sergente Wheelere credo che abbia ragione lui.L’Americano? Ma se era ubriaco e farfugliava!?Ma va va. Perché tu non lo ascoltavi, ma diceva delle cose intelligenti.Non mi ricordo bene, ma mi sembravano dei discorsi senza senso.E invece era lucido, anzi tremendamente lucido. Secondo lui originariamente,insomma una volta, il potere di decidere della propria vita era equamentedistribuito tra tutti gli uomini. Cioè apparteneva al singolo individuo. Poiqualcuno ha creato dei nemici mediatici immaginari e, improvvisamente,ogni persona si è sentita vulnerabile e minacciata. Quindi ha consegnatonelle mani di altri il proprio “potere decisionale”. Cioè ha delegato ad altri laresponsabilità di prendere delle decisioni che lo coinvolgono. Di fare una guer-ra, di fare un vaccino, di vietare un comportamento...Ma sei fuori tu adesso? Ieri lui oggi tu? Cos’è “il telefono senza fili”? Domani sarà il mio turno di dire cazzate?Ma va pirla!... In pratica lui diceva che qualcuno attraverso la veicolazionemediatica di paure collettive, tipo pandemie, atti di terrorismo, la paura versogli immigrati, i drogati o altre cose di questo tipo, sono sufficienti a vanificareogni tentativo di resistenza verso chi prende le scelte per nostro conto.

Attraverso i media manipolano le nostre emozioni, le nostre paure e control-lano i nostri desideri. Mi segui?Oeh!Dai, sul serio.Ma di venire qui l’hai deciso tu. Di farti il culo quest’anno e mezzo percomprarti l’appartamento in Maggiolina, l’hai scelto tu. O te lo haimposto il Grande Fratello?Non ne sono più così convinto e comincio a credere anch’io che ci voglionoimpauriti per controllarci meglio.Ora me la scrivo! E chi pensi che siano questi stronzi? I Power Rangers?Ah Ah! Che ridere…Dai che faceva ridere… Beh, comunque volevo dire che riesco a seguire l’idea di Wheeler che la paurace la incutono volontariamente, però qua siamo in guerra cazzo! Quelli spa-rano sul serio, si fanno saltare, io ho PAURA ogni maledetto secondo! Nondormo da sette notti cazzo. Siamo in MISSIONE DI PACE, Claudio.Come?Ho detto che siamo in MISSIONE DI PACE e non “in guerra”. L’hai sen-tito il Capitano, no?Ma che cazzo vuol dire “MISSIONE DI PACE” Albi? Missione di pace con gli AR70/90 (n.d.r.: fucile d’assalto) in braccio? È come dire di essere vegetarianimangiando una bistecca da 1 kilo.Eh?Appunto, non vuol dire un cazzo, è quello che intendevo. Il Linguaggio è lagrande “magia” con cui ci vogliono fregare.Ma chi? Ma cosa cazzo stai dicendo ancora? Sono stanco, lasciami in pace.Lo vedi? L’hai fatto ancora!Cosa?Hai detto ancora “pace”.Embeh?!Cazzo, siamo in guerra. G U E R R A!!! Nulla è più lontano dall’essere “pacifico” cheessere qui, adesso, in questo Paese, in una cazzo di caserma, in mimetica, abbrac-ciati ad un fucile a difendere dei pozzi di petrolio. E questi quattro poveracci diAfghani non ne vedranno neanche un soldo. Cosa siamo venuti qui a fare...?Per i soldi nostri e della società petrolifera. Va bene questa risposta? Lachiudiamo qui?Tu Albi fai sempre così. Ogni volta che non si parla di figa o di calcio ti annoie vuoi chiudere la discussione, ma non possiamo sempre parlare di cazzate...Chiamale “cazzate”... 7 Coppe Campioni... “la squadra più titolata almondo”...Lo vedi?! Io volevo solo dire che possiamo anche cercare di farci delle doman-de, cercare di capire... E poi sono stanco di stare qui e non mi interessano piùi soldi. Mi mancano i miei amici, voglio tornare a casa.

WROOOOMM!! Cazzo questo è bello lanciato! BOOOOOM!!!

Claudio non lo vedo più da quel giorno. Siamo rimasti entrambi feritidall’esplosione e siamo stati ricoverati in ospedali diversi, prima diessere rimpatriati. Io, lievemente ferito, dopo pochi giorni, lui è statopiù a lungo a causa di una scheggia che gli ha compromesso un rene.Ora, dopo 7 mesi, finalmente lo sto per riabbracciare. In questo perio-do ho pensato intensamente a quella nostra ultima chiacchierata eforse ho capito cosa voleva dire quel giorno. La Paura ci rende vulne-rabili verso chiunque e qualunque cosa. Bisogna resisterle e combat-terla per essere liberi. Ogni giorno, da allora, provo a essere libero.

Alberto FerriMargheri

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"Fear is a natural reaction to moving closet to the truth.Fear is a universal experience. Even the smallest insect feels it. We wade in the tidal pools and put our fin-ger near the soft pen bodies of sea anemones and they close up. Everything spontaneously does that. It isnot a terrible thing that we feel fear when faced with the unknown. It is part of being alive, something weall share. We react against the possibility of loneliness, of death, of not having anything to hold on to. Fearis a natural reaction of getting closer to the truth. If we commit ourselves to staying right where we are,then our experience become very vivid. Things become very clear when there is nowhere to escape.Anyone who stands on the edge of he unknown, fully in the present without reference point, experiencesgroundlessness. That is when our understanding goes deeper, when we find that the present moment is apretty vulnerable place and that this can be completely unnerving and completely tender at the same time.(…) What we are talking about is getting to know fear, becoming familiar with fear, looking it right in theeye – not as a way to solve problems, but as a complete undoing of old ways of seeing, hearing, smelling,tasting and thinking."

CHÖDRÖN, P., WHEN THINGS FALL APART, HARPERS COLLING PUBLISHER, LONDON, 1997

Silvia Marchetto

«Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre miononno: un bimbo o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o unpaio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosainsomma che la nostra mano abbia toccato, in modo che la nostra anima abbiadove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero, o il fiore cheabbiamo piantato, noi saremo là.

Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosada ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenzatra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere, sta nel tocco, diceva.Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, sul quel prato; ma il vero giar-diniere vi resterà per tutta una vita».

“FAHRENHEIT 451”, RAY BRADBURY

Massimo Mascheroni

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Paura e speranza

Ho avuto paura, ne ho tuttora e ne avrò ancora. Paure insignificanti e altre di spessore.Ma da quando conosco la paura ne ho meno paura.

Ho vissuto recentemente un’esperienza per laquale tutti mi hanno consigliato di non anda-

re avanti, di fermarmi. “Perché?” chiedevo io“perché soffrirai” rispondevano.

Io andavo avanti e soffrivo. Ma poi ripar-tivo, animato dalla speranza e soprat-tutto cosciente che non avevo paura di

soffrire. La sofferenza sembra che nellanostra cultura sia un fatto inaccettabile.

Eppure è un formidabile mezzo di cono-scenza.

Un altro tabù per la gente è la morte.Non s e ne può par lare , non s i

nomina se non in circostanzedettate dalla circostanza.

Esiste. Punto.Poco più di dieci anni fa ho

perso mia madre. Alcune delle persone chemi conoscevano non riu-scivano a capire se la miareazione fosse quella di

un ragazzo forte o coraggioso o invece peggio:superficiale. Erano sorpresi nel vedere come lamorte della persona più importante non mi avesseapparentemente turbato. Non era così naturalmente. Ma era la forza del pre-sente. E ciò che mi spaventava della morte di miamadre era la perdita del suo presente.Il presente è la cosa più violenta che ci sia. Perché èquella che sta lì. È lì.Lo chiamiamo la vita. La vita con i suoi odori, i suoimalesseri. E non si può cambiare niente, le cose si ripetono. La morte assomiglia a tutte le morti, l’assenza asso-miglia a tutte le assenze. Ma è il presente che bru-cia, scintilla, è un fuoco gigantesco.Ci impedisce di fermarci.La morte, che è la mia più grande paura, è comeuna cartella che mi casca dalle mani. È abituarsi aviaggiare senza bagaglio. Ci si sente più leggeri ma sicapisce che ogni partenza il viaggio si accorcia.Ma c’è un sentimento come la speranza, in qualco-sa di indefinito che sembra dare un senso a tutto emuove i fili pur non rinnegando la consapevolezzae l’ineluttabile. E se avessimo tutti meno paura del buio forseavremmo meno bisogno della speranza.

Lapo De Carlo

Mi sono presa un po’ di tempo per riflettere sul tema di quest’anno.

Vediamo: quali sono le mie paure?Beh, se anche una donna corag-giosa e forte come Oriana Fallaciscrive in suo libro di sentirsi “chiusa

a chiave dentro una paura che mibagna il volto, i capelli, i pensieri”,io, donna piccola e fragile, nonposso non avere paure. Va bene.Escludiamo allora quelle univer-sali, che non è umano non avere,come la paura della guerra, dellamalattia, della fame, della naturache si ribella all’uomo...

che paure rimangono?Che timori solo “miei” provo?Ho forse paura di essere traditada un amico?

No, direi di no: ormai conosco lasensazione e, come dire, ci si fal’abitudine e... poi chissà forse,inconsapevolmente, ho traditoanch’io. Provo allora paura di essere tradi-ta da quello che sarà il mio com-pagno? No, non credo: evidente-mente avrà trovato di meglio,l’importante è che me lo facciasapere per tempo cosicché anch’iopossa cercare qualcosa di meglio.Non so. . . sto pensando e piùrifletto su ciò che mi spaventa,più mi si stringe lo stomaco ad unpensiero: l’idea che possa nonfare felice gli amori della miavita… la mia famiglia. Ho pauradi deludere chi mi riempie digioia ogni secondo della mia esi-stenza. Ho paura di non esserefedele a me stessa... io che sono labattaglia contro la quale lottoquotidianamente.

Ho paura di non avere la megliosui miei infiniti difetti. Ho pauradi non riuscire più a godere dellecose che mi entusiasmano: glianimal i , i l c ielo , le nuvole , i lvento, la musica, i fiori, i sorrisi e,ho paura di rendermi “buia” ecosì facendo di provocare doloreai miei amori.Per questo cerco di essere corag-giosa e quindi di nascondere benela paura.Per questo non voglio perdere lasperanza di continuare a esserecome la piccola canna, che si piegaalla forza del vento, ma torna drit-ta quando la tempesta è cessata.

Erica Brovelli, Torino

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Non ho mai avuto paura di passare i cancellidi una grande azienda e di andare a presenta-re un progetto o a condurre una trattativacommerciale. Ad alcuni fanno effetto le porti-nerie decorate in marmo, le scalinate solenni,il portiere al banco che ti chiede i documenti.Lavoro con alcune tra le aziende più impor-tanti del mondo. I manager che le rappresen-tano e con cui parlo sono per lo più personenormali, molte brillanti, alcune particolar-mente devote al marketing, altre prestate allabrand identity per casualità della vita. Cono-sco molte persone alle quali un lavoro come ilmio farebbe paura . A me invece farebbesenz’altro paura ad esempio stare chiuso in unlaboratorio di chimica per otto ore al giorno.

L’altro pomeriggio però, camminando suisampietrini di una via del centro a Milano, ioin trasferta da Torino col treno delle 8.50, sve-glio dalle 6 e mezza, ho sentito qualcosa disimile all’angoscia. Come una sottile sensa-zione di misunderstanding tra me e me stes-so, un equivoco o meglio ancora una disar-monia.Anni fa visitavo fabbriche, acciaierie, carpen-terie meccaniche in Cina, in India, in Repub-blica Ceca, Polonia, Romania: era una vita faormai. Fonderie a Ostrava e presse ad iniezio-ne a Guangzhou, operai seduti sulle caviglie,fabbriche-dormitorio, esposizione quotidianaad agenti nocivi per la salute. Quello mi face-va paura.

Ma l’altro pomeriggio è stato differente. Usci-vo dalle porte scorrevoli degli uffici di unadelle principali multinazionali mondiali deltabacco. Poltrone bianche, tutto in tonominimal, vasi bianchi sfuggenti con dentro ilfiore di loto, vetrofanie con bambù satinati,pavimento grigio, portieri cortesissimi.Chiamiamola disarmonia. Era una specie dipaura.Sono andato a Sant’Ambrogio, già che c’ero. Hosentito il silenzio. Sono rimasto in silenziodavanti a Dio. Gli ho mostrato il mio umore e lamia fatica, la mia incoerenza e i miei pensieri. Prendevo a sculacciate le mucche due vite fa,mi passavano accanto a decine ogni mattinamentre andavo a piedi, anch’io, sull’unica

Alla domanda se io sia pessimista o ottimista,rispondo che la mia conoscenza è pessimista,ma la mia volontà e la mia speranza sono ottimiste.

ALBERT SCHWEITZER

DA “RISPETTO PER LA VITA”

Paola Masini

Per non dimenticare

Motonave “Surriento” 19/10/1955

È notte, una notte piena di stelle. Il mare, quasi fosse cosciente della gravità del momen-to, si è fatto silenzioso e calmo. I marinai, con gestobrevi e misurati, issano la passerella degli ufficiali, l’ulti-mo tratto di unione con il suolo d’Italia.La nave si stacca, lentamente, dal molo. Un riflettoredi bordo percorre a lungo la folla rimasta a terra perpermettere agli emigranti di vedere e salutare ancorauna volta le persone care, che per tanto tempo, eforse mai più, non rivedranno.

La voce del comandante si leva dagli altoparlanti. Nelricordare agli emigranti che quello è l’ultimo scalo inItalia, quella voce di solito fredda e precisa nell’im-partire gli ordini è diventata grave e commossa. Il “Surriento” è ormai lontano dalla riva e riprendesulle acque tranquille dello stretto il suo lungo epenoso viaggio.Intorno sulle sponde d’Italia migliaia di luci tremo-lanti ci salutano in silenzio. Sembra che anche le stel-le siano scese ad ammassarsi in riva al mare per darel’ultimo addio ai fratelli esuli.Addio Italia, mamma dal cuore troppo grande e dalgrembo troppo piccino! Vedi quelle lacrime che riga-no in silenzio i volti di tanti tuoi figli? È per questoche nel tuo mare c’è tanto sale. Me l’ha detto unastella che, cadendo, ha rigato il tuo cielo di una lacri-ma in più…

Piero Macchi

Benché la sua storia abbia avuto un lieto fine, Pieronon è più tornato. I viaggi della paura e della speranzaerano ieri gli stessi di oggi e di domani.

Cristina e Federica

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strada principale di Jinka verso l’ufficio. Ibambini fischiavano e facevano schioccare lafrusta in aria per farle muovere e portarle abere. Bambini pastori e adulti, contadini etio-pi e centinaia di mucche con la gobba.Se chiedevi a chiunque, Tiferàllech? , haipaura?, tutti rispondevano Alfèrram!, io nonho paura. Nessuno ammetteva la paura. Gente abituata a non avere acqua , a fardipendere completamente il proprio raccoltoe la loro sopravvivenza dalle piogge, a viverein un ambiente ostile e pericoloso, con gliscorpioni, con i cobra, le tarantole, spesso inconflitto armato tra loro per il controllo delterritorio, dell’acqua e dei pascoli: alfèrram!,noi non abbiamo paura!

All’ospedale di Jinka arrivava di tutto. Accol-tellati, donne per partorire, molti moribondiportati in barella a piedi da villaggi lontanianche 40-50 chilometri, bambini denutriti,meningiti, aids, dissenterie che portano allamorte. Ma io lì non avevo paura.Tornando in metropolitana verso StazioneCentrale, la situazione mi pareva quasi ironica.Aveva a che fare con la mia consapevolezza disaper comprendere i meccanismi che regolanol’economia e la politica sul pianeta Terra.Di collegare i processi e i profitti dell’industriaalle nazioni ricche di materie prime e poveredi tutto il resto; di associare le politiche sul-l’immigrazione attuate in Europa al manteni-mento di certe plutocrazie africane controlla-

te dai principali Paesi occidentali oltre che increscente misura dai cinesi.E nel gomitolo di pensieri, su tutto questostava l’evidenza di quanto la comunicazione,specie quella televisiva, condiziona le opinio-ni e le scelte delle persone (alternativamentedefinite consumatori, cittadini, opinione pub-blica, elettori, utenti). Tutto questo mi restitui-va un senso vago di ansia, per me e per le muc-che con le quali condividevo curve e strattoninel viaggio fino in Centrale.In treno ho dormicchiato. Yet ti’hidàlle? mi hachiesto una vocina. Dove vai? Wode bit. Vadoa casa. Questo pensavo e mi tranquillizzava.

Stefano Zimbaro

Una mattina, in metropolitana, hocomprato il giornale e in primapagina ho visto una fotografia chemi ha fatto paura, tanta paura. Hopiegato il giornale per non guardar-la , ho pensato che a casa avreidovuto nascondere bene il quoti-diano, perché i miei bambini nondovevano assolutamente vederequella fotografia: il volto tumefattodi un uomo morto, che era statopicchiato prima della morte, dopoessere stato arrestato quando eradetenuto in un carcere. In Italia. Senza guardare la prima pagina hoaperto il giornale sulla seconda e

terza: anche lì fotografie, grandi,dell’uomo morto, la schiena, lamascella, livide, rotte, picchiate. Lapaura mi restava addosso , unuccellaccio nero sulle spalle, manella pancia cresceva una rabbiapotente, ben più forte della paura,e nel cuore una comp a ss ionealtrettanto forte per quell’uomo.Allora ho voluto guardare benequelle fotografie, leggere bene unodei primi articoli di giornale sullamorte di Stefano Cucchi, anni 31,morto in un ospedale carcerariodopo l’arresto dei carabinieri chelo avevano sorpreso con una ven-tina di grammi di droga. E poi hovoluto tenere il giornale bene invista, con quella fotografia terrifi-cante che guardava i passeggeri ebuttava in faccia a tutti quello chenessuno vuole vedere.

Daniela Medici

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... Già mi fa paura, vederlo in fascia a saltar gente come birilli!

Spero di portargli la borsa anch’io, qualche volta...

zio Matteone

Bovisa in ricordo di un grande presidente.

Barbarigo a San Siro: la speranza di diventare calciatori.

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Capitani senza paura e di bella speranza!

Matteo e Pablo Panizza

A me mi fanno paura i mostri… e poi… altri mostri.

Camilla Panichi

A me fa paura quando si è in un posto buio buio e si sentono delle urla acute.

Francesco Panichi

paura e speranza

Margherita Bertolesi

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La paura che ho conosciuto

Ho avvertito la paura. Era scesa giù, in basso, i miei piedi scivolavano su una superficieliscia, bagnata, inclinata al punto esatto da farmi cadere. Era un venerdì e c’era vento.Ho sentito l’odore della paura quando una notte il fumo ha oscurato le pareti della miacamera e ho riconosciuto che a bruciare non erano più le caldarroste della sera prima.Era passato da poco il Natale.Ho udito la paura nelle sirene di un’ambulanza, a primavera, in un pomeriggio profumatodi erba fresca appena tagliata.Ho visto la paura nello sguardo di mia madre, quando le sue preghiere, scagliate contro ilcielo, rimbalzavano giù come pugnali. Finiva l’estate e c’era molto caldo.Ho toccato la paura sfiorando le mani gelide e raccolte di un uomo in attesa di unresponso, eravamo in un atrio attraversato da altri uomini, come noi.Tutto è cambiato quando la paura ha chiamato proprio me, quando mi ha puntato ildito contro in un attimo impreciso e senza altri particolari.Quante volte mi aveva sussurrato il suo nome all’orecchio, ma non è valso a prepararmi ilterreno per quando davvero sarebbe giunta.

La paura che non riconosceró

Si mette sotto le coperte con me e mi fa respirare benessere.Poi si attorciglia nelle decorazioni di un carnevale e danza tutta la notte.Si sbriciola nelle patatine davanti ad un bel film e mi infonde tranquillità.Scoppietta nel camino insieme alla legna e scalda il cuore.Poi quel profumo si diffonde nelle vie di montagna e mi fa sentire a casa.È la luce tenue che traspare dalle veneziane di un albergo in una città ancora tutta daesplorare.È rossa come un tramonto africano, gialla come un campo di girasoli, blu come un’ondache esplode una gioia inesprimibile a parole, bianca come la neve illuminata mentre godidall’alto una discesa che ti attende.Ti ascolta ma non parla, agisce senza farsi vedere, si confonde con mille scuse che giusti-ficano ciò che prima o poi finisce. È la paura di essere felici.

Mary Pantano

Paura

Io ho sposato la paura;felice unione. Domani divorzio.

La signora mi costringe in casa,perché fuori piove sempre,dice,e m’ammazza la voce,così che l’io Bambino non si svegli.Al mattino mi allaccia le scarpestrette strette,che non si possa faretanta strada,perché , dice,oltre la bottegala gente parla stranoe si nutre di attenzioni. Lei è dolce, indocilee s’impone ai bivi.Di notte,a palpebre calate,s’accosta al mio testonee in un soffio gonfia i miei sognidi spine e rovine.Per amore di questa fosca matrona,abito il ventre nero del passato presente, avvolto dai fumi delle altrui chimere,costrettoa godere della mestacommedia di una terra avviata al torpore.

Domani divorzio.

Gabriele Dozzini

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La cisterna della speranza

Nella lingua ebraica la parola speranza è equivalente, nel suffisso radica-le, alla parola cisterna. La speranza è come una cisterna di acqua freschissima, nel cuore deldeserto, nell’arsura dell’odio. Ma la speranza d’altronde, così come lacisterna, va curata perché si può svuotare, d’improvviso o lentamente,giorno per giorno, goccia dopo goccia. Si svuota per una delusione, undolore troppo grande, un abbandono improvviso.La cisterna della speranza si svuota quando trascuriamo le crepe sottili,quelle invisibili all’occhio veloce e superficiale. Allora la cisterna lenta-mente si svuota, per quell’indugiare al lamento che ci fa ripetere triste-mente che ormai non c’è più nulla da fare, che abbiamo provato tutto,che già tanto nessuno ci vede e nessuno ci dice grazie. Frasi terribili chesvuotano anche la cisterna più capiente.Ma c’è anche un agire nella logica della speranza, quando la cisterna siriempie, se mi impegno e mi assumo responsabilmente la vita di chi micirconda, facendo e operando, sempre insieme, senza protagonismi, inun cammino che poggia sull’umiltà. La cisterna si riempie quando so valorizzare i piccoli passi miei, della miacomunità, di chi mi sta accanto. Quando so cogliere i germogli, pur surami secchi, non sempre facili da scorgere, e non mi fermo a denigrare lefoglie secche che si notano subito ai piedi dell’albero.

Ci occorre un poco della forza interiore di Etty Hillesum che nel campodi concentramento scriveva: «La miseria che c’è qui è veramente terribi-le – eppure alla sera tardi, quando il sole si è inabissato dietro di noi, micapita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e alloradal mio cuore si innalza sempre una voce, – è così, non ci posso far nien-te, è di una forza elementare –, e questa voce dice: la vita è una cosasplendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completa-mente nuovo.A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto diamore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrirema non dobbiamo soccombere. E se sopravviveremo intatti a questotempo, corpo e anima, ma soprattutto anima, senza amarezza, senzaodio, allora avremo il diritto di dire la nostra parola a guerra finita».

Giuseppe Bettoni

Migrante

Vado, perché ho il viaggio

nei calcagni, le ossa di un’antilope,la guerra tra i capelli.

Vado, cerco un’occasione,

terra, cibo, o solo vento,perché il mio cuore vola

a vela.

Vado e sogno di restare,ma il mare è rosso,

il cielo pece,scorgo squali

a riva.

Lascio strade obliate,

abbracciate dal deserto,annerite dai silenzi,

sdraiate sui diamanti;Le lascio nel terrore,

senza un nome,gravide d’odio e di tramonti.

Verso il mondo PrimoVado,

ma il mare è nero,il cielo è piombo,

vedo squali a riva.

Gabriele Dozzini

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Xmas Project 2009 è davide rossi ♥ margherita bertolesi ♥ edoardo sheila mauri bini ♥ monica marini ♥ katia tumidei ♥ cicci carini ♥ alessandro bompieri ♥ sarah nocita ♥ giulia utili ♥ chiara utili♥ elena casadei ♥ monica burdese ♥ alberto bruno ♥ emma e marco bruno ♥ alessandro bruno ♥ alessandro febbi ♥ alberto lazzaretti ♥ virgilio beltrando ♥ barbara boffa ♥ giorgio bertolo ♥ daniele allocco♥ franca miretti ♥ john skinnader ♥ agnese e giampaolo ♥ loris genesio ♥ studio agrò ♥ padre gianni nobili ♥ giorgia morra ♥ marco patagarro eula ♥ max garbo ♥ massimiliano tinelli ♥ marina gemic e vittoriosalvini ♥ luca buratti ♥ marco mangini ♥ manuela bocco ♥ massimo durante ♥ marco di gregorio e donatella ♥ andrea ceccarelli ♥ federico barral ♥ massimo santambrogio ♥ alessandro de angelini ♥ gianfrancode cesaris ♥ nicola cascino ♥ elena pini ♥ giulia montrasio ♥ luca musumeci e stefania spennacchio ♥ stefano ronzoni ♥ giovanna giuliana ♥ federica rovelli ♥ andrea volonté ♥ elisa reginato ♥ 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elisabetta loi ♥ luca lunardi ♥ veronica setola ♥ vincenzo beninato ♥ andrea e pietro ferrari ♥ michela casanova ♥ damiano bogo ♥ enza de bellis ♥gisella novello ♥ vittorio pisicchio ♥ daniela galbiati ♥ gabriella pinolo ♥ amalia conti ♥ damiano fabiola tatiana antonio ellero ♥ capricorn srl ♥ paola toniolo ♥ elisabetta peruffo ♥ laura aiello ♥ alberto ipsilanti♥ dario piletti ♥ lara bellardita ♥ michele novaga ♥ michele schiavone ♥ silvana ghioni ♥ marina gianesini ♥ dario basile ♥ sabrina lombardi ♥ giorgio guccini ♥ paola fabio giulia camilla e paolo maragno ♥matilde e piergiorgio petruzzellis ♥ francesca cantarutti ♥ luisa basso ♥ katia malgioglio ♥ stefano marchi ♥ andrea gaeta ♥ safety partner srl ♥ cosimo piga ♥ gian giorgio carta ♥ vincenzo dragonetti ♥ manuelanotti ♥ claudia muro ♥ martina todesco ♥ barbara da luca ♥ antonietta e franco ♥ lara cimmino ♥ cristina poletti ♥ giorgio boratto ♥ alberto mauri ♥ paolo elena e ariele cattaneo ♥ giampaolo mirri ♥ simonefontana ♥ alessandro de melas ♥ sonia de luca ♥ dario pigaiani ♥ angela bagnati ♥ maurizio barella ♥ piercarla battarini ♥ raffaella stracquadanio ♥ lorella bazzini ♥ lapo de carlo ♥ yade mamadou ♥ margherito♥ metrella ♥ arbi mone ♥ he jinchuan ♥ patrizia sevieri ♥ erika brovelli ♥ cyndra velasquez ♥ rino cimmino ♥ lions club borgomanero ♥ dorly albertoni ♥ lalla alfani ♥ delly asnaghi ♥ enrica carrera ♥mariangela casarotti ♥ amelia cotogno ♥ maria rosaria gattone ♥ liliana pezzana ♥ rosanna prosino ennio e ada, giuseppe e lia, giovanni e liliana ♥ carlo carlini ♥ steve lowe ♥ elena cazzaniga ♥ mauro ferrero ♥giorgia lodigiani ♥ rosella capitani ♥ asilo nido multietnico giramondo ♥ cristina pedretti ♥ emanuela monguzzi ♥ stefania conte ♥ graziella rubanu ♥ anastasie egueu ♥ elizabeta ivanova ♥ manuela ferrari ♥sherifa moahmed ahmed ♥ gehan morcos ♥ khader tamini ♥ barbara dambrogio ♥ elisa migliavacca ♥ anna mazzone ♥ francesco giusti ♥ valentina corio ♥ samuele e chiara marconi ♥ les cultures onlus ♥giorgio redaelli ♥ paola amigoni ♥ mario spreafico ♥ elisabetta soglio ♥ teresa monestiroli ♥ erica brovelli ♥ antonella colombo ♥ maria e loris panzeri ♥ gruppo per le relazioni transculturali ♥ associazione stak♥ alessandra e beatrice monterosso ♥ bruno muner ♥ il beppe e l’adele ♥ lonati beniamino e famiglia ♥ elena giuseppina perletti ♥ elena salvi ♥ carlo pelizzi e barbara bordini ♥ marta gatti ♥ stefano torretta ♥coletta fasola ♥ la classe prima b scuola media lesa ♥ diana gianola ♥ maria grazia lodigiani ♥ irene nicola gigi e sabrina bernareggi ♥ enzo schiarripa ♥ massimo zurria ♥ luigi di sipio ♥ benedetta alessandro efrancesco simi ♥ ivano palombi ♥ silvia carameli ♥ lodi giorgia ♥ bruno e annamaria bailo ♥ antonella bazzi ♥ luigi forzatti ♥ serena geravini ♥ davide molteni ♥ serena lara e maurizio ♥ claudia sanvico ubezio ♥elena sanvico ♥ domenico antonelli ♥ bianca masini ♥ clara ergoli ♥ thomas fuso ♥ fabio ardito ♥ alexandra pecorelli ♥ nicola giorgi ♥ sara anselmi ♥ manuela bocco ♥ federico barral ♥ danilo coglianese ♥ andreagucciardi ♥ alberto ornago ♥ gianfranco tonoli ♥ adriano tirelli ♥ roberto corradini ♥ alessandro farmeschi ♥ benedetta maiocchi ♥ jennifer minasi ♥ paola e massimo ♥ mary e giulio ♥ lavinia basso ♥ marcocarillo ♥ silvia acrocece ♥ pier paolo greco ♥ sergio solero ♥ stefania bertelli ♥ alessandro de angelini ♥ riccardo chiesa e valentina ardone ♥ massimo rossi ♥ marco makaus ♥ nicoletta salvia ♥ bruna dell’agnese♥ monica colombo ♥ oratorio di curno ♥ matteo finassi ♥ enrico colpani ♥ andrea ciocca ♥ felice rizzi ♥ tino kakou ♥ sabrina e mirco nacoti ♥ cesare borin ♥ idalia gualdana ♥ sergio cecchini ♥ vanni maggioni♥ ale, il calta ♥ mala k. edmond ♥ moh cede ♥ cristian ferrari ♥ elena besola ♥ elisabetta ferrario ♥ rino ♥ paola tocco ♥ johanne campoy ♥ dr. tuo ♥ dr. lee ♥ tierry djekou ♥ benjamin ♥ johanna ♥ lainémamadou ♥ marta panzera ♥ raffaella gentilini ♥ bernard kei ♥ silvaine ♥ dominique djere ♥ carlo montaguti ♥ jeremie dogbo ♥ carmen ♥ compagnia brincadera ♥ giuseppe goisis ♥ nicola cazzalini ♥ fiorellacorona ♥ alberto benigni ♥ konan norbert kouassi ♥ alphonse lou ♥ denis assande ♥ horace acakpo ♥ michelins guessan ♥ naminignan ouattaro ♥ ballo aboulaye ♥ daniel g. gulu ♥ guillaume o. strézeleck ♥fedele salvo ♥ giusi conti ♥ angelo minali ♥ jolly sylvain gleh ♥ philomène ♥ associazione sguazzi ♥ paola di bello ♥ manuela rinaldi ♥ guia berni ♥ roberta carpani ♥ andrea bristot ♥ margherita tommasopamela e davide agrati ♥ marco irene e marina mazzola ♥ giovanna depascalis ♥ veronica pitea matteo e giorgio gaddi ♥ andrea e greta negrinelli ♥ sara bossi ♥ ilaria bartolozzi ♥ massimo frida e margheritarebotti ♥ agostina invernizzi ♥ giuseppe stefano e rachele fiore ♥ alice ruby rhiannon ♥ alexandra rauter ♥ claudio covini ♥ max covini ♥ andrea marchetti ♥ alessandro marchetti ♥ maria borrelli ♥ davide volpi♥ emma biraghi ♥ giacomo lotti ♥ stefano digiuni ♥ veronica digiuni ♥ rosy volpi ♥ olsen ♥ 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Librosolidale 2001-2008, una collana di solidarietà.

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2001 in RomaniaIl nostro primo progetto ci ha visti in Romania. Abbiamo raccolto i fondi per la ristrutturazione dei reparti di malattieinfettive e pediatria dell’Ospedale di Slatina e abbiamo contribuito all’avviamento del progetto “Assistenti materne”.

Ci scrive Antonio Ellero: «L’esperienza della Fondazione “I Nostri Bambini”,con la fine del 2009, si è di fatto conclusa. In tutti questi anni la Fondazio-ne ha coinvolto centinaia di persone nelle diverse iniziative, effettuato laspedizione di molti camion con materiali e strumenti, favorito l’acquisto dimedicinali e contribuito in maniera decisiva a realizzare i seguenti progetti:ristrutturazione dei reparti di immunodeficienze pediatriche dell’ospedale diSlatina; fornitura di beni alimentari e strumentali a famiglie con bambinidisabili e in AIDS conclamato; assistenza ospedaliera a bambini affetti daAIDS; presa in affido, attraverso l’istituto rumeno delle “Assistenti Materne”,di bambini con disabilità psicofisiche. Oggi l’impossibilità di trovare finan-ziamenti adeguati da parte dell’amministrazione locale e i continui ostacoliburocratici frapposti alla già difficile opera della Fondazione, hanno deter-minato la chiusura dell’attività. L’ultimo bambino è stato dimesso da “La

Casa dei Sogni” (una Casa-Famiglia situata nel comune di Bals che in questi anni ha offerto accoglienza permanente a numerosi bambi-ni affidati alla Fondazione) alla fine di ottobre 2009. Daniel è tornato a casa, dalla sua mamma. Prima di lui, tutti gli altri bambini ospi-ti del centro sono stati affidati a famiglie sostitutive, con cui io e gli altri responsabili della Fondazione restiamo stabilmente in contat-to». Noi ringraziamo ancora Antonio Ellero, per tutto quello che ha fatto in questi anni per i bimbi in Romania e perché se noi ci siamofidati di lui, lui si è fidato di noi, quando ancora non sapevamo se la nostra idea avrebbe funzionato.

2002 in NigerNel 2002, siamo sbarcati in un altro continente, siamo andati in Niger, conl’Associazione Les Cultures, per costruire una scuola, nel villaggio di Assa-da, nel cuore del massiccio montuoso dell’Air. Localmente il progetto èstato seguito dall’Associazione AFAA di Agadez.

La scuola di Assada, costruita anche grazie al sostegno ricevuto dal progetto 2002 delXmas Project, ha completato il suo settimo anno di attività nonostante i problemi disicurezza della regione, che rendono difficili gli spostamenti di alunni e insegnanti. Ibambini iscritti quest’anno sono ottantuno, già dal 2008 quattro di loro hanno potutoproseguire gli studi superiori a Agadez, grazie al sostegno garantito da Les Cultures. L’esigenza principale è ora quella di assicurare lostesso diritto al proseguimento degli studi ad altri cinque ragazzi che hanno concluso quest’anno la scuola primaria. Les Cultures staquindi lavorando alla raccolta fondi utile a sostenere la continuità del nostro intervento ad Assada e dintorni.

Abbiamo iniziato la nostra strada nel 2001 con il primo Librosolidale. Non sapevamo come sarebbe andata e se saremmostati capaci di continuare, Natale dopo Natale. Ci stiamo ancora provando, ci sono dei momenti in cui ci chiediamo se ce lafaremo a proseguire, ma nel frattempo abbiamo pubblicato otto “Librisolidali”, sostenendo con il vostro contributoaltrettanti progetti. Ecco una breve sintesi delle iniziative che abbiamo realizzato in questi anni, accompagnata dagliaggiornamenti che ci hanno inviato le associazioni con cui abbiamo collaborato. Questa è la nostra storia fino ad oggi. Noi ne siamo orgogliosi, ma sappiamo che senza di Voi non sarebbe stata possibile. Grazie di cuore. E Buon Natale.

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2003 in ColombiaDopo l’Europa e l’Africa, siamo andati in Sud America. Nel Natale2003 eravamo in Colombia, insieme alla Fundación Niños de LosAndes, per sostenere un progetto di recupero e reinserimento dibambini e ragazzi di strada a Bogotà. Grazie ai fondi raccolti è statopossibile contribuire all’acquisto di una casa a Bogotà per i ragazzidi strada.

Abbiamo chiesto all’Associazione Niños de Los Andes a che punto è, oggi, illoro lavoro e questo è un breve estratto della loro risposta, che ci raccontal’evoluzione del loro progetto: «In conseguenza ai provvedimenti legislativiche hanno istituito il servizio “Centro di Emergenza”, per garantire protezio-ne integrale e immediata al numero crescente di minori in stato di pericolo oabbandono, abbiamo stabilito che la Casa Albachiara cambiasse la sua desti-nazione, venendo destinata a tale servizio. Dopo cinque anni in cui è statautilizzata per il programma “Preparazione per la vita”, ospitando adolescenti prossimi a uscire dalla Fondazione, Albachiara ha ora aper-to le sue porte a bambini e adolescenti per i quali la prolungata permanenza sulla strada pone a rischio la loro sopravvivenza e la possi-bilità di un percorso evolutivo sufficientemente sereno. Gli obiettivi del servizio “Centro di Emergenza” sono quindi centrati sull’assicu-rare tutela sanitaria, sociale e psicologica ai minori ospiti (per la maggior parte di età compresa tra i sette e gli undici anni) garantendoloro anche un’adeguata formazione scolastica. Il nostro impegno è dunque quello di offrire a questi ragazzi una risposta a bisogni fon-damentali di crescita, a oggi per lo più non soddisfatti».

2004 in NepalPer il Natale del 2004, il Xmas Project si è spostato in Nepal, grazie all’impegno dell’Associazione G.R.T. Gruppo per leRelazioni Transculturali. In quell’occasione abbiamo sostenuto la realizzazione di un progetto socio-sanitario nellaregione di Rupandhei, destinato ai bambini e alle donne Dalit: i cosiddetti “Intoccabili”. Localmente il progetto eraseguito dall’Associazione FEDO (Feminist Dalit Organization).

Durante l’annuale missione in Nepal del GRT, si è potuto apprezzare l’evo-luzione del lavoro dell’associazione locale FEDO. Localmente, tutti ricorda-no con riconoscenza il valore del contributo del GRT ottenuto attraverso ilXmas Project, anche per l’elasticità della gestione, che ha permesso dimonitorare e riattualizzare i finanziamenti alla luce delle necessità emer-genti. Il lavoro si è sviluppato anche in altri territori del Nepal, con risulta-ti interessanti. FEDO, attraverso la credibilità del suo lavoro, ha attrattonuovi finanziatori tanto da rendere la sua sopravvivenza economica suffi-cientemente stabile.La novità più importante è la partecipazione di FEDO, attraverso una suarappresentante, all’organismo tecnico-politico che è incaricato dal Gover-no di redigere il testo della nuova Costituzione del Nepal. La presenza diuna donna Dalit in questo importante organismo appare molto significa-tivo e lascia ben sperare sull’attenzione che la Carta Costituzionaledovrebbe dare alla problematica delle differenze di Casta e soprattutto deidiritti dei fuori-casta.

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2005 in ItaliaNel 2005 abbiamo scelto un Natale italiano. Grazie all’iniziativadell’asilo nido Giramondo abbiamo sostenuto la Cooperativa socialeCittà Nuova nella realizzazione del “Progetto 100 Euro”. Grazie aquesto progetto, dal Settembre 2004 l’Asilo ha previsto l’inserimentodi 10 bambini stranieri, figli di “genitori soli” in situazione di gravedisagio economico e sociale.

La Cooperativa sociale Città Nuova non esiste più, ma l’Asilo Nido Giramondosì, e continua a lavorare ispirandosi agli stessi principi che ne avevano carat-terizzato la nascita. Oggi Giramondo è un asilo nido privato convenzionato,situato nella zona Bovisa a Milano, che da qualche anno riceve, in seguitoall’iniziativa promossa dal Librosolidale, sincero affetto e sostegno.Ha avuto bisogno di aiuto e tuttora ne ha bisogno, ma il Comune di Milanoha confermato la convenzione pubblica, chiedendo anche di aumentare i postia disposizione. Le richieste che il Comune invia spesso partono da famiglie straniere: molte bimbe e molti bimbi arrivano e imparano leprime parole italiane. Nonostante i problemi, spesso di natura burocratica, l’impegno dell’asilo Giramondo è costante e rappresenta unpiccolo, ma significativo, contributo alla realizzazione di un’esistenza più serena per Milano e per i bimbi che ci vivono.

2006 in EtiopiaNel Natale del 2006 siamo andati in Etiopia, per sostenere l’Associazione OMO Onlus nella realizzazione di un progettorivolto alle comunità Maale di Gongode e agli Hamer di Dimeka. Il progetto ha avuto come obiettivo la costruzione di10 bacini artificiali per la raccolta di acqua piovana. Partner locale è stata la Chiesa Cattolica del Gamo Gofa.

Il progetto è tuttora attivo e con ottimi risultati: circa 3.000 persone stanno bevendoacqua potabile disponibile vicino ai villaggi grazie al contributo del Xmas Project.Il progetto ha avuto una fase di test a Gongode: due ponds sono stati scavati e connessi apozzo e abbeveratoio. Uno dei due è attualmente ancora attivo ed eroga acqua potabile acirca 80 famiglie (in tutto circa 450 persone, più i loro animali, mucche e capre). L’altro èstato invece un insuccesso, perché la zona in cui è stato costruito ha registrato pioggescarsissime oltre a un’elevata evaporazione dovuta al calore, che è il principale problemadelle pozze naturali.L’acqua in Etiopia è evanescente: nonostante piogge intensissime che generano il riempi-mento dei letti dei fiumi solitamente in secca, l’acqua non permane a lungo sia per lanatura argillosa del terreno che filtra velocemente sia per il caldo intenso e la secchezzadell’aria. È stato scelto quindi di mantenere solo il pond che ha avuto successo e di inve-stire il denaro per operare sempre su Gongode, ma in due modi differenti. Quindi, dopoaver messo in protezione una sorgente naturale, l’acqua è stata canalizzata in tubi d’ac-ciaio galvanizzato: nonostante una bassa portata, si dà acqua a circa 450 persone ed èstato possibile costruire persino dei bagni pubblici, strumento sanitario molto importanteper preservare l’acqua da eventuali contaminazioni. Inoltre, a Golobrendo, sempre nell’a-rea di Gongode, è stato costruito un sistema a gravità che canalizza l’acqua delle sorgentidelle montagne adiacenti: questo sistema convoglia acqua potabile nelle vicinanze delleabitazioni di 2.500 persone.

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2007 in Costa D’AvorioGrazie all’Associazione Sguazzi, per il Natale del 2007, siamo stati in Costa d’Avorio, a Man, dove è stata promossa larealizzazione di una biblioteca medico-scientifica dotata di apparecchiature telematiche e connessione internet. I fondiraccolti sono serviti ad acquistare un’antenna parabolica, il materiale per la sala videoconferenze e gli stipendi annualidel personale scientifico locale.

Ci scrive Mirco Nacoti, dell’Associazione Sguazzi: «Questo progetto sin dal principio harappresentato una sfida per tutti noi: ci ha portati a spingere il nostro sguardo al di làdell’opera di volontariato che ciascuno di noi svolgeva da tempo nel proprio contesto divita per attingere a un respiro più ampio, per conoscere e capire più profondamentesituazioni di disagio così lontane e apparentemente estranee da noi, dove non avremmomai creduto di poter essere decisivi, riuscendo a dare un contributo concreto. La realiz-zazione del “Progetto Biblioteca” ci ha fatto capire che nulla è impossibile dove ci sonoserietà, determinazione e forte slancio ideale. Infatti, grazie all’arrivo del materiale infor-matico prima e della parabola poi, è stato possibile realizzare a Man le connessioni aInternet e avere la possibilità di accedere a iniziative di formazione e scambio di cono-scenze, sia internamente sia a distanza, con Bergamo e Milano.Fondamentale è stata la costituzione del comitato che da Man ha promosso e mantenu-

to vivo l’interesse per la biblioteca e per le potenzialità di conoscenza, incontro e scambio che la biblioteca stessa offre ai suoi frequenta-tori abituali ma anche a chi, dall’Italia, ha l’opportunità di entrare in contatto con il progetto! Il futuro del Progetto Biblioteca è oggettodi riflessione interna all’Associazione Sguazzi: una serie di considerazioni richiedono che sia avviato un lavoro di pianificazione sul nuovoassetto da dare al progetto stesso. Dal canto nostro il desiderio di mantenere il Progetto Biblioteca sempre all’interno di Sguazzi per la ric-chezza d’esperienza che ha portato a tutti noi e per le sue enormi potenzialità si confronta con il timore di non riuscire, con le nostre forzee conoscenze, a supportare da soli un simile lavoro, e di rischiare di limitarne inesorabilmente lo sviluppo». Quindi il progetto di Sguazzi aMan prosegue, e noi, come facciamo con tutti gli altri progetti che abbiamo sostenuto, continueremo a seguirne le vicende.

2008 con SurvivalNel Natale 2008 eravamo dappertutto… abbiamo promosso l’iniziativa ILO169 e abbiamo sostenuto Survival Italia nellesue campagne di informazione, pressione e educazione in difesa dei diritti dei popoli indigeni. Con il Librosolidale2008, inoltre, il Xmas Project ha voluto rendere omaggio ai primi 40 anni di lavoro di questo straordinario movimento.

Leggete cosa ci racconta Francesca Casella, responsabile di Survival Italia: «Nell’ambito della campagnaper i popoli incontattati, in aprile abbiamo accolto la richiesta di aiuto venuta dai popoli indigeni delPerù attraverso la loro organizzazione AIDESEP. Abbiamo quindi cominciato a dare risalto mediaticoalle loro manifestazioni pacifiche di protesta contro l’apertura delle loro terre alle compagnie di disbo-scamento e petrolifere. Abbiamo pubblicato un dossier davvero scioccante sull’improvvisa e violentarepressione delle loro rivendicazioni da parte del Governo (a Bagua). Abbiamo portato a termine tutti iprogrammi didattici previsti dal preventivo del progetto. E in più abbiamo organizzato il proseguimen-to delle attività anche per questo nuovo anno scolastico, nonostante il taglio totale del sostegno delServizio Civile Nazionale. Inoltre, abbiamo riorganizzato la nostra attività mediatica. Attraverso l’allesti-mento di un International Media Department a Londra, dove lavorano anche stagisti italiani, Survival hacominciato a intensificare la produzione di comunicati stampa e la loro diffusione in tutto il mondo, in7 lingue diverse. L’impatto della visibilità che abbiamo dato ai problemi e alle persecuzioni dei popoliindigeni in termini di advocacy è stato enorme e ci ha permesso di raggiungere risultati straordinari. Infine, il nostro sogno nel cassetto sembra ora vicino alla sua realizzazione: un grande libro su Survi-val e sui popoli indigeni del mondo. La casa editrice inglese Quadrille Publishing Ltd si è infatti final-

mente decisa a realizzarlo anche grazie al successo del nostro “ILO169”. Il libro si intitola “We Are One”, e uscirà in lingua italiana l’anno prossimo».

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Xmas Project 2010? In primavera la scelta.

Segnalateci i vostri progetti.

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A partire dal Librosolidale 2004 abbiamo introdotto un piccolo grande cambiamento: non tro-vate infatti nessuna anticipazione sul progetto del prossimo Natale. Abbiamo deciso di rinviarela nostra scelta in primavera, perché desideriamo ampliare le nostre possibilità di intervento:vogliamo infatti dare modo a tutti voi di segnalarci iniziative che ritenete interessanti o di indi-rizzare verso di noi eventuali associazioni con le quali siete in contatto.

Ecco i criteri che ci hanno ispirato fino a oggi nelle nostre scelte e con i quali verranno valutate lefuture proposte.

Un progetto “finito”: scegliamo progetti il più possibile delineati e dettagliati, conobiettivi chiari, anche se piccoli, un budget definito e un tempo di realizzazione certo.

Un progetto “rispettoso”: appoggiamo progetti richiesti e voluti da chi ne beneficerà, oda chi opera direttamente sul campo. Pur gradite e necessarie tutte le associazioni “tramite”, cipiace alla fine arrivare ad aiutare un partner locale, che esprima un proprio progetto e il bisognodi finanziarlo.

Un progetto “sostenibile”: diciamo intorno ai 30.000 euro. Questa è la nostra poten-zialità, quindi meglio tenerne conto. Ci piace avere un budget preciso e dettagliato del proget-to. A preventivo e poi a consuntivo.

Un progetto “diverso”: desideriamo che la nostra piccola collana di libri ci aiuti anche ascoprire la varietà del mondo. Ci piace immaginare dei Librisolidali che ci portino di anno inanno ad avvicinare luoghi e problematiche differenti.

Altre cose che ci piacciono: ci piacciono le piccole associazioni che hanno progetti serie interessanti, ma un po’ meno strade aperte per finanziarli. Ci sembra più utile portare ilnostro piccolo contributo là dove non ci sono grandi possibilità di finanziamento. Ci piaccionole associazioni ben organizzate, quelle disponibili e desiderose di contribuire attivamente alladiffusione del Xmas Project.

Segnalateci dunque i vostri progetti, segnalateci alle associazioni che li portano avanti. Ricordatevi che dovrà essere realizzato nel 2011, anno in cui noi potremo finanziarlo. Sarà il protagonista del Librosolidale 2010/11.

All’interno della copertina di questo libro, trovate tutti i dati per contattarci.

Appuntamento quindi in primavera per la scelta del progetto. Buon Natale a tutti voi!

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per la stampa del Librosolidale 2009

per la realizzazione e il mantenimento del sito www.xmasproject.org

per la rilegatura del Librosolidale 2009

Un grazie particolare a:Francesco Giusti per le fotografie e il suo viaggio a Malta e per averci mostrato quello che è difficile vedere.Alberto Ipsilanti e Viviana Spreafico, i nostri amici illustratori, geni veri.Paolo Giovenzana per l’aggiornamento del nostro sito web.Franco Floris e la rivista Animazione Sociale e il Prof. Fulvio Vassallo Paleologo per l’autorizzazione a pubblicare i loro testi.Le due équipe di Capricorn ed Eurologos Milano per il supporto grafico, il lavoro sui testi e tutte le traduzioni.Paola Scodeggio e Gianluca Sanvito per l’insostituibile “aiuto contabile”. Claudia Taddei per il prezioso lavoro di distribuzione libri.Francesca Paltenghi di Unhcr Italia per la disponibilità.Tutti gli amici e le associazioni dei vecchi progetti che continuano a tenerci informati sulle loro attività: Paola Amigoni dell’Associazione “Les Cultures”, Pedro Isaac Fernández Vargas della “Fundacion Niños de los Andes”, Maria e Loris Panzeri del Gruppo GRT, l’Asilo Giramondo, Stefano Zimbaro e Sara Cravero di OMO Onlus, Mirco Nacoti, Christian Sarnataro e Cristina Contini dell’Associazione Sguazzi, Francesca Caselladi Survival Italia, Padre Dionysius Mintoff di Peace Lab.Un saluto particolare ad Antonio Ellero, con cui abbiamo iniziato.Tutti coloro che credono in questo progetto.

Realizzazione grafica: Jacopo Dalai & Matteo FioriniStampato a Milano, Novembre 2009

È consentita la diffusione parziale o totale dell’opera e la sua diffusione in via telematica a uso personale dei lettori, purché non sia a scopo di lucro.

Xmas Project ringrazia:

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Questo libro è stato realizzato anche grazie al contributo ditesti e informazioni di enti e associazioni che lavorano in Italia,a Malta e nel mondo sui temi della salute, dell’immigrazione edel diritto internazionale.

Per saperne di più:

www.unhcr.itwww.iom.int/jahia/jsp/index.jspwww.ecre.orgwww.amnesty.it/index.htmlwww.meltingpot.orgwww.stranieriinitalia.itwww.fortresseurope.blogspot.comwww.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/www.msf.org/source/countries/europe/malta/2009/malta_slideshow

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Un caro saluto a Richard Isaak Elie (1926-2009),migrante e uomo di pace.

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È il regalo che vogliamo

farci quest’anno a Natale.

E che abbiamo scelto di farci

per tutti i prossimi Natali...

L’Associazione Xmas Project

L’Associazione Xmas Project è nata nel settembre delDuemilauno. I soci sono Roberto Bernocchi, Dario Bertolesi,Elena Casadei, Francesca Castelnuovo, Francesca Colciaghi,Alberto Cometto, Maurizio D’Adda, Jacopo Dalai, Claudio Elie,Matteo Fiorini, Filippo Marconi, Benedetta Nocita, Sarah Nocita,Sara Panizza, Renato Plati.ll Gruppo Media, azienda di arti grafiche, e Arachno, WebAgency, sono partner del progetto.

Per contattare l’Associazione e partecipare al progetto:

Associazione Xmas Project ONLUSVia Luigi Settembrini, 4620124 MilanoNumero Verde: 800 180 406Fax: 02 68 80 [email protected]

www.xmasproject.org

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Il Librosolidale

Il libro che state tenendo in mano è un libro speciale. È un“Librosolidale”. Non è in vendita, ma se lo desiderate, potetecontribuire a crearlo, a diffonderlo e soprattutto a finanziarlo.

Il Librosolidale è il frutto dell’impegno di molti. Questi moltisono il Xmas Project. Un’Associazione costituita per daresostanza e realtà a microprogetti di solidarietà, in giro per ilmondo, là dove c’è del bisogno.

Chi vuole sostenere il progetto, e quindi aderire al XmasProject, prenota una certa quantità di Librisolidali e versa uncontributo proporzionale alle copie ricevute. Potrà così utiliz-zare i libri come doni, in occasione del Natale, trasformandoliin ambasciatori del progetto stesso.

Non solo: questi doni saranno particolari, perché conterannoqualcosa di “proprio”. Perché chi aderisce al Xmas Project con-tribuisce in prima persona alla costruzione del Librosolidale,fornendo un proprio contributo: una foto, uno scritto, unapoesia, piuttosto che semplicemente la propria firma. Se avetericevuto questo libro in dono da qualcuno, sfogliatelo: vi tro-verete un suo segno.

L’aspirazione, di Natale in Natale, è quella di costituire unaCollana di solidarietà. Contattateci: è questo il regalo cheanche voi potete donare e donarvi il prossimo Natale.

Xmas Project 2008

Ilo169, Convenzione concernente Popoli Indigeni e Tribali inStati indipendenti, Pianeta Terra. È finora l’accordo internazio-nale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni etribali. La Convenzione Ilo169, emanata dall’OrganizzazioneInternazionale del Lavoro, organizzazione di settore dell’Onu,è stata adottata il 27.06.1989 ed è entrata in vigore il05.09.1991. Ad oggi è stata sottoscritta soltanto da 20 dei 173Stati membri dell’ILO e l’Italia non è tra questi.Il libro di quest’anno vuole essere uno strumento di sostegnoe di aiuto a Survival, l’organizzazione internazionale che daquarant’anni si batte per la tutela dei diritti delle popolazioniindigene e tribali. Vi raccontiamo l’attività di Survival, la suavocazione, le emergenze umanitarie e le battaglie in corso. Ifondi raccolti andranno a sostenere questa azione di difesadelle popolazioni indigene. All’interno del libro troverete anchela petizione da inviare al governo italiano per sollecitare la rati-fica della Convenzione Ilo169.