Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi LIBRI ...

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi 1 LIBRI SU RADICOFANI E SUI PERSONAGGI NATI IN QUESTO LUOGO Radicofani da Codice Diplomatico Amiatino e altri libri [a cura di Renato MAGI]

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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LIBRI SU

RADICOFANI

E SUI

PERSONAGGI

NATI IN

QUESTO

LUOGO Radicofani da Codice Diplomatico Amiatino

e altri libri

[a cura di Renato MAGI]

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A mia figlia Beatrice e mia nipote

Francesca con tanto amore.

FEBBRAIO 2015

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RADICOFANI (Articoli ripresi da libri ed elenco dei libri

che riguardano il paese o persone cui ha dato i natali o

Lo hanno reso famoso in Italia e nel mondo)

(Tutta la storia da Desiderio a Kurze e Wickham)

PREFAZIONE

Questo libro nasce dalla volontà di fare una Super-Guida, tralasciando l’aspetto preistorico e

naturale, anche se qualcosa c’è riportato. Il libro è la somma, come si vedrà, e il titolo già lo dice, di una trentina di libri e alcune riviste storiche fra le più accreditate. Ebbene l’imput, così si dice oggi, mi venne nel leggere i libri scritti dopo il convegno che si tenne ad Abbadia San Salvatore in occasione del 950° anniversario della consacrazione della chiesa nuova dell’Abbazia di San Salvatore.

Gli storici che parteciparono a questo convegno furono i migliori che allora potevano essere in Italia ed Europa cominciando dal tedesco Wilhelm Kurze a Italo Moretti a Carlo Prezzolini a M. Ronzani a Chris Wickham a Renato Stopani e tanti altri.

Da notare che il Wickham nel suo intervento parla di Radicofani e di come questo Borgo diventi, grazie all’incastellamento della zona, uno dei principali paesi dell’Amiata e rileva la sua importanza sulla “Via Francigena” e tutto ciò con il riferimento ed il supporto del CDA.

Proprio tramite il CDA ci informa di tutti i borghi che esistevano nella Valle dell’Orcia e nei dintorni di Radicofani.

Tutti gli storici presenti al Convegno di Abbadia San Salvatore, almeno la maggior parte, fanno interventi che trovano riscontro nel “Codice Diplomatico Amiatino” e altri scritti riguardanti l’Amiata e dintorni che il Kurze pubblica a Tübingen, Niemeyer, 1974-1982.

In questo codice sono compresi in edizione o almeno come testo anche le bolle e i diplomi che riguardano il monastero.

Lo scritto che mi ha fatto capire quante cose si inventavano prima e durante il novecento è stato quello del Bicchi e lì vi sono anche cose interessanti, ma non suffragate da nessun documento scritto precedentemente.

Con questo libro non voglio certamente la gloria; l’importante sarebbe che in futuro resti nella memoria di qualcuno e che questi lo faccia conoscere agli altri, almeno a coloro ai quali ha dato i natali!

Qui sono, come dice il “Titolo”, riportati ca. 30 libri che parlano del nostro paese, quindi vi è il meglio, almeno per ora, di ciò che era Radicofani in passato, senza che alcuno possa confutare!

L’importanza però di questo scritto è, anche, nel ricordare tutti i personaggi cui ha dato i natali il nostro paese e che fino ad oggi sono stati dimenticati e, credo, invece, che debbano essere ricordati perché anch’essi hanno dato lustro al paese.

L’Italia non li ha dimenticati e proprio su “Internet” oggi possiamo ritrovare molti di questi nostri paesani anche in libri antichi riportati su “Internet”.

Addirittura la famiglia nobile di questo paese era ricordata solamente dagli storici, ma i concittadini dei “Guasta”, se ne erano dimenticati! Forse perché il Pecci li chiama “tiranni”.

Dei più importanti se n’è ricordato, proprio, il Pecci e pochi altri e proprio questo mi ha appassionato e mi ha fatto un ricercatore di questi miei concittadini che cerco di ricordare tutti e mi

scuseranno coloro che ritroveranno qualcuno di cui mi sono dimenticato.

*****°°°°*****

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In corsivo chiaro sottolineato sono le aggiunte fatte a cura dell’autore.

ABBREVIAZIONI

AASS Archivio dell’Abbadia San Salvatore

ACA Archivio Comunale di Abbadia San Salvatore

ASF Archivio di Stato di Firenze

ASS Archivio di Stato di Siena

Atti 5° Atti del 5° Convegno Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo,

Spoleto 1973

BSSM Bollettino della Società Storica Maremmana

BSSP Bollettino Senese di Storia Patria

Caleffo Vecchio GIOVANNI CECCHINI (a cura di), Caleffo Vecchio del Comune di Siena,

I, II, III, Siena 1931 – 1940.

IV, MARIO ASCHERI, ALESSANDRA FORZINI, CHIARA SANTINI (a cura di),

Siena 1984.

CAMMAROSANO, Berardenghi

PAOLO CAMMAROSANO, La famiglia dei Berardenghi, Contributo alla

storia della società senese nei secoli XI-XIII (Biblioteca degli «Studi Medie-

vali», 6), Spoleto 1974

CDA I/II/IV WILHELM KURZE (a cura di), Codex Diplomaticus Amiatinus. Urkundenbuch

Der Abtei S. Salvatore am Montamiata. Von den Anfängen bis zum Regieru-

ngsantritt Papst Innozenz III. (736-1198).

I, Von den Anfängen bis zum Ende der NationalKönigsherrschaft (736-951).

Tübingen 1974.

II, Vom Beginn der ottonischen Herrschaft bis zum Regierungsantritt Papst

Innozenz III. (962-1198), Tübingen 1982.

IV, Faksimiles. Tübingen 1978/1982.

CDL Codice diplomatico longobardo.

I, LUIGI SCHIAPPARELLI (a cura di), Roma 1929

II, LUIGI SCHIAPPARELLI (a cura di), Roma 1933

III/1, CARLRICHARD BRÜHL (a cura di), Roma 1973

= Fonti per la storia d’Italia n. 62, 63, 64/1

CDO LUIGI FUMI (a cura di), Codice Diplomatico della città di Orvieto (Do-

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cumenti di storia italiana, VIII), Firenze 1884.

Ceti dirigenti I I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale. Comitato di studi sulla

Storia dei ceti dirigenti in Toscana. Atti del 1° Convegno, Pisa 1981.

II I Ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII. Atti del 2° con-

vegno. Pisa 1982.

IV Nobiltà e ceti dirigenti in Toscana nei secoli XI-XIII: strutture e concet-

ti. Atti del 4° convegno. Monte Oriolo, Impruneta 1982.

CIACCI, Aldobrandeschi

GASPERO CIACCI, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella «Divina Com-

media» (Biblioteca storica di fonti e documenti, 1 e 2), Roma 1935.

Codice GIOVANNI FATTESCHI, Codice diplomatico della Badia di S. Salvatore del

Monte Amato, o sia Appendice di monumenti comprovanti l’esposti nelle

Memorie della Badia predetta. Biblioteca nazionale Centrale di Roma, ms.

Sessoriano nr. 213.

Comune e Monastero

Abbadia San Salvatore: comune e monastero in testi dei secoli XIV-XVIII

(Documenti di storia, 3n- Comune di Abbadia San Salvatore), MARIO ASCHERI

(A CURA DI), Abbadia San Salvatore 1986.

Exemplaria GIOVANNI FATTESCHI, Exemplaria Diplomatum tam Pontificum quam

Imperatorum nec non Istrumentorum in tabulario Cenobii S. Salvatoris Montis

Amiati existentium ab (...) anno 1228 (...) usque ad anno 1500, I, Biblioteca

Centrale di Roma, ms. Sessoriano, nr. 215.

FATTESCHI, Cronico

GIOVANNI FATTESCHI, Cronico del monastero di S. Salvatore detto del Monte

Monte Amiato nell’agro Senese. Dall’anno 1228 (...) fino all’anno 1770,

ASS, Conventi 5.

FATTESCHI, Memorie

GIOVANNI FATTESCHI, Memorie Istorico-Diplomatiche dell’antichissimo Mo-

Nastro di S. Salvatore al Monte Amiato, nell’Agro Senese, copia dell’anno 1811

In Biblioteca Centrale di Firenze, ms. Palatino 1131 (orig. : Biblioteca Nazio-

nale Centrale di Roma, ms. Sessoriano nr. 414).

GHERARDINI II/III

Visita nell’anno 1676 alle Città, Terre, Castella dello Stato della Città di Siena

dall’ill.mo Sig.re Bartolomeo Gherardini Auditore Generale in Siena per l’A.S.

di Cosimo III de Medici Granduca VI di Toscana, copia del sec. XVIII, in ASS,

Manoscritti, D 83 (Parte seconda) e D84 (Parte terza).

IGM Istituto Geografico Militare

It. Pont. III P.F. KEHR, Italia Pontificia, III: Etruria, Berlin 1908.

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KURZE, Königsurkunde

WILHELM KURZE, Die langobardische Königsurkunde für S. Salvatore am Monte Amiata QFIAB

57 (1977), e ora anche in WILHELM KURZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medi-

evale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali; Accademia Senese degli

Intronati. E.P.T., Siena 1989, p. 357 sgg.

KURZE, Monasterium Erfonis

WILHELM KURZE, ‘Monasterium Erfonis’ i primi tre secoli di storia del monastero e la loro tradi-

zione, documentaria, in 950° consacrazione.

MGH Monumenta Germaniae Historica: DD = Diplomata; Fr = Friedrich (Federico), H =

Heinrich (Enrico), K = Konrad (Corrado), O = Otto (Ottone); SS = Scriptores.

MIÖG Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung.

950° consacrazione

950° consacrazione della nuova chiesa dell’Abbazia di San Salvatore al Monte

Amiata (1053 – 1985), Abbadia San Salvatore 1985.

QFIAB Quellen und Forschungen Archiven und Bibliotheken.

Rat. Dec. I/II

Rationes Decimarum Italiane nei secoli XIII e XIV. Tuscia.

I. La decima degli anni 1274 – 1280, P. Guidi (a cura di), Città del Vaticano 1932

(Studi e Testi, 58);

II. Le decime degli anni 1295 – 1304, (a cura di) M. GIUSTI e P. GUIDI, Città

del Vaticano 1942 (Studi e Testi, 98).

REDON, Uomini e comunità

ODILE REDON, Uomini e comunità del contado senese nel Duecento, Amministrazione Pro-

vinciale di Siena, Accademia degli Intronati, Siena 1982.

Reg. Sen. FEDOR SCHNEIDER, Regestum Senese. Regesten der Urkunder von Siena. I: Bis

zum Frieden von Poggibonsi, 713-30 Juni 1235, Roma 1911 (Regesta Chartarum

Italiae, VIII)

Repertorio PAOLO CAMMAROSANO – VINCENZO PASSERI, Città borghi e castelli dell’area se-

nese-grossetana. Repertorio delle strutture fortificate dal medioevo alla caduta

della Repubblica senese, Amministrazione Provinciale di Siena, Siena 1984.

REPETTI EMANUELE REPETTI, Dizionario geografico-fisico-storico della Toscana, Firenze

1833-1845, I – IV (Ristampa anastatica Roma 1972).

SCHNEIDER, L’ordinamento

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FEDOR SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico nella Toscana medievale. I fondamen-

ti dell’amministrazione regia in Toscana dalla fondazione del regno Longobardo alla

estinzione degli Svevi (568-1268), trad. ital. A cura di FABRIZIO BARBOLANI MONTA-

UTO dal titolo originale: Die Reichsverwaltung in Toscana von der Gründung des

Langobardenreiches bis zum Ausgang der Staufer, I: Die Grundlagen, Rom 1914.

SPICCIANI, I Farolfingi

AMLETO SPICCIANI, I Farolfingi, conti di Chiusi e conti di Orvieto nei secoli XI-XII,

BSSP (1985), pp. 7 – 65.

SSMA San Salvatore del Monte Amiata

TTM SILVIO PIERI, Toponomastica della Toscana meridionale (Valle del Fiora, dell’Ombro-

ne, della Cecina e fiumi minori) e dell’arcipelago toscano, a cura di GINO GAROSI, ri-

veduto da GIULIANO BONFANTE, Accademia Senese degli Intronati, Monografie di

storia e letteratura senese, Siena 1969.

RDI I P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La deci-

ma negli anni 1274-1280, Città del Vaticano 1932, ristampa anastatica Modena 1976.

RDI II M. Giusti, p. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia,

II: le decime degli anni 1295-1304, Città del Vaticano 1942, ed. anastatica Roma s.d.

G.A. PECCI Memorie storiche, politiche, civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono

state suddite della città di Siena. Ms. D 71, cc. 409-453. A.S.

Iniziamo con l’elenco dei libri che parlano soltanto di Radicofani o di fatti o personaggi o monumenti di Radicofani, di questi libri riporto solamente i fatti salienti che, generalmente, sono poco conosciuti:

RADICOFANI – Notizie Storiche – a cura di O. Bicchi – Tip. e Lit. Sordomuti

Ditta L. Lazzeri – Siena 1912 – Estratto dal Bullettino senese di Storia Patria – Anno XIX. Fasc. III.

(Il libro è una copiatura del Pecci e di altri scritti, alcuni dei quali interessanti, ma nulla di nuovo; importante, invece, è ciò che riporta a proposito della geologia del posto che riporto qui sotto).

«Molti naturalisti e geologi hanno fatto oggetto dei loro studi questa

interessantissima montagna e nel 1722 il Micheli dichiarò esservi stato lassù, in tempi molto remoti, un vulcano (tutto ciò è stato oggi accertato da recenti ricerche)»

«Infatti lo scoglio non è che un cono basaltico, il quale innalzandosi sulla montagna di origine

marina, offre un’apparenza assai caratteristica di un cataclisma ivi avvenuto in tempi remotissimi per

cui si formò un vero cratere; da questo furono spinte fuori con violenza esplosione ceneri e lave fuse

che in seguito, raffreddate, acquistarono una struttura spugnosa. E perciò che sopra lo scoglio, ove

esistono gli avanzi della fortezza, si veggono grandi masse di lava rossastra esternamente cellulosa,

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internamente più dura e tanto più compatta quanto più s’interna e si avvicina al letto inferiore, in

guisa da servire questa ad uso di macine da molino» (REPETTI. Dizionario geografico della Toscana. Vol.

IV, pag. 714. Cfr. GIORGIO SANTI. Viaggio secondo, per le due provincie Senesi. Pag.431 e segg.)

Relativamente all’ammasso di pietre che trovasi, come abbiamo detto, nel terreno sottostante al

paese, si ritiene da alcuni che, data la natura vulcanica di questo monte formato da un solo scoglio

smisurato, qualche terribile terremoto lo abbia fortemente scosso ed abbia gettato lontano tutti quei

sassi. Altri invece pensando alla loro disposizione ed alla qualità dello scoglio enorme che regge la

Rocca, ritengono che questo fosse formato da tanti scogli più piccoli congiunti insieme con terra

durissima, precisamente come intorno a Siena si vedono parecchi grandi massi formati da piccole

pietre unite strettamente fra loro. Coll’andar degli anni le piogge cadendovi e penetrando per quella

creta, la resero più molle e lentamente se ne andò; sicché quei sassi rimanendo affatto staccati,

rotolarono per il gran peso, rimanendo ove li portò l’impeto della caduta.

I fianchi del monte, da cui scaturiscono fonti perenni e salubri, come quella di Castelmorro, dei

Cappuccini, la Fonte grande e la Fonte Antese, sono coperti di marna conchiliare cerulea interrotta

da banchi di minuta ghiaia; ne risulta così un terreno sterile. (Secondo il SANTI (op. cit.) l’essere questo

territorio quasi affatto spogliato, dipende in parte dalla qualità del terreno e in parte dalla legge militare che proibiva di

ingombrar con piante, il paese intorno alla fortezza), mentre al contrario è fertile il suolo un po’ più discosto

dal paese perché ricoperto da detriti di rocce vulcaniche.

L’altezza della montagna, presa dal punto più alto del semidistrutto torrino della fortezza, è di m.

896 sul livello del mare. Cento metri al disotto, e cioè al punto in cui incomincia lo scoglio, si trova

il paese a cui già ho accennato e del quale mi accingo a narrare la interessante storia.

Secondo quanto narra il Dr. Vilifranchi che fu quivi Medico-Condotto intorno al 1830, esso fu un

tempo chiamato Castello di S. Pietro a cui la terra è dedicata e sotto il cui titolo è la Chiesa arcipretale

(VILIFRANCHI. Lettera al Prof. Studiati, pubblicata nel «Nuovo giornale pisano dei Letterati», anno 1832). Tanto

questo scrittore quanto l’illustre storico Muratori ritengono che abbia poi rinvenuto il nome di

Radicofani per esser situato alle radici di uno scoglio il quale offrendo la figura di un gran cestone

rettangolare, fu detto perciò Monte Cofano (Radix Cofani) (MURATORI. Storia del Medio Evo. Vol. IV,

Dissert. 50, p. 567.).

DELLA ROCCA DI RADICOFANI –– CENNI SULLA ISTORIA E SUL

RESTAURO DELLA STESSA ROCCA DISTINTI IN CAPITOLI DUE - Stampato da U.

Filippetti – a cura di L. Chiavini – Anno 1928.

STAMPATI AD INIZIATIVA E CURA DELL’ILLUST.MO ED ECCELL.MO SIG. @ IL SIG.

LUIGI BOLOGNA @ - PODESTȦ DI RADICOFANI – NELL’ANNO MCMXXVIII. VI E.F.

(Questo libro è importante soltanto per le cose effettuate nel restauro ma non dice nulla di nuovo per la storia di Radicofani, però da questo riprendo le considerazioni su Eugenio Magrini l’autore dell’articolo di cui parlo nella rivista subito sotto).

Al maggiore si deve il restauro del Maschio come si vede oggi e così ce lo presenta il libro in questione:

Il Maggiore Eugenio Magrini, con profonda conoscenza dell’arte delle fortificazioni, illustrò con

infinita precisione le antiche difese, ricercò sui trattati d’arte militare, del Rinascimento in ispecie,

quegli elementi necessari a che, giustamente interpretato quanto a noi rimaneva, i particolari restaurati

o riedificati, rispondessero a quelle finalità belliche secondo le quali erano stati un tempo costruiti.

LA FORTEZZA DI RADICOFANI – a cura di Eugenio Magrini – Istituto

Poligrafico dello Stato – Roma 1929 – Estratto dalla Rivista “Esercito e Nazione” Fasc. VIII, Anno VII -1929.

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(Libretto copiato a penna in tre Album da disegno da chi scrive nell’anno 1969). Ecco cosa dice un nostro compaesano arrivato al grado di Maggiore dell’esercito italiano, il quale, profondo conoscitore dell’arte delle fortificazioni consigliò il restauro del Maschio della rocca nei primi anni ‘20:

Terra che ha lasciato impressioni profonde, in bene o in male; che si è attirata la definizione di

«Paesaggio-Lunare», come anche quella – ed è di D’Annunzio – di «paesaggio più virile d’Italia».

Tutto dipende dalla mentalità di chi la visita. Potremmo interessarci un poco ricercando il fondamento

psicologico dei biasimi (pochi, ma aspri) e degli elogi: personaggi consacrati alla fama, hanno creduto

meritevoli queste «belle» crete di Radicofani di alto compiacimento spirituale, sicché ci sentiamo

autorizzati a ritenere, per conto nostro, che se taluno discorda, dipende da tenace indirizzo a forma di

vita piane, terra terra, direi antitetiche alle forme liriche. La prosa, che tutti ne inceppa e molti

conquide, non si trova bene in questo sterminato orizzonte, davanti a questo spettacolo di forze

cosmiche nude e solenni, sicché è consigliabile deporla, a scanso di forti disillusioni, visitando i

luoghi. -

Lasciando la storia che parla del paese e della fortezza mi piace ricordare qui sotto cosa dice dell’assalto che Cosimo I, considerando l’importanza della piazza e saputo da lettere intercettate che essa scarseggiava di viveri e munizioni, ordinò a Chiappino Vitelli nel 1555. Il Magrini nel suo articolo riporta un manoscritto attribuito al Turinozzi (Niccolò), segretario della Repubblica:

«Era quivi Commissario della Repubblica Ottaviano Ottaviani, gentiluomo senese, e si trovava

alla difesa di quel luogo (fortezza di Radicofani) Giulio De Tienne con le armi francesi……. Era

questo valoroso cavaliere a capo di 150 fanti. Venne il Trombetto alla porta di Radicofani e domandò

chi erano i governatori della Terra; allora si presentarono i due sopraddetti signori, ai quali il

trombetto espose che era mandato dal signor Chiappino, generale dell’esercito nemico, e dai

commissari del Palazzo di Siena e che voleva la Terra, altrimenti havevano li cannoni e 7000 fanti

che venivano alla volta di Radicofani per fare l’ultimo esterminio. Il conte de Tienne rispose: «Io

sono il conte Giulio de Tienne a guardia di questo luogo e difensore della Repubblica libera di Siena

ritirata in Montalcino, perciò dirai a codesti tuoi che io la voglio difendere passo a passo». Nello

stesso modo subito dopo rispose l’Ottaviani. A 20 ore dal detto dì, comparve il capitano nemico sul

Poggio Sasseta incontro alla muraglia di Castelmorro, e piantata l’artiglieria nella mattinata, all’alba

tirarono 236 tiri, traendo a terra le mura della fortezza per 12 canne e fino alle fondamenta. Alle ore

20½ circa, vennero sei compagnie di spagnoli e sei di italiani a bandiere spiegate e derno l’assalto

alla Terra e da venti soldati del Giulio e da altri uomini della terra furono gagliardamente ributtati.

Vennero 6 insegne di tedeschi di nuovo subito, per assalire la batteria e ugualmente furono ributtate

e similmente rinfrescando sei altre rassegne di tedeschi, furono similmente ributtate con perdita

grande. Non voglio tacere la fortezza di Monna Francesca, moglie del detto Commissario Ottaviani,

insieme con Emilia sua cugina, che in puro abito vestite, messero in ordinanza alla battaria più di

duecento donne della Terra, con armi e sassi, medicine e pezze, con tal virilità e grandezza d’animo

che li soldati et huomini della terra ne pigliavano grande ardire. Vedendo l’inimici che poco frutto

facevano, portorno l’artiglieria dalla banda appresso a Fontefredda. Il Commissario di Siena del

campo nemico, chiamato Muzio di M. Francesco Petrucci, domandò parlamento al Commissario della

Repubblica, Ottaviani. Da questi gli fu risposto «che non era tempo di parlare, ma di combattere e

menar le mani». Venne l’assalto generale di tutto l’esercito con scala alla muraglia e alla battaria,

dimodoché a quelli dentro bisognava difendere la battaria e le mura con grandissimo romore e

travaglio del Commissario e degli uomini della Terra» ……………………………….

«Dopo aver così battute inutilmente le mura una seconda volta, il Vitelli stava per disporre in altra

parte la battaria volendo ad ogni costo, per non danneggiare la propria reputazione, prendere la

fortezza. Ma in questo tempo il duca Cosimo, considerando lo infelice successo dei primi assalti e

d’altra parte l’acquisto di questa piazza poteva maggiormente irritare il Pontefice ed essere origine di

altra guerra, impose al Vitelli che desistesse da quell’impresa e ritirasse in Siena l’Esercito».

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«Partirono così i nemici dal campo di Radicofani con grandissima furia, lasciando rotti tre pezzi

di artiglieria e gran quantità di munizioni».

Così Eugenio Magrini continua il racconto: Il celebre pittore di battaglie (Jacques) COURTOIS, detto il Borgognone, ha scelto questo

assalto alla Rocca di Radicofani per un suo quadro, che ammirasi nella galleria degli UFFIZI a

Firenze.

Questa bella difesa fu sostenuta in gran parte dagli abitanti del paese; ché il buon Giulio de Tienne

aveva solo 150 soldati.

L’assalto fu respinto non ostante il numero dei nemici e l’abilità del condottiero, ed i radicofanesi

scrissero nella storia del paese una pagina veramente gloriosa!

RADICOFANI – a cura di Alberto Luchini – Stampato da “L’Impronta S.p.A.”

a Scandicci (FI) – Luglio 1970. (Il libro del Luchini, figlio del più famoso Odoardo, è presentato da Piero Bargellini,

scrittore e giornalista, già sindaco di Firenze, il quale del nostro dice: Lettore accanito, anzi perpetuo, Alberto Luchini era figura caratteristica della Firenze fra le due

guerre. Scendeva per Via Cavour col bastone sotto il braccio e un libro sotto gli occhi. A cosa gli

servisse quel bastone nessuno riusciva a capire. Il libro invece era il compagno inseparabile di quel

giovane avvocato insaziabile di sapere. Chi leggerà queste pagine su Radicofani, dov’egli ha vissuto

e vive a lungo, si accorgerà come la mente dell’autore sia piena di echi, dovuti alla cultura ricchissima

e sovrabbondante.

Di questo libro posso solamente dire che mi trova su la maggior parte delle descrizioni del tutto d’accordo anche con la descrizione che Bargellini fa dell’autore, con il quale ho discusso molto di varie materie negli anni ’60, al caffè “La Rocca”; Bar di fronte alla Chiesa di San Pietro in “V.le del Maccione”).

I PARROCI DI RADICOFANI – a cura di F. Marcello Magrini – Edizioni

Cantagalli – Siena febbraio 1983 –

(La ricerca di Don Marcello sui parroci da una panoramica di coloro che l’hanno preceduto dal 1557 ai giorni nostri e racconta del paese dall’Ottocento fino a metà del 1900, ed è interessante il racconto della festa della “Madonna delle Vigne”).

GIUSTIZIA PER UN BANDITO – a cura di F. Marcello Magrini – Libro

Dattiloscritto e ciclostilato – Radicofani 1985. (Il libro traduce in italiano gli articoli della bibliografia, ripresi dalle traduzioni di

Giovanni Cecchini, nell’articolo su Ghino di Tacco che pubblica nell’Archivio Storico di Siena, che riguardavano sia Ghino che la sua famiglia)

LA VERITÀ STORICA SU GHINO DI TACCO – Radicofani difende e riabilita

il suo castellano – a cura di F. Marcello Magrini – Editore B. Chigi – Rimini 1987 – (Il libro è l’apoteosi del precedente che è stato venduto al congresso di Rimini del

Partito Socialista Italiano e che ci fece avere l’appoggio di Craxi e quindi i finanziamenti per il restauro della fortezza. Senza questo libro, i cui documenti li feci conosce a Don Marcello, la fortezza sarebbe ancora com’era nel 1987! Qui di seguito riproduco l’articolo che ho pubblicato su “Centritalia news” e su “Amiata Storia e

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Territorio” e che tratta del ritrovamento, appunto, dell’articolo di Giovanni Cecchini sull’A.S.S.:

Prima dell’articolo di Giovanni Cecchini è bene ricordare come ne sono venuto in possesso e la storia di questo ritrovamento affinché nessuno si prenda la paternità, e la storia è questa sotto:

Radicofani: un articolo del 1957 e la riscoperta di Ghino di Tacco

Settembre 3, 2013 centritalia Borghi, Opinioni, Storia e leggende No comments Nel settimanale “Panorama” 1023, del 24 novembre 1985, anno XXIII esce un articolo dal titolo

«Ricordate Ghino di Tacco?» firmato da Carlo Rossella. Leggendo tale articolo vidi subito che

l’estensore del medesimo parlava come fanno coloro che s’informano leggendo le note alla “Divina

Commedia”, o la novella del Boccaccio. Inviai una lettera alla rivista spiegando la differenza che

esisteva fra il personaggio reale e quello da loro descritto nella pubblicazione. Il 19 gennaio 1986 a

pag. 59 della rivista l’«Espresso» ( rivista settimanale – n. 2 – Anno XXXII – Gennaio 1986 – pagg. 58-

65)vi è l’annuncio dell’uscita del libro di Eugenio Scalfari, «La sera andavamo in via Veneto», per le

edizioni Mondadori. In quell’articolo vi è l’anticipazione del soprannome dato a Craxi il quale da allora

firmava i suoi articoli sull’ “Avanti” con il soprannome di “Ghino di Tacco”. In un trafiletto a parte,

dal titolo significativo “Bettino, signore di Radicofani”, tratta del capitolo del libro intitolato “La stella

Craxi”.

Quanto scritto sopra, e parte di quanto renderò noto sotto, mi fecero venire in mente l’articolo del

Cecchini che avevo riposto nella biblioteca nella parte che riguarda la storia di Radicofani, articolo che

giaceva nell’«Archivio Storico Italiano» dal 1957, ma che solo gli addetti, forse, conoscevano. Negli

anni’70, venne a Radicofani uno studente americano che frequentava l’Università per stranieri di Siena,

costui doveva dare la tesi sui “Briganti del ‘300 in Toscana”, venne a cercare notizie su Ghino di Tacco.

Siccome a Radicofani uno degli studiosi della storia locale si chiamava Mario Rappuoli, non solo, ma

per essere stato prigioniero in Scozia durante la Seconda guerra mondiale, conosceva molto bene anche

l’inglese, fu proprio lui che raccontò all’americano tutto quanto si sapeva e conosceva sulla vita di Ghino

di Tacco. Si lasciarono l’indirizzo con la promessa che chiunque avesse trovato altre notizie su Ghino di

Tacco le avrebbe notificate all’altro. Così avvenne che dopo pochi mesi il Rappuoli si vide arrivare una

lettera dall’americano che gli comunicava che nell’Archivio Storico Italiano, CXV 1957, PP. 263-298

vi era un articolo su Ghino di Tacco di Giovanni Cecchini, molto circostanziato, in cui la bibliografia

era formata da documenti archivistici. Si trattava del più importante articolo per conoscere la vera storia

di Ghino di Tacco, corredato di un’appendice con tutti i documenti che riguardavano la sua famiglia. Ad

agosto del 1984 ritornai a Radicofani, allora lavoravo a Sezze, e l’amico di storia patria Mario Rappuoli

(classe 1916), mi informò che sulla rivista Il Giornale dei misteri (Il giornale dei Misteri, agosto 1984,

n. 156, anno XVI, edito da Corrado Tedeschi a Firenze. L’articolo di F.M. Magrini “Ghino di Tacco

bandito gentiluomo – Storia e leggenda del «Falco di Radicofani»” è alle pagg. 67 – 72). Quando ritornai

a Sezze cercai la rivista finché un giorno la trovai, per fortuna, a Terracina. Mi misi a leggerla con

frenesia e mi accorsi con sorpresa, che Don Marcello (così era chiamato amichevolmente dai noi

radicofanesi F.Marcello Magrini) non conosceva affatto i documenti che avevamo io, Mario Rappuoli e

Giuseppe Marsiglia (Il Marsiglia, lavorava all’anagrafe a Siena, fu colui che prese le fotocopie del

documento del Cecchini e che le inviò a me e a Mario Rappuoli). Mi stupì anche il fatto che il Rappuoli

nulla disse a Don Marcello di quei documenti importantissimi ritrovati all’Archivio di Stato di Siena.

Andiamo con ordine. Quando ritornai a Radicofani dopo tre o quattro mesi trovai Don Marcello e gli

portai questi documenti che apprezzò moltissimo e, in seguito, mi regalò i libri, il primo ciclostilato (Il

primo è intitolato GIUSTIZIA PER UN BANDITO - La verità storica su Ghino di Tacco e la sua famiglia

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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nella documentazione integrale dell’Archivio di Stato di Siena e la dedica “A Renato Magi «amico

cultore di Storia Patria» con amicizia e gratitudine. Don Ferruccio Marcello Magrini”) e poi l’altro

stampato (Il secondo è intitolato: La verità storica su Ghino di Tacco – Radicofani difende e riabilita il

suo castellano. La dedica “All’amico Renato Magi che per primo fornì notizie della documentazione

Cecchini”. Don Ferruccio Marcello Magrini. Il libro uscì nel 1987 edito da «Bruno Chigi editore –

Rimini» durante il congresso, se non vado errato, del partito socialista italiano), tutti e due con dedica,

dalla quale si evince chi effettivamente fornì le notizie storiche. Quando nel 1988 uscì su “Amiata storia

e territorio” l’articolo a firma di Franco Cardini (F. Cardini “Ghino di Tacco: proposta

d’interpretazione”, Amiata storia e territorio – n. 1, marzo 1988, pag. 8)che asserisce, facendolo dire ad

Anna Bonsignori “Il merito dell’aver rivendicato alla storia……spetta a Don Ferruccio Marcello

Magrini”, tutto ciò non è vero perché se non ci fossero state tutte le circostanze sopra descritte, i

documenti del Cecchini che giacevano nell’Archivio di Stato senese dal 1957 e non erano mai stati fatti

conoscere prima, probabilmente giacerebbero ancora lì. Ciò che ancora oggi non riesco a capire perché

il Rappuoli, che era molto più a contatto con Don Marcello, e che era un uomo molto attento, non gli

abbia dato la documentazione (del resto fu lui a dirmi dell’articolo di Don Marcello sul Giornale dei

Misteri!), fornitagli dal Marsiglia prima di me. So che il Cecchini era uno studioso e anche direttore

dell’Archivio di Siena e in questa veste tradusse tantissime opere presenti nell’archivio, e se non vado

errato negli anni Ottanta è uscita un’opera di quindici volumi, a cura dell’Università di Siena, su tutte le

sue traduzioni. Scrisse anche Il palio di Siena pubblicato a cura del Monte dei Paschi di Siena nel 1958.

Insieme a mia figlia Beatrice nel 2006 abbiamo trascritto e pubblicato il manoscritto del Pecci su

Radicofani, e con mia sorpresa ho visto che, anche lui, già a metà anni del XVIII sec., contro il parere

di molti scrittori, asserisce che Ghino di Tacco era discendente dei Cacciaconti e, precisamente, dai

Signori della Fratta (ramo Guardavalle), dando ragione a Benvenuto da Imola, nonché a G. Cecchini.

Quanto sopra per amore della verità!

Renato Magi

Articolo pubblicato su Centritalia new e su “Storia Amiata e Territorio”. Le Scansioni sono la risposta alla presentazione che il sindaco Anna

Bonsignori fa al Libro del Magrini: “La verità storica si GINO DI TACCO” –

Radicofani difende e riabilita il suo castellano. La scansione della pag. 3 del libro, scritta a mano dal Magrini dice: All’amico Renato Magi che per primo fornì la notizia della documentazione del Cecchini. Radicofani, 16 aprile 1987. Don Ferruccio Marcello Magrini. Quindi non è vero, come dimostro sotto, e come il sindaco Anna Bonsignori asserisce nella presentazione: nel 1985 Magrini

diffuse un lavoro, risultato di ricerche, mai da alcuno svolte prima (sic!), presso l’Archivio di Stato

di Siena.

Fosse vero ciò che il sindaco asserisce come fa il Magrini poi a scrivere che io gli ho fornito la documentazione Cecchini?

Subito qui sotto ripropongo le scansioni delle prime pagine con le dediche del

Magrini:

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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LE ROBBIANE DI RADICOFANI E …. – a cura di B. Santi e C. Prezzolini –

Edizioni Cantagalli – Siena marzo 1993 –

(Il libro, come dice il testo, racconta ed enumera le robbiane che sono nella chiesa di S. Pietro e quella che si trova sull’altare di Sant’Agata, ed è molto interessante dal punto di vista artistico).

IL BOSCO ISABELLA A R. – Un bosco tardoromantico – a cura di M.

Mangiavacchi e E. Pacini – Editoriale Donchisciotte – Cortona febbraio 1994.

(Il libretto ci fornisce notizie utili per conoscere a fondo come nasce il Bosco Isabella e per conoscere il suo ideatore Odoardo Luchini del quale parleremo più avanti in queste pagine).

LA POSTA DI RADICOFANI. – a cura di L. Carandini –Edizioni Cantagalli

1995 –

(Il saggio del Carandini è apparso nella rivista bimestrale dell’Istituto Geografico Militare di Firenze nel Gennaio-Febbraio 1964 – Anno XLIV – n. 1; notizie più dettagliate sono nelle pagine più avanti perché quest’articolo fu ripubblicato in un libretto a cura del Comune di Radicofani nell’anno 1995).

LA CITTÀ FORTIFICATA DI R. – a cura di C. Avetta – Nuova Immagine

Editrice – Siena 1998. (È la storia, trasformazioni e restauro del castello, grazie al libro di Don Marcello

Magrini edito a Rimini in occasione del Congresso del P.S.I., e fu l’occasione per il partito per far arrivare, inizialmente con il finanziamento F.I.O. {Fondo di Investimento per l’Occupazione [ FIO “89” Città Fortificata di Radicofani ], e successivamente del Ministero del Bilancio e poi gestito dal Ministero per i Beni Culturali ed ambientali tramite la concessionaria {«A.T.I. “Città Fortificata di Radicofani S.C. a r.l.”} i miliardi per il restauro. Questo libro voluminoso oltre alle ricerche archeologiche ha molti documenti dell’A.S.S. e dell’A.S.F. con articoli vari di Storici, di geologi, di archeologi e ricercatori vari sulla fortezza e sul colle nel quale è adagiata). Vi sono ricerche d’archivio molto interessanti.

GHINO DI TACCO NELLA TRADIZIONE LETTERARIA DEL MEDIOEVO – a cura di B. Bentivogli – Salerno Editrice – Cittadella (PD) Maggio

1992. (Il libro raccoglie tutti gli scritti che fanno riferimento a Ghino di Tacco, comprese

le poesie e l’articolo di Giovanni Cecchini pubblicato nell’ «Archivio Storico Italiano», CXV 1957, pp. 263-98 - e ritrovato da uno studente statunitense dell’Università per stranieri di Siena che gli servì per la tesi “I briganti del ‘300” di cui ho parlato più dettagliatamente più sopra).

IL PAGLIA – a cura di Jader Jacobelli – Edizioni Ceccarelli Grotte di Castro

(VT) – Anno 2000.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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(L’autore è stato per molto tempo un giornalista della RAI. È la storia del Paglia, affluente del Tevere, ed è un libricino molto importante; ha la forma di un arco ed è composto di 64 pagine, che ci danno, credo per la prima volta, notizie importanti su questo fiume. È la storia dal primo ponte costruito dagli Etruschi fino ai giorni nostri!).

RADICOFANI Guida alla rocca ad al borgo – a cura di Riccardo Terziani –

Edizioni Cantagalli – Siena settembre 1999. (Il libretto è, come dice il titolo, una guida, fino a questa data, abbastanza

esauriente di Radicofani).

GHINO DI TACCO detto “IL FALCO” – a cura di G. Guidotti – Albignasego (PD)

luglio 2001. (È un romanzo che cerca di seguire la storia del personaggio, ma non so fino a che

punto ci riesca).

GHINO DI TACCO – a cura di Bettino Craxi – Edizioni Koinè – Febbraio 1999.

(In questo libro Craxi difende Ghino e se stesso).

PENSIONE VERTUNNO E DINTORNI – a cura di Vito Mazzuoli –

Tipografia “Stampa 2000” – Abbadia San Salvatore – 2001.

(Il libro del Mazzuoli è uno spaccato della storia radicofanese, di quasi due secoli, che sarebbe stata irrimediabilmente perduta, se il libro non fosse stato pubblicato. In questo libro vi è la storia della “Pensione Vertumno” e dei personaggi che vi soggiornarono! Qui, di seguito, l’elenco di coloro che la frequentarono:

Il primo personaggio da ricordare è Gino Severini, pittore di fama internazionale al quale Matilde Luchini, padrona della pensione gli fece da maestra e della quale parleremo più avanti. Il secondo frequentatore e amico di famiglia è Curzio Malaparte,

scrittore italiano di origine tedesca, autore di “Maledetti toscani”, di “Kaputt”, di “La Pelle” ecc. ecc., il quale non solo era un frequentatore della Pensione Vertumno ma anche amico di famiglia, che fece il testimone al matrimonio di Alberto Luchini, figlio di Matilde. Comunque facciamo parlare Vito nel suo libro, il quale ci parla subito della padrona: «…………………Disegnatrice di notevole caratura, era stata la prima maestra del pittore

Gino Severini, preso da lei a benvolere nell’ultimo scorcio del secolo diciannovesimo, per

l’inclinazione e le doti straordinarie, che dimostrava nell’arte figurativa.

Figlio di un uscere povero della Pretura di Radicofani, ma originario di Cortona, il ragazzo non

avrebbe potuto iniziare il suo percorso artistico senza il valido aiuto di questa Signora, pittrice

macchiaiola e ritrattista di valore, che per lui fu più di un mecenate.

………………….Degli antichi insegnamenti della signora radicofanese, l’ex allievo, terrà conto

per tutta la vita e non avrà alcuna remora a riconoscere che :« insegnandomi in che cosa consistesse

la pittura, fu proprio lei a mettermi sulla via dove sono» e poi Vito continua così : ……….Iniziamo

con Bonaventura Tecchi da Bagnoregio (1896 – 1968), critico letterario e uno dei più attivi scrittori

fra le due guerre, autore de “Il seme sulla sabbia”, “Il venti fra le case”, Valentina Velier”, “Gli

egoisti”, e altre opere che gli conferiscono consensi e fama.

Romano Bilenchi (1909 – 1989) da Colle Val d’Elsa, suoi i racconti “La siccità”, “Gli anni

impossibili”, ed altri scritti……….

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Antonio Baldini (1889 – 1962) fu tra i fondatori de ‘La Ronda’, collaboratore de “La Voce” della

“Nuova Antologia”, scrisse “Il Rugantino”, “Vedute di Roma” e “Beato fra le donne”.

Piero Bargellini (1897 – 1980) fondatore del “Frontespizio”, autore di “Pian dei Giullari” e

“Belvedere” ……È sua la prefazione al volume di Alberto Luchini “Radicofani”. Diventò

personaggio mondiale, nel 1966, come Sindaco durante la catastrofica alluvione che funestò Firenze.

Mino Maccari (1898 – 1989) inventore di “Strapaese”. Su scelta di Curzio Malaparte, diresse “Il

Selvaggio” con risultati poco entusiasmanti. Pittore capace ed incisore di fama, le sue opere figurano

in collezioni d’arte pubbliche e private, sparse in tutto il mondo.

Ardengo Soffici, fondatore di “Lacerba”, scrittore e pittore d’alta classe. Amava Radicofani, la

sua gente, il suo paesaggio.

Nello Baroni, architetto insigne, uno dei progettisti, insieme a Michelucci, della stazione di Santa

Maria Novella a Firenze.

Giorgio De Chirico (1888 – 1978) inventore dell’arte metafisica, autore delle tele “Ettore e

Andromaca”, “La partenza degli Argonauti” e di una lunga serie di capolavori, che inseriscono il

pittore nella schiera eletta, degli artisti moderni più grandi del mondo.

Ottone Rosai (1895 – 1957), famoso pittore fiorentino. Basta consultare un qualsiasi catalogo per

rendersi conto delle sue quotazioni, recarsi in una galleria, tornar via con una sua tela sotto il braccio

e il portafoglio vuoto. Restò incantato dai colori della Val d’Orcia e della Val di Paglia. Scrittore

ragguardevole, creò “Il libro di un teppista” e “Via Toscanella”.

Curzio Malaparte (1898 – 1957) amico di Radicofani e di casa alla pensione Vertunno.

Era stato il testimone di nozze dell’avv. Alberto Luchini, scrittore e giornalista, futuro padrone

del palazzo e del bosco Isabella.

È superfluo illustrare opere e personalità del discusso artista pratese del quale nel 1998 è stato

celebrato il centenario della nascita.

“Fascista fervente” …………………………il futuro autore di “Maledetti toscani”, di “Kaput”,

de “La Pelle” e d’innumerevoli corrispondenze da ogni parte del mondo e da tutti i fronti della

seconda guerra mondiale………………………………………continuò tranquillamente la sua

collaborazione al “Corriere della Sera” con lo pseudonimo di Candido.

L’imprevedibile Malaparte, scrittore e cinematografaro (Il Cristo Proibito) fece molto parlare di

se in vita, ma ancor più al momento di lasciarla.

…………………………………………………………Pieno di vita e d’idee, parecchie anche

bislacche, al colmo della carriera giornalistica e della “vis polemica”, scrivendo da Lipari all’amico

Luchini, aveva osservato:

- Com’era bella e ariosa quella nostra finestra lassù. -

…………………………………………………………………………………………………

A conclusione d’una vita, tutt’altro che monotona, fece parlare di se amici e nemici, ammiratori

e detrattori, tutti convinti della validità dei loro giudizi sul personaggio scomparso.

Il commento di due contemporanei.

Leo Longanesi: “A un matrimonio voleva essere la sposa; a un funerale il morto”

Più equilibrato, pieno di buon senso e più vicino al vero quello di Giuseppe Prezzolini: “Aveva

grandi difetti e grandi pregi”

Aggiorniamo l’elenco con:

Corrado Pavolini, giornalista e Poeta.

Vittorio Rieti, musicista e compositore.

Benvenuto Disertori, pittore e incisore.

Giorgio Castelfranco, Sovrintendente alle Belle Arti e critico d’arte.

Raffaele Franchi, poeta e scrittore fiorentino, soggiornò per un mese alla Vertunno, dedicando a

Radicofani una lirica.

Aniceto del Massa, critico d’arte de “La Nazione” di Firenze, poi a Roma, collaboratore de “Lo

Specchio”.

La scrittrice Clarissa Tartufari.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Gherardo Casini, fondatore dell’omonima casa editrice, che per l’eleganza dei libri pubblicati e

la qualità degli autori, non temeva e non teme, tutt’oggi, confronti con i concorrenti più ricchi e

blasonati.

Il pugile e attore cinematografico Enzo Fiermonte (qui il Mazzuoli fa una lunga chiacchierata che a noi, francamente, non interessa e continuiamo con l’elenco).

Riprendiamo il discorso con Berto Ricci, matematico, poeta e scrittore…………………

Il generale Francesco Grazioli, uno dei più decenti comandanti di una grande unità durante la

prima guerra mondiale.

Segue a ruota il colonnello, ve ne furono parecchi in gamba, medaglia d’oro Morozzo della

Rocca, e signora, contessa Elena.

L’aviatore Vasco Magrini, pilota senza macchia e senza paura. ………………………….

……………………………………………...

Giuseppe Bottai (1896 – 1959), fondatore della rivista “Primato”, dove scrissero tutti quei

giovani intellettuali, diventati, nel dopo guerra, comunisti. Onesto intellettuale, tenne il dicastero della

Educazione Nazionale, durante il ventennio e votò contro Mussolini il 25 Luglio del

1943…………………………………………………………………………………………….

Intellettuale, riconosciuto, e come tale stimato anche dagli antifascisti più leali e usi a non

pianificare il settarismo, riassume la sua vita politica in forma di diario nel libro “Vent’anni e un

giorno”.

È il momento di Dino Grandi (1895 – 1988), conte di Mordano (secondo alcuni di Merdano)

Ministro, fascista, degli Esteri, negli anni ’20, diplomatico nel ’30 e Presidente della Camera dei Fasci

e delle Corporazioni, dal 1939 al 25 Luglio 1943. Stranamente concordi, venne ritenuto dai fascisti e

dagli stessi antifascisti, il più ambiguo gerarca del ventennio.

……………………………………………………………………………………………………

È l’ora del fiorentino Alessandro Pavolini (1903 – 1945), povero e feroce, del quale se ne sta

riabilitando la memoria come intellettuale.

…………………………………………………………………………………………………….

.

E, per concludere, nella rassegna dei personaggi eroici, o ritenuti tali, non poteva mancare

Gabriele D’annunzio, anche se non gravitò intorno alla pensione Vertunno, frequentata, invece, dal

suo figlio naturale di cui s’è completamente perduta la memoria.

Diretto, in auto, al fronte, nella primavera del ’16, s’era dovuto fermare, a Fonte Grande, insieme

all’autista e a due giornalisti, per cambiare l’acqua del radiatore che, dopo le salite della Novella e

del Pantano, bolliva in maniera impressionante. Arrivato, sul finire del giorno dopo a Padova,

telegrafò a un amico:

“Com’erano belle, ieri sera, le crete di Radicofani.”

Poi nella città di Fiume, assurta, per volontà dell’immaginifico, a capitale della Repubblica del

Quarnaro, conversando col poeta Henry Furst, classificò Radicofani come ‘il posto più virile del

mondo ‘.

Bel riconoscimento da parte di un esperto che di certe cose s’intendeva sul serio.

(A. Luchini – Radicofani – 1970 pag. 139)

Alla pag. 69 del libro Vito continua a parlare dei personaggi che sono stati alla “Pensione Vertunno” taluni frequentatori assidui e comincia con il principe Sisto di Borbone, fratello di Zita, consorte dell’ultimo imperatore d’Austria Carlo d’Asburgo; Gerto Snyder, intellettuale e Ministro della Pubblica Istruzione dell’Olanda, il quale presentò alla signora Luchini l’esule russo Léon Konkochnitzkj; il violoncellista russo Barjanski insieme alla moglie Katia; Henry Furst giornalista ed intellettuale, noto in Italia per l’amicizia che l’univa a Gabriele D’Annunzio e per la collaborazione alla rivista “Il Borghese”, amico del grande scrittore Ernst Junger e amico di Indro Montanelli; Marbury Somerwell, architetto di fama mondiale, ufficiale della marina USA anche lui amante degli acquarelli e delle tempere; Kasimir Edschmid, scrittore

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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tedesco; Kay Walter eccellente acquarellista di Copenaghen. Infine dopo questa rassegna di protagonisti Radicofani ebbe come estimatore anche Giorges Pompidou statista europeo e Presidente della Repubblica Francese che vi trascorse una giornata privatamente insieme allo storico Henri Bedarida Direttore dell’Istituto Grenoble di Napoli, considerato uno dei maggiori italianisti francesi.

RADICOFANI E IL SUO STATUTO DEL 1441 – a cura di Beatrice Magi – Edizioni

Cantagalli – Siena – Maggio 2004.

(Lo Statuto ci ha informato su molti aspetti della storia, della vita del paese e della legge che vigeva in quel tempo! Vi sono cose però che mi hanno enormemente incuriosito e che a tutt’oggi non sono riuscito né a capire né a trovare alcun riferimento storico (sic), questo è ciò che è scritto alla rubrica 39 a pag. 132 dello Statuto dal titolo: Della pena de chi entra in el luoco delle monache. La rubrica così recita: «Niuno huomo intre in casa overo luocho delle monache del monesterio de sancta Maria del Poggio

Aianesi sença licentia de madonna abatessa d’essa overo essca d’esso luoco alla pena de cento lire de

denare da pagarse per ciascuna volta». Non solo non abbiamo notizie del convento di monache, ma, per quanto mi riguarda non riesco a capire dove possa essere situato questo Poggio Aianesi! Oltre a questo, non sappiamo dov’erano i siti Santo Lorenzo

(per questo posto vedi le note 128,129 e 130 che ci possono dare un’approssimazione del sito) e le Grotte [Rubrica 11], che suppongo fossero vicino alla Palazzina1. Sono certo, invece, di come si chiamava Via della Posta, menzionata nella rubrica 55:

Porta Furella, infatti, il muro di sinistra, ora della famiglia Trisciani, era uguale al muro di destra, che era quello della famiglia Luchini, quindi guardando dalla porta, che allora esisteva, aveva l’aspetto di un foro; addirittura vi era una stradetta che dalla piazzetta A. Garibaldi s’immetteva sull’attuale Via della Posta (in quel tempo Porta Furella).

MEMORIE DI UN’ANTICA TERRA DI FRONTIERA E DI FORTEZZE – a

cura di Beatrice e Renato Magi – Tipografia “Stampa 2000” – Maggio 2006.

(I manoscritti pubblicati nelle pagine del suddetto libro, sono dell’Archivio di Stato

di Siena: uno è il manoscritto D. 83 di B. Gherardini) (Visita fatta nell’anno 1676 alle Città,

Terre, Castella dello Stato della Città di Siena dall’Illustrissimo Signore Bartolomeo Gherardini

Auditore Generale in Siena per l’Altezza Serenissima di Cosimo III de’ Medici Granduca VI di

Toscana), e l’altro è il D. 71 di G.A. Pecci (Memorie storiche, politiche, civili e naturali delle

città, terre e castella che sono e sono state suddite della città di Siena). Questi manoscritti sono stati, per la storia di Radicofani, i capisaldi fra tutti i libri scritti fino all’uscita del “C.D.A.” su questo paese, ed anche il lettore meno esperto, leggendoli, può rendersene conto, scoprendo notizie inedite sul nostro paese e sul territorio che lo circonda e sui personaggi illustri cui ha dato i natali!).Dal manoscritto del Gherardini si apprende quali sono le chiese che esistevano in quell’anno nel territorio di Radicofani e ciò è molto importante anche per il raffronto con quelle che esistono ancora oggi). Nelle pagine che seguono, riportiamo le parole del Gherardini:

Pag. 33

1 Dopo sette secoli è, quasi certo, che questi luoghi citati nel libro a cura di B. Magi “Radicofani e il suo statuto del

1441” Ed. Cantagalli - Siena 2004, siano gli stessi luoghi dov’era il Borgo di Clemenzano, il quale era detto anche

San Lorenzo.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Chiesa Plebania sotto Titolo di San Pietro con il Fonte Battesimale, ……………, e con suo organo

Sonante, in buono stato. ……………………………..

Sono in detta chiesa Plebania gl’infrascritti Benefizi Semplici.

Uno titolo S. Martino……………………….

Altro benefizio Semplice sotto Titolo di S. Benedetto ………………

Altro Benefizio sotto Titolo di S. Filippo Neri …………………

Altro Benefizio semplice sotto titolo della presentazione di Maria Vergine …….

Altro Benefizio semplice sotto Titolo del Santissimo Crocefisso ……….

Altro Benefizio di libera Collazione sotto Titolo di San Michele Arcangiolo …….

Altra Chiesa Cura d’Anime sotto Titolo di Sant’Andrea Giuspadronato dell’Abbate dell’Abbadia

San Salvadore …………… Questa Chiesa è posta in Castel Morro …………………. Vi è l’Organo

…sonante ……………………il Salario all’Organista lire 20. L’Anno …….

In questa Chiesa vi è un Benefizio semplice sotto Titolo di Santa Lucia ……….

Chiesa, o’ Compagnia Laicale con Cappa sotto Titolo della Santissima Assunta …….

Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo del Santissimo Sacramento ……

Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo di S. Antonio da Padova; ……

Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo del Santissimo Sacramento annessa alla

Chiesa di Castel Morro. ……….

Chiesa con il suo convento habitato da’ frati Minori Conventuali.

Sono nella Chiesa di questo Convento due Congregazioni, una nell’Altare dedicato al Santissimo

Rosario, sotto il detto Titolo. ………..

Nell’Altare dedicato alla Santiss.ma Concezione vi è l’altra Congregazione sotto il detto Titolo.

………….

Anco in questa Chiesa è il suo Organo Sonante, e ben tenuto.

Chiesa sotto Titolo della Madonna delle Grazie dello Spedale della Comunità di detto luogo….

Tutte le sopradette Chiese della Terra sono di Fabbrica capace, bene offiziate, e proviste di sacri

Suppellettili.

Pag. 46

Sono in questa Corte di Radicofani le Chiese infrascritte, cioè:

Chiesa sotto Titolo di San Rocco, ora però distrutta, ….

Chiesa posta nella Contrada di Gello sotto titolo San Bernardino, lontana circa tre miglia da

Radicofani verso Sarteano………………………… (Qui il Gherardini prende un abbaglio perché la chiesa di Gello era intitolata a San Pellegrino! – Ciò è avvalorato da altri testi storici.)

Altra Chiesa luogo detto il Pino (oggi detto il Pero) sotto titolo di Santa Croce lontana circa tre

miglia verso la Val d’Orcia……….

Altra Chiesa vicino alla Terra detta la Madonna del Roccheto (Si è scoperto all’archivio vescovile di Chiusi che il primo titolo di questa Chiesa era Santa Maria Novella)

………….2

Poco fuori della Terra vi è la Chiesa dedicata a San Francesco con il suo convento habitata dalla

religione Cappuccina, et in esso stanno di continuo n.ro dieci religiosi, e quattro di questi sono

Sacerdoti.

Stranamente neanche il Gherardini ricorda la Chiesa di Santa Barbara situata nel Castello né quella di San Giovanni che già nel 1676 doveva essere distrutta.

Pag. 51

2 Ciò è avvalorato dalla rubrica n. 8 dello “Statuto di Radicofani del 1441” a cura di B. Magi. Cit. alla nota n. 1.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Nelle osservazioni, proposizioni e Ordini che il Gherardini invia al Granduca, o a chi per lui comunica al n. 14:

14° - Fu domandata a nome de’ Bombardieri la Chiesetta della Comunità sotto titolo S. Rocco, o

vorriano un Moggio di Terra per poterla con tale Entrata, e con le contribuzioni proprie mantenere, e

fare offiziare, giache non hanno Chiesa, e si adunano hora in una Chiesa, hora in un’altra.

Dal manoscritto del Pecci abbiamo un primo accenno alla nascita del Borgo di Radicofani, infatti, a pag. 64 del libro leggiamo:

Supposto vero e legittimo il decreto di Desiderio Re dei Longobardi (m. nel 774 d.c.), che

conservasi scritto in pietra nella città di Viterbo, conferma il Bussi (Feliciano Bussi – Storia di

Viterbo – P.te I, Libro I, pag. 21 e segg.), e tanti autorevoli scrittori, con valide, e gagliarde ragioni,

per tale, celo dimostrano, non occorre più oltre andare a cercare quando Radicofani abbia avuto la

sua fondazione, e chi ne sia stato il fabbricatore, mentre che in esso si leggono le parole: ”Nam in

Tuscia edificamus a fundamentis vobis quidem Vulturranis, Calvellum, Vicumurchianus,

Balneariam, Barbaranum, et Gariofilum, Sentinatibus autem Ansedonias, et Rodacofanum, Volaterris

Radacomalum, etc.”

(La pietra di cui parla il Bussi è scomparsa, la perdita sembra attribuibile alla Seconda guerra mondiale!).

MATILDE LUCHINI (una pittrice a Radicofani) - cura di Dee Keithahn –Alsaba

Grafiche – Siena 2002 –

(Storia e foto dei dipinti di Matilde, {e albero genealogico della famiglia Luchini}, che ha lavorato nei primi anni del novecento a Firenze e nella Pensione Vertunno - Vedi storia dei personaggi più avanti)

CARTA ARCHEOLOGICA DELLA PROVINCIA DI SIENA – Volume VII –

RADICOFANI – a cura della Provincia di Siena – AA.VV. – Nuova Immagine editrice -

Siena – anno 2004 –

(In questa carta tutte le cose dette in occasione del libro del Bicchi sono confutate o ampliate da ricerche fatte in questi anni da geologi, archeologi, storici e ricercatori con sistemi moderni. Vi è pure molta storia del paese!)

DE STRATA FRANCIGENA – XIX/1 – 2 – RADICOFANI E LA VIA FRANCIGENA

– a cura Centro Studi Romei c/o Basilica di San Miniato al Monte (FI) – AA.VV. – Arti Grafiche

Nencini – Poggibonsi – 2011 -

Dai libri che seguono sono stati tratti dei brani che riguardano Radicofani o

qualche zona, sito o monumento importante di Radicofani.

L’ABBAZIA DI SAN SALVATORE AL MONTE AMIATA - a cura di Wilhelm

Kurze e Carlo Prezzolini - Grafiche Piccardi & Martinelli – Bagno a Ripoli (FI) – Marzo 1988.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Il libro è fatto di tanti articoli, ognuno dei quali ha un diverso autore, indichiamo oltre il titolo e l’autore anche le pagine del libro da cui sono stati ripresi i brani. Le note sono quelle originali del libro.

Il monastero di San Salvatore al Monte Amiata e la sua proprietà terriera –

Wilhelm kurze

Pag. 2 e 3:

Parlando dei possedimenti del monastero vi è un brano che mi sembra valido per capire l’importanza dello studio effettuato dal Kurze.

“......Ciò che venne affidato all’abbazia al momento della fondazione dai re longobardi è dunque

un grande territorio concluso in sé stesso, in gran parte ancora coperto dai boschi originari e già

popolato soltanto nella valle del Paglia. La situazione diviene ben comprensibile mediante la

descrizione dei confini. Da un lato fiumi e confini indeterminati verso la vetta dell’Amiata, dall’altro

confini definiti più chiaramente con filari di alberi e pietre verso la contea di Sovana, nella valle del

Paglia e nella zona di contatto con San Filippo già da tempo abitato...............................”

Pag. 4:

“.............Il secondo documento d’acquisto del medesimo anno 774 riguarda i beni in Agello –

come mostra la notizia del IX secolo scritta sul dorso3. Gello nella Val d’Orcia, presso la più tarda

Spineta........”

Pag. 10:

“......... Questa volta rimasero all’abbazia anzitutto importanti centri di proprietà nella valle del

Paglia: San Casciano, Climenziano, (borgo presso l’attuale Casano, ma il Bezzini lo pone alla Palazzina, che con l’incastellamento si spostò nel borgo di Radicofani come tutti gli altri), Offena. Essi furono ampliati mediante la concessione di Voltole e la conferma della curtis di Burburigo donata dal marchese Ugo.

Pag. 11:

“.............la Rocca Senzano a nord-est di Radicofani. Queste concessioni basate su antiche

disposizioni furono ampliate con Reodola minore in Val d’Orcia, che probabilmente era sorta

mediante un nuovo insediamento di Reodola maiore (DO III 202) (CDA II, n. 212) e Bittena (forse a nord nord-est di Radicofani come Mussona e Offena) da considerarsi anch’essa come

nuovo insediamento. A ciò si aggiunsero i nuovi castelli ................................................e la rocca di

Saxine (nord-est di Radicofani), sorti tutti con il progredire dell’incastellamento. ................., tutte le

proprietà che nel corso del tempo mutarono il loro nome furono elencate con tutti i nomi

probabilmente senza cognizione di causa. È dunque impossibile che questa lista possa aiutare a

comprendere lo sviluppo della proprietà terriera dell’abbazia dell’Amiata”.

Pag. 12:

3 CDA I, W. Kurze, Codex diplomaticus Amiatinus, Urkundder Abtei S. Salvatore am Montamiata von den Anfängen bis

zum Regierungsantritt Papist Innozenz III. (736 – 1198), I e II, Tübingen 1974-1982. n. 22.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

22

“.............................

Un fascicolo con le rendite del convento del XIV secolo, composto verso il 1340 mostra il

monastero allora come normale proprietario terriero. Di fronte a 12 posizioni di amministrazione

laica4 e a 4 posizioni di amministrazione feudale5 stanno 17 situazioni di proprietà accentrate intorno

a chiese6. Dall’XI secolo l’area di proprietà è rimasta immutata da molti punti di vista. Come centri

lontani dal monastero spiccano come già da lungo tempo: Campagnatico, Latera, Tuscania,

Tarquinia/Corneto e la zona intorno a Montepulciano. .......................................................

Un fascicolo di atti conservato all’Archivio di Stato di Firenze (A.S.F.), in cui sono copiati

centinaia di documenti registrati dall’amministrazione del monastero del XIII-XVI secolo, ci fornisce

una conferma della situazione che abbiamo esposto. Le copie sono registrate sotto le località centrali

preposte, sono dunque già conformi ad un più moderno ordine amministrativo7. Sulla carta ho unito

ai simboli il numero dei documenti che sono raggruppati sotto il nome delle singole località.

............................32 Radicofani e Celle.

L’evoluzione del tracciato della via Francigena tra la Val d’Orcia e la Val di

Paglia – Stelvio Mambrini – Renato Stopani

Pag. 27:

Com’è noto la via Francigena fu una creazione dei Longobardi. Almeno come direttrice viaria.

Essa nacque, infatti, per rispondere alla necessità di quel popolo di attuare un collegamento tra il

regno di Pavia e i ducati meridionali di Spoleto e Benevento mediante un tracciato che, a differenza

delle consolari romane……………… potesse essere da loro pienamente controllata.

……………………………………………………Essi individuarono così a nord del lago di

Bolsena la possibilità di creare un tracciato che, invece di dirigersi verso la Val di Chiana, come

faceva la consolare “Cassia”, piegasse più ad ovest, indirizzandosi verso la valle del Paglia, risalendo

il quale potevano raggiungere le ampie vallate dell’Orcia, e poi dell’Arbia, arrivando con facilità a

Siena.

…………………………………………, è probabile che i Longobardi più che costruire ex-novo

la strada utilizzassero tratti di preesistenti vie…………………………………………………………

I Longobardi, semmai, dovettero costituire lungo la via un organico sistema di difesa: …………,

il che portò alla valorizzazione di quelle località che rendevano possibile un più efficace controllo

della strada. Tale fu senza dubbio Radicofani, il cui castello, non a caso, nei più antichi documenti è

ricordato come proprietà regia8. Il poggio di Radicofani costituiva un dato spaziale di eccezionale

importanza, cui riferire una serie di rapporti, di attribuzioni e di possibilità nei confronti della strada

4 A.S.F., Compagnie soppresse, 454 fasc. 194; Voltiole, Val di Paglia, Rocchetta, Celle, luogo de Gravillona, Corte di

Monticello, podere Gagliano, podere Grosseto, poderi di Monte Follonicho, luoghi di Monte Pulciano. 5 Ibidem: feudo Castellare et terreno de Gello, feudo di Scorto mortu fa parte di Burgoricho, feudo di Contigniano cioè

della Popilla, feudo del comune di Monte Laterone. 6 Ibidem: ecclesia S. Pietro, ecclesia S. Andrea di Radicofani, ecc. ecc. 7 Ibidem: 448 fasc.182: «Ristretto di varie cartelle dell’Archivio Amiatino in cui si leggono molti contratti particolari di

diversi paesi, luoghi e circoscrizioni non appartenenti, la maggior parte, al monastero di San Salvatore – coll’indice de

1775». Quì presento la lista dei titoli dei gruppi locali, in parentesi il numero dei documenti ivi raggruppati:

................................................Radicofani (Rocca d’Orcia, Campiglia, Contignano (25), ................................................... 8 Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, Repertorio, in A.A.V.V., I Castelli del Senese, Strutture fortificate dell’area senese-

grossetana, Milano 1976, ristampa (ed. citata) Milano 1985.

Oltre alla formidabile posizione del luogo, vera e propria fortezza naturale, testimonia dell’uso di esso da parte dei

Longobardi l’origine del Toponimo, di derivazione germanica (dal personale «Radipert» oppure «Radicauso»). Cfr.S.

Pieri, Toponomastica della Toscana meridionale e dell’arcipelago toscano, Accademia Senese degli Intronati, Siena

1969, pag. 158.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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che, dovendo risalire l’alta valle del Paglia, transitava necessariamente ai piedi del rilievo: impossibile

che i Longobardi non ne prevedessero l’utilizzazione!

Pag. 28:

....................................Ogni tentativo di ricostruire i percorsi della via si presenta pertanto irto di

difficoltà, nonostante che dalla fine del X secolo le fonti scritte riportino i primi itinerari che, talvolta,

permettono di individuare con maggiori dettagli il tracciato della strada. È il caso della memoria

lasciataci dall’arcivescovo di Canterbury, Sigeric, che elenca tutti i luoghi di tappa (ben 80) toccati

dal presule britannico nel suo viaggio di ritorno da Roma alla sua sede episcopale, avvenuto tra il 990

e il 9949. Grazie a questo documento prezioso veniamo a conoscenza che nel X secolo la nuova via

aperta dai Longobardi per sopperire alle loro necessità politico-militari aveva consolidato il suo

tracciato ed era diventato il principale itinerario per Roma, ben definito nel suo percorso di base

facente capo a centri («submansiones») presumibilmente attrezzati per ricevere i viandanti.

Procedendo da Roma, i primi luoghi di sosta indicati dall’arcivescovo coincidono con quelli

riportati dagli itinerari imperiali della via «Cassia». Giunto però al lago di Bolsena, in corrispondenza

del quale sono ricordate le due «submansiones» di «Sce Flaviane» (Montefiascone) e «Sca Cristina» (Bolsena), Sigeric punta verso Acquapendente, immettendosi nel bacino del Paglia e risalendo il corso

del fiume: la successiva località toccata dal presule britannico è, infatti, «Sce Peitr in Pail» (San Pietro

in Paglia). Segue quindi la «submansio» di «Abricula» (Le Briccole)10, ormai già in Val d’Orcia, o

meglio nella valle del Vellora, subaffluente dell’Orcia. Sigeric ha quindi superato il costone che da

Radicofani si svolge con andamento sinuoso sino a poggio Seragio, fungendo da spartiacque tra le

due vallate.

A differenza della stazione di «Abricula», l’individuazione della «submansio» di «Sce Peitr in

Pail» si presenta problematica, poiché nell’alta valle del Paglia, all’incirca ad una giornata di

cammino da Acquapendente, non esiste alcuna località con tal nome. Laddove si riuniscono i rami

sorgentiferi del fiume gli unici insediamenti registrati dalla cartografia moderna sono alcuni

modestissimi insediamenti rurali («le Casette»), oggi ormai fatiscenti. Più a valle, collegati da una

strada campestre che corre al lato del Paglia, sulla destra del corso d’acqua, sono poi le case coloniche

«Vigna», «Nardelli», «Voltole» e «Voltolino». Tuttavia le fonti cartografiche cinque-seicentesche

indicano nella zona, con un simbolo che si riferisce chiaramente ad un piccolo borgo, l’abitato di

«Paglia»11. Con ogni probabilità è lo stesso insediamento cui fanno riferimento altre fonti itinerarie

9 Il manoscritto, che si trova presso il British Museum di Londra, fu pubblicato per la prima volta da W. Stubbs, Rerum

Britannicarum Medii Aevi Scriptores, Londra 1974, vol. 63, cap. 7 pagg. 391-395. Cfr. inoltre: K. Miller, Die Altesten

Weltkarten , Stuttgart 1895 e J. Jung, Das itinerar der Erbischofs Sigeric von Canterbury und die strasse vom Rom der

Siena nach Lucca, in « Mitteilungen des Institues für Osterreichische Geschichtforschung », XXV, p. 57 e segg. 10 L’ubicazione della «submansio» di Abricula non presenta difficoltà in quanto ancor oggi esiste il toponimo (Le Briccole

superiori e Le Briccole inferiori), in corrispondenza del quale, distanti tra loro poche centinaia di metri, sono due case

coloniche. Poste tra il torrente Vellora e il borro Rafanello si trovano su un breve tratto di strada che corre parallelamente

alla statale n. 2, leggermente spostato ad ovest.

A lato della casa colonica «Le Briccole inferiori» è una chiesetta tardoromanica ancora in buono stato di conservazione,

che rappresenta con ogni probabilità un residuo dell’ospizio ricordato nei Decimari pontifici della fine del Duecento come

«Hospitale S. Pellegrini de Obricol (is)» (cfr. RDI I e II – P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli

XIII e XIV . Tuscia, I: La decima negli anni 1274-1280, Città del Vaticano 1932, ristampa anastatica Modena 1976.

M. Giusti, P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia II: Le decime degli anni 1295

– 1304, Città del Vaticano 1942, edizione anastatica Roma s.d. 11 Già nella «Thusciae Descriptio autore Hieronimo Bellarmato» di Abramo Ortelio (1573 circa, Anversa) si trova

indicata, tra Abbadia San Salvatore e Radicofani, la località «Paglia». E cosi anche nella «Urbisveteris antiquae. Dictionis

desriptio», di Egnazio Danti (1583, Roma); nella carta del «Territorio Senese» di Orlando Malavolti (1599, Siena); nel

«Territorio di Siena con il Ducato di Castro», di Giovanni Jansson (1630 circa, Amsterdam) e in numerose altre carte dei

secoli XVI e XVII (cfr. R. Almagià, Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzione di carte generali e regionali

d’Italia dal secolo XIV al secolo XVIII, Firenze 1925, pp. 20-43-45 e Id., L’Italia di G. A: Magini e la cartografia italiana

dei secoli XVI e XVII, Napoli-Città di Castello-Firenze 1922, p. 122).

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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successive alla memoria di Sigeric, come il resoconto del pellegrinaggio a Roma effettuato nel 1350

da Barthélemy Bonis, mercante di Montauban, che ricorda come luogo di tappa la località «Molino

del Paglia»12, oppure le testimonianze di alcuni famosi viaggiatori del Cinquecento, quali il

Montaigne ed il Buchellius, che menzionano un piccolo abitato composto di poche casupole, detto

«Case di Paglia». Un’attenta ricognizione nell’alta valle del Paglia, nella zona di confluenza dei torrenti Vascio,

Pagliola e Cacarello, ove le carte topografiche indicano l’insediamento «le Casette», ha appurato

l’esistenza di tracce cospicue di un abitato, consistenti in cumuli di pietrame lavorato misto a

frammenti di laterizio. Gli stessi piccoli edifici rurali esistenti mostrano nella loro muratura di aver

utilizzato bozze di pietra andesitica dal taglio regolarissimo. Gli accumuli di macerie e il riuso di

materiali lavorati testimoniano senza possibilità di equivoci che siamo alla presenza dei resti di un

insediamento. Vi si potrebbe riconoscere il «Sce Peitr in Pail» sigericiano, documentato con

denominazioni diverse, ma tutte facenti riferimento all’idronimo «Paglia», ……………………….

Pag. 30:

fino al XVII secolo. Ma, per quanto diremo tra breve, ci sembra più probabile che il sito in questione

possa essere stato la sede dello scomparso villaggio di Callemala, ricordato in numerosi documenti

del «Codex Diplomaticus Amiatinus» a partire dal IX secolo. Sicuramente ubicato in Val di Paglia,

il villaggio doveva trovarsi anch’esso lungo la strada per Roma. Oltre ad una chiesa dedicata a Santa

Cristina, i monaci di San Salvatore vi possedevano casa e terreni, molini e taverne13. Callemala è

ricordata ancora all’inizio del XVI secolo come una specie di mercatale ove affluivano gli abitanti

dei castelli circumvicini per esitare i loro prodotti14. Sembrano confermare questa ipotesi anche i resti

di un tracciato stradale ancora riconoscibile nella zona, seppure a tratti: è ciò che rimane di una via

che nelle mappe del Catasto Toscano del 1832 è indicata come «antica strada romana»15 ……….

La denominazione «antica strada romana» ancora in uso nel secolo scorso per questa via che si

snodava lungo il corso del Paglia, oltre all’esistenza, a Voltole e a Burburico, di elementi di

costruzioni medievali, rendono verosimile l’ipotesi che il tracciato in questione, oggi rimasto solo per

brevi tratti, riproponesse con limitate varianti il percorso della via per Roma in Val di Paglia

documentato nel medioevo16. A monte dell’ipotizzato sito di Callemala la ……………………

Pag. 32:

strada che stiamo esaminando, ridotta a sentiero, si dirige verso la depressione tra Poggio Cirillo e

l’Apparitoia (toponimo, quest’ultimo, chiaramente legato alla viabilità). Qui, sulla linea spartiacque

tra val di Paglia e la val d’Orcia, è da localizzare il «Poggio di Lone», non registrato dalla moderna

cartografia, in corrispondenza del quale nel 1442 venne effettuato il deviamento della strada romana

12 Cfr. E. Forestiè, Les livres de compte des frères Bonis, marchands montalbonais du XIVème siècle, in « Archives

Histiriques de la Gascogne », t. XX e t. XXI, Paris Auch 1890-1891. Dice testualmente il documento lasciatoci dal

mercante pellegrino di Montauban: «…. Lo dezenove dia dinar a Bonconvent, de ser a San Sirguo. Lo XX. Dia dinar alla

Palha del Molit, de ser a Ayguas-pendens». 13 Cfr. CDA I e II, vedi in particolare i nn. 157, 166, 181, 200, 230, 280. 14 Cfr. L. Zdekauer, Sugli Statuti del Monte Amiata (1212 – 1451), Torino 1868, p. 11 dove riporta un documento del 21

aprile 1300 nel quale alcuni uomini di Radicofani e di Abbadia San Salvatore «promettono a Fra’ Giovanni del monastero

di San Salvatore di stare lungo la strada pubblica, nella contrada detta di Calimala, a vendere vino e altre vettovaglie a

vantaggio dei passeggeri, convenendo circa l’utile e il salario». Ancora all’inizio dell’Ottocento Callemala è ricordata

come «luogo e casale, di poi borgo nella corte di San Salvatore vicino al fiume Paglia», nelle Memorie istorico-

diplomatiche del Monastero di San Salvatore del Monte Amiata, di Giovan Colombino Matteschi, del 1811 (B.N.C.F.

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Palatino, Manoscritti, 1131, Repertorio. 15 A.S.S. Catasto Toscano, Mappe della Comunità dell’Abbadia San Salvatore, sezioni F, G, H. 16 È da notare, tra l’altro, che il Burgo de Uoltiole e la curtis de Burgoricho, con le rispettive chiese dedicate a San Pietro

e a Santa Maria, compaiono sovente nei documenti amiatini sin dai primissimi anni dell’XI secolo.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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per Radicofani17. Il sentiero, ancora indicato nelle tavolette dell’I.G.M.18, benché attualmente di

difficile individuazione, discende poi nella valle del Formone……………………………………un

nuovo percorso della via Francigena tra la val d’Orcia e val di Paglia un altro itinerario tra i più

antichi: il diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di Munkathvera, che nel 1154 si dipartì

dalla sua lontana isola per visitare Roma e la Terrasanta19. Tra San Quirico d’Orcia («Klerka Borg»)

e Acquapendente («Hanganda Borg», Nikulas dice che «…si sale sulla montagna chiamata

«Clemunt», c’è un castello sulla sommità di questa, chiamato «Mala Mulier», «Cattive donne», come

diciamo noi, dove la gente è di «pessima indole». Si è giustamente ritenuto, nonostante la scarsa

somiglianza dei due vocaboli, che l’oronimo «Clemunt» voglia indicare Radicofani, che solo alcuni

decenni più tardi sarà esplicitamente ricordato come stazione della via Francigena. Tale

identificazione, tuttavia, lascia irrisolto il problema del castello di «Mala Mulier», che non può esser

fatto coincidere con Radicofani, poiché nei secoli XI e XII nei documenti del Codex Diplomaticus

Amiatinus le due località sono menzionate distintamente. È quasi certo però che il «Burgo de

Muliermala» fosse ubicato nella valle del Formone: lo si desume dai toponimi ricordati in talune

confinazione di terre poste nei dintorni del borgo, riportate in documenti del Codex20.

…………………………………………………………………………………………

Pag. 33:

In particolare in un atto del dicembre 1071 si parla di un fossato di Selvella, toponimo che

attualmente contraddistingue una località posta sulle pendici nord-occidentali del poggio di

Radicofani. «Muliermala» non doveva trovarsi quindi molto lontana dall’odierno insediamento rurale

di Selvella, donde nasce un fosso (subaffluente del torrente Landola) che nel medioevo doveva

probabilmente prender nome dal piccolo abitato. Chissà se «Muliermala» non si trovasse ove oggi è

la casa «Le Conie», prossima appunto a Selvella; oppure, poco più a nord, in corrispondenza della

località «Castellare», il cui toponimo costituisce un chiaro riferimento ad un centro abbandonato21.

Il diario di Nikulas di Munkathvera può quindi costituire la più antica testimonianza del nuovo

itinerario della via Francigena transitante per Radicofani, risultando comprensibile l’errore dell’abate

islandese, che collocò il borgo di Muliermala alla sommità del poggio di Radicofani invece che sulle

pendici del rilievo22.

…………………………………………………………………………………………

17 Cfr. O. Malavolti, Dell’Historia di Siena, Venezia 1599, Parte III, p. 31. «Poggilone de’ Monaci» è ancora indicato in

una carta del XVIII secolo che rappresenta anche la «strada romana antica per la Paglia» che risale la valle del torrente

Formone (cfr, A.S.S., «Disegno fatto per mostrare la confinazione tra la Bandita de’ Bovi e la Dogana dell’Abbadia San

Salvatore» pubblicato da D. Sterpos, Comunicazioni stradali attraverso i tempi Firenze-Roma, Novara 1964, p. 39. Una

«strada vecchia romana» è poi ricordata in una confinazione del 20 giugno 1769, relativa a terre poste a «Poggio Cirillo»

e a «Poggilone» (cfr. A.C.A. Archivio Comunale Abbadia S.S., Memorie dall’anno 1745 al 1773, p. 437). Risulta infine

del «Libro delle Deliberazioni e memorie degli anni 1462-69» conservato presso A.C.A. (pp. 6 e 61) che in corrispondenza

del Poggio di Lone erano un « hospitium » ed un pozzo. 18 Cfr. Carta d’Italia, Foglio 129, I SO, IV NE, IV SE. 19 Cfr. F. P. Magoun, The pilgrim diary of Nikulas of Munkathvera: the road to Rome, in «Medieval Studies», IV, 1944,

che riporta un’accurata traduzione in inglese del testo originale (in antico norvegese), pubblicato per la prima volta da E.

C. Werlauff, Symbolae ad Geographiam Medii Aevi ex Monumentis islandicis, Copenaghen 1821. 20 Cfr. CDA, nn. 248, p. 125 e 289, p. 224, che risalgono, rispettivamente, al marzo 1016 e al dicembre 1071. In un altro

atto del febbraio 1107 si ricorda uno «senodochio», quod est edificatum in burgo qui dicitur «Muliermala», CDA II, n.

327. 21 Ai fini della localizzazione di Muliermala è da ricordare un documento del marzo 1016 che fa menzione di una «strata

Rumea» il cui tracciato, con la «serra di Muliermala», serve a delimitare i possedimenti dei quali l’atto tratta. Da notare

inoltre che le terre cui le confinazioni si riferiscono sono dette essere di pertinenza «de curte e rocca mea de Campilli

(Campiglia)», i cui signori si sa possedevano beni sulla destra del Formone (Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, I castelli

del senese, cit., Repertorio, pag. 360). 22 È da osservare che l’appellativo «Muliermala» non doveva essere infrequente nel medioevo nei riguardi dei luoghi di

sosta. Eguale denominazione dispregiativa possedeva ad esempio lo spedale di Montebuoni, immediatamente a sud di

Firenze, lungo la strada per Roma (Cfr C. Camerani Marri, Le carte del monastero vallombrosano di San Cassiano a

Montescalari, in «Archivio Storico Italiano», CXX, 1962, II).

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Le località toccate dalla strada sono eredi di insediamenti di notevole antichità, ricordate nei

documenti amiatini sin dai secoli X e XI. Non solo, nella maggior parte dei casi esse conservano

anche strutture architettoniche di edifici medievali (ad esempio a Castelvecchio e Perignano), oppure

tracce più o meno consistenti di circuiti murari (ad esempio a Poggio Reggiano e a Castelvecchio).

Dopo «le Conie» la strada si mantiene per almeno cinque chilometri a quota pressoché costante

(circa 590 – 600 metri), incontrando la Casa «Poggio Bandinelli», nei cui immediati dintorni si trova

il già ricordato Castellare, e poi il Poggio a Reggiano23. Abbandonata quindi la moderna carreggiabile

per Contignano24, inizia a degradare dolcemente verso il fondo valle del Formone, transitando per la

località «Riposo», il cui toponimo costituisce un evidentissimo riferimento all’esistenza, in passato,

di una struttura ricettiva. Oltre «Riposo» la strada si dirigeva verso Castelvecchio, ove dovevano

essere previste possibilità di collegamento col più antico percorso della Francigena. Da

Castelvecchio, infatti, senza grandi difficoltà si poteva giungere a Le Briccole, previo attraversamento

del Formone; oppure, proseguendo oltre, giunti in prossimità della confluenza del Formone con

l’Orcia, era possibile arrivare a Spedaletto, il celebre punto di sosta ricordato a partire dal 1236 come

dipendenza dello Spedale della Scala di Siena25. Un altro toponimo in rapporto con la viabilità

(«Palazzolo») potrebbe suggerire in questo secondo caso l’ubicazione dei punti di attraversamento

del Formone e dell’Orcia, oggi uniti da una specie di mulattiera il cui proseguimento s’innesta nella

moderna carreggiabile che conduce a Spedaletto.

In direzione Sud, oltre Radicofani, la strada medievale, a differenza dell’attuale statale n. 2,

raggiungeva il fondo valle del Paglia con un tracciato che viene oggi riproposto dalla via comunale

che conduce a Ponte al Rigo.

Pag. n. 34:

Ne risulta un percorso che affronta la salita di Radicofani mantenendosi lungo la linea spartiacque

fra i torrenti Paglia e Rigo. Anche in questo caso la toponomastica contribuisce ad avvalorare la nostra

ipotesi con la presenza, poco a nord di Ponte al Rigo, della località «la Novella», il cui toponimo

evidentemente dovette nascere in riferimento al nuovo tracciato, e «Baccanello», dal significato di

posto di ristoro. Del resto che la strada medievale transitante per Radicofani proveniente da sud

evitasse il fondo valle del Paglia è attestato dalle fonti cinquecentesche, tra le quali è un bel disegno

della fine di quel secolo, conservato nell’Archivio di stato di Firenze, da noi recentemente

pubblicato26.

Anche se il più antico percorso che risaliva il corso del Paglia non venne abbandonato (tanto che

il suo uso, abbiamo visto, è ancora documentato nel XVI secolo, come attestano le testimonianze del

Montaigne e del Buchelius), il passaggio per Radicofani a partire dalla fine del XII secolo sembra

essere preferito dai viaggiatori, in quanto permetteva di sostare in una «terra forte e populata» che

rappresentava una garanzia di sicurezza. Ad esempio fa esplicito riferimento a Radicofani come

«stazione» della via Francigena l’itinerario del re di Francia Filippo Augusto di ritorno (1192) dalla

terza crociata: «….deinde per Ekepenndante, deinde per Redcoc, deinde per San Clerc…..».

Chiaramente viene indicato il nuovo percorso Acquapendente-Radicofani-Le Briccole-San Quirico

d’Orcia27. Egualmente, alcuni decenni più tardi, nell’anno 1253, anche l’arcivescovo di Rouen, Eudes

23 Nei pressi di Poggio a Reggiano, in località «Riscatto» una strada, oggi ridotta a sentiero, raccordava il percorso con

Ricorsi, sul fondo valle del Formone. Il toponimo «Riscatto», dal latino volgare «rexcaptare», intensivo di «captare»

potrebbe riferirsi alla possibilità di collegamento col percorso di fondo valle della Francigena che qui veniva offerto. 24 La strada prosegue attualmente verso Contignano, per poi spostarsi a est e dar luogo a due tracciati che conducono,

rispettivamente, a Spedaletto e a Castelluccio di Pienza (cfr. Carta d’Italia, foglio 129, I SO e Foglio 121, II SO). 25 Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, I Castelli del senese cit. Repertorio, p. 352. 26 A.S.F., Piante possessioni, t. IV (riprodotto a p. 113 de La via Francigena nel senese. Storia e territorio, di A.A.V.V.,

Firenze 1985). 27 Cfr.,B. von Peterrorough, Ex gestis Henrici II et Ricardi I, in « Monumenta Germaniae Historia, Scriptorum », vol.

XXVII, p. 131, Hannover 1885.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

27

Rigaud, che tornava alla sua sede episcopale, annoterà: «…. apud Aquam pendentem, Radicophanum,

apud Sanctum Quiricum ….»28.

Divenuto centro di transito e di controllo strategico della via Francigena, Radicofani accentuerà

ulteriormente la sua importanza nel 1442, quando intervennero i senesi col «dare ordine che la strada

romana, chiudendo il passo, non si facesse per la valle del Paglia»29. Si affermerà così il moderno

tracciato della via che determinerà il lento abbandono degli altri percorsi, oggi sopravvissuti solo per

alcuni tratti o in labili tracce che il territorio, tuttavia, tenacemente conserva.

Fine pag. 36

STELVIO MAMBRINI – RENATO STOPANI

I possedimenti dell’abbazia di San Salvatore dal XVI al XVIII secolo –

Gabriella Contorni Pag. 52 e 53.

RADICOFANI

L’Abbazia aveva perduto, a seguito della conquista senese, il potere temporale su Radicofani; nel

‘500 le rimaneva la giurisdizione sulle chiese della terra. Un elenco dei benefici della mensa abbaziale

riporta che nel 1559 le chiese di S. Giovanni e di S. Pietro davano al monastero 24 denari senesi di

censo annuale, mentre S. Andrea a Castelmorro dava due scudi d’oro, comprendenti anche l’affitto

del beneficio. Cioè dei beni stabili della chiesa. Appartenenti all’abbazia, e affittati al curato30.

Dall’inventario seicentesco conosciamo con precisione i beni di S. Andrea. Consistenti in una

casa vicino alla chiesa, un podere e numerosi pezzi di terra31.

La situazione di S. Pietro era diversa; come a S. Maria Assunta di Piancastagnaio l’abate vi

esercitava solo metà giurisdizione, che per l’altra metà competeva al vescovo di Chiusi. Anche qui

dunque c’era un pievano eletto dal vescovo e un compievano eletto dall’abate, che dividevano gli

oneri e i benefici derivanti dai beni della chiesa32. Nel ‘300 l’abbazia possedeva nel territorio di

Radicofani le tenute di Agello, Rocchette. Cerviaia e Gallico, cedute nel 1340 in enfiteusi al comune

di Radicofani. Da questo nel 1589 il monastero rilevò nuovamente in enfiteusi la tenuta di Gallico,

per la quale rilasciò al comune il credito che aveva di 623 scudi d’oro e 15 moggia di grano33.

Il catasto del ‘600 descrive Gallico come una tenuta formata da quattro poderi, confinante con la

Paglia, la strada per Radicofani e il fosso Quercia; il cabreo del 1695 invece rappresenta solo due

poderi, Gallico e Gallichino34.

Le chiese di Abbadia San Salvatore – Carlo Prezzolini

Pag. 135.

28 Cfr., T. Bonnin, a cura di, Regestrum visitationum archiepiscopi Rothomagensis, Rouen 1852, pp. 176-186. 29 Cfr. O. Malavolti, Dell’Historia di Siena, cit., parte III, p. 31. 30 A.S.F., Compagnie soppresse, 454, 194, cc. 85v., 86. 31 A.S.F., Compagnie soppresse, 454, fasc. 196, cc. 33-34v. 32 Per questa amministrazione a due mani vedi F.M: Magrini, I parroci di Radicofani, Siena 1983. Un inventario dei beni

di S. Pietro si trova in A.S.F., Compagnie soppresse 454, fasc. 196, c. 21. 33 A.S.S., Conventi, 5, c. 265. 34 A.S.F., Compagnie soppresse, 454, fasc. 196, c. 3; ibidem, fasc.195, c. 135.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

28

La fondazione di una nuova pieve nei pressi dell’abbazia va collocata nel processo di radicale

cambiamento del tipo di insediamenti che avviene nella valle del Paglia nel XII secolo, processo che

porterà al sostanziale spopolamento del fondovalle e all’accentramento della popolazione nei castelli

di Radicofani, Abbadia e Piancastagnaio, tutti sotto il controllo di San Salvatore35.

…………………………………………….

Non sappiamo quando questo avvenga; un breve di Innocenzo IV del 1253, diretto ai pievani di

S. Giovanni di Radicofani, di Lamula e di S. Maria de castro Abbatie36.

Le chiese di Patronato di San Salvatore – Carlo Prezzolini

Pag. 150 – 155. LE CHIESE DI RADICOFANI

Ancora molti interrogativi avvolgono la vicenda delle ripetute traslazioni e delle ubicazioni della

pieve di Radicofani, anche se è chiaro che lo spostamento del fonte battesimale è collegato allo

sviluppo del castello di Radicofani, documentato fin dal 97337 ma asceso come importanza solo dopo

il 108038.

La pieve santi Donati, scito Radicofani è ricordata in una carta amiatina del 106739, ma

probabilmente possiamo identificare con questa la pieve di S. Donato ricordata nel 101440.

S. Donato è elencata fra le pievi vescovili nel privilegio concesso al vescovo di Chiusi Teobaldo

da papa Celestino III nel 119141. Il Maroni identifica questa chiesa con la pieve di S. Giovanni,

dedicazione con cui troviamo indicata la pieve di Radicofani dal secolo XIII, e propone come

probabile collocazione lo spartiacque fra l’Orcia e il Rigo, a nord-est del castello42. Recentemente

invece è stata proposta la distinzione fra le due chiese, S. Giovanni è stata considerata erede della

«vecchia e obliterata S. Donato»43 e la collocazione di S. Donato è stata ipotizzata nella valle del

Paglia, nei pressi del borgo di Callemala44, collocazione possibile dato l’importanza

dell’insediamento posto sulla Francigena.

Nel 1153 l’abate Ranieri cede in locazione perpetua metà del castello di Radicofani e della sua

corte al papa, escluso però «iure ecclesiarum, quod in eis habet» l’abbazia45. Papa Clemente III nel

108846 e papa Innocenzo III nel 119847 confermano all’abate amiatino «ius quod habetis in ecclesiis

Radicofani castri et suburbii ipsius». Questa dizione fa pensare che le chiese di Radicofani siano

35 Su questi aspetti si veda le relazioni di C. Wickham e di M. Ronzani, L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata nel

medioevo nel convegno “L’Amiata nel medioevo” tenutosi ad Abbadia S.S. nel maggio 1986. 36 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1253 gennaio 9; la pergamena è andata perduta, si veda il Regesto del Diplomatico in

A.S.S., B 36 al n. 557. 37 CDA II, n. 203. 38 Sull’importanza di Radicofani nei secoli XII e XIII si veda la relazione di C. Wickham Insediamento e incastellamento

sull’Amiata, 750 – 1250 al convegno “L’Amiata nel Medioevo” tenutosi ad Abbadia San Salvatore nel maggio 1986, dei

cui atti si attende la pubblicazione. 39 CDA II, n. 284. 40 CDA II, n. 240. 41 G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1844 – 1870, vol. XVII p. 587. 42 A. Maroni, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo-Siena-Chiusi, Siena 1973, pp. 213 e 219-

220. (Per questa chiesa si vedano più avanti le altre considerazioni alla luce dei due statuti del 1255 e quello del 1441). 43 Si veda la relazione di M. Ronzani L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata sul convegno di cui alla nota n 33. 44 Relazione di R. Stopani. Insediamenti e viabilità tra la Val d’Orcia e Val di Paglia nel medioevo, negli atti del convegno

«L’Amiata nel medioevo», cit. Anche in Repertorio, p. 355, S. Donato è individuato nei pressi di Callemala e viene

identificato con S. Giovanni. 45 CDA II, n. 341. 46 CDA II, n. 353. 47 CDA II, n. 370.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

29

sottoposte fin dalla fine del XII secolo sia all’abate di San Salvatore che al vescovo di Chiusi, come

è chiaramente documentato dal XIII secolo e fino alla soppressione dell’abbazia. Probabilmente

questa situazione, che in seguito vedremo presente anche nelle chiese di Piancastagnaio e, forse, in

S. Leonardo di Castel del Piano, ha origine da un accordo fra l’ordinario chiusino e l’abate di San

Salvatore fatto per la traslazione del battistero di S. Donato, che abbiamo visto pieve vescovile, a S.

Giovanni, che vedremo sottoposta al vescovo e all’abate.

Nel 1196 Celestino III proibisce all’abate di S. Piero in Campo di costruire, in pregiudizio

dell’abate amiatino e contro la sua volontà, una chiesa in Radicofani48. Simili contrasti si ripetono nei

decenni successivi e chiariscono meglio la situazione. Nel 1237 sempre l’abate di San Piero «avendo

una cappelletta mezzo diroccata vicino al borgo di Malmigliaccio, non lungi da un suo spedale detto

di Fonte Cecula nel distretto parrocchiale della cura di S. Andrea di Radicofani (è la prima occasione

in cui troviamo ricordata una chiesa del castello con la sua dedicazione, N.d.A.), aveva preteso di fare

di quella una vera chiesa coll’altare». Il Fatteschi annota nel suo Cronico che S. Andrea, come tutte

le altre chiese di Radicofani, spettava per metà al vescovo e per metà all’abate. L’abate amiatino si

appella al papa contro le nuove ingerenze di S. Pietro in Campo e vede nuovamente riconosciuti i

suoi diritti49. Ancora nel 1255 gli abitanti del borgo di Malmigliaccio (questo nome è errato perché la chiesa che sarà costruita è a Bonmigliaccio -vedi Statuto del 1255) vogliono

costruire una nuova chiesa, lontana soltanto «quantum jactus est lapidis» da S. Andrea e l’abate

ricorre di nuovo al papa50.

Nel 1228 quando i cistercensi subentrano ai benedettini neri nell’abbazia di San Salvatore, la

pieve di Radicofani, molto probabilmente già traslata in S. Giovanni, chiesa che doveva sorgere nei

pressi del castello, viene assegnata dal nuovo abate a D. Filippo, monaco nero che non abbraccia la

nuova osservanza51.

La prima attestazione di S. Pietro è del 1236: in questo anno una carta di donazione viene redatta

in questa chiesa, posta nel borgo maggiore di Radicofani52. Nel 1241 sono documentati contrasti fra

il vescovo di Chiusi e i parroci delle chiese nominati dall’abate: il vescovo Benedetto impone aggravi

ai presbiteri della pieve di S. Giovanni, di S. Andrea e di S. Pietro. Al rifiuto dei presbiteri, che si

dicono soggetti unicamente all’abate, il vescovo li scomunica e pone l’interdetto alle loro chiese53.

Le Ratio decimarum documentano che le chiese di Radicofani sono soggette sia al vescovo che

all’abate: nelle decime degli anni 1275- 1276 i tre edifici culturali compaiono sia fra gli esenti che fra

i non esenti dalle decime54. Le decime del 1302 sono ancora più chiare per S. Andrea e per S. Pietro,

che compaio negli elenchi «pro parte episcopi» e «pro parte monasterii S. Salvatoris»; S. Giovanni

compare una volta sola55, ma sappiamo da documenti successivi che il patronato di San Salvatore

continua anche per la pieve.

Nel 1328 l’Abate Angelo autentica i diritti del suo monastero sulle chiese sottoposte e fra queste

sono presenti anche le chiese di Radicofani: i testimoni esaminati giurano essere le tre chiese «de jure

et de facto» dell’abbazia, aggiungendo però alcuni che lo sono solo per metà56. E nello stesso anno il

vicario generale dell’ordinario di Chiusi riconosce a San Salvatore la metà di S. Pietro, S. Andrea e

48 CDA II, n. 364. 49 Cronico, cc. 12v-13 e A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1237 maggio 15, 1237 giugno 10, 1238 dicembre 13. Il 15 giugno

1237 alcuni nobili feudatari di Radicofani giurano fedeltà all’abate nella chiesa di S. Andrea, A.S.S. Diplomatico

S.S.M.A., 1237 giugno 15. 50 Cronico, cc. 44v-45, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1255 gennaio 17, 1255 settembre 3, 1255 settembre 23. 51 Cronico, c.2. (Anche in questo caso ci vengono in aiuto i due Statuti) 52 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1236 ottobre 22. 53 Ibidem, 1241 giugno 7 e Cronico, cc. 22-23v. Sulla particolare situazione delle chiese di Radicofani si veda la citata

relazione del Ronzani. Nel 1253 papa Innocenzo IV invia un breve ai pievani di Lamula, S. Maria di Abbadia e S.

Giovanni di Radicofani, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1253 gennaio 9; la pergamena è andata perduta, si veda il Regesto

del Diplomatico, A.S.S., B. 36, n. 557. 54 RDI I, pp. 122, 125, 127, 128, 129. 55 RDI II, pp. 164 e 165. 56 Cronico, cc. 147-147v e A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1328 novembre 28.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

30

della pieve di S. Giovanni57. Lo stesso viene deciso dal vescovo di Siena, eletto arbitro di un nuovo

contrasto fra l’abate amiatino e l’ordinario di Chiusi, nel 1440: all’abbazia spetta medietates delle

chiese di S. Pietro, S. Andrea e della pieve di S. Giovanni58.

Le tre chiese compaiono nel registro dei pagamenti delle chiese sottoposte alla mensa abbaziale

nel 146959. La chiesa di S. Giovanni è ricordata ancora nel 155960 e poi non la troviamo più citata;

oggi non se ne conservano tracce. (Negli anni 2004-2006 si sono trovate le fondamenta di tale chiesa vicino a dove è stato costruito in “Bar-Ristorante” per i visitatori della fortezza).

Anche S. Andrea, posta in Castelmorro, insediamento fortificato sottostante la fortezza di

Radicofani, non esiste più: a documentarne l’importanza storica ed artistica resta la statua in legno

policromo della Madonna con Bambino, attribuita a Francesco di Valdambrino e conservata nella

chiesa di S. Pietro. Nel 1478 l’abate di San Salvatore permuta la metà della chiesa di S. Maria di S.

Quirico, con un accordo con il vescovo di Pienza che deteneva l’altra metà di S. Andrea61. Questo

scambio non è chiaro in quanto troviamo che nel 1499 Girolamo, vescovo di Pienza e Montalcino,

incorpora la stessa chiesa di S. Maria di S. Quirico a San Salvatore62 e, inoltre, sappiamo che l’abbazia

conserva i suoi diritti su S. Andrea.

Il destino della chiesa, che è la cura della fortezza, è strettamente collegato alle vicende della

fortezza stessa: dopo il suo abbandono, avvenuto nel 175863, la cura resta quasi del tutto spopolata,

restandovi solo due famiglie con otto persone64. Nel 1778 la situazione peggiora perché la casa del

curato «è tutta precipitata dal terremoto»65. Due anni dopo l’antica cura di Castelmorro viene unita

alla pieve di S. Pietro66.

S. Pietro diventa pieve nel XVI secolo, così ce la ricorda per la prima volta un documento del

1587. Il documento, un inventario dei beni stabili della chiesa fatto quando era compievano il monaco

Pietro Rocca, ricorda che la pieve è di proprietà indivisa fra il vescovo e l’abate, che vi tengono un

pievano e un compievano; le rendite, come le spese, vengono divise fra i due pievani67.

SAN PIETRO

In una piazzetta al centro del paese di Radicofani è situata la chiesa di San Pietro, una costruzione

di origine medievale ampliata e rimaneggiata in più epoche. L’edificio presenta un’icnografia a tre

navate concluse da una grande abside semicircolare; le navate sono divise in cinque campate da archi

di valico a sesto acuto impostati su pilastri a fascio e semi pilastri addossati alle pareti. Allo stato

attuale la parte iniziale della chiesa, in corrispondenza delle prime due campate, è formata soltanto

dalla navata centrale essendo lo spazio relativo alla navata destra adibito a sacrestia e quello della

navata sinistra occupato da una cappella, l’oratorio della Misericordia.

57 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1328 dicembre 23. 58 Ibidem, 1440. 59 A.S.F. Compagnie soppresse, 454, fasc. 194, cc. 44 e 45. 60 Ibidem, c. 85v. 61 A.S.S., Diplomatico S.S.M.A, 1478 aprile 8. 62 Ibidem, 1499 giugno 30. Si veda anche Cronico, cc. 233-233v. 63 Lo Stato di Siena, IX, p. 109. 64 Memoria del parroco di S. Andrea in Castelmorro all’abate del 1758, A.S.F., Compagnie soppresse, 441, fasc. E;

Gheradini nella sua Visita......., cit, II, p. 389, del 1676-1677 aveva trovato nella cura 94 anime, più sette poderi nella corte

con 35 anime. 65 Lettera del curato di Castelmorro all’abate del 26 maggio 1778, A.S.F., Compagnie soppresse, 441 fasc. E. 66 F.M. Magrini, I parroci di Radicofani, Siena 1983, p. 13. Si veda anche la lettera dei monaci di San Salvatore al

Reggimento toscano dei cistercensi del 16 giugno 1780 e la risposta del Reggimento del 26 dello stesso mese, A.S.F.,

Compagnie soppresse, 441, fasc. E. 67 A.S.F., compagnie soppresse, 452, fasc. 189, n. 51. Una pergamena del 1540 ricorda la «ecclesia nuncupata plebe de

Radicofori» senza dedicazione, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1540 giugno 26.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

31

La copertura della parte iniziale è a capanna; quella delle ultime tre campate della navata centrale

è formata da volte a crociera rinforzate con grossi costoloni di sezione poligonale. Le volte sono

delimitate da ampi archi a sesto acuto trasversali e longitudinali. Archeggiature trasversali a tutto

sesto scandiscono le navate laterali sorreggendo una copertura a travature lignee. Gli archi e i

costoloni scaricano su pilastri composti molto rimaneggiati (solamente uno risulta integro) (Forse tutto ciò è dovuto ai terremoti succedutisi nei secoli?) formati da semicolonne e lesene e

sormontati da mensole smussate fortemente sporgenti. La facciata, elevata su un’alta gradinata, è

caratterizzata da un portale ricassato il cui archivolto, sorretto da due mensole sagomate, presenta

l’estradosso a sesto acuto e l’intradosso a tutto sesto; una leggera doppia ghiera orna l’interno della

lunetta. Al di sopra si apre una bifora, ripristinata, formata da una colonnina poggiante su un

frammento di cornice riutilizzato a mo’ di mensola e decorato con motivi vegetali. In corrispondenza

dello spiovente sinistro della facciata si eleva un campanile di sezione quadrangolare nel quale si

aprono monofore e bifore. Sul fianco sinistro della chiesa è situato un portale caratterizzato da un

architrave di riporto scolpito con rilievi ad intreccio ed una croce di Malta (Nota n. 40 alla pag. 187 -

Secondo I. Moretti e R. Stopani, Romanico senese, Firenze 1981, p. 151 n. 41, la croce dei templari potrebbe indicare la

provenienza dell'architrave da uno degli ospedali di Radicofani documentati all'inizio del XIV secolo).

Il paramento murario del corpo centrale della facciata è costituito da regolari corsi orizzontali di

conci ben squadrati di trachibasalto; le altre parti della chiesa presentano un paramento esterno più

irregolare ed evidenziano varie fasi costruttive e numerosi rimaneggiamenti.

All’interno la chiesa è completamente intonacata ad eccezione dei pilastri, degli archi e dei

costoloni delle volte formati da grossi conci regolarmente squadrati. Alcune parti rimaneggiate di

queste strutture sono coperte da intonaco dipinto ad imitazione della pietra.

Il portale che si apre nel corpo centrale della facciata suggerisce una collocazione nel periodo di

transizione tra il romanico w il gotico, collocazione con la quale concorda pure la regolarità del

paramento murario della struttura nella quale è inserito. L’interno della chiesa è invece caratterizzato

da un aspetto decisamente gotico, probabilmente attribuibile al XIV secolo. Non è facile stabilire se

l’insolito impianto iconografico che la chiesa attualmente presenta sia nato con la costruzione gotica,

magari al fine di sfruttare alcune strutture facenti parte di un edificio preesistente, o se sia il risultato

di un intervento successivo ad essa consistente nel tamponamento delle prime due campate delle navi

laterali. A tal proposito è da rilevare che le strutture della facciata relative alle navate laterali si

appoggiano al corpo centrale corrispondente alla navata maggiore; non è da escludere perciò che

quest’ultimo, essendo relativo ad una fase costruttiva precedente ad esse, abbia fatto parte di un

edificio ad una sola navata preesistente a quella attuale. Ma occorre precisare che qualsiasi ipotesi

deve essere interpretata con la massima cautela a causa dei forti rimaneggiamenti che l’intero edificio,

compresa la facciata, ha subito, anche in tempi alquanto recenti.

Da una foto dei primi del novecento, ad esempio, risulta che il vano relativo all’attuale Oratorio

della Misericordia era prolungato dalla parte della facciata con un corpo di fabbrica demolito negli

anni successivi; la stessa foto mostra che anche la parte superiore della facciata è stata rimaneggiata

e che la bifora che attualmente vi si apre è stata costruita in questo secolo in sostituzione di una

finestra semicircolare a sua volta inserita in epoca moderna. È inoltre da notare che nell’attuale

sacrestia, situata nello spazio relativo alle prime due campate della navata destra, sono presenti sei

semipilastri addossati alle pareti (tre per parte); le loro forme e le loro dimensioni sono però così

diverse da quelli dei pilastri dell’attuale chiesa da rendere improbabile un rapporto con essi. Non

possiamo invece escludere che la loro presenza sia in relazione con alcune funzioni svolte in passato

dal vano adesso adibito a sacrestia. In un documento del 1845 relativo alla sistemazione di alcune

opere d’arte della chiesa di San Pietro si parla infatti di una «Chiesa di Santa Maria, ora Sagrestia

della compagnia del SS. Sacramento e Misericordia» e di una «Nova Cappella della Chiesa di S.

Pietro», utilizzata dalla suddetta confraternita68; è probabile che i due ambienti siano da identificare

con l’attuale sacrestia e con l’oratorio della Misericordia.

68 A.V.C., B. 91. I. 3, lettera del 5 giugno 1845.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

32

Dal XVIII secolo sono documentati alcuni interventi di restauro. Nel 1782 viene restaurato il

campanile, il tetto, la muratura a «scirocco» e imbiancata la chiesa69. Nel 1843 sono necessari altri

interventi alla copertura e al campanile al quale è crollatala «cupolina»70. Negli stessi anni quaranta

vengono eseguiti ulteriori lavori di restauro ed è approvato un progetto di ampliamento della chiesa,

probabilmente consistente nel prolungamento delle navate laterali fino alla facciata71. Purtroppo la

documentazione non ci offre indicazioni sull’entità dei lavori effettivamente eseguiti ad eccezione di

una lettera del 1844 nella quale, descrivendo il loro inizio, si parla dello smantellamento

dell’impiantito e della demolizione dell’altare maggiore72. In ogni caso sembra che il progetto di

ampliamento della chiesa, non sappiamo per quale motivo, sia stato successivamente abbandonato73.

Nel 1924 l’interno viene intonacato a bande bianche e nere74. Nel 1949 viene tolto l’intonaco dai

pilastri e si eliminano gli altari seicenteschi75. Alcuni anni fa, durante i lavori di pavimentazione, sono

state individuate, a 30 cm. di profondità, le tracce di un edificio situato ad un dislivello di 6 metri76;

di questo ritrovamento, purtroppo, non abbiamo però alcuna documentazione.

Pag. 195 – 198.

I Castelli di San Salvatore*.

[44.1.] RADICOFANI (SI)

Il complesso del castello di Radicofani e del suo Borgo di Callemala costituì nel medioevo un’importante zona di

transito, e di controllo strategico, sul percorso della via romea o Francigena. Più anticamente attestato (dall’876) è il

villaggio di Callemala, mentre il castello di R. si trova nominato per la prima volta nella vendita dell’aldobrandesco

Lamberto di Ildebrando marchese dell’aprile 973. Numerose sono le carte private – spesso concessioni livellarie –

dell’abbazia di S. Salvatore del Monte Amiata che si riferiscono a Callemala: intorno a questo insediamento sulla via

Francesca (l’indicazione è già nel testo dell’876) i monaci possedettero terreni, vigneti, boschi ed orti, e sul vicino corso

del Paglia impiantarono dei mulini (una prima indicazione risale al 962, e nel ‘200 si ha notizia dei mulini abbaziali di

Callemala) (dei mulini di Callemala si ha notizia nello “Statuto di R. del 1255 – n.d.t.). A Callemala era la chiesa di S. Cristina, e nei pressi la sede pievana di S. Donato, ricordata con frequenza nelle

carte amiatine e riferita dal 1075 al luogo di R. (in seguito cambiò titolo e fu dedicata a S. Giovanni). Il controllo sul

castello di R., che era di proprietà regia, fu conteso in un primo tempo tra l’abbazia del Monte Amiata e i conti

Aldobrandeschi: nella querela presentata dai monaci all’imperatore Enrico IV, nel luglio del 1081, si denunziava come

abusiva la detenzione del castello da parte di quei nobili, i quali vi tenevano insediata «una moltitudine di loro cavalieri».

In seguito si affermarono in R. i Manenti, che erano conti di Chiusi e in quanto tali – verosimilmente – disponevano di

diritti sul patrimonio regio nel contado: e nel 1139 il conte Manente di Pepone donò al vescovo senese Ranieri – con un

documento rogato in Siena, «nella piazza di S. Cristoforo, nel parlamento, in presenza di molti uomini» - la sesta parte

del castello. Questa cessione, che è uno dei fatti più noti nella storia della prima espansione territoriale di Siena, dovette

certo suscitare apprensioni e volontà di resistenza nei monaci del Monte Amiata. Nel 1144 essi si fecero concedere da

papa Celestino II una bolla di conferma dei propri possedimenti, tra i quali era espressamente indicato il castello di R.

Poco tempo dopo sembra che organizzassero ostilità militari contro i Senesi, impegnati allora in una guerra contro il

Comune di Firenze. Certo si è che nell’estate del 1145 l’esercito senese era accampato presso l’abbazia di S. Salvatore,

e che l’abate dovette allora impegnarsi a porre R. a disposizione dei Senesi per eventuali necessità di guerra: quanto alla

sesta parte del castello, che i Senesi avevano ricevuto in dono dal conte Manente, si stabiliva che l’abate l’avrebbe tenuta

per conto del vescovo e del «Popolo» di Siena. Era una soluzione manifestamente provvisoria, che mentre riconosceva

ai Senesi una sorta di sovranità politica e la formale proprietà della sesta parte castello, ne assicurava peraltro all’abbazia

69 Ibidem, lettera del luglio 1782. 70 Ibidem, lettera del 24 luglio 1843. 71 Sul progetto di ingrandimento della chiesa si veda: A.V.C., B. 91. I. 3, lettere del 24 luglio 1843, 14 ottobre 1843, 13

aprile 1844, 18 dicembre 1844. Cfr. anche F.M. Magrini, I parroci, cit. p. 62. 72 A.V.C., B. 91. 3, lettera del 13 aprile 1844. 73 F. M. Magrini, I parroci, cit., pag. 62. 74 Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Siena, Scheda A, San Pietro a Radicofani. 75 Ibidem. 76 Ibidem.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

33

il possesso materiale. Contro la prospettiva di un inserimento nel dominio senese, i monaci ricercarono con maggior

decisione il sostegno della Chiesa Romana: nel 1153 cedettero in locazione perpetua a papa Eugenio III e ai suoi

discendenti una metà del castello di R. della circoscrizione castrense e del borgo di Callemala dietro l’impegno del

versamento di un censo annuo di sei marche d’argento – a titolo di ricognizione della proprietà abbaziale, e da destinarsi

al vestiario dei monaci. Il successore di papa Eugenio, Adriano IV, fece immediatamente fortificare R., che fu poi

coinvolto nelle ostilità tra il Barbarossa e la Chiesa; e il possesso della Sede Apostolica, secondo le condizioni stabilite

nel 1153, venne regolarmente ribadito dai successori di Adriano. Nel primo anno del suo pontificato (1198) Innocenzo

III fece alzare le mura di R. ne fece costruire di nuove e si occupò che fosse messo a punto l’apparato difensivo del

castello, dove pose un proprio castellano. Infine, il famoso accordo di Neuss, con il quale l’imperatore Ottone IV

riconosceva le nuove frontiere raggiunte dal dominio temporale della Chiesa (1201), menzionava R. come punto di

confine del Patrimonio di S. Pietro in Toscana. Ma nel 1210, con l’inizio dello scontro tra Ottone IV e il papa, le forze

imperiali occuparono R. dove si insediò come castellano il maniscalco Enrico di Lure: ancora nel 1221, nonostante la

sconfitta di Ottone IV (1214) e un accordo stretto fra gli uomini di R. e il maniscalco papale (1215 o 1216), Enrico

esercitava un controllo sul castello; poi questo tornò nell’ambito del Patrimonio. Nella guerra del 1229-1235, combattuta

dal Comune di Siena contro quello di Firenze ed Orvieto, furono compiute nel territorio di R. devastazioni e razzie di

bestiami ad opera di alcuni reparti dei Senesi e dei loro alleati. Timorose di inimicarsi il Papato, le autorità senesi si

adoperarono perché fossero restituiti gli animali e avanzarono proposte di risarcimento: incorsero nondimeno nella

scomunica papale, che venne tolta nel giugno del 1235 in seguito ad una formale obbligazione di risarcimento da parte

senese e alla sistemazione della questione di Chianciano, che i Senesi avevano occupato e che venne restituita al papa

(per suo conto agì Guglielmo di Anagni, castellano di R.); il papa riconsegnò poi Chianciano agli Orvietani (era questa

di Chianciano la questione di maggiore importanza, e si ha l’impressione che l’incidente di R. sia stato dilatato a scopo

strumentale dalla diplomazia pontificia).

Del 1255 è una redazione di Statuti del Comune di R. della quale ci è pervenuto un ampio frammento: organizzata

nelle contrade di Castello, Castelmorro, Bonmigliaccio e Borgo Maggiore, la comunità appare dotata di una sua larga

autonomia giurisdizionale e fiscale. A quest’epoca era stata senza dubbio ridimensionata di molto la signoria abbaziale

sul castello, e dalla metà del ‘200 i monaci amiatini dovettero anche impegnarsi in una lunga serie di vertenze con la

Sede Apostolica per la tutela della propria sovranità su R., nel rispetto dell’antico patto con Eugenio III. Quando, nel

1262, vi fu in Siena la sollevazione dei Salimbeni e dei Guelfi contro il governo ghibellino dei Ventiquattro, e quindi lo

sbandimento della parte Guelfa dalla città, i fuorusciti si arroccarono in R.; l’anno seguente le milizie comunali senesi e

la cavalleria imperiale di Manfredi sconfissero i fuorusciti presso l’abbazia di Spineta e abbatterono quindi le mura di

R.: solo nel 1298, con un intervento conciliativo di papa Bonifacio VIII, si sarebbe conclusa la vertenza tra i Senesi e il

Comune di R. per il risarcimento di queste devastazioni. A lungo il castello di R. continuò ad essere coinvolto nelle

generali vicende politiche di Toscana: sede dei fuorusciti guelfi di Siena ancora dopo la battaglia di Spineta (anni 1264-

1265), ribellato alla Chiesa nel 1284, dal 1295 circa base per le imprese del famoso Ghino di Tacco contro i Senesi (ora

passati allo schieramento guelfo), fu infine al centro della guerra condotta negli anni 1301 – 1302 da Guido di Monfort

e Margherita Aldobrandeschi contro il Papato e i Comuni guelfi di Siena e di Orvieto. Dopo la sconfitta dello

schieramento ghibellino R. rimase per cinquant’anni nell’ambito della sovranità papale; i passaggi di Enrico VII e di

Ludovico il Bavaro non ebbero conseguenze durevoli da questo punto di vista. Alla metà del ‘300 il Comune di Siena,

che dalla lontana vicenda degli anni 1139 – 1145 non aveva cessato di ambire al controllori R. e di intervenire nelle

questioni che interessavano il castello, compì una serie di passi decisivi verso l’affermazione di una propria signoria.

Appoggiandosi alla famiglia locale dei Del Guasta (veramente la famiglia si chiamava Guasta), maggiorenti

di R. attestati dalla metà del ‘200, i Senesi ottennero nell’ottobre del 1352 una sottomissione del Comune di R.;

salvaguardati i diritti della Chiesa, ma vi fu ovviamente un’immediata opposizione papale. Dopo una lunga fase

interlocutoria, nella quale si esercitarono contemporaneamente su R. la sovranità appena acquisita di Siena, la sovranità

papale e gli antichi diritti di dominio dell’abbazia del Monte Amiata, si affermò nel castello – per concessione del papa

– una signoria dei Salimbeni; e nel 1405, nell’atto di generale sottomissione stipulato da Cocco Salimbeni in favore della

Repubblica senese, il quale concludeva la fase più acuta delle ostilità tra la città e il grande casato magnatizio, fu incluso

anche il castello di R. A quest’epoca, non ben conosciuta, della storia di R. risale la più antica compilazione di Statuti

che ci sia rimasta nella sua integrità (1397). Il dominio senese fu scosso con la guerra condotta in Toscana da Ladislao

di Durazzo, re di Napoli: tolto a Siena dai Salimbeni nuovamente ribelli, nel 1410 R. fu occupato dal capitano di ventura

Tartaglia di Lavello, già stipendiato dai Senesi ed ora passato al servizio del re; ma l’anno seguente lo stesso Tartaglia

cedette R. ai Senesi, dietro compenso. Furono stipulati adesso nuovi patti di subordinazione della comunità di R. alla

Repubblica, la quale ottenne anche, dal papa, una concessione a lungo termine (60 anni) dei diritti della Sede Apostolica

(nel 1459 i Senesi avrebbero ottenuto da Pio II che la concessione fosse perpetua, con un rinnovo ogni dieci anni, e nel

1464 anche questa clausola del periodico rinnovo fu abolita). Nei capitoli di sottomissione, che ebbero poi gli

aggiornamenti e le revisioni consuete (1517, 1527, 1543), veniva riconosciuto ai Senesi – come d’ordinario – il possesso

della rocca e dei fortilizi di R. Nel 1417 fu intrapresa la costruzione di una nuova fortezza, sotto la direzione di maestri

lombardi. Verso la metà del secolo le autorità senesi fecero guastare l’antico tratto della via Francigena, ritenuto troppo

lontano il castello e pertanto difficilmente controllabile, e lo sostituirono con un tracciato, poi rimasto, più vicino a R.

Nel 1555 la fortezza di R. fu assediata invano, con intenso bombardamento, dalle forze imperiali e medicee: sarebbe

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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stata consegnata al duca Cosimo solo dopo la resa della Repubblica montalcinese (1559). (Per l’esattezza il 17 agosto 1559)

Il sistema di fortificazioni di Radicofani si può dividere in quattro parti ben distinte: la rocca, la fortezza,

l’ampliamento di questa e le mura del borgo. La fortezza in filarotto comprende all’interno la più antica rocca

triangolare con torri angolari attorno alla quale essa si svolge a pianta presso a poco quadrangolare con bastioni

piuttosto irregolari a tre degli angoli; priva però del lato E, poiché le sue mura, dai bastioni che lo delimitano, vanno

a ricongiungersi con la torre E della rocca, formando da quel lato una specie di tenaglia; il bastione SO è sostituito da

una curiosa conformazione ad L di quell’angolo della fortezza. Alla rocca si accede per una porta ad arco ribassato

sormontata da piombatoi rifatti. Delle tre torri, la maggiore, in funzione di mastio, è quella di SO, accanto alla porta,

con base a scarpa e cordone, tanto restaurata da rendere difficile stabilire l’autenticità dei vari elementi: quella di NO,

più piccola, ha pure la base a scarpa; quella E si fonde con i bracci di mura suddetti. La Fortezza come si è detto, è

provvista di bastioni, che conservano ancora, più o meno rovinati gli ambienti interni. Anche l’ampliamento della

fortezza, in direzione N e ad un livello più basso, era munito di due bastioni, dei quali quello NO conserva ancora tratti

di paramento, specialmente nella base a scarpa, e del cordone sovrastante; nel lato O bel portale di accesso ad arco

tondo. Per quanto riguarda le mura del borgo si può ancora vederne qualche frammento ai piedi della rupe della

fortezza, nonché un lungo tratto del basamento, interrotto da una torre rotonda, dalla parte a valle, a sostegno dei

giardini pubblici, ma reso quasi illeggibile dai rifacimenti. All’estremità E del paese resta ancora una porta ad arco

tondo. All’estremità opposta è invece un fabbricato medievale in pietra con il fronte a valle e la testata fortemente

scarpati, assai rimaneggiati e pesantemente stuccati in cemento; sul lato a monte è una porta d’ingresso ad arco tondo

ed un’altra su quello a valle dentro un profondo strombo della scarpa.

[44.3.] CATEL MORRO

Non si conoscono le vicende specifiche di questo castello, che nel 1255 era aggregato a Radicofani, del quale

costituiva una contrada, ma conservava tuttavia una fisionomia edilizia propria, con le sue carbonaie ed un circuito di

mura del quale si conservano ancora oggi le tracce. C.M. fu sede della chiesa di S. Andrea, posseduta dalla metà del

‘200 fino al 1478 dall’abbazia del Monte Amiata.

Numerosi resti di mura crollati, immediatamente adiacenti alla fortezza di Radicofani, sparsi tra le macerie, stanno

a testimoniare l’esistenza del castello.

[44.8.] Rocchette di Sassina.

Per le notizie storiche e bibliografiche cfr. la voce seguente.

Ne restano soltanto pochi ruderi appena emergenti dal terreno.

[44.9.] ROCCHETTA (di Senzano)

Nell’aprile del 1007 i monaci del Monte Amiata ottenevano dall’imperatore Enrico II un privilegio, nel quale era

confermata loro, tra gli altri possessi, la rocca di Senzano con le sue pertinenze; venti anni dopo Corrado II ribadiva la

concessione: quel possedimento era designato ora come «le rocche che son chiamate Saxine». È dunque antica la

distinzione tra le due rocche, che si sarebbero poi dette le Rocchette di Radicofani e avrebbero ricevuto rispettivamente

il nome di Senzano (oggi Rocchette; e cfr. il vicino toponimo Sensano) e di Sassina (i resti presso l’odierna Casa al

Treggia, due Km ad O dell’altro fortilizio). Quest’ultima sembra essere stata la meno importante delle due rocche: certo

i documenti amiatini del secolo XI non ne fanno menzione, dopo il citato privilegio di Corrado II, mentre non mancano

i riferimenti al castello e alla rocca di Senzano. Nel 1072 Beatrice e Matilde di Toscana confermarono all’abate del

Monte Amiata la proprietà della rocca e delle sue pertinenze, contro rivendicazioni del vescovo di Chiusi e dell’abate di

S. Pietro in Campo. In seguito ambedue i luoghi fortificati caddero in abbandono. Nel 1205, infatti, l’abate Rolando

diede ad alcuni uomini di Radicofani il permesso di ricostruire le Rocchette, concedendo loro una metà dei relativi diritti

signorili. La ricostruzione non dovette essere intrapresa, perché nel 1248 vi furono nuovi dello stesso tipo tra l’abate del

Monte Amiata e uomini di Radicofani (tra cui erano discendenti dei precedenti concessionari); si ponevano, e furono

adesso regolate, questioni relative ai confini del territorio delle Rocchette e a diritti di altri proprietari del luogo. Non si

conosce l’esito di questi nuovi accordi. Nel 1369, non avendo intenzione di pagare al castellano di Radicofani gli stipendi

delle dieci guardie della Rocchetta (di Senzano), i monaci dell’Amiata acconsentirono a che il luogo venisse smantellato.

Sulla vetta di un roccione, all’estremità di una cresta collinare, sono i ruderi appena visibili del castello.

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* Le schede sono riprese dal Repertorio, di Paolo Cammarosano e Vincenzo Passeri. Dal Libro I Castelli del Senese

–Strutture fortificate dell’area senese-grossetana – Volume secondo – [pagg.275-401] – Edito a cura del Monte dei

Paschi di Siena – Anno 1976. La numerazione fra parentesi quadra è quella che appare nel testo originale.

L’AMIATA NEL MEDIOEVO – AA.VV. – Edizioni TIBERGRAPH S.r.l. – Città di

Castello (PG) dicembre 1989.

Pag. 17.

La Toscana meridionale nel medioevo – Giovanni Tabacco.

L’espansione del comune di Orvieto su Chiusi e il suo territorio – un territorio nei secoli anteriori

inquadrato sempre formalmente nel regno italico – favorì qualche intervento papale nella zona, in

prosecuzione e convergenza con il controllo che i predecessori di Innocenzo III avevano conseguito

su S. Salvatore dell’Amiata, nonostante il suo carattere di abbazia imperiale, e sul castello di

Radicofani, dipendente dall’abbazia77.

Pag. 50 e seg.

L’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata e le famiglie Comitali della

Tuscia: Prospettive di ricerca – Amleto Spicciani.

I Berardenghi si erano stanziati a est dell’abbazia, gli Aldobrandeschi a sud-est, gli Ardengheschi

a ovest e – più oltre – i Gherardeschi78. In mezzo ai loro territori, da nord a sud, la via Francigena,

nel tratto da Siena a Roma; e lungo questa importantissima strada i maggiori possessi monastici si

San Salvatore dell’Amiata. Lì accanto Radicofani, castello regio, passato poi in mano anche degli

Aldobrandeschi e punto di forza – come vedremo – contro l’abbazia amiatina79.

Fu allora che l’abbazia, posta geograficamente al centro della Tuscia meridionale e in un luogo

strategicamente importante, venne a trovarsi in concorrenza con le altre forze signorili che nella

stessa zona già si erano affermate.

I diritti di potere pubblico che nell’XI secolo l’abate amiatino esercitava, non solo sulle sue terre

ma anche sugli uomini liberi che abitavano nelle circoscrizioni a cui quelle terre estesero la propria

giurisdizione, avevano un lontano retroterra e si fondavano su legittime e antiche concessioni80.

……………………………………..

Il conte Ugo (super omnia mala que suus pater gessit eadem faciens ac deteriora cotidie

superinponere non recusans) aveva usurpato il villaggio di Sala, la corte di Gravilona e aveva

addirittura dato in feudo il castello di Selvena.

Il fratello di Ugo, il conte Ranieri, aveva occupato la corte di S. Fiora con i suoi cento mansi e

la selva di Campusona, e in queste terre, come pure in altri possessi del cenobio, teneva placido e

esercitava il suo governo. Obbligava gli uomini di Piancastagnaio e di S. Casciano (quest’ultima era

77 M. Maccarone, Studi su Innocenzo III, Padova 1972, p. 77 sg. Cfr. D. Waley, Mediaeval Orvieto, Cambridge 1952, n.

53, pp. 6, 19, 27 seg. Per l’abbazia e Radicofani: CDA, II, pp.310-391 (passim); REDON, Uomini e comunità, p. 23. 78 Cfr. la carta delle aree di espansione delle maggiori famiglie toscane allegata a KURZE, Nobiltà toscana e nobiltà

aretina cit. 79 Nel frattempo il cenobio amiatino (1077) si era trovato ad essere come circondato da tutte le parti da centri fortificati

dai conti Aldobrandeschi. I quali obbligavano anche gli uomini del monastero a prestare servizio armato di guardia in

ogni tempo nei loro castelli. 80 Sul lungo processo storico che dal IX all’XI secolo portò alla formazione della signoria territoriale amiatina, mi riservo

di ritornare in un prossimo saggio.

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una corte regia in possesso dell’abbazia) alla custodia e al servizio nel suo castello di Marino, e

aveva a loro imposto una tassa annua di trenta lire. Addirittura aveva occupato il castello di

Radicofani – anch’esso appartenente al re – e di lì ogni giorno procurava danni innumerevoli al

monastero.

In angustiis et laboribus viximus, scrivevano i monaci al re Enrico IV; e lo scongiuravano di

intervenire in loro aiuto prima che l’abbazia avibus adque feris, ab hominibus derelicta, tradatur81

………………………………………………

Il conte Ugo del defunto conte Ranieri (dei Guiglieschi, del ceppo dei conti di Siena) nel 1071

donò all’abbazia amiatina un terreno nella selva di Muliermala82 (Radicofani), che separava un

possesso del detto monastero dalla terra degli Aldobrandeschi (CDA, II, n. 288, p. 224) . ………………………………………………

Gli effetti della riforma gregoriana si fecero sentire nel settembre del 1082 quando tredici

persone – tra loro imparentate – sottoscrissero una cartula refutationis con la quale restituivano

all’abbazia dell’Amiata i beni che i loro avi avevano usurpato nella corte monastica di Agello, lungo

il corso dell’Orcia.

Pag. 65 e seg.

I primordi del comune di Abbadia – Paolo Cammarosano ………………………………………….

E la contestualizzazione si fa ovviamente più ricca se oltre ai testi che contengono riferimenti al

castrum Abbatie si considerano quelli relativi a Monticello, a Radicofani, ai castelli della Val d’Orcia

in relazione con San Salvatore.

Pag. 79 e seg.

Il comune e il monastero di Abbadia San Salvatore nella Repubblica di Siena

(secoli XIV_XV) – Mario Ascheri – Donatella Ciampoli.

………………………………………….

Anche le cronache e la storiografia antica senese registrarono che nel febbraio1347 l’orvietana

Abbadia, contemporaneamente a Chianciano, era passata sotto il controllo senese. ………In realtà,

la soluzione del 1347, tanto desiderata da Siena, che sulla zona poteva esercitare un controllo sempre

minacciato e poco stabile a Radicofani e a Piancastagnaio, era stata preparata da tempo.

Pag. 101 e seg.

Paesaggi sepolti: insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750 – 1250.

Chris Wickham. (Questo è l’articolo che mi ha fatto comprendere come Radicofani

sia diventato uno dei più importanti paesi dell’Amiata!) Nel 1250, il quadro dell’insediamento umano sul Monte Amiata aveva ormai assunto le stesse

forme accentrate che ha mantenuto fino ad oggi83. Per la verità, era più accentrato di quanto lo sia

oggi; la fila di frazioni fra Arcidosso e Piancastagnaio non si sviluppò prima del Settecento: la

maggior parte dei poderi della campagna intorno a Radicofani o Castiglion d’Orcia non era ancora

81 CDA, II, n. 309, pp.261-264. 82 CDA, II, n. 288, pp. 222-223. 83 La regione oggetto di questo studio è limitata al nord del fiume Orcia, e a sud dal Monte Labbro e dai torrenti Sièle e

Rigo; corrisponde approssimativamente (non perfettamente) ai comuni attuali di Castiglione d’Orcia. Abbadia S.

Salvatore, Radicofani e Piancastagnaio (prov. di Siena), Seggiano, Castel del Piano, Arcidosso e Santa Fiora (prov.

Grosseto).

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formata. Per quanto possiamo sapere, nel primo Duecento quasi l’intera popolazione della zona

intorno all’Amiata era concentrata in una quindicina di castelli, tutti rimasti, con più o meno

successo, fino ad oggi. ………………………………………

La popolazione di Rocca di Tintinnano (circa 500 persone nel 1250) era senza dubbio

concentrata quasi totalmente dentro le mura. Constatazioni simili potrebbero essere fatte per

Arcidosso, Montelaterone, Radicofani, o Castel di Badia (la moderna Abbadia S. Salvatore).

……………………………………………………….

Fra il 973 e il primo Duecento, ventitré castelli sono documentati nella zona, e fanno parte di

questo gruppo i quindici centri fortificati del basso medioevo84. Solo un terzo delle fortificazioni,

cioè, non riuscirono a persistere come insediamenti fino al periodo moderno; quasi tutti erano

localizzati nei comuni attuali di Radicofani e Piancastagnaio, per ragioni che vedremo in seguito.

……………………………………………………..

La documentazione relativa alla zona amiatina, quasi tutta proveniente dal fondo diplomatico di

S. Salvatore, conferma questo quadro generale. Molti dei castelli situati sulla montagna o nei dintorni

rappresentano quasi esattamente almeno un aspetto di questi modelli; alcuni esempi desunti da

insediamenti situati nella parte occidentale della zona renderanno meglio l’idea. Ad est dell’Amiata,

comunque, intorno agli attuali Abbadia S. Salvatore, Radicofani e Piancastagnaio, il quadro di

sviluppo è molto più complesso, e perciò più interessante; è questa la parte che analizzerò più a

lungo, perché qui la storia dei castelli e dell’insediamento farà più luce sulla storia sociale della

montagna e dei suoi abitanti.

………………………………………………………..

Queste conclusioni mostrano abbastanza chiaramente come i modelli correnti per

l’incastellamento si applicano alla regione amiatina, ma non ci portano molto avanti; non sono in se

stesse particolarmente originali, poiché lo stesso Kurze ha già messo in chiaro la situazione nella

zona; e finora lasciano parecchi problemi essenziali senza spiegazione. Alcuni di questi problemi

non possono essere spiegati in nessuna parte dell’Amiata; ma per l’oriente della montagna abbiamo

una documentazione più complessa, e possiamo dire alquanto di più. In quest’ultima zona erano

presenti tre castelli nel primo Duecento, Castel di Badia, Piancastagnaio e Radicofani, tutti e tre più

o meno fortemente controllati dal monastero di S. Salvatore; ed ebbero una storia piuttosto diversa

da quelli dell’occidente. Per la verità, non abbiamo motivo di credere che i primi due siano anche

esistiti come castelli molto prima del 1200, e anche Radicofani, benché documentato dal 973, fu

relativamente trascurabile fino a dopo il 1080; ciò nonostante, nel Duecento l’habitat della zona era

accentrato in modo simile a quello dell’ovest, e Castel di Badia fu probabilmente, con 800-900

abitanti circa, l’insediamento più consistente della montagna85. I fattori che portarono a questo fanno

parte di un quadro notevolmente più complesso di quello che riguarda la zona occidentale.

Nell’VIII secolo, il periodo della fondazione di S. Salvatore, possiamo individuare due assetti di

proprietà nelle campagne ad est della montagna. Il primo era un blocco massiccio di terra pubblica,

che copriva tutta la zona fra la cima dell’Amiata e quella della collina di Radicofani, includendo la

maggior parte dell’alta Val di Paglia che separa le due86. Molta di questa era terra non dissodata e

spesso non coltivabile87; ma la fertile Val di Paglia certamente già allora aveva un numero di

84 L’elenco completo è, in ordine cronologico di prime menzioni: Campiglia, Cinille*, Radicofani, Montelaterone, Rocca

di Senzano*, Castiglione d’Orcia, Montenero, Montepinzutolo (Monticello), Rocca di Sassine*, Reggiano*, Potentino,

Castel del Piano, Marino*, Mussona*, Serra de Ruga*, Boceno*, Arcidosso, Santa Fiora, Rocca di Tintinnano (Rocca

d’Orcia), Seggiano, Castel di Badia (Abbadia S. Salvatore), Montegiovi, Piancastagnaio. Quelli con asterischi non

sopravvivono come castelli. Vedi Repertorio, svv. Escludo dall’elenco i Borghi della via Francigena; anche se alcuni

ottennero le mura, sono chiaramente definiti dalle nostre fonti come diversa categoria d’insediamento. 85 REDON, p. 155. Ma non conosciamo la grandezza di Arcidosso in quel periodo; più tardi, sarà uno dei centri maggiori

sulla montagna, con Abbadia S. Salvatore e Radicofani (cfr. sotto, n.124). 86 I confini elencati in CDA 6 (con commento in Kurze, Konigsurkunde) includono la maggior parte di questo blocco. 87 L’Amiata è per lo più foresta sopra il livello di 800 m., anche se la parte inferiore di questa selva è stata sfruttata

sistematicamente dal Duecento in poi per la coltivazione di castagni. Al di sotto, i più dolci pendii alla base della montagna

permettono una prospera agricoltura. Comunque, dall’altra parte della Paglia (e del Formone), sotto Radicofani a nord e

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insediamenti aperti (casalia) dentro il blocco fiscale, Paliano, Causulano, Presoniano, Palia, come

pure tre mulini subito sotto l’Amiata già nella metà dell’VIII secolo88. Gran parte del blocco di terra

pubblica fu trasferita a S. Salvatore durante o prima gli anni ’60 dell’VIII secolo; i margini

meridionali e orientali rimasero però nelle mani dei re e dei loro subordinati, e solo più tardi furono

devoluti al monastero. Subito fuori del blocco di terra, esistevano anche parecchi altri casalia: S.

Filippo, Comeiano, Lardoniano, Forcole, Mussona al nord, Casano, Clemenzano, Offena, Gello

all’est, Spargaria e Boceno al sud, segno dell’esistenza di una maglia già fitta di insediamenti in

tutta la zona, almeno sotto la quota di 600 m89. Questi casalia vicini furono i centri del secondo

assetto di proprietà, privato e su piccola scala, anche se pure il fisco possedette, in maniera più

sparsa, in molte di esse.

È difficile oggi immaginare questa zona senza i due centri dominanti di S. Salvatore stesso e

Radicofani. S. Salvatore, però, esisteva appena in maniera significativa come punto di riferimento

politico prima dell’800; Radicofani fu probabilmente solo una vetta boscosa che, per quanto

impressionante a vedersi, era ancora un vuoto sulla carta. Gli abitanti dell’VIII secolo nel gruppo di

insediamenti ad est di Radicofani, probabilmente in gran parte piccoli e medi proprietari, invece

guardarono a nord-est ed a nord, alla sede diocesana di Chiusi e a Montepulciano; il loro centro

politico fu la Valdichiana, e non le terre più selvagge di Radicofani e dell’Amiata.

Circa l’anno 800 la crescita dell’importanza del monastero di S. Salvatore cominciò a spostare

questo reticolo politico verso ovest. S. Salvatore ricevette parecchi doni importanti dall’altra parte

della collina di Radicofani, in particolare un gruppo di terre a Gello, ed il monastero privato di San

Quirico in Clemenzano, che mostrano il riconoscimento dell’importanza del monastero dell’Amiata

da parte dei proprietari locali, e che permisero a S. Salvatore di estendere la sua egemonia più verso

est. Le prime alienazioni a S. Salvatore spesso vengono infatti dalle stesse zone di quelle interessate

dal reticolato dell’VIII secolo, la Valdichiana in particolare. Comunque, il monastero era situato

anche all’inizio della vallata relativamente ricca del Paglia, e perciò naturalmente guardò verso

Sovana, e fino a Tuscania ed oltre.

……………………………………………..

Il primo accentramento medioevale dell’habitat nella Val di Paglia non ebbe niente a che fare

con i castelli; fu il prodotto dell’aumento continuo dell’importanza dal primo IX secolo in poi dalla

via Francigena, che passava per la vallata90. Il casale di Presoniano era situato sulla Paglia in luogo

ad ovest, i calanchi argillosi di oggigiorno testimoniano la povertà della terra; i calanchi non sono necessariamente

precedenti al dissodamento bassomedievale, ma la terra non sarà mai stata molto produttiva. 88 Casalia e mulini dentro il territorio monastico: CDA 6, 108, 130, 157, 166, 173; cfr. n. 36. La sola sicuramente

localizzabile è Presoniano (sotto, n. 35) che, da CDA 108, è chiaramente individuata come insediamento in parte sparso. 89 Riferimenti prima del 950: S. Filippo, Lardoniano e Spargaria sono documentati e approssimativamente ubicati da

CDA 6 (casale S. Filippo, anche in 58, 105,140, è rappresentato dal moderno Bagni S. Filippo, già un centro termale nel

periodo romano, e dalla chiesa omonima a un chilometro ad ovest). Compiano: 140, vicino a S. Filippo. Forcole, che

sopravvive come podere: CDA 183, 192, 197. Mussona era stata già oggetto di un dono regio dell’VIII secolo a S.

Salvatore (CDA 6); era una corte con campi sparsi sulle povere terre argillose a nord della collina di Radicofani (vedi

altra nota più avanti). Casano (un moderno podere): CDA 70. Clemenzano: 30, 47, 67, 70, 175. Offena: 15, 198 (per

l’ubicazione vedi altra nota), Boceno (un moderno podere): 47, 58, 62, 76, 112, 113. Gello: 2, 7, 9, 13, 33, 66, 74, 101,

103, 110, 114. Anche Gello sopravvive come podere; che la sua identificazione sia giusta (il nome Gello è comune in

Italia), è testimoniato da CDA 7 e 308 (1082 – cfr. anche i riferimenti a S. Pellegrino qui e in 114; in ambedue è associato

con Orcia. Vedi anche altra nota. Fra questi casalia, Clemenzano è quello che presenta maggiori difficoltà

d’identificazione. Nell’810 è citato accanto a Casano (CDA 70) e nel 995 e 1075 Ponano (210, 296-7), che possono essere

identificati sulle carte dell’IGM; nel 1009 (229; cfr. 296-7) è strettamente associato a Corvaia, situata tra Casano e Ponano

nelle mappe catastali del comune di Radicofani. 90 La via Francigena sull’Amiata ha avuto un’ampia bibliografia (cfr., fino al 1975, Repertorio), ma quasi tutta è

topograficamente molto vaga e nel migliore dei casi superficiale. Vale la pena qui citare solo due articoli: J. JUNG, Das

Itinerar des Erzbischofs Sigeric von Canterbury und die Strasse von Rom ǖber Siena nach Lucca, MIÖG XXV (1904), pp.

1-90, la discussione classica, e G. FATINI, Un tratto della via Francisca e la Badia S. Salvatore nell’Amiata, BSSP

XXIX (1922), pp. 341-58, che, benché spesso confuso topograficamente, è il primo in cui si sia tenuto conto della

complessità della situazione insediativa sulla strada. Il resoconto più recente è R. Stopani, La via Francigena in Toscana,

Firenze 1984. La Francigena è citata per la prima volta nell’876 (CDA 157). Non compare in CDA 6, nonostante i

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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strategico, in fondo al crinale che va verso lo spartiacque fra Paglia e Orcia; il fatto che nell’830 ci

fosse una taverna indicherebbe che una strada era già presente. Solo nell’876 la via Francisca è

esplicitamente citata per la prima volta come passante attraverso il casale, che ormai però veniva

chiamato Callemala, la «strada cattiva», nome che presto rimpiazzò quello precedente: veniva cioè

ad essere identificato con la strada. Nel 962 Callemala era detta burgo; una denominazione in questo

periodo esclusivamente associata con la via Francigena. Sembra essersi espanso gradualmente

durante il secolo seguente; nel 1009 case e taverne potevano essere situate o dentro o fuori del burgo,

indicando così la presenza di un confine, forse anche le mura, ma soprattutto che le case ormai si

estendevano fuori questo confine91. All’inizio del XI secolo S. Salvatore qui aveva almeno trentotto,

e probabilmente quarantanove, affittuari, come dice un elenco dei redditi, non datato ma

probabilmente risalente a quel periodo; la popolazione del borgo deve essere stata di almeno 200

abitanti, non pochi per il periodo92. Nel tardo XII secolo declinò in favore di Radicofani, come

vedremo, ma non c’è segno di questo declino prema del 1100.

Callemala è il meglio documentato di questi Burgi, ma ben lungi da essere l’unico. Fra l’Orcia

e Acquapendente fu possibile, già nel primo XI secolo, trovarli ogni pochi chilometri: Le Briccole,

Fermone93, Muliermala sul passo fra la Val d’Orcia/Val di Formone a nord e la Val di Paglia a sud94,

dettagliati elenchi di proprietà sulla montagna, né nei numerosissimi documenti lucchesi dell’VIII secolo. Sarei portato a

concludere che la storia della strada s’inizi nel IX secolo, anche se qualche itinerario già esistente aiuterebbe a spiegare

la fondazione di S. Salvatore stesso. 91 Per l’uso del termine burgus, vedi SETTIA, Castelli e villaggi, pp. 315-25. Presoniano: CDA 108, 166. Callemala come

casale: 157, (876), 166, 181: i confini di 108 e 181 mostrano che i due villaggi sono identici. Callemala come burgo: 201,

210, 230 (1009), 268, 288, 341. Per l’espansione del Burgo, mettere in confronto 181, 201, 230. Callemala fu ubicata fra

il fossato Sicco, la Paglia, e il fossato Petroso. I nomi di questi due torrenti sono ora persi, ma ASS, Diplomatico SSMA,

7 nov. 1283, collega invece il burgo con il fossato Vasci e il fossato Cacarelli, i moderni Vascio e Cacarello (quest’ultimo

già appare come Cacari nel 1032: CDA 268; cfr. anche il testo del 1345 cit. da REPETTI, Supplemento, pp. 7-8). Deduco

che questi furono i nuovi nomi del Sicco e del Petroso; la prossimità dei due torrenti permette una localizzazione

abbastanza esatta per il burgo. Si trova infatti in fondo alla discesa più facile e più ovvia dello spartiacque. Da ricognizioni

fatte sul posto del marzo e maggio 1986, à stata rinvenuta una quantità di ceramica romana e medioevale: i miei

ringraziamenti a Cathie Weir, Andrew Wickham, Lisa Fentress, Anthony Luttrell, Riccardo Francovich per i loro

essenziali aiuti. Per una carta, vedi STOPANI, Francigena, pp. 83-8. 92 L’elenco dei redditi è un testo complesso, molto dettagliato, menziona una quindicina di luoghi (vedi nota più sotto). È

ASS, Diplomatico SSMA, «sec. XI», pergamena ormai ridotta in frammenti; Wilhelm Kurze gentilmente mi ha fornito

una trascrizione e una fotografia. È di una mano difficilmente databile, forse dell’XI secolo ma forse anche più tarda e

manca la data. Dev’essere, comunque, o un elenco dell’XI secolo o la sua copia: la maggior parte degli insediamenti qui

nominati (la stessa Callemala, Voltole, Clemenzano, Paliano, Albinita, S. Cassiano, Boceno, Burgorico), non furono più

abitati in maniera significativa, e spesso neppure documentati, dopo il 1150. Si può proporre una datazione più precisa:

tre degli affittuari elencati sotto la rubrica «Callemala», Adamo, Silvio Furcul(ese) e Maimberto, appaiono in CDA 230

(1009) per lo stesso luogo. Nell’ultimo, Silvio Furculise è menzionato come ex-affittuario di una taverna, e l’elenco

dunque verosimilmente ne è precedente; non può essere comunque precedente al 995 (CDA 221), quando Burgorico fu

donato a S. Salvatore. È da aggiungere che l’elenco menziona anche tre dipendenze in Tintinnano, lo stesso numero che

era contestato al monastero nel 991 (CDA 207), anche se i nomi dei contadini sono diversi. Tutto sommato, lo daterei al

primo decennio dell’XI secolo. C’è da notare comunque che parti del testo (inclusi parecchi nomi per Callemala) sono

scritte da altre mani e sono quasi certamente aggiunte successive. Le mie cifre per Callemala (come pure per altri centri)

nel testo sono piuttosto rozze, ma ho provato ad escludere tutti i nomi scritti in altre mani che non quella principale; ho

incluso invece un gruppo di undici dipendenti elencati separatamente e precedenti dalla rubrica de Call (Callemala?) in

m(en)se madio: il gruppo maggiore pagò presumibilmente in altro mese. 93 Le Briccole:CDA 240 (1014), 258, 316, 356. ASS, Diplomatico. S, Mustiola, «sec, XII» (LISINI, p. 106), con la

citazione dal 991 nell’itinerario dell’arcivescovo Sigerico di Canterbury (Cfr. JUNG, Itinerar p. 46 e seg.) Fermone: CDA

282 (1064), vicino al Formone e al fossatu Cannita (l’attuale Canneta) – il tracciato postmedievale della strada,

verosimilmente qui originale, lo collocherebbe a sud di quest’ultimo. È forse anche lo stesso del burgu Ciolo del 1804

(CDA 311), che si trovava nella vicinissima pieve di S. Filippo, ed ebbe una chiesa dedicata allo stesso santo di quello di

Fermone, Lorenzo. 94 Muliermala: CDA 289-90 (1071), 327-8; NIKULÁS BERGSSON, Leidarvísir, a cura di K. Kålund, Alfædi Íslenzk I

(1908), pp. 1-31, a p. 23 – un riferimento al luogo in un itinerario islandese del 1150 circa che menziona un ‘castello’ su

una cima chiamato in islandese ill Kona (cattiva donna) Muliermala è spesso stata identificata con Callemala, ma senza

buone ragioni – cattive e cattiva strade hanno ben poco in comune, CDA 289-90 l’associa con il fossatu de Selvella, forse

collegato con l’attuale Selvella sullo spartiacque; la Serra di Muliermala sopra il Fermone in CDA 248, come pure la

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Callemala, Voltole (che penso debba essere lo stesso che il misterioso, S. Petir in Pail di un itinerario

anglosassone del 991)95, Burgorico (senz’altro così chiamato a causa del vicino torrente Rigo, ma

probabilmente presto confuso semanticamente con la parola significativa «ricco», perché fu più

tardi anche chiamato Richoburgo), Centena, Arisa o Acquapendente96. Insieme, questi borghi

offrono una testimonianza impressionante della quantità di gente sulla strada, e l’effetto massiccio

che ciò deve aver avuto sull’indirizzo dell’economia locale, dato che le loro taverne erano

presumibilmente fornite con risorse locali. Si formarono su diversi tipi di proprietà. Callemala

appartenne a S. Salvatore, Voltole ai conti di Siena, Burgorico e parte di Acquapendente al marchese

Ugo; nobili minori invece tennero delle proprietà nei burgi al nord della Paglia, ove la proprietà era

più frazionata.

Pag. 119 e seg.

……………………………………Precisamente quale effetto ebbe la strada sull’economia

locale e le sue direzioni è molto difficile da stabilire; non è fino a dopo il 1200 che le nostre

testimonianze potrebbero permetterci di costruire una immagine accurata dell’esatto indirizzo

economico delle diverse parti della Val di Paglia. È possibile che già nell’XI secolo il facile mercato

della Francigena abbia portato un certo livello di specializzazione economica, ma possiamo solo

immaginare il suo possibile funzionamento. Certo portò a un qualche dissodamento, anche se i

boschi della valle e dei bassi pendii delle colline su ambedue i lati non sparirono del tutto: per la

verità, perfino nel 1255 gli statuti di Radicofani mostrano un interesse per una economia di selva

che è più tardi quasi totalmente scomparsa dalla zona.

Pag. 122 e seg.

Oltre la Paglia, la corte monastica di Clemenzano esisteva ancora, e Radicofani ormai comincia

ad apparire sporadicamente come centro insediativo nei decenni precedenti la sua ascesa negli anni

’80 dell’XI secolo97. Ma gran parte degli abitanti della Val di Paglia dell’XI secolo abitavano lungo

il fiume e, di questi, la maggioranza abitava certamente dentro i burgi della Francigena98.

………………………………I primi castelli si associarono con gli Aldobrandeschi: Radicofani, e,

al nord della montagna, Campiglia e Cininule (probabilmente l’attuale podere Cinille). Sono elencati

in un documento del 973, che ci fornisce un elenco forse completo dei castelli aldobrandeschi nella

citazione islandese enfatizza il legame con il passo anziché il fondovalle. L’ho localizzato nel sito dell’attuale Le Conie,

un centro stradale naturale sullo stesso spartiacque, accanto a Selvella. 95 Voltole: CDA 214 (1000), 221, 227, 307, ASS Diplomatico SSMA, «sec. XI». Esiste tuttora come podere. Con ogni

probabilità fu il più grande dei burgi, con ottantadue dipendenti elencati in due gruppi nell’elenco dei redditi: forse ebbe

fino a 400 abitanti. Fu il dolo fra i burgi ad avere una chiesa dedicata a S. Pietro (sulla Paglia, quella di Callemala fu

dedicata a S. Cristina: CDA 201, 210; quella di Burgorico a S. Maria: CDA 324). Fu pure, come sarebbe stato di S. Petir

in Pail (cioè Paglia) del 991, più o meno a metà strada fra Le Briccole e Acquapendente. Per tutte queste ragioni,

identificherei Voltole con S. Petir in Pail. 96 Burgorico: CDA 211 (995: Burgo illo qui dicitur Rota Cardusa), 221, 227 (Rotam Cardosam quae nunc Burgoricho

nuncupatur), 295, 324 (Richoburgo), ASS, Diplomatico SSMA, «sec. XI». È rappresentato dall’attuale pod. Burgorico.

Centeno non è documentato prima del 1202 (ASS, Diplomatico SSMA, 15 maggio 1202), ma fu fuori della sfera

d’influenza immediata (e perciò della documentazione) di S. Salvatore; è facile che anch’essa sia sorta abbastanza presto.

Arisa/Acquapendente: CDA 138 (856, bico), 185 (909, il primo burgo), 202; Arisa e Acquapendente furono lo stesso

centro, come mostrano fra l’altro i riferimenti a Quintaluna in CDA 185 (Arisa) e CDO 8 (Acquapendente). 97 Clemenzano, la sua chiesa di San Lorenzo, e le sue proprietà dipendenti a Ponano e Corvaia: CDA 210, 221, 229, 230,

296-7, 307. Negli ultimi tre testi comincia a perdere identità come casale, e può essere ora chiamato corte de S. Laurenzio.

Radicofani come centro demico prima di 1080: 292, 295 (1072-5). Ma S. Salvatore non possedette tutte le terre all’est

del Paglia, e avrebbero potuto esistere altri insediamenti piccoli e sparsi. 98 A nord dello spartiacque Paglia-Formone, la nostra documentazione è più frammentaria. CDA 240 (1014), comunque,

mostra parecchie case e un’articolazione interna per il burgo di Le Briccole, e 282 (1062) indica che forse trentasei

famiglie abitarono in quello di Fermone; ambedue perciò sarebbero stati centri con una popolazione paragonabile a quella

dei burgi sul Paglia.

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Toscana meridionale di quel tempo – se è così, questi tre furono i soli castelli nelle mani della

famiglia nelle vicinanze dell’Amiata. Radicofani fu quasi certamente un dono fiscale alla famiglia,

ma a nord nelle sue immediate vicinanze si trovano anche quasi tutte le altre terre associate ad esso

nella zona amiatina prima del tardo XI secolo: queste ultime almeno in parte erano forse state

ottenute da privati. Radicofani non fu, come ho detto, particolarmente importante prima del 1080

circa; gli Aldobrandeschi forse semplicemente costruirono una torre di guardia sulla cima della

collina, luogo ovvio come doveva essere anche allora per una fortificazione, senza necessariamente

dissodarne i dintorni99. Ma fu una probabile risposta alla sua esistenza l’apparire di altri tre castelli

nei testi fra il 1007 e il 1028: Rocca di Senzano e Rocca di Sassine come nuovi punti di riferimento

per la curtis di S. Salvatore ad Offena, sui pendii settentrionali nella collina immediatamente ad est

di Radicofani, e Reggiano, un castello di proprietà di una famiglia dell’aristocrazia minore, sul lungo

crinale argilloso che corre verso il nord, fino all’Orcia100. Questi, anche se non Radicofani stesso,

sembrano mostrare lo stesso tipo di cristallizzazione fondiaria che abbiamo visto sul lato occidentale

della montagna, di nuovo basato su una rete anteriore di corti frammentate (benché Offena sembri,

in maniera insolita, aver dato origine a due castelli anziché uno). Questa cristallizzazione fu,

comunque, incompleta. S. Salvatore non incastellò le altre vicine curtes, Clemenzano dall’altra parte

dello spartiacque sopra la Paglia, o Mussona vicinissima a Reggiano (le sue terre erano mescolate

con quelle dei signori di Reggiano).

Anche più significativamente, il monastero non si sforzò minimamente di fortificare gli

insediamenti nel nucleo centrale della sua proprietà, fra Paglia e l’Amiata stessa. Al contrario,

Piancastagnaio. Come abbiamo visto un villaggio accentrato al momento della sua prima citazione

nel 1002, in una zona completamente nella mani monastero e caratterizzata dal recente

dissodamento, in gradienti classici per l’incastellamento stile Lazio, rimase un insediamento aperto

per due secoli ancora; dei nostri quindici paesi attuali, è l’ultimo menzionato come castello. Le

pressioni politiche che avrebbero prodotto la maglia fitta di castelli ad ovest dell’Amiata erano fino

all’anno 1080 meno sentite in questa zona. Fino a quel momento, l’equilibrio di proprietari – S.

Salvatore, gli Aldobrandeschi, i conti di Siena, i nobili minori di Reggiano e Casale S. Filippo – fu

rappresentato da un equilibrio di centri curtensi e, naturalmente, borghi, più spesso che da castelli101.

Circa l’anno 1080 l’atmosfera cambiò bruscamente, grazie agli Aldobrandeschi. Prima di quella

data, la famiglia fu attiva a nord di Radicofani; furono forse i livellari di S. Salvatore per una parte

della curtis monastica di Offena, e, ad ovest, avevano probabilmente sottratto Montenero al controllo

dei monaci. Ci sono addirittura delle indicazioni di una sorta di patrocinio informale sullo stesso

monastero; nondimeno, la famiglia non è spesso presente nei documenti altrove nella zona, tranne

per un momento di tensione fra essa e S. Salvatore nel 1046, al quale seguì una conferma di terre

99 CDA 203 (973) per i castelli. Cininule è identificata con Cinille in Repertorio 13.5 (cfr. anche CDA 180). I soli castelli

toscani fuori della Maremma in questo testo sono Monticchiello a nord dell’Orcia, e il non identificato Cerasolo nella

diocesi di Chiusi. Radicofani, diversamente dalla maggior parte degli altri luoghi elencati, è solo castello, non corte cum

castello; è forse solo un lapsus, ma potrebbe anche confermare che Radicofani non era ancora un centro economico o

demografico (vedi altre note). 100 Reggiano: CDA 265-6 (1028); cfr. 288,315, e sotto ad altra nota. Si trovava subito sopra il moderno podere omonimo.

Offena, Rocca di Senzano, Rocca di Sassine: 198, 200, 212, 215, 221, 227 (1007, primo rif. a Rocca di Senzano), 234,

263 (1027, primo rif. datato a Rocca di Sassine), 280, 291, 301, 308, 361. Per le ubicazioni delle due Rocche, vedi

Repertorio, 44.9. (S. Salvatore fu dominante nella zona, ma anche i conti di Siena vi rivendicarono dei possessi; CDA

280, cfr. 291). I testi topografici più importanti per la zona delle Rocchette (come furono chiamate dopo il 1200) sono i

loro confini elencati in ASS, Diplomatico SSMA, 13 ott. 1248 e 20 ott. 1248, che localizzano la terram Offenosam, tutta

quella che rimaneva ormai nella curtis di Offena, immediatamente a sud dell’attuale Pian dei Mori (Planum de Moris). 101 Clemenzano: vedi n. 95, Mussona: CDA 6, 212, 263, 277, 281, 319, 361 (vedi note più avanti). Fu anche una località

in cui avevano possessi i signori di Reggiano: 293, 315. CDA 310 mostra che Mussona era vicina a Reggiano; essa, e il

suo manso sussidiario di Guarguillie (281), furono pure vicini a Bitena, l’attuale pod. Vitena, come dimostra 283;

suggerirei che fossero in fondo a dei pendii argillosi ad est del crinale di Reggiano, siccome Mussona fu già centro

nell’VIII secolo, quando probabilmente la collina non era ancora dissodata. Ci sono testimonianze esplicite di case sparse

nella zona a nord di Radicofani per tutto l’XI secolo, anche intorno ai castelli: 281 (Mussona), 283 (Vitena), 301 (Rocca

di Senzano).

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monastiche da parte del conte Ildebrando V. Questa in effetti fu concessione impostagli da Enrico

III; essa elenca quasi tutti i possessi di S. Salvatore intorno alla montagna, anche se la lunghezza

stessa dell’elenco fa pensare che sia una conferma generale di diritti monastici più che non un

catalogo di proprietà minacciate. L’interesse della famiglia aldobrandesca per la montagna e il

monastero, comunque, per quanto sgradito, cresceva. Nel 1077 il conte Ranieri, figlio di Ildebrando,

temendo la morte imminente, cedette a S. Salvatore le malas consuetudines et usitationes (cioè diritti

signorili) su proprietà monastica, poco prima concesse da suo padre102. Quando, non molto più tardi,

l’ostilità fra Ranieri di nuovo risanato ed il monastero condusse alla guerra aperta, Ranieri e il fratello

Ugo erano già piazzati in parecchi insediamenti a sud e ad ovest dell’Amiata: S. Fiora, Marino,

Castel del Piano, Selvena, ottenuti non sappiamo come o quando, ma probabilmente accaparrati da

proprietari molto diversi – il fisco, privati, S. Salvatore, e via dicendo. Il documento che rivela

questo, una lettera inviata dai monaci di S. Salvatore a Enrico IV, databile non oltre il 1084, è

giustamente famoso; fa parte della categoria chiamata da Vito Fumagalli «polittici delle malefatte»,

ed elenca i soprusi degli Aldobrandeschi in notevole dettaglio103.

La lettera ad Enrico IV ha contribuito, forse più che nessun altro documento toscano,

all’immagine dell’incastellamento prodotto dalla insicurezza attribuibile ai soprusi dei signori laici

scatenati. Un’analisi attenta del documento e del suo contesto porta però a conclusioni diverse. In

primo luogo, gli attacchi e i soprusi degli Aldobrandeschi qui descritti non furono tutti a casaccio.

Gran parte del testo elenca le obbligazioni specifiche imposte agli abitanti di particolari villaggi: su

Gravilona da Castel del Piano, o su Piancastagnaio e S. Cassiano dal castello di Marino. Certamente

i conti avevano anche occupato della terra monastica, a Selvena ed a Santa Fiora (se quest’ultima

fosse mai stata proprietà amiatina, il che si può dubitare); più tardi, tennero addirittura Albinita,

vicinissima al monastero stesso, anche se la restituirono nel 1108. Ma i principali lamenti dei monaci

si incentrarono sulle esazioni signorili; i loro contadini soprattutto furono obbligati a fortificare e

difendere i castelli degli Aldobrandeschi, e a partecipare ai loro placita. Gli Aldobrandeschi erano

probabilmente conti di Roselle e forse ormai anche di Sovana; conobbero il rapporto fra il controllo

della giustizia e la costruzione del potere politico. Questi placita furono certamente del tutto privati;

ma sarà indubbiamente a causa di questa esperienza pubblica che furono gli Aldobrandeschi a

cominciare una politica signorile nella Toscana meridionale cinquant’anni prima dei loro

contemporanei; cominciarono, cioè, a separare l’accrescimento del potere privato dal semplice

possesso di terra e dei diritti ad essa connessi. Questa nuova politica signorile, certo, si esprimeva

ormai tramite i castelli controllati dalla famiglia. Fu in questa ottica che i monaci capirono la

minaccia insita nelle munitiones che videro costruirsi tutti intorno al monastero, e la moltitudine di

milites a Radicofani che furono il loro flagello più grande, e non avevano torto. Anche gli

Aldobrandeschi, però, avevano posseduto castelli molto prima del loro primo documentato esercizio

di poteri signorili; l’incastellamento dell’inizio dell’XI secolo ebbe poco o nulla a che fare con la

localizzazione di tali diritti. Solo dopo il 1080 per gli Aldobrandeschi, ed il 1130 per il resto

dell’aristocrazia, i castelli per la loro natura portarono a una connotazione signorile, e ne ricevettero

importanza in conseguenza di ciò.

Bisogna riconoscere che non tutti i soprusi aldobrandeschi elencati nella lettera a Enrico IV

ebbero scopi specifici e limitati come quelli sopra citati: Se i conti allettavano i dipendenti monastici

e li trasformavano in ladroni (leggi: masnadieri comitali), o se minacciavano di morte ogni monaco

sorpreso in giro, allora significava che avevano il monastero molto fermamente nel mirino. I monaci

dissero, senz’altro con ragione, di essere indifesi di fronte a questi attacchi. Ma tutto questo non

dimostra che gli Aldobrandeschi cercassero semplicemente di distruggere, o rimpiazzare, il potere

102 Per gli Aldobrandeschi in genere, vedi CDA 215 e 255, dai decenni dell’XI secolo, mostrano i conti già “protettori”

di S. Salvatore, e forse, in 215, come suoi avvocati/livellatori per Offena; fu questo il periodo in cui donarono S. Cassiano

al monastero. 103 CDA 309. Per il termine ‘polittico delle malefatte ‘, vedi V. FUMAGALLI, Le origini di una grande dinastia feudale.

Adalberto - Atto di Canossa, Tübingen 1971, p. 65.

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locale prima posseduto da S. Salvatore. Per capire cosa significò, comunque, dobbiamo andare più

avanti nel tempo.

Questo testo è l’ultimo che testimoni l’ostilità comitale nei confronti del monastero. Bel 1084 e

1087, due documenti eccezionali registrano che il conte Ranieri concedette formalmente a S.

Salvatore – dietro riscatti molto consistenti, è vero – il diritto di costruire castellini punti strategici

delle sue proprietà, a Mussona e a Serra de Ruga, situati ai margini settentrionali e meridionali del

territorio centrale dei monaci, entrambi sovrastanti la Francigena. Questo si potrebbe interpretare

come una cessione quasi sprezzante di poteri da parte di un conte che non aveva nulla da temere da

tale opposizione, e probabilmente lo era. Ma come difesa contro gli stessi Aldobrandeschi questi

castelli sarebbero stati inutili – non era lungo la Francigena che essi sarebbero arrivati. Nel 1108 il

favore comitale divenne alquanto più positivo, poiché la famiglia cedette metà dei suoi castelli di

Marino e Boceno al monastero, così come tutta la villa di Albinita e metà dei diritti signorili sopra

Piancastagnaio e S. Cassiano. Quanto cambiò con questa cessione non è chiaro – gli Aldobrandeschi

certamente mantennero dei diritti in Piancastagnaio, Marino e Boceno; ma Boceno cessò di esistere

come castello, e verosimilmente fu fatto demolire dagli stessi monaci104.

Più importante di tutto, però, è il fatto che d’ora in avanti gli Aldobrandeschi non sono più

documentati nei loro antichi centri amiatini, Radicofani e Campiglia. Quest’ultima finì sotto il

controllo di una famiglia locale di visconti. Radicofani, comunque, pervenne in gran parte (cinque

sesti, come pare), al più tardi nel 1145, a S. Salvatore stesso105. Questa ritirata da Radicofani è

l’aspetto più importante di questi cambiamenti, soprattutto a causa dell’importanza strategica del

castello che controllava la Francigena. Nell’XI secolo, tale controllo fu cercato dagli

Aldobrandeschi. Nel XIII secolo, invece, quando abbiamo elenchi dettagliati delle località del

comitatus degli Aldobrandeschi, la Francigena è divenuta il loro confine, non una risorsa che

pretendono di controllare, e le sole terre escluse dal contado a occidente della strada sono i territori

centrali di S. Salvatore stesso, in effetti protetti più che minacciati dallo ‘ stato ’ Aldobrandesco. Il

risultato finale dei turbolenti rapporti del tardo XI secolo fra S. Salvatore e gli Aldobrandeschi, cioè,

non fu solo la perdita monastica di alcuni suoi territori ad ovest e a sud dell’Amiata, e la cessione di

diritti signorili su altri, ma anche una notevole crescita di controllo monastico nella Val di Paglia

stessa, soprattutto a Radicofani, che con ogni probabilità lo compensò ampiamente per le sue perdite.

A mio parere, queste ritirate apparentemente paradossali da parte degli Aldobrandeschi portano

ad una chiara conclusione. Quello che vollero i conti negli anni ’80 dell’XI secolo non fu

l’occupazione di alcune proprietà monastiche, ma invece il possesso, o rimpossesso, del padronato,

del controllo, sul monastero stesso. C’è un sotto testo nella lettera a Enrico IV che conforterebbe tale

conclusione: l’insistente riferimento da parte dei monaci alla loro suggestione al re. I monaci si

rivolsero ad Enrico non tanto per chiedere la sua protezione per le loro terre, quanto per invitarlo a

difendere il suo stesso potere di padrone; fu questo che egli mancò di fare106. Gli Aldobrandeschi,

invece, riuscirono precisamente e velocemente nel loro intento: e, dopo il successo, poterono

assorbire S. Salvatore nel loro sistema di potere, e addirittura rinforzarlo come baluardo sul confine

104 CDA 310, 316 per i castelli (i confini di Serra de Ruga mostrano che si trovava sulla bassa collina di Poggio Cepponero;

per Mussona, vedi n. 89, anche se il castello sarebbe stato certamente sul crinale di Reggiano, non nella valle). Per le

cessioni del 1108: CDA328-30. Piancastagnaio rimase nella sfera d’influenza aldobrandesco: Reg. Sen. 155, 180, 439

/1114-1208), CDO 106-7 (1216), come pure Boceno e il castello di Marino: CIACCI, II, n. 580 (1274). Boceno in

quest’ultimo non è definito castello; ed è castellare, castello distrutto, in CDA 361 («1194»; nella realtà un falso

duecentesco, ma presumibilmente topograficamente accurato per il periodo di stesura). 105 Per la proprietà di S. Salvatore a Radicofani, vedi CDA 337-8 (1144-5) e molti testi duecenteschi in ASS, Diplomatico

SSMA. La sesta parte di Radicofani che non possedette fu ceduta dal conte Manente I di Chiusi al vescovo di Siena, in

un atto ben conosciuto dell’anno 1139 (Reg. Sen. 182, ed. per intero in Caleffo vecchio 34; cfr. anche CDA 338). Spesso

si afferma che i conti di Chiusi lo avrebbero tenuto a lungo; se, però, l’ebbero durante i 150 anni del controllo

aldobrandesco, certamente non lasciarono niente a dimostrare la loro presenza. 106 Per S. Salvatore soggetto a Enrico IV, il commento a CDA 309. Dopo questa data, è documentata qualche sorta di

patrocinio papale, e più tardi, sotto Enrico VI e Ottone IV, un ritorno forse più efficace a quello imperiale; questo non

esclude comunque un controllo aldobrandesco nel primo XII secolo – o anche più tardi, in pratica.

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orientale. Ne consegue che gli stessi Aldobrandeschi intenzionalmente donarono Radicofani, e di

conseguenza il controllo della Francigena, a S. Salvatore. Che tale responsabilità abbia recato quasi

tante difficoltà quanti vantaggi al monastero non era problema degli Aldobrandeschi; i conti, non

senza esperienza politica, verosimilmente lo avevano previsto.

La lettera degli anni ’80, allora, non ci mette al corrente dell’inizio di una situazione confusa di

continua minaccia militare per le terre di S. Salvatore, o chiunque altro, che spiegherebbe la vittoria

eventuale del sistema dei castelli: ci dice invece di un quadro specifica e temporaneo di ostilità,

concluse al più tardi nel 1108 ma probabilmente molto prima. Significativamente, i castelli di

Mussona e Serra de Ruga sembrano non essere mai stati costruiti, e prima del Duecento anche

Boceno era scomparso107. Se vogliamo capire come mai l’habitat ad est dell’Amiata si sia

concentrato in tre insediamenti nel Duecento, dovremo esaminare il problema da altri punti di vista,

e tre di questi non sono solo rilevanti ma anche parzialmente documentati: la crescita della piccola

aristocrazia della zona; la crescita dei diritti signorili; e la storia della strada.

Chi abitò nelle terre ad est della montagna e nei nuovi castelli nell’XI secolo? Se guardiamo la

nostra documentazione c’è un’assenza che colpisce, particolarmente se è messa a confronto con le

testimonianze dell’VIII secolo: quella dei coltivatori proprietari delle loro terre. C’è solo una piccola

manciata di riferimenti che forse potrebbero aver a che fare con essi108. O si mantennero totalmente

fuori dal retaggio politico di S. Salvatore, o, più probabilmente, avevano cessato di esistere; i soli

proprietari laici documentati sono chiaramente i possessori di corti e case dipendenti, e sono per lo

più aristocratici, grandi e piccoli. Nella prima metà dell’XI secolo, ci furono almeno quattro famiglie

di una certa importanza che sembrano essere incentrate sulle terre ad oriente della montagna, a S.

Filippo, Reggiano, Callemala, e Rocca di Senzano. Erano tutti benestanti, con contadini dipendenti;

furono, nei casi di Reggiano e Callemala, testimoni frequenti nei documenti monastici; negli anni

’70 cominciarono a essere chiamati lambardi, termine classico in Toscana per il livello più basso

dell’aristocrazia. È importante riconoscere che non furono del tutto omogenei: quelli di Callemala e

Rocca di Senzano furono in gran parte livellari di terra monastica, mentre gli altri due proprietari di

terra allodiale; quelli di Reggiano e Rocca di Senzano abitarono nei castelli, al contrario degli altri.

D’altro canto, i lambardi di Reggiano e di Callemala furono sufficientemente vicini da sposarsi fra

di loro. E le famiglie si comportarono in modi che si potrebbero chiamare ‘ aristocratici ’; i livellari

monastici di Rocca di Senzano si appropriarono anche a Gello di altra terra monastica, quas diabolus

per longum tempus per fraudem et per malum ingenium nobis retinere fecit, come constatarono nel

1082 quando la restituirono109.

Le origini di queste famiglie sono in ogni caso interamente oscure; anche la più conosciuta, i filii

Otichieri di Callemala, sembrano comparire dal nulla quando nel 903 sono citati per la prima volta

come livellari del monastero per un terzo dello stesso luogo. Il massimo che si può dire è che il lento

processo di cristallizzazione che creò, ovunque nell’Italia centro-settentrionale del periodo,

un’aristocrazia minore di milites o lambardi, definita tramite le attitudini militari, interessò

soprattutto in questa zona queste quattro famiglie: anche se non sappiamo cosa fossero all’inizio

107 Deduco la non costruzione di Mussona e Serra de Ruga (CDA 310, 316) dalla loro assenza in qualsiasi testo successivo.

È vero che una nota dorsale del XII secolo a 310 fa riferimento a un castello di Mussona, ma questo sarebbe una

descrizione del tenore del documento più che una prova della costruzione del castello. 108 Dei piccoli proprietari sono presumibilmente attestati come testimoni o come possessori confinanti in CDA 201

(Callemala), 215 (Offena), 283 (Vitena), 301 (Rocca di Senzano), 356 (S. Filippo), ma in ogni caso la sola ragione per

suggerirlo è che sono altrimenti sconosciuti; tutti gli altri proprietari sui quali esiste una documentazione hanno una o più

dipendenti. Il solo riferimento apparentemente palese a un piccolo proprietario in tutta la vasta zona dell’Amiata fra il

950 e il 1200 è Reg. Sen. 187 (1142) per Tramaza il giocoliere (pallarius ioculator) di S. Fiora. Questa assenza non è solo

in contrasto con la documentazione dell’VIII secolo, ma anche differenzia l’Amiata in maniera chiarissima da quasi tutta

la Toscana settentrionale nello stesso periodo. 109 S. Filippo: CDA 258, 282, 310, 311 (chiamati lambardi), 316. Reggiano: 265-6, 281, 283, 315 (e testimoni a 297, 299,

307, 310-12, 319). Callemala: 181, 201, 210, 229, 268, 288 (lombardi), 289-90, 297, 307 (per Clarizia di Iogo, moglie di

Stefano di Rolando da Callemala e sorella di Bonzo e Teuzo da Reggiano); la famiglia testimonia in 299, 311-13, e forse

253, 255, 296, 301, 308, 316-17. Vedi inoltre n. 76. Rocca di Senzano: 301, 308 (il testo per Gello).

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dell’XI secolo, alla fine erano divenuti nobili110. E sebbene l’incastellamento della zona sia stato

troppo lento per consentire di associarli inequivocabilmente con i castelli, possiamo almeno dire

che, dove ci furono castelli, è gente come questa che si può presumere vi abitasse. Per la verità, nel

caso di Reggiano, i suoi signori forse rivendicarono lo status aristocratico proprio tramite la

costruzione del castello, e anche assai presto, prima del 1028. Ma l’associazione fra attività

militare/aristocratica e castelli doveva essere stata enormemente stimolata dalle ostilità nei confronti

dei monaci da parte degli Aldobrandeschi dopo il 1080. I conti fondarono castelli precisamente per

proseguire queste attività. E, se Radicofani era stato prima un centro relativamente minore – benché

in continuo sviluppo, come dimostra dopo il 1070 la presenza di livellari monastici il cui livello

sociale quasi certamente era simile a quello dei lambardi – dopo il 1080 era divenuto grande: come

abbiamo visto, vi risedettero, almeno temporaneamente, una moltitudine di milites111.

Non si può dimostrarlo, ma a me sembra molto probabile che di questi milites facessero parte

molti dei lambardi della zona. È significativo che questi ultimi fossero i testimoni principali nel

1084-1087 nei documenti per l’incastellamento di Mussona e Serra de Ruga. Sarebbe forse possibile

che vi fossero presenti in qualità di clienti monastici anziché comitali; ma i testi sembrano provenire

dall’ambiente dei conti più che non da quello di S. Salvatore112. Gli Aldobrandeschi, in questo

momento che segna la loro maggiore affermazione locale, poterono offrire più opportunità e un

patrocinio più congeniale (più militare, cioè) di quello del monastero; i lambardi entrarono a far

parte della clientela dei conti. E quando dopo il 1100 i conti si ritirarono, lasciarono il loro monastero

(come si potrebbe ormai definire) in un ambiente molto più esplicitamente militare e anche signorile

di quello precedente.

Dopo il 1130, i nostri documenti diventano molto meno numerosi; in particolare, l’archivio di

S. Salvatore quasi cessa per sette decenni. Ma quelli rimasti, provenienti sia dal monastero, sia, in

maniera crescente, da altri luoghi, concordano nel rilevare l’importanza sempre più grande dei diritti

signorili. Prima del 1130, come ho detto, solo gli Aldobrandeschi agirono in questa arena. Dopo,

tutta la politica della proprietà ha un aspetto esplicitamente signorile, e gli stessi diritti signorili

cominciano ad avere un ruolo indipendente113. Questa data, anche se tarda nei confronti del nord

Italia, quadra bene con altre zone toscane; ma l’importanza di tali diritti fu qui molto più grande che

non intorno a Lucca o ad Arezzo, per esempio. Ed essi furono associati esplicitamente con i castelli;

le prestazioni signorili erano dovute ai castelli, e, con la crescita dell’importanza delle prestazioni,

crebbe pure il legame fra abitanti locali e castelli; fu ormai su questi ultimi più che sulle curtes aperte

(quando continuarono ad esistere) che si basò il potere coercitivo dei proprietari. Ho già suggerito

questo rapporto per le terre ad occidente dell’Amiata. Ad oriente, comunque, abbiamo documentate

le attività non solo dei grandi signori e dei contadini dipendenti ma anche delle élites locali, sul

gradino più basso dello strato aristocratico; cosa essi fecero in questo ambiente ebbe forse l’impatto

più grande sulla storia dell’habitat.

All’inizio del XII secolo, la situazione politica locale era alquanto più semplice rispetto al secolo

precedente. Anziché un equilibrio di forze politiche, troviamo una situazione in cui il proprietario

nettamente dominante ad est dell’Amiata era lo stesso S. Salvatore. Non solo possedeva ancora il

vecchio centro territoriale fra Amiata e Paglia, con i borghi sulla Francigena, ormai la strada

principale dell’Italia peninsulare, ma aveva ottenuto, probabilmente con l’avallo degli

110 Per la Toscana, G. VOLPE, Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città, «Studi storici» XIII (53-81, 167-82,

241-315, 369-416); WICKHAM, The mountains and the city. 111 CDA 309; per abitanti dopo il 1070: 292, 295, 316-7, 327; inclusero dei testimoni importanti nella metà del XII secolo:

341, 347-8. 112 Uomini da Reggiano e da S. Filippo testimoniarono per Mussona (CDA 310); da S. Filippo, Radicofani e Callemala

per Serra de Ruga (316). Vedi anche nota n. 121. 113 Prima del 1130 circa, i diritti signorili sono attestati in CDA 303, 309, 329-30 (1077-1108), Reg. Sen. 139 (1097 o

dopo), tutti per gli Aldobrandeschi. Dopo il 1130, dei buoni esempi per l’importanza di tali diritti sono CDA 341 (1153,

Radicofani), 356 (1191 S. Filippo, forse non collegati ad un castello), 363 (1194, Montepinzutolo); ASS, Diplomatico

SSMA, 20 sett. 1205, 20 ott. 1248 per Rocca (ormai Rocchetta) di Senzano.

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Aldobrandeschi, anche la maggior parte del castello di Radicofani, che dominava la strada e la zona

circostante. Radicofani divenne presto troppo importante per rimanere sotto il controllo dei monaci;

nel 1145 il primo di una lunga serie di eserciti senesi entrò nei territori monastici; e il controllo

politico sopra il castello fu conteso d’allora in poi fra Siena, gli imperatori e i papi. Nel 1153, infatti,

questi ultimi presero la metà del castello in livello da S. Salvatore: la loro autorità fu riconosciuta e

confermata tramite il possesso. Ma nonostante il riconoscimento politico da parte dei monaci della

dominazione altrui, almeno l’altra metà del castello e delle sue dipendenze rimase in possesso di S.

Salvatore, e questo non era un diritto vuoto, come dimostrano centinaia di testi duecenteschi. S.

Salvatore non mantenne l’egemonia regionale, ma in termini di politica locale il monastero tenne

fermamente le redini clientelari; e il centro del suo potere locale divenne sempre più chiaramente lo

stesso castello di Radicofani, con i suoi bandis, placitis, districtis et honore, come lo definirono i

monaci quando allivellarono la metà ai papi114.

È in questo contesto che dovremo capire i cambiamenti nel quadro dell’habitat. Alla fine dell’XI

secolo c’era nella zona amiatina orientale, come abbiamo visto, una struttura insediativa

estremamente varia; da un lato uno sparuto gruppo di castelli, di importanza crescente, dall’altro la

sopravvivenza di molti insediamenti aperti. L’habitat in questi ultimi fu in parte già accentrato, come

a Piancastagnaio, ma fu per lo più ancora sparso, come sui pendii a nord e a nord-est di Radicofani,

sopra l’Orcia. Poi, naturalmente, «last but not least», c’erano i borghi della Val di Formone e della

Val di Paglia. Cent’anni dopo, questo quadro è trasformato; solo tre castelli, tutti e tre monastici,

Castel di Badia, Piancastagnaio, e lo stesso Radicofani, hanno sostituito i precedenti insediamenti

della zona. Radicofani, in particolare, nel 1200 aveva rimpiazzato non solo le curtes e i casalia nel

suo territorio, ma anche i castelli e i burgi; non solo Clemenzano e Mussona cessarono di essere

abitati, ma anche Rocca di Senzano e Reggiano. Il successo di Radicofani segna così una chiara

rottura in un processo che avrebbe portato più lentamente verso una realtà più simile a quella

dell’ovest della montagna, caratterizzata da un reticolato di castelli molto più vicini fra di loro e

probabilmente anche più piccoli115.

Esattamente come avvenne questa rottura non può che essere ipotizzato, data la mancanza di

documenti per il momento cruciale. Mi sembra inevitabile proporre che l’assorbimento di tutto

l’habitat all’interno di Radicofani abbia a che fare con l’importanza schiacciante del castello come

centro politico locale dopo la metà del XII secolo. Ma questa volta ciò ebbe effetto non solo sui

contadini dipendenti. Se anche Reggiano, centro allodiale di una famiglia aristocratica, cessò di

essere documentato, allora è quasi certo che S. Salvatore ebbe la capacità di attrarre nel nuovo centro

anche alcuni aristocratici. Questo senza dubbio vale per illis de Rocca di Senzano, castello monastico

beninteso ma con abitanti aristocratici; sappiamo di sicuro che quest’ultimo era già abbandonato nel

primo Duecento. I legami clientelari e militari si stavano rafforzando: un processo già cominciato

verso il 1080 sotto gli Aldobrandeschi, ma che continuò e si stabilizzò sotto i monaci. E questo

rafforzamento fece di Radicofani un centro gradito anche ai piccoli nobili di altri castelli. Fu con

ogni probabilità questo spostamento dell’élite locale che indusse gli altri abitanti della zona a

trasferirsi nel nuovo centro. Cosa pensò S. Salvatore non sappiamo; è comunque da notare che nel

Duecento i monaci mostrarono una certa preferenza per il mantenimento di altri castelli intorno a

114 Radicofani nell’arena dell’alta politica: CDA 337-8, 361, 364; VON PFLUGK-HARTTUNG, Acta pontificum

romanorum inedita, II, Stuttgart 1884, p. 361 sg. n. 410 (1157); SCHNEIDER, Analecta toscana, p. 10 sg. (1200); vedi

per commento REPETTI, IV. 709-12; JUNG, Itinerar, p. 45 sg.; D. WALEY, The Papal State in the thirteenth century,

London 1961, pp. 36, 60, 66, 70, 132, 149, 206; VON DER NAHMER, Reichsverwaltung, pp. 145-8; Repertorio, 44.1. 115 Nel Duecento la schiacciante preminenza insediativa di Radicofani nel suo districtus (che si stese per tutto il triangolo

formato dai fiumi Paglia e Rigo) è chiara; in tutti i testi in ASS, Diplomatico SSMA, e altrove, ho trovato solo tre menzioni

di capanne fuori dal castello e dei suoi borghi, ASS, Diplomatico riformazioni, 10 genn. 1249 (LISINI, Inventario, p.

382); PIATTOLI, Statuto di Radicofani, § 42 (p. 60); e ASS, Diplomatico SSMA, 10 genn. 1275. Parecchi dei vecchi

insediamenti appaiono abbandonati o come semplici contrade rurali, ubicazioni solo per terra coltivata: vedi note più

sotto.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Radicofani: due volte in quel secolo infatti tentarono di persuadere i lambardi locali a rioccupare

Rocca di Senzano, anche se il successo fu solo momentaneo116.

Una lettura politica di questi cambiamenti può andare oltre. I lambardi di Radicofani nel XIII

secolo sembrano essere stati numerosi ed eterogenei (la famiglia Guasta deve essere entrata a far parte della popolazione di Radicofani o prima o in questo frangente dato che il primo firmatario dello Statuto del 1255 è proprio un Guasta Peccato che non se ne conosca nessun altra!), fatto che quadra con una loro probabile origine come più famiglie

indipendenti. Benché fossero livellari e vassalli monastici, non furono mai facili da controllare117.

Non è perciò inconcepibile che la difficoltà che S. Salvatore nel controllare pienamente questa nuova

clientela militare in parte spieghi anche l’apparire improvviso di Castel di Badia e la fortificazione

di Piancastagnaio, ambedue nel suo territorio centrale. La fondazione di Castel di Badia, in

particolare, sembra un atto estremamente consapevole, simile a quanto era avvenuto nel Lazio quasi

tre secoli prima; la popolazione sparsa dell’XI secolo fu trasferita, prima dell’anno 1200, in un

grande castello compatto, totalmente posseduto e aggressivamente controllato da S. Salvatore118.

Ora, il monastero non fu totalmente in grado di convertire quest’aggressione in potere effettivo.

Come ha rilevato la Redon, i primi riferimenti al castello già mostrano un comune rurale che si formò

in opposizione a un monastero temporaneamente, per diversi motivi, debole; la costruzione stessa

del castello fu iniziata forse proprio in questo nuovo momento di relativa debolezza politica generale.

D’altronde, la prepotenza locale del monastero nel Duecento, che ha pochi riscontri in tutta la

Toscana del periodo, certo contribuì alla coesione e, alla fine, alla stessa vittoria del comune di Castel

di Badia. Ma la capacità del monastero di creare Castel di Badia sulla sua terra è indubbia, perché

fu il solo proprietario del territorio e, relativa debolezza o no, vi deteneva ormai anche una schiera

di diritti signorili con pochi paralleli, come ho detto, altrove in Toscana119.

L’espansione di Radicofani non solo sommerse i centri abitativi del suo districtus, ma ebbe

anche un effetto drammatico sulla via Francigena stessa. Alla fine, anche la strada si spostò a

Radicofani; il transito più lungo sulla collina, attraverso i tre borghi subito sotto il castello, fu

stabilito formalmente nel 1442, e la Francigena vi rimase finché la nuova strada degli anni ’60 del

116 Sulla rioccupazione di Rocchetta (i.e. Rocca) di Senzano, tentata da membri dei lambardi di Radicofani: ASS,

Diplomatico SSMA, 20 sett. 1205, presumibilmente senza successo e, di nuovo, 13 ott., e 21 ott. 1248. Da allora in poi è

documentato il districtus delle Rocchette (Senzano e Sassine) (per es. 13 ag. 1275, 4 apr. 1285, Spoglio nn. 804, 950),

come pure le fortificazioni, fino alla loro demolizione nel 1369 (REPETTI, IV, 712). Un’analoga iniziativa forse spiega

l’apparire di Gello come castellare in ASS, Diplomatico SSMA, 10 genn. 1275; certamente non mai nominato come

castello. 117 Problemi con i lambardi: p.es. ASS, Diplomatico SSMA, 28 ag. 1210, 5-15 giugno 1237, 28 dic. 1275. Non furono

necessariamente livellari del monastero per tutte le loro terre; S. Salvatore non possedette tutta la zona, anche se almeno

controllò gran parte del districtus. 118 Castel di Badia è esplicitamente documentato per la prima volta nel 1203 (CDO 77; ASS, Diplomatico SSMA, 9 nov.

1203, già con un podestà); ottenne già una generosa carta libertatis comunale nel 1212 (REDON, seigneurs et

communautés, pp. 164-6. e commenti, pp. 155 sg., 624 sg., 632 sg., 654-7). (I. IMBERCIADORI, Come nel sec. XII

nacque il consolato a Castel di Badia in ID., Per la storia della società rurale. Amiata e Maremma tra il IX e il XX secolo,

Parma 1971, pp. 23-37 è privo di valore). S. Salvatore vi possedette tutta la terra, e la sua proprietà (ASS, Diplomatico

SSMA, 12 ott. 1238, LISINI, Inventario, p. 56). Per la mano pesante del monastero vedi in genere REDON, pp. 153-6,

620, 623-5, 632-7, 642-7, 654-7. Castel di Badia era grande quanto i centri di Radicofani e Piancastagnaio; le strade

ebbero nomi propri, e ci furono case fuori le mura (ASS, Diplomatico SSMA, 13 sett. 1257, 14 nov. 1259, 21 apr. 1271,

16 sett. 1297, Spoglio nn. 608, 634, 746, 1147). 119 Sulla temporanea debolezza di S. Salvatore all’inizio del Duecento, vedi REDON, p. 155 sg. La rivendicazione più

sistematica dei suoi poteri in Castel di Badia, dal 1251, fu quasi totalmente in chiave signorile, e fornisce un elenco

impressionante di tali diritti, anche se alcuni erano delle volte decaduti (ibidem, pp. 174-81, 644-7). Il confronto classico

con una zona della Toscana settentrionale è J. PLENNER, L’emigrazione dalla campagna alla città libera di Firenze nel

XIII secolo, Firenze 1979, pp. 57-79, 98-103. Egli giustamente tiene separati, benché con difficoltà, i diritti fondiari da

quelli signorili, impresa anche più difficile sull’Amiata, dove i signori del bando possedettero percentuali così alte della

terra.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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XX secolo non ha recuperato in parte il percorso originale120. Ma nel 1442 i burgi del fondovalle

erano ormai scomparsi da tempo. Callemala dipendeva da Radicofani già nel 1153: benché fosse

ancora un burgus di una certa importanza, successivamente non è più ricordato come tale, così come

gli altri burgi fra le Briccole e Centeno. Invece, nel 1191, Radicofani è ricordato per la prima volta

come stazione stradale a sé, e questo indica che la strada già si stava spostando più in alto; nel 1255

vi fu fondato un ospedale per pellegrini. Negli statuti comunali della stesso anno si fa pure notevole

attenzione alla riparazione di dieci vie diverse nel territorio del castello: non solo della Francigena,

quindi, ma ciò dimostra almeno quanta importanza una buona viabilità cominciasse ad assumere per

i Radicofanesi121. Callemala nel Duecento, d’altra parte, è documentata solo come una contrada

rurale di Radicofani, con parecchi mulini ma senza altre abitazioni. La strada che la percorreva

continuò a esistere, e fu di volta in volta anche importante, ma la maggior parte del traffico

probabilmente passava per Radicofani, salvo in situazioni eccezionali – come quando, nel 1300, S.

Salvatore autorizzò ventidue uomini e donne (significativamente, quasi tutti o da Radicofani o da

Castel di Badia) a installare bancarelle in Callemala per i pellegrini che andavano a Roma per il

Giubileo, forse per facilitare il deflusso dei viandanti sulla strada superiore. Lo spostamento del 1442

deve semplicemente aver ratificato una realtà abitativa vecchia ormai di due secoli122.

Come ogni altro cambiamento insediativo negli anni dopo il Mille, il declino di borghi come

Callemala, Voltole o Burgorico è attribuito all’insicurezza. Tale interpretazione però è

particolarmente priva di senso sulla Francigena, linea di passaggio normale al più tardi dal 900 per

interi eserciti. A me sembra che possiamo spiegarlo tramite la combinazione di due fattori. Il primo

è l’attrazione politica di Radicofani, il che sarebbe valso non solo per i lambardi di Reggiano e

Rocca di Senzano ma anche quelli di Callemala, livellari fra l’altro di gran parte delle proprietà

monastiche sulla strada. Callemala, non essendo castello, sembrò forse anche meno adatta per una

famiglia di lambardi in ascesa, una volta che Radicofani divenne il centro naturale delle classi

militari; anche questa famiglia sarebbe da includere così fra i probabili antenati dei lambardi di

Radicofani del Duecento123. Se questo fatto preso da solo sembra inadeguato per spiegare la

scomparsa dei borghi, dobbiamo di nuovo mettere in rilievo che l’attività economica dei loro abitanti

dipendeva dalla strada; è ben possibile che i lambardi che dominarono Callemala abbiano potuto

esigere che anche gli abitanti agricoli si adattassero al lento movimento del traffico stradale verso il

tratto superiore.

120 Per lo spostamento della strada, REPETTI, IV, p. 713. Per i borghi, ibid., p. 710; PIATTOLI, Statuto di Radicofani; e

anche molti testi da ASS, Diplomatico SSMA, 1237 e 1255. 121 Callemala: CDA 341, 343, 346 (1153). Il Burgo Callemale di ASS, Diplomatico SSMA, nov. 1283, è solo un toponimo

per localizzare terra agricola, presumibilmente usato come sinonimo di contrada /cfr. n. 119). Il racconto della storia di

Callemala in G. VOLPINI, Storia del monastero e del paese di Abbadia S. Salvatore, Abbadia S.S. 1966, pp. 166-8 ha

troppi errori per essere utilizzabile; non riesco a trovare la documentazione per la sua affermazione dello spostamento di

Callemala a Castel di Badia nel 1278. Radicofani: JUNG, itinerar, p. 44 sg. Per 1191; ASS, Diplomatico SSMA, 30 genn.

1255 per l’ospedale (dovrebbe essere 1256 se lo stile fosse senese, ma l’indizione è corretta per il 1255), Vie negli statuti:

PIATTOLI, Statuto di Radicofani, §§ 48-9, 51-2, 58-63 (pp. 61-4); (vedi anche: B. MAGI Radicofani e il suo statuto del

1441, Siena 2004). 122 Callemala come contrada di Radicofani nel Duecento: PIATTOLI, § 60 (P. 63, MULINO); ASS, Diplomatico SSMA,

20 ott. 1248 (mulino), 30 genn. 1255 (mulino), 28 dic. 1257, 24 genn. 1277 (mulino), 11 genn. 1282 (mulino), 8 magg.

1283 (mulino), 22 magg. 1283 (mulino), 2 lug. 1283 (mulino), 28 apr. 1292. Molti di questi anche fanno riferimento alla

strada. Bancarelle nel 1300: 21 apr. 1300. Cfr. Voltole, contrada di Radicofani e anche Piancastagnaio: 9 nov. 1203, e 26

sett. 1260, 10 giug. 1288, 18 giug. 1292 (Spoglio, nn. 636, 984, 1051): Burgorico, contrada di Radicofani: 10 ago. 1277

(Spoglio, n. 823). Maria Ginatempo mi rivela d’altronde che la strada inferiore continuò ad essere importante nel ‘300 e

‘400, in concorrenza di tanto in tanto anche con quella che passò per lo stesso Radicofani. 123 Lo status crescente dei lambardi di Callemala (cfr. n. 106) si vede, soprattutto, nell’espansione delle loro proprietà

fuori dello stesso burgo: nel 1071 comprarono terra situata nei pressi del burgo di Muliermala da un vassallo dei conti di

Siena, la prima attestazione di loro proprietà allodiali (non soggetto a vincoli) (CDA 289-90); prima del 1079, aggiunsero

possessi in Voltole, S. Casciano dei Bagni e Piancastagnaio a quelli che già tenevano del monastero (CDA 307). Vale

pure osservare che, dopo l’affermazione degli Aldobrandeschi negli anni ’80 dell’XI sec., i regolari rinnovi dei livelli da

parte della famiglia, durati per 170 anni, smettono; un’altra ragione per supporre che si erano schierati ormai con i conti.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Tale comportamento va bene per i nobili di Callemala. Ma ho anche il sospetto che in questo

caso S. Salvatore stesso sarebbe potuto intervenire. Un aspetto notevole di questo spostamento è che

Radicofani rimpiazzò non solo Callemala ma anche Fermone, Muliermala, Voltole e Burgorico,

tutti o interamente o in gran parte monastici. La rete dei possibili punti di partenza e di arrivo sulla

strada si semplificò molto; fra le Briccole e Centeno/Acquapendente, la sola stazione stradale

divenne Radicofani124. Tale semplificazione ha verosimilmente avuto un’origine imprenditoriale. È

decisamente simile infatti alla creazione sistematica nello stesso periodo delle quattro fiere della

Champagne, da parte degli stessi conti di Champagne, che si erano resi conto che, tramite la

concentrazione di mercati e servizi in pochi centri, avrebbero potuto espandere questi ultimi ben

oltre il livello del commercio più frammentario del periodo precedente125. Nello stesso modo

Radicofani avrebbe facilmente potuto essere destinato a svolgere una simile funzione dai monaci di

S. Salvatore, una volta consolidata la sua supremazia locale, nell’ultima metà del XII secolo. E,

anche se Radicofani tendeva all’autonomia politica, in termini economici non c’è segno che i monaci

avessero torto. Il castello rimase il centro maggiore dal 1200 in poi, poco amato dai viandanti ma

grande e commercialmente prospero; il crollo demografico è un prodotto solo degli ultimi decenni126.

Questa vittoria per Radicofani a tutti i livelli, militare, politico e commerciale, completò il processo

attraverso il quale i castelli e i borghi dell’XI secolo, e il reticolo geografico, economico, e socio-

politico che li sosteneva, furono sepolti proprio come gli stessi castelli e borghi avevano sepolto a

loro volta i quadri insediativi dei secoli VIII e IX.

* * *

Questo contributo è stato incentrato meno sull’incastellamento e l’accentramento dell’habitat

sull’Amiata, che non sui tipi di incastellamento e i vari momenti di incastellamento nella zona.

L’ultima parte della discussione è stata pura congettura, a causa della completa mancanza di

documenti per i decenni precedenti il 1200, un anno però in cui il nuovo assetto territoriale

dell’Amiata era già pienamente stabilito. Ma, congetture a parte, è almeno chiaro che l’apparire di

castelli e i cambiamenti insediativi sulla montagna concentrano la nostra attenzione su una realtà

estremamente eterogenea e spesso mutevole. I quadri dell’habitat cambiano molto frequentemente

in Italia (e non solo in Italia), come testimonierà qualsiasi archeologo; sono un indicatore sensibile

di realtà socio-economiche e socio-politiche. Ma i cambiamenti di un tipo particolare, diciamo lo

sviluppo di un insediamento accentrato, o la fortificazione di quel centro, non hanno un senso

univoco e invariabile in ogni situazione sociale; la semantica dei sistemi dell’habitat umano non è

fissata in maniera immutabile, come neppure quella delle lingue umane. Quando cambia l’ambiente

economico, o la natura del potere politico sopra i contadini (gli abitanti degli insediamenti), cambia

non solo l’habitat, ma cambiano anche i modi in cui questi fattori hanno effetto sull’habitat. Questo

contesto più largo deve essere capito per capire l’habitat stesso.

124 Centeno, situato fuori della zona monastica, sopravvisse. Fu sufficientemente importante da essere al centro nel 1202

di una piccola guerra locale (ASS, Diplomatico SSMA, 15 maggio 1202). Questo testo, che descrive la violenza fra

Proceno e Segiano, è una importante testimonianza della diffusa militarizzazione che ormai era patrimonio anche dei

comuni rurali. Segiano è di solito identificato con Seggiano al nord-ovest dell’Amiata, con buone ragioni linguistiche, ma

se fosse così lontano da Proceno, il documento non avrebbe nessun senso. 125 R.H. BAUTIER, Les foires de Champagne, «Recueils de la societé Jean Bodin» V (1953), pp.97-145. 126 Nel ‘400 Radicofani era il secondo insediamento sull’Amiata dopo Abbadia S. Salvatore, e nel 1595 addirittura, con

2262 anime, il più grande (vedi l’articolo di Maria Ginatempo). Nel 1640 era ancora il secondo, questa volta dopo

Arcidosso: nel 1833 era sceso al quinto posto, sebbene i suoi 2078 abitanti fossero pari ai tre quarti della popolazione del

più grande Abbadia S. Salvatore (REPETTI, I, 34, 108, IV, 716). Rimase a questo livello fino al secondo dopoguerra;

attualmente, comunque, con meno di 800, è uno dei quattro comuni toscani con la più bassa densità demografica (con S.

Godendo, Monteverdi Marittima e Radicondoli: ISTAT, 11° censimento generale della popolazione 1971, III, pp. 38, 62,

86, Roma 1974).

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Tale comprensione, comunque, anche se difficile, non è impossibile. Ho delineato un modello

all’inizio di questa discussione che sottolinea tre aspetti dell’incastellamento e dell’accentramento

nelle varie realtà dell’Italia dei secoli X – XII: la protezione della proprietà; la crescita economica;

e l’affermazione del potere politico sulla popolazione in generale. Questo modello chiaramente

funziona per l’Amiata, ad occidente come pure ad oriente. La complessa situazione ad est della

montagna ci permette di vedere che i cambiamenti insediativi avvennero in varie tappe, ciascuna

privilegiando un aspetto diverso del modello; ci permette inoltre di capire in maggiori particolari

come il modello stesso potesse funzionare. Nondimeno, tutti e tre gli aspetti determinarono, in tempi

e modi diversi, l’eventuale successo di insediamenti accentrati e fortificati sulla montagna, un quadro

che caratterizza la situazione ancora oggi, anche se un terzo della popolazione ha di nuovo lasciato

i centri tradizionali per le frazioni e le case aperte. Forse, comunque, il fenomeno che pesò di più

sulla storia insediativa dell’Amiata, soprattutto fra il 1000 e il 1200, fu la compattezza del potere

locale. Sull’Amiata, come nella Maremma al suo sud e ovest, la coerenza del potere dei signori locali

fu molto più grande di quella intorno a Siena o, anche di più, di quella nella Toscana settentrionale.

Fu questa coerenza che permise agli stessi signori non solo di tentare di attrarre e costringere la

popolazione locale, ma di avere successo nel tentativo. Ci furono variazioni geografiche,

naturalmente: la rottura rappresentata dall’apparire di Radicofani e di Castel di Badia non ebbe

analogia ad ovest della montagna, perché i dettagli di potere furono diversi (come pure i loro rapporti

con le differenze locali nello sviluppo economico). Ma le diversità fra l’est e l’ovest della montagna

risedettero nella varia articolazione di questo controllo locale, non nella sua forza: nel 1200 non

esistette quasi più l’insediamento aperto su nessuno dei lati dell’Amiata. Rimane solo da aggiungere

che questa localizzazione di potere politico non riguardò solo i signori; anche la coerenza politica

della popolazione locale, portata di recente dentro i centri accentrati e rinforzata nel Duecento dallo

sviluppo economico silvo-pastorale (e cioè collettivo) della montagna, andava cristallizzandosi nello

stesso periodo. Furono forti, dunque, sia i signori che comunità locali; non sorprende che gli esempi

migliori in Toscana di comuni rurali formatisi attraverso la lotta di classe si trovino precisamente

sull’Amiata.

Sono molto grato a Oretta Muzzi per la sua lettura del testo e per i suoi commenti utilissimi.

Pag. 139.

L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata nel Medioevo. Mauro Ronzani.

.............................................................................................................................................................

Pag. 148.

«Infra territori de plebe Sancti benedicti»: insediamenti sparsi ed edifici cultuali nella val di

Paglia nei secoli XI- XII in.

Se dal versante occidentale dell’Amiata ci volgiamo ora a quello opposto e alla sottostante val

di Paglia, il quadro ci appare ben diverso. Proprio su quella zona, ai due lati della Via Francigena127,

Enrico II intese concentrare gli interessi di S. Salvatore, sanzionando con la sua autorità le donazioni

che l’abbazia vi aveva di fresco ricevuto dagli esponenti più indigni dell’aristocrazia locale e

regionale: il marchese Ugo (995), Bernardo conte di Siena (1000) e l’aldobrandesco Ildebrando IV

(ante novembre 1002)128.

127 Sul percorso della famosa via di comunicazione nella valle del Paglia si veda la relazione presentata in questo libro da

R. Stopani. 128 KURZE, Monasterium Erfonis, pp.30-31 e 34-35.

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Un documento del 1032 ci attesta che il territorium de plebe S. Benidicti giungeva sino «al punto

di confluenza dei principali rami sorgentiferi del Paglia (i torrenti Vascio, Cacarello e Pagliola)»:

qui, a 9 – 10 km. dall’antica cella monastica, era ubicato infatti il burgus di “Callemala “, mentre

l’appezzamento individuato nel 1032 si trovava iusta ipso burgo de patibus aquilone. Il casale et

villa detto ‘ Clemenziano ‘, già noto sin dal 798 e spesso ricordato fra i secoli X e XI – insieme con

la sua chiesa dedicata a S. Lorenzo – come attiguo a ‘ Callemala ‘ 129, non apparteneva invece più

all’ambito territoriale di S. Benedetto, che a nord e ad est confinava con quelli delle pievi vescovili

di S. Filippo, di S. Donato (poi S. Giovanni) di Radicofani e di S. Maria (presso S. Casciano dei

Bagni)130(da questa nota e da quella successiva si può individuare dov’era il Borgo di Clemenzano con la sua chiesa di S. Lorenzo e di conseguenza quel Poggio S. Lorenzo di cui parla lo Statuto del 1441, questa chiesa era nel monastero privato di “S. Quirico in Clemenzano”).

Sin dal 995 anche ‘ Callemala ‘ compare dotata di una chiesetta (ecclesia et oratorium) dedicata

a S. Cristina, e confermata in quell’anno dall’abate, come parte di un complesso economico

comprendente terre, vigne, orti, taverne e mulini, ai due figli del precedente concessionario ormai

defunto131. Lungo il corso dal Paglia, e sempre ai margini della via Francigena, si trovava (tre km.

più a sud) l’eclesia in onore S. Petri, sito burgo Voltiole, che l’anno 1000 fu donata al monastero dal

conte Bernardo, con la metà delle terre, case e mulini appartenenti all’insediamento omonimo. Due

anni dopo, Silvestro II emanò solenne conferma di un’altra donazione, compiuta con ogni probabilità

dal conte Ildebrando (IV) e riguardante la chiesa di S. Cassiano e le sue pertinenze, comprese entro

confini descritti con grande precisione: verso sud essi degradavano dalle sorgenti del fosso Cadone

(primo affluente di sinistra del Fiora) a quelle del torrente Senna, che seguivano quindi fino al Paglia:

a settentrione essi combaciavano con i confini – quali si leggono nei diplomi rimaneggiati di Rachis

e Astolfo – del territorio originale di S. Salvatore nella contea di Sovana, passando appena sotto (de

subtus ripa) alla Villa de Plano, nucleo originario di Piancastagnaio132.

……………………………………………………………………………………………………

Pag. 153.

Nella stessa occasione, il pontefice (Celestino II nell’anno 1144) confermò al cenobio il

castrum de Radicophino, la cui sesta parte era stata donata cinque anni prima dal conte di Chiusi

129 Per la notizia del 798, relativa ad un monasterium (ovvero un oratorio) Beati S. Quirici in loco C l i m i n c i a n o qui

vocatur Piscinule seo et S a n c t i L a u r e n t i i: CDA, I, 47, p. 90. Cfr. anche n. 652. Il nome Sancti Quirici in Pissinule

individuò in seguito una curtis (posta non lontano da ‘ Clemenziano ‘) menzionata fra i possessi di S. Salvatore da Ottone

III nel 996 (ibid., II, 212, p. 35) e poi da Corrado II nel 1027. Una vera e propria chiesa con lo stesso appellativo si trovava

invece, come già accennato, nei pressi di Montepinzutolo. 130 Nel gennaio del 1075 Eriberto del fu Rustico donò a S. Salvatore tutti i propri beni, posti infra plebe Sancti Donati,

sito Radicofani, et infra plebe S. Marie, sito Bangno, et infra plebe S. Mariæ in Campo, et i n f r a p l e b e S. B e n e d

i c t i , s i t o V i l l a m a g n a (ibid. 296, p. 239); fra i vari loca subito dopo sommariamente specificati (in (…) Punano,

et in S a n c t o S e b a s t i a n o et in Corvaia et in S a n c t o L a u r e n z i u et in Laianu ) solo il secondo doveva

appartenere al piviere di S. Benedetto: la terra S. Sabastiani era attigua al burgus di Voltole donato a S. Salvatore il 22

novembre del 1000 (cfr. al n. 110), e se nel 1007 Enrico II si limitò a confermare al monastero medietatem curte S.

Sebastiani et burgo de Uoltiole et curte de Climintiano (ibid. 227, p. 74, Regensburg), Corrado II avrebbe riconosciuto

vent’anni dopo l’intera curtem de Paleaet S. Sebastiani (ibid. 263, p. 158). Per una più accurata trattazione della topografia

della val di Paglia prima e dopo il Mille rimandiamo alla relazione di Ch. Wickham; i materiali commentati al convegno

da questo studioso ci sono stati di grande aiuto nella preparazione del nostro testo definitivo. (vedi articolo Precedente). 131 Ibid. 210, pp. 28-30 (995 agosto 13). Quattordici anni dopo la concessione sarebbe stata rinnovata agli esponenti della

generazione successiva (quattro figli di Teuzio e tre di Gotizio clericus, protagonisti ormai defunti del contratto del 995):

ibid. 230, pp. 81-84 (1009, aprile); in quest’occasione si parlò appunto di beni cum integre e c c l e s i e e t o r a t o r

i o cui avocabulo est Sancte Cristine et Sancti Lorentii, posti infra comitato e teriturio Cluscino, in casale burgo e fori

de ipso burgo qui dicitur Calemala cum suprascripta ecclesia Sancte Cristine; e in c a s a l e e v i l l a que dicitur

Clementiano cum suprascripta eclesia beati sancti Lorentii (p. 82). 132 CDA, II, 218, p. 52 (1002, novembre). Nel 1046 Ildebrando (V) avrebbe accennato (nella sua «pagina repromissionis»

in favore di S. Salvatore) anche alla terra Sancti Cassiani, sicut quondam Ildibrandus comes, per cartam dedit

suprascripto monasterio (ibid. 277, p. 198).

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Manente al vescovo di Siena133. Dopo che, nel luglio 1145, un accordo provvisorio fu concluso fra

l’abate Ranieri ed i Senesi cum Senensis exercitus esset in plano abbazie Sancti Salvatoris134,

Radicofani fu ceduta dai monaci in locazione perpetua – formalmente per metà – a papa Eugenio III

nel 1153. È interessante osservare che a partire da questo documento l’insediamento di ‘Callemala

‘, già compreso come vedemmo nel territorio battesimale di S. Benedetto, figura come burnus

collegato al castrum di Radicofani, e come tale parte integrante della concessione, pur con la riserva

in favore del monastero del redditus pani et vini, qui de agris et vineis solvitur135.

Così mentre il piviere di S. Benedetto perdeva la porzione settentrionale del proprio territorio

situata entro la diocesi e la contea chiusina (ove la pieve titolare divenne S. Giovanni di Radicofani,

erede della vecchia e obliterata S. Donato), e si restringeva progressivamente ad abbracciare la Villa

de Plano, che entro la fine del secolo avrebbe ‘ catturato ‘ e richiamato a sé le popolazioni e le chiese

già in Voltole e presso S. Cassiano, la nascita sul fianco dell’Amiata a poco più di 2 Km. a nord di

S. Salvatore della pieve monastica di S. Maria fu un’altra conseguenza dell’ampia e radicale

ristrutturazione territoriale e insediativa avviatasi nei decenni centrali del secolo XII, e culminata in

un cinquantennio con la comparsa dei castra di Piancastagnaio e ‘dell’Abbazia’ ed il rafforzamento

della fortezza di Radicofani.

……………………………………………………………………………………………………

Pag. 157.

La ‘ cura animarum ’ di ………………Radicofani nelle controversie duecentesche fra il vescovo

di Chiusi e l’abate di S. Salvatore.

……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………….

Pur se contornate da richiami altisonanti ai fondamenti canonici della potestà dell’Ordinario, le

rivendicazioni da questi avanzate ( dal vescovo ) nel corso del Duecento non di rado insistevano

sugli aspetti più specificatamente economici136, occasionate com’erano dalla richiesta del tributo

dovuto per la consacrazione vescovile (il «cattedratico»), o di esazioni dettate da motivi contingenti:

se ne ha un esempio per il 1260, allorché da Chiusi si cercò d’imporre ai chierici di Radicofani,

Arcidosso e Casteldelpiano dipendenti dal monastero una ‘ colletta ’ occasione reverendi patris

domini Obteboni (sic) cardinalis, provocando l’immediato appello degli interessati alla Sede

Apostolica137.

Già all’atto di concedere ad Eugenio III la metà del castello di Radicofani e delle sue pertinenze,

l’abate Ranieri aveva riservato al monastero lo ius ecclesiarum quod in eis habebat138; di tale diritto

si fece ricordo anche nei privilegi papali di fine secolo, aggiornandone la formulazione in relazione

ai mutamenti amministrativi e insediativi sopravvenuti: le ecclesie castri Radicofani et s u b u r b i

i i p s i u s a noi note grazie ai documenti due trecenteschi sono la plebs S. Iovannis de Arce, S.

Pietro del borgo e S. Andrea del Castel Morro (al quale ultimo era altresì annesso un proprio borgo,

detto «Malmigliaccio»). (Quest’ultima affermazione mi fa ricordare che oltre a questo sito, e non borgo, ve n’era un altro che si chiamava Viclanus e si ritrova in un art. dello Statuto del 1255!). Il problema della concorrenza fra il monastero di S. Salvatore e

133 Repertorio, pag. 143, (vedi 44.1). 134 CDA, II, 338, p. 321. 135 Ibid., 341, p. 327 (1153 maggio 29). 136 Ad esempio nel 1241 il vescovo pretese dai rettori insediati dall’abate di S. Salvatore nelle tre chiese di Radicofani (la

pieve di S. Giovanni, S. Andrea «de Castello Morro» e S. Pietro del Borgo. Cfr. n. 137) obedientiam et reverentiam,

quartam partem mortuariorum, nec non et quasdam procurationes, cathedraticum et quidam alia, in quibus eos de iure

comuni teneri sibi dicebat, e di fronte alle proteste da essi levate utpote qui non ei, sed abbati S. Salvatoris (…) erant

pleno iure subiecti, li scomunicò: ASS, Diplomatico SSMA, 1241 giugno 7 (cfr. FATTESCHI, Cronico, cc. 22r-23v). 137 ASS, Diplomatico SSMA, 1260 marzo 9. Fondamento dell’appello fu, ovviamente, che le chiese del monastero non

erano tenute, in forza dei privilegi papali di questo, ad pecuniariam procurationem alicuius Legati vel Nuncii Apostolice

Sedis (come era appunto il card. Ottobuono Fieschi). 138 Cfr. n. 133.

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l’Ordinario di Chiusi fu risolto stabilendo in ciascuna di esse un condominio paritetico, che

prevedeva la competenza di un officiante deputato dall’abate, e di uno installato dal vescovo. Così,

nel 1262 il plebanus plebis S. Ioannis de Radicofano pro monasterio, nel giurare fedeltà all’abate

Giovanni, dichiarò di retinere pro dicto monasterio et eius nomine plebem de Radicofano a d v o l

u n t a t e m e t m a n u m dicti abbatis et suorum successorum; e subito dopo i cappellani di S.

Andrea e S. Pietro – mittendo manus suas in manu dicti abbatis – fecero analoga professione

d’obbedienza e reverenza secundum regular S. Benedicti139. Una ventina di anni dopo ci è dato

invece di leggere un regolare atto di collazione della pievania di S. Giovanni – con relativa

concessione dell’autorità administrandi in temporalibus et spiritualibus – compiuto dal vescovo

Pietro, ad quem dicte plebis collatio immediate pleno iure spectare dinoscebatur140.

Prima della fine del Duecento, la configurazione istituzionale escogitata per Radicofani fu

applicata anche all’antica pieve monastica di S. Benedetto (nel momento in cui divenne finalmente

la vera e propria plebs de Plano Castangnario), nonché – forse – a quella sorta ben più di

recente nei pressi di Casteldelpiano.

Pag. 217 e segg.

Aspetti del popolamento amiatino tra XV e XVI secolo. Maria Ginatempo.

Muovendo dall’interesse verso le strutture e le trasformazioni del popolamento in una fase

cruciale quale quella della fine del Medioevo vorrei affrontare qui i problemi connessi con la densità

e i tipi di occupazione umana del territorio, con il variare del carico demografico e con le

conseguenze di esso sull’organizzazione socioeconomica. Tuttavia, a proposito dell’Amiata non è

da sperare di giungere a quanto è stato possibile fare ad esempio per l’arco appenninico sottoposto

a Firenze. La documentazione senese, infatti, per ciò che riguarda i problemi demografici non è tra

le meno avare141, né tantomeno è paragonabile a quella fiorentina coeva che, com’è noto, offre una

fonte del tutto eccezionale quale il Catasto del 1427 -30. Ciò che si può fare è cercare di valutare

l’entità demica delle comunità amiatine, esaminando alcune indicazioni frammentarie; comprendere

i modi e i tempi di reazione alla «crisi del Trecento» e alle difficili congiunture quattrocentesche,

verso un punto d’arrivo costituito da alcuni dati per il primo e per il tardo Cinquecento142; individuare

cioè gli ordini di grandezza degli insediamenti amiatini nel contesto del popolamento senese e

toscano e tracciare le grandi linee dell’evoluzione di ciò verso l’età moderna.

Per non appesantire il discorso e non costringervi a compiere con me noiosi calcoli e conversioni,

parlerò quasi sempre in termini di anime o abitanti. Naturalmente le fonti non danno mai tale misura

e solo nei casi più fortunati – per altro rarissimi per il Senese – si trova qualche cifra per le bocche.

Le unità più diffuse nei frammenti d’informazione disponibili sono i fuochi fiscali e gli uomini di

guardia, ossia in grado di portare le armi e fare le guardie, obbligo cui erano tenuti in genere tutti i

maschi adulti da 14 -16 anni a 60 – 70143. ……………………………………

139 ASS, Diplomatico SSMA, 1262 maggio 30 (cfr. FATTESCHI, Cronico, cc. 57v-58r). 140 F. LIVERANI, Le catacombe e le antichità cristiane di Chiusi, Siena 1872, p. 305 (Chiusi, 1283 ottobre 19). Nel 1328

il vicario del vescovo chiusino avrebbe ufficialmente dichiarato esenti dal cattedratico, perché soggette pleno iure al

monastero, fra le altre, m e d i e t a t e s ecclesiam S. Petri, S. Andree et plebis S. Ioannis de Radicofano: ASS,

Diplomatico, SSMA, 1328 dicembre 23. 141 Ne ho descritto i limiti nel mio Per la storia demografica del territorio senese nel Quattrocento: problemi di fondi e

di metodo, «Archivio Storico Italiano» CXLII (1984) pp. 519 e sgg. 142 Per il 1532 esistono infatti delle liste di capifamiglia per una settantina di comunità del dominio ASS, Balia 929; queste

liste possono inoltre essere integrate con i coevi registri Sale 9-16-11 e 10 che forniscono il numero dei tassati per una

presta di sale per le comunità di cui andata perduta la lista dei capifamiglia e per i comunelli: Per un’analisi più dettagliata

di queste fonti si veda comunque M. GINATEMPO, Crisi di un territorio. Il popolamento della Toscana senese alla fine

del Medioevo, Firenze 1988, c<p. I, 1, pp. 55-63. 143 Tali erano infatti le prescrizioni di molti Statuti rurali, ad esempio ASS, Statuti dello Stato 8 (Asciano 1465), c.16r o

163 (Radicofani 1441), c. 58v. Vedi B. MAGI, Radicofani e il suo statuto del 1441, Siena maggio 2004, r. 95, p. 181.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Almeno in via provvisoria, vorrei includere anche Radicofani, mentre resta naturalmente esclusa

tutta quella parte del suo attuale comune, approssimativamente compresa ancora tra Orcia e

Cassia144.

Giungo così a delimitare un’area di poco meno che 500 kmq sulla quale 13 comunità

compongono una maglia insediativa tutt’altro che rada. …………………………………………

Pag. 221 e segg.

La posizione politico-amministrativa dei centri amiatini sembra uno specchio abbastanza fedele

della loro consistenza demica e della loro importanza nel contesto dell’Antico Stato senese. Anche

se non si dispone d’indicazioni sufficienti per ognuna delle 13 comunità, si può stimare che verso la

metà del ‘400 Abbadia superasse i 1000 abitanti, così come Piancastagnaio; che Radicofani si

situasse tra i 900 e i 1000145; ………………………………………………………… Ci sono lacune

difficilmente colmabili, ma si dirà rapidamente che, esclusa Siena stessa, a superare i 1400 – 1500

abitanti erano appena in 4 – Massa Marittima, Montalcino, Grosseto nei suoi momenti migliori e

inoltre, dopo la ricolonizzazione degli anni ’60, Saturnia, il fiore all’occhiello della politica di

ripopolamento di Siena – mentre oltrepassavano o oscillavano vicino ai 1000 abitanti solo 6

comunità, ossia Sarteano, Cetona, Lucignano Valdichiana e, come si è detto, Abbadia, Pian

Castagnaio e Radicofani………………………………………………………Il ‘400 appare a volte

come un continuo ripetersi e accavallarsi di drammatiche congiunture: pestilenze, carestie, guerre

devastatrici e tutto ciò che un’efficace espressione del tempo definiva come «cattivi temporali».

L’Amiata non rimase certo indenne, anzi. Il primo ventennio, in particolare, appare estremamente

difficile, un periodo confuso, punteggiato dai convulsi movimenti del definitivo affermarsi del

dominio senese nella zona. Tra gli altri disastri, si pensi alla distruzione e al temporaneo abbandono

di Montenero e Montegiovi, alle violente guerre, quasi endemiche, contro il conte Bertoldo Orsini,

ai sussulti della «tirannide» dello Sforza e dei Salimbeni; al passaggio di Ladislao di Napoli e di

altre genti d’arme, ecc.146. ……………………………

Tuttavia, le comunità amiatine, forse soltanto per una posizione che dopo il consolidamento dei

poteri senesi a sud risultava in qualche modo più decentrata, non sembravano stavolta le più colpite.

Si trova certo notizia di danni a Castiglioni, Radicofani e Montelaterone147, d’indebitamento e fughe

a Pian Castagnaio e soprattutto Arcidosso. ………………………………

Ma la lunga teoria di calamità non si interrompe ancora: …………………………………… nel

’62-64 (del 1400) una nuova pestilenza, forse abbastanza grave, della quale in alcuni documenti a

natura fiscale parlano Castiglioni e Pian Castagnaio, mentre Radicofani, Campiglia e Castel del

Piano non vi accennano neppure. ………………………………………………………

Il principale problema tuttavia non sembra la fame vera e propria, quanto il pesante

indebitamento accumulato negli acquisti di grano148.

……………………………………………………………………………………………

144 Vi si situa tra l’altro l’antica comunità di Contignano, anch’essa pervenuta in mano ai Salimbeni. 145 Nell’estratto-lira di Radicofani del 1464, ASS, Lira 59 bis, 189 fuochi fiscali compreso il borgo di Castelmorro (di

questi 9 donne e 7 eredi); con un coefficiente di 4,5 si stimerebbero circa 850 abitanti, ma sono da tenere presenti eventuali

sottoregistrazioni relative a manodopera extra-agricola più o meno itinerante e nullatenente; nel 1448 Radicofani, a

proposito di franchigie sul sale, parlava di 150 bocche (oltre quelle dei terrieri) dei fanti, maestri lombardi et altri forestieri

che continuamente stanno in quella terra e delle guarnigioni di castellani e podestà, Concistoro 2130, n. 83 o Consiglio

Generale, 224, c. 89r. Stimo 950 abitanti o più. 146 ASS, Caleffo Rosso, cc. 176r - 178v, 1411 – i disastri subiti da Radicofani durante il passaggio di Ladislao di Napoli;

gran parte delle comunità amiatine entrarono (o rientrarono) definitivamente sotto Siena proprio in questo periodo nel

quadro dei principali eventi bellici cui Siena e il territorio furono coinvolti. 147 Consiglio Generale 218, c. 149r-v (petizione di Radicofani che lamenta la perdita del bestiame). 148 Consiglio Generale 236, c. 16r, 1474 (a lamentare di essersi rovinati in acquisti di grano e a chiedere moratorie è un

terriere di Radicofani, pastore-allevatore).

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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A fine ‘500, dopo una certa ripresa, si collocherà con circa 800 abitanti (Castel del Piano) –

meno cioè di quanto non ne contasse fra Tre e Quattrocento in fase di marasma demografico già

avanzato – a fianco di Ponticello e Campiglia e al di sopra di Rocca, di Montenero ora in netto

decremento, e ancora di Montegiovi149……………………………….................................................

…………………………………………………………………………………………………

Ma sappiamo anche che, nonostante mortalità e continue fughe negli anni ’60 (del 1400), nel 1474

la comunità diceva a Siena: essendo cresciuto il popolo per Diogratia, veggono non governare et

sempre stanno per le corti costretti et a poco a poco si consumano150, frase che costituisce una delle

rarissime affermazioni d’incremento demografico per il ‘400 senese. Successivamente la crescita di

Arcidosso dovette continuare e diventare più intensa, nonostante i sofferti anni ’70: nel 1532, infatti,

con i suoi 202 capifamiglia questa comunità toccava i 1000 abitanti e si poneva piuttosto in alto

nell’ordine d’importanza dei centri senesi. Tale cifra poi raddoppierà e nel 1595 Arcidosso risulta la

seconda comunità amiatina dopo Radicofani e una delle più importanti dello Stato Nuovo

(Granducato). ……………………..........................

…………………………………… Da rilevare inoltre

la marcata crescita di Radicofani e di Castiglion d’Orcia dal 1464 alla fine del ‘500: la prima passava

da circa 950 abitanti a 2262 anime, la seconda da 450-500 a 1120. ……………………

……………………………………………………………………………………………………

La peculiare vitalità di una zona montana proiettata verso una delle più importanti arterie di

comunicazione del Medioevo può senz’altro stupire e apparire a prima vista come uno dei segnali

della capacità umana di produrre disponibilità e svilupparsi anche a partire da condizioni tra le più

favorevoli. Può sembrare anche una delle manifestazioni più tipiche dello sviluppo della civiltà

mediterranea medievale e delle forme di un’umanizzazione intensa e «commovente». Ma non

bisogna dimenticare, a mio parere, che la crescita demografica non rappresenta sempre e comunque

un segnale di equilibrio e di benessere e che la civiltà medievale era intessuta di tante irrazionalità e

contraddizioni. Rimane cioè aperta l’ipotesi che la vivace ripresa amiatina tra Medioevo ed età

moderna non abbia significato che l’accentuarsi e il perpetrarsi per i secoli successivi di una di quelle

contraddizioni e irrazionalità.

Pag. 243 e segg.

L’ultima repubblica, Siena e l’Amiata nella guerra tra Francia e Spagna (1552-1559). Maria Ludovica Lenzi – Donatella Parrini.

Il 2 aprile 1559 il Capitano del Popolo e i Deputati alla difesa della libertà di Siena ritirata in

Montalcino mandarono per le terre di ciò che restava dell’antico stato senese l’avviso di festeggiare

la pace che sarebbe stata stipulata il 3 di quello stesso mese a Cambresis fra il re di Spagna Filippo

e il loro protettore Enrico II di Francia.

In particolare si prescriveva alle comunità di Seggiano e di Abbadia San Salvatore di fare per tre

sere consecutive fuochi grandissimi nella sommità della Montagna nostra (….) e con buon cuore,

essendo ormai posto fine a tutti li grandi e lunghi affanni151.

……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………

149 BONELLI CONENNA, Crisi economica e demografica dello stato senese ecc. ………, I, Dal Medioevo all’età

moderna, Firenze 1979, pp. 523-525: Montelaterone contava 811 anime, Ponticello 804, Campiglia 822, Rocca 684,

Montenero 398 e Montegiovi 265: era tuttavia ben lontana dalle altre che superavano le 1000 anime (Castiglioni e

Seggiano) le 1400 (Caste del Piano) le 1700 (Pian Castagnaio e Abbadia) o le 2000 (Arcidosso e Radicofani). 150 ASS, Consiglio Generale 236, c. 16v, 1474 (lamentano oltre ai debiti e alla sterilità della terra, il fatto che la loro corte

«va a Dogana» e ricevono dunque continuamente danni ai coltivi). 151 A. VERDIANI BANDI, I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, Montepulciano 1926, p. 256.

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Esiste una stampa, eseguita da Abramo Ortelio nel 1570 e inserita nel suo «Theatrum orbis

terrarum» che fu incisa da Claud Duchet seguendo un più antico, rarissimo originale risalente

pressappoco al periodo del passaggio di Siena al ducato mediceo. Sopra questa carta si può delineare

lo Sato Senese, con particolare riferimento alle zone della Montagna, quale appare dai dati degli

ultimi statuti della Repubblica152, che il Concistoro deliberò havessero principio il dì primo Gennaio

1545, secondo il calendario moderno………… (La caduta della Repubblica fu una forzatura

durissima per le popolazioni del senese lontane dalla capitale che, ancora in pieno Cinquecento, con

i loro statuti e consigli comunali, con i loro antichissimi ordinamenti cercavano di preservare la

propria specificità e particolare autonomia) …………….

Le comunità, rappresentate nella carta con suggestivi disegni di torri e mura, erano ben 104 e

caratterizzavano un territorio ancora ricco d’insediamenti con città, terre, castelli, comuni, fortezze

disseminati un po’ ovunque.

Di questi le sedi podestarili erano 32 e quelle dei vicari 66. Più di 20 erano poi i centri muniti di

rocche alla cui custodia e difesa militare venivano assegnati i castellani. Mentre il compito dei

castellani era quello di prendere consegna le armi, soprattutto gli archibugi e di conservare le

vettovaglie di grano, sale, olio, aceto e legna per sei mesi, i Podestà e i Vicari erano invece tenuti a

presidiare i consigli locali e a rendere giustizia nelle cause civili, criminali e del danno dato, secondo

gli statuti comunitari, le costituzioni senesi e all’occorrenza la buona consuetudine antica.

……………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………..

Ma la Montagna indicata dai documenti del tempo comprendeva un territorio molto più esteso,

ricco di altre sedi podestarili, tra cui il castello di Abbadia San Salvatore, la terra fortificata di

Piancastagnaio, la città di Sovana, il castello di Saturnia, la rocca di Radicofani.

……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………..

Il 21 aprile 1553 Pier Maria Amerighi da Radicofani mandò alla Balia senese un rapporto sulla

situazione di tensione dell’Amiata contro le compagnie mercenarie senesi: ispezionando Seggiano

si era trovato di fronte al rifiuto dei Priori, recandosi ad Abbadia aveva trovato quegli uomini più

ostinatissimi che mai, conferitosi a Piano riuscì solo con grandissima fatica a raggiungere il palazzo,

mentre tutto il popolo era corso armato in piazza con romor grandissimo. Il Commissario senese

(Amerighi) si affacciò alla loggia per parlare alla gente: fate questo a quel palazzo? Gli fu risposto

con una sola voce: Non ce li voliamo! Chiamati i Priori, l’Amerighi chiese ragione di quel tumulto

e il castellano rispose che la compagnia da alloggiare era fatta di poltroni e le loro insegne certamente

non molto bucarate dalli archibusi.

……………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………….

In questo periodo da parte senese (1554) si tentò con poco successo di attuare le direttive francesi

che stabilivano di difendere solo 16 piazzeforti e di sgombrare ed evacuare le altre terre grandi e

piccole. Gli Amiatini avrebbero dovuto concentrarsi, a seconda che abitassero nel lato ovest o est

della Montagna, a Sovana e Radicofani.

……………………………………………………………………………………………………

………………………….

Scorrendo i verbali del Consiglio di una ricca comunità, prossima a Radicofani, Celle sul Rigo,

fino alla primavera del 1554 si delinea un quadro puntuale del contributo fornito dalle retrovie alla

guerra di Siena.

……………………………………………………………………………………………………

………………………………………

Solitamente il numero dei soldati e dei guastatori descritti era proporzionale alle bocche, eccetto

a Radicofani, che dopo l’assedio e il bombardamento di Chiappino Vitelli nell’Ottobre del ’55 era

152 ASS, Statuti di Siena 49.

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stata fatta oggetto di lavori di rinforzo e ristrutturazione e posta sotto il controllo di compagnie

mercenarie. (Tale battaglia è stata raccontata dal Bonsignori).

……………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………..

Alla fine, avendo perso moltissimi beni comunitativi, si dovettero aumentare le pene sul danno

dato anche per i bambini, di cui rispondevano i genitori e che non potevano avvicinarsi alle vigne,

dove potevano entrare solo i capi famiglia e i campari, escludendo tutti gli altri e massime le donne.

Pag. 301 e segg.

Insediamenti e viabilità tra la Val d’Orcia e Val di Paglia nel medioevo – Renato Stopani e Stelvio Mambrini.

Sia la Tabula Peutingeriana che l’Itinerarium Antonini, le due principali fonti per lo studio della

viabilità in età imperiale, attestano inequivocabilmente l’utilizzazione dell’asse vallivo della Chiana

da parte della consolare Cassia, perno dei collegamenti viari tra Roma e le città dell’Etruria153.

A partire dagli ultimi decenni del IV secolo, tuttavia, con la divisione politica della penisola

italiana tra longobardi e bizantini, il sistema delle vie consolari che s’irradiavano da Roma risultò

inutilizzabile, almeno per quegli itinerari che si dirigevano verso l’Italia settentrionale. Così avvenne

per la via Cassia, che nel suo tracciato rinnovato dall’imperatore Adriano nell’anno 123 d.C.,

transitando per Clusium diretta a Florentia Tuscorum, svolgeva parte del suo percorso proprio in una

zona (la val di Chiana), ove i bizantini e longobardi si fronteggiavano. Di qui la necessità per questi

ultimi di realizzare un corridoio interno che permettesse loro il collegamento tra il regno di Pavia e

i ducati di Spoleto e Benevento, rimanendo del tutto al sicuro da eventuali colpi di mano dei

Bizantini.

Grazie all’esperienza acquisita nel corso delle lunghe marce di spostamento e ad una immediata

capacità di conoscere e sfruttare le direttrici naturali, i longobardi individuarono a nord del lago di

Bolsena la possibilità di creare un tracciato viario che, invece di dirigersi verso la val di Chiana,

piegasse più ad ovest, indirizzandosi verso l’alta valle del Paglia, risalendo la quale potevano, giunti

alla linea spartiacque, scendere lungo le ampie vallate dell’Orcia, e poi dell’Arbia, comode vie

naturali che permettevano di arrivare fino a Siena. Essendo del tutto impensabile che durante il primo

periodo della dominazione longobarda fosse ancora funzionante il sistema municipale romano per

la manutenzione della viabilità è assai probabile che i longobardi, nel realizzare il nuovo percorso,

utilizzassero tratti di preesistenti vie vicinali. Pertanto la nuova strada in realtà doveva essere poco

più di una traccia, seguendo la quale il viandante poteva contare di raggiungere la sua meta, di trovare

con certezza i valichi e i punti di attraversamento dei corsi d’acqua, nonché le località dove fosse

possibile trovare alloggio.

Dato il ruolo che il nuovo tracciato si trovò a svolgere, i longobardi dovettero costituire lungo la

via un organico sistema di difesa, con stanziamenti e fortificazioni. Come tutti i popoli guerrieri, essi

avevano particolarmente sviluppato il senso dell’importanza strategica delle posizioni. Ciò portò alla

valorizzazione di talune località che permettevano di realizzare più efficacemente il controllo della

strada. Una di queste dovette senza dubbio essere Radicofani, il cui castello, non a caso, sin dai più

antichi documenti che lo menzionano è ricordato come proprietà regia154. Oltre alla formidabile

posizione del luogo, vera e propria fortezza naturale, testimonia l’uso di esso da parte dei longobardi

l’origine del toponimo, chiaramente di derivazione germanica155. Il poggio di Radicofani (a quota

153 Cfr. K. MILLER, Itineraria romana. Romische Reisewegen an Hand der Tabula Peutingeriana dargestellt, Stuttgart

1916 e M. LOPES PEGNA, Itinera Etruriae, «Studi Etruschi» XXI (1950-51). 154 Cfr. Repertorio, p. 369. 155 TTM, p. 158. Radicofani sembra infatti derivare dall’abbreviazione di un personale germanico, ad esempio Radipert o

Radicauso. Peraltro da rilevare che nel tratto toscano della via, in punti particolarmente difficili o d’importanza strategica,

sovente sono rilevabili testimonianze toponomastiche dell’esistenza di elementi del sistema difensivo longobardo. Vedi,

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896) costituiva un dato spaziale di eccezionale importanza cui riferire una serie di rapporti, di

attribuzioni e di possibilità nei confronti della strada che, dovendo risalire l’alta valle del Paglia,

transitava necessariamente sulle pendici del rilievo: impossibile, quindi, che i longobardi non ne

prevedessero l’utilizzazione!

Soltanto dopo che la «Maritima» e la Lunigiana furono saldamente in mano longobarda la via

dovette essere attrezzata secondo un preciso programma che, oltre a creare una serie di strutture

funzionali alla circolazione, rafforzò il dispositivo di difesa. Nell’ambito di questa sorta di politica

delle comunicazioni del potere centrale, si colloca la fondazione dell’abbazia regia di San Salvatore

sul Monte Amiata che, come tutti i monasteri fondati e dotati dalla corte di Pavia a partire dai primi

decenni dell’VIII secolo, fu funzionale alla strada, servendo da base strategica del sistema di

controllo di una via che stava diventando la principale arteria del regno longobardo. Si comprendono

pertanto le ragioni della ricca dotazione dell’abbazia, quale risulta dai diplomi relativi alla sua

fondazione, nonché dai più antichi documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus, che accennano ad

una espansione patrimoniale del monastero protrattasi lungo tutta l’età carolingia e ottoniana156.

Se nelle sue linee generali è facilmente individuabile il tracciato di quella che sarà poi chiamata

via Francigena157, più difficile rimane una puntuale ricostruzione del percorso, anche perché, come

la storiografia più recente da alcuni anni va suggerendo158, le strade medievali di grande

comunicazione in realtà non constavano di un unico tracciato, ma contemplavano fasci di percorsi

convergenti su determinati punti focali, corrispondenti ad un valico, all’attraversamento di un fiume,

oppure ad un centro particolarmente dotato di strutture ricettive.

Il nostro tentativo di ricostruzione dei percorsi della via nel tratto compreso tra Val d’Orcia e val

si Paglia si presenta pertanto irto di difficoltà, nonostante che dalla fine del X secolo le fonti scritte

presentino i primi itinerari che permettono di individuare con maggiori dettagli il tracciato della

strada, per l’innanzi indicato come semplice direttrice. È il caso della memoria lasciataci

dall’arcivescovo di Canterbury, Sigeric, che riporta tutti i luoghi da tappa toccati dal presule

britannico nel suo viaggio di ritorno da Roma alla sua sede episcopale, avvenuto tra il 990 e il 994159.

Grazie a questo documento possiamo acquisire la certezza che la nuova via aperta dai longobardi

per sopperire alle loro necessità politico-militari, non solo aveva consolidato il suo tracciato, ma era

diventata il principale itinerario per Roma, ben definito nel suo percorso di base facente capo a punti

nodali (le submansiones), centri presumibilmente attrezzati per ricevere i sempre più numerosi utenti

della strada. Procedendo da Roma, i primi luoghi di sosta indicati dall’arcivescovo coincidono con

ad esempio «Salamarthana» (Fucecchio) e «Vico Willari» (San Genesio) in corrispondenza dell’attraversamento

dell’Arno; «Montestaffoli» (nucleo originario di San Gimignano), «Castellum Aginulfi» in Lunigiana, ecc. 156 Cfr. CDA. Anche se sono stati giudicati falsi i diplomi del re Rachis e del suo successore Astolfo, pertinenti,

rispettivamente, alla fondazione ed alla conferma dei beni patrimoniali dell’abbazia, l’elenco dei possessi che appare nel

diploma di Astolfo è stato ritenuto autentico, nel senso che si è presupposta una sua derivazione da una successiva fonte

autentica del re Adelchi (cfr. W. KURZE, Monasterium Erfonis). 157 A partire dal IX secolo, infatti, dopo la conquista franca, la strada aperta dai longobardi, chiamata inizialmente «Via

di Monte Bardone», dall’omonimo corrispondente al passo usato valicare l’Appennino, verrà denominata «Francigena»,

cioè, etimologicamente, «strada originata dalla Francia», termine geografico, quest’ultimo, che nella normale accezione

medievale includeva anche l’antica «Lotaringia» (cfr. R. STOPANI, La via Francigena in Toscana. Storia di una strada

medievale, Firenze 1984, p. 21). Tra l’altro il più antico documento nel quale si ricorda con la sua denominazione è un

atto conservato proprio tra le carte del monastero di San Salvatore sul monte Amiata, rogato in Chiusi il 4 maggio 876,

ove, nel definire i confini di un terreno dato a livello, detto…. Et per fossatu descendente usque in via Francisca (cfr.

CDA, I, n. 157, p. 332). 158 Cfr., tra gli altri, P. FUSTIER, La route. Voies antique, chemin anciens chaussén modernes, Paris 1968, pp. 172 e 176;

A. SETTIA, Castelli e strade nel Nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, «strategia», «Bollettino storico-

bibliografico subalpino» LXXVII (1979), p. 243 segg.: G. SERGI, Potere e territorio lungo la strada di Francia, Napoli

1981. 159 Il manoscritto, quasi sicuramente d’epoca successiva, si trova presso il British Museum di Londra. Fu trascritto e

pubblicato per la prima volta da W. STUBBS, Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, Londra 1974, vol. 63 cap.7,

pp. 391 – 395. Cfr. Inoltre, al riguardo, K. MILLER, Die ältesten Weltkarten, Stuttgart 1895 e J. JUNG, Das Itinerar des

Erzbichofs Sigeric von Canterbury und die Strasse von Rom über Siena nach Lucca, MIÖG XXV (1904), p. 57 e sgg.

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quelli riportati dagli itinerari d’età imperiale; giunto però al lago di Bolsena, in corrispondenza del

quale sono ricordate due submansiones (Sce Flaviane e Sca Cristina, rispettivamente Montefiascone

e Bolsena), Sigeric devia dal percorso dell’antica consolare «Cassia» puntando verso

Acquapendente (Aquapendente). Quindi risale il corso del Paglia, come indica la successiva località

toccata dal presule britannico: San Pietro di Paglia (Sce Peitr in Pail). La submsnsio che segue

(Abricula = Le Briccole) è ormai già in Val d’Orcia, o meglio nella valle del Vellora subaffluente

dell’Orcia: evidentemente Sigeric ha superato il costone che da Radicofani, per monte Nebbiali si

svolge con andamento sinuoso fino a poggio Seragio, fungendo da spartiacque tra le due vallate.

L’ubicazione della stazione di Abricula non comporta grosse difficoltà, in quanto ancor oggi il

toponimo (nella moderna forma de «Le Briccole») indica due case coloniche che sorgono tra il

torrente Vellora e il torrente Rofanello, su un breve tratto di strada che corre parallela alla statale n.

2, ma leggermente spostato più ad ovest160.

Diverso è il caso per la submansio di Sce Peitr in Pail, che presumibilmente doveva trovarsi

nell’alta val di Paglia, presso a poco ad una giornata di cammino da Acquapendente. Laddove si

riuniscono i rami sorgentiferi del fiume del fiume gli unici insediamenti registrati dalle moderne

carte topografiche sono alcuni edifici rurali indicati come «le Casette», peraltro oggi ormai fatiscenti.

Più a valle, collegati da una strada campestre che corre a lato del Paglia, sulla destra del torrente,

sono poi le case coloniche corrispondenti ai poderi «Vigna», «Nardelli», «Voltole» e «Voltolino»161.

Il toponimo «San Pietro in Paglia» non corrisponde quindi a nessun attuale insediamento.

Sappiamo tuttavia da fonti storico-cartografiche della persistenza, almeno sino al XVII secolo, di un

insediamento «Paglia», indicato nelle carte cinque-seicentesche con un simbolo che si richiama

chiaramente ad un piccolo borgo162. Non solo, altre fonti itinerarie successive alla memoria di Sigeric

parlano di una submansio situata nel fondovalle del Paglia. Così ad esempio nel resoconto di un

pellegrino a Roma effettuato nel 1350 da Berthélemy Bonis, mercante di Montauban163, viene

ricordata come tappa tra S. Quirico d’Orcia e Acquapendente la località «Molino del Paglia»,

coincidente, con ogni probabilità, sia col sigericiano Sce Peitr in Pail, sia con la borgatella «Paglia»

indicata dalla cartografia a partire dal XVI secolo. Dice testualmente il documento lasciatoci dal

mercante pellegrino di Montauban: Lo dezenove dia dinar a Boncovent, de ser a San Sirguo. Lo XX.

dia dinar ala Palha del Molit, de ser a Ayguas-pendens.

Del resto nei Capitoli tra il Monastero di San Salvatore e il Comune di Abbadia, del 1472, si

parla di un «albergo che il Comuno à cominciato in Valle Paglia» e di «alberghi e case nella strada

Romana» (da notare però che la maggior parte del traffico della via Romana passava ormai da Radicofani e gli ospedali che vi erano menzionati nello Statuto di

Radicofani del 1255 nonché le note di questo stesso libro dalla 118 e seguenti lo

160 I due toponimi «Le Briccole superiori» (quota 362) e «Le Briccole inferiori» (quota 336), distanti fra loro circa 500

metri, si trovano ancora indicati nel Foglio 129 della Carta d’Italia 1:100.00, nell’edizione del 1907. L’attuale tavoletta

1:25.000 (Foglio 129, IV N.E.) indica invece soltanto i segni topografici delle due case senza i toponimi relativi, salvo

poi riportare, erroneamente spostato, il toponimo «le Briccole». Da notare che a lato della casa colonica «le Briccole

inferiori» c’è una chiesetta tardo-romanica ancora in buono stato di conservazione, che rappresenta probabilmente un

residuo dell’ospizio ivi esistente, ricordato dai Decimari pontifici della fine del XIII secolo come «Hospitale S. Peregrini

de Obrico(is). (Cfr. P. Rat. Dec. I.) 161 Cfr. la tavoletta 1:25.000 della Carta d’Italia IGM, Foglio 129, I, S.O. Nella cartografia approntata dalla Regione

Toscana con scala 1:10.000 sono segnati edifici rurali: «La Casetta di Paglia» e «Le Casette». 162 Già nella Thusciæ Descriptio auctore Hieronimo Bellarmato di ABRAMO ORTELIO (1573 circa, Anversa) si trova

indicata, tra Abbadia San Salvatore e Radicofani, la località «Paglia». E così anche nella Urbisveteris antiquae Ditionis

descriptio di EGNAZIO DANTI, Roma 1583; nella carta del Territorio senese di ORLANDO MALAVOLTI, Siena

1599; nel Territorio di Siena con il Ducato di Castro di GIOVANNI JANSSON, Amsterdam 1630 circa, e in numerose

altre carte dei secoli XVI e XVII (cfr. R. ALMAGIÀ, Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzioni di carte generali e regionali d’Italia dal secolo XIV al secolo XVIII, IGM, Firenze 1925, tt. 20-43-45 e ID.,

L’Italia di A. Magini e la cartografia italiana dei secoli XVI e XVII, Napoli-Città di Castello-Firenze

1922, p. 122). 163 Cfr. E. FORESTIÉ, Les Livres de compte des fréres Bonis, marchands montalbonais du XIVème siècle, (Archives

Historiques de la Gascogne, XX e XXI), Paris-Auch 1890-91.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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dimostrano ampiamente, che poi qualche viaggiatore passasse per la val di Paglia è cosa certa al punto che alcuni commercianti di Radicofani si fecero dare il permesso di costruire nella zona del Paglia proprio per allargare i loro commerci ma è indubbio che ormai quasi tutto il traffico importante, esclusi coloro che avevano molta fretta e molti commercianti, passava per Radicofani e così rimarrà fino agli anni ’60 del XX secolo! a pag. 183).

Un’attenta ricognizione nell’alta val di Paglia, nella zona di confluenza tra i torrenti Vascio,

Cacarello e Pagliola, ove la moderna cartografia indica l’insediamento «le Casette», ha appurato

l’esistenza di tracce di un abitato, consistenti in cospicui cumuli di pietrame lavorato misto a

frammenti di cotto. Gli stessi edifici rurali in rovina (per lo più semplici dimore temporanee)

mostrano nella loro muratura a sasso accapezzato di aver utilizzato bozze di pietra andesitica dal

taglio regolarissimo, che sono presenti anche nelle case coloniche poste più a sud («Podere Vigna»,

«Voltolino»). Gli accumuli di macerie e il riuso di materiali lavorati testimoniano senza possibilità

di equivoci che siamo alla presenza di un insediamento abbandonato che per alcuni secoli deve aver

costituito una sorta di cava di materiale da costruzione. Potremo riconoscervi i resti di Sce Peitr in

Pail ricordato dall’arcivescovo di Canterbury e poi, con denominazioni diverse, ma tutte facenti

riferimento all’idronimo «Paglia», documentato sino al XVII secolo. Ci sembra tuttavia più

probabile che il sito in questione possa essere stato la sede dello scomparso villaggio di Callemala,

ricordato in numerosi documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus a partire dal IX secolo.

Sicuramente ubicato in val di Paglia, il villaggio doveva trovarsi lungo la strada per Roma (chiamata,

di volta in volta, via Francisca, via carraria, via publica). In esso oltre la chiesa dedicata a Santa

Cristina, i monaci di San Salvatore possedevano case e terreni, molini e taverne; nelle vicinanze del

borgo era poi la pieve di San Donato, anch’essa frequentemente menzionata nelle carte amiatine164

…………………………………………………………………………………………

A questo punto sono ipotizzabili almeno due percorsi dell’antica «via romana»: il primo, più

spedito, è quello che nel suo tratto iniziale viene suggerito dalle Mappe catastali ottocentesche

(Mappa della Comunità di Radicofani, sezione F), che oltre lo spartiacque fanno proseguire il

tracciato in direzione della «Casa San Giorgio», per puntare poi verso Ricorsi, riallacciandosi quindi

all’attuale strada statale n. 2 (che Ricorsi si trovasse su un percorso frequentato sin dal medioevo è

testimoniato, se non altro, dalla presenza dell’edificio stesso della «Posta», d’impianto medievale,

nonché da un coevo ponticello ad unica arcata, contiguo alla costruzione). Esistono però fondati

motivi per ipotizzare un secondo tracciato che, superato il crinale, giungeva invece al fondovalle del

Vellora, altro subaffluente dell’Orcia, con un percorso più lungo che incontrava le località

«Bellavista» (quota 704) e «Forcole» (quota 962)165, due toponimi che costituiscono entrambi un

chiaro riferimento stradale. Quindi quella che attualmente non è che una mulattiera proseguiva in

direzione nord, toccando le quote 686 e 642, e immettendosi poi nella rotabile per Castiglion d’Orcia

…………………………………………

Allude probabilmente ad un nuovo percorso della via Francigena tra la val d’Orcia e val di Paglia

un altro itinerario di notevole antichità: il diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di

Munkathvera, che 1154 si dipartì dalla sua lontana isola per visitare, dapprima Roma, quindi la

Terrasanta166. Tra San Quirico d’Orcia (Klerka borg) ed Acquapendente (Hanganda borg); Nikulas

dice che «… si sale sulla montagna chiamata Clemunt; c’è un castello alla sommità di questa,

164 Cfr. CDA, I/II, in particolare i documenti nn. 157, 166, 181, 230, 200, 280. 165 Riguardo a Forcole si legge nelle già citate FATTESCHI, Memorie che anticamente in detto Selvaiolo vi fosse un

casale detto Forcole, e i coloni corrispondevano con Callemala (cfr. Repertorio, ad vocem). Dato che per Callemala

transitava la via Francigena, l’esistenza del rapporto Forcole-Callemala potrebbe essere spiegato da un collegamento

viario fra le due località. 166 Cfr. F.P. MAGOUN, the pilgrim diary of Nikulas of Munkathvera: the road to Rome, «Medieval Studies» VI 1944,

che riporta un’accurata traduzione in inglese del testo originale (in antico norvegese), pubblicato per la prima volta, con

una più approssimata traduzione in latino, da E.C. WERLAUFF, Simbolae ad Geographiain Medii Aevi ex Monumentis

islandicis, Copenaghen 1821.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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chiamato Mala Mulier, ‘Cattive donne’ come diciamo noi, dove abita gente di pessima indole». Si

è giustamente ritenuto, nonostante la scarsa somiglianza dei vocaboli, che oronimo «Clemunt» sia

stato usato per indicare Radicofani che, come vedremo, alcuni decenni più tardi verrà più

chiaramente ricordato come stazione della via via Francigena. Tale identificazione, tuttavia, lascia

irrisolto il problema del castello di Mala Mulier, che non può esser fatto coincidere con Radicofani,

in quanto nei secoli XI e XIII i documenti dell’Abbazia di San Salvatore menzionano le due località

distintamente. Sembra cero però che il «Burgo de Muliermala» fosse ubicato nella valle del

Formone: così infatti si desume dai toponimi ricordati in talune confinazioni di terre poste nei

dintorni del borgo, riportate nei documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus167. In particolare in

un documento del dicembre 1071 si parla di un fossato di Selvella, toponimo che attualmente

contraddistingue una località posta sulle pendici nord-occidentali del poggio di Radicofani.

Muliermala non doveva quindi trovarsi molto lontana dall’odierno insediamento rurale «Selvella»,

donde nasce un fosso (subaffluente del torrente Landola), che nel medioevo probabilmente prendeva

nome dall’abitato. Chissà se Muliermala non si trovasse ove è oggi la Casa «Le Conie», prossima

appunto a Selvella, oppure un poco più a nord, in corrispondenza della località «Castellare», il cui

toponimo costituisce un chiaro riferimento ad un centro abbandonato. Significativo è anche il

documento del marzo 1016, che fa menzione di una strata Rumea s(an)c(ti) Petri a Ruma il cui

tracciato, con la serra di Muliermala, serviva a delimitare i possedimenti dei quali l’atto tratta.

Il diario di Nikulas di Munkathvera può quindi costituire la più antica testimonianza di un nuovo

itinerario della via Francigena transitante per Radicofani, risultando comprensibile l’errore

dell’abate islandese, che collocò il borgo di Muliermala alla sommità del poggio di Clemunt-

Radicofani. Possiamo ricostruire di questo percorso nei suoi dettagli topografici, sulla base delle

indicazioni offerte dal territorio con i suoi caratteri morfologici e con le testimonianze e gli indizi

che esso conserva dell’antico tracciato. Procedendo da Radicofani in direzione nord la via non

doveva avere un andamento molto dissimile da quello dell’attuale strada statale n. 2, almeno sino a

«Le Conie» dove, invece di scendere a fondovalle del Formone, molto probabilmente seguiva il

percorso dell’attuale carreggiabile per Contignano, che si snoda parallelamente al torrente, ma a

quota più elevata, sul crinale delle basse colline che fungono da spartiacque con la valle dell’Orcia.

Molteplici testimonianze storico-territoriali attestano l’antichità di questa via che,

significativamente, è punteggiata da numerosi pozzi e fonti: se ne contano ben otto nel tratto

Castellare-Castelvecchio! Le località toccate dalla strada sono tutte eredi di insediamenti di notevole

antichità, ricordate nei documenti amiatini sin dai secoli X e XI168. Non solo, nella maggior parte

dei casi esse conservano anche le strutture architettoniche di edifici medievali (ad esempio a

Castelvecchio e a Perignano), oppure tracce più o meno consistenti di circuiti murari (ad esempio a

Poggio a Reggiano e a Castelvecchio).

Dopo «Le Conie» la strada si mantiene per almeno cinque Km. a quota pressoché costante (circa

590-600 metri), incontrando la Casa Poggio Bandinelli, nei cui immediati dintorni si trova il già

ricordato «Castellare» e poi il Poggio a Reggiano169.

Quindi, abbandonata la moderna carreggiabile per Contignano170, inizia a degradare dolcemente

verso il fondovalle del Formone, transitando per la località «Riposo», il cui toponimo costituisce un

167 CDA, II, nn. 248, p. 125 e 289, p. 224 (i due documenti risalgono, rispettivamente, al marzo 1016 ed al dicembre

1071). In un altro atto, del febbraio 1107, si ricorda un senodochio, quod est edificatum in burgo, qui dicitur Muliermala

(cfr. CDA, II, p. 296). 168 Cfr. CDA, passim e Repertorio, pp. 360-361. 169 Poco prima di Poggio a Reggiano, una strada (oggi ridotta a sentiero) raccordava il nostro percorso con Ricorsi, sul

fondo valle del Formone. Il toponimo ‘Riscatto’, derivato dal latino volgare «rexcaptare», intensivo di ‘captare’, potrebbe

riferirsi alla possibilità di collegamento con il percorso di fondo valle della via Francigena che qui veniva offerto. Un’altra

strada, che tuttora conserva tracce di selciato, si diparte da ‘Casa Reggiano’ e, con un percorso più lungo, raggiunge

egualmente Ricorsi. 170 Attualmente la strada prosegue in direzione di Contignano, per poi spostarsi verso est e dar luogo a due tracciati che

conducono, rispettivamente, a Spedaletto e a Castelluccio di Pienza (cfr. Carta d’Italia, Foglio 129, tavoletta I SO e Foglio

121, tavoletta II SO.)

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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evidentissimo riferimento all’esistenza, in passato, di una struttura ricettiva. Oltre «Riposo» la strada

si dirigeva verso Castelvecchio, ove dovevano essere previste possibilità di collegamento con il più

antico percorso della Francigena. Da Castelvecchio, infatti, si poteva giungere senza grandi difficoltà

a «Le Briccole», previo attraversamento del Formone, oppure, proseguendo oltre, giunti in

prossimità della confluenza del Formone con l’Orcia, era anche possibile arrivare a Spedaletto, il

celebre punto di sosta sulla Francigena ricordato dal 1236 come dipendenza dello spedale della Scala

di Siena171. Un altro toponimo in rapporto con la viabilità (la località «Palazzolo») potrebbe

suggerire in questo secondo caso l’ubicazione dei punti di attraversamento del Formone e dell’Orcia,

oggi uniti da una semplice mulattiera il cui proseguimento si innesta nella moderna carreggiabile

che conduce a Spedaletto.

Oltre Radicofani la strada medievale, a differenza dell’attuale strada statale n. 2 (Oggi S.R. n.

2 che non passa più da Radicofani ma dalla valle del Paglia), raggiungeva il fondovalle

del Paglia molto più a sud, con un tracciato che viene riproposto dalla via comunale che conduce a

Ponte al Rigo. Ne risulta un percorso che affronta la salita di Radicofani mantenendosi lungo la linea

spartiacque tra i torrenti Paglia e Rigo. Anche in questo caso la toponomastica contribuisce ad

avvalorare la nostra ipotesi con la presenza, poco a nord di Ponte al Rigo, della località «La Novella»,

il cui toponimo evidentemente nacque in riferimento al nuovo tracciato, e «Baccanello», dal

significato di posto di ristoro. Del resto che la strada medievale transitante per Radicofani

proveniente da sud evitasse il fondovalle del Paglia è attestato dalle fonti cinquecentesche, tra le

quali è un bel disegno della fine di quel secolo, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, da

noi recentemente pubblicato172.

Anche se il più antico percorso che risaliva il corso del Paglia non venne abbandonato (tanto che

il suo uso, abbiamo visto, è ancora documentato nel XVI secolo, come attestano le testimonianze

del Montaigne e del Buchellius), il passaggio per Radicofani a partire dal dalla fine del XII secolo

sembra preferito dai viaggiatori, forse proprio perché permetteva di sostare in una «terra forte e

populata» che rappresentava una garanzia di sicurezza.

Il primo esplicito riferimento a Radicofani come «stazione» della via Francigena si ha

nell’itinerario del re di Francia Filippo Augusto, di ritorno dalla terza Crociata, nel 1192: …deinde

per Ekepenndasnte, deinde per Redcoc, deinde per la Briche, deinde per San Clerc …Chiaramente

viene indicato il nuovo percorso Acquapendente-Radicofani-Le Briccole-San Quirico d’Orcia173.

Alcuni decenni più tardi, nell’anno 1253, anche l’arcivescovo di Rouen, Eudes Rigaud, che ritornava

alla sua sede episcopale, annoterà: …apud Aquam pendentem, apud Radicophanum, apud Sanctum

Quiricum…174.

Divenuto centro di transito e di controllo strategico della via Francigena, Radicofani accentuerà

la sua importanza nel 1442, quando intervennero i senesi col dare ordine che la strada romana (….)

non si facesse per la valle del Paglia175. Si affermerà così il moderno tracciato della via, che

determinò il lento abbandono dei percorsi medievali, oggi sopravvissuti solo per taluni tratti o in

labili tracce che il territorio tenacemente conserva.

ROMANICO NELL’AMIATA (ARCHITETTURA RELIGIOSA DALL’XI AL XIII

SECOLO) – AA.VV. – Editore Arti Grafiche Giorgi § Gambi – Firenze – Ottobre 1990. (A cura di Italo Moretti)

Pag. 13 e seg.

171 Cfr. Repertorio, p. 352. 172 ASF, Piante Possessioni 4, (pubblicato in A.A.V.V., La via Francigena nel senese. Storia e territorio, Firenze 1985). 173 Cfr. BENEDICT VON PETERBOROUGH, MGH SS, Ex gestis Henrici II et Ricardi I, XXVII, p. 131, Hannoverae

1885. 174 Cfr. Th. BONNIN (a cura di), Registrum visitationis archiepiscopi Rothomagensis, Rouen 1852, pp. 176-186. 175 Cfr. O. MALAVOLTI, Dell’historia di Siena cit., p. 31 (parte III).

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BREVE STORIA DEL MONTE AMIATA FINO AGLI INIZI DEL DUECENTO –

DEFINIZIONE E VICENDE DI UNA TERRA - Wilhelm Kurze -

PREMESSA

Il concetto di Monte Amiata è usato qui per indicare una zona che può essere definita soltanto

storicamente. Essa non ha confini geografici naturali, ma confini determinati dal crescere insieme,

durante i secoli del Medioevo, di piccole unità geografiche tra loro molto diverse.

Ha però senso designare con un concetto geografico questa formazione storica. Il massiccio

montuoso che si eleva dalla pianura della Maremma, sopra le colline circostanti, fino a 1738 metri

di altezza era ed è il punto di riferimento visivo di questa regione. Il monastero di San Salvatore,

l’istituzione che per secoli ha largamente determinato la storia e i destini della zona, definì di

conseguenza a pieno diritto la sua posizione con il nome: Monte Amiata.

Situata nel territorio di Chiusi, la zona intorno al Monte Amiata aveva una posizione speciale. Il

suo punto di riferimento non era la lontana Chiusi, che come centro amministrativo era relativamente

insignificante, ma il centro di potere al Monte Amiata rappresentato nell’alto Medioevo dal

monastero di San Salvatore. Il grande possedimento demaniale al Monte Amiata, separato con la

fondazione della curtis regia di Chiusi imboccò proprie vie di sviluppo. Il vescovo di Chiusi, che si

trovava in una posizione di debolezza, non riuscì ad imporre la propria autorità ai monasteri di San

Salvatore e di Sant’Antimo nella valle dello Starcia, situati nella parte occidentale della sua diocesi.

Essi affermarono anzi la loro indipendenza.

La zona, che storicamente gravitava intorno al Monte Amiata e al monastero di San Salvatore

posto sulle sue pendici orientali ad un’altezza di 800 metri, ad occidente include Arcidosso e

raggiunge, attraverso le valli dell’Ente e dello Zancona, gli accentuati rilievi sui quali si trovano oggi

le località di Monticello e Montelaterone. A nord-ovest va fino a Montenero sulle pendici

meridionali della val d’Orcia. Questa riva dell’Orcia viene raggiunta anche a nord con Campiglia e

Castiglione. A nord-est il margine della zona si trova all’incirca sulle colline a destra della valle del

Formone con Contignano e lo scomparso paese di Reggiano. Ad est è inclusa la valle del Paglia e le

alture situate ad est, tra le quali il possente massiccio roccioso di Radicofani che ha una posizione

dominante. La zona s’estende poi oltre il Rigo e comprende l’area intorno allo sbocco di questo

fiume nel Paglia. È inclusa la riva sud del Senna e il territorio di Piancastagnaio.

Questa area relativamente chiusa è interrotta in due punti. Una volta a sud, dove nella zona di

Santa Fiora una concentrazione di possedimenti degli Aldobrandeschi s’insinua nell’ambito chiuso

soggetto all’influenza del monastero. Questa concentrazione di potere della nobile famiglia nel XII

secolo fece sentire la sua influenza anche in Arcidosso e anzitutto nella zona di Castel del Piano e

rese problematica l’organizzazione di questo territorio da parte dell’abbazia. A nord si può constatare

l’esistenza di un secondo ostacolo per la creazione di un ambito compatto d’influenza del monastero

di San Salvatore intorno al Monte Amiata. Da quella parte l’abbazia non riuscì ad estendere la sua

autorità al di là del fiume Orcia. Anche ciò trova spiegazione in una situazione storica e non nella

conformazione geografica. Qui l’area d’influenza del monastero di San Salvatore confinava con

quella dell’abbazia sorella di Sant’Antimo nella valle dello Starcia. Qui era Sant’Antimo che poté

estendere la sua zona d’influenza ampiamente verso il Monte Amiata, incuneandosi così per molti

secoli in un territorio altrimenti relativamente omogeneo.

Questa situazione con la concatenazione delle aree d’influenza ci offre per così dire la prova

speculare del fatto che le antiche abbazie dell’Impero ebbero un ruolo decisivo nello sviluppo delle

strutture storiche di questa zona a partire dall’alto Medioevo.

I. ETRUSCHI E ROMANI

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La situazione che abbiamo delineato vale per il Medioevo, non per la Preistoria, per il periodo

etrusco e quello romano. Le più antiche testimonianze di insediamenti nella zona intorno al Monte

Amiata qui considerata li troviamo sulle pendici nord e nord-ovest del massiccio montuoso.

Ritrovamenti preistorici provengono da aree d’insediamento che s’estendono dalla val d’Orcia fino

al territorio dell’attuale Castel del Piano. Per quanto riguarda gli insediamenti etruschi siamo

informati soprattutto dai toponimi. Anche se i linguisti non sono ancora d’accordo nell’identificare

le componenti etrusche, si può però dimostrare che la penetrazione degli Etruschi nelle zone già

popolate durante la Preistoria, in alto sopra le valli dell’Ente e dello Zancona, deve aver avuto luogo

a partire dal fiume Orcia, il cui nome è probabilmente etrusco. (A Radicofani vedi il Pistoi e vedi le novantadue statuine etrusche che si trovano nel Museo Etrusco di Firenze e a Perugia- vedi Carta Archeologica della provincia di Siena – Vol. VII!).

I Romani occuparono il territorio già organizzato dagli Etruschi. Essi non hanno probabilmente

potenziato in misura notevole la colonizzazione di questa regione, ma hanno soltanto intensificato

lo sviluppo interno delle zone di cui presero possesso.

Un santuario di Giove consente forse di identificare una struttura ed un’organizzazione più

solida, ma finché non abbiamo il conforto di prove archeologiche, ciò deve rimanere una

supposizione.

Sulle pendici orientali del Monte Amiata vediamo qualcosa di più chiaro. I saggi di archeologia

di superficie di recente compiuti nella valle del Paglia hanno fornito risultati – anche se soltanto

provvisori – che consentono un primo tentativo d’interpretazione. I ritrovamenti indicano che la

colonizzazione etrusca, anche qui risalendo il fiume, non è penetrata fino al corso superiore del

Paglia. Resti etruschi sono documentati fino alla zona della valle ancora molto aperta, all’incirca

presso Voltole.

Probabilmente anche qui come sulle pendici occidentali i Romani hanno intensificato la

colonizzazione degli antichi insediamenti di cui entrarono in possesso, ma soltanto raramente la loro

attività si estese ai lati della valle, risalendo a monte. Ciò è dimostrato dai ritrovamenti che sono

numerosi negli antichi insediamenti, mentre sono scarsi al di sopra di queste località. I ritrovamenti

concentrati in un punto di particolare significato nel corso superiore del Paglia e in un luogo posto

sullo spartiacque con la valle del Formone probabilmente dimostrano che qui la presenza romana è

da collegarsi con la costruzione e l’organizzazione di una nuova strada attraverso le valli del Paglia

e del Formone. I grandi spazi privi di ritrovamenti nel corso superiore del Paglia provano

chiaramente che non ebbe luogo alcuna successiva colonizzazione della valle che avrebbe dovuto

partire all’incirca dalla zona intorno all’attuale Voltole, ma che forse piuttosto si formarono o furono

create in quel tempo in certi punti delle stationes per la sosta e l’organizzazione della nuova strada.

Ricapitolando si può dunque con buona probabilità affermare questo: in epoca etrusca e romana

la colonizzazione è concentrata soprattutto sul lato nord-ovest e in val d’Orcia sul lato nord del

Monte Amiata.

Già in questo periodo essa raggiunse qui la zona che si trova tra i 600 e i 900 metri di altezza,

dove, tutt’intorno al monte, sgorgano copiose sorgenti, la zona dunque in cui poi, durante il

Medioevo, si svilupparono le località più importanti e più popolose ad occidente e ad oriente del

Monte. La parte meridionale delle pendici occidentali in epoca romana non fu compresa in questa

colonizzazione nella valle del Paglia fino alla zona di Voltole e gli insediamenti in punti scelti lungo

la strada in questa valle.

II. I LONGOBARDI III.

L’apertura di una strada attraverso la valle del Paglia e del Formone, una variante della via Cassia,

in età romana doveva avere per la zona intorno al Monte Amiata delle conseguenze per il futuro, che

però allora non potevano essere previste.

La conquista longobarda mutò i rapporti politici di potere nell’Italia settentrionale e centrale, che

portò come conseguenza al coesistere, fianco a fianco, di territori soggetti rispettivamente ai

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Bizantini e ai Longobardi. Ciò comportò necessariamente una riconsiderazione dell’importanza di

molti antichi collegamenti stradali romani ancora esistenti nel Medioevo. La politica promossa e

portata avanti energicamente e con successo dal re Liutprando, nella prima metà dell’VIII secolo,

volta a collegare più stabilmente la Toscana con l’Austria e la Neustria, portò anche ad una radicale

rivalutazione della strada che, attraverso il passo della Cisa nuovamente sistemato, portava a Lucca

e da questo centro del potere longobardo, attraverso la Toscana, conduceva a Roma. Sotto

Liutprando e i suoi successori Ratchis e Astolfo, venne anzitutto organizzata questa strada mediante

un sistema di monasteri riorganizzati o di nuova fondazione.

È da vedere in tale contesto la scelta del luogo in cui fu fondato il monastero di San Salvatore,

sopra la valle del Paglia. Era compito dell’Abbazia quello di occuparsi del tratto di strada più tardi

chiamata via Francigena, che attraverso l’insellatura tra il Monte Amiata e Radicofani portava nella

valle del Paglia. Erfo, il collaboratore dei re fratelli Ratchis Astolfo, come questi di nobiltà friulana,

ottenne per la fondazione da lui prima organizzata e poi guidata come abate l’assegnazione nella valle

del Paglia di beni e di persone per i quali in precedenza era responsabile la curtis regia di Chiusi, e

che poi furono amministrati dal nuovo monastero di San Salvatore.

VII. IL XII SECOLO

Nel XII secolo le città cominciarono ad estendere il loro potere, ottenendo l’egemonia sopra il

contado e le zone d’interesse adiacenti. Le città rappresentavano concentrazioni demografiche che

nel proprio interesse cercavano di aumentare. Esse vivevano di attività artigianali e di commercio.

Per queste due attività era essenziale una rete stradale funzionale e sicura. Bisognava procurare

viveri per la numerosa popolazione e per il commercio era necessaria una viabilità che collegasse

con paesi lontani.

L’ampliamento delle strade era un problema finanziario che la forza economica delle città sapeva

superare poiché economia e trasporto dei prodotti erano strettamente connessi tra loro. Più

problematico era garantire la sicurezza delle strade.

L’insicurezza derivava soprattutto dalle tensioni e dalle faide delle famiglie nobili del contado in

lotta tra loro o perfino con gli abitanti delle città. L’autorità regia, che sarebbe dovuta intervenire qui

some autorità dello Stato ad appianare i contrasti, nella prima metà del XII secolo, come già alla fine

dell’XI, era debole in Italia e i re erano raramente presenti. Di conseguenza le città stesse si assunsero

l’onere di adempiere all’esigenza per loro vitale di rendere sicure le strade e le loro zone d’interesse,

assoggettando la nobiltà del contado.

Perciò non meraviglia vedere che Siena in quest’epoca s’occupa politicamente e militarmente

della via Francigena sia nel tratto a nord sia in quello a sud della città. A nord i suoi interessi

cozzavano già presso Poggibonsi con quelli di Firenze, rivale per lo meno coetanea e ponevano limiti

agli sforzi di Siena. A sud bisognava però rendere sicura la via Francigena fino allo Stato della

Chiesa e garantire il collegamento con la Maremma, importante per l’approvvigionamento della sua

popolazione. L’antica Chiusi non aveva più un grande potere, la nuova Grosseto non l’aveva ancora.

Non erano nemici da prendere sul serio. Più forti erano gli Aldobrandeschi.

La condotta di Siena nel corso del tempo si conformò a queste situazioni. Nel 1139 una parte di

Radicofani fu donata dai nobili Manenti al vescovo di Siena in qualità di rappresentante della città.

È difficile credere che tale “donazione” sia stata fatta senza pressioni da parte di Siena. Nel 1145 un

esercito della città comparve di fronte all’abbazia di San Salvatore. Lottando era penetrato nel

territorio del monastero, perché Siena chiese all’abate e ai suoi fideles di giurare di non esigere alcun

indennizzo ed estorse al monastero diritti su Radicofani. Nel 1151 poi venne costretta Grosseto, che

dopo il trasferimento della sede vescovile di Roselle nelle sue mura (1138) cominciava a svilupparsi

in maggior misura, a fare delle concessioni.

Vediamo qui gli inizi di uno sviluppo che trasformò la zona intorno all’Amiata da un importante

centro di potere del vescovato di Chiusi, sul quale il vescovo non riuscì mai ad affermare la sua

autorità, in una zona marginale dell’area d’influenza di Siena. Questo sviluppo, le cui conseguenze

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determinano ancora oggi la situazione intorno al Monte Amiata, nel XII secolo non era naturalmente

ancora prevedibile, c’erano anzi segni di miglioramento.

Nella seconda metà del XII secolo, sotto i sovrani svevi Federico Barbarossa e suo figlio Enrico

VI, il potere regio si rafforzò ancora una volta. Barbarossa cominciò, a partire dalla sua prima

spedizione in Italia negli anni Cinquanta, a comporre energicamente un inventario dei diritti

dell’Impero e delle proprietà demaniali in Italia. Gli riuscì riottenere molti di questi beni appartenenti

allo Stato, sottratti da diverse autorità. I diritti e le proprietà accertate furono fissati per scritto. Su

questa base l’importante cancelliere Rainaldo di Dasseln poté consolidare il potere imperiale in

Toscana e iniziare l’organizzazione di un’amministrazione demaniale.

Alla base della politica imperiale c’era l’idea di riconoscere in larga misura l’autonomia delle

città, ma di limitare la loro influenza ad una zona che in ogni singolo caso venne fissata in alcune

miglia intorno alle mura. Il territorio doveva però essere dominato dai nobili e dai monasteri. Le

estese proprietà demaniali residue o recuperate furono organizzate sotto una propria

amministrazione statale costituita in parte da tedeschi. Per la zona dell’Amiata divenne responsabile

il castello imperiale di San Quirico d’Orcia.

La perdita dell’esercito, causata da un’epidemia alle porte di Roma (1167) e la conseguente

ritirata del Barbarossa al di là delle Alpi, la morte di Rainaldo, ridussero a niente tutto ciò che era

stato costruito. Poiché venne a mancare il potere dell’Impero, ordinatore e garante di pace, i poteri

locali dovettero cercare di nuovo di raggiungere un equilibrio tra di loro. La nobiltà non riuscì più

ad imporsi sulle città, nemmeno quando dopo il 1177 fu appoggiata dall’arcicancelliere Cristiano di

Magonza, rappresentante dell’imperatore. Si era tornati, più o meno, alla situazione anteriore

all’intervento del Barbarossa, nella prima metà del XII secolo.

Come mostrano alcuni documenti sovrani degli anni ’60 e ’70 a destinatari toscani, nonostante

tutto Federico non ha mai rinunciato agli antichi diritti dell’Impero. Nella pace di Costanza (1183)

l’imperatore dovette riconoscere sì l’autonomia conquistata dalle città, ma riuscì a conservare la

sovranità e molti diritti fiscali dell’Impero. Questo trattato offrì i punti di partenza per una ripresa in

Toscana, i primi sintomi della quale sono riconoscibili nella sesta spedizione in Italia di Federico I

(1184 – 1186). Per le lamentele dei nobili le contee furono in gran parte tolte di nuovo alle città.

Barbarossa privilegiò nobiltà, vescovati e monasteri e li investì di diritti sovrani.

Modello per la ripresa era evidentemente il principio di ordine degli anni ’60. Seguendo questo

Enrico VI completò poi l’impostazione di suo padre mediante la riorganizzazione di un’efficiente

amministrazione demaniale che, in caso di necessità, poteva aiutare la nobiltà contro il potere delle

città. Per Enrico dopo il matrimonio con Costanza, figlia di Ruggero II, era diventato ancora più

importante tenere saldamente in mano la Toscana come regione di transito.

La zona intorno all’Amiata, dopo aver respinto le pretese di Siena, rimase quasi non toccata da

tutti questi sviluppi. Probabilmente il monastero di San Salvatore non fu riaccorpato alle proprietà

demaniali. Nel 1164 l’imperatore confermò a Ildebrando, conte degli Aldobrandeschi, i suoi beni

come distretto di immunità. Da tali distretti, di cui allora in Toscana facevano parte, per fare qualche

esempio, anche quelli dei beni dei Guidi, degli Alberti e dei Malaspina, più tardi quelli dei Manenti

di Sarteano e degli Ubaldini, l’impero si ritirò e li riconobbe come zone chiuse di dominio, anche se

sotto la sovranità imperiale. Per rafforzare il potere degli Aldobrandeschi venne probabilmente

affidato a questa famiglia il monastero di San Salvatore. Ciò è coerente con la politica favorevole

alla nobiltà portata avanti dal Barbarossa e viene confermato dal fatto che questo imperatore, di cui

sono conservati in gran parte di diplomi a favore di destinatari toscani, non emanò mai un documento

per San Salvatore. Perciò l’influenza degli Aldobrandeschi intorno all’Amiata rimase per il momento

immutata.

Con l’organizzazione della sua amministrazione demaniale Enrico VI è poi intervenuto in questa

situazione. Il centro amministrativo per i possedimenti demaniali intorno all’Amiata fu di nuovo

stabilito in San Quirico d’Orcia che Siena aveva usurpato per qualche tempo. Nell’anno 1194 Enrico

per la prima volta ha di nuovo concesso al monastero di San Salvatore un privilegio che fissava

chiaramente la posizione giuridica dell’abbazia come Reichskloster. Con questo vennero respinte

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anzitutto le pretese avanzate nel XII secolo dalla Curia Romana sull’abbazia, ma mutò anche la

posizione del monastero nei confronti degli Aldobrandeschi. Da questo momento in avanti soltanto

il Papa e l’Imperatore si contesero l’influenza sull’abbazia.

Mediante questa riforma dei rapporti di potere intorno all’Amiata si pose un freno anche alla

spinta espansionistica di Siena in questa zona.

Dopo l’inaspettata, precoce morte di Enrico VI (1197) le potenze della Toscana cercarono di

evitare una nuova lotta di tutti contro tutti. Una lega doveva sostituire la forza equilibratrice

dell’Imperatore che era venuta a mancare. Fanno parte di questa lega toscana accanto alle grandi

città anche i conti Guidi e gli Aldobrandeschi. Siena era perciò frenata anche da ciò nella sua attività

al Monte Amiata e lasciò la zona d’influenza all’amica Orvieto. All’inizio del XIII secolo vediamo

dunque di nuovo il Monte Amiata esposto a due potenze in confronto: gli Aldobrandeschi ad ovest

e la città di Orvieto ad est. Fu la potenza della città di Siena che nel corso del XIII secolo riunì infine

di nuovo sotto il suo dominio la zona intorno all’Amiata. Ma questo sviluppo si trova già al di fuori

dei confini cronologici che ci sono stati assegnati.

VIII. GLI INSEDIAMENTI (Pag. 32)

Nel corso dei grandi mutamenti politici che abbiamo tratteggiato la storia della colonizzazione

del Monte Amiata ebbe un ruolo importante. Entrambi gli sviluppi si sono condizionati

reciprocamente e almeno la velocità dei mutamenti politici fu largamente dipendente dalle

trasformazioni della struttura di colonizzazione.

Nell’VIII secolo presumibilmente ancora grandi porzioni della zona intorno al Monte erano

coperte dalla foresta vergine, naturalmente ad eccezione delle aree degli antichi insediamenti. Nel

IX secolo la bonifica promossa dal monastero penetrò già notevolmente in questi territori boschivi.

Nel X secolo in molti punti ad ovest del Monte Amiata e nella valle del Paglia compaiono curtes

padronali circondate da una cerchia di fattorie dipendenti, site probabilmente in gran parte su terreno

dissodato nel frattempo.

Quando poi, nella seconda metà del X secolo, la posizione di partenza della nobiltà, favorita dal

re e a danno del monastero di San Salvatore, per il dissodamento del territorio in proprio migliorò

notevolmente, essa non avrà mancato di sfruttare il momento favorevole. Non possiamo purtroppo

documentare questa parte dell’attività economica nel suo sviluppo poiché gli archivi gentilizi sono

andati perduti, ma il risultato nell’XI secolo dimostra che questi sforzi ci sono stati – anzitutto degli

Aldobrandeschi. Non tutto ciò che essi possedevano intorno al Monte Amiata potevano averlo

strappato al monastero di San Salvatore o averlo acquistato; gran parte dei loro possedimenti deve

essere il frutto di una propria attività di dissodamento. Una coltivazione intensiva della terra dette

loro la possibilità di creare più ampi complessi di proprietà indipendenti che, come nel resto

dell’Europa, così sicuramente anche qui furono importanti punti di partenza per la costituzione del

dominio dei nobili. Ampliati poi mediante diritti statali usurpati o concessi dal re, essi divennero i

territori soggetti al loro dominio.

Simbolo evidente del potere divenne il castello. Non deve pertanto stupire che l’epoca in cui la

nobiltà ristruttura le proprie famiglie e ne estende le aree di proprietà e d’influenza, sia anche quella

nella quale sorsero molti castelli, l’inizio dell’“incastellamento”.

La coincidenza cronologica di un “boom” di costruzioni di castelli e di un’ondata di monasteri di

famiglia mostra che il processo di costituzione del dominio di piccole strutture aristocratiche era il

punto di partenza per ambedue i fenomeni. Essi disegnano questo processo su due lati: la dignità e

il prestigio di una famiglia furono documentati e favoriti mediante il monastero di famiglia, segno

visibile di potere e dominio fu il castello.

I castelli dei nobili, che nel loro sorgere esprimevano in senso simbolico e reale il potere del loro

proprietario, si trasformarono nel corso del tempo mediante l’accumulazione di diritti di proprietà e

di dominio in centri di potere. Nel corso di questo processo essi esercitarono un forte richiamo sulle

popolazioni che abitavano sparpagliate nei dintorni, le quali abbandonavano le loro residenze e si

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

68

trasferirono nei castelli. Questo processo spopolò il territorio a favore dei castelli. Ciò si verificò

nella nostra zona verso la fine del XI secolo e nel XII. All’inizio del XIII secolo, al Monte Amiata,

come anche in altre regioni d’Italia, ci troviamo di fronte ad una situazione di insediamento del tutto

diversa da quella dei secoli precedenti. La popolazione si concentrava ora in oltre 20 castelli, 15 dei

quali sopravvissero nel tardo Medioevo. Ancora oggi è riconoscibile nella struttura dagli

insediamenti della zona intorno all’Amiata la tendenza alla concentrazione della popolazione in

pochi punti, ma ora soltanto come tendenza non più esclusivamente come nel XIII secolo.

EPILOGO

Proprio negli ultimi anni, in molti Comuni che si trovano più o meno distanti intorno al Monte,

si sviluppa con la Comunità Montana un nuovo sentimento di appartenenza al Monte Amiata. Per

tutti vi sono anche motivi storici che possono documentare una tale appartenenza, ma non tutte

queste tracce possono risalire fino al XII secolo o ancora più indietro. Qui possono essere citate

soltanto le zone che si raggrupparono intorno al Monte Amiata nell’alto Medioevo e nel Medioevo

centrale formando un paesaggio storico che anche se non era compatto era però più o meno

delimitabile.

Il monastero di San Salvatore e poi gli Aldobrandeschi organizzarono questa zona e le dettero

un’unità che per lungo tempo è stata poi lacerata dalla divisione in due provincie: Siena e Grosseto.

La struttura della Comunità Montana sembra adatta a sviluppare qui di nuovo un più profondo

sentimento di appartenenza al medesimo ceppo. Il Monte Amiata era un tempo zona di confine del

Regnum Italiae con lo Stato della Chiesa e si trovava assai lontana dai centri comunali. Spesso la

zona ebbe a soffrire a causa di questa posizione, ma ne ebbe anche dei vantaggi.

Oggi l’Amiata non è più come un tempo zona di confine in senso politico. La distanza dai grandi

centri è rimasta. Oggi vale di nuovo la pena di sfruttare questa distanza per il futuro, di riconoscerne

l’importanza e di saperla utilizzare nel nuovo sistema di valori che si profila.

MONASTERI, PIEVI, CHIESE DI VILLAGGIO E DI CASTELLO

NEL TERRITORIO AMIATINO DEL MEDIOEVO. Mauro Ronzani.

1. Per chi intenda ricostruire i tratti essenziali dell’organizzazione ecclesiastica medioevale del

territorio amiatino, considerandola dal punto di vista delle strutture d’esercizio del ministero

pastorale, ragion d’essere della Chiesa stessa, il privilegio rilasciato nel 996 da papa Gregorio V

all’abate di San Salvatore offre – ad un tempo – una prima occasione di verifica e il punto ideale di

partenza per osservare i grandi sviluppi maturati nel secolo XI. Il 27 maggio del quell’anno, oltre

ad accogliere il cenobio sotto la protezione della Sede Apostolica, il pontefice gli confermò infatti il

diritto d’esigere «le primizie e le decime» dei suoi dipendenti, e soprattutto consentì che il sacrum

baptisterium venisse amministrato nelle chiese monastiche di San benedetto e di Santa Maria di

Làmula176. Questi due edifici culturali, situati su versanti opposti del Monte, ci sono noti sin dai

primi decenni del secolo IX come cellae, ossia filiali del monastero amiatino, a loro volta collegate

con aziende agrarie di tipo curtense: così, assai chiaramente, per la cella S. Benedicti (posta allora

presso il Monte Bocéno, al di là del torrente Senna), cui corrispondeva la curtis detta “del Paglia”;

mentre Santa Maria in Lamulas, pur preceduta nella val d’Ente dall’altra cella di Santo Stefano di

“Monticlo” (che appunto «comprendeva all’incirca le più tarde zone di colonizzazione di

Montelaterone, Lamula e Arcidosso»), assurse fra il IX e X secolo a vero centro amministrativo di

176 Codex diplomasticus Amiatinus. Urkundenbuch der Abtei S. Salvatore am Montamiata von den Anfängen bis zum

Regierungsantritt Papst Innozenz III. (736 – 1198), a cura di W Kurze, I –II, Tubingen 1974 – 1982, nr. 213, pp. 37 – 40

(in seguito si citerà semplicemente: CDA, con il nr.).

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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questa porzione del territorio amiatino (dov’era pure la curtis di “Mustia”)177. Un secolo ancora, ed

ecco che il privilegio del pontefice giunse a sanzionare un uso probabilmente antico, riconoscendo

a Santa Maria e a San Benedetto lo status di chiese battesimali, riservato di norma – in virtù d’un

principio plurisecolare – a chiese direttamente sottoposte al vescovo competente per territorio

(l’Ordinario diocesano), che di tanto in tanto le visitava per impartire personalmente il sacramento

della confermazione a quei fedeli, abitanti nei luoghi circonvicini, che già vi avevano ricevuto il

battesimo e vi si raccoglievano nei giorni più solenni dell’anno liturgico.

Non così, come abbiamo visto, per le popolazioni delle alte valli dell’Ente e del Paglia; e anche

il fatto che il pontefice, nel 996, consentisse ai monaci di San Salvatore di procacciarsi il crisma e

l’olio santo (necessari per la consacrazione dell’acqua battesimale e per altri usi liturgici) «da

qualunque vescovato volessero o potessero», suonava come un riconoscimento della posizione

particolarissima del cenobio, impiantato al confine delle due diocesi di Chiusi (entro i cui confini

propriamente si trovava la sede abbaziale) e di Sovana, e detentore in tale zona di ampi diritti sulle

terre, e sugli uomini che su di esse vivevano. Tanto più che fra Santa Maria di Lamula e San

Benedetto – ovverosia sull’Amiata vera e propria – non v’è traccia, in questi primi secoli d’esistenza

del monastero, di chiese battesimali vescovili o “pievi” (plebes), come si denominavano

abitualmente sin dal principio del secolo VIII, quando esse erano pur già alquanto diffuse non molto

più a nord del nostro Monte, nella Valdorcia oggetto della famosa disputa fra i vescovati di Siena e

d’Arezzo178. Ed è solo grazie al documento di San Salvatore che, nel pieno secolo XI, riusciamo a

cogliere la presenza di un reticolato di plebes vescovili chiusine fra la val di Paglia e la val d’Orcia:

quando, cioè, le “carte di donazione” individuano i singoli appezzamenti di certi grandi complessi

fondiari «entro il piviere di Santa Maria in Campo», o infra plebe S. Filici (non lontano da Castiglion

d’Orcia), infra plebe S. Filipi (Bagni San Filippo), S. Donati siti Radicofani, e così via179.

Con questi ultimi pivieri (oltre che, forse, con quello di Santa Maria presso l’odierna San

Casciano dei Bagni) confinava il territorium de plebe Sanctti Benedicti, sito monte Amiato,

menzionato in un documento del 1032, che ci mostra come il raggio d’attrazione del fonte

battesimale dell’antica cella monastica – spostatasi ora probabilmente al di qua del Senna, in

posizione più elevata sulle pendici del Monte – giungesse fino a “Callemala”, scomparso

agglomerato posto sul tracciato della via Francigena, e localizzabile «al punto di confluenza dei

principali rami sorgentiferi del Paglia (i torrenti Vascio, Cacarello e Pagliola»180. Un “territorio”

molto ampio, dunque, e punteggiato di casalia, di loca e di vocabula: ossia d’insediamenti sparsi e

di piccole dimensioni, e poco o per nulla fortificati, ma dotati d’una propria chiesetta, come

l’ecclesia et oratorium di Santa Cristina in Callemala, o la chiesa di San Pietro del lontano burgus

di Voltole, e la San Cassiano posta nella villula omonima181.

177 Cfr. la puntualissima ricostruzione di W. KURZE, La storia delle chiese intorno alla pieve di S. Maria in Lamula fino

alla fine del XII secolo, in Le chiese di Arcidosso e la pieve di Lamula, a cura di C. Prezzolini, Siena, Periccioli, 1985,

pp. 17 – 30, ora anche W. KURZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici,

archeologici, genealogici, giuridici e sociali, Siena, Ente Provinciale per il Turismo, 1989, pp. 375 -390 (in particolare:

pp. 376 – 380; in seguito ci riferiremo sempre a questo volume). 178 Cfr. A. MARONI, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo-Siena-Chiusi (dalle origini al

secolo VIII), Siena, Cantagalli, 1973 (specialmente le pp. 141 – 216, mentre non siamo d’accordo con l’A. quando, a p.

219, sostiene che l’elenco delle pievi chiusine, contenuto nel privilegio papale del 1191 che fra poco menzioneremo,

«riflette un’organizzazione ecclesiastica del territorio chiusino, che si è mantenuta sostanzialmente integra dal IV-V

secolo quando le pievi vennero fondate»). 179 Cfr. ad esempio i documenti del maggio 1067 e del gennaio 1075, citati alle n. 179. 180 CDA, nr. 268; e per la localizzazione di “Callemala”, cfr. ora S. MAMBRINI e R. STOPANI, L’evoluzione del

tracciato della via Francigena tra la val d’Orcia e la val di Paglia, in L’Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata.

Documenti storici-architettura-proprietà, a cura di W. Kurze e C. Prezzolini, Firenze, All’Insegna del Giglio, 1988, pp.

27. 38. Nel 1075, in un altro documento si trova la nuova indicazione infra plebe S. Benedicti, sito Uillamagna: CDA, nr.

296. 181 CDA, nr. 210 (995 agosto13) e 230 (1009 aprile) per Santa Cristina di Callemala; nr. 214 (1000 novembre 22) per San

Pietro sito burgo de Uoltiole, e nr. 218 (1002 novembre) per San Cassiano (definita villula nel documento databile ante

1084 marzo 31).

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2. Questo numero si tralascia in quanto di Radicofani non c’è nessun riferimento e si continua con il numero 3.

3. Dall’altra parte dell’Amiata, nell’alta val di Paglia, avevamo lasciato la situazione così come si presentava nel secolo XI, con l’ampio piviere di San Benedetto esteso fino al burgus di Callemala, oltre il quale era il confine con i

distretti battesimali di San Donato sito Radicofani e di San Filippo. Ma anche qui, verso la metà del secolo successivo, partì un vistoso processo di ristrutturazione

territoriale e insediativa, che condusse innanzitutto a collegare Callemala al castrum di Radicofani alquanto asceso d’importanza (e dotato di lì a poco della “propria” pieve

di San Giovanni, erede della vecchia e obliterata San Donato)182; restrinse progressivamente il

piviere di San Benedetto (privato della porzione settentrionale, situata entro la diocesi e la contea

chiusina) alla zona della villa (già villula) de Plano, che entro la fine del secolo avrebbe “catturato”

e richiamato a sé le popolazioni di Voltole e di San Cassiano (nonché le loro chiese!); e – last but

not least – vide nascere sul fianco occidentale dell’Amiata una nuova pieve monastica: quella Santa

Maria inter fossata che fa la sua prima comparsa nel 1144, deputata – si direbbe – ad offrire i suoi

servizi alla popolazione che andava raccogliendosi nel vicino “Castel di Badia”.

Ovunque insomma, sul Monte e su le sue propaggini, fra XII e XIII secolo sembra trionfare la

tendenza all’instaurazione di un rapporto biunivoco fra un castrum ed una plebs, che poteva essere

vescovile o monastica, e in entrambi i casi vecchia (come Santa Maria di Lamula, l’antica cella del

secolo IX, o Santa Maria di Mustia, plebs vescovile databile fra X e XI secolo), o nuova, come

appunto Santa Maria inter fossata, Santa Mustiola d’Arcidosso e le San Giovanni di Radicofani e di

Castel del Piano; e come altresì – per andare un po’ più a nord, verso la val d’Orcia – Santa Degna,

chiamata a raccogliere l’eredità della vetusta San Felice: mentre nel 1154 era ancor possibile dire

che il castellum di Castiglione si trovava infra plebem S. Felicis, un secolo dopo si sarebbe parlato

ormai della plebes S. Digne de Castillione Vallis Urcie.

Vedremo, fra poco, come una situazione siffatta contenesse già in sé le condizioni del proprio

superamento, verso la piena e generale affermazione della “parrocchialità” della chiesa castrense

intramurana, che sin dai primi secoli dell’età moderna sarebbe stata definita con l’appellativo di

“chiesa pievania”, avendo ereditato infine il fonte e - talora – la stessa dedicazione della pieve vera

e propria, che l’ulteriore, drastico spopolamento delle plaghe non fortificate aveva ormai lasciato in

una condizione d’isolamento e d’abbandono rispetto al pur non lontano castello183.

4. ………………………………………………………………………………………………

Verso la metà del Duecento, dopo lunghi decenni di silenzio, i documenti tornano a parlare anche

della vetusta pieve-cella monastica di val di Paglia; e mentre, per Sant’Ippolito di Martura, la realtà

ancor viva e sentita del plebe(r)ium era stata invocata dal vescovo grossetano (desideroso di

ristabilire quell’ordinato funzionamento del sistema pievano che avrebbe ipso facto aperto la strada

al riconoscimento della propria autorità d’Ordinario diocesano), l’esistenza inconcussa di un

plebe(r)ium Sancti Benedicti – pur se incentrato ora su un edificio culturale nuovo – fu uno dei più

forti argomenti usati dall’abate di San Salvatore per difendersi dal duplice assalto contro le

prerogative dell’abbazia su Piancastagnaio, sferrato sul piano ecclesiastico dal vescovo di Sovana,

e dai Visconti di Campiglia su quello del dominio signorile. Così, agli abitanti di quel castrum –

sempre più numerosi, e ben decisi a reclamare un’assistenza spirituale più adeguata e ravvicinata –

182 Il 29 maggio 1153 l’abate di San Salvatore cedette a papa Eugenio III medietatem integram unius castri quod vocatur

Radicofanum (…) cum tenementis suis et burgo de Calemala (CDA, nr, 341); cfr. anche CAMMAROSANO e PASSERI,

Città, borghi e castelli, pp. 143 – 144 (nr.44.1). 183 Fu questa, in genere, la situazione riscontrata nel 1676 dal Visitatore granducale Gherardini: Archivio di Stato di Siena

(=ASS), D. 83 -84.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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fu fatto divieto d’edificare con la complicità del vescovo sovanese una nuova chiesa entro l’area del

castello, perché lì si era in plebeio S. Benedicti plebis, sive S. Andree184; e il fatto che in quest’ultima

chiesa (posta non lontano dal castello, verso il castrum Abbatie) l’abate avesse trasferito il fonte

della vecchia San Benedetto (dicta plebes S. Andree facta fuit de plebe S. Benedicti), era la conferma

più lampante del totale controllo da sempre esercitato dall’abbazia nei confronti di quella pieve

(riconosciutale da diplomi emanati dagli imperatori carolingi!) e dei fedeli residenti sul suo

territorio: «l’abate di San Salvatore fece demolire la pieve di San Benedetto come cosa sua propria,

e ne trasferì la sede nella pieve odierna di Sant’Andrea (….); tutti gli abitanti del castello di

Piancastagnaio sono sempre venuti a farsi seppellire presso il monastero, e a farsi battezzare presso

la detta pieve….». Rievocazioni davvero suggestive, nelle quali troviamo già indicate le tappe del

cammino che anche noi abbiamo rapidissimamente ripercorso: dalla cella S. Benedicti concessa a

San Salvatore dal carolingio Ludovico II, alla plebs S. Benedicti del diploma di Corrado II del 1027;

dal sorgere del castello di Piancastagnaio «sulle pertinenze ovvero adiacenze della suddetta cella e

pieve», fino agli sviluppi recenti. Ma furono solo le belle parole d’un’arringa. Ben altra presa sulla

realtà e ben più duratura fortuna ebbero invece le formulazioni del «patto ossia convenzione»

stipulato nel 1279 dall’abate Gerardo con il suo antico confratello cistercense David, vescovo di

Sovana. Vi si riconosceva, certo, che la «pieve di San Benedetto» - tornata così alla dedicazione

originaria! - «apparteneva al monastero dal punto di vista del diritto di celebrare il battesimo»; ma

si affermava, nel contempo, che essa «si trovava entro la diocesi di Sovana», e si stabiliva anzi che

essa fosse «trasferita e ricostruita entro il castello di Piancastagnaio», e che fosse officiata da due

sacerdoti: scelti l’uno dall’Ordinario e l’altro dall’abate, essi avrebbero «presieduto in comune al

battesimo e alle altre incombenze spirituali e temporali della pieve, in nome così del vescovo come

del monastero»185. Soluzione in fondo equilibrata, e nemmeno tanto originale, visto che qualcosa di

simile esisteva già (da qual momento esattamente non sappiamo) per le «chiese del castello di

Radicofani e del suo suburbio», ossia per la pieve di San Giovanni de arce, San Pietro del “borgo”

e Sant’Andrea del “Castel Morro”, ciascuna officiata in condominio da un chierico deputato

dall’abate, e da un altro installato dal vescovo di Chiusi186.

5. Questo paragrafo contiene riferimenti alle chiese a ovest dell’Abbazia quindi lo tralasciamo.

Pag. 54 e 55

Appendice

MONASTERI, CHIESE E LUOGHI PII d’AMIATA

APPARTENENTI ALLA DIOCESI DI CHIUSI

IN DUE ELENCHI DEL 1302 -1303 E DEL 1405187

Monasterium S. Salvatoris L’Abbazia a S. Salvadore

Ecclesia S. Crucis de Castro Abbatie S. Agnolo nel chastello della Badia

184 ASS, Dipl. San Salvatore, 1243 agosto 21 – 22. 185 ASS, Dipl. San Salvatore, 1279 luglio 10. 186 Nel 1188 Clemente III riconobbe ai monaci di San Salvatore ius quod habebant in ecclesiis castri Radicofani et

suburbii ipsius (CDA, nr. 353); e nel 1328 il vicario del vescovo chiusino avrebbe dichiarato esenti dal tributo del

cattedratico, perché soggette al monastero, medietates ecclesiarum S. Petri, S. Andree et plebis S.Iohannis de Radicofano

(ASS, Dipl. San Salvatore, 1328 dicembre 23). Vedi anche C. Prezzolini, Le chiese di padronato di San Salvatore, in

L’Abbazia, pp. 150 – 152. 187 Fonti: Rat. Dec., II, nr. 2781 – 2829, pp. 165 -168; e ASS, Lira, 411, cc. 58v-62v.

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Ecclesia S. Angeli de dicto loco Sancta/Crocie/ nel chastello della Badia

Domus leprosorum de Arcidosso

Plebes de Sancta Flora Pieve a Sancta Fiore

Plebes S. Blasii de dicto loco S. Giorgio (sic) da Sancta Fiore

Plebes S. Mistiole de Arcidosso S. Mustiola d’Arcidosso

Plebes (sic) S. Andree de Arcidosso

S. Lonardo d’Arcidosso

Plebes S. Iohannis de Castroplani Pieve di Castel del Piano

Ecclesia SS. Pancatti et Nicholay Sancti Brancatio et Niccholo

Ecclesia Sancte Floris de Noceto S, Fiore da Noceto

Eccl. S. Filippi de Arcidosso S. Filippo d’Arcidosso

Ecclesia de Monteiovi Chiesa di Monte Giovi

Plebes de Amolis Pieve de La Mogli

Ecclesia S. Marie de Hermetis

Ecclesia S. Leonardi de Arcidosso

Eccl. S. Clementis de Montelat(r)one Santo Chimento a Monte Latrone

Plebes de Ciliano

Sancta Victoria de Monte Latrone

Eccl. S. Victorie de Montet(r)one

Pieve di Cilglano

Eccl. S. Angeli de Monte Pençulo Pieve di Sancto Agnolo a Monticello

Plebes de Castilion(e) Torti Pieve di Castilglioncello del Torto

Ecclesia de Valdeprata Chiesa di Valle Piena

Plebes de Mustia Pieve di Mustia

Ecclesia de Montenero La Propostia di Castelnuovo

Chiesa di Monte Nero

Plebes de Potentino S. Lucia da Viliattole

Pieve a Potentino

Ecclesia S. Cervasii de Segiano Santo Giorgio (sic) a Segiano

Prepostia de Segiano Propostia di S. Bartolomeo a Segiano

Ecclesia S. Crucis de Segiano [ ?] S. Maria fuor di Segiano

Prepostia Ss. Phylippi et Iacobi [?]

Ecclesia S. Lucie de Villa Attolli

Ecclesia S. Leonardi de dicto loco [?]

Eccl. S. Leonardi de Castro Abbatie

Plebes S. Dingne Pieve de Sancta Degna

Sancto Andrea d’Arcidosso

Ecclesia de Gravilone Chiesa di Cavillona

Sancto Leonardo nel castello della Badia

Hospitale de Segian(o) Lo spedale di Segiano

Ecclesia S. Angeli de Castroplani Sancto Agnolo da Castel del Piano

Sancta Maria da Remeta

Monasterium S. Antimi El munisterio de S. Antimo

Plebes S. Antimi Pieve di S. Antimo

Ecclesia de Petra Chiesa di Pietra

Eccl. De Titinano Chiesa di Tentennano

Plebes de Balneo Pieve del Bagno

Canonica de Vignone Canonicha di Vignone

Ecclesia de Canpolasso Chiesa di Campo Lasso

Hospitale de Arcinbaldo Lo spedale di Arcinbaldo

Hospitale de Obricolis Lo spedale da Bricole

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Monasterium de Vivo El monistero dal Vivo

Ecclesia de Campilio Pieve di Campiglia

Plebes de Castroveteri Vallis Urcee Pieve accastelvecchio

Monasterium S. Petri in Campo El munistero di S.to Piero in Valdorcia

R E P E R T O R I O

Hanno compilato le schede: F.G. = Fabio Gabbrielli

L.G. = Luca Giubbolini

C.P. = Carlo Prezzolini

Pagg. 105 e segg.

PREMESSA

Il repertorio contempla gli enti religiosi del territorio amiatino ricordati in alcune fonti

documentarie comprese tra l’alto Medioevo e l’inizio del Trecento. Il nucleo principale è costituito

dagli enti registrati Rationes Decimarum duetrecentesche (1276 – 1324) e nei documenti pubblicati

nel Codex Diplomaticus Amiatinus. Sono escluse le chiese appartenenti agli ordini mendicanti e

quelle non più esistenti di cui, allo stato attuale delle ricerche, non è stata ancora individuata, con

una certa attendibilità l’ubicazione, neanche approssimativa. Sono invece inclusi alcuni edifici che,

pur non essendo ricordati nelle fonti esaminate, presentano in tutto o in parte strutture riferibili al

periodo medievale. Per quanto riguarda il tipo di ente (pieve, monastero, cella, cappella, canonica,

ospedale, ecc.) ci siamo attenuti alla qualifica più elevata risultante dalla documentazione medievale

(non oltre l’inizio del Trecento). Le schede sono ripartite sulla base degli attuali limiti comunali.

Ciascuna scheda è composta di due parti, quella storica (in carattere tondo) e quella architettonica

(in carattere corsivo). Nella prima sono sinteticamente riportate alcune notizie relative all’ente

religioso che possono avere direttamente o indirettamente influito sulla “vita” dell’edificio; nella

seconda viene svolto un esame architettonico, di carattere principalmente descrittivo, relativo

esclusivamente alle strutture murarie e agli elementi decorativi riferibili al periodo medievale. Per

gli edifici scomparsi la seconda parte è riservata ad alcune brevi indicazioni sulla loro possibile

ubicazione. Le note sono direttamente inserite, in forma abbreviata, nel testo; le relative indicazioni

archivistiche e bibliografiche complete sono riportate in fondo al Repertorio.

In questo elenco continuo a parlare delle altre chiese che esistevano a Radicofani e che, o non esistono più o rimangono alcuni ruderi, e che hanno molto in comune con il «romanico amiatino» e le cito per avere un quadro completo degli enti ecclesiastici che il paese annoverava. Prima di tutto però desidero nominare fra queste chiese quella che era nel borgo di Callemala e che in questo Repertorio è inserita fra quelle di Abbadia San Salvatore con il suo numero indicativo.

1.5 – CHIESA DI SANTA CRISTINA A CALLEMALA

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Callemala, ricordato come casale dall’876 (CDA, I, n. 157) e dal 962 come burgo (CDA, II, n.

201, cfr. WICKHAM, 1989, p. 117 nota 35) fu un importante insediamento lungo la via Francigena

ed ebbe all’inizio dell’XI secolo almeno 200 abitanti (WICKHAM, 1989, p. 117); fu dotato di una

chiesa, dedicata a Santa Cristina, ricordata dal 962 (CDA, II, n. 201; cfr. anche CDA, II, n. 210 (995)

e CDA, II, n. 230 (1009).

Il borgo, che risulta associato a Radicofani fin dal 1153, nel XII secolo perse importanza per la

creazione di un nuovo itinerario della Francigena che passava per il ricordato castello e nel ‘200 è

documentato solo come contrada di questo (cfr. MAMBRINI E STOPANI, in L’Abbazia, 1988, pp.

32-33); (WICKHAM, 1989, p. 134).

Scomparsa. Recentemente è stata proposta per Callemala l’ubicazione alla confluenza dei

torrenti Vascio, Pagliola e Cacarello, in località Le Casette (cfr. CAMBI, 1988, pp. 8-10;

MAMBRINI e STOPANI, in L’Abbazia, 1988, p. 28; WICKHAM, 1989, p. 117); è stata anche

avanzata la possibilità che una traccia circolare, notata in una foto aerea dell’insediamento, possa

essere riferita a Santa Cristina (CAMBI e DE TOMMASO, 1988, p. 478).

8.1 – MONASTERO DI SAN QUIRICO A CLEMENZANO

Nel 798 l’abbazia di San Salvatore riceve in dono il monastero privato di San Quirico «in loco

Climinciano, qui vocatur Piscinule seo et sancti Laurentii» (CDA, I, n. 47). Nella documentazione

del X – XI secolo alla località Clemenzano corrisponde la chiesa dedicata a S. Lorenzo (CDA, II,

nn. 210, 230).

Scomparso. L’ubicazione è incerta. Il WICKHAM, 1989, pp. 107, 114 n. 29, propone la zona a

sud-est di Radicofani compresa fra i toponimi Ponano e Casano (cfr. pure KURZE, 198), mentre il

RONZANI, 1989, p.149, indica un’area attigua al burgus di Callemala, situato nella valle del

Paglia. Mario Bezzini 1998 lo pone vicino alla Palazzina. 8.2 – PIEVE DI SAN DONATO A RADICOFANI

La prima menzione della pieve di San Donato «scito Radicofani» è in un documento dell’anno

1067 (CDA, II, n. 284). Precedentemente è forse ricordata in due carte amiatine del 1014 e del 1023

nelle quali non è però specificata la località (CDA, II, cc. 240, 259). Nella bolla di Celestino III del

1191 figura tra le pievi confermate al vescovo di Chiusi (CAPPELLETTI, XVII, pp. 587-588). Nel

XIII secolo la pieve di Radicofani risulta dedicata a San Giovanni. Secondo alcuni studiosi ciò

sarebbe dovuto ad un semplice cambiamento di titolo (MARONI, 1973, p. 219; CAMMAROSANO

e PASSERI, 1985, p. 355) secondo altri ad un trasferimento della sede pievana (PREZZOLINI, in

L’Abbazia, 1988, pp. 149-151; RONZANI, 1989, p. 153).

Scomparsa. Il MARONI, 1973, pp. 219-220, ipotizza la sua collocazione nello spartiacque tra

Orcia e il Rigo. Altri invece propongono la valle del Paglia, nei pressi dell’insediamento scomparso

di Callemala (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355; STOPANI e MAMBRINI, 1989, p.

306). Vedi nota più sotto alla Pieve di San Giovanni!

8.3 - PIEVE DI SANT’EUSTACHIO A CASTELVECCHIO

La pieve figura negli elenchi delle decime della fine del Duecento e dell’inizio del Trecento (Rationes,

II, p. 168).

L’attuale chiesa di Castelvecchio non presenta elementi riferibili al periodo romanico.

8.4 - PIEVE DI SAN GIOVANNI A RADICOFANI

Nell’XI-XII secolo la pieve di Radicofani è ricordata con il titolo di San Donato (ad esempio CDA,

II, n. 284; CAPPELLETTI, XVII, pp. 587-588). Dal secolo XIII risulta invece dedicata a San Giovanni.

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Secondo alcuni studiosi si tratterebbe soltanto di un cambiamento di titolo (MARONI, 1973, P. 219;

CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355), secondo altri dello spostamento della sede pievana

(PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 149-151; RONZANI, 1989, p. 153). Come altre chiese di Radicofani

San Giovanni dipendeva allo stesso tempo dall’abate di San Salvatore e dal vescovo di Chiusi i quali

provvedevano ad eleggere due pievani che amministravano la pieve contemporaneamente (cfr.

PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151; RONZANI, 1989, pp. 158-159). Tale situazione è documentata

pure nelle decime degli anni 1275-77 dove la pieve è registrata due volte (Rationes, I,

pp.122,125,127,129). Nel 1440 tale assetto amministrativo risulta ancora esistente. (PREZZOLINI, in

L’abbazia, 1988, p. 151). L’ultima menzione della chiesa di San Giovanni risale al 1559 (ibid.). A partire

dal 1587 figura con la dignità di pieve la chiesa di San Pietro (ibid., p. 152).

Scomparsa. Sulla sua localizzazione sono state avanzate varie ipotesi: lo spartiacque tra l’Orcia e il

Rigo (MARONI, 1973, pp. 219-220), la valle del Paglia, presso l’insediamento scomparso di Callemala

(CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355; STOPANI e MAMBRINI, 1989, p. 306) e le vicinanze del castello

di Radicofani (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 151).

(DI QUESTA CHIESA SE NE PARLA GIA’ NELLO STATUTO DEL 1255 CHE DOVEVA ESSERE COSTRUITA

NEL BORGO BONMIGLIACCIO E NELLO STATUTO DEL 1441 SE NE PARLA GIA’ COSTRUITA, [ART. 64

(Statuto del 1255) ALLA RUBRICA 8 p.91 (Statuto del 1441 a cura di B. MAGI, 2004)] CHI SI AVVICINA DI PIU’

AL SITO E’ IL PREZZOLINI.

Nello Statuto di Radicofani del 1255 all’art. 64 con il titolo: Costruzione della Chiesa di San Giovanni (e la ritroviamo nello Statuto del 1441, alla Rubrica 8) si dice che tutti gli uomini che abitano fuori dalla Porta Nuova di Castel Morro e fino alla Porta di Ormanno, e quelli che risiedono fuori dalla Porta di Bonmigliaccio sono tenuti ad aiutare gli abitanti di Bonmigliaccio per l’edificazione di una nuova chiesa intitolata appunto a San Giovanni; coloro che si fossero rifiutati di prestare il loro contributo saranno puniti con un’ammenda di 20 soldi. Questa chiesa era posta fuori delle mura della fortezza ed oggi (2015) si sono ritrovati i resti delle fondamenta. In una stampa antica si vedono sia la Chiesa di Sant’Andrea a Castel Morro sia quella di San Giovanni nel Borgo di Bonmigliaccio. (Prima del 1255 però non possiamo sapere con certezza dove fosse ubicata)

8.5 - CHIESA DI SANT’AGATA A RADICOFANI

Non abbiamo alcuna notizia della chiesa di Sant’Agata riferibile al periodo medievale. Non è

registrata nelle decime due-trecentesche e neppure in un elenco di edifici religiosi dell’anno 1532

(Rationes, I; Rationes, II; ASS, Sale 18).

L’attuale chiesa, situata nella via principale del paese di Radicofani, è una costruzione

settecentesca che conserva in vista, per quanto rimaneggiata, la facciata di un edificio medievale.

Quest’ultima, di aspetto decisamente gotico, presenta un paramento murario, rimontato nella parte

superiore, a corsi orizzontali e paralleli di conci di pietra vulcanica. In origine l’ingresso era

caratterizzato da due portali di uguale struttura, ora tamponati, formati da archi a sesto acuto

impostati su mensole smussate. Al di sopra, in corrispondenza dei portali, si conservano le tracce di

due finestre con arco a sesto acuto, in epoca moderna tamponate e sostituite con un’apertura

rettangolare. La soluzione dei due portali di facciata sembra ricordare quella di alcune chiese

romaniche del contado senese, tra le quali l’abbazia di Sant’Antimo, disposte lungo la via

Francigena o comunque non lontano dal suo percorso (sull’argomento si veda MORETTI e STOPANI,

1981, pp.68-69, 74 n. 60). Tuttavia, i caratteri formali delle aperture originali e la loro disposizione sono

più consoni ad un edificio civile che religioso (dello stesso parere era anche Angelo Rappuoli che aveva studiato arte e fungeva da geometra comunale negli anni dal ’50 al ’80).

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E’quindi probabile che la chiesa settecentesca abbia riutilizzato, modificando le aperture, la facciata di un edificio civile.

La parte della chiesa che va dall’entrata a circa metà dell’immobile è la parte che sembra faccia parte di un edificio civile, mentre tutto l’immobile compresa la sacrestia ed il resto fa parte del convento dei “Frati Minori Conventuali” con la loro chiesa di S. Lorenzo (tutto ciò l’ho sempre sentito dire ma nel Gherardini, ed è il 1676, non vi è alcun accenno a questo convento, ma è ricordato nello Statuto del 1255).

Si racconta che nel XVIII sec. una rappresentanza di radicofanesi andò a piedi a

Catania per prendere una reliquia di Sant'Agata che, nel viaggio di ritorno, si fermò a Roma per ottenere dalla Curia Pontificia l’autenticazione (il documento ci è

pervenuto nella sua autenticità) era il 31 ottobre 1727. Tutto ciò perché in quel secolo Radicofani fu spianato dai terremoti che ci furono fortissimi, almeno quattro volte. Da quel secolo, oltre a San Saturnino il 5 febbraio Radicofani festeggia, come patrona, Sant'Agata. Nella chiesa, appena si entra, a sinistra in una conchiglia chiusa, vi è una scultura lignea che rappresenta la Madonna del Rosario con San Saturnino e Sant'Agata, e sotto i piedi della Madonna vi sono la Fortezza ed il paese.

Il 5 febbraio durante la processione e la messa è d'abitudine cantare un inno

dedicato alla Santa con musica e parole di due radicofanesi che è intitolato: INNO DI SANT’AGATA scritto da Alfonso CHIAVAI (1833 – 1912) ed è ignoto colui che lo arrangiò in musica, con effetti di una certa suggestione (Pensione Vertunno e dintorni – Vito Mazzuoli – Stampa 2000 – Abbadia S. Salvatore – 2001) il quale recita:

Su sorelle intoniamo il canto alla martire gloriosa

che il buon Dio ce l'ha data per Patrona sorella amata

coro: VIVA LA MARTIRE NOSTRA PATRONA

BEATA AGATA, COTANTO BUONA

BEATA AGATA, COTANTO BUONA

Nostri padri da Catania ti portarono in processione,

genuflessi, riverenti e con somma devozione. coro:

VIVA LA MARTIRE.............................

Dal flagello del terremoto tu proteggi la nostra terra,

Radicofani a te devoto Ti rinnova l'antico voto. coro:

VIVA LA MARTIRE.ETC. ETC..............

A proposito di Sant’Agata non si può non ricordare perché questa comunità passò da patrono San Lorenzo (?), della chiesa dei frati Minori, a San Saturnino donato con l’urna nel 1647 da Francesco Giovanni Pellei, il quale portò da Cagliari le sue reliquie che si conservano ancora sotto l’altare della chiesa di Sant’Agata. Dopo questo

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cambiamento di patrono, per trovare l’altro cambiamento bisogna arrivare al 1700 e come avvenne ce lo racconta il “Corriere di Siena” il giorno 3 febbraio 2002:

una gran folla venera la vergine e martire, che fu eletta a protezione del paese

in seguito al violentissimo terremoto del 1727, il sisma che per durata e

violenza causò numerose vittime, feriti e rovine incalcolabili. I sopravvissuti,

in preda al terrore, decisero di inviare una delegazione a Catania, città di origine

della fanciulla martire, per ottenere una reliquia del corpo, conservato nella

cattedrale. E si racconta che un gruppo di pellegrini designati dall’assemblea,

abbia percorso a piedi gli oltre mille chilometri per ottenere il prezioso

frammento. La popolazione deliberò quindi di istituire una nuova

congregazione laicale, che esiste tutt’oggi con struttura (numero chiuso, 110

membri) e scopi inalterati………Gli associati indossano cappe rosse, colore

liturgico riservato ai santi martiri che hanno versato sangue per testimoniare

eroicamente la loro appartenenza alla fede cristiana. …………..

In seguito alla spaventosa serie di terremoti che sconvolsero questa terra, la

popolazione di Radicofani la designò nuova patrona, sostituendola a San

Saturnino (compatrono, festeggiato il 29 novembre), protettore

dell’agricoltura.

Mariella Baccheschi

Purtroppo, di terremoti se ne ricordano molti, prima e dopo quello del 1727. Qui ricorderemo quelli dopo. Uno nel 1740 ed uno molto forte nell’ottobre del 1777 con morti e distruzione notevoli di case e poderi (chi volesse averne notizie dettagliate le può trovare nella rivista “Amiata Storia e Territorio” n. 10 a pag. 18-28) tanto che molti radicofanesi se ne andarono senza più fare ritorno. Altri terremoti ci sono stati negli anni: 1783, 1797, 1904, 1919 8° grado della scala Mercalli, 1940 uguale a quello precedente, poi negli anni ’60 e ’80 e qualcuno, piccolo, negli anni ’90; ma da quando sono stati aperti i soffioni boraciferi dall’ENEL a Piancastagnaio, terremoti grossi non vi sono più stati.

8.6 - CHIESA DI SANT’ANDREA A CASTELMORRO

La prima attestazione della chiesa risale al 1224 (CAPPELLETTI, 1862, XVII, p. 578); nel 1237

alcuni nobili feudatari di Radicofani giurano fedeltà all’abate di San Salvatore nella chiesa (ASS,

Diplomatico SSMA, 1237 giugno 15) di Sant’Andrea, con le altre chiese di Radicofani, spettava per

metà all’Ordinario di Chiusi e per metà all’abate amiatino (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151)

e questa situazione compare evidente nelle decime del 1275-76, dove la chiesa è elencata sia fra gli

edifici sacri esenti che fra quelli non esenti (Rationes, I, pp. 122 e 125), ed è ancora più chiara nelle

decime del 1302-1303, che riportano la chiesa pro parte episcopi e pro parte monasterii S. Salvatoris

(Rationes, II, pp. 164-165). Questa situazione verrà confermata dal vescovo di Chiusi nel 1328 (ASS,

Diplomatico SSMA, 1328 dicembre 23) e dal vescovo di Siena nel 1440 (ASS, Diplomatico SSMA,

1440).

La cura di Sant’Andrea, quasi del tutto spopolata in seguito all’abbandono della fortezza di

Radicofani nel 1758, nel 1780 venne unita alla pieve di San Pietro (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988,

pp.151-152).

Scomparsa. Era situata nel borgo di Castelmorro, a nord della fortezza di Radicofani, dentro il

circuito dei bastioni medicei, probabilmente dove oggi sorge la cappella del cimitero. Sant’Andrea

è rappresentata in una veduta di Radicofani del 1689 (ASF, Mediceo, f. 1081 ins. 55).

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La chiesa di Sant’Andrea era posta dove oggi è il cimitero. In una stampa antica si vedono, come ho detto sopra per la chiesa di San Giovanni, sia la chiesa di Castelmorro che quella di San Giovanni.

8.7 - CHIESA DI SANT’ANDREA A REGGIANO

Sant’Andrea a Reggiano è ricordata in due carte dell’anno 1028 relative al trasferimento di alcuni

beni, tra i quali la terza parte della stessa chiesa, all’abbazia di San Salvatore (CDA, II, nn. 265-266).

Successivamente figura in altri due documenti del 1084 e del 1085 (CDA, II, nn. 310, 315). Nelle

decime due-trecentesche non è registrata.

Scomparsa. Rimane il toponimo Poggio Reggiano ad una collina che fa da spartiacque tra l’Orcia e

il Formone. Il documento del 1084 risulta rogato «a sancto Andreas prope fluvio Horcia».

8.8 - CHIESA DI SAN FRANCESCO A REGGIANO

La chiesa è ricordata negli elenchi delle decime della fine del Duecento e dei primi del Trecento

(Rationes, II, p. 169).

Scomparsa. Rimane il toponimo Poggio Reggiano ad una collina situata tra l’Orcia e il

Formone.

8.9 - CHIESA DI SAN LORENZO DEL BORGO FORMONE

In un documento dell’ottobre 1064 viene donata all’abbazia di San Salvatore la terza parte della

chiesa di San Lorenzo, situata nel «burgo de Fermone» (CDA, II, n. 282). Nelle decime due-

trecentesche non è menzionata.

Scomparsa. Era situata vicino al torrente Formone e al fosso Canneta, ad est di Campiglia

d’Orcia (CDA, II, n. 282; cfr. WICKHAM, 1989, pp. 118 n. 37, 121).

8.10 - CHIESA DI SANTA MARIA A CONTIGNANO

Alcuni studiosi identificano la chiesa di Santa Maria a Contignano con la pieve di Santa Maria

in Campo (LIVERANI, 1872, p. 284; VERDIANI BANDI, 1973, p. 28; MARONI, 1973, p. 220), ricordata, a

partire dal 1064, in alcune carte amiatine del secolo XI (CDA, II, nn. 283,284,296,313,315). Con tale

ipotesi non concordano però CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 356, i quali ritengono che

quest’ultima fosse ubicata verso il fiume Orcia, presso il monastero di San Pietro in Campo

(attualmente in territorio di Pienza). La prima menzione di Santa Maria a Contignano è in un

documento del 1293 in cui l’abate di San Salvatore nomina il rettore della chiesa, dipendente dal

monastero (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 155). Successivamente è ricordata nelle decime della fine

del Duecento e dei primi del Trecento (Rationes, II, p.168); in questi elenchi figura sempre come

chiesa suffraganea ad eccezione di quello del 1298-99 in cui è registrata come pieve (ibid.). In un

documento del 1328 alcuni anziani testimoni dichiarano di «aver veduto l’Abate Amiatino porre la

prima pietra nella fabrica di detta chiesa» (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 155). Nel 1468 è ancora

dipendente da San Salvatore (ibid.). Nel 1544 risulta definitivamente elevata alla dignità di pieve

(PECCI, Miscellanee, c. 165).

L’attuale edificio non presenta in vista elementi riferibili al periodo romanico.

8.11 - CHIESA DI SANTA MARIA AD OFFENA

A partire dall’anno 937 è documentata la curtis di Santa Maria ad Offena, dipendente dal

monastero di San Salvatore all’Amiata (CDA, II, n. 198). Da una carta del 1000 circa risulta esistente

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in tale località pure una cella monastica (CDA, II, n. 215). Come chiesa invece Santa Maria è

segnalata soltanto in un falso preceptum del 1036 attribuito a Ludovico II (CDA, II, n. 272).

Scomparsa. L’ubicazione di Offena viene indicata subito a nord della rocca di Senzano, nella

zona compresa tra il fiume Orcia e il torrente Socenna (KURZE, 1988, carte V-VII; WICKHAM, 1989, pp.

121, 123 n. 51).

8.12 - CHIESA DI SANTA MARIA A PERIGNANO

La chiesa è ricordata nella decima degli anni 1302-1303 (Rationes, II, p. 169). Successivamente

figura in un elenco di enti religiosi del 1532 (ASS, Sale 18, c. 51).

Scomparsa. A sud-ovest di Contignano, sulla destra del Formone, rimangono i toponimi Fosso

di Perignano e Poggio di Perignano. In corrispondenza di quest’ultimo, sulla cima del colle, si

conservano i ruderi dell’omonimo castello (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 357).

8.13 - CHIESA DI SAN MICHELE A MUSSONA

La chiesa di San Michele è menzionata in un documento dell’anno 1084 (CDA, II, n. 310). In

precedenza, nel 996, l’imperatore Ottone III aveva confermato all’abbazia di San Salvatore la curtis

di Mussona (CDA, II, n. 212). La chiesa non figura negli elenchi delle decime due-trecentesche.

Scomparsa. Dal documento del 1084 risulta situata vicino alla chiesa di Sant’Andrea a

Reggiano, anch’essa non più esistente, ubicata a sud di Contignano, non lontano dall’Orcia (CDA,

II, n. 310; cfr. WICKHAM, 1989, pp. 121, 124 n. 52, e KURZE, 1988, carta VI).

8.14 - CHIESA DI SAN PELLEGRINO A GELLO

La prima menzione della chiesa di San Pellegrino «in Agello» è in un documento dell’anno 837

(CDA, I, n. 114). Nel 996 l’imperatore Ottone III conferma all’abbazia amiatina la curtis di San

Pellegrino (CDA, II, n. 212; cfr. KURZE, 1988, p. 9). Nel falso preceptum del 1036 attribuito a Corrado

II viene espressamente confermata a San Salvatore pure la chiesa (CDA, II, n. 272). Negli elenchi

delle decime due-trecentesche San Pellegrino non è registrata.

Scomparsa. A sud-ovest del Monte Cetona rimangono i toponimi Podere Gello (nell’IGM Cello)

e Poggio Gello (cfr. WICKHAM, 1989, pp. 107, 114 n. 29).

(Il Gherardini nel suo manoscritto (A.S.S., d. 83 a pag. 398) dice che in contrada Gello vi è la chiesa di San Bernardino dove ancora si celebrano, nelle feste comandate, le messe, io però penso, in verità, sia stata intitolata a S. Pellegrino!).

8.15 - CHIESA DI SAN PIETRO A RADICOFANI

Secondo il CAPPELLETTI, XVII, p. 574, il primo ricordo della chiesa di San Pietro, posta nel Borgo

Maggiore di Radicofani, risalirebbe al 1224. Un’altra esplicita menzione è in un documento del 1236

(ASS, Diplomatico SSMA, 1236 ottobre 22). Come altre chiese di Radicofani San Pietro dipendeva

contemporaneamente dal vescovo di Chiusi e dall’abate di San Salvatore. Tale situazione

amministrativa prevedeva la compresenza di due presbiteri eletti rispettivamente dal vescovo e

dall’abate (cfr. PREZZOLINI, in L’abazia, 1988, p. 151, e RONZANI, 1989, pp. 158-159). Particolarmente

chiara è la doppia registrazione della chiesa nella decima degli anni 1302-1303 dove viene distinto il

pagamento «pro parte episcopi» da quello «pro parte monasterii S. Salvatoris» (Rationes, II, pp. 164-

165). In un documento del 1587 San Pietro figura per la prima volta con il titolo di pieve, ereditato

dalla chiesa battesimale di San Giovanni (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p.152). Nel secolo XVIII

risulta ancora presente un compievano nominato dall’abate di San Salvatore (PECCI, IX, c. 112).

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La chiesa di San Pietro, situata in una piazzetta del paese di Radicofani, è una costruzione di

origine medievale ampliata e rimaneggiata in più epoche. L’edificio presenta un’icnografia a tre

navate concluse da una grande abside semicircolare. Le navate sono divise in cinque campate da

archi di valico a sesto acuto impostati su pilastri cruciformi e semipilastri addossati alle pareti. Allo

stato attuale la parte iniziale della chiesa, in corrispondenza delle prime due campate, è formata

soltanto dalla navata centrale essendo lo spazio relativo alla destra adibito a sacrestia e quello della

navata di sinistra occupato da una cappella, oratoria della Misericordia. La copertura della parte

iniziale è a capanna. Quella delle ultime tre campate della navata centrale è formata da volte a

crociera sorrette da ampi archi trasversali e longitudinali a sesto acuto e rinforzate da grossi

costoloni di sezione poligonale. Archeggiature trasversali a tutto sesto scandiscono le navate laterali

sorreggendo una copertura a travature lignee. Gli archi e i costoloni scaricano su pilastri cruciformi

molto rimaneggiati (solamente l’ultimo di destra risulta integro) e sormontati da mensole smussate

fortemente sporgenti. La facciata, elevata su un’alta gradinata, è caratterizzata da un portale

ricassato il cui archivolto, sorretto da due mensole sagomate, presenta l’intradosso a tutto sesto e

l’estradosso a sesto leggermente acuto; una doppia ghiera orna l’interno della lunetta. Al di sopra

si apre una bifora, ripristinata in questo secolo al posto di una grande finestra a lunetta inserita in

epoca moderna(cfr. in L’abbazia, 1988, pag. 153); come mensola è stato riutilizzato un frammento

in cornice decorato a fogliami. In corrispondenza dello spiovente sinistro della facciata si eleva un

campanile di sezione quadrangolare nel quale si aprono monofore e bifore (in due vedute di

Radicofani del XVII secolo e della prima metà del XVIII figura invece un semplice campaniletto a

vela; cfr. PREZZOLINI, 1981, p. 81). Il paramento murario del corpo centrale della facciata è costituito

da regolari corsi orizzontali di conci ben squadrati di pietra vulcanica; le altre parti della chiesa

presentano un paramento esterno più irregolare ed evidenziano varie fasi costruttive e numerosi

rimaneggiamenti. All’interno l’edificio è completamente intonacato ad eccezione dei pilastri, degli

archi e dei costoloni delle volte, formati da grossi conci regolarmente squadrati. Alcune parti

rimaneggiate di queste strutture sono coperte da intonaco dipinto ad imitazione della pietra.

Il portale che si apre nel corpo centrale della facciata presenta caratteri formali tardo-romanici,

caratteri che concordano con la regolarità del paramento murario della struttura nella quale è

inserito. L’interno della chiesa presenta invece un aspetto decisamente gotico mentre l’abside che

conclude la navata maggiore è di epoca moderna. Non è da escludere che il corpo centrale della

facciata, quello relativo al portale principale, abbia fatto parte di un edificio ad aula unica

successivamente prolungato ed ampliato a tre navate. Le strutture della facciata relative alle navate

laterali infatti si appoggiano stratigraficamente al corpo centrale corrispondente alla navata

maggiore. I forti rimaneggiamenti subiti dall’intero edificio, compresa la facciata, rendono

comunque problematica una sicura identificazione, sulla base di sommarie indagini, dell’assetto

originario e delle successive modifiche. Nell’attuale sacrestia, ad esempio, situata nello spazio

relativo alle prime due campate della navata destra, sono presenti sei semipilastri addossati alle

pareti (tre per parte); le loro forme e dimensioni sono però così diverse da quelle dei pilastri

cruciformi dell’impianto gotico da rendere improbabile un rapporto con essi (sulla questione si veda

GABRIELLI, in L’abbazia, 1988, p. 154). A partire dalla fine del XVIII secolo sono documentati numerosi

interventi di restauro tra i quali un progetto di ampliamento, probabilmente consistente nel”

recupero” delle prime due campate delle navi laterali, mai realizzato (cfr. ibid., pp. 154-155).

GABRIELLI, in L’abbazia, 1988, pp. 152-155).

8.16 - CHIESA DEL CASTELLO DI SENZANO

La chiesa è menzionata, senza l’indicazione del santo titolare, in un atto di vendita dell’agosto

1061 (CDA, II, n. 280).

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Scomparsa. Il castello di Senzano è identificabile con l’attuale toponimo Le Rocchette situato a

nord-est di Radicofani; a circa un chilometro di distanza si trova il podere Senzano (CAMMAROSANO

e PASSERI, 1985, p. 357).

8.17 - «DOMUS LEPROSORUM» DI RADICOFANI

L’unica notizia che abbiamo è nella decima degli anni 1302-1303 (Rationes, II, p. 165).

Scomparsa. Non ne conosciamo l’ubicazione.

Quasi certamente questa “Domus Leprosorum” doveva essere titolata a San Lazzaro (Patrono dei lebbrosi) e doveva sorgere nella vecchia Via Francigena fra i poderi Castellina e Tre Colle, e forse anche più a sud verso la zona che prima si chiamava San Lazzaro (vedi il catasto storico Leopoldino del 1823). Andando, infatti, verso Ponte al Rigo, nella vecchia Via Cassia, prima Francigena, s' incontrano a destra i siti Caselle, Castellina, Costarella e Poggio Leano e a sinistra Il Corniolo, Nocicchia, S. Lazzaro e subito dopo S. Ristoro.

8.18 - OSPEDALE «BONAIUCTE» A RADICOFANI

L’ospedale è ricordato nelle decime degli anni 1298-1299 e 1302-1303 (Rationes, II, p.165).

Scomparso. Non ne conosciamo l’ubicazione.

8.19 - OSPEDALE DI «FONTE CECULA»

Nell’anno 1237 è menzionato l’ospedale di «Fonte Cecula», dipendente dal monastero di San

Piero in Campo (FATTESCHI, c. 12v; cfr. PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151).

Scomparso. Era situato nel distretto parrocchiale della chiesa di Sant’Andrea a Radicofani

(FATTESCHI, c. 12v). Era, forse, nel sito chiamato Malmigliaccio, sotto Castel Morro, dalla parte della Strada dell’Incarcerata che va a Fonte Antese.

8.20 - OSPEDALE DI SAN PIETRO A RADICOFANI

L’ospedale è registrato nelle decime degli anni 1298-99 e 1302-1303 (Rationes, II, p.165). Il 24

aprile 1412 viene donato, insieme ad altri ospedali di Radicofani, al Santa Maria della Scala di Siena

(PECCI, IX, c. 147).

Scomparso, La strada adiacente al fianco destro della chiesa di San Pietro evidentemente

ricorda nella denominazione di via dello Spedale l’ubicazione di uno dei numerosi ospizi di

Radicofani. (Don Marcello Magrini lo colloca, ed io sono d'accordo, all'inizio della strada che conduce alla Fortezza, dove si trova il complesso, ora di civili abitazioni subito dopo il muro di retta della strada).

8.21 - «XENODOCHIO DI «MULIERMALA»

In un documento dell’anno 1107 figura lo «xenodochio, quo est aedificatum in burgo, qui dicitur

Muliermala» (CDA, II, n. 327).

Scomparso. L’ubicazione della località Muliermala è stata recentemente indicata in

corrispondenza o nelle vicinanze dell’attuale podere Le Conie, situato sullo spartiacque tra le valli

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del Formone, dell’Orcia e del Paglia (MAMBRINI e STOPANI, 1988, pp. 29, 32-33, 38 nn. 24-27; WICKHAM,

1989, p. 118 e n. 38).

Sotto sono ricordate le chiese non citate sopra e, alcune di esse, possono appartenere a quel periodo pur non essendo state messe nell’elenco, oppure erano oratori. Nello Statuto di Radicofani del 1441, cit. sopra, nella Rubrica [8] così recita: «I Santese (sacrestani) delle chiesie del castello di Radicofani elencase per generale Consiglio di Radicofani, in nel principio dello officio di messer lo Podestà overo del suo vicario infra otto dì, cioè uno per la chiesa di san Pietro, uno per la chiesa da

santo Andrea, uno per la chiescia di santo Giovanni et di Sancta Barbara et uno per la chiesa di santa Maria Novella ecc.» Da questo articolo si evince che, almeno in

questo anno esisteva già la chiesa della “Madonna del Roccheto” come viene oggi chiamata quella chiesa prima intitolata a Santa Maria Novella e la chiesa di Santa Barbara, e più sotto ancora diremo, invece, cosa trovò il Gherardini nel 1676.

«CHIESA DI SANTA BARBARA»

Questa chiesa doveva essere romanica finché era dentro la fortezza vecchia, ma

nel 1467 (ASS, Concistoro 603, cc. 7r-10r, deliberazioni del 1467, marzo 11 e 12; appendice A, doc. 13.) i senesi decisero di costruire " una cappella in sul poggio fuore del cassaro dove era anticamente la cappella di Santa Barbara, la quale sia longa braccia otto

et larga braccia sei, col tetto impianellato et co uno altare dentrovi et sieno tenuti farvi disegnare la

figura di Santa Barbara et tutte altre figure di santi o sante come lo parrà et che l'entrata sia verso il

cassaro".

Questa chiesa viene abbandonata il 19 di luglio 1750, giorno di domenica e festa di San Vincenzo

De' Paoli.

Nel libro "La città fortificata di Radicofani – AA.VV. - Nuova Immagine editrice – Siena – 1998". (Da questo libro sono riprese tutte le notizie qui riportate) a pag. 204 è scritto "Sopra il masso, a conclusione dei lavori, venne realizzata la "chiesina dello scoglio"

riportata nella prospettiva del Ferri del 1699 ma non più, cinquant'anni più tardi, nei disegni del

Warren dove compare la sola chiesa di Santa Barbara".

La Chiesa di Santa Barbara era la più importante chiesa delle tre (chiesina dello scoglio, chiesa

di Castel Morro e quest'ultima) che esistevano nelle fortificazioni, si trovava nelle vicinanze del

mastio e vi si accedeva da "una porta per dove si entra due imposte con bandelle, arpioni, toppa e

chiave e sua bussola di tela ad un’imposta con sue bandelle, arpioni e sua pestiolo da chiudersi.

Finestre cinque, tre a vetrate e due ferrate, e nella sagrestia due porte ad una sola imposta con bandelle,

arpioni, toppa, e chiave ad una all'altra, il suo catorcio per dentro, e una finestrina con sua vetrata

ferrata a resa di filo di ferro come anche alle altre tre descritte sopra, cioè il filo di ferro per di fuori".

Andando indietro nel tempo, se torniamo per un momento al quattrocento, troviamo la chiesa

dedicata a Santa Barbara era già ristrutturata dai senesi dopo il 1467 quando si costruì "una cappella

in sul poggio fuore del cassaro dove era anticamente la cappella di Santa Barbara, la quale sia longa

braccia otto et larga braccia sei, col tetto impienellato et co uno altare dentrovi et sieno tenuti farvi

disegnare la figura di Santa Barbara et tucte altre figure di santi o sante come lo parrà et che l'entrata

sia verso il cassaro". Larghezza dell'edificio e posizione dell'entrata coincidono con quelle riportate

nelle piante successive; non coincide la lunghezza che arriva a quasi 20 braccia corrispondenti a oltre

11 metri, contro le 8 braccia del documento quattrocentesco. Si tratta quindi della stessa costruzione

in seguito ulteriormente modificata.

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La chiesa di Santa Barbara, quindi, come si evince da quanto sopra, o meglio la cappella (dove era anticamente la cappella di S.B.) doveva essere romanica quasi certamente, ma con il passare dei secoli, per esigenze militari l'hanno demolita e ricostruita più volte fino alla distruzione completa avvenuta il 17 luglio 1750, come ci dice Don Ferruccio Marcello Magrini nel suo articolo su Amiata Storia e Territorio n. 22, pagg. 35-38- Intitolato “L’ABBANDONO DELLA FORTEZZA DI RADICOFANI (Da un registro dell’ultimo cappellano militare). Ora continuiamo con quanto scritto dal Gherardini nella sua visita a Radicofani nel 1676, come riporto più sotto.

MEMORIE DI UN’ANTICA TERRA DI FRONTIERA E DI FORTEZZE – a

cura di Beatrice e Renato Magi – Abbadia San Salvatore – 2006 – Tip. STAMPA 2000.

Pag. 33

Radicofani è sottoposto nello Spirituale alla Diocesi di Chiusi, e dentro la Terra vi sono le Chiese

infrascritte, cioè:

Chiesa Plebania sotto titolo di S. Pietro con Fonte Battesimale di libera Collazione, goduta dal

Prete Giovan Battista Mori, e con il suo organo Sonante, et in buono Stato.

Pag. 34 e segg.

Sono in questa Chiesa Plebania gl’infrascritti Benefici Semplici.

Un titolo di S. Martino goduto da’ Prete Andrea Raffaelli, frutta solo scudi tre l’Anno, non ha

altro obligo, che la festa titolare; ……………

Altro Benefizio Semplice sotto Titolo di S. Benedetto di libera Collazione goduto da Prete

Giuseppe Contini, frutta scudi dieci l’Anno, con obbligo della festa del Titolare.

Altro Benefizio sotto Titolo di S. Filippo Neri, goduto da Prete Faustino Brinchi………… è di

libera Collazione …………………………………………………………………

Altro Benefizio semplice sotto Titolo della Presentazione di Maria Vergine giuspadronato della

Famiglia degli Orlandi, goduto da Prete Benedetto Orlandi ……………………………….

Altro Benefizio semplice sotto Titolo del Santissimo Crocefisso Jus Padronato della Famiglia

de’ Consolini goduto da’ Prete Giovan Battista Salvi…………………………………

Altro Benefizio di libera Collazione sotto Titolo di San Michele Arcangiolo goduto da’ prete

Cesare Cagnacci………………………………………………..

Altra Chiesa Cura d’Anime sotto il Titolo di Sant’Andrea Giuspadronato dell’Abbate

dell’Abbadia s: Salvatore pro’ tempore la gode Prete Iacomo Caciai frutta Scudi 35. L’Anno, con i

soliti oblighi de’ Curati. Questa Chiesa è posta in Castel Morro, et i fuochi esistenti in questo nella

fortezza, et in sette Poderi della Corte sono sotto la di Lei cura………………………In questa Chiesa

vi è un Benefizio semplice sotto Titolo di Santa Lucia giuspadronato della Famiglia dei Vannozzi, lo

gode il Clerico Antonio Jacopini………………………………………………

Chiesa, o Compagnia Laicale con Cappa sotto Titolo della Santissima Assunta,

……………….Tiene la detta Compagnia il Cappellano, che si elegge dal Capitolo di essa e vi celebra

……………………………………………………………………

Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo del Santissimo Sacramento……….

Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo di S. Antonio da Padova………….

Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo del Santissimo Sacramento annessa alla

Chiesa di Castel Morro………………………………………………..

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Chiesa con il suo Convento habitato da’ Padri Minori Conventuali, ………………Sono nella

Chiesa di questo Convento due Congregazioni, una nell’altare dedicato al Santissimo

Rosario……………..Nell’Altare dedicato alla Santiss.ma Concezzione vi è l’altra Congregazione-

Chiesa sotto Titolo della Madonna delle Grazie dello Spedale della Comunità di detto luogo,

nella quale si celebra per obbligo una Messa la Settimana ogni Sabbato, e vi si fa la festa con tutti i

Preti e Frati del luogo il giorno della Madonna delle Nevi.

Tutte le sopradette Chiese della Terra sono di Fabbrica capace, bene offiziate, e provviste di Sacri

Suppellettili.

Pag. 46

Sono in questa Corte di Radicofani le Chiese infrascritte, cioè:

Chiesa sotto titolo di San Rocco, ora però destrutta, ………..

Chiesa posta nella contrada di Gello sotto titolo San Bernardino, lontana circa tre miglia da

Radicofani……………………………..

Altra Chiesa luogo detto il Pino sotto titolo di Santa Croce lontana circa tre miglia versa la

Valdorcia……………………………………..

Altra Chiesa vicino alla Terra detta Madonna del Roccheto (da recenti ricerche, come più sopra accennato, si è appurato che questa chiesetta, tuttora esistente, era quella che nello Statuto di Radicofani del 1441 (Rubrica n. 8) viene chiamata: Santa Maria Novella, come già detto sopra) …………

Poco fuori della Terra vi è la Chiesa dedicata a San Francesco con il suo Convento habitata dalla

religione Cappuccina

…………………………………

Pag. 51

14° - Fu domandata a nome de’ bombardieri la Chiesetta della Comunità sotto titolo S. Rocco, o

vorriano un Moggio di Terra per poterla con tale Entrata, e con le contribuzioni proprie mantenere, e

fare offiziare, giache non hanno Chiesa, e si adunano hora in una Chiesa, hora in un’altra.

Non sappiamo se la richiesta dei bombardieri sia stata esaudita, ma credo che, anche se le richieste furono esaudite, fu soltanto per pochi decenni perché oggi non esiste più. Sembra che fosse nel campo a destra di Via Marconi, settantacinque metri circa al centro dove passa la fognatura, e forse proprio nella costruzione di essa sono

spariti i resti di questa chiesetta.

Per finire con l’elencazione delle chiese non si può non ricordare la Chiesa della Madonna delle Vigne, e su questa chiesa parla Don Ferruccio-Marcello Magrini nel suo libro che riportiamo subito sotto, il quale ci fornisce tutte le notizie che riportiamo ed anche una visione delle altre chiese.

I PARROCI DI RADICOFANI – a cura di Ferruccio Marcello Magrini – Edizioni

Cantagalli – Siena – 1983.

Pag. 53 e segg.

Il parroco Rossini fu l’ultimo a portare il titolo di Pievano. Con lui si estinse, esattamente dopo

un millennio, l’antica denominazione originaria delle Pieve romanica di Radicofani.

Cinque anni dopo il censimento effettuato per conto delle Dataria apostolica, il pievano Rossini

si trovò alle prese con una ulteriore revisione delle «Fabbriche e Fondi rustici» posseduti dal

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Beneficio parrocchiale di San Pietro, questa volta per mandato dell’autorità civile. Dopo

l’incameramento dei beni patrimoniali appartenenti agli Ordini religiosi disciolti nel 1780, il

Granduca Pietro-Leopoldo di Lorena, passato alla storia col soprannome ironico di «Principe

sagrestano» per la sua mania di ingerirsi nelle faccende ecclesiastiche, ordinò il censimento fiscale

delle proprietà immobiliari in dotazione alle Diocesi e alle Parrocchie su tutto il territorio della

Toscana. L’ordine fu trasmesso agli Enti interessati mediante circolare inviata dalla segreteria del

Regio Distretto di Firenze in data 26 settembre 1788.

Per la parte concernente il patrimonio della Chiesa di San Pietro in Radicofani, il pievano Rossini

affidò l’incarico a un esperto del luogo, Sig. Alessandro Cagnacci, di professione «Perito

campagnolo», il quale venne assistito nei rilievi topografici da Giuseppe Rossini, fratello del Parroco.

I due revisori eseguirono un dettagliato elenco degli appezzamenti di terreno e dei fabbricati di

pertinenza della Parrocchia, rilasciando su carta da bollo con lo stemma della Dinastia Lorenese un

attestato dell’estimo dominicale da essi computato in duplice copia, di cui una si conserva presso

l’Archivio vescovile di Chiusi nella Cartella n. 90, Inserto n. 2, sotto titolo «Amministrazione del

Beneficio parrocchiale di San Pietro»; mentre l’altra fu depositata nella «Cancelleria Comunicativa

della Terra di Radicofani», all’interno della Filza intitolata «Affari della Chiesa Parrocchiale» e

collazionata sotto il n. 1 dell’Archivio comunale. La relazione scritta di propria mano

dall’agrimensore Cagnacci in un quinterno di carta protocollo e datata 25 ottobre 1788, consiste nella

lunga e minuziosa descrizione dei numerosi appezzamenti di terreno, distribuiti un po’ dovunque

nella «Corte di Radicofani», dei quali la Parrocchia di San Pietro era venuta in possesso nel corso dei

secoli a seguito dei frequenti «Lasciti» ereditati per testamento e condizionati all’obbligo dei relativi

suffragi. Si tratta per lo più di particelle di modesta entità che,

…………………………………………… Oltre a questi «Beni di Suolo», la Pievania possedeva,

destro al Paese, la Casa Canonica situata in Borgo Maggiore, una stalla con fienile……. …….e due

stanze sotterranee ad uso cantina…….

Alla cura di S. Andrea in Castel Morro, certamente aperta fino al 1780, quando la Compievania

di San Pietro venne incorporata alla Chiesa della Fortezza, ma che già otto anni dopo il perito

Cagnacci dichiara «soppressa», appartenevano i vicini terreni di Poggio Sasseta, delle Pianacce, di

Sterposi e della Mattonaia e una successiva perizia attribuisce pure terreni in contrada Fonte Antese.

Al Convento dei Padri Conventuali, anch’esso soppresso in quel periodo, oltre la Chiesa di San

Lorenzo, oggi dedicata alla Patrona S. Agata, risultano intestati i terreni di San Francesco Vecchio,

del Poggio della Benedizione e del Vallocchio. Il grande fabbricato adibito a Convento, che risale al

XIV secolo, venne in seguito frazionato e attualmente appartiene a vari enti e privati: ACLI,

abitazione Amadei, Ristorante Pascucci (oggi La Grotta), Teatro.

Dal generale sovvertimento delle istituzioni religiose si salvò invece, sia pure con tregua

momentanea, il Convento dei Cappuccini, grazie alle costituzioni dell’Ordine che facevano divieto ai

Frati di possedere beni fondiari, ad esclusione della Chiesa, del Convento e dell’orto, sempre recinto

dal muro di clausura.

L’indiscriminata riforma imposta da Pietro Leopoldo non rispettò neppure un ente di pubblica

utilità, come l’Ospedale di San Pietro, costruito durante il Quattrocento sotto il nome di «Spedale dei

Pellegrini» e situato nel vasto edificio che sorge sulla sinistra all’imbocco della vecchia strada del

Camposanto. La fine dell’antico Ospedale, che aveva annessa la Chiesa della Madonna delle Grazie,

fu decretata allo scopo di confiscare i possedimenti ubicati in contrada Selva Maggiore, Cavellerecce

e Baiotto, le cui rendite avevano consentito per lungo tempo di offrire assistenza gratuita agli

ammalati del Paese e ai viandanti che si recavano in pellegrinaggio a Roma.

Pag.56

La presenza di un cappellano stabile all’ufficiatura della Chiesa delle Vigne. Questo luogo di

culto, sorto per ultimo durante il Settecento in una zona molto popolata della campagna radicofanese,

oltre alla Chiesa in stile barocco, disponeva di una spaziosa abitazione e un orto attiguo, come era

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consuetudine delle case canoniche rurali. Detta Chiesa possedeva inoltre una proprietà terriera di oltre

dieci ettari, impiantata parte a vigna e parte a bosco, che proprio in questo tempo venne concessa in

affitto al Sig. Madioni, gestore dell’Albergo «La Posta», ricordato da una lapide che si trova ancora

dietro all’altare nella chiesa di S. Agata.

Per capire meglio le vicissitudini delle chiese di Radicofani inserisco in queste pagine un prospetto dell’attivo e passivo della Pieve di San Pietro agli inizi del 1800 e precisamente nel 1803.

Pag. 61

STATO ATTIVO

Fruttato dei Beni della Pieve, circa L. 350,00

Annuale prodotto delle Decime parrocchiali, circa 1500,00

Censi delle soppresse Compagnie laicali 98,88

Frutti della Chiesa di S. Antonio 25,00

Frutti della Chiesa di S. Rocco 12,00

Frutti dell’Opera di Castel Morro 28,00

__________

Totale delle Entrate 2.013,88

STATO PASSIVO

Cattedratici alla Mensa Vescovile in grano Staie cinquanta

Valutate al prezzo di lire Toscane 3 e Paoli 1 183,68

Tassa Comunicativa 50,00

Olio per lampada del Sacramento 75,00

Bollettini per la Comunione pasquale 6,00

Cera per la Candelora 45,00

Consumo di cera annuale 175,00

Vino, Ostie, Biancheria per le Messe quotidiane de’ Sacerdoti 40,00

Pulizia della Chiesa e Sacrestia 105,00

Manutenzione della Casa Canonica 105,00

Provisione all’Organista e Manticista 40,00

Manutenzione dell’Organo 7,00

Manutenzione degli Arredi Sacri 28,00

Salario al Sacrestano 20,00

___________

Totale delle Uscite 879,68

In calce alla Nota segue questa dichiarazione:

«Io Giuseppe Gorgoni, nuovo Pievano eletto della Pieve di

Radicofani, approvo i suddetti obblighi a’ quali mi sottopongo. Do’

il mio consenso che il Cappellano di San Piero in Campo esiga dieci

Stara di grano delle Decime che pagano a Radicofani la Fattoria del

Pero e i poderi denominati: Sodelli, Piano Fondi, Casa Cioli e il

Molino della Foscola a titolo di gratificazione per gl’incomodi che

esso Sig. Cappellano si prenderà nell’assistenza, nell’istruzione e

nell’amministrare i Sagramenti alle anime dei poderi e Fattoria

predetta; avrà anco gl’incerti per l’Uffiziatura dell’Oratorio sotto il

titolo di Santa Croce in luogo detto il Piano (Pero). Io Giuseppe

Gorgoni, di mano propria»

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Si noti che il Gorgoni fu l’ultimo Pievano di San Pietro a Radicofani, dalla sua morte i Parroci

prenderanno il titolo di Arciprete e la Chiesa da Pieve si nominerà Arcipretura e il primo Arciprete

sarà Paris Magrini.

Pag. 118 e segg.

STATUA DELLA MADONNA DELLE VIGNE

Visto il successo riportato con il primo intervento, il Parroco (Don Marcello Magrini l’autore) decise di procedere senza interruzione alla seconda parte del piano programmato, commissionando

al Fatini il restauro di un’altra statua di legno policromo, non meno popolare e venerata anche se di

minore interesse artistico: la «Madonna delle Vigne». Il titolo attribuito comunemente a questa

Immagine sacra deriva dalla località in cui sorgeva l’importante Chiesa rurale che fu, senza dubbio,

l’ultima ad essere costruita nel territorio della Parrocchia. Ne fa fede l’interessante relazione

compilata il 30 giugno 1676 dal funzionario granducale Bartolomeo Gherardini per incarico di Sua

Altezza Serenissima Cosimo III dei Medici. In effetti, mentre il Gherardini riporta accuratamente tutti

gli edifici adibiti al culto esistenti in quel tempo nel centro abitato di Radicofani e nel suo Contado,

non fa alcuna menzione della Chiesa dedicata alla Natività della B.V. Maria, posta in contrada «Le

Vigne». Segno evidente che, all’epoca in cui il rapporto venne redatto, la suddetta Chiesa non era

ancora stata edificata per l’ovvia ragione che, in caso contrario, il diligente relatore non avrebbe

omesso di segnalarla, considerata la notorietà che essa assunse in seguito.

Sappiamo infatti che, fino a tutto l’ottocento, la Chiesa delle Vigne ebbe un proprio Cappellano

residente e ottenne la qualifica di «Succursale» della Parrocchia di San Pietro per la zona di campagna

compresa nel versante del torrente Rigo. Si può dunque presumere che la fondazione di questo nuovo

e popoloso centro di aggregazione religiosa risalga all’ultimo scorcio del secolo XVII.

Le uniche date sicure che possediamo intorno a questo fabbricato provengono dalle due campane

che si trovano sul campanile a vela eretto sul lato sinistro della facciata, e che attualmente sono in

deposito nella sacrestia vecchia della Parrocchiale. Ma si tratta di una testimonianza troppo posteriore

per poter essere utilizzata nella determinazione dell’origine della Chiesa. La campana minore, più

antica, riporta incise due immagini, il Crocefisso e S. Antonio da Padova, e l’iscrizione disposta in

alto lungo una sola fascia: Aere Patrui Michael Benai nepos fecit A.D. 1769. La campana maggiore,

più recente, reca in rilievo i due monogrammi di Gesù e della Madonna, mentre l’iscrizione corre su

due fasce sovrapposte: Ioannes Baptista Renzi Custos B.M.V. ad vinas ex elemosinis – curavit fieri

A.D. MDCCLXXXXI. Per buona sorte, siamo invece venuti a conoscenza di tutte le notizie che

riguardano la statua della Madonna.

Nel corso del recente restauro, regolarmente autorizzato dalla Soprintendenza, mentre si

procedeva alla ripulitura della sacra immagine, è stata rinvenuta, nascosta il piedistallo, la seguente

iscrizione che riferisce il nome dello scultore, la località di provenienza e l’anno in cui l’opera venne

eseguita: Ans.no Montini – Siena – 1738. Il nome abbreviato dell’autore è tipicamente senese: S.

Ansano è infatti il Patrono di quella città. Per una volta tanto, la previdenza dell’artista ha risparmiato

ai posteri la ridda delle supposizioni che sogliono dividere gli esperti nell’attribuzione di un’opera,

quando vengano a mancare documenti espliciti e probanti. L’identificazione dell’autore ha permesso

inoltre di stabilire con certezza l’appartenenza dell’opera alla Scuola Barocca allora dominante, che

caratterizzò tutto il Seicento e gran parte del secolo successivo, introducendo una rottura tra due

concezioni artistiche.

In antitesi alla perfezione raggiunta dall’arte del Cinquecento e simboleggiata dalla linea retta, il

Barocco (vocabolo con il quale i Portoghesi designavano le perle irregolari) ricercò con ogni mezzo

la linea curva simbolo di movimento, la decorazione ricca ed esuberante, i forti contrasti tra luce e

ombra. Introdotta in Italia al tempo della dominazione spagnola, la Scuola barocca si affermò

dapprima a Napoli (da qui, la dizione alternativa di « Scuola Napoletana ») per poi risalire la Penisola

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fino alla fascia centrale, dilagando in tutte le manifestazioni artistiche e deturpando in particolare le

strutture dei precedenti complessi architettonici con inammissibili forzature prive di ogni validità e

giustificazione, delle quali anche a Radicofani, la chiesa romanica di S. Pietro e quella gotica di S.

Agata portano tuttora i segni.

La statua della Madonna delle Vigne presenta in pieno le caratteristiche proprie dello stile

barocco: il movimento generale della composizione, il contrasto dei colori, il panneggiamento

svolazzante come mosso dal vento, la ricchezza delle due corone d’argento finemente cesellate e

incastonate con pietre dure di color rubino e smeraldo. Ma la ricerca esasperata della novità, tipica

del Barocco, risalta soprattutto dall’insieme dell’opera, costituita di due diverse figure, distinte anche

se complementari, per cui, dovendo usare un termine esatto, non si può parlare di una singola statua,

ma di un gruppo. Ed è questa la caratteristica maggiore che fa dell’originale composizione una vera

rarità. In effetti, la Vergine Maria non sorregge sulle braccia il bambino Gesù, secondo i moduli

consueti dell’iconografia tradizionale, ma si trova in posizione genuflessa e con le mani giunte in atto

di preghiera, mentre il piccolo Gesù, seduto in basso sopra un cuscino, invita i fedeli con l’indice

sollevato a rivolgersi alla Madre perché interceda presso l’Onnipotente per proteggere i lussureggianti

vigneti dalla minaccia delle intemperie e ottenere abbondante raccolto.

Dall’alto dell’Altare Maggiore, incorniciato da un festone di pampini e di grappoli d’uva, la sacra

Immagine ricevette per lungo tempo devoto e fiducioso omaggio da parte degli abitanti della zona,

attaccatissimi alla loro celeste Patrona, e la Chiesa continuò ad essere officiata ininterrottamente fino

all’inizio del Novecento, quando l’ultimo Cappellano residente, Don Francesco Bonsignori, si trasferì

a Pienza dove venne nominato prima Canonico e poi Parroco di quella Cattedrale. Successe come

Rettore Don Ferdinando Valenti, il quale, essendo impegnato a Radicofani dove svolgeva le mansioni

di Viceparroco, continuò a mantenere la sua dimora in Paese e di conseguenza fu costretto a limitare

il servizio religioso nella Chiesa delle Vigne ai soli giorni festivi. Purtroppo, anche questa officiatura

ridotta dovette essere sospesa nel 1938 in seguito alla scomparsa di Don Ferdinando, e da quella data,

essendo rimasto a Radicofani il solo Parroco, la Chiesa delle Vigne rimase definitivamente chiusa,

con l’unica eccezione della ricorrenza annuale della Natività della Madonna, che cade l’8 Settembre.

Nel clima tenue e luminoso dell’incipiente autunno, si riviveva per un giorno l’ambiente

suggestivo di quelle feste campestri, di cui oggi si è perduto il ricordo. Al mattino, dopo la prima

Messa della Comunione generale, aveva luogo la Messa solenne in terzo con la partecipazione di

alcuni Sacerdoti venuti dai paesi vicini. Seguiva, nei locali dell’ex Casa canonica, il grande banchetto

rumoroso e gioviale, offerto dai «Benefattori» che avevano contribuito alla raccolta della questua, e

conclusa dai brindisi e dai cori delle vecchie canzoni. Nel pomeriggio, l’intera popolazione del Paese,

preceduta dalla Banda musicale, si trasferiva in massa alle Vigne, percorrendo a piedi il lungo tragitto

per partecipare al canto dei Vespri e alla processione della sacra Immagine.

L’ultimo atto si svolgeva nello scenario del vasto piazzale antistante, all’ombra delle querce

secolari, attorno alle bancarelle dei venditori ambulanti, con l’esecuzione del programma ricreativo:

la gara dell’albero della cuccagna, il giuoco della pentolaccia, la corsa dei somari recalcitranti sotto

la guida degli improvvisati fantini e, per concludere, sull’imbrunire, l’immancabile ballo all’aperto

ravvivato dal suono delle fisarmoniche. (Fra i giuochi vi era anche la corsa degli insaccati, ma, guarda caso, non vi era la corsa dei Bigonzi!)

Dopo questo libro Don Ferruccio Magrini ha fatto altre ricerche all’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi ed ha trovato la data esatta della costruzione della chiesa della Madonna delle Vigne e ha scritto quanto segue:

ARCHIVIO VESCOVILE DI CHIUSI

Sezione di Radicofani Cartella n. 95-B

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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CHIESA DELLA MADONNA DELLE VIGNE

ANNO 1617 – Dal primo manoscritto apprendiamo che un certo PULLIONE CAMERINI espone al

vescovo di Chiusi come nel territorio di Radicofani si trovava un’Edicola con l’immagine della

Santissima Vergine detta “Madonna delle Vigne”. Poiché l’Edicola costruita non in muratura, ma con

pietre collocate a secco, minacciava rovina, il CAMERINI chiede al Vescovo l’autorizzazione per

ricostruire una nuova Edicola murata a calce, utilizzando le offerte non solo dagli abitanti del luogo,

ma anche dai paesi vicini che si dimostravano fervidi devoti di tale immagine miracolosa.

L’Immagine cinquecentesca, oggi perduta, consisteva in una tela dipinta, poi sostituita nel 1738

dall’attuale scultura, opera di Ansano Montini.

Anno 1716 – L’Edicola ricostruita dal PULLIONE si trovava più a valle, presso un’antica strada che

conduceva al torrente Rigo e di cui sussistono ancora le fondamenta della “CASETTA” di cui scrive

PULLIONE CAMERINI, essendo in muratura, poté resistere esattamente per un secolo allo

smottamento inarrestabile del terreno circostante di natura argillosa e solcato dal fosso del VIEPRE.

Ma agli inizi del settecento, anche l’Edicola in muratura era tornata di nuovo inagibile e minacciava

rovina. Gli abitanti delle Vigne adottarono allora una soluzione radicale, abbandonarono l’antica

Edicola al suo destino, per costruire una nuova Chiesa, più in alto e lontano dal fosso. Scelsero a tale

scopo un pianoro nelle vicinanze del podere “VIEPRE” e qui edificarono nell’anno 1716 la grande

Chiesa casa canonica pervenuta fino ai nostri giorni. Primo Cappellano-Curato fu il sacerdote

radicofanese Don Gabriele GERLINI. Per assicurare il mantenimento del sacerdote incaricato di

ufficiare regolarmente la nuova CHIESA, i Priori del comune di Radicofani, Angelo BENDUCCI e

Andrea RAGNINI, con pubblico e generale Consiglio del GENNAIO 1734 donarono quattro moggia

di terra in contrada SCALDASOLE, riservandosi il diritto di PADRONATO nella chiesa stessa.

(Nel lavoro in ottava rima del Sig. Rappuoli Mario, che riporto qui sotto, vi sono alcune inesattezze ma vi sono in sostanza tante cose che, se non dette, sarebbero andate perdute, però da questa poesia e dalla ricerca di Don Marcello si ha una panoramica abbastanza esauriente sia della festa che della chiesa di questa Madonna delle Vigne).

LA MADONNA DELLE VIGNE

(a cura di Mario Rappuoli)

Cari signori, mi son messo in testa,

Con questi umili versi di narrare

D’una chiesa che restano di questa

Vecchi muri per farci ricordare

La sua bellezza e quella grande festa

Che, in essa, si soleva celebrare,

Ogni anno, di settembre il giorno otto

Quando non era il mondo sì corrotto.

2

Una leggenda, di cui sono edotto,

Dice che in una vigna fu trovata,

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Da un bravo e religioso giovanotto,

Una statua di Maria Immacolata.

Questi , dal prete, se ne va di trotto

Dicendogli, con voce concitata,

Che c’era la Madonna che pregava

Gesù Bambino, ch’ai piedi le stava.

3

Il buon prete sul posto si recava,

Che distava soltanto poche miglia,

Dal vecchio Radicofani e trovava,

Con stupore e grande meraviglia,

La Vergine che il Figlio supplicava.

Tosto la decisione, il prete piglia,

Che nella chiesa fosse trasferita,

Del paese ed in quella custodita.

4

E la cosa fu subito eseguita

E venne collocata sull’Altare,

Ma la mattina dopo era sparita,

Se anche la porta fu fatta serrare;

La gente addolorata e sbigottita

Subito la Madonna va a cercare

E la trova giù nella vallata,

Dove, dal giovanotto, fu trovata.

5

E nella chiesa venne riportata

E con la chiave fu chiusa la porta,

Ma durante la notte era tornata,

Giù, alle Vigne senza essere scorta;

Il prete, ch’era d’indole ostinata,

Alla chiesa, del paese, la riporta,

Ma nella notte ancora ritornò

Laggiù, dove il ragazzo la trovò.

6

A questo punto più non si portò

La statua nella chiesa del paese,

Una chiesa per Lei si edificò,

Proprio là dove Lei dal ciel discese.

La gente tutta vi partecipò,

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Senza badare, per niente, alle spese,

Purché la nuova chiesa fosse stata

Degna della Madonna Immacolata.

7

La nuova e bella chiesa fu chiamata

“Madonna delle Vigne”, ove la gente,

Di purissima fede infervorata,

Ivi andava a pregar continuamente.

Questa leggenda dai vecchi narrata,

La quale m’è restata sempre in mente,

Ascoltatori, l’ho voluta dire,

Perché il ricordo non vada a finire.

8

Giacché, come potete ben capire,

Anche se la leggenda è molto bella,

Noi non possiamo affatto stabilire

Quanta di verità ci sia in quella.

Perché la chiesa si fa risalire,

Benché la storia non ci dia novella,

Alla prima metà del settecento,

Quando, laggiù, la gente ebbe incremento.

9

Ulivi e vigne furono in aumento

Ed aumentò così la produzione

Di vino, d’olio, d’orzo e di frumento,

Vanto del contadino e del padrone.

Il popolo, però, era sgomento,

Perché per la Messa e la Comunione,

Fino il paese, su, doveva andare

E doveva (per) sei miglia camminare.

10

Ed allora fu fatta edificare,

Giù alle Vigne, in bella posizione,

Una chiesa spaziosa per ascoltare

La santa Messa e tutta la Funzione.

Nel campanile fecero istallare

Due campane d’un’ottima fusione

E quella chiesa fu poscia abbellita

Dalla casa del prete, ivi costruita.

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11

La chiesa, nell’interno, fu arricchita

Da una Madonna lignea col Bambino,

Con gran bravura e fascino eseguita,

Che ricalcava molto da vicino

Quella della leggenda, or ora udita,

Che tiene le man giunte e il capo chino

Sopra al Bambino c’ai suoi piedi siede,

Bella scena dell’arte e della fede.

12

Ed un bel Tabernacolo si diede,

D’alabastro, con stile lavorato,

Alla stupenda chiesa e ben si vede

Che da Volterra, lì, venne portato.

Un sacerdote fisso vi risiede

E vi affluisce gente da ogni lato,

Per ascoltar la Messa e la Funzione,

Con tanta fede e grande devozione.

13

Uomini e donne senza distinzione,

Nutrivano un sincero attaccamento.

Alla Madonna e a Lei, con compunzione,

Perdon chiedean per qualche mancamento.

Il prete tenne, lì, l’abitazione,

Come si sa, per tutto l’ottocento,

Poi il sacerdote venne trasferito

Ed il servizio fu diminuito.

14

Il prete che l’avea sostituito

Era impegnato con altre mansioni

Quindi il servizio venne garantito

La domenica e poche altre eccezioni.

Questo servizio, da tutti gradito,

Venne soppresso per chiare ragioni:

Il prete, che in paese, risiedeva,

Nel trentotto, purtroppo, decedeva.

15

L’arciprete, da solo, non poteva

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93

Fare, sebbene ridotto, quel servizio,

Così la bella chiesa si chiudeva

E quella, della fine, fu l’inizio.

Tosto la guerra inutile esplodeva,

Che tutti ci portò nel precipizio.

La Chiesa delle Vigne fu occupata

Dai marocchini e quindi devastata.

16

E da quando, la chiesa, fu lasciata

Dalle truppe francesi combattenti,

È rimasta per sempre abbandonata

Ed oggi restan sol muri cadenti.

La pregevole Statua fu salvata,

Dalle grinfie di quell’orde inclementi,

Grazie ad un bravo milite francese

Che con fede e coraggio la difese.

17

Tuttora, nella chiesa del paese,

si conserva la Statua prediletta,

Dove, per evitar brutte sorprese,

Si portò dalle Vigne, in tutta fretta.

Le due campane, che restaro illese,

Qui da San Pietro, mandan voce schietta.

Il Tabernacolo anche fu salvato

Ed in San Pietro viene conservato.

18

Della festa, alle Vigne, oggi è restato

Solo il ricordo e molta nostalgia,

Quando il popolo, tutto entusiasmato,

A piedi, da lontano, si partìa.

E chi la quarantina avea passato

Sull’asina, a bisdosso, ci venia;

All’asina attaccava un fagottino

Con il prosciutto, cacio, pane e vino.

19

La festa cominciava nel mattino,

Con la prima Messa e la Comunione,

Si pregava la Vergine e il Bambino,

Per aver e dal cielo la protezione.

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94

Finito ch’era, poi, il rito divino,

Si formavan gruppetti di persone

Tra i banchi, all’ombra delle querce annose

Dove vendeano vino ed altre cose.

20

Le bibite al ghiaccio eran famose,

Famose eran pure le porchette,

C’eran mele, fichi e pesche polpose

E l’anguria che si vendeva a fette;

C’eran susine e pere succose,

Uva matura e noci belle e schiette.

E tra la folla li sempre più spessa,

S’era giunti, così, all’altra Messa.

21

Dove la gente, zitta e genuflessa,

Commossa ascolta la Messa cantata

In onore de la Madonna stessa,

Che da tre preti viene celebrata.

Ognuno ascolta, prega e fa la promessa

Alla Vergine bella e Immacolata:

Nell’aiuto, di Lei, di confidare

E mai più, nel peccato, ricascare.

22

Dopo la Messa si soleva fare

Un gran banchetto, nei grandi locali

Dell’antica canonica, per dare

Mangiare e bere a molti commensali.

A questo pranzo si potean gustare

Ottimi vini e piatti originali,

Grazie ai cuochi che avean cucinato

E grazie a quei ch’avean collaborato.

23

Ed una volta il pranzo terminato,

Si sostava a cantar vecchie canzoni

E romanze ben note del passato,

Come era nell’antiche tradizioni.

Da casa sua, per sue proprie ragioni,

Si prendeva, con cura, il fagottino

Ben contento di fare uno spuntino.

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24

Più fortunato chi stava vicino,

Che alla festa si potea recare,

Dalle primissime ore del mattino,

Cosi la Comunione potea fare.

Parlare poi potea col contadino

E verso mezzodì, potea tornare

A casa a gustar vini prelibati

E molti piatti assai ben cucinati.

25

Dei convenuti molti eran chiamati

A pranzo dagli amici della zona,

Laddove erano stati preparati

Vini squisiti e roba molto buona.

Ogni famiglia avea molti invitati

Che il capoccia, degnissima persona,

Dice loro di bere e di mangiare

E della festa seguita a parlare.

26

Nel pomeriggio, poi, soleva andare

Tutto il paese, a piedi, alla gran festa,

Felice si metteva a camminare,

Con la banda locale sempre in testa.

Giunti giù, tutti andavano a pregare,

Nella chiesa, con aria grave e mesta;

Al vespro si assisteva e alla Funzione

E s’andava alla grande Processione.

27

Poi il prete dava la Benedizione

A tutti quelli ch’erano presenti,

Alla Madre Pia, chiedea la protezione

Delle Vigne, dei campi e degl’armenti.

La banda suona suona a profusione

Ed incominciano i divertimenti

Dei cazzotti, dei giuochi e della danza,

Tanto di tempo, ce n’era abbastanza.

28

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Di fare a pugni vecchia era l’usanza,

E spesso c’era chi solea aspettare

Un anno intero, con perseveranza,

Onde potere i conti regolare.

C’erano quelli poi che, con baldanza,

Trovavan sempre il modo d’attaccare:

Il troppo vino li facea impulsivi

E se li davan per sciocchi motivi.

29

I giuochi eran giuochi primitivi:

La cuccagna e la corsa dei somari,

Dove fantini di esperienza privi,

Le cadute facean spettacolari.

E dentro ai sacchi giovani giulivi

Facean la corsa su percorsi vari;

Per ultima veniva la padella,

Con attaccate cinque lire a quella.

30

Ma la danza era la cosa più bella,

Perché, li, sul terreno si ballava,

Dove la gioventù, agile e snella,

Al suon della fisarmonica girava.

Le donne allor portavan la gonnella

E il polverone che si sollevava

Le copriva la pelle verginale,

Ma anche polverose, eran belle uguale.

31

E spesso spesso, dell’amor, lo strale

Alle fanciulle le feriva il cuore,

Perciò non era affatto casuale

Se si innestava un vincolo d’amore.

E dopo tutto, che c’era di male

Se una ragazza bella come un fiore,

In quel giorno si fosse fidanzata,

Quando la Madonna era festeggiata?

32

Ormai, s’era alla fin della giornata,

I giovanotti si sentian beati

D’accompagnar la nuova fidanzata

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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E i vecchi a casa, già, erano andati.

La festa, si bella, era terminata,

Bella specie pei nuovi fidanzati.

Fu infatti detta, da lingue pungenti:

“Festa dei pugni e dei fidanzamenti”.

33

Io, della chiesa e dei festeggiamenti,

Ne ho sentito parlar sin da piccino,

Perché mia madre, con altri parenti,

Era nata e cresciuta li vicino;

E nutriva devoti sentimenti

Verso quella Madonna col Bambino

E sempre le diceva una preghiera,

Nel suo santo Rosario della sera.

34

Anche tutt’oggi, con fede sincera,

Quella Madonna è sempre venerata,

Con Triduo, Messa e Cantici la sera,

Qui in San Pietro, quando è

Festeggiata

Ascoltatori, questa mia maniera

Di cantar, spero che vi sia garbata.

Sono Rappuoli Mario (il Postino) rimatore

E vi saluto dal fondo del cuore.

Radicofani, lì 30 settembre 1989.

Nota:

La nota riportata qui sotto è stata scritta dal Rappuoli che era amico e nato nel 1916 come mio padre: Francesco Magi! Dopo alcuni anni dalla composizione di questo lavoro in ottava rima sulla “Madonna delle Vigne”,

siamo venuti a conoscenza che la chiesa attuale (della Madonna delle Vigne), venne eretta nel 1716.

(Duecento anni esatti prima che io venissi al mondo).

PRIME COMUNITA’ CRISTIANE E STRADE ROMANE NEI TERRITORI

DI AREZZO – SIENA – CHIUSI - (Alfredo MARONI) - (Edizioni Cantagalli – Siena

– 1990) - (Ristampa dell’edizione del 1973).

Pag. 37

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Nell’Estimo di Castelvecchio, presso S. Gimignanello, sono riportati i toponimi: «la via

d’Asciano» e «le vie di Sentino».

(Qui c’è una nota, la numero 84 che recita così: A.S.S., Estimo 33, c. 484. I Sentinati, di cui parla

un apocrifo Decreto di re Desiderio (FAURE, Memorie apologetiche del marmo viterbese, vol. I,

pag.134), sono frutto di un’invenzione di chi trasse spunto dal nome Centeno, località sulla riva

sinistra del Paglia sotto Radicofani, per localizzare in quella zona il popolo dei Sentinati, per i quali

Desiderio avrebbe costruito Radicofani e Ansedonia. Centeno appare piuttosto un prediale (podere, fondo) dal gentilizio latino Centinius o da centenum = segale.

Pagg. 54 e 55

I raccordi stradali tra la via Cassia e Siena.

La prima strada romana che univa la Cassia con Siena avrebbe seguito, secondo l’opinione

comune ripetuta ultimamente da Bonelli, (F. Bonelli, Il monastero di Abbadia S. Salvatore ed alcuni

edifici pre-romanici ad occidente del Monte Amiata, in Bullettino della Società Storica Maremmana,

18 (giugno-dicembre 1968), pp. 37-44.) il percorso Acquapendente, Ponte al Rigo, S. Pietro in Paglia,

da qui entrando nel piviere di S. Lorenzo avrebbe toccato le chiese di S. Cristina di Callemala che

secondo un documento del 903 (A.S.S., Diplomatico del monastero di S. Salvatore, pergamena ad

annum (a. 903) ) sorgeva presso il fiume Paglia, S. Quirico e la pieve di S. Lorenzo nel vico Trefossata

(come nella parentesi precedente ad annum (anni 797, 798, 896) ) e avrebbe proseguito per il

Formone, Ricorsi, Briccole e S. Quirico d’Orcia. Avrebbe percorso cioè quell’itinerario già detto «via

francesca» in un documento dell’876 (come nelle precedenti parentesi ad annum (a. 876) e descritto

dal vescovo Sigerico nel 994.

La strada venne poi sostituita dopo il 1191 con la via più lunga che passava per Radicofani che

fu percorsa in quell’anno da Filippo Augusto re di Francia e che è stata fino ai giorni nostri l’arteria

di comunicazione tra Siena e Roma.

Targioni Tozzetti scrisse che la carta del Granducato di Toscana pubblicata da Matteo Setter,

geografo del ‘600, «si trova la strada romana moderna segnata da Acquapendente, Ponte a Centeno,

S. Casciano de’ Bagni, Castiglioncello, Spedaletto e Buonconvento, perché il Setter l’avrà trovata

così notata in qualche libro antico di Poste, avanti che o la Repubblica Senese o il Granduca Cosimo

I la voltassero come sta ora». (G. Targioni TOZZETTI, Relazioni d’alcuni viaggi ecc., tomo IX, p:

294).

Il toponimo Migliari a nord-est di Radicofani indica chiaramente il passaggio della via romana,

la quale perciò non seguiva i due tracciati esposti ma con un cammino molto più breve, dopo Ponte a

Centeno, Ponte al Rigo, saliva a est di Radicofani seguendo da vicino il corso del Rigo, forse per

l’attuale «La Novella» e Casa al Sarti e raggiunta la pieve di S. Donato e Migliari, nello spartiacque

tra il Rigo e l’Orcia, si dirigeva a destra verso l’Orcia. La traversava al «vadum de petrosa», come

appare in una carta del 1038. (A.S.S. Diplomatico del monastero di S. Salvatore, pergamena ad

annum – a. 1038-).

Da qui la strada si portava a S. Andrea di Reiano o Reggiano (Regius) oggi S. Andrea di

Chiarentana. Dell’antica chiesa rimane oggi una piccola cappella: il suo titolare ricordato negli Statuti

di Chiarentana, venne trasferito nella chiesa di S. Bernardino al Castelluccio. Questo tratto di strada

appare in una carta amiatina del 1086 «ad ecclesia S. Michaelis de Muxona (S. Angelo di Cerviaia)

usque ad viam petrosam que venit ad ecclesiam S. Andrete de Reiano…». Nel castello di Reggiano

si fermò l’imperatore Ottone I nel 962 ed emise datato da questo luogo un privilegio a favore

dell’abbazia di S. Salvatore sull’Amiata.

Dopo Chiarentana la via traversava il torrente Miglia: una «Plagiam Milie» è già menzionata in

una carta del Libro delle Coppe di Montepulciano del 1243 (A.S.S. Libro delle Coppe di

Montepulciano, c. 133 r.) che potrebbe ricordare, come arguisce il Pieri per un anonimo torrente

presso Suvereto (Livorno), il nome «Via Aemilia» di questo tratto Bolsena-Siena. Per Palazzo di

Polo, la via toccava l’hospitalis S. Nicolai del medioevo, ospedale che trova la sua ragion d’essere

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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unicamente nella presenza di questa antica strada, dato che la via francesca correva dall’altra parte

del fiume Orcia.

Pag. 213

Il privilegio di Ottone III del 998 la denomina ancora «Baptisterium S. Viti in Pruniano», ma

risulta chiaro dagli errori della carta, che ci si curò di copiare i precedenti elenchi senza badare se la

chiesa aveva cambiato il titolare o meno. La facilità con cui avveniva tale cambiamento è già stata

notata per la pieve di S. Vito poi S. Giovanni in Corsignano. Lo troviamo anche nelle pievi di S.

Donato di Radicofani, di S. Cristina di Lucignano d’Arbia, dedicate al Battista nelle Rationes del

1276.

Pag. 219

S. Donato «de Radicofano», detta dalle Rationes Decimarum del 1275 «plebs S. Iohannis» per

l’uso diffuso di unire il nome del Battista a quello del titolare fino a sostituirlo. È ricordata in carte

del 1014 e 1067, non si conosce la sua ubicazione, sorgeva probabilmente nello spartiacque tra l’Orcia

e il Rigo.

(Vedi note scritte più sopra quando si parla della stessa chiesa)

Fra i libri vecchi vi sono due stampe anastatiche da cui riprendo quanto scritto sotto:

RELAZIONE DELLA CITTA’ DI FIORENZA E NEL GRANDUCATO DI

TOSCANA – sotto il regnante Gran Duca Ferdinando II – a cura di Galeazzo Gualdo Priorato –

ristampa anastatica –Arnaldo Forni editore S.p.A. – Bologna - ottobre 1977 – l’originale edito in

Colonia nel 1668.

Pag. 80

Lu∫uolo in Luneggiana è pur Fortezza con∫iderabile, & ine∫pugnabili ∫ono la Terra del ∫ole, la

Fortezza dal ∫alto della ceruia, e Redecofanni.

TRADIZIONI POPOLARI E LEGGENDE DI UN COMUNE MEDIOEVALE

E DEL SUO CONTADO (SIENA E L’ANTICO CONTADO SENESE) – a cura di Giuseppe

Rondoni – ristampa anastatica – Arnaldo Forni editore S.p.A. – Bologna.

Pag. 108

Troppo lungo sarebbe ripetere le mille storie fantastiche dell’antica Maremma e delle montagne

che le fanno maestosa corona. Venendo dall’Amiata al monte pittoresco di Radicofani, dove le mura

robuste di pietra basaltica riquadrata sembrano anche oggi ripetere storie di vendetta e di cavalleria,

e dove il Gigli segnalava tanta dovizia di tradizioni e di memorie, incontriamo una leggenda che

allietò forse i riposi di Ghino di Tacco e dei suoi fieri compagni, e che fu ripetuta, come storia vera,

da quei poveri campagnoli quasi fino alla metà del secolo decorso. Narravasi cioè che un romito

ricettava in quei luoghi Fiovo, figlio di Costantino, smarrito e fuggiasco con due altri compagni per

avere in corte ucciso un potente signore. Mentre restò celato co’ suoi in Radicofani, l’angelo che

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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recava ogni giorno un pane al romito ne portò invece quattro, ed in fine consegnò ai ricoverati

l’orifiamma (bandiera con stelle e fiamme d'oro in campo rosso, insegna militare dei re di Francia nel Medioevo). Allora il solitario palesò a Fiovo di essere il suo zio, e tutti ritornarono

in corte. Così la fiaba popolare, curiosissima perché ripete, combinandoli e localizzandoli in parte,

due celebri racconti del Fioravante e de’ Reali di Francia. Il Rayna, nelle sue belle e dotte ricerche

intorno ai Reali, ne pose in chiaro le differenze e la natura188. Infatti, mentre, secondo il Fioravante,

Fiovo è nepote, ne’ Reali è figlio dell’imperatore, e mentre i secondi lo fanno giungere nelle selve di

Corneto, il primo lo vuole ricoverato sulla montagna di Radicofani. Ne’ Reali il romito si chiama

Sansone, è zio di Fiovo; ma non si dà a conoscere, nel Fioravante non dice il nome di lui, né si fa

cenno alcuno di siffatta consanguineità, e, laddove ne’ primi Giamberone e Sanguino si uniscono con

Fiovo, e partono col romito per la guerra, nel Fioravante egli, dopo essersi confessato da Fiovo, muore

e va il cielo. Ora, nella nostra novella, seguendo la versione dei Reali, si piglia dal Fioravante la

notizia di Radicofani, e si aggiunge il riconoscimento fra zio e nipote, A buon conto, perché la prosa

del Fioravante è più antica di quella dei Reali, e risulta di varie narrazioni riunite insieme, con

istrettissima affinità con cantari e romanzi francesi, e con la saga islandese, resta chiara l’antichità, e

forse anche la derivazione originaria francese della nostra novella, e forse anche la esistenza di una

qualche versione locale, in parte smarrita, delle celebri leggende, tanto più che in Radicofani gli spiriti

cavallereschi furono certo assai vivi, talché un masnadiere Ghino di Tacco, largheggiò in cortesie

degne di romanzo e di poema. Anche la leggenda del re Giannino attribuisce a Radicofani l’avventura.

Pag. 150-151

Nel castello di Radicofani un medico, recandosi presso un grandissimo usuraio infermo, essendo

il cielo stellato e l’aria senza nuvole, fu arrestato «da due grandissimi tuoni e baleni». E volendo

entrare in camera del misero peccatore «venne un altro baleno con un tuono sì orribile che chiunque

era nella camera fece stordire e cadere accovolati in terra». Di lì a poco l’infermo era già cadavere, e

intanto rovesciavasi sulla terra una grandine con tanta tempesta che parea che «dovesse sonnabissare

». Se tuoni e procelle erano allora operazione diabolica, pensi ognuno che cosa non si favoleggiò dei

terremoti. Pel buon fra Filippo fu una schiera di gente a cavallo molto terribile che scosse e ruinò le

case di Borgo San Sepolcro, appena che una voce ebbe gridato: percuoti. Entrarono nella terra di

notte, né alcuno li vide, salvo alcuni villani di ritorno alle proprie case, ed un giudice del Potestà

levato a recitare il mattutino. Leggenda simile a quella dell’eremita di Vallombrosa che scorse un

tumulto di guerrieri formidabili via trascorrenti, de’ quali uno scongiurato esclamò: andiamo ad

affogare la città di Firenze per le sue colpe se Dio lo permette, ed all’altra della galea piena di demoni

che ratta solcava la laguna per devastare Venezia liberata da tre santi ascesi sopra una barca da

pescatore. A scongiurare tali pericoli si usavano anche in Siena i telesmata, oggetti che si seppellivano

nelle fondamenta dei pubblici e privati monumenti.

Dal libro che qui di seguito riportiamo, è stata ripresa tutta la storia che fino ad oggi si sapeva su Radicofani. È veramente importante, perché soltanto dopo gli studi fatti da F. Schneider, Kurze e Wickham con le ricerche sull’Abbazia di San Salvatore, e tutti quelli che presero parte al simposio per il 950° anniversario dell’Abbazia e soprattutto la pubblicazione del Codice Diplomatico Amiatino, questo era il libro più importante (o quasi) di tutta la storiografia della Val d’Orcia. Oggi le ricerche fatte da quegli storici ci hanno apportato altre notizie che fanno capire più a fondo la storia della nostra Valle con notizie certe dettate dal Codice suddetto.

Quando si parla della guerra che Cosimo I, insieme alle truppe imperiali, sferrò contro la Repubblica di Siena, per divenire, i Medici, Granduchi della Toscana, e

188 Collez. Di Opere inedite o rare, i Reali di Francia, vol. I, p. 19 e segg. 33 e 47-48, 61, Nei Reali il fatto di Fiovo è

narrato nei libr. 1, 7, 8, 9. Cfr. Gigli, Diario, II, p. 313.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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anche in questo caso riporto soltanto le parti che riguardano il paese di Radicofani. Questo libro, infatti, vuol parlare esclusivamente di Radicofani e suo Comune. In certi momenti, cita racconti che, in qualche modo fanno intuire le vicende che la nostra gente visse in questa guerra, che tolse la libertà alla Repubblica, e le cui gesta influenzano ancora gran parte di Siena e della Val d’Orcia. Chi vorrà informarsi meglio e più accuratamente dovrà leggere tutto il libro.

I CASTELLI DELLA VAL D’ORCIA E LA REPUBBLICA DI SIENA – a cura

di Arnaldo Verdiani-Bandi – L’Arco dei Gavi – Montepulciano – Siena Tipografia Turbanti

MCMXXXVI – Seconda Edizione – La presente edizione anastatica in cinquecento copie è stata impressa

nel mese di giugno MCMXXIII dalla tipografia Cantagalli di Siena

Pag. 8

Il territorio Chiusino a quei tempi vastissimo, giacché sembra si estendesse a gran parte della

Maremma senese, comprendeva nel suo bel mezzo ciò che oggi si chiama Val d’Orcia. E se il fatto

della cerva inseguita dal lupo, narrata da Tito Livio, e la testa di cinghiale e la figura del cacciatore,

rappresentate nelle antiche medaglie di quella metropoli, son indizi della rusticità del suo territorio,

gli importanti ipogei scoperti nei dintorni di Chianciano, di Montepulciano, di Castelnuovo

dell’Abate e nell’agro senese e la probabile origine etrusca dei nomi Follonica e Sarteano, danno

contezza di come quei luoghi fossero abbondantemente abitati.

La potenza di Chiusi era sì grande, che Roma ne tremò: e la vastità del suo dominio servì di pretesto

di guerra a Brenno Re dei Galli189.

Tutto ciò basterebbe a dimostrare come la Val d’Orcia dovesse essere a quei tempi fiorente,

quand’anche non ne dessero certissima prova i sepolcreti, trovati nel secolo passato presso Pienza e

San Quirico190 e quelli importantissimi di Castiglioncello del Trinoro, ove si rinvenne tale quantità di

cimeli, di lavori di figuline e di preziosi metalli, da ritenere «esservi stata costà la necropoli di qualche

grossa terra perduta»191 per non parlare di altre scoperte, già fatte e che via via vanno facendosi, nel

territorio di S. Quirico, di Castiglione192 ed in tutte le colline circondanti la valle.

Tutto insomma, anche la loro stessa ubicazione, persuaderebbe ad assegnare a questi paesi

un’origine Etrusca. …………………………………………………………………………………..

Pag. 11

Quanto poi al nome del fiume, da cui s’appella questa contrada, se alcuno lo crede una corruzione

di Horchia, dea etrusca, quasi fosse ad essa dedicata193, altri invece lo ritiene derivato da una famiglia

Urcia, antichissimamente, potente in questi luoghi194.

Il fatto sta che il nome di Orcia, che fin dai tempi dei Longobardi si trova alcuna volta corretto

in Orclas da quella barbara latinità, andò trasformandosi nel Vadus Ursus dei secoli Carolingi, per

finire nell’Urcea delle età posteriori.

………………………………………………………………………………………

189 PLUTARCO – Vita di Camillo. 190 «Nel mese di aprile (1751)non molto distante dalla Terra (S. Quirico) fu scoperto un sepolcro degli antichi Toscani e

in esso ritrovate molte urne e vasi con camei allacciati e con caratteri di quel tempo, che molto bene indicano essere stato

quel luogo abitato da quegli antichissimi popoli». – PECCI – Lo Stato Senese Ms. nella Biblioteca Moreniana di Firenze,

tom. V, fog. 176. 191 REPETTI – Dizionario etc., vol. I, pag. 593. 192 G. PELLEGRINI – Notizie degli scavi, dicembre 1898. 193 GIGLI – Diario senese Ediz. Moderna, tom. 2°, 484. 194 REPETTI – VOL. 3°, pag.682.

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All’incontro di S. Filippo poco si sa. Perché intorno alle sue terme, non esiste, a detta dello stesso

Repetti, documento anteriore al secolo XIV195.

…………………………………………………………………………………………………

Pag. 13

Se la parola rocca (arx) denotava spesso la parte più alta e più inaccessibile del castello, quando

era data ad un intiero paese, supponeva sempre un luogo fortissimo per natura e per arte, in elevata

posizione e di difficilissimo accesso essendo sempre situato sulla cima di una forte scogliera.

…………………………………………………………………………………………

……………che altri luoghi, come Castiglione (Castrum Leonis) Castiglioncello Latronoro, detto

poi del Trinoro (Castrum Latronum) Castelvecchio (Castrum Vetus) etc. nei quali la comune parola

castrum entra a far parte di denominazione e in certo modo li caratterizza, doverono, molto

probabilmente esser ridotti allo stato attuale in quel tempo, in cui le asperità naturali li rendeva sì cari

ai signorotti feudali. Né diversamente è forse da dirsi di Monticchiello, Campiglia e Radicofani.

E il Palazzo di Geta, a cui veniva sempre applicato il nome di Castellare e la Rimbecca e il

Castelluccio Bifolchi, senza parlare dei castelli di Vignoni e di Spedaletto, erano anch’essi luoghi più

o meno fortificati. Né questi, tuttora esistenti, erano, per avventura, i soli che fossero parte di

quell’ampio sistema di fortezze, che si trovano in Val d’Orcia. Perché, quantunque sia certo che di

moltissimi è andata perduta ogni memoria, abbiamo nondimeno notizia come esistessero fin dal

secolo IX, Castel di Villero nei pressi di Cosona196 ed un Castello d’Orcia d’ignota ubicazione. Si ha

poi memoria del castello di Montertine antichissimamente abbattuto197, di Reggiano, le cui rovine si

trovano sull’Orcia fra la Foce e Castelvecchio198, della Foscola, del castello di Mojana, delle

Rocchette di Radicofani. Di Perignano distrutto dai Senesi, di Castel Franco e della Bicocca presso

Campiglia, tutti oggidì totalmemte scomparsi, senza parlare di altri, dei quali sarà fatta a suo luogo

menzione.

Quella continua guerra di rappresaglie fra signorotti feudali e fra questi e la repubblica, nonché

le straniere invasioni, furono la causa di un così ampio sviluppo di fortificazioni in questa regione,

che può dirsi fosse posta in pieno assetto di guerra. Perfino la Briccola che, qualificata costantemente

col titolo di Burgo199, non dovrebbe essere stata mai luogo forte, porta un nome guerresco200.

Tutto ciò adunque necessariamente si connette a quell’epoca, in cui sulla larga costituzione

romana vennero innestandosi quelle piccole sovranità, che formarono il sistema così detto feudale, al

quale preluderono quelle invasioni di barbari, che portarono una così radicale trasformazione

nell’ordinamento delle cose d’Italia.

È dunque giuocoforza fare un salto nel bujo per giungere ai tempi della dominazione dei

Longobardi, che di tutte quelle orde di barbari, che desolarono l’Italia, avendo tenuto più stabile

signoria, furono quelli che lasciarono maggiori tracce nei paesi conquistati e gli unici che ne

lasciassero qualcheduna sui luoghi dei quali trattiamo. Fra le dense oscurità, che circondano il primo

periodo di loro invasione, è lecito affermare che la Toscana non sfuggì all’universale disastro e che

anzi il territorio di Siena fu una delle province, dove l’elemento longobardo venne più largamente a

sovrapporsi al vecchio elemento latino. Difatti negli anni posteriori, in cui le tenebre cominciano a

195 I documenti cui accenna il Repetti sono, molto probabilmente, quelli riportati dal Vigni nella sua Descrizione del

Casale e Bagni di S. Filippo, ma per la verità fin dal sec. X (995) in un diploma di Ugo Marchese di Toscana, emanato a

favore dei monaci della Badia S. Salvatore, questo luogo vien qualificato col nome di Bagno (Liverani Catacombe

Cristiane di Chiusi, pag. 281). 196 LIVERANI – Catacombe etc. pag. 272. 197 BANCHI – Statuti Senesi, vol. 3° pag. 249. 198 LIVERANI - Catacombe etc., pag. 284. Da questo castello, che Muratori afferma non saper dove fosse, fu dato un

diploma da Ottone I nel 961. 199 Si chiamano Borghi le domorum congregationes, quae muro non claudebantur. 200 La Briccola era una macchina militare che, come la catapulta dei romani, serviva a scagliar grosse pietre nelle città

assediate.

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diradarsi, si trova Chiusi già eretto in Ducato e la città e il territorio di Siena far parte del patrimonio

reale, come esplicitamente risulta da un tal documento, riguardante una controversia agitatasi tra i

vescovi di Arezzo e di Siena, ove vien detto che quest’ultima era dominicata ad manus Ariberti regis

Longobardorum e fin dal 678 si trova rammentato certo Willerat, gastaldo del re Perterite. Il

ricchissimo archivio dell’Abbadia S, Salvatore fornì agli archeologi una copiosa messe di documenti,

fra i quali con somma fatica spigolando, può raccogliersi qualche cenno fugace sopra i nostri

castelli201.

L’aver poi mantenuto i Longobardi, per lunghissimo tempo, l’antico loro costume di vivere alla

campagna202, fece sì che i mark, ove i principali risiedevano con quasi assoluta autorità, divennero

ben presto piccoli centri, ove andava raggruppandosi quel ceto di popolo, che attendeva ai lavori

campestri. Quindi l’agricoltura e le arti affini trovarono incremento in un tempo, in cui si godeva di

una pace quasi generale, tanto più che questi stranieri invasori oramai «non ritenevano di forestieri

altro che il nome»203. Alcune concessioni, fatte a chi si dedicava a nuove coltivazioni, doverono essere

di sprone al miglioramento delle condizioni agrarie e dai documenti dell’epoca si rileva infatti, come

fosse abbastanza estesa la coltura specialmente della vite e dell’olivo204.

Con tanto fervore si erano dati poi i longobardi alla loro nuova religione, che le fondazioni delle

chiese e dei monasteri, fatte durante la loro dimora in Italia, furono assai numerose, cominciando fin

da allora quei lasciti pro remedio animae, che seguitarono poi anche nei secoli successivi, con tanto

vantaggio della Chiesa. Fu pure attorno a questa epoca che quasi ogni monastero ed ogni oratorio sì

era annesso uno spedaletto o un ospizio, a vantaggio dei viaggiatori poveri o malati e dei pellegrini

che si portavano a Roma. E «particolarmente poi uso fu di quei tempi fabbricare questi ospizi di

carità, per sussidio e comodo dei pellegrini, dove si dovevano passare i fiumi senza ponte e valicare

la cima dei monti»205. Né sarebbe affatto improbabile, che datassero fino da quest’epoca le fondazioni

dell’Ospizio di S. Maria a Tuoma, dello Spedaletto di Val d’Orcia e dell’Ospizio o Spedaletto di

Briccole, che son luoghi antichissimi, ma dei quali non si ritrova l’origine. Certo è che simili

fondazioni, fatte dai Longobardi nel territorio Senese, furono assai numerose: perché quella tal

controversia, insorta al tempo del re Liutprando (712) fra i vescovi di Siena e di Arezzo, che ha fornito

il documento più completo ed interessante dell’epoca Longobarda, non ne lascia alcun dubbio.

……………………………………………………………………………………………………

Pag. 20 e segg.

Di Agello, qualificato coi nomi di vico o casale, e che in un istrumento del 750 viene indicato

per Agello ad Orcia, si trovano frequentemente rammentati, nei diplomi Amiatini del secolo VIII, i

201 Questi documenti peraltro, non andando al di là del secolo VIII, si riferiscono soltanto agli ultimi anni della permanenza

dei Longobardi in Italia, a quando cioè, dismessa la primitiva ferocia e convertitisi, per opera della regina Teodolinda,

alla fede cattolica, era venuta a mancare una delle principali cause di dissidio. 202 È noto che i Longobardi dividevano il loro territorio in tante parti chiamate nel loro linguaggio gau (parola che fu

tradotta in quella di comitatus e quindi contado) ove avevano piena autorità i graf (comites, donde venne poi la parola di

conte) che fungevano da capitani in guerra e da giudici in pace ed erano nei loro giudizi assistiti da alcuni notabili, che

furono più tardi chiamati scabini. Il gau poi, o contado, si divideva in parecchi mark (vici) ove abitavano le fare o tribù,

il capo delle quali (faro, baro, barone) risiedeva in mezzo nel suo castello (curtis, corte) e gli altri all’intorno. 203 MACCHIAVELLI – Istorie Fiorentine. Le Monnier, pag. 31. 204 Un istrumento del 736 stipulato in Agello, che fu vico o casale di Val d’Orcia, ci dà un esemplare della vera conduzione

coloniaria e dell’annua corrispondenza dei frutti al padrone. Per chi ne avesse vaghezza, eccolo nella sua barbara latinità.

«Placuit atque convinet inter Tasulu Centinarius et Pertulu qui Baruccio ut resedire divea suprascripta Baruccio iu casa

Tasulu in fundo Agelli in tertiam pars de uncia una, et persolvat in Angarias tertiam septimana; de vinea facta tertia

mensura, de quod plantaveri quarta mensura; in die Natale panis duo et parum pullis et in pasca similiter et unum pecus

si abuerit etc.» Le angarie, erano le opere manuali alle quali era tenuto Pertulo per tre settimane dell’anno. Della vigna

fatta deve corrispondere la terza parte della raccolta, di quella che avrebbe piantato la quarta, e più due pani ed un paio di

polli per Natale e per Pasqua ed un agnello se lo avesse avuto. Si notino, casa, septimana, Natale, parole prettamente

Italiane. 205 MURATORI – Antichità Italiane, tom. 2°, pag. 466.

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vigneti, ed è fatta menzione del suo giusdicente (Sculdais) e del suo Centenario206. Di questo casale,

di cui è perduta qualunque ricordanza, si può nondimeno rilevare la posizione geografica, ricavandola

dalla deposizione di alcuni testimoni, per causa di confini territoriali, controversi nel secolo XIII

(1205) fra il Comune di Montepulciano e la Repubblica Senese, nella qual circostanza uno degli

esaminati dichiarò di aver veduto i Montepulcianesi fare oste, sotto il comando dei Senesi, ad Agellum

qui est inter Montem Presim (il monte di Cetona) et Radicofanum207.

Una pergamena del 755, ………………………………………………………………

Intorno a Radicofani poi si scatenarono le bizze degli eruditi di due secoli fa. Il famoso decreto

di re Desiderio, pubblicato dal più famoso Annio da Viterbo, dette la stura (atto di sturare) ad accanite

diatribe, in cui Borghini, Cluviero, Muratori, Olstenio, Sigonio, Grutero, Beretti, Mariani, Lami e non

so chi altri, si trovarono impelagati fino ai capelli. Ultimo in ordine cronologico, fra cotanto senno,

l’Abate Faure scrisse, in difesa del decreto, un’opera di due volumi in quarto grande, di circa 500

pagine ciascuno: e la conclusione di tutto questo si fu che, nella peggiore ipotesi, ammesso anche che

detto decreto sia una solenne impostura, i fatti ivi enunciati sono conformi alla storica verità: quindi

partito più semplice è il ritenerlo per vero. Per ciò che riguarda Radicofani, ivi adunque vien detto –

è re Desiderio che parla -, In Tuscia edificavimus a fundamentis ……………………….Sentinatibes

……..Ausdonias et Rodacofanum. In Toscana edificammo dai fondamenti, ai Sentinati, Ansedonia e

Radicofani: I Sentinati erano, o gli abitatori dell’antico Sentino nell’Umbria distrutto dai Longobardi,

o meglio «alcune popolazioni sulla riva sinistra del fiume Paglia, delle quali ancora oggi esiste ivi un

castello chiamato Sento, onde, non molto lungi, è ancora il ponte Sentino, che volgarmente e

corrottamente Ponte Centino addimandasi»208. (Di tutto ciò ne abbiamo parlato anche sopra). In questo decreto, il re Desiderio enumera i benefici fatti dai Longobardi in Toscana e nella

Liguria, per dimostrare che non erano poi quegli uomini così crudeli, né quei terribili Tuscie

destructores, come papa Adriano si ingegnava di rappresentarli presso i re Franchi. E rammenta a

Grimoaldo prefetto di Viterbo che, finché durerà dubbiosa la pace, imponga a tutti i soldati di Toscana

di stare sull’armi, abbia in pronto gli stipendi e non gravi i cittadini con nuove esazioni.

E c’era ben di che. Giacché alle istanze dei pontefici, scendeva Pipino e poi Carlomagno in Italia,

che sconfitti finalmente i Longobardi (774), assicurava ai papi il libero godimento di quelle città, che

formarono il triste retaggio della loro autorità temporale209.

Pag. 23 e segg.

Dopo la dispersione della gente Longobarda, Adalgiso, figlio di Desiderio, rifugiatosi a

Costantinopoli, aveva ottenuto il comando di alcune truppe Greche e con esse sbarcato in Italia e tratti

al suo partito alcuni Duchi, fra i quali Reginaldo di Chiusi, insorse, ma con esito affatto infelice,

contro i Franchi.

Fu allora che Chiusi perdé l’onore del Ducato: e fu forse quella sedizione la causa, per cui Carlo

pose ogni cura di abbattere la potenza dei duchi, dividendo il loro territorio in parecchi gau o comitati,

sotto altrettanti conti dipendenti direttamente da lui, e di spartire i beni regi fra i suoi commensali o

gasindi, che, con nome esclusivo, cominciarono allora a chiamarsi vassi o vassalli: i quali, dividendo

a loro volta i beni affidati ad uomini loro, diedero origine ai valvassori (vassalli vassallorum) come

da questi vennero i valvassini etc. dopo i quali non si sa più dove scendesse questa divisione di potere.

Era un grande frazionamento di sovranità, che, riducendosi tutta alle forti mani di lui, gli

assicurava il godimento delle conquistate provincie. Giacché, seguendo l’antico costume Germanico,

egli accordava questi benefici ai suoi più valorosi capitani, impiantandoli nelle terre e nei castelli,

206 BRUNETTI – Il Codice etc., tom. I°. – Il Centenario era il capitano di 100 soldati come il Decano il caporale di 10. 207 MURATORI – Antiquitates etc,, tom. IV, pag. 81. 208 FAURE – Memorie apologetiche del marmo Viterbese etc., vol. I°, pag. 134. 209 La donazione di Pipino aveva smembrato antecedentemente alcune provincie alla dominazione imperiale, ma Arezzo,

Chiusi, Orvieto erano tuttavia rimasti sotto il dominio degli imperatori. (Platina – Historia delle vite dei Romani Pontefici,

pag. 91. Alberti Leandro, pag. 31 – Rafaele Volterrano pag. 122).

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d’onde, per il loro valore, erano stati sloggiati i signori Longobardi. E da questo seguì che, o fosse la

somiglianza del loro brio nazionale con l’indole del popolo Senese210, o piuttosto ne fosse «la causa

che in Toscana e maggiormente in quella parte che è oggi il dominio di Siena, che, come più vicina

ai confini, vi si trovarono et vi si presero più luoghi forti» (MALAVOLTI – Dell’Historia di Siena, fasc. 18.)

e quindi più numerosi dovettero essere i beneficati, vi si stabilì una numerosa colonia di signori

Francesi. E difatti tutta la vecchia nobiltà del luogo è di origine Franca o Longobarda, ma più di quella

che di questa, al che dové certamente, soprattutto, contribuire quella rivolta di sopra accennata, nella

quale gli abitanti di questa contrada si erano manifestati così affezionati ai loro vecchi padroni.

Cessati i duchi, la città e il distretto di Chiusi furono governati da gastaldi: giacché fin dall’anno

803 trovasi un Ischinbaldo gastaldo; e rammentato in un diploma di Ludovico Pio, a favore del

monastero di S. Antimo, un Petrone, ed un tal Orso, parimente gastaldo, in un pubblico rogito

stipulato in quella città211. Soltanto sulla fine del secolo IX, sembra che ad essi sottentrassero i Conti,

come nello stesso tempo e con lo stesso titolo, governava un Grafone a Sovana e un Wingisi, o

Guinigi, a Siena.

Una pergamena Amiatina, scritta in Roselle l’anno 867, parla di una permuta di Casali e poderi

fra i figli del fu Petrone della città di Chiusi con Wingisi conte di Siena, a cui fa dato in cambio il

casale di Tintinnano (Rocca Tentennano, che fu poi Rocca d’Orcia). Da questi antichi magnati

Chiusini ebbe origine la consorteria dei Conti di Marsciano, dei Signori dell’Ardenga, dei Visconti

di Campiglia, dei Manenti di Sarteano e di Castiglioncello del Trinoro, che ebbero tutti giurisdizione

nel territorio dei nostri castelli.

Né i beni regi erano estranei a questa contrada. Giacché si trova rammentata (817) la Terra del

re verso S. Quirico e Pian Castagnaio «quella della regina presso Novennano e Radicofani» e «nel

letto dell’Orcia si conserva, ancora in oggi, il pian del re, detto negli istrumenti antichi planum regis»

e son ricordate le corti del re a Sovana, a Montepulciano ed in altri luoghi circonvicini.

Attorno a questi anni (803) si hanno pure le prime notizie sulla potentissima prosapia dei Conti

Aldobrandeschi, anch’essa di origine Salica, e su i loro possessi dei contadi di Sovana, Grosseto e

Galliano, così estesi che «si diceva che solevano avere più castella, che non sono dì nell’anno». Un

Conte Lamberto, figlio del Marchese Ildebrando, con atto stipulato (973) nel suo castello di Galliano,

oppignorò a Ropprando Abate di S. Salvatore, per la somma di lire 10.000, in presenza di molti

testimoni del contado di Chiusi, 45 corti coi loro castelli e pertinenze, che egli possedeva nei contadi

di Chiusi, Castro, Toscanella, Sovana, Rosselle, Populonia, in quello di Parma, di Lombardia, di Novi

e nella Liguria. Ma nell’aprile del 989 la Contessa Ermengarda, figlia del Conte Ranieri, rimasta

vedova del suddetto Lamberto, con atto stipulato in Lattaia, riacquistava tutte le 45 corti nominate,

delle quali una era Monticchiello.

In mezzo allo svolgersi di queste grandi signorie baronali, era sorta altresì, ed andava ogni giorno

estendendosi, un’altra signoria: vale a dire le abbazie ed i monasteri, investiti anch’essi di diritti e

poteri feudali.

……………………………………………………………………………………………………

………………………….

L’Abbadia di S. Salvatore, di cui è già nota l’origine, fu la più ricca di quante furono in Toscana.

I privilegi imperiali, emanati a suo favore da Ludovico Pio nell’anno 816, furono confermati ed

aumentati da Lotario I (836), da Ottone I (964), da Arrigo II (1006), da Corrado II (1027 e 1036). La

sua giurisdizione si estendeva a moltissimi villaggi, casali e castelli situati nei contadi di Chiusi,

Sovana, Toscanella, Castro, Orvieto, Siena, Grosseto, Populonia etc. come risulta da più documenti

del suo archivio, fra i quali verremo citando alcuni, che più interessano la storia dei nostri castelli.

210 REPETTI – TOM. 5°, PAG. 299. 211 PIZZETTI – Antichità Toscane, - BRUNETTI – Cod. Dipl.

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Fin dal mese di maggio dell’anno 828, esistono istrumenti di comprite, fatte da quei monaci nel

casale di Corsignano: e quindi, nei privilegi imperiali degli anni 1027 e 1036 fu confermata al

suddetto monastero la corticella, che possedeva in Corsignano con tutte le sue appartenenze212.

Guido imperatore, con diploma dato in Roselle l’anno 837, conferma tutti i beni e diritti al

monastero di S. Salvatore nel Monte Amiata e gli dà concessione di tenere un mercato annuale213.

Il Conte Ugo, figlio del C. Ranieri, ed il C. Ildebrando della consorteria dei Visconti di

Campiglia, donarono (1072) al monastero Amiatino una corte con terreni, posta nel borgo di

Callimala, ove da tempo quella Badìa aveva il patronato di una chiesa sotto il titolo S. Cristina214. Ed

ugual patronato ebbe fin dal secolo X nella Pieve di S. Stefano in Tutona215, l’antica pieve di

Castiglion d’Orcia, della quale è questa, per avventura, la prima notizia.

La corte di S. Clemente in Tintinnano (Rocca d’Orcia) rammentata fin dal 915 in un diploma

dell’imperatore Berengario, a favore dei monaci Amiatini, fu loro confermata nel 5 aprile del 1027 e

di nuovo nel 1036 da Corrado II.

In uno istrumento (806) stipulato nella corte del detto monastero, con cui quei monaci

comprarono una vasta estensione di beni nel territorio di Sovana, figura come testimone un tal

Giordano di San Filippo216, casale che, con l’altro di Rota Cardosa (Ponte al Rigo) fu poi loro donato

da Ugo Marchese di Toscana, nell’anno 935217.

E da atti, di poco posteriori, resulta come quei monaci avessero giurisdizione su parte del castello

e distretto di Radicofani.

Con atto stipulato (1064) presso la rocca di Campiglia, fu loro donata, da alcuni patroni della

chiesa di S. Lorenzo, porzione del Borgo del Formone218; e nello stesso anno ebbero altre donazioni

di possessi, fra la pieve di S. Maria in Campo e il luogo di Mussona, con atto stipulato in

Reggiano219.Di questo castello poi nel 1028 avevano ottenuto per un fermaglio (nusca) d’oro del

valore di 100 soldi, la terza parte delle case, terreni, vigne, poggio e castello con tutta la chiesa di S.

Andrea, per istrumento stipulato ad S. Andrea propre flumen Horcea220.

Al 1031 risalgono le memorie della Badìa di S. Pietro in Campo, allora di patronato dei Manenti

di Sarteano, alla quale un C, Pietro, figlio di Wingildo e di Teodora, insieme ai fratelli Ranieri e

Farolfo, faceva dono nel 1055 di alcuni possessi.

L’Imperatore Arrigo I, fin dal 1003, aveva donato a S. Romualdo alcuni beni nel Monte Amiata,

ove poi sorse l’Eremo del Vivo, in cui il santo abitò qualche tempo e stabilì la riforma Camaldolese221.

E circa li stessi anni, presso la chiesa di Santa Maria a Tuoma, fu edificato un ospizio di Eremiti

Camaldolesi, donde venne che la porta di S. Quirico, che guarda da quel lato, si chiamò e si chiama

tuttora Porta Camaldoli222.

212 REPETTI – Op. cit.-Vol. I. pag. 610. 213 MURATORI – Dissertazioni sopra le Antichità Italiane, Tom. 2° - pag. 35. 214 REPETTI – Vol. I°, pag. 310. – Il borgo di Callemala (Callimalus) era situato sulla via Francesca, alle pendici del

monte di Radicofani, presso il fiume Paglia. 215 REPETTI – Op. cit., Vol. I°. pag. 460. 216 BRUNETTI – ivi. Tom. 3°. Pag. 193. – Ciò solo dimostra all’evidenza quanto sia erronea la tradizione, che vorrebbe

che questo villaggio prendesse il nome da S. Filippo Benizzi, che venne al mondo più di quattro secoli dopo. Dunque il

suo nome si riferisce a S. Filippo Apostolo. 217 LIVERANI – Catacombe etc, pag. 281. 218 REPETTI – Vol. 4°, 553. LIVERANI – Catac. Pag.285. – L’antico Burgus de Formone era, con tutta probabilità,

l’attuale Ricorsi e non Castelvecchio, come crede Monsignor Liverani. 219 LIVERANI – Catac. Pag. 284. – S. Maria in Campo si disse poi Contignano, che sembra fosse edificato dai Conti di

Chiusi, forse dopo le devastazioni di Mussona, Reggiano e Vitena. 220 LIVERANI – Catac. Pag. 283. Ducato pag. 152.

221 L’autore della Storia Camaldolese (Venezia 1759. Tom. I°. pag. 368) dice che l’Eremo fu fabbricato nell’anno 1015

e che in progresso di tempo, a qualche distanza da esso, sorse pure il monastero dei Cenobiti. 222 REPETTI – Tom. 5°. Pag. 114. – Le prime memorie di donazioni a S. Maria a Tuoma sono dell’anno 1099, in cui

Ventura Ginerio, figlio del fu Gualando, e Guinizzone, figlio del fu Adelmo, donarono a quel monastero molti terreni

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E finalmente nell’anno 1016, la Contessa Willa figlia del fu Teudice e moglie del C. Bernardo,

con istromento rogato nel borgo di S. Quirico in Osenna, cedé alla Badia di S. Salvatore un possesso

dell’estensione di 12 moggia, situato nel vocabolo di Spineta, ove più tardi, per opera del C. Pepone

di Sarteano, sorse la Badia omonima. Il casale di Spineta, in prossimità di Agello, è più volte

rammentato nelle carte della Badia Amiatina: e i monaci possedevano, ivi presso, il castello di Mojana

con l’annesso territorio223.

È facile comprendere, come per tutte queste piccole sovranità, affinché non prorompessero fra

loro con la violenza, fosse necessaria una grande vigilanza ed una grande autorità che le contenesse:

e né l’una né l’altra vennero meno, fino a che Carlomagno fu in vita. Ma morto lui (814) il grande

edifizio, che aveva innalzato, cominciò ad essere scosso dai fondamenti, finché per le divisioni e le

guerre dei pretendenti alla corona dei suoi stati, l’opera sua andò in frantumi e l’autorità imperiale

decadde sì fattamente in Italia, che i signori feudali non ebbero più in essa quel freno, necessario a

contenerli entro i limiti della propria giurisdizione. Allora la violenza e la rapina tennero luogo di

diritto: e le dispute, che poi sorsero fra la chiesa e l’impero, contribuirono a mantenere questo

miserando stato di cose, da cui fra poco doveva sorgere un nuovo ordinamento sociale. Le

particolarità di questo disgraziato periodo, quantunque coperte da grande oscurità, si lasciano

intravedere così disastrose ed infelici, che quest’epoca è ritenuta come il ritorno ad una barbarie

peggiore della precedente.

I monaci intanto, datisi al lieto vivere e non atti alle armi, non curando, o non sapendo difendere

i loro vasti possessi, furono forse i più esposti alle usurpazioni dei signorotti vicini. E quando questi,

o pro remedio animae o pro remissione peccatorum, non vi ponevano riparo con atti di ultima

volontà, altro scampo non v’era che rifugiarsi sotto l’autorità degli imperatori, i quali, limitandosi ad

imporre la restituzione dei beni rubati, portavano un rimedio non sempre efficace. Gli imperatori

Lotario e Lodovico, fin dall’850, facevano noto a tutti i vescovi, conti e luogotenenti (locopositis)

come il monastero di S. Salvatore nel Monte Amiata fosse, per ogni modo, invaso, distrutto e

dissipato, comandando ad essi di fare a tutti restituire il mal tolto. Ma nel 1014 era quel luogo

nuovamente, mortalium invasione, pressoché ad nichilum redactum: talché l’abate Winizone, ricorso

in Pavia ad Arrigo, otteneva un diploma con la conferma di tutti i beni che ad esso spettavano224. A

questa decadenza materiale dei monasteri non era certamente estranea la rilassatezza della vita, a cui

i monaci si erano dedicati; e se i patroni di S. Salvatore consegnarono (1003) ad essi il luogo, quod

ibidem fuit monasterio puellarum, ingiungendo che vivessero regolarmente, perché altrimenti

sarebbero stati cacciati e surrogati da altri migliori225, sembra manifesto che così fosse veramente.

Tuttavia dovette esser questo il vero secol d’oro del feudalismo; giacché, scaduta l’autorità

imperiale, i feudi, che fino ad ora erano stati personali, cominciarono, a poco a poco, a farsi ereditari:

ed i proprietari di beni allodiali, per salvarsi dalle usurpazioni di prepotenti vicini, furon costretti a

mettersi sotto la loro protezione, aumentando così il numero dei loro vassalli. E si videro, così, più

conti arrogarsi titoli pomposi e salire a tanta potenza, da disputare fra loro il regno d’Italia, che pure

occuparono per diversi anni, finché l’autorità regia ed imperiale non passò ai tedeschi, nella persona

di Ottone I il grande (964).

nelle adiacenze dei torrenti Tuoma e Ramanciano, nel colle di Guarno, in Saturniano, nella Pieve di S. Quirico, presso il

fiume Asso e nel monte Gualando. (Annales Camaldulenses). 223 REPETTI – Vol. °. Pagg. 112 e 452 – Il castello di Mojana, oggi perduto, trovavasi, probabilmente, fra Castiglioncello

del Trinoro e Radicofani, presso la confluenza del torrente Guecenna nell’Orcia. 224 MURATORI – Dissertazioni etc. Vol. 3°. Pag. 538. – Le maggiori molestie vennero, forse, per parte dei

Aldobrandeschi, dei quali un C. Ranieri (1077) scampato da lunga malattia, rifiutò a Gerardo abate le male consuetudini

e visite fatte nei luoghi e terre di pertinenza di quella badia, comprese nella Contea Aldobrandesca, e pochi anni più tardi

prometteva allo stesso abate di non opporglisi rispetto alla costruzione di un castello, che i monaci volevano edificare, a

partire dalla Chiesa di S. Maria di Mojana alla via petrosa. 225 Sed volumus ut ipsi monachi regurariter vivant. Et si ipsi monachi regulariter vivere noluerit, tunc habemus licentiam,

nos suprascripti, illos foras ejicere et alteros introducere meliores, qui ipsum ordinem melius cystodiant. – (MURATORI

– IVI. PAG. 210).

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Fu pure in questo tempo, che numerose orde di Ungari e di Saraceni devastarono e

saccheggiarono l’Italia, per lo spazio di ben 50 anni, e che, distrutte Populonia e Rosselle, quegli

abitanti, rifugiatisi in Siena, dettero ad essa «occasione di farsi grande»226.

Avanti quest’epoca si viveva, secondo il costume Longobardo, in villaggi aperti e senza difesa:

e quel castello Orlas, che non si sa dove fosse, e quel Castel di Villero nei pressi di Cosona,

rammentati fin dai primi anni del secolo IX, sono esempi più unici che rari. Ma quelle feroci

incursioni e lo stato di violenza, in cui ora internamente si viveva, fecero necessario il render la vita

e le sostanze sicure e dalla scimitarra dei Saraceni e dalle notturne aggressioni degli scherani

(briganti, masnadieri) feudali. Allora qualunque ammasso di rocce, qualunque inaccessibile

luogo, parvero buoni per impiantarvi quei turriti castelli, da dove i fieri feudatari, riposando sicuri,

potevano a loro volta, come uccelli grifagni, piombare ai danni dei loro vicini e dei Romei, che

andavan passando per la via Francesca. Giacché fu allora che la Val d’Orcia si coronò di castelli e di

torri: e se deve prestarsi fede allo storico Manente, fu appunto nell’anno 978 che «i nobili Visconti di

Valle Paglia fondarono Campiglia et altri castelli intorno, essendo potenti et ricchi Signori»227.

……………………………………………………………………………………………………

…………………………………………..

Pag. 33

…………………………Il feudalismo adunque fu veramente come arco a congiungere le

istituzioni barbariche alle moderne. Ed è cosa notevole che sì grande mutazione si compiesse, con

mirabile coincidenza di tempo, quasi dappertutto, intorno al 1100: e non vi è prova sufficiente che

dia ragione agli storici Senesi, che vorrebbero la loro città essersi resa libera in epoca molto

anteriore228.

Da Carlomagno in poi, la Toscana era stata amministrata da una serie di Marchesi, all’ultimo dei

quali, mancando la linea mascolina, successe la gran Contessa Matilde che «lasciò, per testamento,

alla Chiesa di Roma quanto è dal fiume Pissia a S. Quirico, su quel di Siena, fino a Ceperano,

dall’Appennino al mare»229. Rimane memoria di due soste fatte da lei alle Briccole di Val d’Orcia,

da dove emanò un placito (17 settembre 1079) a favore del vescovo di Lucca230, ed assisté ad un

istrumento (dec. 1088) (dicembre 1088) con cui il C. Ranieri, del fu Aldobrandino degli

Aldobrandeschi di S. Fiora, promise, mediante il regalo di 100 lire Lucchesi, di non fare ostacolo alla

edificazione di un castello, che l’Abate di Monte Amiata voleva erigere a Serra di Ruga. E fin dal

1072, insieme a Beatrice sua madre, aveva nel contado di Chiusi un altro placito, con cui fu

aggiudicata la Rocchetta di Sezzano al suddetto monastero.

Dalle notizie prodotte si può intanto rilevare, come la Val d’Orcia, alla fine dell’XI secolo, fosse

divisa fra due, anzi tre signorie. La parte orientale, che si estende da Castiglioncello del Trinoro e

dal monte Pisis o Presis (il monte Cetona) a Radicofani, oggi così deserta, ma allora ricca di casali,

di castelli, di vigne e di oliveti, si trovava sotto la dipendenza di quella consorteria, discesa dagli

226 LEONARDO ARETINO – Istoria Fiorentina – Le Monnier, pag. 45. 227 CIPRIAN MANENTE – Istoria di Orvieto pag. 2. 228 Le popolazioni rurali, soggette ai signori feudali, non poterono, che assai più tardi, costituirsi in Comune: ed è assai

rimarchevole che gli abitanti della Rocca a Tentennano ottenessero da quei Conti, fin dal 1207, alcune franchigie stipulate

e giurate in una Carta Libertatis, che servì di norma anche a statuti posteriori. Scopo di tali convenzioni era che utraque

pars in equitate, iustitia et libertate vivat et ad dicte arcis Tintinnani, que, si plebis copiam haberet, inter ceteras Italie

Arces perplurimum polleret, augumentum et melioramentum tribuat. ZDEKAUER - «Carta Libertatis» e gli statuti della

Rocca di Tintinnano (Bull. Sen. Anno III fasc. IV). 229 PLATINA – Vita di Pascale II. Pag. 141. ALBERTI – Descrizione etc. pag. 31. – La donazione di Matilde suscitò una

questione intricatissima fra la Chiesa e l’Impero, che Enrico V. risolvé, calando in Italia ad occupare i beni controversi e

minacciando di far prigioniero il papa, che protestava. 230 UGHELLI, Tom. I°. pag. 872.

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antichi Conti di Chiusi, a cui appartenevano i Manenti di Sarteano e quel Visconti231, che unitamente

ai vicini Conti di Marsciano, avevano giurisdizione su Campiglia, porzione di Radicofani e su

moltissimi castelli di Valle Paglia. Sulla parte opposta invece si distendevano i dominii della

vastissima Contea Aldobrandesca, a cui appartenevano Monticchiello e Castiglione, mentre sulla

vicina Rocca, a Bagno Vignoni e porzione di San Quirico dominava un ramo dei Signori

dell’Ardenga, feudatari degli stessi Aldobrandeschi e che presero più tardi il titolo di Conti di

Tintinnano. Da ogni parte poi si insinuavano i possessi di quella Badia S. Salvatore, che abbiamo

visto così beneficata e così malmenata dai suoi potenti vicini.

E in lontananza era Siena, già ingrandita di fabbricato e di popolazione, quantunque con territorio

tuttora ristretto a poche miglia di raggio attorno le mura, ma che il nuovo spirito di libertà doveva

spingere a maggiori grandezze e fare in se3guito emula, non superata, della vicina Firenze.

Pag. 36 e segg.

……………………………………………………………………………………………………

…………

Il Conte Manente dei Visconti di Campiglia donò al Comune di Siena (1138) e per esso al

vescovo Rainerio, l’intera sesta parte del castello, poggio, case ed edifizi di Radicofani: 232ed essendo

tuttora l’altra parte di proprietà dei monaci dell’Abbadia S. Salvatore, il pontefice Eugenio III, con

bolla concistoriale dei 23 febbraio 1143, confermava nella persona di Ranieri abate tutti i beni che

ivi possedevano, dichiarando il monastero sotto la protezione della S. Sede, alla quale dovevasi

annualmente retribuire 200 denari d’oro.

Ma i Senesi che, per quella donazione a loro fatta dal C. Manente, erano venuti in animo

d’impadronirsi dell’intero castello, presero occasione dall’essere il pontefice occupato nella guerra

con Ruggiero Duca di Calabria, per muoversi con le loro genti a quell’impresa (1145). Ma non

avendone ritratto altro costrutto, che quello di alienarsi l’animo di quelle popolazioni, per i danni

arrecati, e trovandosi con l’esercito nel piano dell’Abbadia S. Salvatore, fecero convenzione con

l’abate, che promise, con giuramento, di tenere per il Comune di Siena quella porzione, che il C.

Manente aveva ad esso donata, con obbligo di cederla ai Senesi, a qualunque loro richiesta ed in

qualunque occasione avessero bisogno di far guerra a chiunque, fuori che alla detta Badia e con

dichiarazione che esso Abate non pretenderebbe alcun rifacimento ai danni, che durante quella guerra

aveva ricevuti233. Gli Orvietani però, che mal sopportavano qualunque ingrandimento dei Senesi, con

buon numero di cavalli e con genti del papa, che erano a Montefiascone «andarono nel Senese sul

fiume d’Orcia verso S. Chirico et messero a sacco Corsignano et S. Chirico»234 che era allora sotto la

dipendenza di Siena.

Pochi anni più tardi papa Eugenio III, avendo recuperato alla Chiesa alcune terre « che erano da

varii tiranni occupate » e volendo assicurare maggiormente suo stato, acquistò, col consenso dei

vassalli di Radicofani, da Ranieri abate di S. Salvatore, la metà di questo paese con la sua corte e col

sottostante borgo di Callemala, obbligando la camera apostolica a pagare ai monaci l’annuo censo di

sei marchi d’argento, a condizione che, mancando tre paghe successive, nel quarto anno s’intendesse

annullato il contratto235. E il Conte Paltonieri figlio del C. Forteguerra, con istrumento stipulato nel

borgo di S. Quirico, donò alla Chiesa Romana il castello di Monticchiello, riprendendolo poi in feudo,

per l’annuo censo di un bisanzio d’oro, per sé e i suoi figliuoli, con patto che, venendo essi a mancare,

dovesse appartenere in perpetuo alla Chiesa.

231 L’antico nome di Visconti ( vice-comes) fu forse, in origine, titolo di dipendenza, ma si cambiò poi nel nome proprio

dei Visconti, che signoreggiarono da assoluti dinasti nei loro possessi. 232 Caleffo vecchio c. 21. 233 Caleffo vecchio c. 25. 234 CIPRIAN MANENTE, pag. 55. 235 MURATORI, Antiquitates etc., tom. 3°, pag. 273. – All’atto solenne, stipulato in Roma il 29 Maggio 1153 e sottoscritto

da Eugenio III e da diversi magnati e consoli dell’alma città, intervenne pure uno dei Conti di Tintinnano, che figurava

fra quelli che davano il consenso per parte dei monaci e che si qualificò per Obicio Tiniosi Comes de Tintinnano.

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Le cose d’Italia andavano frattanto maggiormente avviluppandosi. Una questione proposta da

Federico I (Barbarossa) alla dieta dei campi di Roncaglia e risoluta in favore dell’Impero, ebbe per

effetto lo sterminio di quelle povere città lombarde, che avevano osato scuotersi dal collo il giogo

imperiale. Ed il papa (Adriano IV) forse temendo che la tempesta, che andava da qualche anno

addensandosi non dovesse scaricarsi su di lui, intesa la venuta di Federigo in Italia (1154) si affrettò

di tirare a termine le opere di difesa, già iniziate in Radicofani, fortificandolo di mura e di torri236,

in modo da renderlo quasi inespugnabile: ed ivi per qualche tempo abitò237. E quando Barbarossa,

accomodate a suo modo le cose di Lombardia, s’incamminò con tutto il suo esercito alla volta di

Roma, per ricevervi la corona imperiale, il pontefice, che si trovava in Viterbo, mandogli incontro

il Cardinale dei SS. Giovanni e Paolo, Guido Cardinale di S. Prudenziana ed il Cardinale Diacono

di S. Maria in Portico con le istruzioni necessarie, per trattare gli interessi della Chiesa col futuro

imperatore. Giunti questi legati a S. Quirico, trovarono quivi accampato l’esercito del re: e ricevuti

da Barbarossa, con grande onore, nel padiglione reale, fu discusso e stipulato un trattato, con cui si

convenne che, in compenso della promessa della corona imperiale, dovesse Federigo dare nelle mani

del papa Arnaldo da Brescia, rifugiato allora nel castello di un Conte della Campania, ed adoperarsi

a soffocare quello spirito di libertà e quel simulacro di repubblica, che veemente eloquenza del frate

aveva saputo suscitare in Roma. Cosa che fu purtroppo scrupolosamente osservata.

Ma i buoni rapporti fra chiesa e l’impero ben presto si ruppero: de inasprendosi allora le

ire……………………………………………………………………………………………………

……….

E nel tornare che fece Federigo in Germania messe guardie di Tedeschi in più luoghi, et a

Radicofani ridusse la rocca a miglior forma e, lasciandovi buon presidio di soldati, s’avviò in

Lombardia.

Pag. 49 e segg.

……………i Fiorentini, pensando che avrebbero potuto avere qualche ragionevole vantaggio,

se avessero tenuto le forze dei nemici divise «l’anno 1230 vi menarono il carroccio e feciono

maggiori danni che nel primo, perciocché oltre che ebbono ardire di passare di là da Siena e

lasciandosela addietro, andare fino a S. Quirico a Rosenna, disfeciono anche il Bagno a Vignoni,

discorrendo con grandissime prede per Valdorcia insino a Radicofani»238». Ben venti castella furono

abbattute. Ma i Senesi che sopra ogni altra cosa avevano a cuore Montepulciano, lasciando liberi i

Fiorentini in questa loro scorreria, fecero raccolta di sempre maggiori forze e presero al loro soldo

diversi valorosi capitani e fra questi «il Conte Gherardo, legato imperiale, e con grossa banda di

cavalli lo tennono in M. Icchiello». …………….. Messe insieme le milizie di due terzi della città,

le inviarono, sotto il comando di Trasmondo podestà di Siena, alla volta di Campiglia, della quale

in due giorni si resero padroni, compreso il palazzo e la superiore fortezza239.

236 Papa Adrianus fecit gironem in Radicofano et torribus munivit. – Ptolomei Lucensis Annales, - Cronache dei sec. XIII

e XIV, pag. 54. (Il Pecci dice che Adriano IV iniziò i lavori ma che furono terminati nell’anno 1158). B. e

R. Magi, Memorie di un’antica terra di frontiera e di Fortezze, Abbadia S.S. 2006, pag. 67. 237 Circa Vulsinios nonnulla oppida reconcinnavit: Radicophanum, in agro ac dictione nunc senensium, arce et moenibus

munijt, ubi quandoque abitavit. – Raphaelis Volaterrani – Commentariorum etc., pag. 663.

Anche nella cronaca attribuita a Brunetto Latini vien detto che papa Adriano «fece le mura e le torri di Radicofani» e

che «comperò dai Conti di Santa Fiora molte possessioni e castella» - VILLARI – I primi due secoli della storia di

Firenze. Vol. I°, pag. 216.

238 AMMIRATO – Lib. I°, pag. 174. – Scopaverunt totum comitatum et fregerunt eorum serralia, usque ad portas civitatis

et coeperunt balneum et destruxerunt XX castra eorum (Ptotomei Lucensis Annales – Cronache, Pag. 27). Con tutta

probabilità fu in questa circostanza che furono distrutti il castello di Mont’Ertine, Agello ed altri luoghi della Valdorcia,

dei quali, da quell’epoca, non si ha più cenno negli atti della Repubblica. 239 Trasmundus Potestas Senensis cum duabus partibus civitatis ad arcem ipsam accessit et aeguenti die capta fuit reliqua

pars burgi, cum sala (il cassero o palazzo) et arce superiori (cioè Campigliaccia). (Cronica di Andrea Dei in MURATORI,

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

111

…………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………..

Alcuni anni più tardi (1244) i signori Pepo, Bulgarello, Rimbotto e Manente, Conti di Sarteano,

sottomisero al Comune di Montepulciano tutte le loro terre di Sarteano, Chianciano, Panciano,

Panicale e Badia di Spineta, con le loro corti e

distretti240……………………………………………………………………………………………

……………………

A Firenze dopo una furiosa guerra civile, furono cacciati i guelfi (1247): e in breve tempo, non

solo quella città, ma tutta la Toscana si governava a beneplacito dei Ghibellini, protetti dalla fortuna

dell’imperatore241.

Ma quando la stella di Federigo cominciò a volgere al tramonto, per la declinazione delle cose

sue sì in Germania che in Italia e per le censure ecclesiastiche, alle quali era continuamente fatto

segno, le città, anche quelle che più si conservavano fedeli all’impero, cominciarono ad agire con

minor soggezione. E poiché ai Senesi stava immensamente a cuore l’assicurarsi contro

l’Aldobrandeschi, che per diversi fatti si era dimostrato loro nemico, procurarono di allargare il loro

territorio dalla parte della Val d’Orcia, comperando (1250) dai monaci del Vivo, col consenso del

pontefice, Castiglioncello «che da indi in qua si dice Senese ed all’hora si diceva dei ladroni»

……………………………..In questo medesimo tempo sembra che anche Corsignano venisse in

potere della Repubblica (1251)…………

Pag. 64 e segg.

…………………………………….. Si elessero 12 magistrati, per la guardia della città e dello

stato «li quali munirono e rafforzarono Monticchiello, S. Quirico e la Rocca di Tentennano» e

mandati ambasciatori a quei fuorusciti di Radicofani (guelfi), non si approdò ad alcun amichevole

accordo. Spedite allora a quella volta le bande Tedesche, con la maggior parte delle milizie urbane,

si scontrarono coi Guelfi presso la Badia di Spineta e nel primo fatto d’arme li vinsero. Ed avendone

alcuni uccisi242, quasi tutti gli altri portarono a Siena prigioni che, sottomessisi nuovamente,

giurarono fedeltà alla repubblica ed a Manfredi, rinunziando a qualunque lega che avessero e

specialmente a quella detta degli Assassini, nella quale erano i Guelfi di Firenze, i Lucchesi, gli

Aldobrandeschi di Pitigliano ed il Visconti di Campiglia………………………………..

Pag. 70 e segg.

tom. XV, pag. 25). Nel tempo che i Senesi erano accampati colà, sembra che non potessero resistere alla voglia di tentar

nuovamente l’impresa di Radicofani e che, per la seconda volta, riuscisse contraria ai desideri loro. Giacché Gregorio IX

faceva noto (25 giugno 1235) al vescovo di Palestrina che, attesi i danni, che i Senesi avevan fatti agli abitanti di

Radicofani, sudditi della S. Sede, aveva loro fulminato la scomunica, e dava facoltà ad esso vescovo di assolverli, quando

avessero dato cauzione, per un conveniente rifacimento. Ed infatti si trova che il sindaco di Siena, il 17 Settembre dello

stesso anno, sborsò al Comune di Radicofani, sulla piazza di Monticchiello, 1257 lire e 16 soldi, in conto dei danni fatti

a quel paese e suo distretto

Le note sottoscritte devono intendersi posticipate.

240 Ecco come erano descritti nell’atto originale i beni che questi signori possedevano in Val d’Orcia: In primis inter

curtem Sartiani et districtum curiae Scetonaeet mittit in Astronem et includit silvam Montallesem versus Clancianum,

versus Radicofanum et includit Agellum et curtem eius et ab Urcea protenditur usque ad fossatum Meglie usque ad

Coninum (Pieve vecchia sotto Monticchiello). Documento pubblicato da Monsignor Liverani – Catac. Pag. 301. 241 L’imperatore, al suo ritorno da Napoli, lasciò in Toscana per suo vicario e capitano generale, con buon numero di

truppe, suo figlio Federigo re di Antiochia, il quale, durante la dimora che fece in Siena, mosse guerra ai Perugini e li

sconfisse, aiutandolo in questa spedizione i Senesi, che vi mandarono cento soldati, sotto la condotta di Aldobrandino di

Conte dei Conti di Tentinnano. 242 In questo fatto d’arme morì Messer Guccio Tolomei, uno dei principali di parte Guelfa e che fu segnalato da Franco

Sacchetti nella spiritosa novella di Donna Bisodia.

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Fra il continuo tramestio di quelle discordie civili potevano, con maggior libertà, esercitare le

loro prepotenze quegli illustri briganti «che fecero alle strade tanta guerra»243 dei quali Ghino di

Tacco è rimasto il più famigerato, il più perfetto campione244.

Costui dei nobili della Fratta, perseguitato dai Senesi245 e nemico dei conti di S. Fiora, fattosi,

per vendetta, bandito ed assassino da strada, aveva ribellato Radicofani alla Chiesa di Roma e quivi

fortificatosi, esercitava le sue ruberie, interrotte da qualche grossa burla, come la famosa cura della

languidezza di stomaco all’abate di Clignì (Cluny (città della Francia) abate che era considerato come il papa in Francia)246.

Non molto dissimili a lui erano i signorotti vicini: Napoleone Visconti aveva, in questo tempo,

occupato alcuni effetti della Badia Amiatina; ma ammalatosi nel suo palazzo di Castelvecchio,

riconosceva l’ingiustizia del suo operato e, con atto del 3 luglio 1279, faceva restituzione completa

al sunnominato monastero. Né l’essersi per l’avanti Sinibaldo Visconti fatto monaco nel Monte

Amiata, era valso ad impedire quelle usurpazioni: e dopo la morte di lui ripullularono le contese,

perché i monaci, che volevano accedere, jure hæreditatis, nei suoi possessi, intentarono lite ai suoi

successori. I monaci della Badia di Spineta doverono locare al Comune di Orvieto il loro poggio di

Mojana, per la costruzione di un castello, detto Monte Orvietano, ritenuto necessario alla utilità ed

alla difesa del monastero, che era frequentemente oppresso dalla potenza dei tiranni247. (In questo periodo a Radicofani c’era un paese pieno di militari, nobili e proprietari terrieri che cercavano in tutti i modi di poter prendere il potere anche a scapito del papa e certamente questa situazione favorì la presa del potere di Ghino di Tacco. C’era già la famiglia Guasta e, infatti, lo “statuto di Radicofani del 1255 è firmato anche da uno dei Guasta che è un parente stretto avo di “Dino da Radicofani” e Guasta da Radicofani, futuro capitano del popolo di Firenze nelle lotte contro Castruccio Castracani).

Pag.74 e segg.

Nel tempo che durava la guerra dei Senesi contro il contado Aldobrandesco, Messer Guasta, uno

dei principali di parte Guelfa, con l’aiuto dei Monaldeschi, occupata furtivamente una notte la rocca

di Radicofani, vi si era fortificato a danno dei Ghibellini. Il che inteso dal Conte Guido di Santa Fiora

«con cavalli et pedoni» corse al loro soccorso: e fatto venir da Siena Pone di Campiglia, con 150

cavalli, sotto il comando del capitano Girardello da Forlì e così crescendo gente da ogni parte e venuti

alle mani, ebbero i Guelfi una rotta «dove morirono circa 400 fra cavalieri et pedoni di più luoghi» e

il capitano Girardello fuggì: e restando Guasta nella rocca, si dette in mano del Cardinale Teodorico,

capitano del patrimonio per il Papa. Ma nell’anno seguente, essendosi Radicofani col favore del C.

di S. Fiora ribellato (1301) Ermanno Monaldeschi «con cavalli et fanti et molta gente di Val Lago,

Valle Paglia et Valle Chiane» dette il guasto alla terra fin sotto le mura, e andatovi poi il Cardinale

Teodorico, con la cavalleria di Orvieto, fu ripresa la rocca e restituita ai figliuoli di Guasta, mentre i

Ghibellini, costretti a fuggire, si ritirarono in Acquapendente e Proceno.

………………………………………………………………………………………………………

243 DANTE, Inferno, c. XXII. 244 Benvenuto da Imola, nel commento di Dante, se ne mostra addirittura entusiasta. Ecco le sue parole : Ideor lector volo

quod scias quod iste Ghinus Tacchi fuit vir mirabilis, magnus, membrutus, niger pilo et crine, fortissimus, ut Scaeva

levissimus, ut Papirius Censor prudens et largus. Fuit de nobilibus de la Fratta, Comitatus Senarum, qui, expulsus viribus

Comitum de Sancta Fiora, occuvavit Castrum nobile Radicofani contra Papam e via di seguito fino a dire che i suoi

uccisori, come quelli di Cesare, finirono tutti in malo modo. 245 Nel consiglio della campana del I° Agosto del 1279 fu deliberato «che si cerchi dove sono stati ricettati Tacco e Ghino,

figliuoli del già Ugolino della Fratta, che hanno tentato muovere insidie agli abitatori di Torrita» (Pecci). 246 BOCCACCIO – Decamerone, Novella 11^, giornata X.ª. 247 Cod. dipl. d’Orvieto, pag. 320, Cum costrutionem dicti castri cognoscat pertinere ad magnam utilitatem, defensionem

et exaltationem dicti monasterii et iurium ipsius, quod frequenter opprimitur per potentiam tirannorum.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Tanto che fra i due Comuni di Siena e di Orvieto fu conclusa una lega, per difesa scambievole

(1316) e per far guerra, fino alla loro totale distruzione, ai comuni nemici e specialmente ai Conti di

S. Fiora, ai Signori di Montemerano, di Vitozzo e di Baschi, che tutti ribelli, con cavalli e fanti

prendevano a forza terre e castelli cacciandone i Guelfi, e che entrati, pur allora in Abbadia S.

Salvatore, avevano fatto innumerevoli danni, rubando masserizie e bestiami. Nel frattempo Guasta,

capitano di guerra in Radicofani, che aveva trattato con alcuni di Abbadia, che dovessero rendersi a

lui per il C. di Orvieto, in un giorno determinato, avvicinatosi colà con una mano d’armati, trovò che

il capitano del Conte aveva fatto catturare i fautori del trattato; per cui svanita l’impresa, fatto più

danno che poté, tornò a Radicofani, aspettando soccorsi: e intanto le masnade dei ribelli rimanevano

libere nella loro opera di distruzione.

……………………………………………………………………………………………………

L’azione ferma e risoluta del governo della Repubblica cominciava a portare qualche buon frutto.

Il signor Pietro da Farnese sottopose spontaneamente sé e la sua Terra di Contignano al Comune di

Siena (1339) e nuovamente si sottoposero e si fecero censuari i Conti di S. Fiora: Credi, Poncino e

Neroccio de’ Visconti di Campiglia, dopo che Castelvecchio fu loro dai Senesi distrutto, per sfuggire

danni più gravi, in quello stesso anno capitolarono con la repubblica, facendosi cittadini Senesi e

sottoponendosi alla lira: e si mise sotto protezione dei Senesi il Comune di Radicofani « con Guasta

di Pone di Ms. Guasta che s’era fatto tiranno di detto luogo248.

Pag. 86 e segg.

……………………………………………………………………………………………

La cosa era arrivata al punto che Guasta, valoroso capitano dei Senesi in Radicofani, avvisava il

fedele Giovanni Visconti che, essendo stato richiesto dall’ambasciatore pontificio di ricevere in quella

rocca presidio di milizia Brettona, se i Senesi non avessero tosto mandato nuovi rinforzi, egli vi

avrebbe aderito, per le tante ingiurie che dai sudditi di Siena aveva dovuto subire.

Spedite allora sollecitamente in Val d’Orcia più squadre di cavalli, fu nel combattere preso

Niccoluccio Malavolti e data la caccia agli altri, che poterono a stento salvarsi, con Agnolino

Salimbeni, nel castello della Rocca a Tentennano. …………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………

Pag. 91 e segg.

In questo medesimo tempo (1402) Ghinasso e Bigallo, due tristi campioni di casa Salimbeni, che

trovavano sicurezza nelle fortezze dei loro consorti, avevano con frequenti latrocini, ricatti ed omicidi

sparso terrore per tutta la Val d’Orcia. «Ghinasso alfine fu impiccato in campagna»: e Bigallo che,

dopo aver loro estorte più taglie, aveva ammazzato il marito e parte dei figliuoli di «Monna Gianna

della Ripa di Gota (?)» fu da essa, assistita da alcuni parenti, colto in agguato e ucciso. E «posto a

traverso in sur’ uno asino, la donna lo condusse a Siena; e quando fu alla porta domandò che gabella

pagava un porco morto. El portiere maravigliato la lassò passare e si condusse a’ piei del Palazzo dei

Signori, e lì lo scaricò. La Signoria volse premiare la donna di buona somma d’oro e essa, ricusando,

rispose non aver fatto quell’homicidio per denari, ma per punire la crudeltà dell’inimico suo, con ogni

ragione»249.

248 MALAVOLTI, PAG. 109. I patti furono: mandare ogni anno a Siena per la festa d’agosto, un palio di seta del valore

di 15 fiorini: far pace e guerra a volontà della repubblica, fuori che contro la Chiesa Romana, salvo essendo le ragioni,

che aveva in Radicofani la corte di Roma ed eccettuati la rocca e il cassero, che erano tuttora custoditi a spese comuni,

dal pontefice e dai monaci dell’Abbadia S. Salvatore. 249 Annali Senesi d’Anonimo. In MURATORI, vol. XIX. Iohannis Bandini ecc.: - ivi. – L’autore degli annali senesi e il

Bartolomei riferiscono a Bigallo e Ghinasso, ponendola intorno al 1402, la cattura e susseguente cura del mal di stomaco

all’Abate di Clignì, che dal Boccaccio è attribuita a Ghino di Tacco. Il Padre Guglielmo della Valle espresse, più tardi,

una opinione consimile, facendo autore del fatto Cocco Salimbeni. Ma vi è anacronismo evidente: giacché se ciò fosse, il

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Liberatisi poi interamente i Senesi dalla soggezione dei Visconti e riformato il governo, volendo

ad ogni modo ridursi in più pacifico stato, nel mese di marzo del 1404 stipularono un accordo con

Cocco Salimbeni e tutti i suoi castelli e fortezze, che in quel tempo erano: Chiusi, Radicofani,

Castiglioncello del Trinoro, Rocca a Tentennano, Castiglion d’Orcia, Celle, Contignano, Foscola,

Rimbecca, Castelvecchio, Poggio di Val d’Orcia, Bricola, Castellare di Geta e quello di Monte

Antico250. …………………………………………………………………………………………….

Pag. 95 e seg.

Questi danni continui, a cui i sudditi del Salimbeni erano esposti, fecero sì che alcuni di essi,

partito re Ladislao di Toscana, parendo ormai tempo di liberarsi da quella servitù si ribellarono.

Contignano si mise sotto la protezione dei Senesi: e « gli abitanti di Radicofani non volendo più

sopportare quel tiranno, levato il rumore, riconobbero M. Carlo di Agnolo Bartoli e Giovanni

Franceschi, Commissari della Repubblica, i quali a quest’effetto avevano seco là condotto Agnolino

da Polsi con 200 lancie, che a nome della città lo lasciarono a guardia di quella fortissima rocca e

passarono a Amelia a trattare col Cardinale di S. Eustachio, acciò Radicofani rimanesse libero alla

Repubblica: ma egli, affermando che quella Terra era patrimonio di S. Pietro, negò sempre

costantemente la domanda a’ Commissari ».

Ad ogni modo era uno dei più forti castelli, che sfuggiva dalle mani di Cocco: e i Senesi, traendo

profitto da questo momento di prosperità, si dedicarono, con più ardore, a ridurre all’obbedienza i

gentiluomini loro nemici………………………………..

…………………………………………………………………………………………………

Di questo medesimo tempo il Tartaglia, capitano al soldo di Iacopo Piccinino, impadronitosi di

Radicofani, lo aveva, dopo averlo messo a sacco, venduto ai Senesi. Gli uomini di quel castello fecero

atto di sottomissione alla Repubblica (24 Maggio 1411)251 e nell’anno di poi il Pontefice Giovanni

XXII lo concedeva formalmente in vicariato al C. di Siena252.

…………………………………………………………………………………………………………

Tutta la Val d’Orcia era finalmente libera da signorie nemiche: e l’antico confine che, per la

sottomissione di Campiglia (1345) si era esteso dalla Bricola fino al distretto di Radicofani, era ora,

per gli ultimi trattati conclusi Paese, arrivato a Centeno, che rimase poi sempre di limite fra il territorio

Senese e il vecchio Stato Pontificio. E tutte quelle rocche, che avevano dato occasione a tanti travagli,

erano finalmente, dopo oltre tre secoli, dacché Siena si reggeva a Comune, divenute fortezze dello

Stato.

Pag. 102 e segg.

I castelli ebbero, invero, una parte così interessante, così strettamente connessa con le vicende

dei secoli di mezzo, che chi conoscesse intimamente la storia di qualcuno di essi potrebbe, senza

difficoltà, modellarvi sopra tutta quella d’Italia di otto secoli almeno.

Iniziati per quello spirito di feroce indipendenza individuale, trapiantato dai Barbari nelle

sfiaccolate provincie Romane, ebbero il loro massimo sviluppo al tempo dei re Carolingi e del grande

Boccaccio, che era già morto fin dal 1375, non avrebbe potuto trarne argomento per la sua novella, né Benvenuto da

Imola parlarne nel commento di Dante. 250 Doc. VI. – Radicofani era stato comprato da Cione fin dal 1380 e Contignano fu dal medesimo acquistato, dai Signori

di Farnese, per cinquecento fiorini d’oro, nel 6 agosto 1390 (Delizie degli eruditi Toscani. Tom. 23, pag. 148). 251 Caleffo rosso. C.e 176t, 179. Pio II, nei suoi Commentari, attribuisce a Nanni Piccolomini, compagno d’armi del

Tartaglia, la conquista di Radicofani, che sarebbe stato tolto dalle mani di un certo ladrone (ex manu prædonis

cuiusdam). 252 Caleffo rosso. C.e 179, 181. Pochi anni più tardi fu messo mano in Radicofani alla edificazione di una nuova fortezza,

per opera di quattro maestri muratori Lombardi, che furono Aliotto di Cambio, Simone di Ciccarello, Giovanni del

Carfusia e Francesco di Giovanni, a ciò deputati dalla Repubblica. (Repetti).

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Ottone. Perché, divisa fra un numero più grande di signori, la proprietà territoriale, continuamente

minacciata dalle frequenti scorrerie dei Saraceni, in ogni roccia inaccessibile, in ogni più selvaggia

gola di burrone furono impiantate di queste fortezze, che rendevano il proprietario sicuro da nemiche

aggressioni. Scossa poi l’autorità degli imperatori, ogni gentiluomo viveva nelle sue terre da piccolo

sovrano; ed i castelli divennero allora la sede di quelle corti baronali, che ebbero tanta influenza sui

destini d’Italia. In quelle castella andò agguerrendosi quella fiera nobiltà, che combatté così a lungo

contro lo spirito Guelfo dei cittadini, mantenendo vivo fra quelle inaccessibili mura, il Ghibellinismo

in Italia. Di là uscirono i nobili con l’ufficio di Podestà e di Capitano e ricomparvero, più tardi, sotto

le vesti di capitani di ventura. Da quelle castella uscirono le crociate, la cavalleria, i tornei, le regole

del duello. A quelle castella si connette quella immaginosa letteratura che, dalle romanze dei

Trovatori e dalle leggende della Tavola Rotonda, si rifletté nei poemi del Tasso e d’Ariosto, per cader

poi, fra le risate del pubblico, con l’opera di Cervantes.

Venuti finalmente i castelli in potere delle Città, non ebbero una parte meno importante da

compiere: giacché, per il modo di guerreggiare di quei tempi, essi opponevano un ostacolo, quasi

sempre insuperabile, alle armate nemiche. Facevasi allora la guerra più al popolo che all’armata: e

tutto il popolo riguardandosi come nemico, i soldati consideravano gli averi degli uomini, nel cui

territorio ardeva la guerra, come legittima preda e facevano prigionieri i terrieri e i contadini, che non

rilasciavano che dietro una taglia. Da questo venne che eranvi a quei tempi pochissime case sparse

nei campi e gli agricoltori abitavano dentro i castelli, dove tenevano le robe e i mobili più preziosi. E

poiché la guerra veniva, quasi sempre, dichiarata per tempo, il governo ordinava di trasportare nelle

terre murate tutti i bestiami e le messi, che trovavansi alla campagna e davasi quindi, non di rado, il

guasto all’intero territorio253. Per cui il nemico, non trovando modo di mantenere l’armata, e non

potendo trarre i viveri da molto lontano, perché tutto lo spazio che si lasciava indietro non era

sottomesso, era costretto, prima degli assediati, a desistere, per fame dalle ostilità.

La costruzione dei castelli era, presso a poco, uniforme. Quasi tutti collocati in alture, con pozzi

profondi e vaste cisterne254, avevano una cinta più o meno complicata di torri, di mura merlate e di

bastioni, che rendevano difficile l’accesso al torrione più alto e più solido, che si trovava nel mezzo,

e in cui ritiravansi i difensori, superata che avesse il nemico la cinta. Intorno alle mura avevano gli

assalitori molti ostacoli da vincere: giacché opere distaccate, fossi profondi, per lo più, pieni d’acqua,

ponti levatoi a saracinesche ne impedivano potentemente l’accesso e nel mezzo alle volte, soprastanti

alle porte, si alzavano ed abbassavano, con ordigni, certe travi pesanti, per schiacciare chiunque si

apprestasse. ........…………………………………………………

…………………………………………………………………………………………

Ma la già potentissima Badia di S. Salvatore era da lungo tempo caduta in così misero stato, che

fin dal secolo (1369) l’Abate e i monaci avevano permesso che fosse abbattuta la Rocchetta di

Radicofani, non potendo più sostenere la spesa di 27½ fiorini d’oro, che dovevano corrispondere ai

dieci soldati che l’avevano in guardia. …………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

Pag.110 e segg.

Saliva frattanto al soglio pontificio Enea Silvio Piccolomini col nome di Pio II, dal cui

patriottismo i Senesi aspettavano il rimedio a tanti travagli. Era il Piccolomini nato a Corsignano, ove

i suoi genitori, a causa delle discordie civili, si erano da tempo ritirati, ed era «uno dei più dotti, dei

più penetranti, dei più attivi uomini del suo secolo». Egli conosceva come tutte quelle divisioni e

quelle intemperanze, che affliggevano la sua patria, fossero più che altro, causate dall’esclusione dei

253 MACHIAVELLI diceva: « gli strami, il bestiame, il frumento che tu non puoi ricevere in casa si dee corrompere »

(Arte della guerra, Barbera, pag. 138). 254 La grandiosa cisterna di Rocca d’Orcia è dal Pecci qualificata per «il più bel vaso che sia nello Stato di Siena». (Stato

Senese).

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nobili dal governo, mancando, per essa, quel giusto equilibrio fra il partito democratico e il

conservatore, necessario in ogni ben ordinata repubblica: e tanto si adoperò che, finalmente, i nobili

furono riammessi alle pubbliche cariche. In ricompensa di ciò egli concedeva in perpetuo al Comune

di Siena il castello di Radicofani, dietro il pagamento di un annuo censo, mentre i suoi antecessori

l’avevano ceduto soltanto per un tempo determinato255. …………………………..

……………………………………………………………………………………………………

Morto Pio II ad Ancona, fra i preparativi della Crociata, gli succedeva Paolo II, non troppo amico

ai Senesi. Tuttavia rimanendo inalterata la pace, di cui allora godevasi in Toscana, la Signoria attese,

più che ad altro, a confermare e riformare i capitoli di più terre e castella, quali Campiglia,

Castiglioncello e Radicofani, ed a restaurare alcuni luoghi del contado. Fu stabilito che nelle rocche

di Val d’Orcia dovessero stare i fanti che appresso: a Campiglia 25, a Pienza 25, Contignano 25,

Radicofani 30, Castiglioncello 20, S. Quirico 40, Monticchiello 20, Rocca a Tentennano 25 e nel

vicino Montalcino 100. ……………………………………………………… E intorno a questo

medesimo tempo l’amministrazione dello Spedale dette commissione a Maestro Guidoccio di alcuni

lavori di accrescimento nello Spedaletto di Val d’Orcia, dove doveva fare «tre torricelle tonde, cioè

sur ogni canto una in mezzo»: attesochè le muraglie fossero state restaurate da qualche tempo, come

ne fa fede l’iscrizione, che tuttora si trova sulla porta d’ingresso di quel castelletto, col nome del

Rettore Urbano di Pietro256.

Ma l’ammissione dei nobili ai pubblici uffici aveva già da tempo risvegliata la gelosia dei

popolani per modo, che finalmente, in una feroce insurrezione, furore i primi cacciati di seggio e

l’Ordine dei Nove, che era accusato di minacciare l’indipendenza dello Stato, parteggiando per le

influenze forestiere, fu in perpetuo privato del diritto di governare. Ad Antonio Bellanti, Placido

Placidi, e Leonardo di Andrea di Tolomeo, appartenenti a quell’ordine e già detenuti nelle rocche di

Radicofani, Piancastagnaio, e Monticchiello, fu, con processo sommario, tagliata la testa257.

DOCUMENTI

Questi documenti che parlano della guerra che Cosimo I fa alla Repubblica di Siena sono soltanto le parti che riguardano Radicofani.

Pag. 170 .

Era chiaro però che la burrasca si era, soltanto precariamente, allontanata: e fu quindi cura degli

Otto della guerra e degli agenti Francesi di rivedere ed afforzare i castelli del dominio: e poiché non

tutti si potevan tenere, soltanto sedici furono dichiarati piazze forti e fra questi, oltre Montalcino,

Monticchiello «la fortissima e inespugnabile Rocca a Tentennano e Radicofani per sé stesso

fortissimo»258. E fu immediatamente spedito a tutte le altre terre, ordinando ai Podestà, Vicari ed altri

255 PIO II. Commentari, pag. 83. Campanus.Vita Pii II, pag. 451. Pio II accordò molti privilegi anche allo Spedale di S.

Maria della Scala, e si ha di lui una bolla, data dalla Chiesa di Spedaletto in Val d’Orcia, in favore di una chiesa. (Statuti

Senesi, BANCHI, pag. 263). 256 Ai due stemmi scolpiti su d’una stessa lastra di marmo, collocata sulla porta d’ingresso, sottostà questa iscrizione:

Dominus Urbanus di Pietro rector Hospitalis S.M. de la Scala 1466.E nel libro segnato 0 dei conti correnti dello Spedale

a c. 323, sotto la data dei 29 decembre 1442, si legge questa partita: « M. Giovanni di Marcuccio di Contadino, maestro

di pietra dee avere lire nove, soldi dodici, sono per una pietra di marmo avemo da lui chò l’arme de lo Spedale e chò

l’arme di Messere: si mandò a lo Spedaletto di Val d’Orcia a la muraglia si fe’ nuova ». Altri pagamenti, per restauri si

trovano agli anni 1450 e 1453. (BANCHI, Statuti ecc. pag. 248). 257 « A dì 12 all’aurora fu tagliata la testa ad Antonio Bellanti nella Rocca di Radicofani e a ore 22 a Miss. Placido Placidi

nella Rocca di Piano Castagnaio. E a dì 14 in lunedì a Misser Leonardo d’Andrea di Tolomeo nella Rocca di Monticchiello

all’alba ». ALLEGRETTI Cronica, in MURATORI, Tom. XXIII, pag. 808. 258 PECCI – Vol.IV°., pag. 91.

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ufficiali di esse, che dentro 15 giorni dalla notificazione, tutti i viveri e le robe, che vi si trovano,

fossero portate in qualcuna delle altre 16, che più facesse al caso. …………………………

……………………….Usciti di Montepulciano parecchi armati, per dar loro la caccia, furono

tratti nell’imboscata e fatti prigioni in numero di 40, portati a Pienza. Alcuni giorni dopo fu fatta, ma

con poco frutto, una scorreria fin sotto le mura di Lucignano; e il Malatesta per sua parte «con venti

celate e alcuni fanti» si spinse fino a Radicofani ove, essendo paese tuttora immune da scorrerie

nemiche, faceva grossa preda di bestiame: ma imbattutosi al ritorno nei nemici, a stento riparavasi

con essa in Montepulciano. ……………………………………………………………

………………………………………………………………

Ma Siena trovavasi in così disperata condizione, da non poter più resistere: e alla fame e alla

morìa, che la travagliavano, nessun giovamento potendo ormai portare le armi, si era in trattative

d’accordo. Aurelio Fregoso, mal soddisfatto dello Strozzi e veduta l’inutile opera sua, adunate un bel

giorno tutte quelle milizie di Pienza, aveva loro tenuto all’incirca questo discorso: «Cari figlioli, qui

non c’è altro da fare. Andatevi con Dio e pensate a procurarvi da voi stessi il modo di vivere durante

il viaggio». Poi volto il cavallo per la via di Radicofani, se n’era bruscamente partito, andandosene

alla volta di Roma. Tutti quei soldati, trovatisi così abbandonati a loro stessi, cominciarono a

sparpagliarsi e se ne andarono alla spicciolata per la medesima direzione, con quanto vantaggio dei

luoghi da dove passavano è facile immaginare259. E rimanevano soltanto i vecchi presidi negli altri

castelli, ove si stava tuttavia incerti e timorosi dell’esito che avrebber preso le cose.

LETTERE DEI PROTAGONISTI DELLA

CADUTA DELLA

REPUBBLICA DI SIENA

Pag. 195 e segg.

XIV.

Bando di Piermaria Amerighi Capitano Generale delle battaglie nella montagna:260 Che i soldati

si mettano in ordine di panni e d’arme.

Il molto Mag.º e valoroso Cap.º Piermaria Amerighi Gen.le Cap.no delle battaglie nela montagna,

fa pubblicamente bandire e comandare a tutti li Uff.li e soldati della milizia indifferentemente, che,

non essendo in ordine di panni e d’arme, si vestino et armino a uso di buon soldato, a tale che, al

arrivo suo, vestiti et armati sieno, né si partino dalla corte dela lor terra in modo alcuno: e chi fusse

fuor del dominio o fuor dela corte devi essere ritornato, sotto gravissima pena del suo arbitrio e

indignatione di qu. S.ri Mag.ci del Reggimento.

Dalla Rocca d’Orcia il dì x di maggio 1554 – (ivi).

XV.

Id. che nessun soldato e ufficiale si allontani dalla sua terra.

Noi Piermaria Amerighi, Cap.o Gen.le delle battaglie nelle parti della montagna e d’altri luochi,

mosso da buone e ragionevoli considerazione, dove le presenti n.re saranno presentate, commettiamo

et expressamente comandiamo a tutti i singoli Off.li Vic.i (Vicari ) Priori e Cam.i (Camerlenghi)

259 Tutto questo rilevasi da alcune lettere della Filza 445 dell’Archivio Mediceo, che lo scrivente non ha avuto agio di

copiare integralmente. 260 Le milizie della Rep.ª si dividevano in quattro capitanati: della <val di Chiana, della Maremma, della Montagnola e

della Montagna alta o Montamiata. (l’Amerighi era di Radicofani!).(Vedi a pag.45 di questo libro).

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delle terre sotto scripte che, subbito queste viste, faccino preceptare in nome n.ro a ciascuno cap.o,

L.T., alfiere, caporale ed altri Off.li insieme con li soldati indifferentemente sotto la n.ra (nostra)

carica, che sotto pena di scudi dieci d’oro e due tracti di fune per ciascuno, non si levino dalla terra

dove habitano, senza n.ra expressa licentia, notificando che sene farà diligente ricerca e contro li

inobbedienti si procederà rigidamente, senza alcun rispecto: né si manchi di fare caminare la presente

dì e notte, né si posino, registrandola a libri delle memorie, facendone fede in nel presente foglio, per

quanto stimano la gratia delli S.ri Ill.mi e n.ro arbitrio.

Da la Rocha d’Orcia il dì 25 di maggio 1554.

Le terre son queste:

Castiglioni d’Orcia

Campiglia

Abbadia di San Salvadore

Piano Castagnaio PIERMARIA AMERIGHI

Radicofani

Celle Sancasciano

Fichini

XVIII.

Id. di Piermaria Amerighi : che si catturino i soldati che partissero senza licenza del loro

capitano.

Il Mag.co et valoroso Cap.o Piermaria Amerighi, per autorità e commissione hauta a bocca dallo

Ex.mo S.r Pietro Strozzi, L. Tenente G.nle di S. M. Cx.ma in Italia, fa publicamente bandire e

comandare a qual si vogli persona indifferentemente che trovassero soldati, che si partissono senza

fede della licentia del loro capitano in scripto, allora ed in qual caso, essendo gentil’homo, lo devino

ritenere prigione ad istantia di S. S. Eccell.ma, dandogliene avviso, né si mancarà usarli cortesia : e,

essendo soldato particulare, lo possino ammazzare e svaligiare al loro beneplacito, facendo sempre

la cosa honoratamente da posserlo provare, comandando di più a tutte le Coità e homini sotto la carica

n.ra che devino stare alli patti, maxime la notte, per exequire la volontà di S. E.tia Voi Off.li Priori e

Cam.i delle terre non mancarete, per quanto pregiate et havete cara la gratia di q.i Ill.mi S.ri, mandare

pubblicamente il suddetto bando in né luochi soliti delle terre e registrarlo alle Memorie di mano in

mano e di terra in terra, come ordinatamente e qui da basso, caminando dì e notte senza dilatione di

tempo, facendone fede in nel presente foglio.

Di Vignoni261 il dì ultimo di giugno 1554.

Cast.ni Rochette

Seggiano Rocha Albegna PIERMARIA AMERIGHI

Castel del Piano Monticello

Montegiovi Montenero

Montelatrone Castelnuovo del Abate – E voi Off.le di Castelnuovo la

Arcidosso rimandarete

Samprugnano

Il dì primo di luglio 1554 fu portato il sopradetto bando et pubblicamente bandito. - (ivi).

261 Nel castelletto di Vignoni, di proprietà dei Sig.i Amerighi, abitavano essi un loro palazzo, dove fu ordita la congiura

contro gli Spagnoli.

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I CASTELLI DELLA VAL D’ORCIA

E LA REPUBBLICA DI MONTALCINO

CAP. IX.

Pag. 229 e segg.

Non pochi fra i più ragguardevoli di quegli esuli generosi, risoluti di non cadere ancora

all’avversa fortuna, si rifugiarono in Montalcino: e quivi, con un ardimento che parve follia, dettero

ordine ad un governo sullo stampo stesso di Siena, attesero a fortificarsi ed a riunire la maggior

quantità di soldatesche possibile, aprirono poi anche una zecca e chiamarono la loro La Repubblica

di Siena ritirata in Montalcino. Invitarono tutti i cittadini e le Terre di lor giurisdizione a giurar fedeltà

al Re Cristianissimo ed obbedienza alla loro Repubblica, e i Castelli della Val d’Orcia, come i più

prossimi, furono i primi a darne l’esempio. S. Quirico, Pienza, Monticchiello, Contignano,

Castiglioncello del Trinoro, Radicofani, Campiglia, la Rocca e Castiglioni aderirono di gran cuore al

nuovo Governo. Oltre la Val d’Orcia, rimanevano ancora in mano degli alleati Francesi il

Montamiata, porzione della Val di Chiana e della Maremma, che formarono quattro Commissariati

distinti: ed ebbero a lor Commissari Marc’Antonio Politi, Ambrogio Nuti, Giulio Vieri e Andrea

Landucci. ……………………………

…………………………………………………………………………………………………….

Nel breve spazio di 10 giorni tutta la Val d’Orcia, eccettuati Radicofani e Monticchiello, era

adunque venuta sotto il dominio degli Imperiali, i quali, saccheggiati tutti quei paesi e devastarono il

territorio, scorrevano ora vittoriosamente per la Maremma, giacché Cornelio Bentivogli, uscito di

Montalcino a capo delle poche forze di cui disponeva, si era trovato affatto impotente ad arrestarne

la marcia. Ma volendo ad ogni modo distogliere i nemici da quell’impresa, messi insieme nuovi

rinforzi di cavalli e di fanti, dava voce di voler dare il guasto al contado di Fojano e di Montepulciano.

Il Duca da sua parte tenendosi sulle intese, mandava in Pienza una compagnia di tedeschi

…………………

Pag. 237 e segg.

Tutta la Val d’Orcia era dunque ritornata in potere dei Francesi, i quali avevano altresì quattro

compagnie verso Radicofani e Cetona, numerosi rinforzi in via per la Val di Chiana ed altri andavano

radunandone ovunque potevano. Ma ad onta di tanti felici successi, la posizione delle milizie della

Repubblica non poteva dirsi affatto sicura. E il Bentivogli che conosceva quanto gagliardamente il

Medici si preparasse ad aver la rivincita, andava provedendo, come meglio poteva, alla difesa dei

luoghi conquistati. E appena recuperata Pienza, lasciatevi due compagnie di fanti e una di cavalli, se

ne partì la sera stessa, alloggiando la notte in S. Quirico. E lasciate per quivi due compagnie di fanti,

la mattina prestissimo ritirò il restante dell’esercito con le artiglierie e le munizioni in Montalcino,

apparecchiandosi a fare onorevole resistenza, contro le forze che il Duca con gran premura a quelle

parti spediva.

Ma il mancamento delle paghe, che gli agenti Imperiali dovevano rimettere da Napoli, erano nati

tanti malumori e tante dissenzioni fra i soldati, che ricusando di obbedire agli ordini che venivano

impartiti, fu perduto un mese di tempo avanti che il Duca potesse mettere in buon assetto le truppe.

Era stato intanto deciso che il grosso dell’esercito si conducesse primieramente contro Chiusi e di lì

a Sarteano, per veder di liberare la Val di Chiana e per chiudere ai Francesi il passo per gli Stati della

Chiesa, da dove ricevevano continuamente soccorsi. Né in questo frattempo passarono le cose

perfettamente tranquille. Perché il Conte di Santafiora «con tutta la cavalleria» e con «la compagnia

del Capitano Iacopo Pucci» spintosi da Montepulciano fino a Radicofani, Piancastagnaio e Pitigliano

aveva «fatto gran preda d’ogni sorte di bestiami» catturati «molti vivandieri che conducevano

vettovaglie a Montalcino» e rotta la strada romana presso la Paglia.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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L’esercito intanto si trovava già in ordine di marcia per la volta di Chiusi, quando il Conte Rados,

scorrendo con i suoi cavalli per la Val d’Orcia, si abbatté in un messo di Ottaviano Ottaviani,

Commissario dei Senesi in Radicofani che, sentendo gli apparati dei nemici, scriveva ai ministri

Francesi in Montalcino come quel paese non fosse abbastanza munito di ripari e vettovaglie, da

potersi lungamente sostenere se fosse stato attaccato; tanto più che il Conte Giulio da Tiene, che con

soli 150 fanti guardava quella fortezza, diffidava poterla difendere, se non fosse stato soccorso di

nuovi rinforzi. Pervenuta la lettera alle mani del Duca, ei, mutando proposito, ordinò a Chiappino

Vitelli che, abbandonata l’impresa di Chiusi, marciasse speditamente contro Radicofani, non

stimandola meno importante, sì per la vicinanza di Pitigliano e di Castro, che si trovavano tuttora in

mano ai Francesi, sì ancora perché quei di Montalcino avevano per di là il passo sicuro per Roma e

perché era opinione dei più che, caduto Radicofani, tutta la montagna, che era la vita dei Montalcinesi,

dovesse ben presto venir soggiogata.

Il Vitelli adunque mosse l’esercito verso Pienza, che per essere «mal guarnita e difesa fu presa

agevolmente e vi si guadagnò un’insegna e vi si fecero molti prigioni; e lasciatovi a guardia il

Capitano Rosa da Vicchio, quivi inviò l’esercito inverso Radicofani» che in questo tempo era stata

provveduta di munizioni e di viveri.

Colà giunto ed accampatosi, avendo gl’ingegneri Pazzaglia e Giulio Milanese riconosciuto il sito

strano in che è posta quella fortezza e come difficilmente si potesse battere per l’altezza e asprezza di

quella montagna, fu risoluto di piantare la batteria in mezzo di due torri, dirimpetto alla porta: e

continuando a battere per quattro giorni con circa 400 colpi di cannone, non se ne vide alcun frutto

notevole. Tuttavia il Vitelli, fidandosi nel valore dei suoi, risolvé di dare il segno dell’assalto: e al

suono della tromba tutti quei soldati dettero dentro per quella poca breccia che vi era. Ma Bastiano

Guascone262, a cui era stata affidata la difesa della piazza, burlandosi di loro, li lasciò entrare fra il

barbacane e la batteria e lì con fuochi artifiziali, archibugiate e gran quantità di sassi ne ammazzava

e ne feriva tanti che il Vitelli fu costretto a chiamare in aiuto i capitani dei cavalli e i cavalleggeri che,

messo piede a terra, vennero a rinfrescare l’assalto. Vedendo il Guascone questo gran rinforzo,

lasciata la cura della batteria al suo alfiere con alquanti soldati, egli con molti terrazzani carichi di

bariglioni pieni di sassi, che faceva gettare a basso per la muraglia con tanta prestezza che parevano

grandine, faceva un danno notabile sopra gli assedianti263. Il Vitelli per tanta mortalità nei suoi,

comandò battersi la ritirata: e risoluto a mandare per altri soccorsi, si preparava a disporre in altra

parte la batteria.

Non poteva in niun modo risolversi ad abbandonare quell’impresa: della quale scrivendo a Don

Francesco di Toledo, mentre menomava grandemente i danni sofferti, dava la maggior colpa al poco

valore dei soldati e protestava: «non havendo ordine contrario, ci voglio stare et combatter tanto che

io l’abbia et mi riuscirà» ripromettendosi eziandio di impadronirsi «di tutta la Montagna». Ma il Duca

vedendo che l’espugnazione di quella fortezza non era poi così agevole come aveva creduto, tanto

più che con difficoltà vi si poteva mantenere l’esercito, dovendolo provvedere di tutto da

Montepulciano, attraversando con grosse scorte di cavalli un lungo tratto di paese nemico, e che

essendo ormai il mese di novembre, la stagione cominciava a mettersi fredda e piovosa, dava ordine

al Vitelli di abbandonare l’impresa. Questa risoluzione del Duca dipendeva anche dall’aver egli

saputo che Ottavio Farnese Duca di Parma veniva, per ordine del re, a Montalcino con molti fanti e

cavalli alla difesa delle terre e dei luoghi che tenevano i Francesi. Osservava al Vitelli che il «fare

acquisto delle terre della montagna» non gli pareva «a proposito» non tanto per essere il paese assai

disastroso e difficile a vettovagliarsi, quanto per non dilungarsi di troppo da quei «nuovi soccorsi di

Roma»: e riteneva miglior partito ritirarsi in Val di Chiana, da dove potevano più facilmente esser

soccorse «le frontiere et Siena». Avvertiva di aver saputo che i Francesi si apparecchiavano a «fare

gran cose»: ma credeva che non potessero tanto presto essere in ordine: e a meno che «il Papa non

262 Lo storico Pecci non fa menzione di Bastiano Guascone ma indica il Conte Giulio da Tiene come il difensore di

Radicofani. 263 MONTALVO – Relazione della guerra di Siena tradotta da Don Garzia suo figlio. Pag. 190.

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sfornisse a un tratto le genti del confino di là et le mandasse di qua» per parecchi giorni non vedeva

pericolo. Occorreva ad ogni modo «star sull’avvisi».

Dava ordine ancora che, al ritorno, l’esercito si accampasse vicino a Pienza e ne gettasse a terra

le mura, in modo che non vi si potessero più annidar soldati e farsene frontiera, perché voleva che

quella città, già tante volte presa e perduta, non gli desse più noia264. E «oltre a Pienza se vi fussino

altri luoghi, che si dubitassi che havessino a dar disturbo, farli anco essi sfasciare senza dilatione».

Il Vitelli adunque, eseguendo gli ordini del Duca, lasciava Pienza affatto smantellata e senza

presidio alcuno in abbandono; ed, inviati i tedeschi a Montecchio, distribuiva i cavalli per i castelli

ove meglio si potevano mantenere, lasciando con il resto delle milizie le frontiere ben munite.

La sorte di Pienza essendo stata nuovamente seguita da Fabrica e Castelluccio, caduti in mano

degli Imperiali, il Duca ingiungeva al Commissario di Montepulciano che pure essi si smantellassero,

aggiungendovi anche il palazzo di Tori e dava buoni consigli tecnici, per venirne a capo con prestezza

e poca fatica265.

Queste perdite, invero di non grande importanza, non erano valse a turbare la generale allegrezza

per la partenza degli Imperiali da Radicofani. Si fecero feste grandi; furono remunerati per la loro

valorosa condotta il Tiene e l’Ottaviani: e cominciando a rinascer la speranza anche negli animi più

abbattuti, alcuni castelli che erano sotto l’obbedienza del Duca si misero in ribellione e nella stessa

Siena cominciavano a manifestarsi alcuni moti sovversivi. I Francesi nel calore della vittoria facevano

continue scorrerie fin presso le porte della città, di modo che, essendo impedito il libero transito delle

persone e delle robe «pareva che fosse ritornato l’assedio»266.

……………………………………………………………………………………………

Per la verità il Duca avrebbe avuto in animo di tentar nuovamente l’impresa di Radicofani, se

non fossero state messe innanzi le difficoltà della stagione, del vettovagliare l’esercito, essendo la via

lunga e tutta in potere dei nemici, e del mantenere i cavalli in un paese come quello così arido e privo

d’erbe. Tuttavia, prestandosi i luoghi assai bene alle fanterie, si poteva, rinunziando ai cavalli, tenerne

soltanto una compagnia in Contignano, e lasciar gli altri in Montepulciano e fornir di fanti il

Castelluccio e Castiglioncello. Ma c’è di mezzo l’Orcia, che in occasione di piena impedisce il

passaggio: e allora sarebbe stato necessità ricorrere per vettovaglie a Santafiora, paese non troppo

propizio in quella stagione. Era anco da considerare che Radicofani di per sé così forte e già

inutilmente tentato, poteva trovarsi assai meglio munito, essendovi stato di corto Monsignor di Subise

e Cornelio Bentivogli. Per cui volendo differire l’impresa, fino a che l’erba non fosse venuta, potevasi

intanto presidiar gagliardamente Pienza, Castelluccio e gli altri luoghi vicini: tenere una compagnia

di cavalli in Contignano, sfasciar Campiglia o tenervi una compagnia di fanti che, rompendo la strada

romana, la quale si poteva altresì tenere in rispetto da Santafiora, impedissero ai Montalcinesi gli aiuti

che potessero loro venire dallo Stato della Chiesa: e a stagione propizia occupare il Montamiata, per

voltarsi di là a quell’impresa che meglio paresse: e guastar le raccolte dei luoghi ove facessero miglior

pro ai nemici, mentre le genti di Pienza sarebbero state pronte a ogni movimento. Questo era a un

dipresso il rapporto che il Capitano Muzio Petrucci rimetteva al Duca, che persuaso da quelle ragioni

richiamò indietro lo Sforza, il quale lasciate due compagnie di Tedeschi in Sarteano, ritirò da

Chianciano il restante dei Tedeschi e degli Spagnoli, conducendosi con essi in Pienza.

………………………………………………………………………………………

Pagg. 253 e segg.

264 «Pienza città fatale e ludibrio della fortuna in tutto il corso della guerra, tante volte perduta, tante volte recuperata»

(NINI - Storia d’Italia. Ms. nella Moriniana di Firenze. Tomo 3, Pag. 154). – Doc. XXI, XXII, XXIII, XXIV. 265 Vedere su ciò alcuni documenti pubblicati dallo scrivente nella Miscellanea Storica Senese (Anno I, n. 8). 266 PECCI – Vol. 4. Pag. 268.

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Ma dubitando il Monluc che il Duca non facesse impeto in qualche parte, andava da tutto il

contado radunando il grano nelle terre più forti267; fabbricava sollecitamente bastioni e ripari e

assoldava nuovi fanti da Roma e dal campo francese, traendo a sé quanta più gente poteva del suo

paese. Oltre tre prime insegne di Guasconi che erano entrate in Montalcino, altre tredici erano

comparse in Radicofani, ove il Monluc era stato a incontrarle: e ne aveva distribuite tre più in

Montalcino, tre in Chiusi, tre a Grosseto, tre a Radicofani ed una alla Rocca. Di lì aveva tolto il

Capitano Calloccio e lo stesso andava a fare in Monticchiello del Capitano Bartolomeo da Pesaro e

di altri capi Italiani, dei quali non si fidando troppo, metteva in lor vece capitani francesi.

………………………………………………………………………………………………

Si procedeva intanto all’evacuazione delle guarnigioni francesi: ma la bisogna non camminava

con quella speditezza e quella regolarità, che sarebbesi desiderate. Perché i soldati, essendo in credito

di alcune paghe, si rifiutavano di consegnare le piazze, se non venivano prima soddisfatti: e quei di

Radicofani in numero di 200, ammutinatisi e rinchiusisi in fortezza, mostravano non volersene uscire:

né Cornelio Bentivogli accorso colà, aveva potuto con preghi o minacce ridurli al dovere. Teneva

ancora gli animi sospesi la notizia, pervenuta in questi giorni, della morte del re268: e si temeva che

quei di Montalcino o di Pienza volessero romper la strada, per impedire il trasporto delle artiglierie,

che da Chiusi, da Montepulciano e da altri luoghi dovevan condursi.

……………………………………………………………………………………………

Quei di Radicofani intanto, ucciso il loro capitano e abbandonata volontariamente la fortezza,

essendosene fuggiti, furono mandati colà dei buoi, per cavarne i due pezzi di artiglieria che v’erano,

essendo quelli del Castelluccio, di Chiusi, di Buonconvento e degli altri luoghi già in via per

Batignano, ove erasi fermato il Bentivogli per provvedere all’imbarco. Dai castelli della Val d’Orcia

si erano finalmente messi insieme i soldati francesi «e tutti si adunarono a S. Quirico e furono nove

capitani, che fra tutti ebbero meno di 800 soldati, gente logora dalla povertà, dalla fame e dai disagi»

e di lì per il fiorentino spediti a Vada, dove eran galee ad aspettarli. Erano già stati mandati

Bombaglino d’Arezzo a Chiusi, Simone Rossermini a Grosseto e a Radicofani Goro da Fucecchio,

che vi rimasero poi come capitani di quei presidi: e si provvedeva a che il Francia o Francesco da

Montaguto pigliassero possesso di Monticchiello, della Rocca, di Castiglioni e di altre piazze vicine,

assicurandosene in nome del Duca.

………………………………………………………………………………………………………

……..

Il territorio dei castelli della Val d’Orcia, ove si era per altri quattro anni prolungata la guerra

contro i Senesi di Montalcino, ne rimase naturalmente ancor più rovinato. La Val d’Orcia conserva

tuttora in modo particolare quell’aspetto di desolazione, che una serie sì lunga di disastri lungamente

v’impresse. La tradizione parla di cento case coloniche scomparse; la storia con maggior precisione

registra miserie spaventevoli. Fin dai primordi della guerra tutti questi Paesi, per essere stati a più

riprese saccheggiati si trovavano «talmente frusti che una crudiltà a vedere et tuti abandonati, ecetto

le fortezze».

……………………………………………………………………………………………………

…………………………

L’accentramento che, per ragioni economiche, molti di essi più tardi subirono nei Comuni più

grossi, fece loro perdere anche le ultime vestigia di quella fiera individualità, che rimontava ai tempi

fortunosi della dominazione Longobarda. Soltanto in Radicofani, come frontiera dello Stato, fu

risarcita la fortezza e mantenuto un presidio di soldati: ma essendo poi in epoca molto posteriore, per

imprudenza del capitano scoppiata la polveriera e rovinate affatto quelle fortificazioni, venne

267 Un bando del 2 settembre 1556 ingiungeva alle Comunità della Val d’Orcia di mandare «tutte le bestie da soma alla

volta di Montalto a caricare i grani» che il Mag.co Ms. Alfonso Tolomei doveva condurre a Montalcino. In quella

circostanza Castiglioni ricevé «moggia tre» e stara venti due di grano, «mancho libre quattro, da pagarsi a ragione di lire

sei lo staio». (Arch. Comunale di Castiglion d’Orcia – Riscossioni e Memorie 1553- 61). – Altre provisioni furono fatte

in seguito. (V. Doc.). 268 Re Enrico morì il 10 luglio 1559 per una ferita riportata in un torneo.

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anch’esso del tutto abbandonato269. Parve quindi che solo la Rocca, ma per la massima parte di questi

castelli, si avverasse la profezia che Brandano in una delle sue peregrinazioni da Siena a Roma, aveva

pronunziata con queste parole: «Rocca, Rocca presto diventerai una bicocca»270. D’altra parte allo

spopolamento del contado contribuirono altresì le arti stesse del Medici, che non risparmiò né

lusinghe né liberalità per richiamare in patria i dispersi Senesi, affinché non paresse che egli, invece

di aver soggiogato una città, dominasse soltanto sulle rovine di essa.

Avvenuta dunque la capitolazione di Montalcino «il Cap.º del populo e deputati ala difesa dela

libertà della Rep.ª di Siena» che con tanto ardore avevano protetto gli ultimi istanti del loro pericolante

governo, doverono dare avviso alle terre del dominio dell’atto di sottomissione da essi compiuto verso

« dell’invicts.º e Cat.º Principe Filippo re di Spagna e per consequentia dell’Ill.ͫ º et Ecc. ͫ º S. S.

Cosimo de’ Medici Duca di Fiorenza suo feudatario nella Città e Stato di Siena » confortandole ad

accogliere «benignamente» gli agenti e procuratori ducali che sarebbero loro stati presentati dal

Commissario Ascanio Bertini271. Tutte le Comunità doverono poi, per loro incaricati, stipulare

pubblici atti di devozione al nuovo padrone: e così Radicofani prestava giuramento il 17 di agosto272,

S. Quirico il 21, gli altri in altri giorni: ed eccettuati Port’Ercole, Orbetello, Talamone e S. Stefano

che, sotto il nome di Presidi, rimasero alla corona di Spagna, tutto l’antico Stato Senese era finalmente

venuto sotto il ferreo dispotismo di Cosimo de’ Medici.

S. Quirico d’Orcia

A. V. BANDI

DOCUMENTI

della Terza Parte

(Lettere)

Pag. 286 e segg.

XX.

Dal Conte di Santa Fiora al Duca di Firenze

Sopra una scorreria fatta nelle parti di Radicofani.

Ill.mo et Ecc.mo mio S.r et Pròne Oss.mo

L’altra notte a VIj hore me partii di Montepulciano con tutta la cavalleria et la sera havevo

incaminato alla volta della Posta di Paglia la compagnia di fanti del Capitano Iacopo Pucci, la quale

269 Il PECCI dice: «Si è continuato a tenere guardata la fortezza di Radicofani fino al presente governo, ma considerandola

inutile furono nel 1739 licenziati il Castellano e i soldati, i cannoni trasportati a Firenze gli attrezzi venduti e la fortezza

lasciata in abbandono». (Lo Stato Senese. Tom. 5 car. 201). La nota precedente a questa diceva: « Fin dall’11 agosto

(1559) il Duca Cosimo scriveva al Niccolini: « di quello che avete fatto di Monticchiello, delle Rocchette et simili altri

luoghi daretecene avviso, perché non intendiamo di spendervi in guardarli ». (Mediceo – Filza 50, pag. 373). 270 PECCI – Vita di Bartolomeo da Petrojo chiamato dal volgo Brandano. Pag. 76. 271 REPETTI – Dizionario etc, Vol. 4. Pag. 713 e vol. 5, pag. 114. «Fu cosa da notarsi (l’Adriani) che fra tante città e

luoghi stati con tanto disagio e maggior danno in mano de’ Francesi tanti anni, ora che molti giorni furono in tutto libere,

non ce ne venisse per una ad offerirsi al Duca e a prevenire la grazia, come in altre nazioni si è veduto il più delle volte

essere avvenuto». (Vol. 6, Pag. 27). 272 Vedi nota 270. Le note prima riferentesi ad Ascanio Bertini e a «devozione al nuovo padrone» sono: Doc. LIII; e Doc.

LIV.

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lassarò nel stato di S.ta Fiora et mandai seco cento cavalli. Nel far giorno io comparsi in quello di

Radicofani, dove si è fatto gran preda d’ogni sorta di bestiami et così in quello di Pian Castagnajo et

nel stato di Pitigliano, oltra che si è rotta la strada di Paglia, con preda di molti vivandieri che

conducevano vettovaglia a Montalcino. Il tutto si è fatto senza haver hauto pur un minimo disturbo,

segno che in queste bande l’esservi comparso tanta cavalleria ha dato et dà gran spavento.

Questa cavalleria è di necessità si riposi tutto domani et intanto io havrò dato ordine, secondo

l’opportunità, alle cose dello stato di S.ta Fiora et doppo ciò me ne tornerò in dietro con la maggior

celerità che sarà possibile et di quanto seguirà glie ne darò continuamente minuto avviso; et bascio le

mani di V. E. pregandoli ogni felicità.

Di Proceno li XXI d’agosto 1555.

Di V. E.

Umiliss.mo S.re SFORZA SFORZA

XXI.

Di Chiappino Vitelli a Don Francesco di Toledo,

assedio di Radicofani.

Ill.ᵐᵒ et Ecc.ᵐᵒ S. ͬ mio

Hiersera arrivammo et piantammo l’artiglieria a Radicofani cioè 3 mezzi cannoni et un cannone

con provvisione di 400 tiri, de’ quali per errore de’ bombardieri, che presono 36 palle troppo grosse,

restorno tanto manco. Inperò havendo fatta, secondo pareva a molti, conveniente batteria, doppo

d’haver fatta riconoscerla, et udito che si poteva tentare, spinsi l’Italiani et Spagnuoli a rimecterla. Et

avendo due volte fatto rinfrescarla non c’è stato ordine d’entrarvi, perché da alcuni particolari in poi

non s’è combattuto; tal che, havendovi a fare imprese d’importantia, è necessario chavare di

Portercole et Orbetello Spagnuoli, altrimenti non si farà cosa buona. Non di meno avanti parta di qui,

non havendo ordine in contrario, ci voglio stare et combattere tanto che io l’habbia et mi riuscirà, al

meno della Terra, perché gli Alemanni mi hanno promesso voler rimecter, et la fortezza, quando non

s’abbia, resterà di poca importantia et capace di poca gente, perché ci farò quanto potrò et penso

impadronirmi presto di tutta la montagna. De’ morti fin a hora non ne rinvengo se non 3: l’Alfiere

d’Antonio Pasientos, un fante et un Todesco pesti di sassate, alcuni frà quali sono tutti e’ creati del

Duca mio Signore, che se domani anchora farà di bisogno tentar di nuovo saranno pronti a farlo et

così domani c’andremo temporeggiando con certi pochi tiri che habbiamo, finché verrà munitione et

V. S. Ill.ᵐᵃ saprà il seguito, alla quale bacio le mani. I. N. S. la guardi.

Da Radicofani il dì V d’ottobre, 1555.

Aff.ᵐᵒ S. ͬ CIAPPINO VITELLI

XXII.

Dal Duca di Firenze a Chiappino Vitelli

Sull’abbandonare l’assedio di Radicofani.

Al S. Chiappino Vitelli alli VIIIj d’ottobre 1555.

Noi pensiamo che alla ricevuta di questa si sarà fatta tutta la prova et lo sforzo possibili di pigliar

Radicofani et che, non vi essendo riuscito, vi sarete risoluto levarsene, come per la vostra de’ VIj

mostravi, aspettando da noi risposta et risolutione di quanto havessi a fare, et così rispondendovi

diciamo che l’andare a fare acquisto delle Terre della montagna non ci pare a proposito, sì perché il

paese come voi dite è disastroso, et con difficoltà potreste aver vettovaglie, si perché vi dilungheresti

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troppo rispetto a questi nuovi soccorsi di Roma et però giudichiamo esser meglio che voi andiate in

Val di Chiana, di dove potrete soccarrer le frontiere nostre et Siena……………………….

XXIII.

Altra.

Al S.ᵒ ͬ Chiappino Vitelli a dì 9 di ottobre 1555.

Habbiamo inteso quanto sia successo intorno a Radicofani et ci dispiace il poco valor de’ soldati:

circa il seguitar l’impresa di esso et le altre ve ne risolverete con la considerazione di quanto per la

nostra de’ VI et di man nostra vi habbiamo scritto, eseguendo quanto in essa contiene, per cio che li

avvisi et romori di Roma rinfrescano che i Francesi voglin fare gran cose, et di già s’era fatta la

speditione di molti capitani, et che nello Stato Farnese il Duca Ottavio faceva massa: però tenete

l’occhio alle genti che compariscono a Montalcino et a quelli che si fanno da quelle bande, acciò non

vi fusse fatta qualche burla.

De’ muli s’è ordinato di mandarvene 50 et il Commissario vedrà se ve ne potrà provvedere delli

altri.

Noi crediamo che quelle genti, che possono essere un 2000 fanti, non sien per essere così presto

in essere, et forse vedendovi accostar presso allo Stato di Castro non dubitin d’una spoglianza et per

questo faccin tanto romore.

Don Bernardino è alli confini del Regno con VIII mila fanti buoni et 1500 cavalli. Se il Papa non

sfornisse a un tratto le genti del confino di là et le mandasse di qua, per parecchi dì non veggio

pericolo: ma bisogna star su l’avvisi et questo sia per vostra informatione. Dio vi conservi.

Dal Poggio.

XXVII.

Di Muzzio Petrucci al Duca di Firenze

Sulle difficoltà di espugnare Radicofani.

Ill.ᵐᵒ et Ecc.ᵐᵒ S. ͬ et Patron mio unico

Per non manchare a quanto V. Ecc.ͭ ͥ ͣ mi comanda per la sua, anchor che mi paia l’opinione mia

superflua, li dico che nell’impresa di Radicofani ho per difficile in questa stagione il potersi

vettovagliare l’esercito et perché la strada è lunga et anchor fra le forze di nimici, né dal paese stesso

di Radicofani possiamo cavar comodità nessuna, per esser Montagna fredda et alida d’herbe per i

cavalli. Non l’havrei però per impossibile se in Montepulciano fussero strami, perché lì nel luogo

stesso potremmo far senza cavalli, e il paese, donde s’ha a camminar con le vettovaglie, è assai atto

per la fanteria; et con il tenere i cavalli in Montepulciano et in Contignano una compagnia, la quale

potria mutarsi, et con il tener fanti nel Castelluccio, in Castiglioncello et in Contignano, credo si

condurrebbe sicura.

C’è che l’Orcia c’attraversa il camino: il qual fiume piglia con una gran pioggia, piena, ma passa

presto, et per un caso che venisse, bisogneria potersi valere delle vettovaglie di S.ͭ ͣ Fiora. Lì è difficile

stare in campagna, per essere il paese freddo e spogliato d’arbori, et dubito, per intender ci hanno due

mezzi cannoni, non c’impedischino gli alloggiamenti della Terra, che sono superiori a tutta, et ce

l’abbrucino et nel termine che la stava et con quel che la possano aver fortificata che ci è stato Mons. ͬ

di Subisa et il S. ͬ Cornelio, l’ho per una gagliarda piazza. Parendo a V. Ecc. ͭ ͥ ͣ difficile, si potria per

tanto, venissi l’herba, mettere in Pientia questi Tramontani et in Contignano et in quegl’altri ricetti di

Terrette forti, che sono li intorno, et anchora tenere una compagnia di cavalli in Contignano et sfasciar

Campiglia o tenerci una compagnia di fanti che rompessi quella strada, la quale anchora da S. ͭ ͣ Fiora

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se li travaglierebbe, et come prima l’herba fussi grande, levarli la Montamiata et di li voltarsi a

quell’impresa che più paressi et a guastarli i ricolti in quelle parti che loro potessero valersene, et

stando le genti in Pientia sarebbon pronte a ogni movimento, ch’el Papa facessi. Et, non mi

occorrendo altro, a V. Ecc. ͭ ͥ ͣ bacio l’Ill.ᵐᵉ mani et mi raccomando. Nostro Signore l’esalti.

Da Sarteano il dì IIIj di febbraio 1556.

Di V. E. ͭ ͥ ͣ Ill.ᵐ ͣ

Minimo et perpetuo S.ͬ ᵉ

MUTIO PETRUCCI

XXXIII. bisͬ

Di ignoto. Notizie da Radicofani.

Mag. ᶜᵉ vir etc.

Vi ho scritto a pieno li dì passati et di Perugia alli 15 del presente come mi trovavo in quella Città

per venire a Montalcino co’ 150 muli della monitione; li quali havevano a condurre vettovaglie in

quelle Terre forti, che tengono li S.ͬ ͥ Franzesi: et vi dissi che il Duca di Sùma veniva con tre

compagnie, cioè la Compagnia del S.ͬ Iac.ᵒ Malatesta, quella del ap.ᵒ Moretto Calabrese et quella del

Cap.ᵒ Franc.ᵒ da Pisa. Et essendo venuti alli 17 in Chiusi, il detto S.ͬ Duca è rimasto in quella Terra et

così ancora la compagnia del S. ͬ Iac. ᵒ Malatesta: e alli 18 sono marchiate (sic) le due altre compagnie

alla volta di Radicofani et una compagnia Franzese del Capit. ᵒ Braccone, con li muli della monitione,

li quali se n’andranno stasera alla Badia et domani verso Montalcino, carichi di grano et di farine: et

le dette compagnie faranno lor compagnia et scorta.

In Chiusi si trova la compagnia del S. ͬ Duca di Sùma, la quale non fu vero che si partisse per

Roma, come era stato detto, et se ben si partisse et si conducesse sino in Perugia, per andar verso il

campo, non dimeno hebbe da poi ordine di tornare in dietro: ci è la compagnia del S. ͬ Adriano

Baglione et quella del S.ͬ Iac. ᵒ Malatesta, come ho detto.

Di qua vi sono campagne assai belle et li ricolti saranno buoni: e si cominciarà a segare li grani

tra xv giorni et, faciendosi le ricolte questo anno et riponendosi li grani, non è dubbio che le cose di

questi S.ͬ ͥFranzesi andranno bene per qua, ma se fussero impedite queste ricolte, costoro sariano del

tutto ruinati273. ………………………………………………………………………

……………………………………………………………………………………

……………………………………ma disse ancora che se S. Ecc.ͣ volesse metter mani in questa

impresa, con la gente che si trova al presente in essere, et dare il guasto a queste parti, come potria

darlo, che tutte queste Terre gli verriano in mano senza dubbio alcuno; et tanto dicono li paesani così

di Chiusi, come questi qui di Radicofani. Il qual luogo è così forte di sito, che se un principe, come il

Duca di Fiorenza, l’havesse in mano, et ci volesse fare un po’ di spesa a fortificarlo et munirlo, tutto

il mondo non lo prendaria: et pur così come sta, se vi sono genti dentro da guardarlo, è difficilissimo

et quasi impossibile a prenderlo: et gli huomini della Terra sono bastanti a guardarsi da sé stessi: li

quali mostrano di desiderare molto che tutto questo paese sia di un Sig.ͬ ᵉ solo et non così diviso,

perché a loro non mette conto di star come stanno, et conoscono la ruina et danno che risulta a queste

273 Un bando del 4 giugno notificava che: « acciò che ogni persona possa liberamente et senza alcuno impedimento

attendere alle ricolte de’ grani et altre cose e resistere alli nimici » venivano sospese in tutto lo stato « le corti delle cause

civili »: e successivamente (30 luglio 1557) che : « per tutto il dì 8 di agosto ogni homo habbi fatto tribiare li grani e

altri biadumi, che da inde in là s’intenderanno persi et se ne farà la volontà degli Ill.ᵐ ͥSig. ͬ ͥ » dovendosi detti grani,

appena fossero «netti et conci, condurre alle piazze e terre forti » a tutto il 15 dello stesso mese. (Archivio Com. di

Castiglion d’Orcia – Riscossioni e Memorie 1553 – 1561).

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Terre di star così et vorriano che tutte le Piazze fussero di un Sig. ͬ ᵉ solo et più desiderano il Duca di

Fiorenza, che altro principe. Tanto che se li Sig. ͬ ͥ sapessero alle volte come le cose passano et fussero

risoluti a pigliare de’ partiti e espedienti per loro: fariano molte faccende, più che non fanno: benché

io penso che il detto Duca di Fiorenza sappi tutte queste cose o buona parte di esse, et che non si

muova più che tanto per diversi rispetti, et essendo tenuto principe savio et prudente, non vorrà far

motivi, se non mira ben prima quello che può succedere; et vedendo lo essercito Franzese in Italia,

che gli potrebbe venire addosso, se ben parte sia occupato nelle cose del regno di Napoli e che habbi

animo di tornare in Francia et non tentare per adesso le cose di Toscana

…………………………………………………….

…………………………………………………………………………………..

Da Radicofani allì 19 di giugno 1557.

(A tergo) Al Mag.ᶜ ᵒ et mio Hon. ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ Iacopo Pagni

Nel Arcivescovado di Fiorenza

A Fiorenza

XXXV.

Di Agnolo Niccolini Governatore di Siena al Duca di Firenze

Sopra alcune guarnigioni Francesi

Ill.ᵐ ᵒ et Ecc.ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ et Patron mio Oss.ᵐ ᵒ

Anchora che hiersera vi scrivessi quanto occorreva, nondimeno con l’occasione di questo

Sergente maggiore del Sig. Federigo, mi è parso di darle notizia di quanto s’è inteso da huomini

proprii, partiti hiermattina di Montalcino, quali riferiscono che Mons. Di Monluc, uscito di

Montalcino per incontrare le bande Guascone, fu a Radicofani per distribuire tredici insegne di

Guasconi, venute nuovamente di Roma oltre le tre prime, delle quali tredici, hiersera se ne

aspettavano tre in Montalcino, tre in Chiusi, tre a Grosseto et tre ne andavano a Radicofani, et una

alla Rocchetta di Val d’Orcia che tutte erano brutta gente. Che in Montalcino delle tre insegne venute

prima non rientrò più che una, un’altra a Seggiano et la terza alla Rocca di Val d’Orcia, di maniera

che, in detto luogo di Montalcino, venivano a essere cinque insegne di Guasconi et quella d’Italiani

sotto il Cap.ⁿ º Faustino di Perugia era ita in Maremma et si tiene che non sieno cento fanti per insegna.

Non sono pagati et hanno haver tre paghe: l’altre de’ presidii ordinarii, cinque; benché si diceva che

presto dovevano fare la mostra. In Chiusi dicevono essere arrivati cinque pezzi d’artiglieria grossa,

et che di quivi ne andavono quattro pezzi rotti a Montalcino per rifarsi, li quali eran già a Radicofani,

et così il numero dell’artiglieria non riscontra con li altri avvisi passati; per e’ quali pareva che da

Franzesi si lasciassino in queste piazze quasi tutto il fornimento dell’artiglierie con loro condotte. Le

vettovaglie vi sono care, eccetto il pane, et si diceva che s’erono guasti alcuni grani della munitione:

quale munitione di grani dicevono esser grande, per haver continuato gran tempo di mettervene

grossamente. Seguitavasi di dare tre pani il giorno della munitione alli soldati, et li Guasconi

desideravano molto di tornarsene in Francia: non sapevono che, con questi Guasconi venuti

nuovamente, fusse alcuna quantità di cavalli, ancora che prima si fusse detto che ne venivono 200, et

le due compagnie, prima ritenute con il Sig. Mario, si stavano a Pian Castagnajo et alla Badìa. Il Cap.º

Bartholomeo da Pesaro pareva che non volessi uscire di Montechiello, se non li daveno le cinque

paghe delle quali era creditore etc.

Di V. Ecc. Ill.ᵐ ᵃ

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128

Humiliss.ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ AGNOLO NICCOLINI

XLVI:

Di Antonio Albizi al Duca di Firenze sull’ammutinamento

Del presidio di Radicofani e sulla evacuazione delle altre piazze.

Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ͬ Duca

Li soldati Franzesi di Radicofani si sono abbottinati et ritiratisi in rocca, et questa mattina a questa

ora, che siamo a ore quindici, il S. ͬ Cornelio si truova alla Scala che cammina a Radicofani et qui è

arrivato quel suo Gentilhomo che era a Chiusi et andato in Montalcino, et vorrebbe condurre

l’artiglieria a Radicofani, secondo dice, per fare spavento a quelli soldati: et le munizioni che hanno

cariche le fanno marciare a Batignano vicino a Radicofani. Io andrò con destrezza intrattenendo

questo cammino della artiglieria, come ieri li scrissi, et piacerà a V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ dirmi se ho da andare

con l’artiglieria fino alla marina e dove habbia a stare.

Li Chiusini stanno con timore che quelli soldati di Montalcino, o vero Pienza, habbiano rotta la

strada in su queste nuove della morte del Re Ks.ᵐ ᵒ : et questo è quanto per ora ho da dirli et,

reverentemente baciandoli la mano, prego Dio la contenti.

Dal Castelluccio alli 20 di luglio 1559.

Riferisce questo Cap. ᵒ dell’artiglieria che l’artiglieria di Montalcino non cammina, né vuole il

S. ͬ Cornelio che là cammini, fino a tanto che questa nen è arrivata di là da Montalcino.

Di V. Ecc.ͭ ͥ ᵃ Ill.ᵐ ᵃ

Fed.ᵐ ᵒ S. ͬ ANT. ᵒ ALBIZI.

XLVIII.

Altra dello stesso Albizi.

Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ᵒ ͬ Duca

Iersera l’artiglieria fece alloggiamento vicino alla Scala ad un miglio et questa mattina di

bonissima ora è avviata et con prestezza si cammina, et lunedì, secondo mi dice il Cap. ᵒ

dell’artigieria, quella di Montalcino si giunterà con la nostra et expedirà il viaggio quanto prima sia

possibile. La monizione di Chiusi è già cavata et mandata, excetto 30 barili di polvere che il Cap. ᵒ

manda a levarla 15 muli di Montalcino, perché la vuole insieme. Il S. ͬ Cornelio ritornò iersera a

Montalcino et veniva da Radicofani, senza haver possuto cavare li Franzesi della rocca, che sono 205

o 210, et non mi occorre altro dirli se non supplicare V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ mi comandi; et reverentemente

baciandoli la mano, prego Dio la contenti.

Dalla Scala alli 22 luglio 1559.

D. V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ

Umiliss. ᵐ ᵒ Sor ANT. ᵒ ALBIZI

XLVIIII.

Dichiarazione rilasciata dal S. ͬ Cornelio Bentivoglio

Alla Deputazione di Montalcino

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129

Cornelio Bentivoglio

Havendomi ricerco gl’Ill. ᵐ ͥ S. ͬ ͥil Cap. ᵒ del Popolo et Regg. ͭ ͥ di questa Rep. Che io li prometta

di levar di questo loro stato le forze di S. M. ͭ ᵃ̀ Chr.ᵐ ᵃ et restituirlo in mano di essi, ogni volta che si

saranno accordati con l’Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ᵒ ͬDuca di Fiorenza di quanto trattano sopra di esso di

presente, ho loro promesso et prometto sopra la mia fede liberamente non solo di consegnare, in quel

caso d’accordo, le piazze di Chiusi, Monticchiello, Rocca d’Orcia et Montalcino, ma di levare le dette

forze lunedì o martedì prossimi delli 24 o 25 del presente, ancora che a tal tempo non si fussino

accordati, in mani di essi o di chi mi sarà detto da loro, perché, senza lassar passar più tempo, intendo

levare esse forze, seguendo il comando di S. M. ͭ ᵃ̀, non havendo fra tal tempo altro in contrario; et

perché, stante la inobbedienza et rebellione delli soldati ammutinati nella Rocca di Radicofani, io non

so se posso consegnarla così liberamente come l’altre suddette piazze, a questo tempo havendo fatta

la pronunzia contro di essi soldati che contiene il bando fatto pubblicare hoggi, lassarò da quel tempo

in là, pigliarla da loro stessi nel miglior modo che potranno.

In fede di che etc.

Nota della filza 1869 dell’Archivio Mediceo (Nota della rasegnia)*

Nota della rasegnia de’ soldati Franzesi usciti di Montalcino, Chiusi e Radicofani, fatta in Rosia

per me Tomaso Ciucci, questo dì 27 di L.º (luglio) 1559, cioè di nove insegne sotto Mons. di Ciarri:

El detto Mons. Di Ciarri274 soldati n.o 88

El Capitano Palobie soldati n.o 70

El Capitano Cianterale soldati n.o 64

El Capitano Principe soldati n.o 79

El Capitano Santobino soldati n.o 56

El Capitano Blacone soldati n.o 75

El Capitano Barone soldati n.o 76

El Capitano Prunes soldati n.o 56

El Capitano Bolardo soldati n.o 61

El Capitano de la guardia de li Guizzeri n.o 13

E più nove Uffiziali per compagnia n.o 81

___

n. º 719

*Questa lettera è della filza 479 dell’Archivio Mediceo, mentre la Nota della rasegnia, che vi si dice inclusa , si trova

nella filza 1869.

(Con quest’ultima lettera siamo arrivati alla pag. 323 e a noi interessa il libro fino a questo punto. Riportiamo qui sotto i brani del libro di D. Sterpos che riguardano la Via Francigena prima e poi la Cassia e di conseguenza il nostro paese e che grazie a queste vie è conosciuto in tutto il mondo).

274 Ciarri, Palobiera, Blaccon, Baron de Rolast, Sant’Urbino, Prune, Prence, Ciamberan, Bolardo.

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130

COMUNICAZIONI STRADALI ATTRAVERSO I TEMPI – FIRENZE –

ROMA – a cura di Daniele STERPOS – Istituto Geografico De Agostini – Novara 1964.

(Comitato promotore Giuseppe PETRILLI –presidente dell’I.R.I. con Autostrade –

Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.A. – Roma)

II

Pag. 27 e segg.

La Firenze – Roma dell’alto medioevo. Nascita e sviluppo del tracciato

attraverso Siena.

L’invasione longobarda separa Firenze da Roma.

Dopo la morte di Teodorico il regno gotico non riesce a mantenersi: l’Italia viene conquistata

dall’imperatore d’Oriente. Durante la lunghissima, deleteria guerra con cui tale conquista si compie,

non è evidente il ruolo strategico della strada da Firenze a Roma. Riusciamo, non senza qualche

incertezza, a seguire le alterne vicende della lotta per il possesso delle città che ne costituiscono gli

estremi. Roma è occupata dal corpo di spedizione condotto da Belisario nel 536, assediata dai Goti

inutilmente due anni dopo, ma occupata dopo altri dieci sotto Totila, lasciata e ripresa ancora. Infine

resta ai Bizantini. Anche Firenze cambiò più volte padrone. Dopo che gli uomini di Belisario furono

entrati in Roma, si diede ad essi; forse il re ostrogoto Vitige la riprese nel 539, ma se ciò avvenne,

non durò, perché dopo poco v’erano certo i Bizantini. Nel 552 apparteneva comunque ai Goti e perciò

subì certo un’altra occupazione perché l’anno seguente il generale imperiale Narsete affrettava la

conquista totale dell’Italia. …………………………………………………………

La definitiva vittoria di Narsete (553) non recò all’Italia altro beneficio che di veder cessare i

combattimenti. …………………………………………………Il paese era perciò sempre stremato

quando, 15 anni dopo la fine della guerra gotica, dovette subire ancora l’invasione. Una sciagura,

questa, più grave delle precedenti, perché i nuovi barbari si consolidarono nel paese obbligando gli

Italiani semplicemente a servire: «fu la prima vera, duratura dominazione totalitaria di un popolo

conquistatore»275.

…………………………………………………………………………………………………

…………………Sta qui l’origine di divisioni territoriali e politiche che si manterranno fino ai

nostri giorni. Ad ogni modo il 568-69 è la tappa decisiva dell’imbarbarimento. Dei Longobardi dice

tutto Velleio Patercolo quando li chiama «più feroci della ferinità stessa», nell’Italia rimasta bizantina

la vita fu condizionata e paralizzata dalla loro permanente minaccia. Con l’invasione longobarda «il

nostro medioevo comincia nei suoi aspetti più bui»276.

Condizioni sfavorevoli al massimo per le comunicazioni stradali quelle dell’Italia alla fine del

secolo VI. ……………………………

……………………………………………………A Pavia, ch’era la capitale dei Longobardi,

cresceva l’erba abbondantemente per le strade. Dovendo al solito cercar di dedurre il particolare dal

generale, non possiamo supporre, almeno subito dopo la nuova invasione, che una Firenze – Roma

in pessime condizioni e con minima attività. ……………………………………………………

……………………………………………………………………………………………

La separazione permanente fra i due centri, mai prima d’allora verificatasi, diventò irreparabile

per ciò che accadde del territorio romano. …………………………………

……………………………………………………………………………………………………

….

275 PEPE G.: Medio Evo barbarico d’Italia, Torino 1959, pag. 16. 276 Ivi, pag. 113.

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131

Quando poi si dovette affrontare un’offensiva longobarda minacciante di assoggettare l’Italia

intera, il papa incominciò ad agire da Capo di Stato. La nascita giuridica del dominio ecclesiastico è

tradizionalmente legata a una località posta sulla strada Firenze – Roma, una stazione della Cassia

antica, a Sutri. Questo castello preso dai Longobardi che re Liutprando stava conducendo contro

l’Urbe, dietro agli ammonimenti di Gregorio II, fu a un certo punto abbandonato e donato «ai

beatissimi apostoli Pietro e Paolo». ……………………………………………………………

………………………………………………………………….

Contatti e strade tra Roma e Firenze nei secoli VII e VIII.

Questi saltuari indizi della persistenza di contatti Firenze – Roma (potremmo aggiungerne uno

più antico, lo scambio di missive tra due sacerdoti fiesolani e Gregorio Magno per la costruzione di

alcune chiese) nell’atto stesso in cui ci fanno pensare a una strada inducono a domandarsi come nei

tempi descritti potesse venir provveduto almeno ai suoi più elementari bisogni. Si può trovare una

risposta, indiretta, solo tenendo presente certi aspetti meno sfavorevoli della realtà storica.

……………………………………………………………………………………………………

L’opera di governo civile dei re Longobardi e dei papi, l’azione dei monasteri, dei «popoli» delle

pievi, non sapremmo fin dove abbia potuto spingersi. Da come ci si presenterà qualche secolo più

tardi la rete nella zona che c’interessa, conosceremo invero che qualcosa di nuovo si realizzò nel

campo della viabilità anche in quest’epoca. Ma le difficoltà che innegabilmente allora ogni iniziativa

del genere doveva trovare per attuarsi, specie quando i territori interessati non avevano unità politica,

fanno escludere che per l’intero percorso fra le due città che c’interessano già si disponesse di un

itinerario diverso dall’antico. Non congettureremo perciò ancora per i viaggi tra Firenze e Roma

(quando avvengono) altra via che la Cassia, quale ci è apparsa in piena età imperiale, salvo varianti

locali di emergenza.

Il problema dello spostamento del tracciato a ovest.

Ma avremo presto elementi per incominciare a supporre variato il quadro che ci si presentava

nell’antichità. Acquisiamo tali elementi considerando l’evoluzione delle comunicazioni stradali tra

Roma e Firenze al suo punto d’arrivo. Ai nostri giorni la strada usata comunemente per andare

dall’una all’altra città corrisponde solo in parte alla Cassia quale ce la mostrano i documenti e gli

avanzi d’età romana. Essa non penetra nel Valdarno Superiore, ma parte puntando a Siena attraverso

un’accidentata zona collinare, e dopo Siena, scavalcati a Radicofani gli ultimi rilievi antiappenninici

della Toscana, tiene la direzione di Viterbo. Non molto prima di raggiungere questa città, sulla sponda

orientale del lago di Bolsena assume di nuovo, e sino alla fine (un centinaio di chilometri)

l’andamento dell’arteria romana. ………………………………………… Proprio l’ultimo dei

discendenti legittimi di Carlo Magno che ebbe titolo imperiale e riunì domini dell’illustre antenato,

Carlo il Grosso cioè, rientrando in Francia dopo l’incoronazione a San Pietro, segue già un itinerario

che prefigura quello delle odierne comunicazioni Firenze-Roma. Carlo fu consacrato imperatore il 12

febbraio 881; il 13 di marzo si trovava a Pavia dopo essere stato a Siena in un giorno imprecisato di

quel mese: Roma-Siena-Pavia è dunque la sintesi del suo ritorno. Se teniamo conto che difficilmente

egli avrà lasciato l’Urbe all’indomani stesso della cerimonia e che a Siena dovette sicuramente fare

una certa sosta, emerge che il viaggio non durò un numero eccessivo di giorni; possiamo così

escludere che Carlo abbia raggiunto Siena durante una diversione e credere invece che percorresse

una strada diretta da Roma all’Italia settentrionale passante per quella città.

L’itinerario di Sigerico: da Roma all’Italia settentrionale per Siena e la Valdelsa.

Trascorso un secolo, il percorso di tale strada lo troviamo dettagliatamente descritto

nell’itinerario del viaggio che tra il 990 e il 994 l’arcivescovo di Canterbury, Sigerico, fece per tornare

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132

da Roma alla sua sede episcopale: un elenco dei luoghi di sosta («submansiones») toccati dalla

partenza al mare, 80 nomi277. La strada seguita dall’arcivescovo Sigerico tocca Sutri, Viterbo e Siena,

corre nella Val d’Elsa fino all’Arno, ………………………………

Il tratto Siena – Roma della strada percorsa da Sigerico.

Della strada di Sigerico già ci è noto il tratto dall’Arno a Siena; tornando all’itinerario dobbiamo

vedere quello successivo, certamente tutto percorso da quanti andavano da Firenze a Roma e

viceversa senza più seguire il percorso antico. La prima stazione dell’Itinerario a sud di «Scocine»

(Siena) è «Arbia», parola indicante l’incontro della strada con il fiume omonimo. È molto probabile

che il luogo dell’attraversamento sia rimasto lo stesso attraverso i tempi e quindi «Arbia» può

collocarsi nella località Ponte d’Arbia. Vengono poi «Turreiner» e «Sce Quiric», ossia Torrenieri e

San Quirico, identificazione non dubbia. Per i primi 45 Km dopo Siena, la strada un millennio fa

corrispondeva fondamentalmente a quella attuale. ……………………………

…………………………………………………………

Quanto a «Sce Petir in Pail», va naturalmente cercata nella valle del Paglia. Il Paglia è formato

da alcuni torrenti che si uniscono a sud-ovest di Radicofani; la confluenza dei rami principali avviene

tra quota 406 e quota 359. Se l’antica stazione, come i più ritengono interpretando alla lettera

l’itinerario che scrive «nel Paglia»278, si trovava sul fiume, il luogo più probabile dove possiamo

collocarla è al disotto delle quote predette, dove dopo aver ricevuto il Fosso Quercia lo stesso Paglia

appare bene definito; per precisare: presso Casa Voltole o Casa Val di Paglia. Siamo assai in basso

rispetto alla cima di Radicofani. ……………………………………………………

…………………………………………………………….

D’altra parte nell’itinerario di Sigerico colpisce l’assenza di Radicofani sicuramente esistente

all’epoca della sua redazione (apparteneva a S. Salvatore sull’Amiata almeno dal 973) e nominata più

tardi in documenti analoghi. …………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………….

Pag. 42 e segg.

Precisazioni sulla strada date da altri itinerari.

Ammesso che l’itinerario degli «Annales Stadenses» sia databile nel 1152 esistono documenti

simili, coevi o di poco posteriori, con i quali è opportuno confrontarlo. Il confronto può essere però

soltanto parziale, perché i documenti in questione illustrano il percorso vero e proprio della

Francigena, e cioè Lucca-Siena-Roma e non Firenze-Siena-Roma. Il primo è l’itinerario del viaggio

a Roma, e quindi in Palestrina, dell’abate Niccolò di Thongor, islandese, tra il 1551 e il 1554. In esso

immediatamente prima di Siena troviamo ……………………………………………………

La situazione degli «Annales» la troviamo anche da Siena a Roma, salvo due novità: che fra S.

Quirico e Acquapendente si passa per il Monte Clemunt (Clements-fjell) nel quale si trova il castello

di Mala Mulier (Illa Konu Kastali), che la strada oltre a Sutri tocca, dopo un giorno di cammino,

«Sutri minore» (Suturan mikla ok litla) vicino a Monte Foiano (Fegnisbrekka). «Monte Clemunt»

corrisponde probabilmente (io dico sicuramente perché in altri documenti citati più sopra Mala Mulier esiste, anche se non è sopra il monte ma probabilmente nella zona delle

277 L’itinerario di Sigerico fu pubblicato a cura di W. STUBBS in Rerum Britannicarum Medii Ævi Scriptores, vol. LXIII

(London, 1874) pag. 392 sgg. sotto il titolo: «Adventus Archiepiscopi nostri Sigerici ad Romam». K. MILLER lo

ripubblicò in Mappamundi, III. Stuttgart 1895, pagg. 156 – 158. La lezione da noi seguita è quella dello Stubbs. 278 Cfr. JUNG J., Das Itinerar des Erbischofs Sigeric von Cantebury und die Strasse von Rom über Siena nach Luca,

pag.43. Egli cita, approvando, lo STUBBS che ha collocato « sulla riva del Paglia » e richiama opportunamente l’esistenza

nei primi decenni del secolo XII di un monastero di San Pietro che aveva possessi lungo il Paglia.

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133

attuali “Conie”) al monte di Radicofani, perché sotto di esso, nella pendice meridionale, sorgeva

Callemala, borgo che sarà lo stesso di Mulier Mala, tanto più che le carte dell’XI e XII secolo

menzionano una Mulier Mala sulla « via Francigena» (però Mulier Mala è diversa da Callemala, infatti, in alcuni documenti sono citate tutte e due).

L’altro documento contemporaneo agli «Annales», in quanto «connesso con un viaggio a Roma

di messaggeri di Richards di Anesty inviati nel 1158» da Lucca in poi nomina tutte le località già

comparse negli «Annales» stessi cominciando da «Le Matre» (Marturi = Poggibonsi). Infine,

abbiamo l’elenco delle tappe fatte da Filippo Augusto, re di Francia, nel tornare dalla crociata il 1191.

Esso conferma per la Firenze- Roma il tracciato degli «Annales», arricchito da una nuova

precisazione sul passaggio della strada da le Le Briccole, già ricordata nell’itinerario di Sigerico, e da

Radicofani («La Briche» e «Redecoc») tra San Quirico e Acquapendente. In sostanza i tre ricordati

itinerari dicono qualcosa di più rispetto a quello contemporaneo degli «Annales Stadenses» solo per

il tratto San Quirico-Acquapendente, attestando la presenza della strada sulla montagna di Radicofani.

………………………………………………………....

A una distanza di tempo un poco maggiore dagli «Annales Stadenses», troviamo un documento

che presenta di nuovo l’intero tratto Firenze-Roma, e cioè certi conti di viaggio probabilmente di

Wolfger, vescovo di Passau e patriarca di Aquileia. Wolfger, che compie il suo viaggio nel tratto che

c’interessa durante l’aprile e il maggio 1204, come località toccate all’andata o al ritorno nomina

Firenze, Poggibonsi (Marthirburch), Siena, «Sanctam Cristinam», San Quirico, Radicofani

(Radechuf), Acquapendente ecc. ecc. ………………………………………………

Pag. 60 e segg.

Sulla Firenze-Roma alla fine del secolo XII: di nuovo il Barbarossa, Enrico VI, Filippo

Augusto.

………………………………………………………………………………………………….

Il primo agosto (era l’anno 1185, trent’anni dopo la prima discesa,) il Barbarossa era

ancora a Firenze: il 2 si trovava a Poggibonsi: spostamento rapido in cui non sembra azzardato vedere

la riprova che una strada regolare già univa le due località, e cioè che il primo tratto della Firenze-

Roma attuale e funzionante nel suo tracciato base. ……………………………………………….

Anche Enrico di Svevia lo troviamo molto presto nei luoghi attraversati dalla Firenze-Roma:

durante la primavera del 1186 egli muove infatti contro Siena. La città che doveva essersi ribellata,

subì un breve assedio: e forse l’esercito regio discese per la strada di Firenze perché si distribuì attorno

al luogo dove questa strada raggiungeva la città: «pose l’Omperadore Arrigo assedio a Siena a

Camollia» dice la Cronaca. Vincitore, Enrico punì i Senesi togliendo loro i pedaggi stradali e tutti i

possedimenti sui quali aveva diritti l’impero, precisando bene che intendeva vi fosse compreso San

Quirico («et specialiter Castrum santi Quirici»). ……………………………………………..

Alla spedizione in Terra Santa, durante la quale perse la vita il grande imperatore (Barbarossa),

aveva partecipato anche Filippo Augusto, re di Francia, che nel 1191 appunto compiva quel viaggio

di ritorno per l’Italia il cui itinerario schematico abbiamo prima utilizzato nel seguire l’evoluzione di

tracciato della nostra strada. Filippo Augusto, come a suo luogo si disse, toccò Roma, il «Castello di

San Pietro», Sutri, Viterbo, Montefiascone, Bolsena, Acquapendente, Radicofani, Briccole, San

Quirico, Siena, Poggibonsi e da qui continuò per il tratto superiore della Via Francigena.

…………………………………………

I Romani contro Viterbo al tempo di Innocenzo III.

Non minori vantaggi, immediati almeno, ebbe dall’improvviso cambiamento la Chiesa. Il

successore di Celestino III, spentosi poco dopo l’imperatore, poiché i sovrani che contendevano in

Germania erano entrambi interessati al suo appoggio, e poiché dell’orfano di Enrico VI era egli stesso

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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il tutore, venne a trovarsi in una posizione fortissima e, con la sua intelligenza ed attività, poté

largamente profittarne. Fu questi Innocenzo III, il cui papato è fatto coincidere con l’apogeo della

potenza della Chiesa, anche se non tutti i successi che egli riportò furono così pieni come ai più

appariva. Prima di allargare la propria autorità su tutta Europa, papa Innocenzo III volle e seppe

assicurarsi una base di potere, riprendendo l’effettivo controllo dei territori ecclesiastici. Si trattava

anzitutto d’imporsi ai feudatari rimasti senza appoggio imperiale ed egli vi riuscì assai rapidamente;

tra l’altro, l’anno stesso dell’elezione ricuperò tre località il cui controllo significava garanzia di libero

movimento in direzione della Toscana e di Firenze: Radicofani, Acquapendente e Montefiascone. E

la prima dispose subito che venisse adeguatamente fortificata: «In rocca de Radicofano fecit exsaltari

veteres murus et novos construi, cavari fossatum et locum bene muniri»277

………………………………………………………………………………………………………

Pag. 69

Federico II in viaggio sulla Firenze-Roma. Tracollo dell’Impero alla morte di lui.

Ricomparve Federico sulla Firenze-Roma durante il 1247 e percorse tutto il tratto centrale. Tempi

grami quelli per lui. Negli anni avanti c’erano state una scomunica papale, offensive fallite contro i

comuni eternamente ribelli e la proclamazione in Germania di un nuovo «re dei Romani»; nello stesso

campo imperiale alcuni notabili avevano congiurato. Procedendo per la «strada romana» Federico

trovò tuttavia rispetto e ubbidienza. I Senesi, quando seppero che da Terni s’era diretto a nord-ovest,

spedirono un corriere ad Acquapendente per informarsi se il viaggio avrebbe interessato la loro città.

Ma ad Acquapendente già s’era pensato a mandare qualcuno a Siena, per informare dell’itinerario

che intendeva fare quel difficile viaggiatore. Appena avute comunque le informazione che

aspettavano, i Senesi fecero partire un’ambasceria capeggiata dal podestà in persona per ricevere

appunto in Acquapendente l’imperatore e accompagnarlo. L’ambasceria stette fuori 4 dì, per cui si

desume che Federico II percorresse il tratto Acquapendente-Siena in un paio di giorni. Probabilmente

egli fece tappa a San Quirico, perché lì datò un diploma che ci è rimasto.

A Siena, dove fu ospitato a pubbliche spese, il sovrano aveva con sé il figlio Federico d’Antioca,

da un po’ di tempo potestà di Firenze e vicario imperiale in Toscana, e certo esaminò con lui la

situazione nella zona e i piani concretati per l’Italia superiore, alla quale si dirigeva. Ma pur con

l’assillo di tanti problemi di Stato, l’imperatore non dimenticò nel soggiorno in Toscana di andare a

caccia, il suo spasso prediletto: sappiamo che il comune senese fece preparativi in vista di una battuta

verso Orgia. Con Federico II erano dunque passati sulla «via romana» anche i suoi celebri falconieri,

e lo stesso deve essere accaduto a Viterbo nel 1234, quando, a dire d’un cronista malevolo, a un certo

punto lo Svevo sembrò «diventato cacciatore, da imperatore che era». Per tempo brevissimo Siena

ebbe quell’ospite eccezionale. Egli ripartì d’aprile, proseguendo per la «via romana», e fu fatto

accompagnare da idonee guide fino a Poggibonsi, dove prese la vecchia Strada Francigena279.

III

Secoli XIV e XV : vita della « strada romana »

Sulla Firenze-Roma verso la fine del Duecento.

Pag. 72

279 Per tutti i particolari del passaggio di Federico II lungo la nostra strada nel 1247 cfr. Libri dell’entrata e dell’uscita

della Repubblica di Siena detti del Camerlingo e dei quattro provveditori della Biccherna, Siena 1931, VII, pagg. 31 –

43.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

135

……………………………………………………………………………………………………

… E la spedizione dei Romani contro Viterbo nel 1290, e il passaggio della ambasceria straordinaria

fiorentina, 12 oratori e un notaio, per l’elevazione al trono di Pietro d’un uomo che si sapeva difficile

e autoritario, di Bonifacio VIII il cui drammatico pontificato doveva chiudere il secolo e un periodo

di storia. Al medesimo periodo la fantasia del Boccaccio assegnò una straordinaria impresa di Ghino

di Tacco sulla «strada romana», di catturare «l’abate di Clignì» mentre col permesso di papa

Bonifacio va da Roma «a Bagni di Siena» e curargli lo stomaco in Radicofani con fave secche e

vernaccia.

Viaggio di Dante per il Giubileo.

Non meno di questi personaggi di primo piano della vita italiana o europea, non meno di questi

fatti ricchi di conseguenze, e tuttora, alcuni, famosi, ci interessa la presenza sulla Firenze-Roma di un

gruppetto di gente comunissima e una notiziola sui loro affari. Il 21 aprile 1300, diverse persone di

Radicofani e del castello di Badia promettono a Fra Giovanni del monastero di San Salvatore che

staranno lungo la strada pubblica, nella contrada di Calimala a vendere vino e cibo a quelli che

passano, ricevendo un determinato utile. Certo, è un accordo privato tra alcuni campagnoli e il

rappresentante di un monastero, che riguarda un modesto servizio per i viandanti. Ma forse qualcuno

dei sottoscrittori di tale accordo, in quella stessa via pubblica dove l’atto era stato sbrigativamente

rogato, fra i viaggiatori della Firenze-Roma, fra i pellegrini, fissò forse il volto di Dante: quel volto

che tutte le generazioni avrebbero poi cercato e immaginato e che doveva diventare il simbolo della

gente e della patria italiana.

Pag. 76.

Fisionomia della Firenze-Roma nel secolo XIV. L’opera dei comuni.

……………………………………………………………………………………………………

La strada Celamonti-Corsignano interessava le comunicazioni Firenze-Roma; essa proseguiva

infatti per San Casciano dei Bagni e riprendeva la Via Francigena, che è quanto dire la strada di

Firenze presso il Paglia, dopo la confluenza con il Rigo. In alcuni periodi « per ragioni

prevalentemente politiche » si preferì tale itinerario all’altro di Radicofani280. Quest’ultimo però

rappresentò sempre il cammino principale. Nell’itinerario di due viaggi effettuati alla metà del 300,

dopo Siena si trova San Quirico e quindi l’ «Altum Radicofanum» o il Molino del Paglia, che doveva

essere, non lontano dal ponte sul Rigo attuale281.

La costruzione del tratto nuovo a sud di Torrenieri rientra in un restauro generale ordinato

nell’anno 1306 nel comitato senese. Incaricati del comune divisero la Strada Francigena (compreso

il ramo di Corsignano) in tratti, assegnandoli alle comunità che dovevano provvedere, e prescrivendo

i lavori da eseguire: le spese sarebbero state detratte dalla imposta della gabella.

A parte la variante riportata, qualche ponticello, qualche allargamento, il restauro sembra

consistesse nella costruzione o ricostruzione delle massicciate: si è calcolato che in complesso

venissero impiegati oltre 9000 metri cubi di ghiaia, il che indica un forte ricarico.

Pag. 84

280 Cfr. VENEROSI-PESCIOLINI G.: La strada Francigena nel contado di Siena nei secoli XIII-XIV, Siena 1933, pag.

9 – 14 -15 – 35. 281 Cfr. l’itinerario del mercante «Bonis», venuto a Roma per il giubileo del 1350: « …de ser a San Sirguoo; le XX dia

dinar ala Palha del Molit, de ser a Aguas-pendens » (RAINA P.: Una iscrizione nepesina del 1131, in « Archivio Storico

Italiano », XIX (1887), pag. 58). Cfr. anche l’itinerario di Carlo IV imperatore nel 1355: «per Sanctum Quiricum ac altum

Radicofanum et deinde per Aquam Pendentem».

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136

Il giubileo del 1350: anche il Petrarca fra i pellegrini.

Senza il papa intanto Roma aveva visto un secondo giubileo e una nuova incoronazione

imperiale. Il Giubileo dell’anno 1350 ebbe anch’esso, come il primo del ‘300, uno dei massimi nostri

poeti fra i pellegrini : Francesco Petrarca. …………………………………………………

L’incoronazione imperiale alla quale abbiamo alluso fu quella di Carlo IV di Boemia nel 1355.

Nel venire verso l’Urbe Carlo, da Pisa, raggiunse la Firenze-Roma a Poggibonsi e ne percorse tutto

il rimanente. Toccò Siena, San Quirico, Radicofani, Acquapendente, Bolsena, Sutri; non Viterbo, o

meglio, non l’abitato: gl’impedì l’ingresso il rettore del Patrimonio, che temeva dei ghibellini locali.

Ma Carlo IV si rassegnò facilmente; era accomodante e badava soprattutto a far denari mediante

tributi. Sulla Firenze-Roma, con l’imperatore viaggiava la moglie e furono poi incoronati insieme.

Pag. 92

La « strada romana » nella seconda metà del Quattrocento.

Dopo il decorativo e suggestivo passaggio dell’imperatore (si parla dell’Imperatore

Federico III di Stiria il quale veniva per essere incoronato ma restò esclusa la sua nomina però venne per sposarsi dal vescovo Enea Silvio Piccolomini) l’urto tra le due

ricordate coalizioni di Stati si verificò e le ostilità non si conclusero che nel 1454 quando i principali

contendenti, Venezia e Milano, compresero la necessità di posare le armi. Al loro accordo diretto

dovette seguire quello degli altri Stati e la pace, detta di Lodi, sanzionò una situazione di equilibrio

che durò 40 anni.

La seconda metà del secolo scorre così assai più tranquilla della prima nello splendido fiorire

della civiltà rinascimentale che trae tanta anima anche dai diretti rapporti, in questo tempo attivissimi,

tra Firenze e Roma. Possiamo a conclusione dare ancora uno sguardo al tracciato della strada

naturalmente per noi sempre più definito e preciso. Esso si sviluppava da Firenze a Siena per queste

località: Porta San Pier Gattolini, San Gaggio, Portico, bivio per Volterra al Galluzzo, Tavarnuzze,

Ponte (nuovo) di Montebuoni, Sant’Andrea in Percussina, San Casciano, passaggio torrente Terzona,

Tavarnelle, Petroio, Barberino, Poggibonsi, Staggia, Siena. Da San Casciano fin qui è sempre

frequentatissimo il ramo del Chianti, per Sambuca, San Donato in Poggio, Castellina, Quercegrossa.

Oltre Siena la Firenze-Roma tocca: Monteroni, Ponte d’Arbia, Buonconvento, Torrenieri, San

Quirico, «Le Capanne», Radicofani, Ponte al Rigo, Ponte Centino, Acquapendente, San Lorenzo,

Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vico del Prefetto, Ronciglione, Sutri, Monterosi, Torre a Baccano,

Borghetto e Roma282.

Nei 40 anni suddetti, dalla pace di Lodi alla spedizione di Carlo VIII questa strada, come al solito,

fu utilizzata da alcuni protagonisti del mondo italiano (ed europeo) in occasioni importanti. Il

282 Sul tracciato siamo complessivamente informati dai diari delle «Commissioni» espletate da Rinaldo degli Albizzi per

conto della Repubblica fiorentina, nelle quali sono riportati con molti dettagli gl’itinerari di tre viaggi Firenze-Siena e

ritorno (1410 e 1414) e tre Firenze-Roma e ritorno (1421, 1424, 1425-26). In questi ultimi per due volte l’Albizzi non

percorre nel primo tratto la strada che conosciamo, ma un’altra che passando per Incisa Valdarno, Torrita, Montepulciano

e Perignano viene a rientrare in essa tra i monti a nord di Radicofani. Il tratto dal Rigo all’Orcia, cioè l’attraversamento

da sud a nord dei monti di Radicofani, viene per due volte così descritto: «Ponte Arrigo-Capanne di Radicofani – alle

Capanne – all’altre Capanne – al fiume della Paglia». Una volta si nomina semplicemente «Radicofani». Risulta perciò

incerto il percorso compiuto in questo tratto: Probabilmente altre alla strada che saliva alla sommità, documentata altre

che dalla detta menzione «Radicofani» anche da un altro itinerario del secolo XV (Cfr. «Itineraire de Bruges» in Le livre

de la description des Pays, a cura di E. T. HAMY, Paris, 1908, pag. 190: «…….Saint Cleriquo, Readecophere,

Acqueendente». Era di nuovo in uso un cammino come quello del medioevo, che passava più in basso forse da «La

Capannella» (m. 525, dalla parte di Ponte a Rigo) e poi vicino al Paglia. Secondo un’antica fonte (Cfr. PECCI. Lo stato

senese. Etc…Biblioteca Civica di Siena. Ms. B. IV. 18. Vol. IX, c. 140, sarebbe questo il periodo in cui i passeggeri

«tenevano la strada di sotto» e la repubblica ordinò di drizzare e stabilire per Radicofani la «strada romana» facendola

riparare dal Formone in poi.

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137

Piccolomini diventato papa ne percorse parte nell’andare e nel tornare (1459-60) …………………..

Vi passarono qualche anno dopo andando a nozze due fanciulle di gran rango: la figlia del duca di

Milano, sposa all’erede di Napoli, e la sorella di quest’ultimo, destinata a Ercole d’Este. Fanno

riscontro viaggi a Roma per devozione, di due sovrani stranieri: ancora Federico III e Cristiano di

Danimarca (1469 e 1474) e il passaggio dei pellegrini al Giubileo del 1475. La strada fu poi interessata

da movimenti militari per l’attacco combinato di Sisto IV, il re di Napoli e Siena a Firenze. Attacco

fallito per la sagacia di Lorenzo il Magnifico;…………………………….È l’anno 1489, dal 12 al 22

marzo, sulla Firenze-Siena passa il figlio del Magnifico stesso, Giovanni, che va a ricevere la porpora.

Il cardinale Giovanni, assurto al pontificato come Leone X, darà il nome al suo secolo.

IV

La grande crisi italiana negli episodi collegati alla strada.

Pag. 93 e segg.

La discesa di Carlo VIII: marcia da Firenze a Roma.

Alla fine del Quattrocento l’equilibrio nella Penisola viene rotto ad opera del re Carlo di Francia,

che vantando antichi diritti dinastici passa le Alpi per conquistare il Napoletano. Sulla venuta di Carlo

VIII in Italia come apertura d’un periodo storico tutti conoscono il giudizio del Guicciardini, che

scrisse la più penetrante narrazione dei primi decenni dell’età moderna partendo proprio dalla

spedizione del re francese: « Dalla passata sua non solo ebbono principio mutazioni di Stati,

sovversioni di Regni, desolazioni di paesi, eccidi di città, crudelissime uccisioni; ma eziandio nuovi

abiti, nuovi costumi, nuovi e sanguinosi modi di guerreggiare, infermità insino a quel dì non

conosciute; e si disordinorono in maniera gli istrumenti della quiete e concordia italiana che non si

essendo mai poi potuta riordinare, hanno avuto facoltà altre nazioni straniere e eserciti barbari di

conculcarla miserabilmente e devastarla». ……………………………………………

……………………………………………………………………………………………….

Il Guicciardini dice chiaro che da Siena in poi Carlo VIII procedette verso Roma «insolente più

l’un dì che l’altro per i successi molto maggiori che non erano giammai state le speranze; e, essendo

i tempi benigni e sereni assai più che non comportava la stagione, deliberando di continuare senza

intermissione questa prosperità». Da Siena, il re partiva il 4 dicembre; quella sera alloggiò a

Buonconvento e nei giorni successivi continuò sulla «strada romana» : egli oltrepassò il confine

senese, il fiume Paglia e raggiunse Acquapendente, Bolsena e Viterbo occupandole senza difficoltà,

non solo, ma in mezzo a clamorose manifestazioni di omaggio. …………………………………

……………………………………………………………………………………………….

Entrato attivamente nella politica, Girolamo Savonarola rappresentò un elemento equilibratore e

chiarificatore, prezioso non solo per l’efficienza delle nuove istituzioni, ma per la concordia cittadina,

in un’ora in cui le passioni non più represse e velleità di rivincita potevano scatenare le guerra civile.

«Se non fussi questo Frate si veniva al sangue», scrisse un fiorentino in quei giorni283.

Il re di Francia entra in Roma. Situazione critica di Alessandro VI.

Firenze insomma andava superando la crisi, invece Roma doveva ancora passare il peggio. Dopo

l’occupazione di Viterbo …………………………………………………….il 19 e il 22 dicembre

arrivarono « fino alle porte di Roma » provocando i nemici a battaglia. …………………….

Nella descrizione del contemporaneo rivive lo spettacolo che migliaia e migliaia di persone,

lungo tutta la Firenze-Roma, stupefatte e atterrite ammirarono quell’anno lontano come la cosa più

straordinaria che mai sulla strada o altrove avessero visto.

283 LANDUCCI L., Diario fiorentino dal 1450 al 1510, ec. A cura di Del Badia, Firenze 1883, pag. 93.

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138

Ritorno di Carlo VIII da Roma verso Firenze: il Savonarola accorre per persuaderlo a

deviare.

Carlo poteva dirigersi ormai alla sua meta ultima, e per profittare del bel tempo fuori stagione, si

affrettò a lasciare Roma per Napoli avanti che finisse gennaio. Ai primi di giugno lo ritroviamo a

Roma e sulla strada Roma-Firenze……………………… alla conclusione di una lega antifrancese

promossa da Venezia e da quello stesso Ludovico il Moro che aveva tanto appoggiato la discesa del

re in Italia. …………………..il primo giugno arriva e il 3 riparte in direzione di Viterbo e di Siena.

…………………………………………………………….il 13 giugno entrarono in Siena il re,

……………………..marciando con ordine e silenzio da impressionare. Nella città Carlo VIII passò

alcuni giorni, occupato a trattare con i fiorentini…………………………………………………….

………………………………………………………..Quando seppe il re a Siena, il frate

(Girolamo Savonarola) sentì di non dovere più attendere ad andargli incontro

……………………………………….Quando Girolamo Savonarola accompagnato Carlo a Castel

fiorentino, rientrò in città, non meno di 13.000 persone accorsero alla prima predica.

Piero de’ Medici tenta di tornare a Firenze risalendo la «strada romana».

La definitiva uscita dell’esercito francese dal proprio territorio non significava per Firenze la fine

di ogni difficoltà. ………Piero de’ Medici ………………credette allora giunto il momento per un

nuovo tentativo di rientrare a Firenze…………………

Da Roma egli tenne fino a Siena la direttrice della via maestra, ma «camminando di notte e fuori

strada» per non scoprirsi; a Siena raccolse altri aiuti e si trovò a disporre di un migliaio di armati

senza che Firenze fosse ancora in allarme.

Alla fine, visto che nessuno si voltava in suo aiuto e considerato che gli potevano sopraggiungere

da un momento all’altro alle spalle truppe della Repubblica chiamate da Pisa, Piero de’ Medici capì

d’aver ancora una volta perso e fece marcia indietro verso Siena.

La legazione romana del Machiavelli «segretario della Signoria».

Pag. 107.

………………………I piagnoni furono sostituiti con uomini della fazione

opposta……………………..la direzione della seconda cancelleria, a un giovane sconosciuto:

Niccolò Machiavelli…………………………………………………………..Anche Machiavelli è fra

coloro che percorsero la Firenze-Roma; anche nelle sue vicende s’inseriscono viaggi e spostamenti

per la nota strada postale. Ci sono anzitutto nell’agosto del 1501 e nell’aprile del 1503, due viaggi a

Siena……………

C’è poi, ben più importante, il viaggio a Roma, anch’esso del 1503. Più importante per la

lunghezza del percorso, per l’emozione che dovette dare al Machiavelli («Sull’incontro di quest’uomo

con le reliquie dell’Urbe ci bisogna frenare la fantasia», ha scritto un biografo) e per il motivo che lo

determinò: osservare la situazione dopo la morte del papa Alessandro VI Borgia e l’effimero

pontificato di Pio III, e seguirla «fino alla elezione del nuovo pontefice». Il Machiavelli partì la

mattina del 24 ottobre e arrivò il 27.

Il ritorno in patria dei Medici. Il cardinale Giovanni a Roma per l’elezione papale.

……………………………il Machiavelli perse il posto. E poco dopo rischiò anche la vita: fu

infatti arrestato all’inizio del 1513 sotto l’accusa di aver preso parte a un complotto antimediceo. Il

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139

complotto esisteva e l’azione dei congiurati avrebbe dovuto manifestarsi anche sulla Firenze-Roma

perché sembra che fosse stato deciso «d’ammazzare in Firenze Giuliano e Lorenzo de’ Medici e nel

medesimo tempo, per la strada di Siena, il cardinale quando egli andasse a Roma, per la creazione del

nuovo papa». Ma il decaduto Segretario non vi aveva partecipato e poté evitare il peggio; tuttavia lo

lasciarono in prigione. Perché ricuperasse libertà e sicurezza ci volle un avvenimento eccezionale,

avvenimento iniziatosi proprio con un viaggio da Firenze a Roma.

Giulio II …………. spirò nella notte tra il 20 e il 21 febbraio 1513. Il giorno 22………. il

cardinale Giovanni de’ Medici lasciava Firenze con il suo seguito per partecipare al conclave.

……………………… impiegò 5 giorni nel viaggio poiché arrivò il 26, e appena a Roma si mise a

letto. Anche in conclave il cardinale Medici entrò in lettiga, ma questo non gli impedì di uscirne papa.

Fiorentini e parenti di Leone X a Roma. Riprende la guerra tra Francia e Spagna.

Se il papa mediceo, come abbiamo visto, giovava anche ai nemici della sua famiglia, doveva dare

necessariamente speranze d’esaltazione ai consanguinei. In particolare per Giuliano e per Lorenzino,

figlio di Piero, i due Medici che erano primi in Firenze, con il pontificato di Leone X si apriva un

grande avvenire, ed entrambi si affrettarono a Roma per mettersi in luce accanto al rispettivo fratello

e zio. Lorenzino vi corse alle prime notizie, tanto che era già arrivato il 14 marzo, in tempo per tutte

le solenni cerimonie che seguirono alla creazione del nuovo pontefice. Giuliano andò meno

affrettatamente, ma con molta pompa. La fama dei grandi preparativi fatti precedette la sua venuta

acuendo l’interesse. ……………………

In verità quando arrivò a Siena risulta che di cavalli Giuliano ne avesse intorno a

200……………………………………………………… Fu un viaggio tutto pieno, per il Medici, di

soddisfazione e d’onore. ………………………………………..

Spettacolare quanto quello di Giuliano se non di più – lo ricordiamo per inciso – fu il passaggio

sulla Firenze-Roma della delegazione ufficiale inviata a recare al pontefice l’omaggio della città

natale. Era composta di 12 oratori, che si portavano dietro «200 cavalli ben in hordine» e 50 carri di

bagagli; partì il 17 maggio; arrivò il 25 e naturalmente venne accolta con la maggiore solennità:

«l’intrata soa fo onorata di le fameie di Papa e di cardinali e di oratori.

(Siccome ricominciò la guerra che la Francia combatteva contro la Lega Santa e che in un primo momento vedeva la Lega Santa avere la meglio, ma che dopo la morte del re Luigi XII, il successore Francesco I il 13 e 14 settembre 1515 a Melegnano, in una battaglia che fu detta «dei Giganti» i Francesi sconfissero le fanterie svizzere. Il nerbo delle forze della Lega. Dopo questa vittoria Francesco I mostrò che avrebbe gradito di accordarsi con il papa. Leone X non poteva disdegnare questa offerta ma preferì andare Lui ad incontrarlo nella pianura padana.

………………………………. Ecco dunque il pontefice dirigersi verso nord e percorrere la

Roma-Firenze.

Il primo papa fiorentino viene a Firenze.

All’inizio di ottobre Leone X lascia Roma………………………………………………….Il 19

febbraio 1516 iniziava il viaggio per Roma con il proposito di percorrere a ritroso press’ a poco lo

stesso itinerario fatto all’andata, che solo in piccola parte coincideva con la Firenze-Roma. (Il papa invece passò da un’altra parte e solo in minima parte fece la Firenze-Roma che venne effettuata invece da diversi personaggi della Curia).

Pag. 120.

Un altro Medici papa e un’altra solenne ambasceria fiorentina a Roma.

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140

Il 1516 fu l’anno della pace, «solenne ed universale pace» come scrisse il Muratori, nella quale

«pareva ormai che l’Italia avesse a respirare». C’era stata invero una battuta d’arresto nella lotta di

predominio scatenatasi fino dalla venuta di Carlo VIII: ma si gettò in quell’anno medesimo il seme

di più lunga, accanita guerra ……………………………………………………(In Spagna successe a Ferdinando il nipote Carlo che già regnava nei Paesi Bassi ed era anche nipote di Massimiliano d’Austria dopo di che raccolse da lui l’eredità di « re dei Romani » vale a dire imperatore. Questa enorme concentrazione di potenza nelle mani di un solo uomo sconvolgeva l’equilibrio europeo a danno della Francia. Dopo l’elezione imperiale di Carlo (28 giugno 1519) il conflitto Spagna Francia ricominciò per durare decenni).

Al momento della ripresa della lotta, l’anno 1521, Leone X aveva concluso un’intesa con Carlo

V. …………………………….il papa si ammalò improvvisamente e morì. …………………Lo

sbigottimento rincrudì all’elezione del successore, Adriano VI, che era un fiammingo ascetico e

severo, privo di raffinatezze e di interessi artistici. Alla morte di Leone X gli eserciti alleati si

fermarono, e con papa Adriano VI parve che incominciasse in religione e in politica un’epoca diversa.

Invece meno di due anni dopo, quel pontificato così preoccupante non era che una parentesi chiusa,

perché Adriano morì a metà settembre del 1523. Quando i cardinali si riunivano per la nuova elezione

se la curia sperava di vedere nuovamente «uno italiano o almanco nutrito in Italia, in quella sedia»

Firenze poteva aspettare di vederci per la seconda volta un suo cittadino e un Medici: nel sacro

collegio spiccava infatti il cardinale Giulio, nipote di Lorenzo il Magnifico.

Per tutti fu attesa lunga, perché il conclave durò quasi due mesi, ma quando si aprì proprio il

cardinale Medici risultò eletto (il 18 novembre 1523).

E qui (a Firenze) naturalmente si dovettero fare le cose in grande. Gli ambasciatori che presero

la «strada romana» assommavano a dieci, con l’arcivescovo Minervetti.

………………………………………………..

Una manifestazione questa lungo la strada, che tornava doppiamente a gloria del papa, perché

anche Firenze era stata retta dal papa e continuerebbe ad esserlo per interposta persona. Con Clemente

VII (questo nome aveva preso Giulio dei Medici) si verificava il caso straordinario dell’ascesa al

soglio pontificio di un uomo che già possedeva uno Stato.

(Tutto quanto sopra fa sembrare che Clemente VII si avviasse ad un felice pontificato, invece sia per Firenze che per Roma fu infelicissimo. La guerra fra Carlo e Francesco continuava e sia l’uno che l’altro si aspettavano i favori del papa. In un

primo momento Clemente VII prese le parti di Francesco che aveva avuto diverse vittorie e a Carlo sembrò un tradimento. Il 24 febbraio 1525 a Pavia i Francesi venivano disfatti facendo prigioniero lo stesso Francesco. La reazione di Carlo fu di sdegnato rigore: strapparono al papa un patto di alleanza e un’indennità, assediarono lo Sforza nel suo castello a Milano, ai Veneziani chiesero una forte somma minacciando l’invasione, e a Francesco fecero firmare una pace che mise la Francia in vassallaggio. Ma il monarca francese, appena libero, costituì una grande lega contro Carlo V.)

Clemente VII nella lega contro Carlo V. Spedizione nel Senese.

(Nella lega contro Carlo V oltre a Milano, Venezia e la Francia era costituita anche dal papa. La prima fase, per iniziativa di Clemente VII fu fatta in Italia centrale per avere un contatto tra Roma e Firenze e togliere la piccola Repubblica di Siena, che era il solo Stato in Italia favorevole agli Spagnoli. Il papa fece di tutto per portare il

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suo esercito sotto la guida del conte Virgilio Orsini insieme a quello fiorentino contro la città di Siena, l’impresa andò talmente male che il fallimento costituì un colpo per tutta la Lega, e tutto ciò si svolse per la maggior parte nella nostra strada «Firenze-Roma», ma, un vecchio condottiero tedesco riuscì a radunare lanzichenecchi nel Tirolo per soccorrere le fortune imperiali e sembra che le forze vadano contro Firenze).

Pag. 127.

Marcia di sorpresa degli Imperiali su Roma, profittando della via di Firenze.

Ma quando tutte le forze imperiali raggiungono la Firenze-Roma il Borbone decide di andare verso Roma e appena gli eserciti della Lega capiscono che gli imperiali si dirigono alla volta di Roma inviano truppe celeri in aiuto, ma una serie di imprevisti fa ritardare gli aiuti, mentre gli imperiali a sud di Siena entrarono nella Firenze-Roma e qui hanno preso a camminare per una meta ben precisa: La presa di Roma.

Siena si ribella: attacco e ritirata dell’esercito imperiale.

Come Siena fosse legata all’imperatore, lo abbiamo visti in occasione del viaggio di quest’ultimo

da Roma a Firenze. In pratica da molti anni la Repubblica «si reggeva stentatamente sotto la vigile

assistenza di Carlo V, la quale aveva più carattere di dominio che di protettorato». Una parte dei

Senesi, la fazione popolare, non era rassegnata a tale soggezione e nell’anno 1546 si verificò un

tumulto culminato con la cacciata del presidio spagnolo dalla città. ………………………

Di fatto un’altra rivolta in Siena si verificherà con successo nel 1552, e avrà fra i primi esponenti

uomini stati in contatto con il cardinale di Tournan, inviato dal re di Francia a Roma.

Fra le due azioni contro gli Spagnoli del ’46 e del ’52, costituì un avvenimento per Siena e il suo

territorio l’eccezionale traffico della «strada romana» in occasione del Giubileo, a metà del secolo. Il

flusso dei pellegrini incominciò alla fine di febbraio 1550 (sopravvenuta la morte del papa, per aprire

l’Anno Santo si attese il successore, che fu Giulio III incoronato il 22 del detto mese) e durò fini a

Natale. Ma già molto prima i Senesi s’erano preparati a sfruttare economicamente il fenomeno.

Nell’estate del 1549 gli officiali di Balia «veduto la necessità di provvedere denari per li occorrenti

pubblici bisogni» avevano dato disposizioni per appaltare «le gabelle o entrate o rendite di esse per

tutta la strada romana del dominio senese de l’anno del giubileo». Furono così tassati le osterie e gli

spacci di «cose da mangiare e bere per uso d’uomini o cavalli o altro».

Le tabelle d’imposizione danno modo di costatare che i pellegrini trovavano sul Senese osterie e

osti un po’ dappertutto: a Monteroni, a Lucignano, a Ponte d’Arbia (qui ce n’erano 7), a

Buonconvento, a Torrenieri, a San Quirico, a Ricorsi, a Radicofani e al Paglia, (dove stava un oste

più tassato di tutti con 80 fiorini) e naturalmente nella città, che godeva però di speciali esenzioni284.

Si legge esplicitamente negli atti della Balìa per le gabelle dell’Anno Santo del 1550, che le decisioni

allora prese ricalcavano provvedimenti analoghi disposti in precedenti occasioni. Non era infatti la

prima volta che la repubblica godeva di benefici materiali connessi al movimento dei pellegrini sulla

Firenze-Roma di cui essa controllava un così lungo e importante settore, non era l’ultima che poteva

far ciò da Stato Indipendente. (E qui comincia, appunto la guerra di Firenze contro la Repubblica di Siena). ………………………………………………

Pag. 152.

284 A.S.S.. Balia, 1089, «Gabelle de la strada per l’anno santo 1550»,

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……………………………………………………….Nel 1559, a chiusura di nuove battaglie

militari combattute per lo più fuori d’Italia, una pace, la celebre pace di Cateau Cambrésis, veniva

stipulata fra la Spagna e la Francia. Quest’ultima rinunciava alle sue pretese nella Penisola, e quanto

a Siena accettava l’assorbimento nel ducato di Firenze per il quale due anni prima Filippo II, il

successore di Carlo V, aveva offerto la base giuridica subinfeudando a Cosimo dei Medici la vicina

repubblica, salvo una piccola zona costiera. ………………………………………………………

Per la Firenze-Roma invece s’inizia da questo momento un’epoca nuova: benché continui ad

esistere formalmente lo «stato senese» con le sue magistrature distinte da quelle fiorentine, l’unione

dei due organismi sotto lo scettro dei Medici farà sì che per tutto il settore tracciato entro i limiti

geografici della Toscana troveremo d’ora in poi dei provvedimenti amministrativi in virtù dei quali

la strada viene mantenuta e migliorata in una uniformità crescente e alla fine completa. Anche gli

avvenimenti nei quali la grande arteria ha parte, cambiano sensibilmente carattere da quando

appartiene a due sovranità: al duca (ben presto granduca) e al papa. Da molti secoli le comunicazioni

per via ordinaria fra Firenze e Roma si svolgevano su un itinerario la cui sezione centrale correva in

territorio del tutto indipendente dalle città poste agli estremi, restando così condizionate, oltre che

dallo stato della strada, da un intrecciarsi complesso e mutevole di rapporti politici.

……………………………………………Con lo Stato senese autonomo scompare qui il più grosso

residuo del particolarismo di tipo medievale e incomincia per la nostra strada, proprio con lo storico

trattato di Cateau Cambrèsis, un periodo di attività forse meno vivace e interessante, ma certo più

proficua.

V

Viaggi e lavori tipici dell’età del predominio spagnolo e delle riforme.

La strada del Cinquecento nelle note di due stranieri.

Pag. 153.

……………………………………………………………………………………………….

Per la seconda metà del Cinquecento, possono costituire esempio di relazioni di due stranieri ben

dotati di personalità ed esprimersi con libertà di giudizio, relazioni posteriori appena 20-25 anni alle

ultime vicende esposte, e cioè il Voyage en Italie di Montaigne, famosissimo; e «Iter Italicum».

Composizione latina del dotto fiammingo Arnoldo Von Buchel (Buchellius)285. Essendo pressoché

contemporanee (del 1580-81 la prima, del 1588 la seconda) esse si integrano e correggono a vicenda,

donde un’immagine oggettiva della realtà che c’interessa.

All’inizio del viaggio da Firenze, la campagna appariva di media fertilità fin verso Siena, ma

molto coltivata e molto abitata. La strada: ondulata e sassosa. Poco o punto notevoli San Casciano,

comunissimo castello («oppidulum»), dove però non mancava da alloggiare e Poggibonsi «una terra

piccola». Montaigne, che aveva sempre pronte osservazioni, qui non ne fece, né in bene né in male.

Siena continuava a imporsi per la sua unità stilistica, ma interessava anche più per essere stata 30

prima al centro di una questione internazionale: l’impegno posto dai Francesi a difenderla e il valore

dei cittadini ne avevano celebrato il nome in Europa. Altro luogo di ricordi Buonconvento,

naturalmente per la morte di Enrico VII, ricordi antichi che però dovevano essere stati rinfocolati

polemicamente nel mondo protestante: il Buchellius indugia, citando il dotto tedesco Fabricius

285 Cfr. DE MONTAIGNE M.: Journal du voyage, etc., In D’ANCONA A.: L’Italia alla fine del secolo XVI, etc., Città

di Castello, 1889, pagg. 181-193 e 516-635; BUCHELLIUS A.: Iter Italicum, in «Archivio R. Soc. Romana di St. Patria»

XXV (1902), pagg. 125-129.

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(visitatore di quei luoghi circa 15 anni prima), a ricordare la diceria che a Buonconvento l’imperatore

era stato avvelenato da un domenicano.

Poi San Quirico, che nel Buchellius è «Fanum Quirici» e nel Montaigne molto semplicemente

«un castelluccio». Montaigne però nei paraggi non ha mancato di notare l’ottimo stato della via che

percorre e lo dice volentieri: «tutte queste strade sono state assestate uguanno per ordine del duca di

Toscana, la qual opera è molto bella e profittevole al servizio pubblico. Dio glielo rimeriti, perché le

vie difficilmente sono per questo mezzo speditevoli e comode, come le vie di una città286. E la cura

delle strade è compensata dall’afflusso del traffico: «era cosa stupenda – scrive Montaigne riferendosi

ancora a questo tronco – di sentire il numero infinito di gente che andava a Roma».

Il tratto da San Quirico a Radicofani ed oltre non deve avere fatta molta impressione a questi

viaggiatori, poiché essi notano appena «la strada montuosa e petrosa». Vorrebbe significare che salita

e scesa non sgomentavano, ma anche che il paesaggio diceva poco nonostante la notevole ampiezza

di orizzonti: «monti sterili e poco piacevoli a vedersi», nota il francese.

A suo modo indimenticabile invece il tratto a fine della discesa, giù nella valle del Paglia, con

quel fondo sabbioso e pieno insieme di asperità: «planum arenosum inter aspreta durissima» detto in

latino; «une frondriére fort pierreux» in francese, ma sempre lungo difficile e scoraggiante. E poi lo

strazio dell’attraversamento dei fiumi: «passammo e ripassammo infinite volte un torrente che là

scorre». Epopea, questa dell’attraversamento, che aveva avuto qualche decennio prima287 già il suo

cantore nel poeta burlesco Mauro:

« duro a veder la povera canaglia

Passare un fiume più di venti volte

Morta di freddo, e poi dormire in Paglia».

Già «dormire in Paglia», cioè al piccolo abitato detto «Case del Paglia», non doveva essere un

conforto dopo le fatiche del viaggio: tre o quattro catapecchie e «taverne come tane di osti»:

definizione del Buchellius. ………………………………………………………

I grandi viaggi di Cosimo e del cardinale Aldobrandini.

Ai due scritti ricordati nei secoli XVII e XVIII ana serie di diari, note itinerarie, lettere e guide,

che quasi ad ogni momento ci danno gli aspetti realistici della strada colti dal viaggiatore comune288.

Le vicende delle regioni interessate, improntate adesso a una tranquillità alquanto grigia, si riflettono

invece, come dicemmo, nel transito di personalità ufficiali. All’inizio del periodo spagnolo, ebbero

un particolare significato per la Toscana e per l’Italia due viaggi di Cosimo dei Medici.

Il primo avvenne nel 1560 quando egli si recò in forma solenne a prendere possesso di Siena, il

secondo, nove anni dopo, per andare a Roma dove sarebbe stato incoronato granduca. Erano un po’

le solenni consacrazioni dello Stato fiorentino come stato regionale e della famiglia Medici come casa

regnante. Per l’uno e per l’altro avvenimento diamo la parola ai cronisti contemporanei: «Il dì 26 di

ottobre in sabato a ore 9½ in circa, il duca Cosimo dei Medici si partì qui da Firenze colla sua corte

e personalmente andò a pigliare la possessione della sua nuova città di Siena. Alloggiò la sera di detto

sabato in S. Casciano e la domenica sera di poi in Colle ed il lunedì, che fu il giorno di S. Simone

apostolo, andò a desinare di là dal Palazzo dei Diavoli, vicino a detta Siena; e desinato che ebbe, si

messe in ordine con tutta la sua corte, per fare la corporale entratura in Siena.

…………………………………………………………………………………………..

286 DE MONTAIGNE M., OP. CIT., PAG. 534. 287 Cfr. Il primo libro delle opere burlesche di M. Francesco Berni….del Mauro, etc., Firenze 1550, pagg. n.n. 288 Per i viaggiatori stranieri in Italia, oltre alla notissima bibliografia del D’ANCONA nell’opera citata, cfr. SCHUDT

L.,: Italienreisen im 17. Und 18. Juhrundert, Wien-Munchen. 1959. I più illustri viaggiatori transitati in età moderna sulla

Firenze-Roma sono passati in rassegna nel corso di un recentissimo articolo di L. CARANDINI (La posta di Radicofani,

in «L’Universo», XLIV, [1964], n. 1. Pagg.153-176) che analizza le loro impressioni su Radicofani e adiacenze.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Et il dì 1° di novembre il signor Principe se ne tornò in Firenze»289.

Quanto all’andata a Roma per l’incoronazione, essa si svolse mentre si levavano proteste contro

il conferimento del titolo ereditario da parte di Pio V, ma non per questo ci fu meno solennità

nell’accoglienza. Venne utilizzata la Firenze-Roma da Radicofani perché fin lì il duca percorse una

traversa per Montepulciano. ……………………………………………………………………….

……………………………….

All’epoca di Cosimo la Toscana è sempre vicina alla Spagna; con l’inizio del secolo XVII si ha

invece un accostamento ai Francesi poiché una nipote del granduca, Maria, sposa il re Enrico IV. A

benedire le nozze (per procura) nella capitale Toscana venne, stante la portata dell’evento, un

cardinale, facendo naturalmente il suo viaggio sulla Firenze-Roma. Viaggio eccezionale, poco meno

si fosse mosso il papa, poiché il porporato non era solo legato, ma nipote di Sua Santità, e il «cardinale

nipote» rappresentava una potenza in Curia. Il relativo diario è documento tipico dell’età della

controriforma e del barocco, ma anche la sola parte itineraria appare in sé piena d’interesse290.

L’Aldobrandini partì il 26 settembre con due carrozze, ma distaccati l’accompagnavano un

seguito numerosissimo e i bagagli su carri o a soma. Questo corteo poteva anche precedere, bastava

che aspettasse arrivando alle tappe perché le carrozze del porporato potessero «far corse nell’entrare

in esse». Incidente il secondo giorno da Monterosi a Viterbo: scendendo la «montagna» uno stalliere

cadde dalla carrozza che gli passò sopra «e gli troncò completamente una gamba».

…………………..si ripresero i veicoli ad Acquapendente. Tappa difficile; ne soffrirono i cavalli: due

ci morirono. Partendo da Acquapendente per la brutta discesa al Paglia, cardinale «e compagnia»

andarono a piedi291.

L’inviato ufficiale del granduca che si presentò prima di Radicofani, oltre a qualche compagnia

di soldati portò «una carrozza di velluto negro» nella quale il cardinale venne fino a San Quirico, e

poi a Buonconvento e Siena, …………………………………………………………………… Se

era stato possibile andare da Radicofani a Siena in carrozza tanto più doveva esserlo, come fu, da

Siena a Firenze ………….

Pag. 159 .

Galileo bloccato ad Acquapendente. Una guerricciola.

Passaggi di principi e cardinali: queste ora le novità più importanti della Firenze-Roma. Di

cardinali ne passano moltissimi ai primi del Seicento, in genere incaricati di particolari missioni nelle

capitali europee292. È la manifestazione d’un altro fenomeno storico: l’impegno della Chiesa di tenere

i contatti con le potenze cattoliche in un’età di grandi contrasti religiosi. L’attiva difesa dell’ortodossia

289 LAPINI A.: Diario fiorentino, Firenze, 1900, pagg. 130-131. 290 Diario del viaggio fatto dal card. Pietro Aldobrandino nell’andar a Fiorenza, etc., Biblioteca Vaticana, Ms. Ferraioli,

38. II, cc. 81-136. Il cardinale aveva anche una missione diplomatica e la sua legazione «veramente memorabile ai posteri

durò più di 6 mesi. Il diario rivela molta sincerità e vivezza gl’interessi dell’epoca. Per esempio si notano con minuta

attenzione le personalità presentatesi in ciascun luogo e l’ordine tenuto nelle precedenze, la specie e la quantità dei cibi e

del vino forniti per i posti. Sono elencate scrupolosamente le preghiere dette dal cardinale in pubblico e in privato «con

la famiglia»; e viene rilevato ad ogni tappa se il letto per lui preparato aveva o no il baldacchino. L’andamento vero e

proprio del viaggio è illustrato con la descrizione dei vari mezzi di trasporto impiegati e, molto frequentemente, dello

stato della strada». 291 «Per essere la strada molto erta e fastidiosa la fece a piedi con la compagnia fin quasi al fiume; poi salito in carrozza

andò fino a Ponte Centino». Per salire a Radicofani «si andò cavalcando unitamente con ordine ciascuno a suo luogo».

Ad Acquapendente capitò anche un disordine: «La gente bassa fu alloggiata e trattata malamente e li vetturini e mulattieri

si ammutinarono sopra il mancamento del mangiare per loro e per le bestie». 292 Alcuni dei porporati che in viaggio per la nostra strada passarono da Firenze tra il 1608 e il 1620: 26 maggio 1608:

Mellini, da Roma a Vienna; 22 dicembre 1609 Delfino, da Roma in Francia; 11 agosto 1611: Giustino, da Bologna a

Roma; 14 settembre 1614: Capponi, percorso inverso; 4 giugno 1615: Bousl, diretto a Roma; 10 giugno 1617:

Vendramino, id; 15 ottobre 1620: Farnese, id. (Cfr. RASTRELLI, Notizie istoriche italiane, Firenze, 1781-1782, III, pagg.

124-161).

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determinò un altro viaggio a Roma famosissimo, quello nel 1633 di Galileo Galilei, che si mosse da

Firenze perché citato a rispondere sulle sue dottrine. Percorrendo la strada ordinaria lo scienziato

impiegò 25 giorni ad arrivare: quasi il viaggio non fosse abbastanza amaro, ebbe a subire una sosta

forzata, in pessime stanze, senza cibo che «pane vino e uova» a Ponte Centino e Acquapendente.

Motivo: quarantena per peste293.

Con detta peste, degli anni stessi dei Promessi Sposi, ci si ripresentano le calamità dell’Italia

seicentesca, che colpirono anche queste regioni, benché non esasperate dal malgoverno straniero. Qui

mancò fortunatamente anche la guerra: per la verità non del tutto perché nel 1642 s’ebbe addirittura

un’invasione che arrivò fino ad Acquapendente. Aggressore era il duca di Parma per rappresaglia

contro Urbano VIII che gli aveva tolto Castro, nel Viterbese, a beneficio dei suoi parenti294.

La «guerra di Castro» (1642-44), in cui il Farnese ebbe alleato il granduca, col suo carattere di

contesa tra famiglie rispecchia la stanchezza della Penisola. Quest’ultima risente ormai anche della

decadenza della Spagna, che dopo nuove lotte con la Francia dovrà accettare la pace dei Pirenei l’anno

1659. Inoltre molte dinastie nazionali, Medici, Este, Gonzaga, Farnese declinano verso l’estinzione.

La vita italiana in tutte le sue manifestazioni tende ad immobilizzarsi.

Lavori sulla Firenze-Roma nei secoli XVI-XVII. Il Ponte Gregoriano.

…………………………………………………………………………………………………….

Della nostra strada nell’epoca considerata s’occupò tra i primi Leone X conoscendo per

esperienza personale il disordine di alcuni tratti e specie dei ponti concesse nel 1519 ai Senesi una

parte della decima da impiegare in restauri295. Occasione fissa per pensare alla «strada romana» fu

sempre il Giubileo: il 1549 fu anno di restauri nel Senese e nelle terre della Chiesa, dove lo stesso

avvenne poi sempre, e specie nel 1646-49, nel 1699, nel 1724, nel 1774. In Toscana attorno al 1580

il granduca fece un restauro al tratto sotto Siena rendendo ottime parecchie miglia di strada.

Tra i lavori compiuti sulla Firenze-Roma in età moderna fanno un capitolo a sé quelli che si

riferiscono al Ponte Gregoriano sul fiume Paglia. Questo fiume che scorre dapprima verso sud-est

davanti ad Acquapendente volge ad est addirittura, costringendo la strada corrente alla sua sinistra ad

attraversarlo onde proseguire toccando Acquapendente stessa, in direzione di Roma. La portata

d’acqua e le caratteristiche del letto avevano fatto sempre del Paglia l’ostacolo maggiore di natura

idrografica che la «strada romana» incontrasse nel territorio pontificio. …………………………

In tempi diversi c’erano stati ponti o passerelle in legname alcuni eretti per circostanze

particolari, ma attraverso i secoli sembra che i viaggiatori dovessero ordinariamente superarlo a guado

o mediante traghetto. …………………………………………………………………………

Nel tempo delle piene era cosa comune che qualcuno, avventurandosi, annegasse. Nel settembre

1578 accadde che il papa Gregorio XIII, l’autore della riforma del calendario, andando nei possessi

del cardinale Farnese, passasse e ripassasse da Acquapendente; al ritorno «essendo in lettiga, quando

fu al suddetto ponte n’uscì et montò a cavallo et vista la rovina et quello bisognava per rifarlo, ordinò

di farlo rifare, dando la cura di ciò al cardinale Farnese e al cardinale Sforza ch’erano seco con

altri»296. Questo accadeva il 18 settembre: anche ammessa una pronta esecuzione degli ordini papali,

non restava tempo di organizzare il lavoro e di incominciarlo seriamente prima della stagione

293 Cfr. Le opere di Galileo Galilei, vol. XV. Firenze, 1932-1938, pagg. 32-43 e 168-176 e 350 (anche per il ritorno nella

seconda metà del 1633 con lunga sosta a Siena). 294 Le ostilità furono precedute da un viaggio a Roma, per trattative del duca di Parma nel novembre 1639. Egli passò da

Firenze, andando poi a Castro. 295 Cfr. TITIO S.: Historiarum Senensium ab initiis Senarum urbis usque ad annum 1528, Biblioteca Nazionale Centrale

di Firenze, Ms. II. V. VIII, pagg. 403-404. 296Per la data del passaggio di Gregorio XIII da Acquapendente, cfr. ORBAAN, J.A.F.: Documenti sul barocco in Roma,

in «Archivio della R. Soc. Romana di St. Patria», VI (1920), pag. 400; MARTINORI E. La via Cassia antica e moderna,

Roma 1930 pag. 133. Le notizie sulla costruzione e le frasi citate letteralmente derivano da: «Memorie di Acquapendente»,

Biblioteca Vaticana, Ms. Vat. Lat. 11765, cc. 17r.-18r.

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sfavorevole: tutto dovette essere fatto l’anno seguente. L’opera ebbe due progettisti e direttori valenti:

i fratelli Domenico e Giovanni Fontana, architetti di grido, già esecutori di notevoli opere in Roma.

…………………

Il ponte fu progettato in muratura a sei luci; non si trattò di un’opera interamente nuova perché

degli archi «doi ve n’erano restati per prima»297. Nuova fu però la parte certo la parte centrale di gran

lunga più importante e difficile. …………………………………………………………

L’essenziale del lavoro fu compiuto nel 1580, perché tutti assegnano l’opera a quell’anno.

Stemmi del papa, in pietra di Ferentino, andarono secondo l’uso del tempo ad adornare la costruzione.

J. Caspar Goethe, padre del grande poeta, quando si trovò a percorrere la strada da Roma a Firenze,

trascrisse nelle sue note un distico laudativo inciso sul ponte298…………………………………

………………………………….Altri, considerando l’impresa in se stessa, si espressero più

equanimemente. A un anno dalla costruzione l’opera come vedemmo fu ricordata dal diario di viaggio

del Montaigne e un ambasciatore veneto la segnalò fra le iniziative del papa: « Ha fatto anco un ponte

sopra il fiume Paglia, sul cammino della Toscana, a beneficio dei viandanti, che ogni anno prima se

ne affogavano molti » Effettivamente con il passaggio del Paglia assicurato, si aveva un

miglioramento grandissimo alle comunicazioni stradali tra Firenze e Roma scongiurando il pericolo

di interruzioni che potevano durare parecchi giorni. Il manufatto, tuttavia, di gran mole, esposto ad

una corrente non disciplinata dovette essere continuamente vigilato e consolidato. Nel ‘600 e nel ‘700

è un continuo susseguirsi di restauri al ponte del Paglia, le segnalazioni e le richieste di riparazioni

non si contano; ad ogni visita generale alla strada si segnalano lavori da fare al «ponte Gregoriano».

Passaggio di re e di principi.

Conseguenza diretta e visibile del nuovo clima della Penisola dopo l’inizio del Settecento è sulla

Firenze-Roma il passaggio frequente di principi e sovrani assai diversamente dall’età spagnola.

Ricordiamo il viaggio a Siena, l’anno della sua venuta in Toscana (1739), di Francesco di Lorena,

capostipite della nuova dinastia granducale, e quelli del principe d’Ansprach (1753), degli arciduchi

di Milano e dei conti del nord (1780-1782), del re di Svezia nel 1783 e, quasi contemporaneamente,

dell’Imperatore d’Austria Giuseppe II che restituisce la visita fattagli dal papa, l’andata solenne a

Siena del nuovo granduca Ferdinando con la moglie nel 1791, il transito dei reali di Napoli nello

stesso anno299.

Ma il viaggio più clamoroso dell’epoca sembra essere stato nel 1768, quello di Maria Carolina

sorella dell’imperatore e del granduca di Toscana, che si recava nel regno di Napoli dopo averne

sposato per procura il sovrano Ferdinando IV. Una fanciulla di 16 anni, condotta al suo sposo, un

matrimonio che riguardava le due famiglie Asburgo e Borbone che si dividevano i troni di mezza

Europa: ce n’era abbastanza per interessare tutti, dal gran mondo al popolo minuto. Veramente, da

regina a Napoli avrebbe dovuto andare, l’anno precedente, una sorella di Maria Carolina, poi morta

d’improvviso, e per lei la Firenze-Roma cominciò a venir messa in ordine. Nel granducato non c’era

bisogno di gran che, dato il fresco «ristabilimento» del lunghissimo tratto senese. Ma da parte del

governo pontificio si dovette pensare seriamente a misure d’emergenza.

…………………………………………………………………………………………………

297 Memorie di Acquapendente, cit. c. 18r. 298 Cfr. GOETHE J.C.: Viaggio in Italia, traduzione A. FARINELLI, Roma 1932, pag. 89. 299 Cfr. rispettivamente: ZOBI: Storia civile della Toscana, Firenze 1850 -1852, II, I, pag. 187; «Gazzetta Toscana» a.

1783 n. 52, a. 1784 n. 4 e ZOBI, op. cit, pag. 340; «Gazzetta Toscana» a. 1791, n. 36 e n. 17,18. Per i vari personaggi di

rango principesco che percorsero la strada, furono necessari quasi sempre speciali preparativi. Per esempio, per il viaggio

Roma-Firenze del principe di Ausprach a fine aprile 1753 furon richiesti a ogni posta 17 cavalli più altri di rinforzo; tra

l’altro il «postiere» di Monteroni tenne in attesa 10 cavalli e 5 garzoni per quasi 2 giorni a Buonconvento (A.S.F.,

Reggenza, 665). Per il passaggio dei «Reali Arciduchi di Milano» nel 1780 furono fatti particolari restauri alla strada di

Radicofani (A.S.S., Quattro Conservatori, 2085 ms. «Strada romana 1780». Di riparazioni nei territori di S. Quirico,

Montalcino e Buonconvento si ha notizia per il passaggio del Conte e della Contessa del Nord nel marzo 1782 (A.S.S. f,

cit., Ins. «Strada romana 1782»).

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Maria Carolina arrivò a Firenze alla fine di aprile e trattenutasi alcuni giorni ripartì, verso

Poggibonsi e Siena, con il granduca e la granduchessa il 3 maggio300. A Siena dame e gentiluomini

invitati al ricevimento erano stati fatti venire al Palazzo per le 3: e non prima delle 5 e un quarto

udirono il cannone che annunciava l’arrivo dell’ospite. Dopo le accoglienze tradizionali il viaggio

della regina riprese con la tappa Siena-San Quirico. La sera del 5 tutta la brigata era a Radicofani, il

6 a Montefiascone, il 7 a Viterbo, l’8 a Ronciglione.

…………………………………………………………………………………………………

Il transito del convoglio di Maria Carolina da Firenze a Roma, fu un po’ la prova dell’efficienza

del servizio postale e della strada. In Toscana, abbiamo detto, tutto fu facilitato per effetto del recente

restauro di gran parte della «via romana». Questo «ristabilimento» per il valore ch’ebbe in se stesso

e come esempio di grande lavoro stradale precedente all’età contemporanea merita di essere seguito,

tornando indietro di qualche anno.

Il «ristabilimento» della Firenze-Roma nel Senese: preparazione e appalto.

Pag. 170.

A un restauro e ammodernamento generale della «strada romana» da Siena al confine il governo

toscano pensava almeno dal 1757, perché in quell’anno fu ordinato ad Anastasio Anastagi, valente

«pubblico ingegnere», di visitare il tronco in questione ed esporre quanto occorreva per migliorarlo.

L’ingegnere assolse il suo compito proponendo dei lavori solo nei tratti in cui il transito dei veicoli

avveniva con difficoltà301. Dopo un certo tempo furono fatti fare un sopralluogo e una relazione anche

a Giovan Battista Ventani (sempre stessa nota 302), non ingegnere, ma capo maestro e impresario di

notevole esperienza, che aveva avuto l’accollo d’un’opera molto impregnativa: la nuova strada da

Firenze a Pietramala attraverso il passo della Futa. Ricevute ed esaminate le due relazioni, il governo

granducale si orientò definitivamente per l’esecuzione dell’opera……………………………………..

………………………………………………………………………………………………………

Descrizione dei lavori.

Alla scritta d’accollo veniva allegata copia della relazione del 9 agosto, contenente, come

accennammo, il dettaglio dei lavori da eseguirsi302. Il restauro riguardava il tratto «dalle porte di Siena

al confine dello stato ecclesiastico» ma senza continuità, perché nelle parti che l’Anastagi aveva

trovato, come egli diceva, «in grado ragionevole», non c’era alcun obbligo per l’impresario, «Nessun

lavoro» dalla posta di Monteroni alla collina di Curiano, dal Ponte a Tuoma all’osteria del Poggio di

San Quirico, dall’osteria della Commenda alla riva dell’Orcia, e tanti altri luoghi. Di ciò che

rimaneva, per una considerevole parte non era prescritto che «l’inghiarato»: cioè, salvo la costruzione

della massicciata, la strada rimaneva com’era. Semplicemente da inghiarare (coprire di ghiaia)

erano, ad esempio, il tratto fuori di Siena fino a Malamerenda, quello da Buonconvento al ponte del

Moro, quello subito dopo il ponte dell’Orcia.

In molti casi oltrechè risargire il fondo bisognava allargare o eseguire qualche limitato

sbassamento, o compiere tutt’e due le cose insieme; e questo precisamente, omettendo i tratti molto

brevi, ………………………………………………………………………………………………..

300 Cfr. RASTRELLI M.: Memorie per servire alla vita di Leopoldo II, Firenze 1792, pag. 95. 301 A.S.S., Quattro conservatori, 2077. Memoria Anastagi dell’inizio del 1763 trasmessa a Siena da Botta Adorno l’8

marzo s.a. 302 La nostra descrizione dei lavori è fondata sui seguenti documenti. «Descrizione dei lavori per il riattamento della strada

Romana, etc.» s. d. (A.S.F., Segreteria Finanze ant. 1788, 682) unita al rogito dell’appalto è da ritenersi copia della

Relazione 9 agosto nel rogito stesso menzionata; «Relazione» pure s. d. contenuta in A.S.S., Quattro Conservatori, 2078,

che cita la precedente ed è probabilmente il documento tecnicamente più dettagliato preparato dall’Anastagi per la fase

esecutiva, approvato superiormente il 5 settembre. Alle relazioni predette furono apportate modifiche, d’ordine del Botta

Adorno, espresse per la prima nel Rogito 10 settembre, e per la seconda in una postilla.

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Lavoro particolare, più impegnativo e costoso del precedente: la selciatura, che compare secondo

l’uso soprattutto nelle salite. Dal ponte del Formone a Radicofani e da Radicofani al Ponte al Rigo

l’impresario dovrà costruire o allargare, non consecutivamente, parecchie centinaia di braccia di

selciato.

……………………………………………………………………………………………………

Dopo il Formone tornano i cambiamenti di tracciato con lo scopo di attenuare la pendenza: 1230

braccia della «lunga e ripida salita» che incomincia verso la casa del podere S. Giorgio si devono

abbandonare: sviluppare la variante a est attorno al Poggio, e attraversare un pianetto; si ritorni con

un rettilineo. Più avanti apertura di un tratto nuovo, 540 braccia, dalla parte di ponente. Le «eccedenti

declività» del Poggio La Selvella impongono una deviazione a nord di 600 braccia attraverso i prati;

è l’ultimo «tramutamento» questo prima di Radicofani. Ma nella discesa ecco subito 1100 braccia di

strada «quasi impraticabile per i calessi»: la soluzione è rappresentata da una variante dalla posta di

Radicofani al bivio della strada per San Casciano dei Bagni, variante necessariamente più lunga per

risultare più comoda. Il Poggio detto Serristoro va abbassato; va aperto un breve tratto nuovo e in più

dolce pendio a Baccanello. Ultima parte della discesa: da la Novella al Ponte del Rigo, un ponte in

verità ridotto alle pile. Qui l’impresario è espressamente obbligato da una clausola del contratto a fare

la strada (presentemente è nel letto del torrente che attraversa cinque volte!) in quel luogo che a lui

sarà prescritto lì per lì dai Deputati. S’era infatti progettato all’inizio di costruire un tratto tutto nuovo

sulla destra del Rigo sboccando al ponte, rifatto il qual ponte sarebbe stato risolto l’attraversamento;

ma la spesa risultava troppa e si pensava ora ad un semplice ripristino. Dopo il Rigo, più nessun tratto

nuovo di strada sino al fiume Elvella cioè sino al confine.

……………………………………………………………………………………………………

…………………………………….

Il ponte del Formone non aveva in muratura che le spalle e le pile, e bisognava fargli le arcate.

Considerato che anche i ponticelli, le chiaviche delle «serre a calcina» descritte nella relazione, sono

pochi e poco importanti, si può dire che dal «ristabilimento» restano escluse le opere d’arte.

L’Anastagi aveva proposto ponti nuovi sull’Orcia, sul fosso del Rofanello, sul Vellora e sul Rigo; i

primi a un arco, gli ultimi due a due e a cinque archi rispettivamente. Aveva preso in considerazione

un possibile accordo con li Stato pontificio per un ponte sull’Elvella e valutata la parte che sarebbe

toccata alla Toscana: 526 scudi. Ma tutto venne accantonato d’ordine del Botta Adorno, e alla fine il

programma per l’Orcia e il Formone avrà ulteriori tagli.

Si rinuncia ad un ponte per «ragguagliare» il tratto di montagna.

Prima della fine del 1760 l’impresario (Minacci vedi nota 304) perfezionò un altro tratto,

quello da Le Macine in giù303. Egli aveva così rispettato l’obbligo di sistemare rapidamente tutta la

parte di là e di qua da Radicofani. L’anno seguente …. lavorò ………………………………… al

tratto lungo il Formone, di cui a fine giugno aveva pressoché ultimato il grande muro di sostegno, e

nei prolungamenti di esso fino a Ricorsi da un lato e a casa S. Giorgio dall’altro304.

Per i lavori al Formone ci fu però in quest’anno una grossa novità. Il «provveditore delle strade»,

Bulgarini, e il «deputato del Pubblico», Landucci, quando l’accollatario ebbe finito nella zona di

Radicofani si accorsero che la bellezza e l’utilità del lavoro venivano sciupate dalla presenza di alcuni

tratti rimasti angusti e logori, perché nella descrizione dell’appalto nulla era prescritto per essi.

Desiderosi oltremodo di potere «ragguagliare», cioè rendere uniforme quanto a larghezza e a stabilità

del fondo, almeno questo tratto importantissimo di montagna, i due soprintendenti pensarono di

lasciare il ponte del Formone come si trovava, cioè con l’impalcato di legno (salvo un restauro,

fattibile però a settembre con le erogazioni solite della Cassa delle strade) in modo da poter disporre

303 A.S.S., Quattro Conservatori, 2078, Relazione del 18 dicembre 1760. 304 A.S.S., /. cit. Relazione del 9 aprile 1761; lettera del Botta Adorno del 27 giugno 1761.

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di altre 4.322 lire, che tanto era calcolata la spesa per fare gli « archetti in muratura » al ponte sulla

cifra complessiva stanziata per la strada …………………………………..

Eliminata la costruzione delle volte in muratura al predetto ponte, il Minacci continuava a fare

soprattutto massicciate e scavi, lavori per i quali doveva essersi abbastanza organizzato, perché nei

primi mesi del 1762 aveva quasi finito. In una delle consuete visite di verificazione compiuta verso

il 10 febbraio di quell’anno, Bulgarini e Landucci trovarono pronte altre 4.530 braccia di strada subito

passato S. Quirico verso Roma e circa 6.900 nella salita di Radicofani, tra le Conie e la sommità305.

Verifica del Lavoro eseguito. Un regolamento per la manutenzione del tronco senese.

……………………………………………………………………………………………………

……..Intorno all’anno 1770 l’intero tratto senese della Firenze-Roma era dunque stato rinnovato. Si

trattava di un terzo e più dell’intera strada e di quella parte le cui condizioni più influivano

sull’andamento del traffico, perché includeva forti accidentalità e il passaggio della montagna di

Radicofani. Per le comunicazioni fra le due città, attraverso i lavori sopra esposti, si era realizzato un

progresso sensibile, particolarmente con l’adeguamento del piano stradale alle esigenze dei grossi

veicoli a ruote che proprio in questi anni andavano aumentando di numero e di pesantezza.

Integrazione del «ristabilimento»: i «ponti grandiosi» restaurati nel Senese.

Pag. 182.

………………………………………………………………………………………… I «ponti

grandiosi» del Senese (provincia superiore) erano nove, di cui sei sulla Firenze-Roma. In

preparazione dell’appalto ognuno di essi ebbe una perizia, per cui siamo esattamente informati sulle

condizioni reali dei manufatti grazie ai quali, verso la fine del Settecento, chi viaggiava tra Firenze e

Roma poteva valicare l’Arbia, l’Ombrone, il Fosso delle Serlate, l’Asso, l’Orcia, e il Formone ossia

molti dei maggiori corsi d’acqua che incontrava sul cammino.

…………………………………………………………………………………. Ultimo «ponte

grandioso» quello del Formone, con tre piloni in muratura e quattro travate in legno. L’ingegnere

Razzi che fa la perizia il 1° giugno del 1784 lo trova piuttosto danneggiato, ma senza che ne sia

minacciata l’esistenza. Consolidare le ali, le pile e sostituire molte travi: questo basterà se si vuole

che il ponte possa servire «come ha servito finora». …………………………………………

Bisognerebbe prendere una decisione: lasciar perdere le travi (tanto più che non si troverebbero alberi

adatti per rifarle) e costruire le volte in muratura. Basterebbero tre volte, perché una luce si può

semplicemente chiudere essendo dimostrato che l’acqua non la raggiunge. Per 600 scudi c’è chi si

assumerebbe l’impresa: l’architetto Leonardo Vegni, la stessa persona che le due comunità

interessate, Radicofani e Abbadia San Salvatore, hanno delegato a rappresentarle nella faccenda degli

accolli e che ha visitato il ponte assieme al Razzi. ……………………………………………

Per il Formone quattro anni prima già s’era concordato con Vegni la somma che le comunità

dovevano ricevere dai conservatori per lavori di ripristino e per la susseguente manutenzione. Ma le

piene del 1784-85 avevano recato gravi danni, tra l’altro rovesciato un’ala. Ora la Balìa doveva

restaurare in proprio e trattare poi di nuovo. E il lavoro di restauro fu intrapreso nell'estate 1785 e

fatto anche in cambio delle travi, risultate quasi tutte cattive. Nel febbraio del 1787 quando il ponte

finalmente poteva venire appaltato, sopraggiungeva l’ordine di sospendere tutto perché era stata

decisa la costruzione degli archi in muratura306.

Il tracciato intorno al 1785. Da Firenze al confine del fiume Elvella. (Io lo chiamerei Torrente!)

305 A.S.S., /. cit. Lettera del Botta Adorno del 3 ottobre 1761; relazione Bulgarini e Landucci del 12 febbraio 1762. 306 A.S.S., /. cit. Ins. «Formone» Perizia Razzi del 17 giugno 1785; lettere del Nini del 2 agosto e del Vegni del 5 settembre

s.a. (stesso anno).

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………………………………………………………………………………………….. Dal

ponte del Formone partiva la salita diretta per Radicofani con un dislivello di circa 300 metri, le cui

tappe erano Poggio di S. Giorgio, Selvella, l’osteria della Macina, Baiotto: una certa differenza di

tracciato rispetto ad oggi. La salita culminava fra le case del borgo, all’osteria e al Palazzo pubblico;

un po’ più in basso, nella parte discendente, la posta.

La calata da Radicofani è uno dei tratti in cui la strada settecentesca più si differenzia da quello

attuale. La troviamo infatti sul versante est invece che su quello ovest del Poggio Leano, e passa da

S. Ristoro, Casa al Sarti, Casa al Maestro, Gonzeto Baccanello, e l’osteria detta della Novella. Di qui,

quota 313-314, la direttrice era costituita dal torrente Rigo. Incominciava un tratto pianeggiante, ma

non per questo facile perché per oltre un miglio la sede stradale doveva trovare posto

nell’avvallamento del torrente Rigo subito sotto la Novella, scriveva il Ferroni: «È questo il guado

più pericoloso e incomodo di tutti gli altri, imperrocchè l’alveo è profondo e corroso, e le acque hanno

maggior velocità, a motivo di essere più vicino all’origine del torrente, che unitamente al Centino

privo di ponte, sebbene conservi tuttora il nome di esso, è l’Iliade della strada romana »307. E superato

appena questo guado eccone un secondo per tornare dalla parte opposta, poi un altro e un altro ancora.

I guadi diventano via via meno pericolosi, ma erano cinque!

VI

Pag.201.

Sulla Firenze-Roma dall’invasione francese all’unità d’Italia.

La guerra contro la Francia rivoluzionaria. Ripercussioni in Toscana e nello Stato Pontificio.

Le vicende della Firenze-Roma ultimamente rievocate (della strada come bene pubblico da

conservare e perfezionare, come canale ordinario di determinati scambi e relazioni, come sede di fatti

appartenenti alla cronaca o alla storia) ci danno un’immagine della situazione degli Stati attraversati,

e un po’ di quella italiana, a un decennio circa dalla fine del secolo XVIII, cioè dopo un lungo periodo

di pace.

……………………………………………………………………………………………………

Non erano davvero prevedibili immediatamente prima del 1789 trasformazioni radicali della vita

italiana, novità come quelle che la nostra cronaca di provvedimenti amministrativi, di lavori, di

viaggi, di manifestazioni dovrà fra poco registrare. O meglio, lo erano solo come conseguenza di

qualche cataclisma esterno; ma questo, nell’anno ricordato appunto, ci fu: incominciò la rivoluzione

in Francia.

……………………………………………………………………………… La Sardegna, Napoli

e la Toscana, uno dopo l’altro, entrarono in guerra; mentre tra il papato e il governo rivoluzionario vi

fu, senza formali dichiarazioni di ostilità, rottura di rapporti e quindi acutissima tensione. Durante

quattro anni questo atteggiamento, essendo altrove il centro della lotta tra la Francia e le potenze

legittimiste, ebbe tuttavia conseguenze solo per il regno di Sardegna, in parte invaso.

La guerra in Italia prese una piega assolutamente nuova nella primavera del 1796, quando il

comando dei Francesi fu assunto da Napoleone Bonaparte. Il giovanissimo generale, passando

immediatamente all’offensiva, costrinse il re di Sardegna ad un armistizio, batté clamorosamente gli

austriaci in Lombardia …………………………………………………………………… Quando,

307 A.S.F. Il Ferroni proponeva qui un nuovo tracciato sulla destra del Rigo, con ponte non lontano dalla confluenza del

Rigo stesso col Paglia.

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nell’autunno, Bonaparte ripartiva per Parigi «lasciava l’Italia settentrionale (salvo il Veneto) e quella

centrale sotto il predominio francese»308.

Tuttavia il sistema creato in Italia non appariva stabile: i primi a minacciarlo erano i Francesi

stessi, bramosi di estendere nei piccoli Stati la loro influenza fino ad istaurarvi, mascherato appena,

il diretto dominio.

Deportazione di Pio Vi da Roma a Siena e da Siena a Firenze.

Di tale aggressività il primo a fare le spese fu il papa. A quattro mesi appena dalla pace (di

Campoformio), i Francesi, profittando di disordini da loro stessi provocati, occuparono Roma. Seguì

il cambiamento di regime: alcuni democratici proclamarono la repubblica mentre Pio VI veniva

condotto fuori dalla capitale, verso il nord. Il transito del vecchio papa alla mercé delle truppe

repubblicana diede a larghe masse di popolo, sulla strada Roma-Firenze, la sensazione precisa dei

profondi mutamenti portati dalla rivoluzione d’oltralpe.

Il 20 febbraio (1798) fu la partenza, di buon’ora perché il papa uscisse inosservato, nonostante

tale precauzione, e nonostante il freddo e la pioggia, c’era gran gente. Scortò il piccolo convoglio un

reparto di dragoni, ma solo fino a La Storta: da qui in avanti rimasero col papa due ufficiali di stato

maggiore, che fecero cambiare i cavalli alla posta di Baccano e fermare a Monterosi dove si doveva

passare la notte. L’indomani, trasferimento da Monterosi a Viterbo, attraverso Ronciglione. Pioveva

e a tratti nevicava e Pio VI, che era infermo da dover essere messo e tirato giù a braccia dalla carrozza,

giunse molto provato309. Uno che si trovava nella folla accorsa all’arrivo, lo descrive: «in un

carrozzino, con pochi seguaci, vecchio e ridotto allo stremo………co’ capelli bianchissimi, colla testa

incurvata sotto il peso più ancora del suo dolore che dell’età, passava tra soldati a cavallo, come

vittima non coronata di fiori».

…………………………………………………………………………………………………..In

Toscana il primo pernottamento fu a Radicofani: freddo e isolato il luogo e poco adatto l’alloggio, la

locanda della posta.

………………………………………………………………………………………………….

Si voleva che Pio VI andasse addirittura in Sardegna, davanti a ciò il governo toscano chiese di

trasferirlo presso la propria capitale nel convento della Certosa. Così nel doloroso pellegrinaggio

entrò tutta la «strada romana»; per quest’ultima tappa Siena-Firenze bastò solo un giorno, che fu il

primo giugno.

Alla Certosa Pio VI rimase diversi mesi, sino al marzo cioè dell’anno successivo, quando,

nonostante le sue condizioni di salute sempre più precarie, venne portato precipitosamente in Francia.

Reazione antifrancese. Gli insorgenti a Siena, Radicofani e Viterbo.

…………………………………………………I primi combattimenti in Italia furono

completamente favorevoli ai coalizzati: Austriaci e Russi dilagarono in Piemonte, in Lombardia e

Liguria. Nelle zone rimaste ai Francesi si verificò allora un movimento controrivoluzionario, che

assunse particolare gravità ad Arezzo. Gli «insurgenti aretini» costituirono addirittura un’armata che

scorrazzò diverso tempo per la Toscana, e agì anche sulla Firenze-Roma, perché con l’aiuto di

elementi locali poté occupare Siena il 28 giugno (forzando per entrare la Porta Romana e la Porta

Tufi) e successivamente San Quirico e Radicofani310. Sulla strada, non molto prima, s’era già vista

passare una lunga colonna francese in ritirata costituita dalle forze d’occupazione del Napoletano che

308 CANDELORO G. Storia d’Italia moderna, Milano 1956-1964, I, pag. 235. 309 Per il trasferimento del papa da Roma a Viterbo cfr. BALDASSARI P.: Relazione delle avversità e patimenti del

glorioso papa Pio VI negli ultimi tre anni del suo pontificato, Roma 1889, III, pagg. 5-9. 310 Cfr. ZOBI A., op. cit., Firenze 1851, III, pagg. 322-326.

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il generale Macdonald riconduceva d’urgenza verso nord in aiuto dei connazionali in difficoltà311.

……………………………………………………L’indietreggiamento dei Francesi, improvviso

quanto era stata improvvisa la loro avanzata tre anni prima, aveva coinciso con l’assenza di Bonaparte

impegnato nella spedizione d’Egitto. Quando egli ricomparve in Italia (essendo ormai padrone dello

Stato come primo console) con la sola battaglia di Marengo riacquistò la maggior parte del perduto.

In tale parte fu compresa la Toscana, mentre nello Stato pontificio continuò a regnare il nuovo papa

Pio VII, che, eletto a Venezia, era venuto da poco a insediarsi a Roma. Dopo Marengo (11 giugno

1800) tra Francia e Austria vi fu solo un armistizio: alla fine dell’anno la guerra venne ripresa per

breve periodo. In questa fase il re di Napoli fece occupare una parte dello Stato pontificio, spingendo

poi oltre le sue forze per ricacciare i Francesi dalla Toscana. I Napoletani puntavano a Firenze

servendosi della principale arteria conducente a questa città da Roma. E lungo la strada, nei luoghi

stessi che alcuni secoli prima avevano visto combattere Senesi, Fiorentini, imperiali e pontifici, si

decise l’esito della spedizione. La schiera avanzante infatti venne fermata proprio davanti a Siena, tra

Fontebecci e Porta Camollia, da Cisalpini e Francesi, scesi da Poggibonsi e anche per il vecchio ramo

«fiorentino» di Castellina. Precisamente i granatieri Cisalpini (con i quali vediamo per la prima volta

agire una di quelle milizie che furono istituzione nuova e caratteristica degli stati italiani protetti da

Napoleone) quando vennero in contatto col nemico «erano situati sulla strada». Attaccati i Napoletani

indietreggiarono quasi subito verso la città, valendosi naturalmente anche della via maestra, e una

lotta piuttosto accanita si accese alla porta: i regi persero e ripresero un cannone, chiusero fuori i

nemici e dovettero alfine sgombrare mentre i battenti venivano sfondati. Altra resistenza essi fecero

alla Coroncina, presso il loro campo trincerato; e poi fu la ritirata generale in direzione di Roma312.

Pag. 209.

Pio VII va a incoronare Napoleone: in Toscana lo riceve la reggente.

Il trattato di Lunéville, quello di Amiens tra Francia e Inghilterra (marzo 1802) e il concordato

non si sarebbero dimostrati vitali, ma intanto davano all’Europa e all’Italia un periodo di respiro, e i

più rimarchevoli avvenimenti che interessano ora la strada sono intonati a questo clima distensivo.

Nei primi mesi del 1802 fu possibile effettuare il trasporto in Italia delle spoglie di Pio VI, rimaste di

là delle Alpi. Da Firenze a Roma le stesse popolazioni che avevano visto deportare il vecchio papa

tornarono sulla strada per rendergli omaggio da morto. Quanto il primo passaggio s’era svolto

nascostamente, senza onori e in gran fretta, tanto questo ebbe carattere di ufficialità e fu solenne e

lento. Dalla partenza, da Firenze, l’11 febbraio, fino all’ingresso di Roma, il 17, furono mobilitati per

rendere omaggio al feretro le autorità militari e le truppe dei presidii, mentre popolo e religiosi si

riunivano ovunque in massa per accoglierlo. Particolarmente grandioso il ricevimento a Roma, curato

dal cardinale Antonelli, che si preoccupò fra l’altro di fare tempestivamente riparare due tratti della

strada postale tra la Storta e Piazza del Popolo.

Dopo le manifestazioni della pietà e della fede. Dopo i riti funebri, la gioventù, la frivolezza e

l’amore. Una sorella del primo console, Paolina, bellissima, viene a stabilirsi a Roma, maritata al

principe Camillo Borghese, e percorre la strada di Firenze. Sono i primi giorni di dicembre 1803 e

naturalmente fa freddo. ………………………… Al loro arrivo, la sera del 9 Paolina e Camillo

trovano ad accoglierli nel superbo palazzo Borghese le maggiori personalità di Roma……………

311 Il generale Macdonald con le sue truppe partì da Roma il 20 maggio e giunse a Firenze il 26 dello stesso mese. Cfr. in

proposito BOTTONI G. Il generale Macdonald nelle campagne d’Italia del 1798-99, Napoli 1909, pagg. 92-98. Per il

suo arrivo a Siena, cfr. BRIGIDI E. A., Giacobini e realisti o il Viva Maria, Storia del 1799 in Toscana, Siena 1882,

pagg. 338-340. Circa il passaggio degli Austriaci sulla Firenze-Roma: A.S.S., Governatore, 964, affare 120. 312 «Gazzetta Toscana» a. 1801, n. 4, pagg. 13-14. Per la battaglia che si svolse a Siena cfr. anche ZOBI A., op. cit., III,

pag. 452.

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Altre attenzioni gli sposi avevano ricevuto a Firenze ad opera di Maria Luisa, reggente d’Etruria.

Regina reggente: Ludovico di Borbone era infatti morto durante l’anno e il figlio ne aveva preso il

posto dotto la tutela materna. …………………………………………………

……………………………………………………………………………………………………

………………………………………………. Il primo console, infatti, aggiungendo alla gloria

militare qualche anno di energico governo, aveva acquistato tanto potere da farsi concedere mediante

plebiscito il titolo imperiale. E pensava che porgendogli la corona il papa, la sua esaltazione al trono

sarebbe apparsa molto più solenne e legittima. Ma secondo il suo costume Napoleone volle imporre

tutta la propria volontà, curandosi poco anche delle forme. Non solo Pio VII venne obbligato a portarsi

a Parigi, ma lo si fece viaggiare nella cattiva stagione, prescrivendogli una serie di tappe quasi non

interrotta da riposi, cosicché quel trasferimento, come scrive il Consalvi «non fu meno indecente alla

sua dignità che nocivo alla di lui salute».

Anche Pio VII deportato. Faticoso viaggio da Roma a Firenze.

………………………………………………………………Accompagna i due un alto ufficiale

francese, un generale, non si capisce se in veste di protettore o di custode; costui non si trattiene dal

rimproverare vivamente la padrona di tenere il locale tanto sudicio e sprovveduto. Però la donna non

si scompone e rivolta a quello dei viaggiatori che sembra il più importante e che è stato fatto subito

sedere sull’unica «sdrucita e vecchia sedia» disponibile……………………………………

…………..L’ostessa non sospetta certo che l’uomo da lei trattato come un cardinale

………..possa essere il papa in persona. Per intuirlo dovrebbe conoscere quello che è accaduto in

Roma sull’alba: che le truppe francesi hanno invaso il Quirinale, fino a raggiungere il papa e cui il

generale Radet (lo stesso che si trova con i prelati nell’osteria) ha notificato, a nome di Napoleone, la

decadenza del potere temporale facendolo poi entrare in una carrozza e portandolo precipitosamente,

come prigioniero, verso Firenze. Se ciò sapesse, la donna si spiegherebbe anche il turbamento e la

stanchezza del suo ospite, e perché non riconosca in lui l’augusto personaggio che, onorato ed

acclamato, ha visto quattro anni prima. Comunque, non resta tempo per considerazioni perché il

viaggio del gruppo riprende immediatamente.

E non c’è altra sosta fino a Radicofani, dove si arriva alle 11 di notte, il papa, partito già

sofferente, dopo 19 ore di viaggio in una giornata afosissima, è affranto. Radet che lo osserva se ne

accorge, ma non prende neppure l’iniziativa di fargli trovar pronto un buon letto, e scende alla locanda

di Radicofani senza aver dato alcun avviso, come guidasse la più improvvisata gita turistica. Lo

racconta lui stesso, tranquillamente: «Appena ivi giunto, mandai a chiedere delle camere per due

cardinali e loro seguito. Intanto la mia scorta si avvicina e fa evacuare l’atrio dell’albergo. La carrozza

entra sino alla porta della cucina, la porta grande si chiude dietro di noi, scendo e porgo la mano al

Capo supremo della Chiesa per montare la scala313». Ben si capisce come il cardinale Pacca

(l’ecclesiastico che accompagna il papa) debba lui stesso «in rocchetto e mozzetta» aiutare la serva a

preparare il giaciglio, dove tuttavia Pio VII non potrà collocarsi che vestito, per avere lasciato Roma

senza prendere assolutamente nulla con sé314.

In realtà, tanta furia alla partenza e in viaggio aveva un motivo: passare assolutamente prima che

la voce si spargesse, per evitare assembramenti e tumulti. Questo fu ottenuto il primo giorno, ma non

il secondo. Il papa si rifiutò fermamente di proseguire oltre Radicofani se non arrivavano i domestici

autorizzati ad accompagnarlo, con un minimo di necessario, e il Radet non ebbe l’animo di

contraddirlo benché stesse sulle spine: «Io spesso guardavo dalla finestra, la quale sporge sulla strada

di Roma, che di là si scuopre alla distanza di quattro leghe e più. Verso le 3 veggo in lontananza due

carrozze: tutto allegro corro a darne l’avviso a Sua Santità». Partire da Radicofani solo nel pomeriggio

313 Cfr. la relazione del generale Radet sul viaggio di Pio VII riportata in appendice a PACCA B.: Memorie Storiche,

Pesaro 1830, pag. 202. Al ritorno da Parigi Pio VII venne da Firenze a Roma (10-15 maggio 1805) passando per Arezzo-

Perugia-Nepi-Monterosi-La Storta, senza toccare la montagna di Viterbo. Passò invece all’andata. 314 Cfr. il racconto del cardinale Pacca, nell’opera citata nella nota sopra (pag. 126.

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significò trovare in ogni borgo, in ogni villaggio, una gran folla eccitata.

………………………………

Pag. 222 e segg.

Ultimi turbamenti del periodo napoleonico. Il papa ancora una a Firenze.

……………………………………………………………………………………………….

Genova, secondo gli originari disegni, fu la residenza papale sebbene per pochissimo perché il

29 maggio Pio VII passava nuovamente per Firenze, di ritorno: Il Murat infatti affrontato dagli

Austriaci in Emilia, s’era messo in ritirata, senza più soste fino a Napoli, perdendo la guerra e il regno.

Quando il papa tornava a Firenze l’armistizio che segnava la fine della potenza murattiana era ormai

firmato: egli poté quindi raggiungere la sua sede con tranquillità e sicurezza, e dando questa volta

tempo alle popolazioni di organizzare feste e cerimonie d’omaggio. Le cronache delle accoglienze al

papa tra Firenze e Roma dal 2 al 7 giugno descrivono prevalentemente manifestazioni fatte secondo

gli schemi ufficiali la cui rievocazione non presenta molto interesse. Di nuovo genere, e perciò da

notare, è un episodio riferito dal cardinale Pacca, che riguarda la sosta a Radicofani, il 4 giugno. Nel

borgo solitario ed alpestre, animato quel giorno da una moltitudine accorsa dai monti e dalle

campagne all’intorno, il papa ricordò con commozione l’affannoso viaggio fatto sotto la scorta del

generale Radet e volle visitare la locanda dove era stato sistemato. In essa lavorava ancora la serva

che quella sera del 1809 aveva preparato alla meglio per due sconosciuti e stanchissimi prelati capitati

tanto all’improvviso; e d’ordine di Pio VII le fu dato un regalo315.

…………………………………………………………………………………………………..

………………………………………… Uno era Fesch, il cardinale trovatosi a dover

rappresentare gli interessi francesi contro la Chiesa, ma rimasto in ogni circostanza deferente col

papa; l’altra era Letizia Bonaparte, sempre volutamente nell’ombra, benché madre di un onnipotente:

«non lei di Cesare il raggio precinse», dirà il Poeta. Eppure il loro inatteso arrivo a Siena (è lì che

compaiono sulla «via romana») mise a disagio le autorità locali e soprattutto il prefetto Bianchi.

……………………………………………………………………………………………………..Nei

suoi appunti il cardinale scriveva: «Sono partito da Siena il 13 agosto alle 8 del mattino dopo aver

detto messa. La notte l’abbiamo trascorsa a Radicofani, da dove siamo partiti alle 7 del 14. …».

Madama Letizia e il cardinale Fesch, peregrinanti tra Firenze e Roma, si muovono come dei

sopravvissuti. Siamo ormai in nuovo clima storico, quello della restaurazione.

La strada imperiale: manutenzione e lavori particolari.

……………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………………

Una novità generale la strada Firenze-Roma l’ha negli anni in cui tutta, di fatto, è sottoposta al

governo francese, e precisamente nel 1811 quando Napoleone emana l’atto fondamentale in materia

di strade, il «Règlement pour l’administration et l’entretien des routes» datato 16 dicembre, e

pubblicato nel «Moniteur» il 21 dello stesso mese. Il documento reca in allegato l’elenco delle «strade

imperiali»; una di queste «de Paris à Rome et a Naples, par le Simplon et Milan» comprende tutta

intera la strada postale romana. Testualmente, il tracciato viene così riportato: Florence, San

Casciano, Tavernelle, Poggibonsi, Siena, P. d’Arbia, Saint Errico, La Scala, Radicofani, Poste,

Acquapendente, Bolsena, Viterbo, Ronciglione, Settevene, Orte, Storta, Rome. Per le strade imperiali

il «Règlement» stabilisce costruzione e mantenimento a carico del tesoro

pubblico………...............................

315 PACCA B.: Relazione del viaggio di Pio VII a Genova nella primavera dell’anno 1815 e del suo ritorno a Roma,

Orvieto 1844, pag. 21 e segg.

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Il diretto dominio che anche dopo la formale ricostituzione del granducato Napoleone esercitò

sulla Toscana e sul Lazio rendeva effettivamente possibile l’applicazione di questo Regolamento

all’intera Firenze-Roma, che acquistava così il vantaggio di essere amministrata da un capo all’altro

secondo le stesse norme, e norme veramente moderne.

Passaggi e avvenimenti dell’età risorgimentale. Milleottocentodiciannove Francesco I viaggia da padrone.

Pag. 252

Il congresso di Vienna chiudendo il periodo delle guerre napoleoniche ripristinò in Italia il

predominio austriaco, anzi lo rafforzò grandemente. ……………………A pochi anni dal celebre

congresso, quando nessun sussulto rivoluzionario aveva ancora turbato l’ordine da esso stabilito, si

svolge il viaggio nella penisola di Francesco I, viaggio lunghissimo, durante il

quale……………………Con Francesco I (imperatore d’Austria e fratello del granduca di Toscana) viaggiavano la moglie, il granduca e l’arciduchessa Carolina…………………….quello

stesso pomeriggio (31 marzo 1819) viaggiatori di gran rango raggiunsero Siena per la « strada

romana »: precisamente il principe Antonio di Sassonia con moglie e nipoti. Ripassò da Siena anche

il granduca, congedandosi dall’imperiale fratello a Radicofani. Il 2 a mezzogiorno, egli rientrava a

Firenze quando già era partito per fare il cammino inverso, a Roma anche lui, l’erede al trono,

Leopoldo316.

Gli austriaci, i re delle due Sicilie, il granduca e infine lo zar.

……………………………………………………………………………………………………

……………………………………………………………………Lungo la strada Firenze-Roma, che

accoglie il regolare e anonimo movimento dei periodi tranquilli, le novità che fanno epoca tornano

ad essere, quasi come alla fine del Settecento, i passaggi dei sovrani e dei principi in viaggio per

motivi di Stato o familiari. Tra questi viaggiatori si mobilitano le poste e i curiosi d’ogni grado sociale,

ritroviamo subito il Re delle due Sicilie, ……. Francesco I, …………………….1829. E con il re,

buona parte della corte, perché egli accompagna la figlia che va sposa, una circostanza in cui conviene

compagnia splendida e vistosa. Francesco I, la regina, la principessa Maria Cristina e un altro figlio

di due anni appena, il fratello del re principe di Salerno con la principessa e una figlia e inoltre

«numeroso e nobile seguito» fecero la tappa Roma-Firenze del loro viaggio da Napoli alla Spagna

(Maria Cristina sposava il re di Spagna, appunto) tra il 6 e il 10 ottobre. La famiglia del principe di

Salerno viaggiava sola e avanti agli altri: infatti nel pomeriggio del 7 era a Siena, dove il re non entrò

che due giorni più tardi, alle nove. Da Firenze s’erano già mossi l’incaricato d’affari napoletano e il

commendator Paver, soprintendente delle poste granducali, per ricevere gli ospiti a Radicofani.

……………………………………………………………………………………………………

…………………………Quiete e tranquillità opportunissime presenta dunque la Firenze-Roma nel

dicembre dell’anno 1845, quando per essa transita un personaggio più d’ogni altro forse insofferente

di qualsiasi irregolarità e contrasto. «Questa mattina alle ore cinque e venti minuti è arrivato in questa

capitale, proveniente da Roma, S.M. Niccolò I, imperatore di tutte le Russie, sotto il nome di generale

Romanoff in compagnia dei suoi aiutanti Generali, il conte ed il principe Mentschikoff e con

numeroso seguito, prendendo alloggio alla locanda d’Italia che da tre giorni era ritenuta a sua

disposizione, ove era stata impostata una guardia d’onore……».

Dato che lo zar viaggiava in incognito, e aveva anche rifiutato l’offerta d’essere ospite alla reggia,

Leopoldo II aveva potuto risparmiarsi di andare a prendere freddo a Siena, o peggio che mai, a

Radicofani, mandando al suo posto il gran ciambellano.

Manutenzione o lavori sulla Firenze-Roma dalla Restaurazione all’unità d’Italia. Settore toscano.

316 Cfr. «Gazzetta di Firenze» a. 1819 n. 40 e 41.

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…………………………………………………………………..Per il mantenimento sono

particolarmente indicativi gli anni tra il 1825 e il 1835, quando cioè esso viene dapprima curato dai

nuovi organismi responsabili, il Corpo degli ingegneri e la Direzione di Acque e Strade.

……………………………………………………………………………………………………

……………….il cantone di Ricorsi, fino a tutto il 1834 a G. Coli, che lo aveva dal 1817: gli era stato

rinnovato per mancanza di disdetta. Tratto brevissimo di due miglia e mezzo per l’importo di 1.535

lire: dopo il ’34 sarà tenuto per un anno «a nota» e poi compreso in un nuovo appalto nel 1836. Il

cantone del Rigo, il più lungo di tutti e forse il più difficile (miglia 10,30; 6573 lire annue di

mantenimento) nel ’35 è ………………….

Per i cantoni del Compartimento senese il «concorso» ebbe luogo la mattina del 10 novembre

1855 e diede il seguente esito: …………………………………………; tredicesimo, di Radicofani,

miglia 4,80, a C. Madioni per 2924 lire; quattordicesimo, di Novella e Rigo, miglia 8,19 a D. Madioni

per 4.185 lire.

……………………………………………………………..Durante il quinquennio 1827-1831,

nella parte della nostra strada sottoposta al granduca, vennero eseguiti:

…………………………………., il restauro del ponte dell’Orcia, una protezione lungo il Formone,

lo « sbassamento » di un tratto della salita di Radicofani e restauri diversi attorno al Rigo.

…………………………………. Riparazioni ai ponti del Formone e dell’Orcia

Altro periodo denso di lavori, il 1835-1837. Il tratto interessato è specialmente quello tra S.

Quirico e Radicofani: nuovo ponte a tre arcate sul Vellora (perizia 32.200 lire), ………….riparazioni

ai ponti del Formone e dell’Orcia………

………………………………………………………………..Altro lavoro di quest’epoca

(1840-1850): la rettificazione della salita di San Francesco a Radicofani lavoro di consistenza (600

metri, 7648 lire) ma soprattutto d’utilità. Infatti la salita eliminata, venendo subito dopo la posta,

creava infiniti inconvenienti, perché i cavalli « a petto diaccio » spesso ricusavano di partire.

Dopo queste opere del decennio 1840-50, non ne risultano, sempre sul tratto toscano, altre di pari

impegno. …………………………………………………………………………………… Sarà per

restaurare la platea del ponte del Formone (4000 lire), per risanare avvallamenti a Casa al Sarti e

Baccanello ………………………………………….per rifare le due « serre sotto corrente del ponte

delle Salsole e del Ponte Torto » di là da Radicofani……………………………………..

LA POSTA DI RADICOFANI – a cura di Leonardo Carandini – estratto da

“L’UNIVERSO” rivista bimestrale dell’Istituto Geografico Militare – Anno

XLIV – N. 1 – Gennaio- Febbraio 1964 – Fatto Ristampare a cura del Comune

di Radicofani dalla tipografia Cantagalli – Siena.

(Da questo articolo del Carandini prendiamo soltanto i nomi dei personaggi che sono passati dalla Posta di Radicofani anche se molti di essi danno del posto un’interpretazione alquanto negativa e poco rassicurante. Bisogna però dire che questi personaggi molto spesso avevano a che fare con il freddo e con la furia del vento che in questo posto, essendo a 814 mt. sul livello del mare, tira abbastanza forte!)

L’articolo comincia con la descrizione del posto e dell’edificio della Posta (Questa

Posta, costituita da un grande edificio-albergo eretto dai Medici verso la fine del Cinquecento,

costituì, per tutta l’epoca della carrozza, cioè per circa trecent’anni, una delle più importanti e

pittoresche tappe del viaggio a Roma. Ivi si mutavano i cavalli, si pagavano i dazii, si pranzava, si

pernottava, si trovava conforto e riparo dalle intemperie. È proprio di questa Posta, che, alla luce delle

descrizioni lasciateci dagli antichi viaggiatori, vogliamo qui parlare. Fra il XVI ed il XIX secolo, sono

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poche le «guide», gli «itinerari», le descrizioni di viaggi attraverso l’Italia, che non menzionavano

questa importante tappa situata in uno dei tratti maggiormente disagevoli della via più diretta che dal

Nord conduceva a Roma ed all’Italia meridionale.)

Prima di Radicofani è nominata Mala Mulier o Mulier Mala da documenti del 1071 e del 1107 e dall’Abate Thingoerense nel 1151 e il grande castello che dominava le Valli della Paglia e dell’Orcia già dava il nome al passo fin dal 1191 che viene ricordato dal re di Francia Filippo Augusto.

Il Carandini nel suo articolo ricorda ancora il viaggiatore P.G. Grosley il quale diceva che ancora non era stata riparata la strada dopo lo scoppio della polveriera (1735), lui passava da Radicofani nel 1740, così Leandro Alberti (L. ALBERTI – Descrizione di tutta Italia – Venezia, 1553) parlava dell’asprezza dell’itinerario ed infine

di Montaigne che passò da Radicofani nel 1581 meravigliandosi per il grande traffico di viaggiatori incontrato lassù, aveva scritto: «Le strade erano state riparate in quell’anno stesso per ordine del Duca di Toscana e si tratta di una gran bell’opera, molto utile per il pubblico. Dio lo rimeriti perché queste strade un tempo tanto cattive, sono ora comodissime e molto sgombre, quasi come quelle di una città». (MONTAIGNE – Journal du voyage en Italie en 1580 – 1. Paris, 1774). Nella metà del secolo successivo Martin Zeiller rilevava che andando verso Roma, dopo Radicofani, la strada peggiorasse sensibilmente, fangosa e faticosissima per i cavalli, mentre «fino a Radicofani sono tutte lastricate e coperte di grosse pietre cosicché visi può viaggiare come in una città» (MARTIN ZEILLER- Itinerarium Italiae – Franckfurt, 1640). Il Carandini ricorda poi nel 1786 il memorialista lombardo Gorani, il quale s’era dovuto fermare per due giorni a Centeno perché il ponte era stato distrutto da una piena (G. GORANI – Dal dispotismo illuminato alla rivoluzione – Milano, 1942). Il Carandini parla poi del viaggiatore inglese Moryson Fynes (Moryson Fynes – An itinerary. London, 1617) che passò per Radicofani nel 1584 e s’era fermato in un’osteria di campagna perché ancora non c’era l’Osteria Grossa. Il racconto segue con S. Corradus che passa per Radicofani nel 1589 e già pernottava nel magnifico edificio «extructum a Ferdinando duce commodo viatorum» (Sebastiano Corradus – Itinerarium Italiae totius. Coloniae, 1602). L’Osteria Grossa fu edificata dal Granduca Ferdinando I che costruì pure la bella fontana per abbeverare i cavalli e l’edificio fu costruito vicino all’edificio della fabbrica del salnitro e lo Zeiller nel suo nominato scritto ci dice che il granduca lo eresse per

alloggiare i viaggiatori che non volevano o non potevano salire al villaggio, infatti l’edificio si trova a circa 500 mt. sotto il paese. Il racconto continua con il nominare il viaggiatore Evelyn che passa nel 1644 dicendo praticamente le stesse cose dello Zeiller (Evelyn – Diary. London, 1906). Nel 1609 si era fermato nell’albergo Vincenzo Imperiali il quale dice che si è fermato all’albergo e ha fatto «una buonissima cena» e pernottandovi «ponendo rimedio a tutti i mali che di giorno s’eran passati» L’Imperiali, (G.V. Imperiali – Viaggi. Atti Soc. Ligure di Storia Patria. Genova, 1898) come il Walpole (H. WALPOLE, Letters. Oxford, 1903) scrisse dopo che gli era capitato un incidente «I miei

bagagli, i miei cofani, avevano l’inchino al loro Re al Re di Cofani» e il Walpole immaginava che questo re di cofani fosse uno dei Re Magi, provvisto di oro, incenso e mirra e si chiedeva «Dove Diavolo li avrà mai trovati, dato che tutt’intorno non vi è nulla che possa valere

qualcosa?» «L’Hôtellerie des Grands Ducs», come la chiamava il viaggiatore Lassels che vi ha pernottato nel 1640 (LASSELS, voyage d’Italie. Paris, 1682). In una camera del grande albergo nella notte di Natale del 1675, il Duca di St. Aignan, doveva tenere l’inchiostro per scrivere vicino al fuoco! (SAINT AIGNAN, - Relation du marquis de XXX

pendant son voyage en Italie. Paris, 1672). Della tappa di Radicofani ci parlano il viaggiatore Monconys (MONCONYS – Journal de voyages. Lyon, 1665» che, nel 1666, s’era imbattuto per la strada con il cardinale Grimaldi, e così Spon (J. SPON, - Voyages d’Italie. Bonn,

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1672), che credeva di essere su una delle più alte montagne d’Italia. Si fermarono a Radicofani il Duca di Bouillon (BOUILLON, - Les beautés de l’Italie. Paris, 1673) nel 1670 e, nello stesso anno, Larchier (LARCHIER, - Voyage d’un homme de qualité, Lyon, 1681). Nel 1671 dormì nell’albergo dei Granduchi il figlio di Colbert, il marchese di Seignelay (SEIGNELAY, - L’Italie en 1671. Paris, 1876) e Radicofani è anche ricordato da Jouvin de Rochefort nel 1680. (JOUVIN DE ROCHEFORT, - Voyage de France,

d’Italie et de Malthe. – Paris, 1682). Vi pernottò nel 1688 il viaggiatore Misson Maximilien e verso la fine del secolo, Addison (MISSON, - Nouveau voyage d’Italie. Utrecht, 1722.

ADDISON, - Remarques sur divers endroits de l’Italie. Utrecht 1722). Nel febbraio del 1700, Radicofani venne danneggiata da un violentissimo terremoto. Il benedettino Bernard de Mountfaucon, che era passato di lì pochi giorni dopo, descriveva le case crollate

e l’albergo mediceo quasi completamente distrutto (B.DE MOUNTFAUCON, - Diarium

Italicum. Pariisis, 1702). Non nuova a terremoti, la zona di Radicofani ebbe proprio nel XVIII secolo la serie di peggiori calamità. Così nel 1726, nel 1741 e specialmente tra il 1776 ed il 1778 il paese subì un intenso periodo sismico. Nel 1777 la quasi totalità delle sue case venne seriamente lesionata. L’Osteria Grossa, più tardi chiamata Posta, e prima ancora era una casa per la caccia di Federico I, venne ricostruita dopo il 1700 ed era tanto frequentata che spesso era insufficiente ad accogliere tutti i viaggiatori perché per la via Francesca il traffico era molto grande. Il presidente De

Brosses che vi giunse nel 1739, dovette apprendere, costernato, che un principe di Sassonia con il seguito di cinquanta cavalieri, aveva occupato l’intero edificio facendosi riservare tutti i viveri disponibili. Per non rimanere per la strada il povero viaggiatore francese e i suoi amici avevan di buon grado accettata l’offerta di spartire la cella di un generoso frate del vicino convento dei Cappuccini. (Ch. DE BROSSES, - Lettres historiquesnet critiques sur l’Italie. Paris, 1799).

Walpole vi si fermò con Gray nel 1740. Walpole chiamò osteria l’albergo e brutta fortezza quella di Radicofani! Non l’avrebbe certo disprezzata se avesse saputo che a fortificarla fu Adriano IV, l’unico papa inglese della storia della Chiesa Cattolica! E anche Gray parlò male dell’Osteria Grossa (Th. GRAY, - The correspondence. Oxford,

1935). La strada era sempre affollata e l’Albergo della Posta, come ricordava il Keysler nel 1756, era sempre pieno di gente (J.G. KEYSLER, - Travels. London 1757). Nel 1765 sostava in quest’albergo il viaggiatore Tobias Smollet (T. SMOLLET, The

lettres, Cambridge, 1926) lamentandosi così come Lady Miller (A. MILLER, Lettre from

Italy, London, 1776), Dutens (L. DUTENS, Mémoires d’un voyageur qui se repose, Londres, 1807) ci parla di

un curioso incontro in quest’albergo fra l’Imperatore Giuseppe II ed un barone tedesco.

Il letterato inglese William Beckford (W. BECKFORD, Italy, Paris, 1835) ci fa una descrizione dell’albergo da brivido, invece più fortunato di lui fu il Gran Maresciallo svedese Axel von Fersen, il quale asseriva che nell’albergo era riuscito a vedere, era il 1780, un autentico fantasma! (A.J. HARE, Cities of Central Italy, London, 1884).

Verso la fine del XVIII secolo il Baldassarri, che, In compagnia del Papa Angelo Braschi, vi pernottò il 24 febbraio 1798, mentre Pio VI era condotto prigioniero in Francia (P. BARDASSARRI, Relazioni delle avversità e patimenti del glorioso Papa Pio VI.

Roma, 1889) «Tutti alloggiammo all’osteria della Posta. Pio VI ……..». Nei primi del Settecento, e precisamente 1715 il Conte di Caylus passava per

Radicofani e lodava la cura con cui veniva mantenuta quella via (CAYLUS, Voyage en

Italie en 1714-15. Paris, 1915). Tre anni dopo Labat (LABAT, Voyage en Espagne et en Italie.

Amsterdam, 1731) notava come questa fosse ottima. Nel 1739 il De Brosses (op. cit.) definiva la tappa di Radicofani come la più spregevole; così come il barone di

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Pollnitz che vi passò nel 1740 (POLLNITZ, Lettres et mémoires. London, 1741) Al contrario di Lady Miller l’Abbé Richard (L’ABBÉ RICHARD, Description historique et critique de

l’Italie. Dijon, 1756) notava che gli abitanti assomigliavano più a Savoiardi che a Italiani. Il Coyer (COYER, Voyage d’Italie et d’Hollande. Paris, 1775) nel 1763 si era dovuto fermare, con molti altri, ad Acquapendente a causa della neve che ostruiva la strada per Radicofani. Nel 1757 Madame du Bocage (DU BOCAGE, Recueil des œuvres. Lyon,

1762) parlava di un viaggio terribile così come si è già parlato o di Smollet (op. cit.) e ancora il Grosley (op. cit.) che ci passarono nel 1765. Ma nel 1769 la strada era ritornata bella e ce lo dice M.L. Duteus (M.L. DUTENS. Itinèraire des routes les plus

fréquentées. Paris, 1787), ma già nel 1777 era ridotta in pessimo stato e se ne lamentano nel 1770 il Casanova e più tardi il citato William Bekford. Nel 1785 si lamentava della strada e della natura Mercier Dupaty (MERCIER DUPATY, Lettres sur l’Italie en

1785. Lyon, 1786). Nel 1801 si narrava che erano stati assassinati due corrieri postali e ce lo narra Creuzé de Lasser (M. CREUZÈ DE LESSER, Voyages en Italie et en Sicile.

Paris, 1806). Anche Forsyth (J. FORSYTH, Remarcks. London, 1813) che era passato a Radicofani nel 1802 racconta che un brigante assassinava avendo sulla mano destra una pistola e sulla sinistra un rosario!

Nei primi del XIX secolo lo Chateaubriand (CHATEAUBRIAND, Mémoires d’autre

tombe. Paris, 1952) racconta la sua impressione su Radicofani definendo «lunare» il suo paesaggio. Nel 1804 Madame de la Recke ( M. DE LA RECKE, Voyage en Allemagne

et en Italie. Paris, 1819) aveva incontrato degli sbirri che l’avevano avvisata che il papa

Pio VII sarebbe passato di lì e che il suo seguito aveva occupato tutte le stanze dell’albergo di Radicofani; tra le descrizioni dell’albergo della posta di Radicofani ci rimane quella del luogotenente generale di gendarmeria che accompagnava: il papa il barone Radet (RADET, Relazione esatta e circostanziata del violento trasporto del Papa Pio

VII. Milano, 1809); il quale doveva portarlo a Parigi per incoronare Bonaparte, e quando il papa ritornò nel 1814 a Roma si fermò ancora nell’albergo di Radicofani e volle dormire nella stanza dove aveva dormito prigioniero e ricompensare coloro che nella sfortuna lo avevano assistito.

Nel 1817 Stendhal (STENDHAL, Rome, Naples e Florence. Paris, 1955), il quale per le cattive condizioni della strada la carrozza si era guastata. Nel 1811 il viaggiatore Petit-Radel (P.PETIT RADEL, Voyages dans les principales villes d’Italie. Paris, 1815) vi passò e dovette farsi aiutare da una coppia di buoi per arrivare a Radicofani. E Prunetti (M. PRUNETTI, Viaggio pittorico antiquario d’Italia e di Sicilia. Roma, 1820) nel 1820 raccomandava ai viaggiatori che bisognava guadare i torrenti solamente quando questi erano rientrati nel solito letto. A Radicofani continuava ad essere mantenuta la dogana ma ovunque i doganieri erano corruttibili; John Bramsen nel 1815 (J. BRAMSEN, Travels. London, 1820) li aveva trovati gentili e premurosi. Anche il De Montulé nel 1817 (DE MONTULÉ, en Amerique et en Italie. Paris, 1821) narrava di aver evitato la noia dei doganieri con un po’ di denaro, e si stupì della facilità con cui erano disposti ad accettarlo. Il francese Sismond vi era giunto nel 1818 (L. SISMOND, Voyage en Italie et en Sicile. Paris, 1820) e vi parla molto bene dell’albergo e della vista “bellissima” che da esso si godeva. Pochi giorni dopo, nel 1823 passava dall’albergo la viaggiatrice Lady Blessington (BLESSINGTON, The idler in Italy. London, 1839), la quale si lamentava del freddo che aveva sofferto in luglio. Anche un ufficiale dell’Imperiale Regia Truppa Austriaca si era preoccupato di pubblicare in Siena una diligente «Descrizione della montagna e del paese di Radicofani» (L.DE PEDROTTI, Siena, 1823). Ancora nel 1825 un’altra viaggiatrice inglese Mrs. Jameson, era contenta, scriveva di essere nell’albergo e non fuori dove c’era molto vento (A. JAMESON, The diary of an

ennuyée. Boston, 1887). Per chi veniva dallo stato della Chiesa molti viaggiatori, sovente,

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vedevano che rientravano nella civiltà e ciò ce lo fa notare Valery (M. VALERY, Voyages litteraires, historiques et critiques en Italie. Paris, 1838), mentre non era dello stesso parere l’inglese Evans (V. D. EVANS, The new classical tour through Italy. London, 1830) il quale apparteneva a quel tipo di viaggiatori che il Toppfer (R. TOPPFER, Premiers

voyages en zig-zag. Paris, 1903) definiva «no-no», quelli cioè per i quali in Italia nulla andava bene.

Anche al De Mengin-Fondragon (C.DE MENGIN-FONDRAGON, Nouveau voyage en

Italie. Paris, 1933) non era piaciuta la zona di Radicofani e così il conte di Chambord (CHAMBORD D’ARTOIS, Voyage en Italie en 1839-40. Paris, 1933) il quale, però, doveva convenire che, inoltratosi negli stati della Chiesa, aveva lasciato alle spalle la civiltà,

Tre viaggiatori Boyd (W. BOYD, A guide though Italy. London, 1833), Poujoulat (M. POUJOULAT, Toscane et Rome. Bruxelles, 1840) e Taylor (C. TAYLOR, Letters from Italy to

a younger sister. London, 1840) dicevano che l’albergo era sempre molto frequentato e si era rivelato molto confortevole.

Nel 1840 anche John Ruskin aveva annotato che l’albergo d’aspetto malinconico era confortevolissimo (J. RUSKIN, The diaries. Oxford, 1956), anche se ci ripensò un anno dopo.

Alcuni anni dopo un celebre inglese, Charles Dickens passava per Radicofani e anche lui non ne ha avuto una buona impressione (CH. DICKENS, Pictures from Italy.

London, 1889) così come Nathaniel Hawthorne (N. HAWTHORNE, Passages from the

French and Italian notebooks. London, 1883) asserisce che fra tutti gli alberghi da lui frequentati nella sua vita quello di Radicofani è il più desolato.

Qui voglio ricordare, visto che non lo ricorda il Carandini, il grande Vittorio Alfieri che passa da Radicofani a dicembre del 1766 e il suo cameriere si ruppe un braccio ed è costrette a chiedere aiuto ad un chirurgo di Radicofani che dichiarò che il braccio era perfettamente messo a posto sì come lo aveva messo il cameriere da solo! (V. ALFIERI, Vita (scritta da lui stesso). Salani Editore. 1964.

(A proposito della Posta di Radicofani c’è da ricordare che accanto a questo grosso immobile ve ne era costruito un altro - che c’è tuttora – e serviva da lavorazione del Salnitro, infatti di fronte all’albergo, e accanto alla “Fontana” vi erano delle stalle piene di concimi che servivano a questo scopo e lo ricorda il

Gherardini nel suo ms. D. 83 nell’A.S.S. a pag. 56 del libro: memorie di un’antica terra di

Frontiera e di fortezze - a cura di Beatrice e Renato Magi – maggio 2006 – Tipografia 200 – Abbadia

S.S. –già citato che dice: la terza parte dei fondi di detta Osteria delle stalle dei muli è ripiena di

Concime per il Salnitro e …..). Nel tempo fu cambiato il tutto con la costruzione di stalle sul davanti, come sopra specificato.

Viaggiatori stranieri in terra di Siena – a cura di Attilio BRILLI –

Stampato a cura del Monte dei Paschi di Siena da De Luca Editore, s.r.l., Roma

Nell’anno 1986.

Questo libro, che riporta le testimonianze dei viaggiatori stranieri in terra di Siena, è interessante per quanto riguarda tutto ciò che allora era considerato civile e quanto non lo era, anche se molte cose di cui si racconta vanno prese con le molle

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specialmente quelle raccontate dalle viaggiatrici britanniche. Le parti scritte fra parentesi sono quelle riportate nel libro.

Una cosa da tenere presente che nelle carte del XVIII secolo la Posta di Radicofani era messa come fosse un’altra località a sé stante!

L’Albergo “Osteria Grossa” ovvero la Posta nel libro suddetto viene, a parte le citazioni piccole nella prima parte del libro, citata con criticità, che più sotto riporteremo, a partire dalla pagina 170 e segg. quando John Evelyn (1620-1706), scrittore inglese, si ferma alla Posta di Radicofani:

……finché non fummo saliti alla locanda di Radicofani costruita dal Granduca Ferdinando per

il ristoro dei viaggiatori in un luogo così inospitale. ……………………………Questa è stata una

delle più piacevoli, nuove e straordinariamente sorprendenti vedute che abbia mai scorto.

Sulla sommità di questa orrida roccia (perché tale è) s’erge un poderoso fortino ……………..

……..Proprio di fronte alla locanda sgorgava una copiosissima ed utile fontana che riversa la

propria acqua su un grande truogolo di pietra con lo stemma del duca di Toscana.

A pag. 174 arriva a Radicofani Richard Lassels (1603? - 1668) sacerdote di religione cattolica che compì diversi viaggi in diversi paesi dell’Europa:

………………………… e quindi a Radicofino, possente castello su un alto colle, costruito da

Desiderio re dei Longobardi. Questo è l’ultimo luogo dello stato fiorentino, ma non il meno

importante per la forza.

Dopo aver pranzato alla locanda del Granduca ai piedi della collina, ci recammo a prendere

alloggio a Acquapendente…..

Sempre nella stessa pagina racconta lo scrittore e viaggiatore francese François

Maximilien Misson (1650? – 1722):

……ai piedi della montagna di Radicofani che dà il nome al borgo ed alla cittadella, avvolti dalle

nubi per gran parte dell’anno e situati in cima alla vetta. Costretti a fermarci là a dormire da un

violento temporale, ci è sembrato che per tutta la notte i tuoni brontolassero sotto i nostri piedi.

Lasciata Radicofani alla volta di Siena, si incontrano soltanto montagne spoglie o quasi del tutto

sterili. (Bisogna capire che durante i secoli precedenti tutte le terre vicine, soprattutto quelle dove c’era la strada che percorrevano i viaggiatori, e da quella partivano le altre strade, erano state disboscate fin dal medioevo. Già nello Statuto del 1441, si parla di una contesa fra Radicofani ed Abbadia S. Salvatore per una macchia situata a ridosso del Formone, quindi dopo tre secoli figuriamoci come doveva essere il paesaggio intorno!)

A pag. 177 a Radicofani passa lo scrittore inglese Joseph Addison (1672 – 1719) che ci racconta, io non sono assolutamente d’accordo con tutto quello che scrive ma solo in parte:

Il castello di frontiera di Radicofani s’erge sulla montagna più alta della contrada ed è ben

fortificato, come consente la configurazione del luogo. Vi scoprimmo un ben diverso volto della

natura, rispetto a quello che ci aveva intrattenuto nei domini papali. Infatti al posto delle molte e belle

scene di verdi montagne (mi viene da pensare che questi personaggi non vedessero fino in fondo il paesaggio dato che, benché effettivamente intorno a Radicofani fosse tutto spoglio e pieno di rocce brulle, ciò era dovuto anche al fatto che le fortezze dovevano essere sgombre da qualsiasi cosa che avesse impedito la visualità, ma non credo che l’Amiata e il Cetona apparissero nudi!) e di fruttifere valli, che ci avevano accompagnato per

diversi giorni, ora non c’era dato scorgere altro che la vista nuda e selvaggia di rocce brulle colline

scavate da ogni parte da canaloni e rigagnoli, e non un albero, un cespuglio che ci venisse incontro

nell’ampio giro d’orizzonte di miglia e miglia. Questo scenario mi riportò alla mente un proverbio

secondo il quale, dell’Italia “Il Papa ha la ciccia e il Granduca le ossa”.

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In questa vasta estensione di montagne desolate, scorsi un unico appezzamento coltivato sul

quale si levava un convento (questo pezzo mi fa venire in mente il convento di monache di cui si parla nello Statuto del 1441 alla rubrica 39 a pag. 132e che ho già citato)

A pag. 183 e 184 parla Charles De Brosses (1709 – 1777) magistrato e scrittore francese che dice:

… arrivammo a notte fonda a Radicofani, più sinistro di quanto fu mai Croupillac, nota a tutti i

viaggiatori come il rifugio più detestabile d’Italia.

Un attimo prima di noi era giunto là anche il principe di Sassonia, figlio primogenito del re di

Polonia, la cui carrozza era tirata da cinquanta cavalli, particolare commovente per persone abituate

a dieci cavalli. Ma la disgrazia più grande non fu sapere che aveva fatto fermare là, oltre i propri

cavalli, anche tutti quelli delle poste successive che li avrebbero sostituiti; dovemmo sopportare che

occupasse, per sé e per il suo seguito, tutti gli alloggi di quel misero buco, e peggio ancora, venimmo

a sapere che aveva consumato tutti i viveri, senza risparmiare neppure una briciola di pane. Restammo

dunque una mezz’ora in strada, senza andare né avanti né indietro, nel pietoso stato che vi

immaginate. La nostra sorte non poteva essere più penosa; la fortuna ci riservava il punto più basso

della sua ruota e, sapendo come vanno le cose umane, la nostra situazione non poteva che migliorare;

così fu. Il primo astro che rischiarò ai nostri occhi quella tempesta fu un frate cappuccino che,

commosso dalle nostre miserie, si offrì di distendere dei materassi nella sua cella per farci dormire.

Venne poi un contadino, disposto ad accendere un fuoco nella sua cantina per farci asciugare. Ma

tutti quei deboli palliativi non servivano a calmare la crisi del mio stomaco. Decisi perciò di entrare

nella locanda in cui il principe stava cenando e di chiedergli se sarebbe stato così crudele da

continuare a gozzovigliare mentre io stavo morendo di fame. In cima alle scale incontrai un lacchè,

o meglio un angelo custode, a cui dissi di essere un povero gentiluomo della Savoia a digiuno da otto

giorni. Se avesse potuto procurarmi gli avanzi dei piatti, gli avrei giurato eterna riconoscenza. E feci

scivolare nella sua mano un mezzo-luigi. L’uomo partì come un fulmine; lo seguii con la coda

dell’occhio fino alla tavola. Mai si era visto un lacchè tanto rapido nello sparecchiare i piatti e tanto

servizievole nei confronti del capocameriere. Lo vidi tornare con una prima pietanza eccellente e

pressoché intatta, quattro pani ed una grande bottiglia. Portammo tutto velocemente in cantina, dove

il bravo lacchè fece addirittura sei viaggi recando ogni volta un nuovo piatto. Facemmo una cena

davvero regale e, per colmo di fortuna, verso la fine ci avvertirono che i cuochi del principe si erano

alzati per andare a preparare il pranzo dell’indomani. Se lo desideravamo, i loro letti erano ancora

caldi. Non ce lo facemmo ripetere due volte; il cappuccino aveva fatto inutilmente i suoi preparativi

e noi aspettammo tranquilli che i cavalli fossero in grado di condurci là.

Alla pag. 187 troviamo il racconto di Thomas Gray (1716 – 1771) e del suo arrivo a Radicofani:

……..appare la campagna prima di giungere al monte di Radicofani, una terribile, nera collina a

sommo della quale avremmo dovuto pernottare. È proprio una collina altissima e difficile a salire.

Ai suoi piedi restammo assai imbarazzati dal vedere stramazzare uno dei poveri ronzini che ci

trainavano. L’incidente costrinse un’altra carrozza che stava scendendo dal monte a fermarsi. Dallo

sportello fece capolino una figura dal mantello rosso, con un fazzoletto avvolto attorno alla testa la

quale, dalla voce e dal modo di gestire, sembrava una donna grassa. Ma quando uscì, si rivelò essere

Senesino (Francesco Bernardi cosi chiamato era il celebre cantante lirico castrato - Siena 31/10/1686 Siena- 27/11/1758) che tornava da Napoli a Siena, città dov’era nato e

dove risiedeva.

Sulla parte più alta del monte c’è una vecchia fortezza e vicino ad essa un edificio costruito da

uno dei granduchi con funzioni di casino da caccia, ma oggi mutata in locanda. Da fuori è un grande

edificio, ma che interno, che stanze, che sistemazione! Al suo confronto la tua cantina è un palazzo!

Inoltre, essendo la vigilia di qualche santo, da mangiare non c’erano che uova. Divorammo il magro

pasto e, dopo aver tappato le finestre con le coperte che avevamo con noi, ci sdraiammo sulla paglia

completamente vestiti. Son questi gli inconvenienti di una strada che viene considerata, per così dire,

la più importante arteria del mondo intero.

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Alla pag. 190 parla il Sig. Alban Butler (1711 – 1773) sacerdote inglese il quale è autore di varie opere religiose:

Da Siena a Roma, attraverso Radicofani, Acquapendente e Viterbo, ci sono tredici poste italiane

ad una distanza di circa centodieci miglia di strada, parte buona e parte, specie al confine della

Toscana, brutta e accidentata. Partimmo tardi da Siena, e passando da Lucignano, Buo-convento, San

Quirico ecc. arrivammo a Scala, una misera casa che funge da posta ai piedi del monte di Radicofani.

Walpole preferì sostare qui, senza alcuna effettiva sistemazione, piuttosto che arrischiarsi a risalire

ad ora tarda questa tremenda, scabra rupe. Noi invece proseguimmo e giungemmo sani e salvi, e in

breve tempo, a sommo di questo squallido monte la cui ascesa copre una posta di otto miglia. A

Radicofani trovammo ambienti migliori di quelli di sotto e una sistemazione passabile, per una

località così derelitta. Questa è l’ultima terra toscana e il granduca ha qui un castello per sorvegliare

il passo. Vicino a Radicofani, su di un alto colle, si leva Chiusi, l’antico Elisium, capitale del re

Porsenna, re degli Etruschi o Toscani; e più in alto c’è Montepulciano, moderna cittadina fortificata

che sovrasta una dolce e fertile pianura; e al di là ………………

Continuando nella lettura a pag. 197 il Sig. Jean Pierre Grosley (1718 – 1785) uomo politico e studioso di leggi, storia e costumi ci informa:

Radicofani, che è ora la prima posta in territorio toscano, appartenne per lungo tempo al papa. È

una montagna immensa e maestosa con in cima una cittadella che, vista dal di sotto, sembra un

paesino. Si dice che la cittadella sua stata costruita dai Longobardi ed è stata riattata, con spese ingenti,

da Adriano IV. Anche i duchi di Toscana, oltre a migliorare i vecchi edifici, ne hanno aggiunti di

nuovi. Ma intorno al 1740 gran parte delle costruzioni venne distrutta dal fuoco e non è stata ancora

ricostruita del tutto.

Verso mezzogiorno, Radicofani offre la vista del mare e degli stati dei Presidi; a settentrione dà

verso l’antica Clusium e verso quella parte della Toscana che è più famosa nella storia romana. La

fortezza di Radicofani fu teatro della curiosa avventura accaduta ad un abate di Cluny che da Roma

si recava a Siena per rimettersi in salute. Essa costituisce materia della novella novantaduesima del

Boccaccio che la narrò con tutta la naturale piacevolezza per cui è rinomato.

A pag. 200 vi è il racconto di Tobias Smollett (1721 – 1771) scrittore scozzese, che ci racconta:

Trascorremmo la notte in un posto detto Radicofani, un villaggio e un fortino posti a sommo di

un’altissima montagna. La locanda si trova ancora più in basso del paese. Essa è stata costruita su

finanziamento dell’ultimo granduca di Toscana; è una stamberga immensa, freddissima e quanto mai

scomoda. Verrebbe da pensare che sia stata costruita a bella posta per essere gelida, se non fosse a

questa altitudine, tanto è vero che anche nel cuore dell’estate i viaggiatori sarebbero ben felici di

avere un bel fuoco nelle loro stanze. Ma ce ne sono ben poche o nessuna che hanno il camino, e non

ci sono letti che abbiano il baldacchino o almeno la testata. La campagna tutto intorno è squallida e

spoglia.

La nostra lettura arriva fino a pag. 222 e qui ascoltiamo cosa dice Marquis De Sade che passa per Radicofani nel 1775 (Donatien-Alphonse-François De Sade 1740 – 1814) scrittore francese, esponente per antonomasia del più sfrenato erotismo a cui dedicò una decina di romanzi:

Da San Chirico arrivammo per pranzare a Radicofani, estremo baluardo della Toscana. La strada

continua sempre a salire, ma è comunque agevole e ben tenuta. Radicofani possiede una fortezza

apparentemente imprendibile. Sembra confermarlo la stessa posizione. Si dice che si trovi sul punto

più alto dell’Appennino. Il paese, vecchio e mal costruito, è situato sullo stesso sperone roccioso della

fortezza, ma a mezz’altezza. Non è possibile giungervi in carrozza. La locanda, posta lungo la strada

proprio di fronte al paese, è proprietà del granduca che vi abita quando si reca a visitare le frontiere.

Il figlio ha portato a termine quello che il padre aveva cominciato, smantellando completamente la

fortezza, al punto che si dice che non sia stato risparmiato neppure un fucile. Guardando però la

situazione politica dell’Italia, sembra che essa potrebbe essergli un giorno di grande utilità. Ma basta

con queste riflessioni che son proprie di un semplice osservatore. La cittadella della fortezza è stata

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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abbattuta facendo ricorso alla polvere da sparo. Contro di essa fece fuoco un ufficiale invidioso per

non aver ottenuto il comando. Era provveditore o generale, fratello del cardinal Pietri, ed il tutto

avvenne trentasette anni fa. (Non date retta a questo proposito all’abate Richard). Il comandante morì

seppellito sotto le pietre che si vedono lungo la strada e che hanno tanto infastidito il signor Richard.

Non sono altro che rovine, a testimonianza di quel terribile disastro.

Andando avanti nella lettura di questo libro arriviamo a pag. 226 e 227 con lo scrittore inglese William Beckford di Fonthill (1759 – 1844) che passa da Radicofani nel 1780 e che racconta:

…..Dopo essere stati sbatacchiati ben bene e scossi a non finire nelle peggiori strade che mai

abbiamo avuto l’ardire di portare questo nome, ci ritrovammo sotto le scabre montagne vicino a

Radicofani che saranno state le sette di una serata gelida e desolata. Prendemmo a salire faticosamente

per un’erta rocciosa e scoscesa, e alla fine raggiungemmo la locanda che si trova in cima. Mi venne

meno il cuore quando feci il mio ingresso in una serie di ambienti dagli alti soffitti anneriti che un

tempo fungevano da casa di caccia del Granduca, mentre ora hanno un aspetto squallido e derelitto.

Poiché s’era levato il vento, le porte presero a scuotere e le tavole che fungevano da imposte a

sbattere; era come se la suprema Possa che dimora sul picco più alto di Radicofani stesse per far

visita, come dicono gli esperti di mitologia del villaggio, ai suoi domìni. L’unico incantesimo a cui

potevo ricorrere per tenerlo a distanza, era di accendere un gran fuoco i cui bagliori caritatevoli

fossero in grado di sollevare lo spirito e di conferirgli più vivaci guizzi. Ciò malgrado, per alcuni

minuti non smisi di guardarmi attorno, ora a destra, ora a sinistra, ora in alto alle oscure travi, ora in

basso ai lunghi corridoi ove il piantito sconnesso in più punti e la terra rimossa da poco sembravano

far supporre che là sotto fosse celato qualcosa di orribile. Una tetra congrega di gatti cominciò a

gironzolare avanti e indietro in questi anditi desolati che mi immagino costituiscano, in certi periodi,

una scena analoga a quella del sabba delle streghe. Ma non mi avventurai a esplorarli, anzi chiusi a

chiave la porta, piazzai il letto proprio davanti al focolare riverberante pe’ carboni ardenti e mi

introdussi fra le coperte senza però arrischiarmi a dormire per paura di essere ridestato da un

improvviso barbaglio di torce ed essere assai più a fondo iniziato nei misteri del luogo. M’ero appena

sistemato, allorché entrarono da un’apertura sotto la porta due o tre membri della suddetta accolta.

Imposi loro di andarsene più in fretta di come erano entrati, temendo che in breve potessero mutarsi

in maghi; ma quando venne la mezzanotte restai sorpreso di non udire null’altro che i loro miagolii

abbastanza lamentosi ed echeggiati dalle cave pareti delle volte.

Radicofani, 28 ottobre

Comincio a disperare di poter vivere avventure magiche, dal momento che nulla si è verificato a

Radicofani, un luogo che sembra essere abbandonato dalla natura. Non un albero, non un acro di terra

ha essa voluto elargire ai suoi abitanti, i quali avrebbero avuto, più d’ogni altro, attenuanti per

praticare quelle arti magiche. Ero assai felice di lasciare le loro nere colline e quella desolazione

petrosa, e di entrare nei territori del Papa e scorgere da lontano qualche cespuglio……………….

Come si può vedere sia De Sade che Beckford de Fonthill passano da Radicofani in ottobre e quindi è capibile il freddo che vi hanno trovato; ma passiamo alla pagina 251 dove troviamo il racconto di Samuel Rogers (1763 – 1855) poeta e letterato inglese che passa da Radicofani nel marzo 1814 e scrive:

Mercoledì, 29 marzo. La montagna. Radicofani sulla sommità. Le allodole che cantano. Vista

desolata da un lato e dall’altro. Proceduto con i muli; discesa graduale in un passaggio più morbido

– incontrata una fila di soldati e successivamente il corriere del Granduca, tutti a domandare le ultime

notizie.

Continuando a sfogliare il libro arriviamo alla pag. 256 dove racconta il signor Joseph Woods (1776 – 1864), architetto inglese, durante la sua venuta in Italia nel 1817:

…………….attraverso una campagna squallida, simile alla peggiore del giorno prima, fino a

Radicofani. Il villaggio si leva su un poggio e la locanda di posta si trova ai piedi di una massa

vulcanica di tufo che corona una alta collina di creta senese. Questo gruppo di monti è del tutto

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separato dagli appennini e si leva come un’isola fra l’Arno, il Tevere e il mare. Una ripida discesa

sulla medesima creta desolata, ci condusse a Torricelli …………………………

Seguitando a ricercare tutti coloro che sono passati da Radicofani a pag. 262 troviamo la descrizione che fa Marianna Starke (1762 – 1838), scrittrice inglese, nel 1818:

Vicino alla montagna di Radicofani il terreno è vulcanico, mentre la campagna assume un aspetto

selvaggio e desolato; la strada comunque è proprio buona. La salita è di cinque miglia e la discesa è

uguale. Radicofani, che si leva a duemilaquattrocentottanta piedi d’altezza sul livello del mare,

ostenta alla sommità cumuli enormi di pietre che si crede siano la bocca di un vulcano spento. La

posta, che non è distante da questo luogo, ha una buona locanda. Il fortino che si trova vicino ad essa

era un tempo ritenuto inespugnabile, anche se oggi sta cadendo in rovina. Qui si trova il confine della

Toscana; e ai piedi della montagna, sulla via che porta a Torricelli, si traversa un torrente che talora,

dopo le piogge, diventa pericoloso. Oltre Torricelli, si trova Ponte Centino……

Come si vede le notizie che ci danno i viaggiatori sono frammentarie e alcune fuorvianti o addirittura false soprattutto quelle dell’architetto. Continuando si trova il racconto che ne fa nel 1823 Lady Blessington (Margaret Power, contessa di Blessington, fu uno degli astri dell’aristocrazia londinese della prima metà dell’ottocento (1788 – 1849), a pag. 268 e 269:

Radicofani, 3 luglio. Non c’è nulla di più triste e monotono della strada che conduce da Siena a

questo posto, a meno che non sia Radicofani stessa, una località così sterile e cupa, quale mai

viaggiatore fu condannato a contemplare. I segni della terra vulcanica, sparsi tutti attorno in massi

enormi ed informi di roccia, lo scuro e arido succedersi di groppe fin nelle più remote lontananze,

danno al luogo un’aria di desolazione che opprime l’animo di coloro che vi volgono lo sguardo. E la

locanda si armonizza bene con questo scenario selvaggio, poiché è squallida al di là di ogni

descrizione! Qui il clima stesso partecipa al grigiore della gelida influenza del paesaggio; ed io,

avvolta in uno scialle indiano ed in una mantella di folta pelliccia, siedo senza alcun conforto in questa

stamberga che nemmeno una catasta di legno potrebbe riscaldare, e aspetto e mi chiedo se possa

essere davvero questa l’Italia. Solo ieri, crogiolandosi al sole, sentivamo caldo oppressivo e ora

sperimentiamo il freddo di un inverno nordico. Quanto sarebbe arduo sopportare un così repentino

cambiamento di clima per un malato spedito qui dall’Inghilterra – paese colmo di surrogati che creano

una atmosfera piacevole – a cercare il beneficio di un clima mite. In queste circostanze, pochi

potrebbero sfuggire all’influenza nociva di Radicofani.

Nel corso del viaggio siamo passati da Buon Convento, un luogo tanto squallido, quanto il gesto

che vi fu commesso e che ne ha tramandato il nome ai posteri. Mi riferisco all’avvelenamento

dell’imperatore Arrigo VII a mezzo del sacramento amministratogli da un frate domenicano. Le

riflessioni che un crimine così oscuro, messo in atto da un furfante della peggior specie, solleva sono

rese ancor più tenebrose dalla vista e dall’aspetto sterile selvaggio dello scenario in cui fu consumato

il fatto. Questo aspetto selvaggio pervade l’intero tratto di strada che mena da Buon Convento a

Radicofani, un tratto che sembra esser stato fatto apposta per i briganti.

Oggi cosa direbbe Lady Blessington di Radicofani inserito nel patrimonio mondiale dell’Unesco con tutta la Val d’Orcia? Certamente non è più come lo vide lei ed è meno spoglio di prima.

Dopo la versione che ne dà la Lady Blessington, che mi sembra alquanto pessimistica, per non dire peggio, troviamo la lunga descrizione che ne fa il signor William Hazlitt (1778 – 1830) saggista e critico inglese nell’anno 1825, siamo alle pagg. 271 e 272:

Con l’aiuto della tenebra circostante, avvolti come in un sudario dalle folate di bruma (tali erano

mentre passavamo), gettano la mente indietro nel tempo in uno stato d’ipnosi, e dalle mura cadenti

s’ode il grido del festino di mezzanotte, del delitto di mezzanotte. Il ponte romantico e il villaggio

sotto di loro segnano l’inizio della salita di Radicofani. La vasta rovina che si trova sulla vetta ti si

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presenta alla vista e scampare più volte nel corso della lunga, tortuosa, estenuante ascesa. Sopra una

terribile vallata sulla sinistra, scorgemmo i lontani colli di Perugia coperti di neve (veramente quelli che William vede sono i lontani Appennini con il Gran Sasso e la Maiella!), scuriti

dalla nuvolaglia, mentre la pioggia gelata cadeva attorno. Quando ci dissero che la locanda di posta

si trovava dall’altra parte del forte (ad un’altezza di duemilaquattrocento piedi sul mare), e che

avremmo dovuto trascorrerci la notte, avemmo un sobbalzo. Era come essere alloggiati in una nuvola:

sembrava proprio la cuna delle bufere e delle tempeste. Nel momento di svoltare ai suoi piedi, fummo

sollevati dall’oppressione. Si trattava di una fortezza costruita dalla più strenua violenza, e la si

sarebbe potuta dire in grado di sfidare il mondo sottostante e di dare un sicuro ricetto a quanti si

fossero trovati nei paraggi. Possenti cumuli di pietre rotonde, ruvide come se fossero state di ferro,

capaci, a vederle, di fracassare i piedi che si fossero avventurati fra di loro, erano rotolate sullo spiazzo

fra il colle e la strada. La torretta principale, o di mezzo, che si levava fra le altre due, costituiva al

momento un riferimento prospettico grazie alla nebbia; sotto ad essa si trovava un brandello di cinta

muraria, semi coperto dall’edera; accanto poi c’era il campanile di una vecchia cappella costruito con

mattoni rossi e un villaggio minuscolo appollaiato fra i bastioni. Il suo aspetto imbronciato e la sua

forza preternaturale mi fecero venire in mente il castello del Gigante Disperato nel Viaggio del

pellegrino (Si tratta della celebre opera del puritano John Bunyan, The Pilgrim’s Progress (1684)).

Si sarebbe potuta avere l’impressione che lo spirito oscuro e deciso d’altri tempi si fosse annidato in

questo suo ultimo ricetto; si fosse affacciato e avesse irriso a botri e bufere, nonché ai gracili assalti

di bande ostili: e appoggiandosi al rosso braccio destro si fosse lasciato andare in malora, per mera

inazione e disuso, nella sua inavvicinabile solitudine e nella sua barbara desolazione. Non ho mai

visto alcunché di così aspro e imponente, di così formidabile, in altri tempi, e di così negletto all’oggi.

Era l’ombra maestosa di un possente passato sospesa in un’altra regione, appartenente ad un’altra

epoca. Avrei potuto congedarmene con le parole del vecchio Burnet (G. Burnet, Some Letters (1686)

relative al viaggio in Italia) il cui latino riverbera fra questi gelidi colli, Vale augusta sedes, digna

rege; vale augusta rupes, semper mihi memoranda! Facemmo il nostro ingresso nel cortile della

locanda che aveva tutto l’aspetto (come accade con la gran parte delle locande fuori mano) di una

caserma, con le varie stanze simili a camerate d’ospedale e le enormi stamberghe concepite per

raccogliere uomini d’armi, ora vuote, tetre, senza alcun mobile; ad ogni modo trovammo qui un

benvenuto davvero ospitale, e con l’aggiunta di una doppia mancia ai camerieri tutto filò per il meglio.

La prima cosa da fare era procurarsi del latte per il nostro tè (ne avevamo portato un tipo buono,

comperato dal signor Pippini a Firenze) e quindi metterne da parte il necessario per il resto della

giornata. Non ci dispiaceva trascorrere la notte a duemilaquattrocento piedi sul livello del mare e alla

base della celebre fortezza. I venti “mugghiavano attraverso le vuote guardiole e le sale deserte” del

nostro ostello, la neve scendeva a larghe falde e copriva le valli; ma Radicofani apparve immutabile,

il mattino seguente, quando guardammo dai finestrini della carrozza, vecchia, bigia, tetra,

abbandonata, come se fosse sopravvissuta a “mille bufere e mille inverni” – col solito contadino che

arrancava su per i solchi e il solito viandante che sollevava lo sguardo per osservare i suoi bastioni –

ma lassù non avrebbero più scintillato né lancia, né l’ascia, non si sarebbe più visto fluttuare al vento

il vessillo, non si sarebbe più udito nel rotolare veloce e sempiterno degli anni il clamore della

battaglia – essa guardava indietro ad altri tempi così come noi ci voltavamo a guardar lei, e

troneggiava sulla sua decadenza ammiccando alla requie eterna! Qui come in altre parti d’Italia, la

strada venne progettata, e di fatto costruita in origine per il transito degli eserciti. Invece di strisciare

sul fondo valle, essa percorre i profili delle colline al fine di prevenire le imboscate o per tener

d’occhio i movimenti del nemico, pertanto essa controlla un’estesa superficie di territorio.

Fu molto prima che scendessimo, un tornante dopo l’altro, nella vallata, che perdemmo di vista

l’ostello della nostra ultima notte.

Subito dopo il racconto del signor Hazlitt, a pag. 275 e a pag. 277 e segg. ci narra la sua avventura a Radicofani il signor John Ruskin (1819 – 1900) critico d’arte, moralista e saggista inglese che vi passò nel 1840:

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25 Novembre. Radicofani. Ho dato uno sguardo curioso, dalla finestra del nostro brutto salottino

a Siena, alle numerose case di mattoni, variate da finestre ad arco e da enormi pilastri e ad una torre

ottagonale dal tetto piatto. (Ora, ditemi voi, questo saggista inglese ha il coraggio di parlare male di Siena!) In lontananza una pianura e gli Appennini. Situata su un’erta collina,

Siena è visibile con perfetta chiarezza a dodici miglia di distanza. La campagna è un’unica estensione

di fanghiglia chiara a strati sottili, in gran parte erosa e segnata dall’acqua, ridotta a singolari alture e

crinali simili ad enormi ammassi di fango che rendono la strada un perpetuo Sali e scendi; davvero

squallida, poco adatta alla coltivazione e ancor più desolata data la

stagione…………………………………………………………………..

La strada era troncata da una catena di montagne appena spruzzate di neve; il sole tramontava

dietro le nuvole grigie che coprivano, grevi, i colli verso destra. Nel punto in cui penetravano le nubi,

le montagne gettavano un’ombra di un azzurro cupo sulla superficie sottostante, mentre tutto il resto

si tingeva di un cremisi fiammeggiante. La porzione di cielo più in basso era color ambra e ricopriva

una catena di bei colli aguzzi con uno splendore ancora più duro e intenso, che catturava le torri di

Radicofani di fronte a noi, sgradevoli costruzioni in mattoni rossi, ma tanto più calde, che si ergevano

su di una massa di basalto e lava scagliata lungo il fianco della montagna. La locanda è malinconica

all’apparenza ma assai confortevole, ed io sto scrivendo in una stanza dall’aspetto molto civile con

un tappeto sontuoso e un camino di legno lustro, mentre il vento ulula nel corridoio esterno ed

attraverso cinquanta serrature, in modo tanto furioso che mai ne ho udito l’uguale, né al Grimsel, né

al Gran San Bernardo. Oggi la campagna è stata detestabile e del tutto deludente.

27 Novembre. Viterbo. Alba selvaggia su Radicofani; un vento terribile e nuvole scure e

minacciose che frammentano la luce. Quando siamo partiti il freddo era intenso e il vento tagliente

come una lama. La grande locanda, fronteggiata da una doppia fila d’archi, appariva tetra alla luce

del mattino. Siamo discesi fino al piano per una collina tanto orribile come mai ricordo di aver

percorso in una vettura decente, tutta sali e scendi……………………………

Alle pagg. 282 e 283 troviamo il racconto che ne fa Charles Dickens (1812 – 1870) narratore fra i maggiori di ogni tempo, il quale vi passa nel 1846:

Quando lasciammo questo posto era una brutta mattinata e per dodici miglia procedemmo su una

campagna sterile, petrosa e selvaggia come la Cornovaglia in Inghilterra, sinché giungemmo a

Radicofani, dove c’è una locanda spettrale, fatta per i folletti; un tempo era stato un casino di caccia

dei Granduchi di Toscana. È talmente un succedersi di anditi storti e di nude stamberghe, che

quell’unica dimora può aver dato origine a tutti i racconti di fantasmi e di assassini che sono stati

scritti. A Genova ci sono alcuni orrendi, vetusti palazzi, uno in particolare non dissimile da questo,

almeno fuori; ma qui, in questa locanda di Radicofani, c’è un tal frusciar di vento, un cigolio continuo,

un brulichio, un crepitio, un aprirsi di porte, uno scalpitio per le scale, quale non ho udito in alcun

posto. La cittadina, così com’è, sovrasta la casa dal fianco della collina di fronte. Quelli del posto

sono tutti mendicanti e non appena scorgono una carrozza che s’avvicina, gli calano attorno come

uccelli da preda.

Quando raggiungemmo il passo montano, che si trova oltre quel luogo, il vento (come ci avevano

avvertito giù alla locanda) era così tremendo che fummo costretti a far sortire l’altra “metà” dalla

carrozza, per evitare che ella fosse portata via dal vento, carrozza e tutto, e ad appenderci a

quest’ultima, dalla parte investita dal vento (e nel migliore dei modi, risa permettendo) per non farla

rotolare Dio sa dove. Quanto a vento, quella bufera di terra avrebbe potuto competere con una

tempesta dell’Atlantico con ottima possibilità di riuscire vittoriosa. Il vento gelido scendeva

spazzando enormi botri in una catena di monti sulla destra; così che guardammo con effettivo

spavento ad un vasto acquitrino a manca e ci accorgemmo che non c’era il minimo cespuglio, non un

arbusto a cui afferrarsi. Era come se, una volta sollevati dal vento, dovessimo essere trasportati al

mare a nell’etere. C’era la neve e c’erano la grandine, la pioggia, i lampi e i tuoni; c’erano masse

rotolanti di bruma che veleggiavano a velocità incredibili. Era buio, spaventoso, solitario al massimo

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grado; c’erano montagne su montagne, velate da colleriche nubi; e c’era ovunque una tale foga piena

d’ira, rapida, violenta, tumultuosa, da rendere la scena indicibilmente grandiosa ed eccitante.

Malgrado ciò, fu un sollievo sortirne e attraversare la pur squallida frontiera pontificia.

Come accennato sopra, in questo libro vi sono altri accenni a Radicofani nelle pagg. 39 – 93 – nelle note di pag. 112 – 117 – 118 – 119 – 124 – nelle note a pag. 142 – 160 – 162. Tutti gli altri personaggi che ho già descritto a proposito del libro del Carandini, pur se passati per Radicofani, in questo libro non vi sono le loro descrizioni in quanto c’è la sola descrizione della città di Siena, del resto come ci dice il titolo del libro.

A questo punto bisogna descrivere sia l’importanza della Cassia che la ricostruzione della Fortezza dopo la pace di Cateau Cambrésis, ricordando però quanto descritto nel libro dello Sterpos del quale abbiamo già parlato.

I MEDICI E LO STATO SENESE

1555 – 1609 STORIA E TERRRITORIO

(A cura di Leonardo Rombai – De Luca Editore –Roma – 1980)

Autori Vari

La Fortezza di Radicofani 317 (A cura di Carmen Borsarelli)

Pag. 133

I motivi che spinsero Cosimo I al totale restauro della fortezza di Radicofani, duramente colpita

negli anni della guerra di Siena, furono dettati particolarmente da un’esigenza di sicurezza,

continuando ad essere quel luogo «sentinella avanzata del granducato di Toscana verso gli stati del

Pontefice».318 La direzione dei lavori ed il disegno delle nuove mura furono affidati ad uno dei più

valenti ingegneri militari del tempo, Baldassarre Lanci da Urbino, al servizio del duca fino dal

1559.319 A partire dal 1564 si hanno alcune sue lettere che informano il duca che il principe reggente

Francesco dei lavori che egli dirigeva non solo alla fortezza di Radicofani, ma anche a Bagni San

Filippo e al Ponte d’Arbia, lavori che, insieme ad altri eseguiti negli anni successivi, rispondevano ad

un preciso disegno politico del principato, promossi, come erano, in funzione dello sviluppo della

vita economica nello stato di Siena.

L’assolutismo che Cosimo I ed i suoi figli instaurarono, seppure con le dovute precauzioni, nei

territori a loro infeudati, finiva per soffocare ogni autentica autonomia locale e per creare appunto un

accentramento di potere nelle mani del principe. Niente poteva esser fatto senza un suo rescritto

personale; sia riguardo a lavori necessari in molte località dello stato senese sia riguardo all’elezione

di capitani, vicari, podestà del dominio, per la quale ogni decisione finale spettava al sovrano,

limitandosi il governatore a compilare una lista di uomini di sua fiducia.320

Così, quando il capitano di Radicofani doveva riferire sulle necessità della fortezza e, in seguito,

sullo svolgimento dei lavori per essa comandati, ne informava il governatore di Siena che, a sua volta,

non mancava mai di inviare al duca dettagliate relazioni in proposito.321 Spesso era lo stesso Lanci

317 N.B. Il nome Giovan Battista deve essere inteso come Giovanni Apostolo ed Evangelista .S. Giovanni Battista

non ha avuto una chiesa con il suo nome.. 318 L.CARANDINI, La Posta di Radicofani, «L’Universo», XLIV, n. 1, 1964, pag. 159 e A.S.F., Mediceo, f. 503, c. 288,

Angelo Niccolini al duca Cosimo, Siena, 26-1-1564. 319 Ibidem, f. 503, c. 288, lett. Cit. e Capitani di Parte, numeri neri, f. 708, c. 223, Francesco dei Medici a Cosimo I,

Firenze 11-1-1560. In essa si parla della provvisione di quattro mesi, da pagare al Lanci, per i servizi da lui prestati. 320 A.S.F., Mediceo, f. 1872, c. 112, «Liste e relazioni dei cittadini senesi che hanno fatto richiesta a S. A. dei capitani di

questo stato». 321 Nei primi anni dei lavori a Radicofani capitano di quella fortezza e banda era Mastio Bosci da Cortona, cfr. Ibidem, f.

216, c. 169 e 172 t., Cosimo I al suddetto capitano, Pisa, 29/30-12-1562.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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che provvedeva a mettere al corrente di ogni cosa il sovrano, sia a voce sia per lettera. Il Lanci,

rispettando le modifiche che si richiedevano nella struttura architettonica delle fortezze, in seguito

all’introduzione dell’artiglieria, alle vecchie mura medievali che circondavano il maschio, addossava

i nuovi baluardi che, adattati al terreno montuoso, presentavano un andamento spezzato con una

rientranza a V, nel lato rivolto verso lo stato pontificio. La piazza di Radicofani era divisa in quattro

parti: Castel Morro, la parte più vicina al paese, formata da tre cortine e quattro baluardi dei quali

due, per un lato, si attaccavano alla fortezza; la Fortezza, detta anche fortezza nuova o fortezza di

sopra, circondata da cinque baluardi irregolari e cinque cortine di diversa grandezza, il Maschio o

fortezza vecchia, posto nel punto più alto della montagna e incorporato nella precedente; più basso il

Borgo, le cui mura si congiungevano, da una parte con la fortezza e dall’altra con Castel Morro.

Fin dall’agosto del 1563 il capitano riferiva ampiamente sulle condizioni disagevoli dei soldati

per essere gli alloggiamenti quasi tutti in rovina, sul cattivo stato delle mura cadute in più parti, sulle

porte facili ad aprirsi e sul maschio ormai completamente scoperto322. Così, data l’importanza di quel

luogo come punto di difesa e di controllo della strada romana verso lo stato Pontificio, lo stesso duca,

nel gennaio del 1564, deliberava di fortificare Radicofani.323 Nei mesi seguenti si assisteva a tutta una

serie di preparativi in vista dei lavori che iniziarono nel luglio di quello stesso anno,324 per protrarsi

fino al novembre del 1577.325

Il sistema usato per reperire la mano d’opera necessaria all’esecuzione di tali lavori era quello

delle comandate, cioè l’obbligo da parte dei contadini di prestare servizio ogni volta che le autorità

lo ordinavano. Tale sistema di lavoro coatto, di fronte alla molteplicità di fortificazioni e costruzioni

di ogni genere eseguite durante il governo dei primi tre granduchi di Toscana, diventava una prassi

comune al fine di assicurarsi la forza lavoro, sulla cui disponibilità gravavano anche le necessità

militari. I contadini erano iscritti in un elenco, nel loro comune, compilato dagli stessi rettori del

luogo; da esso, ogniqualvolta le necessità lo esigevano, erano ricavate liste di uomini atti al lavoro, il

cui numero variava a seconda del bisogno richiesto dall’ingegnere326 che, a sua volta, non poteva

ordinare la comandata senza un’apposita patente rilasciatagli da magistrato dei Capitani di Parte.327

Le prestazioni di tali servizi non erano gratuite ma, essendo il salario molto basso (circa otto soldi ),

spesso gravosi i disagi da affrontare per la lontananza dei luoghi nei quali i contadini erano obbligati

ad andare e gravose le conseguenze per essi se erano chiamati a prestare la loro opera nella stagione

dei lavori agricoli, sottraendo braccia ed animali nel periodo in cui ce ne sarebbe stato più bisogno, è

facile comprendere come molto spesso i contadini cercassero di sfuggire alle comandate.328 Tali

disubbidienze impedivano il normale svolgersi dei lavori ed erano causa di lunghi ritardi.329 I Medici,

d’altra parte, facevano gravare l’onere delle opere pubbliche, per quanto era possibile, sulle stesse

comunità. Quando si decideva di costruire una fortezza toccava agli abitanti del luogo supplire alle

spese, quasi che fosse esclusivamente a loro beneficio.330 A Radicofani erano trasferite dal Lanci,

322 Ibidem, f. 501, c. 75, Mastio Bosci a Cosimo I, Radicofani, 6-8-1563. 323 Ibidem, f. 503, c. 288; lett. cit. e f. 219, c. 259 t., Cosimo I ad Angelo Niccolini, Livorno, 18-1-1564. 324 Ibidem, f. 503, c. 510, Angelo Niccolini a Cosimo I, Siena, 6-2-1564 e f. 503°, c. 936, idem, 26-2-1564. Si era

convenuta coi «fornaciari» la quantità di 1150 moggia di calcina, ritenute sufficienti, per ora, dal Lanci, « a tre carlini al

moggio ». Cfr. anche f. 508, c. 400, B. Lanci a Cosimo I, Radicofani, 10-7-1564. 325 Ibidem, f. 704, c. 230, Simone Genga a Francesco I, Grosseto, 24-11-1577. 326 Ibidem, f. 519, c. 670, B. Lanci al principe Francesco, Firenze 12-3-1567. 327 Questa magistratura si occupava di controversie fra privati in fatto di confini o di acque, dei beni confiscati a ribelli e

banditi e soprattutto di lavori pubblici. 328 Ibidem, f. 515°, c. 700, B. Lanci al principe Francesco, Siena, 10-5-1565 e f. 519, c. 670, lett. cit. Per Radicofani erano

comandati uomini di Arezzo, Cortona e Montepulciano. Cfr, A.S.F., Capitani di Parte, numeri neri, f. 716, c. 65 Luca

Fabbroni al principe Francesco, Firenze, 26-6-1564. 329 Spesso, soprattutto al tempo della mietitura, risulta assai numeroso l’impiego di mano d’opera femminile «che si»

trova «di ogni tempo che venga a lavorare». Cfr. A.S.F., Mediceo, f. 522, c. 391, B. Lanci al principe Francesco, Siena,

7-8-1566 e f. 574, c. 311, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto, 30-5-1572.

329 Durante i lavori del fosso attorno alla fortezza di Castel Morro, s’era proposto di pagare i picconieri col pane della

comunità di Radicofani, essendo quest’ultima a godere della fortezza. Cfr. Ibidem, f. 229, c. 42, il principe Francesco a

Federigo da Montauto, Firenze 2-11-1567 s f. 553, c. 178, Federigo da Montauto al principe Francesco, Siena, 10-1-1568.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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alternativamente, le stesse maestranze che stavano ultimando la fortezza di Siena331 e fra gli operai

erano distinguibili diverse categorie, ciascuna specializzata in un particolare lavoro: marraioli,

guastatori, scarpellini, picconieri, spianatori.332 Per le difficoltà che si presentavano nella stagione

invernale a causa del freddo e della neve e per i molteplici lavori condotti in altre parti dello «Stato

nuovo» (Siena, Grosseto, Ponte d’Arbia, ecc.), si lavorava a Radicofani in genere d’estate e nei primi

mesi d’autunno. Il reperimento dei materiali da costruzione (pietre, rena, legname) non costituiva

gravi difficoltà. Infatti quel luogo è ricoperto di pietre basaltiche e non molto lontano scorre il fiume

Paglia da cui potevano essere tratti la rena e i cottoli. Il legname, che rivestiva un’importanza

fondamentale non solo per la costruzione di ogni edificio ma anche quale insostituibile fonte di calore

per le fornaci, era reperito nella zona di Sarteano, «più comoda di tutte le altre».333

Morto il Lanci nel 1571 la direzione dei lavori alla fortezza di Radicofani fu affidata al figlio

Marino, che già negli anni precedenti era stato collaboratore del padre, soprattutto per il restauro delle

terme di San Filippo. Il compimento ultimo dei lavori, in seguito alla morte di Marino avvenuta il 6

novembre 1574,334 fu affidato ad un altro ingegnere marchigiano, anch’egli al diretto servizio del

duca, Simone Genga che sovrintendeva allora alle fortezze di Terra del Sole, del Sasso di Simone e

di San Martino al Mugello.335

I lavori alla fortezza di Castel Morro

Il Lanci, dopo aver dato ordine nell’inverno del 1564 che fossero preparati gli «ammanini»336

necessari per i lavori alla fortezza, vi si recava ai primi di luglio di quello stesso anno, dopo aver

comandato gli uomini del capitanato di Arezzo, Cortona o Montepulciano.337 Secondo il suo progetto

era prevista la fortificazione del Borgo e di Castel Morro, dando la precedenza a quest’ultimo, dietro

ordine del duca che, per rendersi conto direttamente dell’entità dell’opera, si era recato con lo stesso

Lanci sul posto.338 Nei registri del duca Cosimo raramente si fa riferimento a Radicofani. Il fatto che

lo stesso Lanci e il governatore di Siena, Federigo da Montauto, si rivolgessero, per trattare qualsiasi

affare relativo ai lavori da condursi a Radicofani al principe reggente, dimostra come Cosimo, anche

se gradualmente, aveva lasciato libera iniziativa al figlio nello Stato senese.339 D’altra parte, sebbene

ufficialmente ritiratosi dalla vita pubblica, Cosimo I non trascurava di ingerirsi negli affari che gli

stavano maggiormente a cuore, restando sempre una delle più lucide e lungimiranti menti politiche

del suo tempo.

Durante il primo anno i lavori si protrassero per poco più di due mesi, dal luglio al settembre del

1564, e durante questo periodo, eseguiti gli scavi per le fondamenta, si cominciarono ad alzare le

cortine.340 Per l’anno successivo non si hanno notizie riguardanti Castel Morro, ma solo di lavori

compiuti alla torre dove si era soliti tenere le munizioni, la quale, essendo mal ridotta, minacciava di

331 Ibidem, f. 510, c. 175, B. Lanci al principe Francesco, Ponte d’Arbia, 16-9-1564 e f. 222 c. 105, il principe Francesco

a B. Lanci, Poggio a Caiano, 21-9-1564. 332 I marraioli erano una specie di guastatori atti a scavare, come quest’ultimi, trincee o a spianare strade. Talvolta erano

pure addetti a fare calcina; gli scarpellini lavoravano le pietre, i picconieri erano addetti a rompere i sassi ed a eseguire

lavori in pietra; gli spianatori a dare la forma ai mattoni. 333 Ibidem, f. 503a, c. 936, lett. cit. In seguito si parla pure della bandita di Celle, come riserva di legname da utilizzare

per i lavori alla fortezza. La suddetta bandita, di proprietà della comunità di Radicofani, doveva risultare naturalmente

molto più comoda di quella di Sarteano. Cfr. Ibidem, f. 229, c. 42, lett. cit. 334 Ibidem, f. 1872, c. 165, F. da Montauto a B. Concino, Siena, 6-11-1574. 335 Ibidem, f.700, c. 277, Simone Genga a Francesco I, San Martino in Mugello, 14-7-1577. 336 Ibidem, f. 503a, c. 936, lett. cit. 337 A.S.F., Capitani di Parte, numeri neri, f. 716, c. 65, lett. cit. 338 A.S.F., Mediceo, f. 530, c. 481, B. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 28-8-1567. Il duca era infatti a Radicofani

nell’inverno del 1561 (Cfr. Ibidem, f. 214, c. 55 t., Cosimo I a Flaminio Nelli, Radicofani, 2-1-1561) e probabilmente il

progetto di quella fortezza risale a quel periodo. 339 G. SPINI, Cosimo I de’ Medici, Firenze, 1940, p. 194. 340 A.S.F., Mediceo, f. 508, c.400, lett. cit. e f. 510, c. 175, lett. cit.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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cadere e quindi di recare gravi danni alla rocca e agli alloggiamenti dei soldati.341 Questi lavori

dovevano essere condotti parallelamente a quelli, iniziati l’anno precedente, di Castel Morro, dato

che di questi ultimi si ha documentazione nei registri della dogana, riportanti le spese fatte nel 1565

per la «fabrica et muraglia di Radicofani».342 A partire dal maggio 1566 il Lanci informa il principe

dell’ordine dato di fare calcine da utilizzare, non solo per la continuazione dei lavori a Radicofani,

ma anche per quelli di San Filippo, per i quali aveva già avuto «commissione da Sua Eccellenza

Ill.ma» l’anno precedente.343 A Castel Morro restava ancora da fare il mezzo baluardo vicino alla

porta del castello, da completare lo scavo del fosso e le mura delle cortine che univano un baluardo

all’altro. Per la continuazione di questi lavori il Lanci era costretto a servirsi di opere volontarie;

infatti, in quell’anno, i Capitani di Parte gli avevano revocato la licenza per le comandate, per non

volere troppo sacrificare le popolazioni «sul colmo delle faccende».344 D’altra parte il regime,

approfittando della miseria della popolazione, finiva per sfruttare le opere volontarie più di quanto

non lo fossero già gli uomini delle comandate.345 Dal luglio 1567 a tutto agosto dello stesso anno, si

portava a termine il circuito di Castel Morro, al quale il Lanci aveva lavorato con l’aiuto del figlio

Marino, fin dall’inverno suo collaboratore anche nei lavori alla fortezza di Siena. Tracciato il fossato

nella parte occidentale ed in quella settentrionale del circuito, la cui lunghezza complessiva era

rispettivamente di centoottanta e centocinquanta braccia restava ancora da scavare in profondità,

dall’una e dall’altra parte, rispettivamente sette e quattro braccia di terra.346 Ma non trovando persone

a cui dare in cottimo i lavori e, tra l’altro, non potendo fissarne il costo preciso, per la troppa varietà

del terreno, se ne rimandava l’esecuzione assieme alla costruzione di una cisterna, della cui necessità

il Lanci aveva già informato il principe.347 All’interno del circuito di Castel Morro vi abitavano

quaranta uomini «da factione»,348 dei quali sette erano soldati della banda del luogo; in tutto vi erano

trentotto case ed una di esse, distante dalla porta di Castel Morro un cento braccia circa, era stata

scelta dal Lanci quale abitazione del capitano. In seguito, quando si decise di provvedere anche

all’ingrandimento della «Fortezza di Sopra» ed al restauro del maschio,349 si preferì riservare al

capitano una sistemazione nella torre maestra.

Fortezza Nuova e Borgo (1568-1577)

La fortificazione di Castel Morro, sebbene Radicofani fosse situato in un luogo per sua natura

difficilmente accessibile, non poteva essere sufficiente a rendere la rocca nel suo complesso sicura.

Per questo Federigo da Montauto, premettendo la sua capacità di giudizio in fatto di costruzioni

militari, insisteva col principe, non solo sul pericolo a cui era soggetto Castel Morro se non si fosse

provveduto al più presto a fortificare il Borgo, ma anche sulla necessità di rendere la fortezza,

allargandola, molto più capace di soldati e di munizioni.350 Secondo quanto progettato si sarebbe

341 Ibidem, f. 513, c. 207 Lorenzo Albizi a Cosimo I, Siena, 15-1-1565 e f. 521a, c. 589, Lanci al principe Francesco,

Siena, 14-5-1566. 342 A.S.S., Dogana, f. 1150, c. 11 e segg., c. 9 e segg. Le spese qui riportate riguardano i mesi di luglio, agosto e settembre. 343 A.S.F., Mediceo, f. 521a, c. 658, B. Lanci al principe Francesco, Siena, 18-5-1566. 344 Ibidem, f. 227, c. 114 t., il principe Francesco a B. Lanci, Firenze, 9-8-1566. 345 Ibidem, f. 572 c. 74, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto,31-3-1572. Si sollecita da parte del principe l’impiego

di opere volontarie e c. 215, ibidem, 26-3-1572, si rassicura il principe che i prezzi dei «manifattori» saranno limitati al

massimo. Cfr. pure la c. 7, ibidem, Siena, 8-3-1572 e f. 239, c. 60, il principe Francesco a M. Lanci, Firenze, 8-4—

1572. 346 Ibidem, f. 530a, c. 548; diversamente nel 1746 il fosso girava intorno al circuito nella parte settentrionale ed orientale.

Cfr. A.S.F., Fabbriche Granducati, f. 565, ins. XIV, «Ragionamento dei lavori, dell’artiglieria e fortificazione di

Radicofani», 1746. Un braccio equivale a m. 0,583. 347 A.S.F., Mediceo, f. 530 c. 294, B. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 18-8-1567. 348 Cioè uomini atti a combattere. Ibidem, f. 530a, c 548, lett. cit. 349 Si spendevano per esso venti scudi. Cfr. Ibidem, f. 538, c. 337, Mastio Bosci al principe Francesco, Radicofani, 27-8-

1568. 350 Il Lanci prevedeva, per i lavori alla fortezza Nuova una spesa di scudi 1.500. Cfr. Ibidem, f. 532 c. 425, F. da Montauto

al principe Francesco, Siena, 31-10-1567.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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dovuto provvedere alla fortificazione del Borgo contemporaneamente a quella della fortezza Nuova.

Ad essa si accedeva tramite una porta situata nella parte superiore di Castel Morro, lungo la cortina

settentrionale della suddetta fortezza. Quest’ultima era circondata da cinque baluardi irregolari con

cinque cortine di diversa grandezza: ai due bastioni che guardavano verso lo stato Pontificio venivano

eliminati i fianchi e la cortina che li univa, ricavandone una fronte tanagliata. Altre due cortine

venivano ridotte di lunghezza ed il grosso baluardo posto fra esse veniva diviso in due da una tanaglia.

Il Warren riporta i nome di cinque baluardi della fortezza di Radicofani che girano intorno ad essa

verso est erano: il bastione di Santa Maria, di San Giovanni Battista (detto della Chiocciola), il

bastione di San Pietro (detto del Casino di mezzo), il bastione di San Rocco (detto del Torchio), il

bastione di Sant’Andrea (detto Capannaccia).351 A ponente della fortezza vi era un’opera a corno

detta Girone alla quale si accedeva tramite una porta situata, sempre sulla stessa linea, dalla parte

opposta alla porta della fortezza.352 Da quest’ultima, invece, si accedeva al Girone solo attraverso una

galleria sotterranea (contramina) che da «sotto il magazzino a polvere», (probabilmente situato nel

bastione di San Giovanni Battista o nel vicino di San Pietro353 «va ad una porta segreta che riesce

fuori dell’opera suddetta»354.

Durante il primo anno (1568) i lavori, iniziati più tardi del solito (24-8) e protrattisi fino al 20

settembre, resi difficili dalla cattiva stagione, continuavano ad esser diretti dal Lanci, il quale poi, a

partire dal luglio dell’anno successivo, impegnato alla fortezza di San Martino al Mugello, ne lasciava

la direzione al figlio Marino.355 Iniziati dal padre i due baluardi di San Giovanni Battista e di Santa

Maria e la cortina che li congiungeva, l’anno seguente Marino Lanci faceva, agli uni e all’altra, il

cordone dopo averli ulteriormente alzati. Alla fine di settembre (24-9-1569) erano gettate le

fondamenta della parte sud della fortezza e alzate le mura fino a sei, otto braccia circa. Solo nella

parete settentrionale, verso Castel Morro uno «scoglio» impediva di scavare le fondamenta di quella

cortina che avrebbe dovuto unire il baluardo di Santa Maria al mezzo baluardo di Sant’Andrea. Infatti,

pur lavorando in questo anno con un gran numero di opere, fra volontari e comandati (quattrocento

marraioli, cinquanta muratori e venticinque scalpellini), non si aveva a disposizione i picconieri

necessari per rimuovere l’ostacolo incontrato.356 Nell’ottobre del 1570 le mura della fortezza, eccetto

nel lato rivolto a settentrione, erano già all’altezza del parapetto; quest’ultimo era stato fatto ai

baluardi di Santa Maria e di San Giovanni Battista e alla cortina tra essi compresa (a quel lato cioè

che guardava verso Siena ed il Monte Amiata): In quell’anno si lavorava pure alle sei cannoniere.357

Di esse, per quello che si può vedere dalla pianta del De Marchi, solo una era casamattata; le altre,

semplicemente, con la piazzola di sparo a cielo aperto. Attualmente risulta visibile, seppure molto

rovinato, il bastione casamattato di Santa Maria. Inoltre, in corrispondenza del baluardo di San

Giovanni Battista, vi è tuttora una contramina, in direzione, sembra, del baluardo di San Pietro e

l’apertura (attualmente murata) di un’altra contramina, in direzione della fortezza vecchia. Nel loro

punto di incontro (proprio all’interno del baluardo di San Giovanni Battista) vi è un arco a botte. Ora,

poiché le cannoniere (qui del tipo con la piazzola di sparo a cielo aperto) erano spesso completate da

un sistema di fuciliere, poste sotto le cannoniere, si può ritenere quell’arco a botte corrispondere ad

351 Cfr. A.S.F., Segreteria di Gabinetto, f. 695, «Raccolta di piante delle principali città e fortezze del granducato di

Toscana… » (fondo Warren), 1749 e Fabbriche Granducali, f. 565, ins, XIV, cit. 352 Di questa porta non fa cenno il Warren, ma se ne ha notizia nella f. 565 del fondo Fabbriche Granducali, ins, XIV,

cit. 353 Questi due bastioni erano, infatti, comunicanti, per mezzo della stessa contramina che conduceva al Girone.

Attualmente sono ancora visibili le tracce di tale galleria. 354 Ibidem, f. 565 ins. XIV, cit. 355 Si ha infatti, una lettera del Lanci del 15-7-1569 dalla fortezza di San Martino al Mugello, Cfr. A.S.F., Mediceo, f.

542a, c. 744. 356 Ibidem, f. 543, c. 260, M. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 16-8-1569. 357 Ibidem, f. 554 c. 84, M. Lanci al principe Francesco, Siena, 10-10-1570. Il numero delle cannoniere si può rilevare

dalla pianta del Warren, mentre da quella del De Marchi appare più chiara la loro struttura. DE MARCHI, Piante di

fortezze italiane e straniere, ms. sec. XVI della B.N.C.F., Magl. II, I, 281.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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una delle fuciliere della fortezza, a sua volta comunicante, da un lato, con la fortezza vecchia,

dall’altro, probabilmente, con un’altra fuciliera incorporata nel bastione contiguo di San Pietro.

L’anno successivo (1571) si portava a compimento il Girone, finito il quale si iniziavano gli

alloggiamenti per i soldati, le cisterne e le porte.358 Il Girone a ponente della fortezza, in buona parte

difeso da enormi pietre basaltiche a picco verso il Borgo e sul versante ovest che guarda il Monte

Amiata, non doveva sembrare abbastanza sicuro se, data la sua importanza quale magazzino per le

vettovaglie, si riteneva opportuno alzare ulteriormente le sue mura.359 Nel 1572 i lavori, iniziati nella

metà di aprile360 e condotti con l’impiego di opere volontarie e di numerosa mano d’opera

femminile,361 dovevano interrompersi quasi del tutto durante il periodo della mietitura a causa della

scarsità di lavoranti.362 Sempre in questo anno era iniziata la fortificazione del Borgo: si gettavano le

fondamenta di uno dei due baluardi (che avrebbero dovuto essere parte integrante di essa) e se ne

alzavano le mura fino a dieci braccia dal piano del fosso;363 parallelamente era portata avanti la

costruzione della cisterna all’interno del circuito della fortezza Nuova.364

Nel 1573, nonostante la «munizione» di calcina, fatta fin dal mese di aprile di quell’anno, non si

lavorava a Radicofani. La ragione di ciò si può, sì, attribuire alla mancanza di mano d’opera e agli

scarsi raccolti di quell’anno ma anche, e soprattutto, alla trascuratezza del governo al quale lo stesso

Federigo rimproverava l’intenzione manifestata di voler fortificare Sovana, quando a mala pena si

riusciva a completare i lavori iniziati lì da anni.365

Ugualmente è probabile che si avesse una sospensione dei lavori anche nel 1574; di questo anno,

infatti, si ha una sola lettera di Marino Lanci riguardo alle necessità della fortezza senza alcun cenno

a lavori effettivamente eseguiti.366 Tali necessità si riferiscono non solo al completamento della

fortificazione del Borgo, iniziata qualche anno addietro, ma pure al restauro del Maschio, al quale

non erano mai stati compiuti radicali restauri. Fin dal 1569, infatti, notate le carenze che esso

presentava, si erano proposte alcune riparazioni e solo nel 1572 si dava inizio ai restauri, senza però

condurli a termine.367 Il Maschio, costituito da una torre quadrata, era circondato tutt’intorno da mura,

le quali, nel lato rivolto verso lo stato Pontificio, si congiungevano, tramite una torretta, alle mura

della fortezza Nuova. Due corridoi, che «ad uso di stella si vengono a far fianco l’uno all’altro»368

nella torretta, erano di grande importanza perché al loro capo (da una parte verso il bastione di

Sant’Andrea, dall’altra verso quello di San Rocco) due torri permettevano ai soldati di avere sotto

tiro tutta la vallata sottostante. Questa è l’ultima notizia riferita da Marino Lanci che, morendo a Siena

nel novembre del 1574, lasciava un modello a gesso di Radicofani ad altri di alcune fortezze di sua

competenza.369

358 Ibidem, Mediceo, f. 563 c. 284, M. Lanci al principe Francesco, Montalcino, 10-7-1571. 359 Queste, nel punto più alto, misuravano otto braccia e si volevano alzare ancora fino a undici, dodici braccia. Cfr.

Ibidem, f. 2134, c. 107. Tali lavori si eseguivano con ogni probabilità nel 1581. Cfr. f. 1875, c. 207, F. da Montauto a

Francesco I, Siena, 7-4-1581. All’interno del Girone vi doveva essere pure una cisterna, dato che nel memoriale citato si

propone di farne una seconda. 360 Ibidem, f. 572, c. 74, lett. cit. 361 Ibidem, f. 574, c. 211, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto, 30-5-1572. 362 Ibidem, f. 577, c. 70, M. Lanci al principe Francesco, Siena, 6-7-1572. 363 Ibidem, f. 578, c. 94, M. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 18-8-1572 e f. 2134, c. 391, M. Lanci a Francesco

I, Siena 14-7-1574. 364 Ibidem, f. 579, c. 7, F. da Montauto a B. Concino, Siena. 365 Ibidem, f. 596, c. 54, F. da Montauto a B. Concino, Siena, 20-1-1574. 366 Ibidem, f. 2134, c. 393 e c. 107. 367 Ibidem, f. 2134, c. 363 t., Lorenzo Albizi a B. Concino, Siena, 30-6-1569 e c. 391 lett. cit. 368 Ibidem, f. 2134, c. 391, lett. cit. Diversamente da quanto proponeva il Lanci, si sarebbe voluto eliminare quei due

corridoi ed unire con una cortina unica il baluardo di Sant’Andrea a quello di San Rocco, di modo che « la fortezza

vecchia rimarrebbe spicata e più sicura ». Cfr. c. 107, lett. cit. 369 Ibidem, f. 667, c. 55, Andrea Bonciani, capitano a Francesco I, Grosseto, 10-11-1574. Per la morte del Lanci, anche

se si è voluto sospettare un avvelenamento da parte di un servo (f. 666, c. 125, Alberto Albertani, depositario, a B.

Concino, Siena, 31-10-1574) causa furono sicuramente le febbri malariche contratte in Grosseto e dalle quali era stato

colpito fin dal 1572 (cfr. f. 579, c. 7, lett. cit.).

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Nel 1575, dopo due anni di interruzione, i lavori riprendevano sotto la direzione del Genga, le

cui presenze a Radicofani, molto rare, dovevano avere pure un carattere sbrigativo e si riducevano

nel fissare i lavori necessari e nel dare ordini relativamente ad essi.370 Per quell’anno, come per il

successivo, non si hanno documenti precisi sul proseguimento delle attività; sappiamo solo che nel

1576 si era finalmente eliminato quell’ostacolo che sul lato settentrionale della fortezza aveva

impedito il completamento delle mura.371 È probabile che in questi anni (1575-76) fossero condotti

lavori al Maschio, della cui necessità Marino Lanci aveva già parlato con il granduca fin dal luglio

1574, ed anche portati avanti i lavori alla cisterna della fortezza nuova e alle mura che dovevano

congiungere lateralmente Castel Morro a quest’ultima e al Girone.372 Gli alloggiamenti dei soldati, la

cisterna della fortezza, alla quale si lavorava fin dal 1572, le casematte le strade e i parapetti, già

iniziati dal Lanci, venivano portati a termine nel 1577.373 L’anno successivo si riforniva la fortezza

di vettovaglie e munizioni e si finivano di pagare quei «cottimatori» che avevano cavato alcuni massi

sparsi qua e là per la fortificazione.374 Il costo complessivo, da quando il Genga ne aveva cura,

ammontava a tremilatrecento scudi375 ma ne sarebbero occorsi ancora perché nel 1578 (ad un solo

anno dalla chiusura dei lavori) Federigo da Montauto, durante una sua visita a Radicofani, notava

molte carenze nella fortezza: il bastione di San Rocco minacciava rovina, la fortificazione del Borgo

non era stata completata e le mura del Girone occorreva che fossero ulteriormente alzate.376 Tuttavia,

a parte qualche sporadico intervento, Francesco I, una volta chiusi i lavori a Radicofani, poco si

interessò del mantenimento di quella fortificazione, la quale, del resto, continuò ad essere trascurata

anche dal suo successore Ferdinando I, perché ormai Radicofani, grazie alla strada romana, diveniva

esclusivamente un centro commerciale.377

Radicofani: centro commerciale

Sulla via Cassia e la sua Posta

Durante gli ultimi anni del principato di Francesco I, Radicofani veniva ad assumere sempre

crescente fortuna come ziona di traffico commerciale, perdendo nel contempo ogni importanza

militare. Situata lungo la via Cassia a metà strada tra Firenze e Roma vedeva sempre di più dipendere

la sua fortuna dalle cure prestate dai Medici alla strada romana.

Comunque è bene a questo punto ricordare che, se oggi per la via Cassia si intende quella che da

Roma, per Viterbo, Montefiascone, Acquapendente, Buonconvento e Siena, porta a Firenze, nelle

varie epoche, a partire da quella etrusca, essa subì molteplici cambiamenti.378 Prima che i Senesi

conquistassero Radicofani (1411), il tracciato della strada romana, seguendo il corso del Paglia,

passava ad occidente di quel monte, risaliva il Formone e, valicando l’Orcia presso Spedaletto,

arrivava a Bagni Vignone e a S. Quirico.379 (Anche questa affermazione non è del tutto vera perché gli studi attuali hanno rivelato diversi tracciati della “Via Francigena”, come

370 Ibidem, f. 677, c. 446, Simone Genga a Francesco I, Sasso di Simone, 10-9-1575. 371 Ibidem, f. 700, c. 277, lett. Cit. 372 Ibidem, f. 2134 c. 391 e c. 107, lett. cit. 373 Ibidem, f. 529, c. 7 e f. 704, c. 230, lett. cit. 374 Ibidem, f. 704, c. 230 e c. 714, c. 270, lett. cit. 375 Ibidem, f. 2134, c. 462, «Ragguaglio sulle varie fortezze dello stato di competenza del Genga», senza data ma

attribuibile al 1578. 376 Ibidem, f. 1873a, c. 118t., F. da Montauto a Francesco I, Monte Oliveto, 20-9-1578 e f. 1874 c. 83. 377 Ibidem, f. 2010, c. 529, Il Vescovo di Pistoia a Francesco I, Siena, 29-11-1582. Nel 1584 Alessandro Guidotti, capitano

di Radicofani scriveva al granduca delle necessità della fortezza (f. 770, c. 690, Radicofani, 12-12-1584). Nelle filze

successive, fino alla morte di Francesco I (1587), non si hanno notizie di particolari lavori eseguiti alla fortezza di

Radicofani. Nel 1592 le sue mura erano «vecchie e sottili». Cfr. Ibidem, f. 2015, c. 52 t., «Visite allo stato di Siena;

Ristretto delle entrate e spese pubbliche dello stato di Siena a seguito della visita di Francesco Rasi, 1592». 378 A questo proposito si ha una storia abbastanza particolareggiata e documentata da una laboriosa ricerca d’archivio in

D. STERPOS, Comunicazioni stradali attraverso i tempi: Firenze – Roma, Novara, 1964 (vedi in questo libro). 379 A questo proposito cfr. il tracciato della strada riportato da G. FATINI, Un tratto della via Francesca e la Badia di

San Salvatore nell’Amiata, «Bullettino senese di storia patria», Siena, 1922, n. 3, p. 345.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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si vede dagli articoli inseriti in questo libro. Leggere soprattutto l’articolo di C. Wickham da pag. 34 a pag. 47 di questo libro). La fortuna di questo itinerario nel tratto tra

la val di Paglia e l’Orcia fu legata per molti secoli a quella della florida abbazia di San Salvatore.

(Anche questa affermazione non è del tutto vera, i motivi della fortuna di questo itinerario è dovuta ad una miriade di fattori, non ultimo la fortezza di Radicofani). Col

declino di quest’ultima la strada fra l’Orcia e il Paglia divenne malsicura, cosicché i Senesi, quando

conquistarono Radicofani, decisero di abbandonare il tratto della strada romana che da Ponte al Rigo

portava a Ricorsi sostituendolo con uno nuovo che, benché più lungo, aveva però il vantaggio di

passare per Radicofani. In seguito, anche se non si può precisare quando, la strada continuò a seguire

l’antico tracciato, fino al 1581. Di questo anno, infatti, si ha una lettera dell’abate di Abbadia San

Salvatore, don Pietro, indirizzata al cardinale dei Medici, riguardo non solo al danno che si recava a

quella comunità col voltare nuovamente la strada verso il monte di Radicofani, ma pure riguardo alle

difficoltà che i viandanti avrebbero dovuto affrontare sulle «dieci miglia di salita» per arrivare fin

lassù.380

(Come si vede anche in questa richiesta non vi è tutta la verità perché, altrimenti, non si spiegano né i quattro ospedali che esistevano a Radicofani né gli articoli che nello Statuto del 1255 riguardavano le norme di come si dovevano trattare i pellegrini ed i visitatori in genere né di come mai nel seicento, quindi venti anni dopo la lettera Ferdinando I fece costruire l’Osteria Grossa, o Posta, a Radicofani al posto della residenza di caccia dei Medici.)

Comunque, nonostante i motivi a svantaggio di questo tracciato addotti dai monaci di Abbadia,

la strada tornava a passare sotto il borgo di Radicofani e per questo si rendeva necessaria la

costruzione di un’osteria per il ricovero dei cavalli e dei viandanti.381 Nello stesso anno in cui era

ripreso l’antico tracciato per Radicofani, Montaigne, partendo da Firenze, percorreva tutta la strada

romana lasciandoci una relazione del viaggio capace di darci un quadro abbastanza chiaro delle varie

tappe toccate lungo il percorso e delle condizioni di esso. Nei pressi di San Quirico non mancava di

notare l’ottimo stato della via percorsa: «Tutte queste strade sono state assettate per ordine del duca

di Toscana: la quale opera è molto bella, e profittevole al servizio del pubblico. Dio glielo rimeriti

perché le vie difficilissime sono per questo mezzo speditevoli e commode come vie d’una città». E

la cura delle strade era compensata dall’afflusso del traffico: «era cosa stupenda – scrive ancora

Montaigne riferendosi a quel tronco – di sentire il numero infinito di gente che andava a Roma».382

Il tratto da San Quirico a Radicofani ed oltre non doveva aver fatto molta impressione al Montaigne

che ne notava appena le asperità della strada, montuosa e sassosa, la quale d’altra parte, deviata verso

Radicofani, non doveva essere ancora nell’ottimo stato dell’itinerario precedente.383 Già Cosimo

aveva prestato le dovute cure alla strada romana; di esse ne è prova il fitto carteggio tra il duca ed il

Lanci relativamente ai lavori al ponte d’Arbia. Ma soprattutto con Francesco e Ferdinando veniva

prestata un’attenzione particolare al tratto di strada compreso tra il ponte Centeno e Radicofani.

L’osteria, che appariva indispensabile costruire sul nuovo tratto della strada romana presso

Radicofani, nonostante le frequenti lettere a questo riguardo, durante il principato di Francesco non

era stata neppure iniziata.384 Intorno al 1583 esisteva, comunque, una pianta di quella che doveva

380 A.S.F., Mediceo, f. 748, c. 249, l’abbate don Pietro al cardinale dei Medici, Monastero di Abbadia San Salvatore, 17-

6-1581 e f. 746, c. 32, Paolo del Bufalo a Francesco I, Roma, 4-4-1581. Tale percorso, oggi ancora abbastanza

praticabile, da Ponte a Rigo sale, fiancheggiando per un tratto il torrente omonimo, fino alla Novella e Baccanello; da

questo punto, abbandonato il corso del torrente suddetto, piega verso nord-ovest, fino ad arrivare a Radicofani. 381 Ibidem, f. 1875, c. 160, F. da Montauto a Francesco I, Siena, 16-1-1581. 382 A. D’ANCONA, L’Italia alla fine del secolo XVI, Giornale del viaggio di Michele Montaigne in Italia, 1580-1581,

Città di Castello, 1895, p. 534. 383 Il Montaigne ricordava nel tratto sotto Radicofani un piccolo villaggio, il Paglia, di cinque o sei case ai piedi di

montagne sterili. Cfr. A. D’ANCONA. Op. cit. p. 188. 384 Fin dal 1578, in occasione dell’inizio dei lavori al ponte del Paglia, presso Acquapendente, ad opera di Gregorio XIII,

si proponeva di «voltare …..la Strada Romana da Radicofani, dove già passava e se ne vedono li vestigli delle selcie, che

faria bisogno di rassettare. Et ancora ….. da quella comunità si scomodassino nella terra terra o fora …. Delle osterie

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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essere la «osteria grossa» o la Posta, edificata dal Buontalenti e dallo stesso Genga385 e per la quale

era stato scelto il luogo, ritenuto più opportuno, dove edificarla.386 Addirittura si parla, nei primi mesi

del 1584, di materiali già preparati per l’inizio dei lavori, senza poi, in seguito trovarne più notizia.

Comunque in quegli anni doveva già esistere una fontana nel tratto di strada sotto il borgo di

Radicofani, dato che ad essa si accenna in una lettera dei Deputati di Balia e Provveditori sopra le

strade della città di Siena, a proposito di uno stemma mediceo fatto fare dagli stessi per essere posto

a Centeno. In seguito però, nel timore di suscitare discordie, essendo quel luogo a confine con lo stato

Pontificio e non avendo a disposizione nessuna scrittura che determinasse una linea precisa di confine

(tranne una pubblica voce che la faceva coincidere con lo stesso fiume), si proponeva di «stabilirlo

sopra la fontana della nuova strada di Radicofani», senza però che questa deliberazione trovasse

consenso presso il granduca.387

Quello stemma, con al centro l’arma dei Medici ed a lato due figure che l’abbracciavano,

raffiguranti la Giustizia e l’Abbondanza, era lasciato per il momento inutilizzato con la tavola per

l’iscrizione, ancora in bianco, nell’attesa di una delibera da parte della casa granducale.

Corrispondendo la descrizione in tutto e per tutto all’attuale stemma che è collocato sulla fontana di

fronte alla posta di Radicofani, è da ritenere che quello, eseguito nel luglio del 1583, fosse utilizzato

solo molti anni dopo (1603) allorché Ferdinando I deliberò di porlo sulla fontana, da lui fatta costruire

in quel tratto di strada.388

È probabile che i lavori alla posta di Radicofani, a parte problemi di ordine tecnico che potevano

essere sorti, subissero una sosta a causa del riacutizzarsi del brigantaggio, di cui sono testimonianza

le lettere scritte al granduca dal 1584 fino alla sua morte. Anche in precedenza questo si era dimostrato

una grave piaga in tutto lo stato senese. Risale non a caso agli inizi del governo di Ferdinando (10

giugno 1588) l’istituzione di un nuovo capitanato ad Arcidosso con giurisdizione criminale e civile,

nei paesi di Castel del Piano, Montelaterone, Seggiano, Monticello e Potentino,389 necessario per

arginare il più possibile il moltiplicarsi impressionante dei delitti e per amministrare la giustizia in

maniera più diretta.

Cenni sulle comunità del contado Senese dopo la conquista medicea. (A cura di Lucia

Bonelli Conenna)

Pag. 225 (nota a pag. 230)

Nota n. 24. Per ogni località citata abbiamo fornito, ove reperibili, i dati demografici relativi all’anno 1640, la

variazione % della consistenza della popolazione tra il 1595 e il 1640, l’ammontare dell’entrata relativa alle

Comunità, quella dei Luoghi Pii (Pievi, Cappelle, Ospedali e simili), della Religioni (Conventi etc.), le botteghe

esistenti, il numero delle famiglie con oltre 100 scudi d’entrata, e la diocesi di appartenenza. Tali dati sono

stati elaborati dalle notizie contenute in A.S.S., Ms. D. 91, e Quattro Conservatori, 1759; BIBLIOTECA

COMUNALE DI SIENA, Ms. A.IV.4; ARCHIVIO SI STATO DI FIRENZE, Mediceo, 2064 e Strozziane, I,

capaci, con che verria augumentare tanto più l’entrate sue a servitio di V. A.» cfr. A.S.F., Mediceo, f. 1874, c. 76, F. da

Montauto a Francesco I, Siena, 20-10-1578. 385 Ibidem, f. 261, c. 44 t., Francesco I a Girolamo Seriacopi, provveditore della fortezza di Siena, 22-7-1583. 386 Ibidem, f. 766, c. 237, Girolamo Seriacopi a Francesco I. Siena, 7-3-1584 e f. 261, c. 187 t., Francesco I al Seriacopi,

12-3-1584. 387 Ibidem, f. 762, c. 111, Deputati di Balia e Provveditori sopra le strade della città di Siena a Francesco I, Siena, 22-7-

1583 e f. 261, c. 42 t., Francesco I a F. da Montauto, 26-7-1583. 388 Oltre allo stemma dei Medici, in questa fontana vi è pure quello di Siena e quello di Radicofani. Cfr. A. MARIOTTI,

Le armi dei municipi toscani, Firenze, 1864, p. 237. La tavoletta sotto lo stemma mediceo reca la scritta: «Ferdinandus

Medices Mag. Dux Hetruriœ III Viatorũ Comoditatĩ A. S. CIOIOCIII» (1603) 389 G. A. PECCI, Memorie storiche delle città, terra e castella dello stato di Siena, sec. XVIII, tomo V, c. 411. Prima

dell’istituzione del nuovo capitanato, in questa zona ne esistevano solo due quello di Radicofani e di Sovana.

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24. Oltre alle tabelle relative ai proventi delle Comunità, tra XVI e XVII secolo, e alle cartografie a queste

relative ……………………………….

Conforme a questa nota presentiamo la nostra località nell’anno 1603: Radicofani. Capitanato, vi risiedono il capitano di giustizia, il giudice, il notaio, un caporale e 2

famigli «con cavalcatura». 1705 abitanti (-24, 62). Entrata della Comunità scudi 1307; Entrata dei

Luoghi Pii scudi 325; Entrata delle Religioni scudi 303. 3 calzolerie, 1 concia, 3 fabbriche, 2 botteghe

di panni e merci, 1 spezieria, 4 pizzicherie, 1 mulino, 3 forni, 1 osteria, 2 macelli, 3 canove. Famiglie

con oltre 100 scudi d’entrata n° 24 per scudi 4310. (Chiusi).

La via Cassia. La più importante arteria commerciale dello stato Senese e gli interventi

Medicei. (A cura di Maria Paola Rossignoli)

Per avere ancora più notizie dell’importanza della Via Francigena o della Cassia, come si chiamerà nel XIX secolo, quindi per capire ancora più approfonditamente questa importanza, dopo ciò che ha scritto lo Sterpos, continuiamo con l’articolo sotto riportato e quindi avremo una situazione più completa che oggi (2015) dopo la costruzione dell’A1 (Autostrada A1 Roma-Milano) e dopo la costruzione del foro sulla Valle del Paglia il nostro paese ha ricevuto economicamente un colpo assai grosso che oggi si cerca di supplire tramite la “FORESTALE” le industrie della valle del Paglia, la pastorizia con i sardi e il turismo con gli agriturismi dell’ultimo secolo; ma, per avere un’idea del colpo subito da Radicofani dal 1964 ad oggi, ricordiamo la popolazione che nel 1964-65 era di 2850 cittadini ed oggi (2015) con l’immigrazione dei sardi e i nati in questo periodo non raggiunge le 1300 unità.

Pag. 283 e segg.

Premesse storiche

L’itinerario della via Cassia nel tratto da Siena al confine con lo Stato Pontificio, nel XVI secolo

era rimasto pressoché inalterato rispetto al percorso descritto circa quattro secoli prima da Sigerico,

Arcivescovo di Canterbury,390 che partendo da Roma si diresse al nord verso la sua sede episcopale

facendo la strada passante per Sutri, Viterbo e Siena. Va precisato che questa arteria era una

modificazione del percorso originario della via Cassia,391 che partendo da Roma attraversava Bolsena,

Orvieto e per la Val di Chiana, Chiusi e Arezzo, scendendo nel Valdarno si dirigeva a Firenze,

proseguendo poi per il nord. Questa strada di notevole importanza nell’ambito delle comunicazioni

tra Roma, i centri dell’antica Etruria e il nord, intorno all’anno 1000 ebbe una modificazione di

itinerario e, pur rimanendo inalterato il tratto fino a Bolsena, fu da lì deviata ad ovest e creata l’arteria

passante per il Senese.392

Nel ‘500 questo divenne il sistema di comunicazione più utilizzato per il transito e il

collegamento tra Roma, l’Italia settentrionale e i centri dell’Europa, considerando che la strada per la

Val di Chiana, in quegli anni, era impraticabile a causa dell’impaludamento del territorio che

attraversava; anche l’Aurelia, antica via consolare, per lo stesso motivo era danneggiata in alcuni

390 W. STUBBS (a cura di), Rerum Britannicorum Medii Aevi Scriptores, vol. LXIII, London, 1874. 391 Tabula Peutingeriana (Bibl. Naz. Di Vienna). 392 Per un approfondimento sulla viabilità si consiglia: D. STERPOS, Comunicazioni stradali attraverso i tempi, Novara,

1964; E. MARTINORI, Le vie maestre d’Italia – Via Cassia, Roma, MCMXXX; A. TRACCHI, Alla ricerca della via

Cassia, nel tratto Chiusi-Firenze, «L’Universo», n. 4, 1964.

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tratti prossimi al litorale tirrenico393 ed era altresì poco sicura per gli assalti pirateschi, allora frequenti

in quel tratto di costa. Fu ad ogni modo il problema dell’impaludamento della Val di Chiana394 e della

costa tirrenica che portò ad abbandonare quegli antichi tracciati, privilegiando l’itinerario senese che

pur avendo temporanei impedimenti, non aveva interruzioni del suo percorso.

La cartografia cinquecentesca395 descrive la strada che lascia il territorio laziale ad

Acquapendente, entra nel territorio senese a Centeno incontrando Radicofani, La Scala, S. Quirico,

Torrenieri, Buonconvento, Lucignano, Siena e, scendendo nella Val d’Elsa, si collega con Firenze.

Questa arteria, che alla metà del secolo fu danneggiata dal passaggio dell’esercito imperiale396 e delle

truppe fiorentine, dopo il trattato di Cateau Cambrèsis, tornò ad essere normalmente frequentata e

transitata da viaggiatori, soprattutto stranieri, diretti a Roma. La casa Medici con Cosimo prima, con

Francesco e Ferdinando poi, pose infatti molte attenzioni al mantenimento di quella strada, interessata

come era acciocché i commerci si svolgessero nel proprio territorio.

Lavori sulla strada romana

Nel ‘500 gli ostacoli frequenti per la viabilità erano rappresentati da problemi di natura

idrografica, e nel caso della Cassia il danno maggiore era costituito dallo straripamento delle acque

dei fiumi. La strada, nel tratto senese, incontra l’Arbia a pochi chilometri da Siena, l’Asso presso

Torrenieri, l’Orcia al bivio di Bagni Vignone, sotto Radicofani il Rigo e l’Elvella a Centeno. Sebbene

questi corsi d’acqua non avessero la portata del Paglia, che è il fiume più grande che la Cassia incontra

nel territorio laziale e soggetto spesso a straripamento, erano ricorrenti i lavori da eseguire ai ponti

per i danni che le acque provocavano.

Con particolare riguardo Cosimo I fece eseguire lavori all’Arbia, che minacciava seri danni agli

argini del fiume e al ponte, «…. non si potendo … senza quello usare la strada tanto frequente per

Roma …».397 Fin dal 1562 fu infatti denunciato lo stato deplorevole di quel fiume398 ma i lavori

iniziarono nel 1564, poco prima di dar inizio a quelli della fortezza di Radicofani.

Riguardo alla struttura del ponte non si hanno piante e disegni dell’epoca, ma attraverso i

documenti dei lavori per le strutture rovinate, si può, in generale, ricostruire la ossatura. Nel 1563,

Angelo Niccolini informa il Granduca delle precarie condizioni di un arco e dei danni provocati dalle

acque ad un altro.399 Nel 1564 viene data mano alle fondazioni, consolidandole per maggior sicurezza

con grossi pali «ficcati nel letto del fiume» e chiamati in termine tecnico «palafitte».400

Baldassarre Lanci, architetto soprattutto militare, nel 1564 suggeriva di restaurare le «platee»

assai danneggiate, ma il Principe Francesco sconsigliava di iniziare il restauro in quel periodo, poiché

le acque cominciavano già ad ingrossare. Il Lanci, in quell’anno, si limitò a rinforzare le steccate401

per impedire che gli argini del fiume venissero rovinati. Solo nell’inverno del 1567 veniva ricostruita

la «platea», lunga 60 braccia e larga 25402 e contemporaneamente venivano rinforzate le fondamenta

per assicurare una maggiore stabilità.

393 G.TARGIONI TOZZETTI, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, ediz. anast., Bologna, 1972,

vol. IX, pp. 228-251. 394 V. FOSSOMBRONI, Memorie idraulico storiche sopra la Val di Chiana, Bologna, 1978, p. XX. 395 Carta di L. Pindemonte, Bibl. Moreniana di Firenze, Fondo Palagi, Mappe 29. 396 A. VERDIANI BANDI, I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, cit., ediz. anast., Montepulciano, 1973,

p. 101. 397 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 500, c. 94, Angelo Niccolini, al Duca Cosimo, Siena 6 giugno 1563. 398 A.S.F., Mediceo, Registri, f. 217, c. 133, il Duca Cosimo ad Angelo Niccolini, S. Marcello, 15 giugno 1562; Mediceo,

Carteggio Universale, f. 494, c. 159, Angelo Niccolini al Duca Cosimo, Siena, 12 luglio 1562. 399 Ibidem, f. 500, c. 94 lett. cit. 400 C. BORSARELLI, Le fortificazioni nello Stato di Siena al tempo dei Granduchi Cosimo e Francesco de’ Medici

(1559-1587), tesi di laurea della Facoltà di Magistero dell’Università di Firenze, a. a. 1972-73 (relatore G. Spini). 401 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 523, c. 9, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena, 22 ottobre 1566. 402 Ibidem, f. 528, c. 274, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena 21 aprile 1567.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Negli anni seguenti il ponte fu spesso consolidato, poiché nonostante i continui lavori la struttura

continuava ad essere in condizioni non eccellenti, come si rileva dalla perizia fatta da Luigi Nasini

nel 1568403 e negli anni successivi, dai registri delle spese.404 Anche altri ponti sulla strada romana si

trovavano in precarie condizioni verso la fine del ‘500; a Buonconvento il ponte riceveva grave danno

in un fianco, minacciando di cadere se non vi «si fosse provveduto» al più presto. Il ponte sull’Asso

presso Torrenieri era in costruzione e il ponte sull’Orcia era rovinato.

Il reperimento della mano d’opera era fatto di solito col sistema delle comandate, anche se spesso

erano gli stessi abitanti dei centri attraversati dalla strada a prestare lavoro gratuitamente.405 I costi

non irrilevanti delle riparazioni sulla strada erano spesso a carico della popolazione: di volta in volta

si stabiliva gli oneri da addebitare. Per questo il magistrato dei Quattro Conservatori poteva

riscuotere, dalle comunità tassate, i denari impiegati per i lavori, poiché queste erano considerate

«opere di pubblica utilità».406

Lo stesso procedimento veniva adottato per le numerose locande che sorgevano sulla Cassia. Da

Siena a Centeno ve ne erano molte, in ogni centro abitato, ed i proprietari venivano tassati per il

mantenimento delle strade, per l’ottimo motivo che il traffico permetteva loro di ricavarne profitti.

Oltre ai lavori per i ponti, i più frequenti ed urgenti da eseguire per garantire la continuità del

percorso, negli stessi anni veniva data mano ad altre costruzioni. In una lettera del 2 maggio 1564

Baldassarre Lanci chiese al Granduca Cosimo che si «possa costruire un mulino al ponte d’Arbia»,

poiché la popolazione doveva recarsi a circa 10 miglia per macinare il grano.407 Nello stesso anno

venne informato il Granduca, che erano necessarie riparazioni ad alcuni mulini danneggiati, tra cui il

Lanci segnalava particolarmente quello del Buonconvento.408

Si ritenevano indispensabili anche lavori di riparazione al manto stradale: in una lettera dell’8

novembre 1595 il Governatore Tommaso Malaspina chiese al Duca Ferdinando. «… che si

racconcino alcuni passi della strada romana …».409 Che questa strada stesse molto a cuore alla casa

Medici è documentato, oltre dai lavori eseguiti, anche dal «Bando et Ordine che le strade sieno

conservate in buono stato»410 emesso sotto governo di Francesco I, secondo Granduca di Toscana.

Lavori di riassetto furono fatti nel tratto terminale della strada romana in prossimità del confine

meridionale con lo Stato Pontificio, cioè sotto la fortezza di Radicofani. Questo percorso, che fu

costruito dalla Repubblica senese nel 1442 apportando una modifica al tratto originariamente passante

da Ricorsi,411 Nel 1555 era stato quasi distrutto dal Vitelli, generale di Cosimo I, quando per lungo

tempo e inutilmente assediò la fortezza di Radicofani. Che questi lavori furono realmente eseguiti è

documentato dalla relazione del viaggiatore Montaigne che transitò sulla strada nel 1581, cioè un

anno dopo l’emissione del bando sulla manutenzione delle strade.412

Pure il viaggiatore Martin Zeiller rilevava che le strade «… sono tutte lastricate e coperte con

grosse pietre cosicché vi si può viaggiare come in una città e per questo si deve lodare la cura del

Granducato».413 Ma sempre lo Zeiller annotava come la strada andando verso Roma, dopo

Radicofani peggiorasse molto, diventando «… fangosa e faticosa per i cavalli …».

403 Ibidem, f. 543, c. 17, Luigi Nasini al Principe Francesco, Ponte d’Arbia, 2 agosto 1568. 404 A.S.S., Governatore, f. 1042, Ordini relativi al Magistrato delle strade (1563-1773), Baldassarre Lanci al Duca

Cosimo, Siena 2 maggio 1564. 405 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 529a, c. 310, e f. 505, c. 311; Baldassarre Lanci al Duca Cosimo, Siena, 11

aprile 1564. 406 D. STERPOS, op. cit. 407 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 528, c. 374, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena, 21 aprile 1567;

f. 525a, c. 810 e Mediceo, Registri, f. 228, c. 220, Il Principe Francesco a Baldassarre Lanci, Firenze, 22 luglio 1567. 408 A.S.S., Governatore, f. 1042, cart. Cit. 409 Ibidem, Tommaso Malaspina al Duca Ferdinando, Siena, 8 novembre 1595. 410 Bando et Ordine, Palatino c. 9 3, PO XXXVII, presso la Bibl. Naz. di Firenze. 411 L. CARANDINI, La posta di Radicofani, cit., «L’Universo» n. 1, anno XLIV, 1969, p 156. (pagg. 155-157) 412 M. MONTAIGNE, Journal du voyage en Italy en 1581-1581, Paris, 1774, pp.105-110. 413 MARTIN ZEILLER, Itinerarium Italie, Francoforte, 1640, p. 92.

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È da notare però che, nonostante la mole dei lavori eseguiti ad alcuni tratti della strada per

migliorarne le condizioni, i Granduchi non si preoccuparono mai di far fare riparazioni al ponte sul

fiume Elvella, ubicato a pochi chilometri dal confine del territorio senese con lo Stato Pontificio.

Questo ponte in legno, indispensabile per la continuità del transito, era spesso di difficile

attraversamento perché le acque ingrossandosi, soprattutto d’inverno, lo rendevano pericoloso.

Tra l’altro, Papa Gregorio XIII, nel 1580, aveva fatto costruire un ponte sul Paglia, fiume che

rappresentava l’ostacolo maggiore per il transito della Cassia. Questo fa pensare che i Medici

volessero rendere non facile l’accesso a Radicofani, dove a partire dal 1564 erano iniziati i lavori alla

fortezza, che era l’ultimo baluardo mediceo sul confine senese.

Aspetti economici della viabilità

Il cinquecento fu un periodo di floridezza economica per i commerci e l’espansione produttiva,

per cui il potenziamento della viabilità avrebbe contribuito ad agevolare i traffici e gli scambi oltre i

confini statali.414 In questo periodo si registrano significativi progressi negli studi teorici concernenti

le costruzioni stradali. Verso la fine del secolo Guido Toglietta, in un suo trattato, consigliava di

«…utilizzare uno strato impermeabile composto di pietra, sabbia e calce …»415, che rispetto agli

acciottolati medievali, e alle pesanti strade romane, consentiva di ottenere risultati di gran lunga

superiori. La validità di questo trattato, i cui suggerimenti potevano essere preziosi per la viabilità di

quel secolo, non fu in realtà riconosciuta, e quegli studi furono privi di attuazione. Dovranno passare

ancora alcuni secoli prima che quelle tecniche vengano impiegate.

Per la Toscana la situazione viaria, affidata soprattutto alla Cassia, avrebbe potuto «… avvicinare

la redditività dell’agricoltura, a quelle del commercio e dell’attività manifatturiera, permettendo nuovi

e più economici sbocchi …»,416 ma non sembra che i Medici avessero realmente questo tipo di

interesse. Erano gli stessi bandi emanati dai tre Granduchi a controllare la circolazione delle merci.

Così il Daca Ferdinando il 30giugno 1589 fece emettere una «Provisione, e Bando delle denunzie dei

Grani, Con la Prohibitione del portarsi Grano da Corte all’altra Corte, per benefitio, e comodo

universale».417 Alcuni anni prima, l’Arcivescovo di Vescovado, chiedeva al Duca Cosimo che

«…fossero conservati al suo feudo i privilegi, e segnatamente di poter prendere il sale a Siena».418

Ma il duca con rescritto dello stesso anno ordinava «…l’opportuna numerazione delle bocche …»,

stabilendo con questo, una calmierazione acciocché il sale servisse strettamente al «…fabbisogno

degli abitanti …». Questa limitazione commerciale fu indubbiamente una barriera per il progresso

economico, soprattutto interno, considerando anche che alcune parti del territorio erano tra di loro

mal collegate, con strade accidentate e sentieri impervi, cui i Medici non dedicarono mai molta

attenzione. Infatti quasi tutti i lavori relativi alla viabilità, eccetto alcune migliorie apportate a luoghi

da bonificare, riguardano la Cassia.

Servizi postali lungo la Cassia

Sulla Cassia i Medici fecero erigere una locanda, o Osteria Grossa, presso Radicofani, che ebbe

molta importanza per il transito sulla strada romana e che fu spesso citata nelle relazioni dei

viaggiatori. Questa locanda fu fatta costruire da Ferdinando I tra il 1587 e il 1589, utilizzando

parzialmente la casa di caccia che Francesco I aveva fatto erigere qualche anno prima. A questo

edificio, Ferdinando fece aggiungere, frontalmente, nel 1603, una fontana per l’abbeveraggio dei

cavalli, e sulla quale tuttora compare lo stemma mediceo. La locanda «…atta a ricevere qualunque

414 A. BORGI, La rete stradale della Toscana nei suoi caratteri attuali, nella sua evoluzione storica, nelle sue esigenze

di sviluppo, Firenze, 1977. 415 F. SCHEIDER, L’ordinamento pubblico nella Toscana medievale, Firenze, 1957. 416 A. BORGI, op. cit. 417 A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 1881, c. 228, Provisioni e Bando delle denunzie de i Grani. 418 N. MENGOZZI, Il feudo del Vescovado di Siena, Siena, 1911, pp. 109-110.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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personaggio e gran quantità di gente e di cavalli …»,419 faceva parte del più vasto sistema di edifici,

ubicati soprattutto sulla Cassia, adibiti per la sosta dei viaggiatori e per il cambio dei cavalli. A tali

costruzioni era spesso deputata la funzione di stazioni postali, che a partire dalla fine del ‘500

iniziarono da avere un certo rilievo per le comunicazioni commerciali ed epistolari. Nel Settecento il

Pecci lodava i pregi e i vantaggi dell’albergo mediceo di Radicofani.420 (Ciò che dice il Pecci, che non era mai stato a Radicofani, sono le stesse parole che scrive il Gherardini nella sua visita al paese!).

Il documento più antico in cui venivano stabilite le modalità del servizio postale venne stampato

a Venezia nel 1560, ma questo era di origine assai più remota.421 Alla fine del ‘500 sorsero dei veri e

propri compendi o guide sulle poste, di grande utilità per chi spediva missive o mercanzia e per chi

era addetto a recapitarle nei vari luoghi.422 Nel 1608 sappiamo che nel Senese esistevano poste: «una

a Siena città», altre a Lucignano, Buonconvento, Torrenieri, S. Quirico, La Scala, Radicofani,

Centeno, Pienza, Pitigliano e Sovana.423

Dalla dislocazione del territorio si nota come queste ricalcassero la viabilità più utilizzata,

essendo per lo più disposte lungo la Cassia. Per agevolare il servizio, nei compendi, venivano dati

suggerimenti per la spedizione, precisando che la corrispondenza «…conviene mandarla…» o

consegnarla ove «…havevano bellissima comodità di fruire ...». Il sistema postale fu soprattutto

istituito per «… dare maggior comodità alle persone che negoziano, più che a beneficio dei principi,

Duchi, Re, Imperatori e Papi …»,424 poiché la posta diplomatica poteva permettersi il lusso di corrieri

straordinari o privati. La corrispondenza veniva affidata dagli ufficiali di posta i quali, tra l’altro,

avevano diversi incarichi e ruoli. «Il corriero maggiore avendo ricevuto questo incarico dal Principe

o dal Duca, Re, Imperatore o Papa, per gratitudine o per affitto, ne può cavare tutti quei leciti fitti di

poste …», ma era obbligato a occuparsi della manutenzione dell’ufficio. Altri addetti a questo lavoro

erano i Luogotenenti, Cancellieri, Maestri delle poste, Ordinari e Precacci.

La corrispondenza deve essere segreta, per cui «… tutti i Principi sogliono volere che si vada in

un sol posto con le lettere e anche a levarle …. per questo fan bandi strettissimi …». Anche il secondo

Granduca si prodigò per l’emissione di un bando che vincolava la segretezza delle cose spedite e dei

«plichi». Nel 1574 venne stampato un «Bando che’ vetturini non possino fare Compagnia con

Albergatori», e come sottotitolo «Ne vetturino con altro vetturino, et Ordine fra Procacci, et

Vetturini».425 Infatti nei compendi sulle poste, viene spiegato che le cose spedite possono anche non

arrivare a destinazione, sia per la «disonestà» dell’uomo delle poste, sia per gli assalti dei briganti che

popolavano le zone boschive e poco frequentate.

Il problema del brigantaggio nel ‘500

Il banditismo si sviluppò in Toscana, come in altre parti d’Italia, verso la fine del cinquecento, in

corrispondenza della carestia.426 Il Granduca Francesco I, nel 1574, emise bandi severissimi contro i

briganti, e nominò Ambrogio Colombani funzionario nello Stato senese, perché prendesse

provvedimenti. Aveva stretto accordi con il Papa Gregorio XIII,427 per contrastare le incursioni molto

419 MARTIN ZEILLER, op. cit. 420 Bibl, Moreniana di Firenze, Ms., G.A. Pecci, Memorie storiche delle città, terre, castelli dello Stato di Siena. (Chi scrive ne ha trascritto, stampato e pubblicato il Manoscritto preso all’A.S. di Siena). 421 Poste per le diverse parti del mondo col Viaggio di Galizia, e di Gerusalemme… in L. Piloni, Bibliografia della posta

e filatelia Italiane, Firenze, MCMLIX, p. 30. 422 O. CODOGNO, Compendio delle poste per Tutte le Parti del Mondo, Milano, 1608, p. 371. Di questo libro esistono

varie edizioni: nella Bibl. Comunale di Siena è depositata quella del 1608, ma la più antica risale al 1603. 423 Ibidem. 424 Ibidem. 425 L. PILONI, op. cit., p. 96 bis, tav. VIII. 426 A. VANZULLI, Il banditismo, in G. SPINI (a cura di), Architettura e politica da Cosimo I a Ferdinando I, Firenze,

1976, pp. 441,455. 427 L. CANTINI, Legislazione Toscana, vol. VIII, Firenze, 1800-08, pp. 277-283.

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frequenti che questi facevano nel suo territorio. I briganti formavano spesso bande numerose,

«composte da 150 uomini ciascuna»428 e nel territorio senese agivano soprattutto in Maremma e in

zone montane, assalendo i viaggiatori, incendiando e saccheggiando. Impedivano anche che il

commercio si svolgesse e paralizzavano la pubblica amministrazione.

Francesco I nel 1586429 emanò due bandi, sollevando il popolo contro i briganti, e strinse alleanze

con gli stati confinanti, tra cui quello Pontificio, ove era Papa in quegli anni Sisto V, ben noto per le

sue iniziative repressive contro i briganti. Un ostacolo per debellare il banditismo, era la protezione

che questi ricevevano nei numerosi feudi esistenti nella Toscana meridionale. Al riguardo, Francesco

I ordinò che non fosse concessa dai feudatari, protezione o asilo politico, impartendo, per questo,

minacce di pene severissime per i trasgressori.

Ma lo Stato senese era un territorio propizio per i briganti. Tra questi vi erano anche dei feudatari

come Alfonso Piccolomini, Duca di Montemarciano e signore di Camporsevoli, che chiese poi

appoggio e protezione a Sisto V dichiarandosi suddito della sede Apostolica. Un altro rifugio per i

banditi, era lo Stato dei Presidi, rimasto agli spagnoli con il trattato di Cateau Cambrésis.

Il problema del banditismo fu affrontato sia da Francesco che da Ferdinando, intenzionati

entrambi a sconfiggere questo fenomeno che toccò i suoi apici nel 1590, e cominciò progressivamente

a scomparire sotto il regno di Ferdinando, anche per l’incisività delle sue operazioni repressive. Il

brigantaggio, comunque, se nel granducato rappresentò una difficoltà notevole per i commerci e per

l’approvvigionamento dei generi alimentari, rimase un fatto circoscritto ad un breve periodo, cosa

che invece non si verificò per lo Stato Pontificio e per i domini italiani della Spagna, dove continuò

a permanere ancora per anni.

Per avere più notizie sulla “Via Francigena” indico, per coloro che volessero arricchire le conoscenze, qui sotto altri libri:

La via Francigena (Una strada europea nell’Italia del Medioevo) – Editrice Le Lettere 1996 Firenze - Renato Stopani.

Guida ai percorsi della Via Francigena in Toscana – Editrice Le Lettere 1995 Firenze – Renato Stopani.

Storia della Via Francigena (Dai Longobardi ai Giubilei) – Editrice Il Leccio 1998 Siena – Mario Bezzini.

Strada Francigena-Romea (Con particolare riferimento ai percorsi Siena-Roma) Editrice Il Leccio 1996 Siena – Mario Bezzini.

Dal primo libro citato del Bezzini mi sono piaciuti i tre tragitti che lui fa della Via

Francigena man mano che arrivava al tragitto definitivo. Il Bezzini ricorda prima di tutto che Bolsena era l’antica Volsinnii, nel Medioevo è ricordata però con il nome della martire che è sepolta a Bolsena: Santa Cristina. Sempre per ricordare i posti vicino a noi esisteva S. Pietro in Paglia che oggi non esiste più.

Bezzini chiama la via Francigena del percorso di Sigerico “Francigena maestra” e ricorda che, dopo Torrenieri i viandanti avevano a disposizione un altro percorso, detto in generale Francigena dei “Baptisteria” che era quello che toccava tutte le chiese battesimali che risalgono ai primi secoli di libertà del cristianesimo. Questo percorso toccava le chiese di S. Vito e Modesto in Rutiliano, detto poi Corsignano, e dopo il progetto del Rossellino, comandato da Pio II si chiamò Pienza.

La strada dopo questa località arrivava a Monticchiello dove troviamo il baptisterium di Santa Monica e tre ospitali gestiti da religiosi, poi Chianciano Terme con il castellare di Sillena e vicino le chiese dei santi Cosma e Damiano, più oltre si arrivava quindi a Sarteano dove era il baptisterium di S. Cesareo dove

428 A. VANZULLI, op. cit. 429 L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. XI, p. 378.

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i conti di Sarteano e Chiusi fondarono nel 1084 la bella abbazia di Spineto dedicata alla SS. Trinità e a S. Maria e anche a Sarteano troviamo tre ospitali.

Il Bezzini ci ricorda che gli ospitali religiosi non erano soli ma vi erano anche strutture ricettive gestite da privati a scopo di lucro.

Superato Sarteano la strada si dirigeva a Cetona e poi a San Casciano Bagni e questa strada ha resistito fino a pochi anni fa, a Cetona vi era la chiesa battesimale paleocristiana dedicata a Giovanni Battista. Dopo S. Casciano dei Bagni si dirigeva sul sito Ospizio dove troviamo la chiesa battesimale paleocristiana di S. Maria

della Colonna. Presso tale pieve (prima chiamata baptisterium) esisteva un importante ospizio.

La strada proseguiva poi per Trevinano e da qui (prima Centeno) presso il ponte gregoriano entrava nella Francigena maestra.

Questa strada alternativa, sopra ricordata, fu anch’essa chiamata Francigena o Romea o Romana. Infatti, in vari ordinamenti della Repubblica di Siena è fra quelle chiamate Francigena o Romana.

I motivi per cui vari viandanti preferivano quelle strade possono essere vari, ma il più importante era la pericolosità che la strada maestra, in particolare il tratto fra S. Quirico d’Orcia e Ponte al Rigo. Secondo molti studiosi il percorso trattato sopra, specie nel trecento, fu frequentato più di ogni altro tracciato da banditi e persone di malaffare.

Un altro percorso, nella stessa zona era quello ad est della Francigena maestra, molto più vicino a Radicofani. Tale percorso lasciava la Francigena poco prima di attraversare l’Orcia ed arrivava a Spedaletto, dove era il piccolo ospitale di S. Nicola, dopo di che arrivava a S. Pietro in Campo ed andava a raggiungere Clemenziano (oggi La Palazzina) (veramente il Borgo di Clemenzano era molto più grande e vi era la chiesa di San Lorenzo e il convento privato di S. Quirico di Clemenzano N.d.A.) e Celle sul Rigo e dopo Cammattole e si ricongiungeva alla via maestra presso Torricella.

Il terzo percorso importante è quello che dopo l’attraversamento dell’Orcia verso ovest e che passava per Castiglione d’Orcia e poi per Vivo d’Orcia, ove troviamo un romitorio e un’abbazia camaldolesi, abbazia dedicata a S. Romualdo. Da Vico d’Orcia si arrivava poi ad Abbadia S. Salvatore, che tanta importanza ebbe per la Francigena, poi Piancastagnaio e scendeva per ricongiungersi con la Francigena a Ponte al Rigo.

Però il più importante percorso rimane quello che si formò nel XII secolo e che passava per Radicofani il quale piano piano soppiantò, in parte, l’itinerario fatto da Sigerico.

A questo proposito si consiglia rivedere l’articolo a pagina 33 «Paesaggi sepolti: insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750 – 1250 di Chris Wickham».

Da Internet su Google Libri dal titolo “Divagazioni su Radicofani nelle fonti

odeporiche” che vuol dire, secondo il vocabolario: «che è proprio di un viaggio, che riguarda un viaggio: narrazione odeporica, descrizione di un viaggio, resoconto di notizie, esperienze e simili raccolte durante un viaggio…». Questo libro “on line” a cura di Fabrizio Vanni il quale attraverso i resoconti che ci hanno lasciato coloro che viaggiavano per la “Via Francigena” e che attraversavano il Paglia o Radicofani, il Vanni si è cimentato a trovare il motivo per cui affermare che coloro che attraversavano la Val di Paglia avevano molta fretta di arrivare a destinazione e quelli che salivano a Radicofani erano i viaggiatori più ricchi, più esigenti, i nobili, i militari ecc. i quali trovavano un’assistenza adeguata che non avrebbero trovato negli

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ospizi della valle del Paglia, i poveri (e non tutti) e coloro che si arrangiavano e che non avevano paura a rischiare la vita per colpa dei banditi né del posto mal frequentato e meno attrezzato. Ebbene in questo libro nella nota n. 3 abbiamo la spiegazione “Toponomastica” del termine: Radicofani che qui sotto riportiamo.

Divagazioni su Radicofani nelle fonti odeporiche A cura di Fabrizio Vanni

Abbiamo estrapolato dalla nota n. 3 il significato della toponomastica del termine Radicofani.

Nella «Toponomastica della Toscana Meridionale ecc.» (Siena: Accademia degli Intronati,

1969) il Pieri ci propone Radicofani, Radicofano, Radicophani, Radicofini, Radicofanum e

Radecofini, che non esauriscono certamente le varianti che si incontrano nelle fonti. Anche per

l’etimologia del toponimo il Pieri si mostra stranamente prudente, limitandosi a interpretare la prima

parte del nome come abbreviazione di Radipert o Radicauso (a cui non potremmo non aggiungere

Ratchis, visto che si trattava di beni regi). Utile infine, anche se non risolutivo, l’elenco degli altri

toponimi con l’identica componente: due Radi a Monteroni d’Arbia e a Sovicille (Siena),

Radicondoli (-), Radipopoli (Castell’Azzara di Grosseto) e Radicagnoli (Pomarance di Pisa). –

Scilicet, p. 158.

Il Kurze nel Codex Amiatinus aggiunge anche la voce Radicophino. Cfr. anche “Minute nel fondo

del monastero di S. Salvatore al Monte Amiata” / Wilhelm Kurze. – In: «Scritti di storia toscana» /

Wilhelm Kurze; a cura di Mario Marronchi. – Pistoia: Società Pistoiese di Storia Patria, 2008. –

Scilicet, p. 256.

Nei Monumenta Germaniae Historica (d’ora in poi MGH) s’incontrano anche Radicofono,

Radicofoni e Radicofino.

Le molte varianti del toponimo sembrano, da un lato, non deporre a favore di una diffusa e

coerente frequentazione della località, anzi ne suggeriscono l’occasionalità percettiva non degna di

approfondimento.

D’altro lato, quando si passa a formulare ipotesi sul significato del nostro toponimo, composto

da due parti ben distinte, appare evidente, dalle molte grafie sopra esposte, che si è persa ben presto

la cognizione di entrambi i termini che compongono il toponimo e che ne dovrebbero spiegare il

senso: il nome proprio è scomparso dall’antroponimia, e il nome comune, che potrebbe comunque

ricordare, nella lingua alto-tedesca, o meglio ancora alto-bavarese, un oggetto, la kofenna, che è un

contenitore, una gerla, un corbello di vimini, ora detto Tragkorb. Cfr. «Althochdeutsches

Wörterbuch»: 5. überarbeitete und erweiterte Auflage / Rudolf Schützeichel. – Tübingen: Max

Niemeyer Verlag, 1995. – Ad vocem.

Sulle terminazioni in –kofen di toponimi bavaresi e della Svizzera orientale, cfr. «Archiv für das

Studium der neueren Sprachen und Literaturen»: XVIV Jahrgang, 34. Band / herausgegeben von

Ludwig Herring. – Braunschweig: Druck und Verlag von George Westermann, 1863. – Scilicet, S.

468-469. “Charakteristisch für Baiern sind die Ortsnamen auf -kofen. In Altbaiern ist ein Mengkofen,

Teutenkofen, Zaizkofen, und auch Köfering wird in die Verwandtschaft gehören. In der Ostschweiz

finden sich die Ortschaftsnamen Böttigkofen, Dotzikofen, Dettigkofen, Heschikofen, Göttikofen,

Latigkofen, Zollikofen, und eine große Anzahl von Ortschaftsnamen auf kon, welches aus kofen

zusammengezogen, nicht etwa aus der lateinischen Endung cum entstanden ist.ʺ Disponibile su

Google Libri.

In italiano rimane soltanto il vocabolo cofano e il dialettale cofana, che esprime un contenitore

concavo e capiente, specialmente di cibo, mentre, dalle parti di Roma, esprime anche, forse un traslato

del primo senso, la crocchia raccolta sul capo dei capelli delle donne (fonte: Anna Marchesini del

disciolto trio comico Lopez, Marchesini, Solenghi) a ricordarci il lontano uso di tale termine.

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Non escluderei, anche se è lectio difficillima, che la coniazione di quell’espressione presumibile

«Ratchis-kofen» potesse avere una base metaforica, dove il colle di Radicofani per la sua forma, che

appare ben distinguibile anche a distanza, quasi una catinella rovesciata, assume il senso ironico di

“corbello o cofano di Ratchis o anche cappello di Ratchis” o, ancora più comico, “crocchia o catinella

di Ratchis”, titolare, all’epoca della nascita del toponimo, del luogo e delle terre demaniali che

circondano l’altura. Tra tutte queste, prediligo “cappello di Ratchis” perché a un grande re si addice

un grosso cappello. Ma si tratta, ovviamente, di inferenze non dimostrabili, poco più di una serie di

boutades.

Dopo tutto, se il romantico William Hazlitt descrisse la notte passata a Radicofani “come essere

alloggiati in una nuvola: sembrava proprio la cuna delle bufere e delle tempeste”, penso che anche

l’interpretazione qui proposta abbia anch’essa una sua dignità immaginifica.

Dal libro “Radicofani e il suo Statuto del 1441”, più volte citato, a cura di Beatrice Magi abbiamo altre spiegazioni della toponomastica del nome:

Secondo quanto narra il Vilifranchi, che fu medico condotto intorno al 1830, esso fu un tempo

chiamato “castello di San Pietro” a cui la terra è dedicata e sotto il cui titolo è dedicata la Chiesa

arcipretale.430

Tanto questo scrittore, quanto l’illustre storico Muratori ritengono che abbia poi ricevuto il nome

di Radicofani per essere situato alle radici di uno scoglio il quale, avendo la figura di un grande

cestone (quasi) rettangolare, fu detto per questo Montecofano (Radicofani)431.

In tempi più vicini a noi e quindi successivamente il parroco di Radicofani, appassionato

storico locale432, sostenne che il nome significava: “possedimenti del re Rachis”, derivando dalla

congiunzione dei due termini tedeschi “Rachis” e “hoffen =terre”: la sua tesi è avvalorata

dall’esistenza, ancor oggi, di località nel letto dell’Orcia dal nome: Terra del re, Terra della regina,

Pian del re (Planum regis, negli antichi contratti)433. Bisogna sottolineare, infatti, che quasi tutti i

territori di Radicofani erano di proprietà regia o imperiale.

Un’altra teoria è stata elaborata da Arturo Santioli434, per il quale “Radicophanum”

deriverebbe da due radici, una etrusca: rat (cima o punta) ed una latina: phanum (tempio o sacro).

Anche questa teoria sembra essere una spiegazione verosimile avvalorata dal fatto che alla fine dell’Ottocento, vicino all’abitato, furono trovate 92 statuette votive etrusche, oggi al Museo Etrusco di Firenze; ancora nel bosco “Isabella” si è trovata una costruzione quadrangolare che sembra sia stata fatta dagli etruschi; inoltre, ed il sito viene ricordato anche nello Statuto di Radicofani del 1255, vicino al Borgo Castelmorro vi era un sito nominato “Viclano o Viclanus”. Tutto ciò può aver fatto venire al Santioli la radice etrusca “rat”, il vocabolo latino “phanum” fa venire in mente le statuine votive etrusche.

Visto che abbiamo parlato del bosco, non possiamo tacere il “Quaderno dell’Archivio n. 3 – 1993” dell’Archivio Italiano dell’arte dei giardini del comune di San Quirico d’Orcia:

IL BOSCO ISABELLA A RADICOFANI

(Un bosco tardoromantico)

A cura di Maria Mangiavacchi e Ettore Pacini

430 VILIFRANCHI, Lettera al Prof. Studiati, “Nuovo giornale pisano dei Letterati”, Anno 1832. 431 L. A. Muratori, Storia del Medio evo., Vol. IV, Dissert. 50, p. 567. 432 F. M. MAGRINI, La verità storica su Ghino di Tacco, cit., Rimini, 1987. 433 A. VERDIANI-BANDI, i CASTELLI DELLA Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, cit., ristampa anastatica della II

Edizione, Montepulciano, 1973, p. 25. 434 A. SANTIOLI, L’Amiata-turismo storia e arte, Siena, 1984, p. 14.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Editoriale donchisciotte (finito di Stampare nel mese di Febbraio 1994 presso

Ed. Grafica l’Etruria Cortona – AR –

Odoardo Luchini, del quale parleremo più avanti in occasione dei personaggi nati a Radicofani, volle fortemente la realizzazione del Bosco, in posizione dominante a ridosso

del paese a valle della casa padronale e del giardino di famiglia…………il bosco può in un certo

senso collegarsi agli ideali liberali del suo ideatore.

Da segnalare inoltre un ideale di solidarietà massonica che sottende la costruzione a confermare

l’alleanza tra antica aristocrazia locale e nuova classe borghese emergente…………….

Il bosco è un luogo in cui viene riproposto il gusto di una libera natura e svincolata da ogni

legame con l’uomo…… È stato creato artificialmente un ambiente naturale «organizzato» e

«migliorando» le realtà presenti sul luogo sul luogo che più incidevano sul paesaggio……

Caratteristico è soprattutto l’uso dei numerosi massi basaltici presenti sul terreno, molto spesso

lasciati così come sono o usati per erigere muretti a secco a sottolineare pendenze per costruire

gradinate. …. In tutto ben si inseriscono le rovine della fortezza di Radicofani distrutta nel 1555 dalle

truppe imperiali.

Le grotte inoltre, disseminate lungo i percorsi, sembrano antri naturali inserendosi perfettamente

nel paesaggio.

Vi è la costruzione della piramide dal significato chiaramente massonico, e la costruzione rettangolare con grossi blocchi lunga 16 metri e larga 6 che sembra essere una costruzione etrusca e di cui abbiamo accennato sopra. Poi vi è un grosso masso che è chiamato «sasso bulletta» messo al centro di una conca sottolineata da muretti e da un ponticello a secco e scalette dalle quali ci si arriva accanto. Prima all’inizio di ogni vialetto vi era una grossa pietra a piramide sempre a ricordo del simbolismo massonico.

Il Bosco per iniziativa di Matilde Luchini è stato dichiarato di notevole interesse pubblico in base alla legge 11.06.1922 n. 778 art. 2 fin dal 1929. Veniva aperto al pubblico in occasione di solennità patriottiche, come ricorda Alberto Luchini nel libro citato sopra.

In base alla legge 1497 del 1939 è stato classificato con D.M. 23.05.1972 (G.U. 17.01.1973) fra

le bellezze naturali. È stato acquistato dal comune di Radicofani nel 1983 (atto di vendita in data 24

ottobre) per adibirlo a parco pubblico e nell’atto di vendita è fatta menzione che il nome di «Bosco

Isabella» venga conservato in perpetuo.

Il fatto che il comune abbia preso il bosco, secondo me, è stato l’inizio della sua lenta ma inesorabile fine. Sono, infatti, cadute diverse piante, la forestale che ogni tanto viene a ripulirlo, non taglia l’edera che strozza le piante e non fa nessuna azione a che venga mantenuto com’è. Tutto quello che viene dato o venduto alla “cosa pubblica”, purtroppo, in Italia, con il tempo o muore o cambia destinazione; se non si prendono i provvedimenti che esistono in altri paesi europei!

Nella penultima parte del libro vi si parla di: ipotesi di conservazione e restauro. Ebbene a tutt’oggi non è stato fatto quasi nulla e in questa parte si parla delle cure che questo tipo di strutture necessitano per essere mantenute ideali, ma fino ad oggi, e sono passati vent’anni dalla pubblicazione del libro, è stato fatto ben poco delle cose che elencate qui sotto!

Nel nostro caso è fatta salva l’integrità dell’intero complesso, che non ha subito grossi interventi

e rimaneggiamenti se non il taglio di alcune piante morte. L’edera poi ha coperto larga parte della

piramide, in molte zone ha coperto il terreno e le pietre a forma conica o prismatica che delimitano i

vialetti. La lettura del luogo viene compromessa e vengono nascosti alcuni degli elementi decorativi.

…………………La prima cosa è quella di tagliare gli alberi morti o quelli segnati da competizione.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Tagliare inoltre le robinie che si trovano nella parte bassa. Ripulire periodicamente dall’edera tutti i

sassi, le pietre e i manufatti che hanno funzione decorativa.

Qui sotto inserisco alcuni documenti di cui sono venuto in possesso e che, credo, possono essere interessanti per avere un quadro più particolareggiato sul tema di cui trattano.

Documenti che spiegano ancora di più quanto scritto sopra in riferimento alla chiesa di

Sant’Agata.

Questi documenti portano la firma di Nicoletta Innocenti datate 24 giugno 1996 e

che riguardano notizie intorno alla congregazione di Sant’Agata. La tradizione orale, supportata recentemente da uno studio condotto da Don Ferruccio Marcello

Magrini, attribuisce la ragione della costituzione della Confraternita di Sant’Agata ad una regione

precipua.

Il XVIII sec. Fu per Radicofani un secolo particolarmente funesto a causa di numerosi e

violentissimi terremoti. Il primo si manifestò nei primi anni del 1700 per poi ripetersi con maggiore

virulenza nel 1727, nel 1740, nel 1764, nel 1776. I danni arrecati all’abitato di Radicofani durante il

terremoto del 1727 risultarono in gran parte irreversibili. Infatti, la primitiva struttura urbanistica

medievale risulterà, dopo la ricostruzione, fortemente modificata.

Era allora patrono di Radicofani, dal 1647, San Saturnino, protettore delle messi e dei raccolti,

ma evidentemente gli eventi luttuosi che avevano colpito Radicofani in occasione dei recenti

terremoti indussero la popolazione a chiedere la protezione della Santa di Catania. Fu così che il a

Agosto dell’anno 1727 nella Chiesa di San Pietro fu indetta un’assemblea generale, presieduta dal

Gonfaloniere e dal clero locale, nella quale fu stabilito che una rappresentanza di cittadini si sarebbe

recata in Sicilia per chiedere di poter ottenere una reliquia contenente un frammento delle ossa di

Sant’Agata. Il gruppo di uomini designati dall’assemblea, dopo aver ottenuto dal Vescovo di Chiusi

Monsignor Giustino Bagnesi un salvacondotto per l’attraversamento dello Stato Pontificio e del

Regno delle Due Sicilie, alla guida del Reverendo Giovanni Pompilio Bonamici, partì da Radicofani

il giorno della festa dell’Assunta nell’anno 1727.

(Archivio della Curia Vescovile di Chiusi – Filza 94B inserto I).

Cominciò così il culto di Sant’Agata che divenne patrona e protettrice della Comunità di

Radicofani particolarmente venerata per tutto il XVIII sec.

Per ottenere ulteriori informazioni intorno alla Compagnia di Sant’Agata occorre recarsi

all’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi dove, all’interno dello “Indice Generale degli atti relativi

alla Pievania di Radicofani” troviamo un “Indice Cronologico della Cartella I – Congregazione di

Sant’Agata e San Saturnino” redatta alla fine degli anni Ottanta da Don Marcello Ferruccio Magrini.

Ne pubblichiamo la parte relativa alla Congregazione di Sant’Agata.

ATTI RELATIVI ALLA PIEVANIA DI RADICOFANI.

INDICE CRONOLOGICO DELLA CARTELLA N° 1 – CONGREGAZIONE DI

SANT’AGATA E SAN SATURNINO.

Anni 1556-1612 – Memorie della Chiesa di San Lorenzo e del Convento dei Minori Conventuali.

Anno 1792 – Erezione della Via Crucis nella Chiesa di San Lorenzo Martire.

Anno 1793 – Dopo la soppressione della Chiesa e Convento Francescano per ordine del

Granduca Pietro Leopoldo di Toscana, la chiesa di San Lorenzo viene affidata alla Congregazione di

Sant’Agata eretta con Sovrano Rescritto in data 27 Marzo 1793.

La nuova Congregazione, composta da settantadue fratelli, redige un proprio STATUTO, nel

Maggio 1793, costituito da XX Capitoli.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Anno 1794 – Solo un anno dopo anche la Congregazione di Sant’Agata verrà soppressa dal

governo Granducale. Il popolo di Radicofani invia una supplica al Granduca e al Vescovo di Chiusi,

Mons. Giuseppe PANNILINI, chiedendo il ripristino della Congregazione. La domanda sarà accolta.

Anno 1799 – Benedetto TRONI di Pistoia venne incaricato dalla Congregazione di costruire un

nuovo organo per la Chiesa di Sant’Agata. Il costo è di 150 scudi d’argento fiorentini.

Anno 1800 – Angelo FONDI-UGURGERI, nobile senese proprietario della Villa dei Piani-

Fondi, dona alla Chiesa di Sant’Agata un casalino, utilizzato come fienile e posto davanti alla chiesa

di Sant’Agata. Il casalino viene demolito per dare spazio e maggiore visibilità alla facciata.

Anno 1802 – Con l’autorizzazione del Vicario dell’Ordine dei Dominicani, viene eretta nella

chiesa di Sant’Agata la Confraternita del SS. Rosario, con obbligo di celebrare la Festa della prima

domenica di Ottobre.

Anno 1806 – Il Vescovo Giuseppe PANNILINI ordina con Decreto di trasferire l’Urna e la

reliquia di San Saturnino dalla Chiesa di Santa Maria Assunta alla Chiesa di Sant’Agata. Da un

documento originale del 1627 risulta che il Rev.mo Padre Maestro Giovanni PELLEI di Radicofani,

benemerito della Patria, aveva fatto dono ai suoi concittadini del Corpo di San Saturnino Martire

stabilendo che fosse conservato nella Chiesa di Santa Maria Assunta. Il Vescovo PANNILINI dispose

tale trasferimento perché il Consiglio della Compagnia dell’Assunta si era reso responsabile d’”

incuria e negligenza” nella custodia delle Sacre Reliquie. Durante la Visita Pastorale compiuta a

Radicofani il 13 Maggio 1804, il Vescovo PANNILINI dispose che la Reliquia in argento di

Sant’Agata, unitamente alla Statuetta e all’Urna di San Saturnino, venissero cancellate dall’Inventario

della Pieve di San Pietro e trasferite in quello della Congregazione di Sant’Agata. Nella stessa

circostanza, Mons. PANNILINI confermò la licenza di continuare nella Chiesa di Sant’Agata la

Novena del Santo Natale, da tenersi all’Alba, per comodità dei coloni residenti in campagna. Ancora

il 13 Maggio 1804, Mons. PANNILINI, su richiesta del Consiglio della Congregazione, accordò di

spostare alla seconda Domenica dopo Pasqua la festa anniversaria della Consacrazione dell’antica

Chiesa di San Lorenzo avvenuta il 6 Febbraio dell’anno 1557, perché coincideva con la Festa annuale

della Patrona di Radicofani.

Anno 1807 – Contrasti insorti fra il Pievano di San Pietro e il Direttivo della Congregazione di

Sant’Agata per la celebrazione di alcune Festività. Il Vescovo stabilisce per ciascuno dei contendenti

l’assegnazione delle rispettive Feste e Funzioni Sacre. Nello stesso anno 1807 vennero commissionati

agli artigiani Antonio ROSI e al figlio Eustachio nuovi candelieri di legno dorato con Crocefisso,

Carte Gloria, Scaletta per Massaie, Vasi da fiori, per un importo di scudi fiorentini Novanta.

Anno 1811 – L’Imperatore Napoleone Bonaparte ordina la soppressione di numerose comunità

religiose, fra le quali il Convento dei frati Cappuccini di Radicofani. Poiché in questo Convento si

teneva ogni anno per la Settimana Santa l’Esposizione del Sepolcro, il Direttivo della Congregazione

di Sant’Agata chiede ed ottiene dal Vescovo diocesano la facoltà di poter trasferire nella loro Chiesa

il Sepolcro del Giovedì Santo.

Anno 1814 – Quando il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena espulse da Radicofani i Minori

Conventuali, il fabbricato adiacente alla Chiesa dell’ex Convento con l’annesso orto fu assegnato

all’Arcipretura di San Pietro perché servisse come Casa Canonica del Parroco che, dopo i terremoti

del Settecento, era rimasto privo di una propria abitazione. Il Direttivo della Congregazione di

Sant’Agata reclamava i propri diritti sul fabbricato e sull’orto. L’Arciprete GORGONI fece ricorso

al Vescovo che obbligò il Direttivo a consegnare le chiavi al Parroco.

Anno 1817 – L’Oratorio della Madonna delle Nevi, annesso all’antico Spedale dei Pellegrini

ubicato all’inizio della strada che conduce alla Fortezza, apparteneva per diritto di Patronato al Regio

Ospedale di Santa Maria della Scala in Siena. A seguito della chiusura dello Spedale di Radicofani,

l’Oratorio delle Nevi venne abbandonato e minacciava rovina. In occasione della visita pastorale che

si ripeteva ogni tre anni, il Vescovo PANNILINI dette incarico a un sacerdote di Radicofani, Don

Paolo ROSSINI, di redigere una perizia per eventuali riparazioni. Risultata la spesa troppo onerosa e

non essendo più necessario al Popolo per la vicinanza del paese, l’Oratorio venne dissacrato ed il

titolo trasferito nella Chiesa di Sant’Agata con tutti gli arredi sacri e con obblighi di una messa ogni

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Sabato e la celebrazione della Festa annuale nella ricorrenza del 5 Agosto. Il Decreto Vescovile fu

ratificato dal Cancelliere comunale Tommaso MAGNANI il 27 Gennaio 1817.

Anno 1827 – Il rettore pro-tempore della Congregazione di Sant’Agata, Don Francesco

MAGRINI, espose al Vescovo che a seguito della accresciuta popolazione e della domanda dei

cittadini che vogliono entrare a far parte della Congregazione, sarebbe opportuno elevare il numero

dei fratelli, fino ad allora circoscritto a settantadue membri, portandolo a cento. Si sarebbe in tal modo

evitato malcontento e rimostranze da parte degli esclusi. Il Vescovo Giacinto PIPPI accordò tale

richiesta ed aumentò il numero dei Fratelli in data 7 Luglio 1827.

Anno 1836 – L’Arciprete Don Giuseppe GORGONI fa presente al Vescovo che la Chiesa di

Sant’Agata, Patrona del Paese, è molto frequentata da parte dei Fedeli. Sarebbe pertanto desiderabile

che l’unico Altare esistente in questa Chiesa venisse insignito del titolo “Privilegiato”. Tale richiesta

venne concessa il 17 Dicembre 1836.

Anno 1868 – Domanda presentata nella consueta Adunanza generale della Congregazione che si

teneva ogni anno il 19 Marzo, festa di San Giuseppe. Angelo INSELMINI chiede di essere ammesso

a far parte della Congregazione prendendo il posto del padre defunto. L’INSELMINI, in caso di

elezione, s’impegna, nella sua qualità di muratore, a riparare gratuitamente il tetto della Chiesa ogni

qual volta ve ne sia bisogno.

Anno 1915 – Elenco e stima delle proprietà della Congregazione, già appartenenti al soppresso

Convento dei Frati Minori Francescani: Podere MARRANO (casa colonica di due vani con orto e

aia); Puntone delle PIANINI; Puntone delle CHIAVI; Assolata e PAICCIA; due vigne in PERTIME;

quindici pecore.

Totale della stima Lit. 327

Per ultimo aggiungiamo della Storia di Radicofani l’ultimo capitolo che è la storia dell’ultima guerra mondiale e che il passaggio del fronte da Radicofani dette l’ultima battaglia che si ricordi; aggiungiamo le fotografie del Cimitero Militare della località “La Mossa”. Il 17 giugno a ricordo di questi eventi il Comune di Radicofani con altre Associazioni Combattentistiche dei Partigiani e Militari dei Carabinieri e con Combattenti della Legione Straniera, venuti dalla Francia e dall’Italia, fa una grande manifestazione ripresa anche da giornali e TV a livello locale e Nazionale.

BATTAGLIA DI RADICOFANI – (morte di Tassi e Magi)

Mentre accadeva che in tutta Italia i giovani si arruolavano con i Partigiani, anche Radicofani

veniva investito dall’incalzare della lotta ed il gruppo dislocato, al comando del carabiniere Vittorio

Tassi, aveva intensificate le proprie azioni in esecuzione dell’ordine trasmesso al comando.

La reazione tedesca fu molto cruenta sia per l’importanza strategica del contrafforte sulle vallate

verso Siena, per il collegamento della Cassia, nonché per la possibilità di facile spostamento di mezzi

motorizzati che l’andamento del territorio consentiva a differenza degli altri nostri capisaldi.

Quindi quando la battaglia infuriava verso la Nuta e sul monte Cetona, divenne impossibile per

questo gruppo riunirsi agli altri.

Fu così che dopo varie azioni portate a compimento vennero catturati dei prigionieri fra i quali

il comandante Vittorio Tassi e Renato Magi i quali, trasportati a valle davanti alle Nute. Località Pian

del Re, dove infuocato si svolgeva lo scontro, il 16 giugno (il 17 giugno n.d.t.) stesso venivano qui

fucilati.

Il periodico “IL CARABINIERE” (aprile 1976 n. 4 XXIX°) così la descrive:

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“Quando il Tassi ed i suoi partigiani, dal loro osservatorio, avvistano in lontananza le colonne

tedesche che affrontano lentamente la ripida salita, ne danno immediata comunicazione al comando

Simar. Quest’ultimo avverte a sua volta il Comando Alleato che può così sviluppare le azioni dei

cacciabombardieri proprio mentre le unità germaniche percorrono il tratto più tortuoso della strada.

Terminata l’offensiva aerea, le forze partigiane di Tassi attaccano tempestivamente i Nazisti,

sorprendendoli nel momento più critico. Il puntuale rapporto fra i bombardieri e le azioni di guerriglia

causa al nemico perdite sensibili e continue. Per non far rilevare il dispositivo di resistenza, gli

attacchi vengono svolti in località sempre diverse e anche lontane da Radicofani.

Ma i tedeschi riescono ad individuare ugualmente la dislocazione dei Patrioti e decidono di

intervenire. Vogliono assolutamente neutralizzare la resistenza partigiana nella zona, sorprendendone

i componenti con un’azione concentrica. Alle ore 15 del 15 giugno 1944 consistenti formazioni

naziste, dotate anche di mezzi cingolati, attuano un massiccio rastrellamento nell’area compresa fra

Poggio al Fibbia e Poggio Casano. Tutte le case coloniche sono sistematicamente ispezionate, gli

abitanti perseguiti ed interrogati.

Ma il grosso delle forze germaniche punta minaccioso sul podere “Sterposi”. Il carabiniere

Tassi decide allora di impegnare col fuoco il nemico, onde permettere ai componenti della sua

formazione di sganciarsi. L’ azione si accende violenta, con ostinata durezza da entrambe le parti.

Tuttavia, di fronte alla superiorità in uomini e mezzi dei nazisti, Tassi è costretto ad ordinare il

ripiegamento: mentre egli con cinque volontari, tra cui il giovane Magi fronteggia coraggiosamente i

tedeschi, i suoi compagni riescono a disimpegnarsi infine e a sfuggire all’accerchiamento.

Successivamente sopraffatto e catturato insieme ai suoi, viene condotto a Poggio Casano. Sede

del comando germanico. Qui i prigionieri sono sottoposti a torture e a lunghi interrogatori. I nazisti,

minacciandoli di morte, vogliono assolutamente notizie sulla composizione e sulla dislocazione delle

bande partigiane operanti nella zona. Ma i patrioti rimangono sul diniego più deciso. Il carabiniere

Tassi, tuttavia, percepisce la gravità del momento: i suoi compagni per la loro giovane età, sono

particolarmente esposti al pericolo di crollare sotto le sevizie; un attimo di debolezza può comportare

la fine per i suoi compagni e l’annientamento della Simar. Allora, con piena consapevolezza della

sorte cui va incontro, dopo un ulteriore lungo interrogatorio, afferma che gli uomini catturati non

appartengono ad organizzazioni partigiane e rivendica soltanto a sé la responsabilità delle azioni

compiute contro le unità germaniche. Riesce però, solo in parte a convincere i tedeschi, che caricano

su un camion gli altri patrioti per imprigionarli nelle carceri di Siena e trattengono lui e il Magi.

Il 17 giugno 1944 i nazisti, ormai convinti che i due prigionieri non parleranno, li conducono

in località Pian del Re, in Val d’Orcia. Qui fanno scavare loro una fossa. Quindi li legano insieme ad

un albero. Una squadra di SS li abbatte con scariche di mitra.

Dopo la ritirata delle truppe germaniche, gli abitanti di Radicofani recupereranno le salme e le

seppelliranno degnamente nel cimitero cittadino.

Alla memoria del carabiniere Tassi verrà concessa la medaglia d’oro al valore militare. Al

giovane Magi, che con tanto generoso coraggio aveva voluto seguire il Tassi, verrà concessa la

medaglia di bronzo al valore militare. Costoro, assistiti negli ultimi istanti da un cappellano militare,

ebbero modo di scrivere ai propri famigliari il loro tragico destino.

Contemporaneamente alla battaglia sul monte Cetona, sul versante più a sud (verso l’Amiata)

reparti francesi tentavano di attestarsi su Radicofani dove si ebbero durissimi scontri.

Qui avanzava la 13^ semibrigata della Leg. Straniera, anch’essa facente parte della div. Francia

Libera, che trovò un’accesa resistenza prima di poter accedere alla imponente rocca di Gino di Tacco.

Dice il diario di guerra francese:

“La 1^ D.F.M. era bloccata sulle alture a due Km. Da Radicofani (in codice quota 896). La 1^

brigata riuscì a distruggere 3 carri Tigre. La 4^ brigata occupava S. Casciano”.

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“Solo al mattino del giorno 18 veniva sferrato l’attacco a Radicofani con durissimi scontri strada

per strada. In questa lotta cadeva il Col. Laurent Champrassey Comandante il 1° R.A.D. Nella lotta i

tedeschi contrattaccarono con carri armati e la lotta si fece più serrata. Alla fine 90 soldati e due

ufficiali tedeschi restarono prigionieri delle truppe francesi” (Rif. a pag. 37 – I francesi a Siena).

Avevano resistito all’attacco reparti del 67° Panzer Granadier Regiment ed al Maggiore

Radgens comandante della piazza era stato ordinato di “battersi fino all’ultima cartuccia”.

Tuttavia i reparti francesi. Altrettanto determinati, dopo aver distrutto i mezzi corazzati, come

avevamo avvisato dalle nostre postazioni del Cetona, presero d’assalto il paese con scontri condotti

casa per casa e quindi gli ultimi superstiti si arresero consentendo la totale occupazione del cocuzzolo

e del castello il pomeriggio del 18 giugno 1944. Il maggiore Radgens anziché arrendersi preferì

suicidarsi.

Anche la cronaca raccolta da Claudio Biscarini su “Vicende belliche in terra di Siena 1943-

1944” così la descrive:

“Dalla valle del Paglia verso Radicofani, la divisione motorizzata di Brosset stava conducendo

un’accanita battaglia con gli uomini della 26^ Panzer di Crasemann. L’avanzata di Brosset era iniziata

il 15 giugno quando alcuni elementi blindati avevano raggiunto e sorpassato il Paglia ed erano arrivati

a lambire la rotabile Radicofani. San Casciano Bagni. La cittadina di Radicofani, con la sua

imponente rocca, dominava all’epoca, il passo omonimo sulla Cassia. Come ricorderemo, la 1^

divisione, era suddivisa in due raggruppamenti detti Est e Ovest. La resistenza dei granatieri

germanici era fortissima. I due raggruppamenti incontrarono sulla loro strada anche elementi dell’11°

Reggimento, 4^ divisione Paracadutisti; li ritroveremo più avanti. L’avanzata procedeva con

difficoltà fra i campi di mine, interruzioni stradali e sotto i tiri della onnipresente artiglieria avversaria.

Il 16 giugno il Raggruppamento Est (4^ Brigata) progettava un’azione su Celle sul Rigo e S. Casciano

Bagni che avrebbe viste impegnate alcune unità del battaglione di fanti di Marina del Pacifico e del

21° Battaglione di marcia raggiungeva Celle sul Rigo e si attestava a difesa. Elementi della

ricognizione venivano presi sotto il tiro degli 88 mm. tedeschi.

L’artiglieria tedesca attivissima, batteva anche la Cassia infliggendo perdite al 2° battaglione

della Legione Straniera. Il 17 giugno vedeva le unità di ricognizione del raggruppamento Ovest

arrancare per tre ore sulla Cassia onde raggiungere le posizioni d’attacco. La 1^ Brigata arrivava a 2

km a sud di Radicofani. Gli avversari erano ben trincerati. L’aereo di appoggio all’artiglieria alleata

comunicava che erano appostati, verso Radicofani, ben tre carri Tigre. Alcuni Tank Destroyer dell’8°

Reggimento Cacciatori d’Africa li distruggevano su segnalazione dell’aereo.

Spesso saranno proprio questi piccoli velivoli, artiglierie flieger come li chiamavano i tedeschi,

onnipresenti in cielo a risolvere critiche situazioni. Il raggruppamento Est iniziava ad avanzare su S.

Casciano. La cittadina venne presa alle 7:00 del 17/6/1944 dal Battaglione di Fanti di Marina del

Pacifico che si spingeva fino a Poggio Crispino catturando alcuni mezzi e non poche armi

abbandonate dai tedeschi. A sera tutti gli obbiettivi erano stati raggiunti e il servizio informazioni

francese rilevava, pericolosissimi, alcuni carri pantera. Erano stati respinti, l’avversario concentrava

le sue forze in alcuni punti riuscendo a conquistare monte Calcinaio che veniva però ripreso

successivamente nel contrattacco.

Il 24° battaglione di marcia raggiungeva a sera, Fontevetriana. Dall’alto di Radicofani e di

monte Calcinaio i francesi potevano scorgere la piana dell’Orcia ma, oramai, il tempo della divisione

di Bosset era finito. Stavano arrivando i marocchini della 2^ divisione di André Dody e sarebbero

stati loro ad attaccare la Frieda. I tedeschi segnalavano: sulla Cassia forte movimento di mezzi

motorizzati in direzione nord.

Le forche caudine erano passate.

EPOPEA DELLA 13^ D.B.L.E. – CAMPAGNA D’ITALIA

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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(Demi …. Lègionaire Etrangère)

La 13^ ha ricevuto l’ordine di aprire la via alle truppe alleate dirette a Nord.

Il 17 giugno 1944 il 1° B.L.E. arriva nelle vicinanze di Radicofani, davanti a Torre Colle (Tre

Colle?) porta d’ingresso in Toscana. Nel corso della giornata, i Legionari, hanno i primi

combattimenti durante i quali catturano 10 soldati nemici.

Radicofani 18 giugno 1944.

Il Comune di Radicofani è presidiato da elementi del 26° e 29° Panzer grenadiere Divisionen e

del 3° Reg. Paracadutisti.

La difesa del Borgo è ben organizzata, soprattutto all’entrata nel grande Palazzo del “Podestà” e

nel Torrione che domina tutta la pianura circostante dall’alto dei suoi 896 mt. Il Palazzo del Podestà

costituisce un primo importante osservatorio per il Maggiore RADGENS che comanda il presidio;

dispone di 12 mitragliatrici e di due cannoni da 75 PAC e di 3 carri armati Panzer come artiglieria.

Forze alleate di appoggio cominciano l’accerchiamento della Zona da Est. Il 1° Batt: L.E. si avvia

il villaggio. Sono le ore 09,00 del 18/6/44. Il Comandante De Serigné dovrebbe essere appoggiato da

carri armati e dall’artiglieria Divisionale. La foschia mattutina favorisce il dispiegamento della 2^ e

3^ Cia che procedono in testa. Ma la manovra di avvicinamento del Gruppo blindato dell’8° Reg. dei

Cacciatori d’Africa è ostacolato. I carri armati non possono lasciare la strada senza il pericolo di

impantanarsi e non possono procedere sulla stessa che è completamente minata e battuta

dall’Artiglieria nemica.

Il fuoco nutrito di armi automatiche blocca completamente la colonna blindata a trecento metri

dalla casa del Podestà.

Alle ore 09.00 esatte. I Legionari attaccano. Il tiro delle mitragliatrici Breda impedisce alla 3^

Cia di avanzare.

Il suo comandante, il Cap. De LUSANCAY è ferito al braccio, Bisogna, assolutamente, ad ogni

costo, neutralizzare 4 nidi di mitragliatrici da 20 mm che difendono il Fortino.

Il S/Ten POIREL, dando prova di audacia, con 6 Legionari, tenta di introdursi nella casa

fortificata. Il movimento del Commando sfugge alla sorveglianza dei difensori. I Legionari riescono

ad introdursi nella fortificazione ed occupano tutta la casa. In pochi minuti la Guarnigione, valutata

a più di 100 nemici si arrende. Il Maggiore RADGENS non sopporta questa umiliante sconfitta. Verrà

trovato suicida, nella soffitta, con una pallottola in testa.

Questo magnifico colpo di mano permette alla 2^ Cia di attaccare, frontalmente, il Villaggio.

A sua volta, nel primo pomeriggio, il S/Ten. JULLIAN, il cui coraggio temerario è già leggenda,

si impadronisce del Torrione. Infatti scala, con i suoi Legionari, lo stretto sentiero roccioso che parte

dal Borgo. Con la sua consueta foga non esita ad entrare da solo nella Torre che espugna con le bombe

a mano. Durante l’azione si trova faccia a faccia con 7 soldati nemici che cattura. Alle 17.00 non c’è

più resistenza.

Questi combattimenti furiosi sono costati cari al nemico che, oltre i morti, lascia sul terreno anche

115 prigionieri.

Dura, ma gloriosa giornata per il 1° Batt. della 13^. D.B.L.E. Le azioni eroiche si sono succedute

a ritmo incalzante.

I Legionari, sempre degni dei loro energici ed intrepidi Comandanti hanno rivaleggiato d’audacia.

La loro tradizionale disciplina al fuoco ha contribuito, in maniera decisiva, a scardinare la difesa di

Radicofani ed aprire, così, la via alle truppe alleate in marcia verso nord.

RENATO MAGI

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Di anni 18 – muratore – (aveva fatto domanda di entrare nel corpo dei carabinieri aiutato, forse

dal suo amico Vittorio Tassi) nato a Radicofani l’8 settembre 1925 -. Dai primi di marzo appartenente

alla formazione operante, sotto il comando di Vittorio Tassi, nella zona di Radicofani -. Sorpreso il

15 giugno 1944 da pattuglia tedesca e trovato armato di bombe a mano -. Condotto nei pressi della

cantoniera detta “Vittoria”, lungo la strada Radicofani-Chianciano -. Fucilato da plotone tedesco, alle

ore 7 del 17 giugno 1944, con Vittorio Tassi.

Questa la lettera scritta, prima di morire, inserita nelle lettere dei condannati a morte della

resistenza europea e nel libro di esempio di lettere di MARINO MORETTI – DOMENICO

CONSONNI “LINGUA MADRE” Grammatica Italiana moderna per le scuole Medie – Società

Editrice Internazionale – Torino – Ristampa Ottobre 1957 – Pag. 333.

Nel libro sopradescritto viene presentata con questa dicitura: lettera alla mamma scritta pochi

minuti prima di morire. È necessario dirti che non vuol essere solo un esempio di lettera?

Strada Radicofani-Chianciano, 17 giugno 1944.

Cara mamma,

Oggi 17 alle ore 7, fucilati innocenti. La mia salma si trova di qua dalla scuola cantoniera dove

sta Albegno, di qua dal ponte. Potete venire subito a prendermi.

Mi sono tanto raccomandato, ma è stato impossibile intenerire questi cuori. Mammina, pregate

per me, dite ai miei fratelli che siano buoni, che io sono innocente. Mentre scrivo ho il cuore secco,

mamma e babbino cari, venite subito a prendermi.

Dite alla cara Maria che sia buona, che io la ho voluto tanto bene e che si ricordi di me. Abbiamo

dieci minuti ancora.

Baci, a tutti per sempre. Sono il primo. L’anello datelo alla mia Maria che lo tenga per ricordo.

VITTORIO TASSI

Di anni 41 – carabiniere – nato a Radicofani (Siena) il 1° maggio 1903 – comandante di una

formazione partigiana operante nella zona di Radicofani, sulle montagne di Cetona e lungo la via

Cassia, effettua colpi di mano su colonne tedesche – In seguito alla cattura, da parte di una pattuglia

tedesca, di Renato Magi, partigiano nella stessa formazione, si espone, nel tentativo di scagionarlo,

al punto di scoprire le proprie responsabilità -. Condotto nei pressi della cantoniera della Vittoria,

lungo la strada Radicofani – Chianciano -. Fucilato da plotone tedesco, alle ore 7 del 17 giugno 1944,

con Renato Magi -. Medaglia d’oro al valor militare.

Cara Olga,

oggi 17 alle ore 7 fucilati innocenti la mia salma si trova di qua dalla scuola o cantoniera dove

sta Albegno.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Cara Olga Ti raccomando i nostri figli confortali e voglia loro bene quanto gliene volevo io

secondo mio ultimo desiderio io direi di non risposarti più però fai secondo di come saranno le tue

possibilità finanziarie.

Come ti ripeto tu puoi prendere la mia salma anche a mezzogiorno di quest’oggi stesso, io mi

sono tanto raccomandato ma è stato impossibile intenerire questi cuori. Perdonami se qualche volta

sono stato cattivo con te ma ti faccio presente che ti ho sempre voluto bene.

Cara Mamma,

Vi raccomando di aiutare mia moglie e i miei figli quanto più potete, perdonatemi di tutto, Vi

bacio.

Vostro Vittorio morto innocente

Cari suoceri anche voi aiutate e sorvegliate i miei figli e specie oggi in questo giorno difficile.

Mia cara Olga avrei tante cose da dirti ma non posso più scrivere perché ho il cuore secco. Dirai

a tutti perché sono morto se Iddio vuole ci rivedremo in cielo e di lì non ci separeremo più.

Caro Ercole sii buono e ubbidiente e ricorda spesso il tuo babbo.

E tu cara Anita sii buona a fai la ragazzina per bene che Iddio ti aiuterà.

Vi bacio tutti per l’ultima volta.

Vostro Vittorio che muore innocente

detti orologio e portafoglio a Beppino

gli stivali li lascio a Ercole

dirai a Remo che muoio io e Renato soli con il nostro segreto.

Tutte e due le lettere sono state pubblicate sia sulle “Lettere dei condannati a morte della

Resistenza” sia sui Condannati a morte della Resistenza Europea.

Qui sotto le foto del cippo della Legione Straniera e il cippo dove furono fucilati i partigiani:

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LO STATUTO

DEL COMUNE DI RADICOFANI DELL’ANNO 1255 “Bullettino Senese di Storia Patria”, 42 (1935).

La traduzione dal latino di questo statuto è stata curata da Don Ferruccio Marcello Magrini, che conosciamo per i libri che ha scritto su Ghino di Tacco, grazie ai documenti del Cecchini che gli fece avere l’autore del presente libro, il quale ha curato le aggiunte in corsivo, con questo carattere e sottolineato. Si riporta, qui di seguito, sia l’originale che la traduzione.

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Prima, però, di riportare lo statuto riportiamo anche le considerazioni che il Piattoli ha fatto in prefazione nel suo articolo sul “Bullettino Senese di Storia Patria” dove è stato edito:

Il possesso del castello di Radicofani rimase incontrastato alla badia di S. Salvatore

dell’Amiata435 fino al momento in cui cominciò a divenire sensibile l’influenza del comune di Siena,

forte della donazione della sesta parte del castello (e del borgo) fattagli nel marzo 1138 dal conte

Manente di Pepone436. Ma la non lieta avventura dell’abate Ranieri, subita nel luglio 1145 sotto la

pressione dell’esercito senese, per cui in certo modo egli dovette riconoscere la supremazia di Siena

su Radicofani437, agevolò la cessione della metà del paese a papa Eugenio III nel maggio 1153438.

Così ad un vecchio padrone vacillante e ad un padrone probabile assai prossimo si sostituiva una

potenza lontana e spesso immersa in faccende che la tenevano distratta dal pensare al piccolo

possesso, favorendo lo sviluppo di un’organizzazione comunale.

Nel 1256 Radicofani con Proceno ed Acquapendente dipendeva da un castellano sottoposto al rettore

del patrimonio di San Pietro (alla metà del XIV° sec. Il castellano era Dino da Radicofani) in Toscana439. La sua giurisdizione non si limitava alle fortificazioni, comprendendo tutti i diritti sui

territori, ma siccome Radicofani allora era retta da un podestà coadiuvato da un consiglio e agente

secondo una carta statutaria redatta dai rappresentanti dei comunisti, ne indurremo che il castellano

deteneva i diritti feudali e forsanche nominava i podestà nei centri che avevano ottenuto dal pontefice

un’autonomia amministrativa.

Ignoriamo quando in Radicofani cominciarono a vivere organismi che preludessero al Comune; ad

ogni modo nei frammenti che studieremo si parla di un privilegio pontificio, che concedeva agli

abitanti di non essere convenuti fuori dal territorio. Di qui la concessione legittima di uno statuto e

del suo esecutore, il podestà. Pertanto non anteriormente al 1153 si sarà costituito il Comune, il che

coincide con la caduta dei poteri diretti dell’abate Amiatino.

Il più antico statuto intiero della comunità di Radicofani pervenutoci appartiene al 1397 (1441),

quando il castello, pur rimanendo nel patrimonio pontificio, era sottoposto alla protezione di Siena440.

Riescono quindi interessanti, ed occupano un posto non disprezzabile nelle redazioni statutarie dei

comuni Toscani i frammenti che noi abbiamo rintracciato mentre costituivano la guardia di un codice

della Biblioteca Forteguerriana in Pistoia441, e che appartengono al 5 novembre 1255.

L’opera a cui i frammenti trovansi uniti sono le «Sententiae» di S. Bonaventura, in origine distribuite

in quattro volumi; ed è il quarto che li contiene, in fine. Le carte di guardia al principio del detto

codice e dell’altro volume rimasto furono sottratte in epoca non troppo remota; cosa per noi dannosa,

in quanto non improbabilmente contenevano altre parti dello statuto. Ne possiamo dedurre che l’opera

giunse al convento Francescano di Giaccherino presso Pistoia, donde alla soppressione napoleonica

fu tolta, da Siena o dal territorio Senese, se pure non ebbe la prima sede nel convento dei frati Minori

di Radicofani. Né è da dimenticare che i frati di S. Francesco furono in diversi centri i depositari

delle carte comunali.

I frammenti sono contenuti in due carte, che costituivano il primo foglio dell’ultimo quaderno, - in

senso lato, - dello statuto. Non essendo le rubriche numerate, è impossibile arguire il numero dei fogli

deperiti del quaderno. La scrittura è a piena pagina; i titoli delle rubriche, in inchiostro rosso, furono

collocati dove tornava meglio rispetto allo spazio disponibile. In inchiostro rosso sono pure le lettere

435 Le più complete notizie intorno alla località si trovano, oltre che nell’opera fondamentale di A. VERDIANI BANDI,

i Castelli Della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, II ed. Siena, 1927, presso il Dizionario geografico, fisico, storico

della Toscana di E. REPETTI, IV, pag. 709 sgg. e presso O. BICCHI, Radicofani, in «Bull. Senese di Storia Patria»,

cit., XIX (1912), pag. 123 e sgg. 436 Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. CECCHINI, I, pag. 34 n. 34. – Egli era dei Manenti visconti di

Campiglia: cfr. VERDIANI-BANDI, pag. 34 e 36. 437 Il Caleffo Vecchio cit., pag. 57, n. 42. – Cfr. anche VERDIANI-BANDI, PAGG. 36-37. 438 KEHR, Regesta Pontificum Romanorum, III, pag. 241, n. 14. – anche VERDIANI-BANDI, pag. 37. 439 REPETTI, IV, pagg.710-11. 440 ARCHIVIO DI STATO IN SIENA, Statuti, n. 104. 441 Porta la numerazione D-310.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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iniziali di ogni singola rubrica, ed il notaio che scrisse il testo segnò all’estremità del margine di

sinistra tali lettere per ricordarsene nel porle a suo luogo in inchiostro rosso.

Per comodità degli studiosi abbiamo dato in parentesi quadra una numerazione progressiva alle

rubriche giunteci intere o frammentarie sia per la mancanza degli altri fogli, sia perché, per adattarla

al codice, la pergamena fu tagliata nella parte inferiore asportando l’ultima linea di scrittura nella

prima carta : nella seconda il danno è stato insussistente, essendo mancante solo il margine, ma in

questa ha reso lacunoso il testo in qualche parte lo strappo di una sottile striscia di membrana al centro

della metà inferiore della carta.

Sono sopravvissuti 68 paragrafi dello statuto, un complesso quindi non indifferente di disposizioni.

Da esse si trae qualche notizia sull’assetto burocratico del piccolo Comune. Al suo vertice stava la

curia comunis presieduta dal podestà, dal giudice e dal camarlingo, con a disposizione uno o più

messi. Gli abitanti esprimevano la loro opinione attraverso il consiglio ed il parlamento. Vigilavano

l’osservanza dello statuto nelle campagne sei campari. Per la dispersione degli uomini del comune in

centri diversi (Borgo Maggiore, Castello, Castelmorro, Bonmigliaccio), in ognuno di questi erano

stretti in societates con a capo dei suprastantes. Noi dubitiamo che l’ambito dei gruppi di società

fosse limitato alla parrocchia; e che ognuno rappresentasse un piccolo comune entro il più grande

retto dal podestà. Certamente le societates preesistettero al grande comune, ma dovettero essere pochi

i loro gruppi, non più di quattro. Infatti tre sole chiese a Radicofani ricordano le liste delle decime

ecclesiastiche del 1275-76: la pieve di S. Giovanni (Battista) e le chiese di S. Andrea e di S.

Pietro442. Ora, se S. Andrea esercitava i ministeri parrocchiali per gli uomini di Castelmorro, e S.

Pietro per quelli di Borgo Maggiore443, ne rimane che la pieve era situata al Castello444. Però lo statuto

al modo che ricorda i suprastantes di Bonmigliaccio, così dispone anche la costruzione di una chiesa

in quella località, cosa che al 1276 ancora non era realizzata e forse non lo fu mai. (Invece nello statuto del 1441 la chiesa di S. Giovanni era stata costruita e lo si ricorda quando si parla dell’elezione dei sacrestani nelle principali chiese del Comune)445.

Sorto in un mondo schiettamente feudale, ed intralciato dai diritti feudali spartiti tra la badia di S.

Salvatore, il Comune di Siena, la Chiesa Romana, e anche qualche stirpe di signori, il Comune di

Radicofani non potette esplicare azione durevole sui territori circostanti né prosperare

rigogliosamente liberandosi dei legami che lo avvincevano. Rimane il ricordo di un patto con la

abbazia di S. Piero in Campo dagli abitanti di Radicofani rappresentati da Avveduto notaio: non

erreremo ponendolo intorno al 1235, anno in cui il medesimo Avveduto stipulò un accordo con il

sindaco di Siena in occasione dei danni riportati dagli uomini del suo comune da parte dei fuorusciti

di Montepulciano uniti ad alcuni masnadieri senesi446.

Termineremo questa nostra breve disamina accennando al numero rilevante di ospedali sparsi nel suo

territorio: allo spedale di Spineta dell’omonima badia447 e a quello di Fonte Cecola si

accompagnavano gli spedali di S. Maria e di Bonagiunta. Ciò si spiega con il passaggio per la zona

dell’antica via Francesca: ivi riposavano i viandanti e i pellegrini stanchi, portando i fermenti delle

idee nuove, i cui rappresentanti maggiori, i frati di S. Francesco, avevano creduto opportuno anche

fermarsi448. Così accanto alle vecchie badie ricchissime, e di contro ad esse, si posarono i poverissimi,

442 Cfr. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, I, Tuscia, a cura di P. GUIDI, Città del Vaticano, pagg. 122,

125, 127, 128 e 129.

442 REPETTI, IV, pag. 710. 444 REPETTI, IV, pag. 711, sembra identificare la chiesa di S. Pietro con la pieve di S. Giovanni, ma, come abbiamo

visto, nel sec. XIII erano due enti distinti. La seconda alla sua soppressione, - che non ci risulta in qual epoca avvenisse

– fu trasferita nella prima. 445 B. MAGI Radicofani e il suo statuto del 1441, E. Cantagalli, Siena 2004, Rubrica 8, pag. 91 (Nota aggiunta dall’A.). 446 BICCHI, PAG. 132. 447 Dalle rubr. XL e LVI sembra sorgesse nel Borgo Maggiore. 448 La rubr. XLII parla del luogo dei frati Minori; pertanto la data 1257, desunta dal REPETTI, IV, pag. 713, da una

lapide sulla facciata di S. Agnese, più che all’edificazione del convento, va attribuita ad un’ampliazione o ad un

rifacimento.

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tentando di farle crollare. Insieme sorse dai fedeli dei feudatari, dai liberi, una classe nuova conscia

della sua cultura e della sua forza. E noi additiamo l’esponente massimo che essa ebbe in Radicofani

in uno degli estensori del nostro statuto, messer Guasta, i cui nepoti omonimi si coprirono di fama

servendo l’uno armato, il comune di Firenze, impadronendosi l’altro della signoria della propria

patria449, sì da occuparvi il posto un giorno tenuto dal dantesco Ghino di Tacco. R. PIATTOLI

[I].

…………………poterit, teneatur potestas manum percussoris cum qua dapnum, percussionem vel

feritam dederit, facere amputari, exceptis minoribus, xiiii. annis, qui pro malefitiis puniantur arbitrio

consilii, nisi quis talia fecerit ad sui defensionem.

Articolo 1°

………Il Podestà è tenuto ad ordinare l’amputazione della mano di ogni persona responsabile di aver

recato un danno, una percossa o una ferita, a meno che l’offesa sia stata compiuta per legittima difesa.

I minori di quattordici anni saranno esentati dal taglio della mano, e la loro condanna verrà stabilita

ad arbitrio del Consiglio.

[II].

De pena malifitiorum commissorum (a)450 in curia et certis locis.

Quicumque aliquod malifitium commiserit in curia comunis Radicofani coram potestate vel iudice et

camerario, vel in parlamento, consilio, nuptiis (b), vel ad murtuum (c) seu ostem vel cavalcamento

(c), penam dupli solvere teneatur pro maleficio commisso et declarato per capitula costituti, nisi hoc

fecerit ad sui defensionem. Et si dictam penam solvere non possit, amputetur ei caput.

Articolo 2°

Titolo: Pena per i crimini commessi nella Curia (Palazzo Pretorio) e in altri luoghi adibiti a pubbliche

adunanze. (La pena per crimini commessi nella Curia e in certi luoghi) Chiunque avrà commesso una qualsiasi violenza nella Curia del Comune di Radicofani alla presenza

del Podestà, del giudice e del Camarlingo (amministratore), oppure durante il Parlamento, il

Consiglio, la celebrazione di un matrimonio o di un funerale, o anche in una osteria o sulla pubblica

strada, dovrà risarcire il doppio del danno arrecato e riconosciuto dai capitoli dello Statuto, purché

non si tratti di legittima difesa personale.

Nel caso che il condannato si trovi nell’impossibilità di pagare la multa assegnata dal Giudice, gli

sarà tagliata la testa.

[III].

De percussione cum manibus et spentis et eorum pena.

Quicumque alicui dederit alapam, boccatam vel pugillum, si sanguis exierit, pro pena. x. libras, et si

sanguis non exierit, .c. soldos; et si ceperit eum per capillos iniuriose, solvat pro pena .c. soldos; et si

dederit spentam et non ceciderit, solvat .xx. soldos, et si ex predictis percussionibus et iniuriis

ceciderit in terram, solvat pro pena .c. soldos ; et si post casum molestaverit eum faciendo plus iniurie,

solvat pro pena .x. libras.

449 REPETTI, IV, pag. 713; BICCHI, pagg. 140-41, 172; VERDIANI-BANDI, pag. 74. 450 - a) commissis. – b) così A, per numptii – nunzi, messi, - c) così A. –

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Et hec locum non habeant inter patrem et filium, dominum et servientem, inter frates carnales et

personas coniuntas hunius (c) familie vel divise.

Articolo 3°

Titolo: Percosse arrecate con l’uso delle mani o spingendo a terra l’avversario. Elenco delle pene.

Chiunque avrà dato uno schiaffo, o inferto un pugno sulla bocca ad altra persona, incorrerà nelle

seguenti ammende: se si produce un’emorragia, si dovranno pagare 10 libbre (moneta di rame); se

invece non consegue spargimento di sangue, la pena sarà ridotta a 100 soldi.

Qualora una persona venga gettata per terra, il responsabile della spinta dovrà pagare 100 soldi.

Se una donna insulterà la sua nemica afferrandola per i capelli, la pena stabilita sarà anche in questo

caso di 100 soldi.

Nell’eventualità che le ingiurie e le percosse risultino cumulative, l’ammenda complessiva

assommerà a 10 libbre.

Le pene sopra descritte non verranno applicate nel caso che la lite o le percosse avvengano tra padre

e figlio, tra il padrone e il suo servitore, come pure tra persone appartenenti alla stessa famiglia.

[IV].

De assalimento et eorum (d)451 pena.

Si quis aliquem assaliverit iniuriose cum armis ad domum suam, solvat .x. libras pro pena, et omnibus

et singulis cum (e) ipso euntibus tollantur .c. soldi. Et si alibi assaliverit, perdat .xx. soldos, si clarum

fuerit, et si asque armis assaliverit, solvat .x. soldos, et totidem solvat quilibet qui cum eo iverit.

Articolo 4°

Titolo: Violazione di domicilio e pene rispettive.

Chiunque si renda colpevole di violazione di domicilio, penetrando armato nell’abitazione altrui,

dovrà pagare un’ammenda di 10 libbre.

Se la violazione verrà compiuta da più persone insieme, ciascuna di esse è tenuta a versare la somma

di 100 soldi.

La pena è ridotta nel caso che la violazione a mano armata si verifichi in luogo diverso dall’abitazione.

(E se l’assalto viene fatto in un altro luogo, la pena sia di 20 soldi, se tutto è stato manifestato chiaramente, e senza le armi, e 10 soldi ciascuno quando sono più persone).

[V].

De evaginazione (a2) armorum et eorum pena.

Si quis contra aliquem iniuriose evaginaverit spatam, falgonem, cultellum, aut ceperit lanceam seu

spedum, mazam aut alia arma malitiosa, perdat .xx. soldos, si clarum fuerit, et si asque armis

ammenaverit manu, perdat .x. soldos.

Articolo 5°

Titolo: uso illegale delle armi e relative pene.

Se qualcuno minaccerà altra persona sfoderando la spada, afferrando un coltello, impugnando una

falce, una mazza o qualsiasi altro strumento offensivo, dovrà pagare 20 soldi.

Nel caso che la minaccia sia portata senza armi, la pena sarà ridotta a 10 soldi equivalenti alla metà.

451 - d) evidentemente, il pronome si riferisce ai possibili delinquenti. – e) segue espunto eo. – a2) evaginatione. -

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[VI].

De pena intrature domus alterius.

Quicumque malitiose vel furtive intraverit de notte domum alterius vel sine licentia domini domus,

solvat pro pena, .xxv. libras, et si de die. x. libras, et restituat quod ecceperit vel astulerit. Quam

penam si solvere non poterit, puniatur arbitrio potestatis, si capi poterit, alias autem exbanniatur.

Articolo 6°

Titolo: Pena per furto perpetrato in casa altrui. (Punizione per essere entrato nella casa

altrui). Chiunque s’introduca di notte nella casa di altri in maniera furtiva e senza l’autorizzazione del

proprietario allo scopo di rubare denaro o altri oggetti, dovrà restituire tutto ciò di cui si è

impossessato ed in più pagare un indennizzo di 25 libbre, Se il fatto è successo di giorno oltre a restituire, come sopra, tutto ciò di cui si è impossessato, dovrà pagare un indennizzo di 10 libbre.

Se il ladro non è in grado di pagare la forte somma dovuta, il podestà può permutare la cifra con altra

pena proporzionata, e qualora si renda latitante verrà bandito dal territorio del Comune.

[VII].

De intratura vinee, orti et capanne, et pena eorum.

Quicumque fregerit vel malitiose intraverit capannam 452(b), ortum aut vineam alterius causa tollendi

inde aliquid invito domino, perdat de note (c) .x. libras et de die .c. soldos. Idem intelligatur de

posticiis. Et penam solvat qualibet vice et da(n)num emendet ; et stetur exinde dicto et iuramento

denuntiantis cum unico teste, exceptis .vi. campariis, quorum cuilibet eorum denuntiationi credatur

sine aliquo teste.

Articolo 7°

Titolo: Pena per furto commesso in una vigna, in un orto o in una capanna. (Punizione di chi entra nelle vigne, negli orti e capanne e relative pene).

Chiunque penetri deliberatamente dentro il recinto di una vigna, di un orto, o scardini la porta di una

capanna con l’intenzione di asportare qualcosa contro la volontà del padrone, sarà punito con una

pena di libbre 10 se l’infrazione sia compiuta di notte e con 100 soldi se il furto avvenga di giorno.

La stessa pena verrà applicata nel caso che risulti forzato l’ingresso posteriore.

La denunzia al giudice dovrà essere convalidata dal giuramento di un unico testimone. Se invece la

denuncia venga presentata da uno dei sei campari (Vigili preposti all’osservanza dello Statuto nelle

campagne), non occorre la deposizione di alcun testimone.

[VIII].

De pena furti animalium.

Si quis rapuerit vel furtive astulerit equm, iumentum, somarium, somariam, bovem, baccam vel

aliquam bestiam grossam, .xx. libras pro pena solvat pro qualibet bestia et plus arbitrio potestatis, et

452 - b) capanna. – c) così A. –

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restituat furtum. Et si restituere non poterit, et si captus fuerit et dictam penam solvere non poterit,

eruantur ei oculi de capite.

Articolo 8°

Titolo: Pena per furto di animali domestici.

Se qualcuno s’impossesserà furtivamente e porterà via un cavallo, (una bestia da soma), un

somaro, un bue, una mucca o qualsiasi altro animale domestico di grossa taglia, dovrà pagare una

pena di 20 libbre, ed in più restituire la bestia rubata. Nel caso che il responsabile, dopo essere stato

scoperto e arrestato, non sia in grado di restituire il mal tolto, verrà accecato demandando al boia di

strappargli gli occhi da ambedue le orbite.

[IX].

De pena massaritiarum alterius.

Item si quis astulerit aliquam massaritiam (d)453 laboratoris de campo alterius, solvat .v. soldos pro

pena et rem restituat et dapnum emendet passo ad suum dictum tantum sine alia probatione.

Articolo 9°

Titolo: pena per furto delle masserizie altrui.

Parimente, se qualcuno si approprierà di qualche utensile appartenente a un agricoltore, pagherà la

pena di cinque (5) soldi e sarà inoltre tenuto alla restituzione dell’oggetto rubato.

Per la denunzia, basta soltanto il riconoscimento dell’attrezzo agricolo da parte del proprietario, senza

alcun’altra prova.

[X].

De pena bladi, messi et lini alterius.

Qiucumque furtive astulerit bladum, messum vel linum de campo alterius vel area aut maceratorio,

solvat .x. libras nomine pene, et restituat bladum seu linum; et hoc in messo, blado et lino ronco. Et

si penam non solveret et caperetur, fustigetur cuto ad collum. In blado vero vel messo et lino non

ronco si quis predicta fecerit, de notte solvat . xx . soldos, de die . x . soldos, et linum et blandum

redat in duplum.

Articolo 10°

Titolo: pena per il furto del grano, della biada e del lino.

Chiunque si renda responsabile del taglio di grano e di biada (e del lino) nel campo altrui, oppure di

sottrazione di lino dalla fossa adibita a maceratoio, dovrà pagare 10 libbre, oltre la restituzione dei

foraggi indebitamente appropriati. E se non potrà corrispondere la multa stabilita, il colpevole sarà

fustigato sulla pelle del collo.

La pena è ridotta a 20 soldi nel caso che i foraggi si trovino ancora in pianta prima della mietitura (e se la sottrazione è effettuata di notte la pena è di 20 soldi mentre se è effettuata di giorno la pena è di 10 soldi). (Per quanto riguarda il lino e la biada la pena è il doppio).

[XI].

453 - d) massaratiam. -

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202

De pena furti minutarum bestiarum.

Quicumque furtive astulerit aut contrasserit pecudem, capram, porcum vel aliquam bestiam

minutam, et clarum fuerit, solvat pro pena . c . soldos et da(n)num emendet in duplum sacramento

illius cuius fuerit, et si non solverit et capietur, puniatur arbitrio potestatis. Et quicumque astulerit

ocam vel pullum solvat . xl . soldos.

Articolo 11°

Titolo: pena per il furto di animali minuti e da cortile.

Chiunque porterà via di nascosto e condurrà nella propria stalla una pecora, una capra, un suino o

altro animale minuto, dopo essere stato scoperto e identificato, dovrà pagare come pena 100 soldi e

inoltre è tenuto a risarcire il legittimo proprietario restituendo il doppio con deposito giudiziario.

E se non ha la possibilità di (restituire quanto dovuto) restituzione, sarà punito ad arbitrio del

Podestà. Il furto di un pollo e di un’oca comporta una multa di 10 (40) soldi.

[XII].

De pena interfectionis bestiarum.

Si quis interfecerit equum, iumentum, mulum aut aliquam bestiam crossam (a)454 alterius, solvat pro

pena , x . libras et dapnum in dupplo emendet. Et si aliquam bestiam crossam percusserit, solvat pro

pena . xx . soldos et (b) emendando dannum in duplum ad pactum et defendimentum domini bestie.

De bestiis autem minutis, si aliquam interfecerit, solvat . v . soldos pro pena et da(n)num emended.

Articolo 12°

Titolo: pena per l’uccisione di animali domestici.

Se qualcuno si renderà colpevole dell’uccisione di un cavallo, di un mulo o di ogni altra bestia da

soma (grossa), è tenuto a pagare una pena di 10 libbre e a risarcire il doppio del danno arrecato al

legittimo proprietario.

Nel caso di percosse o altri maltrattamenti agli animali (di taglia grossa), la pena prevista

consisterà nel pagamento di 20 soldi, (e risarcire il doppio del danno arrecato al legittimo proprietario).

Se qualcuno ucciderà delle bestie minute dovrà pagare una pena di 5 soldi e risarcire il danno al legittimo proprietario. [XIII].

De pena ignis immissi in bonis alterius.

Quicumque immiserit ignem in domo, capanna, blado seu molendino alterius, aut inceserit (c) vel

devastaverit vineam, solvat pro pena . xx . libras, semper da(n)num emendando.

Articolo 13°

Titolo: pena per aver procurato un incendio nella proprietà altrui.

Chiunque si renda responsabile di aver appiccato il fuoco intenzionalmente a una casa, capanna,

mulino, oppure a una messe di grano o di biada, a una vigna, pagherà come pena 20 libbre, oltre al

risarcimento del danno procurato.

454 - a) così A. – b) segue espunto h con a principale. – c) inciserit. -

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203

[XIV].

De pena palee et feni alterius.

Si quis astulerit vel auferri fecerit paleam seu fenum de pallareo alterius asque licentia domini, solvat

de nocte pro pena .xx . soldos et de die . x . soldos.

Articolo 14°

Titolo: pena per furto di paglia o di fieno.

Chiunque s’impossessi e porti via dal pagliaio o dal fienile, senza autorizzazione del padrone, un

certo quantitativo di paglia o di fieno, pagherà come pena 20 soldi se il furto è avvenuto di notte,

ridotta a 10 soldi se invece il furto si è verificato durante il giorno.

[XV].

De pena exfortiamenti mulierum.

Quicumque exfortiaverit aliquam femminam nuptam, vel vim intulerit causa iacendi cum ea, solvat

pro pena . xxv . libras. Si autem ipsa femmina non fuerit nutta, solvat malefactor . x . libras. Si autem

non poterit solvere (d)455 dictam penam, multetur in manu vel pede, salvo quod si infra . xv . dies a

die violentie commisse voluerit eam recipere in ussorem, nulla pena auferatur eidem.

Articolo 15°

Titolo: pena per violenza carnale contro le donne.

Chiunque si renda colpevole di stupro a danno di una donna sposata e non consenziente, pagherà

come pena 25 libbre. Nel caso che si tratti di una ragazza nubile, la pena è ridotta a 10 libbre. Se

l’aggressore non possiede denari sufficienti per compensare l’oltraggio, sarà mutilato con il taglio di

una mano o di un piede, salvo che, entro 15 giorni dalla violenza commessa, vorrà riparare con la

celebrazione del matrimonio.

[XVI].

De malefitio commisso a filio familias (a).

Si quis filius familias malefitium commiserit, de quo dapnum sit espressum per capitulum costituti,

et penam non solveret, cogatur pater assignare potestati vel iudici aut camerario pro comuni

madietatem omnium suorum bonorum, et medietas ipsorum bonorum detur patri et alia medietas inter

filios divitatur, et pena detur in partem filii delinquentis. Et si pars eius non esset ad penam sufficiens,

pro redio (b) sit perpetuo extra exbannitus.

Articolo 16°

Titolo: responsabilità paterna per crimini compiuti da figli minorenni.

Quando la trasgressione della legge venga compiuta da un giovane minorenne e questi non abbia la

disponibilità per risarcire il danno arrecato, il Podestà o il giudice procederanno al pignoramento fino

alla metà dei beni patrimoniali posseduti dal padre del minore, lasciando l’altra metà per il

mantenimento della famiglia. E se i beni sequestrati non siano sufficienti al compenso per i danni, il

responsabile del crimine verrà bandito in perpetuo dal territorio del Comune come persona

insolvibile.

455 - d) solvare. – a) familiax. – b) intendasi residuo.

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204

[XVII].

De pena filii verberantis patrem.

Si quis patrem ceperit per capillos aut aliter vulneraverit seu matrem, primo Dei maledictionem

incurrat, et, si capi poterit, mictatur in catena, et in ea triduo teneatur ad minus, et postmodum puniatur

arbitrio potestatis, nisi ante quam hoc fiat pro pena solverit . x . libras. Et quilibet filius (c)456 teneatur

alere patrem et matrem si eis placuerit.

Articolo 17°

Titolo: pena per il figlio che percuote i propri genitori.

Se qualcuno è così snaturato da insultare, percuotere e arrecare ferite al padre, o afferrare per i capelli

la madre, incorrerà anzitutto nella maledizione di Dio, e inoltre sarà arrestato e posto in catene,

rimanendo in prigione per almeno tre giorni e poi condannato ad arbitrio del Podestà, (eccetto che per la pena paghi 10 libbre.). Il figlio è comunque obbligato a mantenere a sue spese i propri

genitori quando divengono anziani e non hanno più la capacità di lavorare.

[XVIII].

De pena ludi ad azara et maledictione sanctorum.

Nulla persona ludat ad ludum, in quo denarii possent perdi, in aliqua ecclesia, nec maledicat Deum

vel matrem eius sanctam Mariam virginem aut suos sanctos benedictos, nec ludat ad azara in aliquo

loco. Et qui contra fecerit . xx . soldos pro pena qualibet vice solvat, de qua pena sit medietas

accusantis; et totidem perdat habitator domus, in qua ludetur, et ille qui ad ludum denarios vel pignus

mutuabit, et credatur dicto denuntiatoris.

Articolo 18°

Titolo: pene per la profanazione di un luogo sacro, per la bestemmia e per il gioco d’azzardo.

Nessuna persona ardisca profanare una chiesa e qualsiasi altro luogo adibito al culto, o pronunziare

maledizioni contro il nome di Dio, della sua santa Madre la Vergine Maria e dei (suoi) Santi.

È inoltre severamente vietato praticare in qualsiasi luogo, sia pubblico che privato, il gioco dei dadi

nel quale si rischiano forti perdite di denaro. Il proprietario in cui si tiene abusivamente il gioco della

Zara (nel quale erano usati tre dadi) sarà multato di 20 soldi, metà dei quali andranno a beneficio di

colui che avrà denunziato il fatto alle autorità del Comune.

[XIX].

De pena proiectionis lapidum.

Si quis maior, . xiiii . annis malitiose vel furtive proiecerit lapides (d)457 supra domum alterius, solvat

. xl . soldos, si querimonia inde fuerit, singulis vicibus, et dapnum emendet ad estimationem domini

domus. Et maior . vi . annis solvat .xx . soldos, si querimonia inde fuerit.

Articolo 19°

Titolo: pena per il lancio di pietre.

456 – c) segue espunto fa con m principiata. 457 - d) corretta su s. -

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205

Se qualcuno, maggiore di quattordici anni, con intenzione malevola e di nascosto, scaglierà sassi

contro una casa altrui, pagherà 10 (40) soldi ogni volta che sarà colto sul fatto, e risarcirà il danno

arrecato secondo la stima fatta dal proprietario dell’abitazione.

Nel caso che la sassaiola sia compiuta da un adulto, la pena è elevata a 20 soldi. (E se la sassaiola è compiuta da uno maggiore di 6 anni la pena è diminuita a 20 soldi, dopo la lagnanza alle autorità da parte del proprietario).

[XX].

De pena incisionis arborum.

Quicumque inciserit arborem domesticum in vinea, orto aut meratorio (e)458 alicuius et in campo

alterius, perdat . x . libras pro pena et dampnum emendet, exceptis arboribus stantibus in silvis,

maghiis (a) et fossatis, de quibus salvatur pena . v . soldorum tantum.

Articolo 20°

Titolo: pena per il taglio di alberi.

Chiunque si renderà colpevole del taglio di piante da frutto in una vigna, orto, maceratoio o campo

altrui, pagherà 10 libbre di multa e risarcirà al proprietario il danno causato.

La pena è ridotta a soli 5 soldi se le piante tagliate si trovano nei boschi, nelle macchie o lungo gli

argini dei fossi.

[XXI].

De pena tenute et possessionis.

Si quis aliquem de tenuta et possesione rei immobilis estrasserit aut occupaverit, . x . soldos nomine

pene solvat et tenutam restituat. Cultus antem non computetur (b) pro re immobili. Et si de tenuta

cultus quis (c) aliquem estrasserit, solvat . v . soldos. Etiam si quis tenuta rei mobilis alium privaverit,

solvat . x . soldos et omnino tenutam restituat.

Articolo 21°

Titolo: pena per illegittima occupazione di un podere o di un immobile.

Chiunque abbia estromesso da un podere o da un immobile il legittimo proprietario, occupando un

bene che non gli appartiene, sarà punito con una multa di 10 soldi e con la pronta restituzione di

quanto ha indebitamente occupato. Il prodotto delle messi dei campi non è equiparato ad un bene

immobile (ma è punito con la pena di 5 soldi). (Ancora, chi abbia privato di cose mobili, la tenuta, o il podere, sia condannato a pagare 10 soldi oltre a restituire totalmente tutto ciò di cui si è appropriato). [XXII].

De pena illius qui pignus et tenutam (d)459 contenserit balitori.

Quicumque conteserit balitori comunis seu nuntio dare tenutam, aut non permiserit ipsam dari, solvat

pro pena . v . soldos. Et si post datam tenutam ipsum molestaverit, aut ipsa usus fuerit contra

voluntatem habentis, solvat pro pena . xx . soldos et restituat tenutam. Et si quis de manu (e) balitoris

……….

458 - e) maceratorio. – a) volgare macchie. – b) coputetur. – c) così A. 459 – d) tenuta - e) lettura probabile, essendo tagliata la pergamena.

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206

Articolo 22°

Titolo: pena da comminare a colui che impedisce al pubblico banditore di esigere pegni o depositi

cauzionali.

Chiunque avrà impedito al Banditore del Comune o all’Esattore di esigere un deposito in qualità di

garanzia o caparra, sarà punito con un’ammenda che oscilla tra i 5 e i 20 soldi, secondo la gravità di

ogni singola circostanza…………

[XXIII].

De pena turpitudinis ad fenestram.

Nemo proiciat vel proici faciat turpitudinem de fenestra contra domum alterius vel in via publica, et

contra faciens . x . soldos pro pena solvere compellatur. Et hoc publice banniatur.

Articolo 23°

Titolo: pena per coloro che gettano dalla finestra le immondizie domestiche.

Coloro che trasgrediscono le norme concernenti la pulizia del paese, gettando dalle finestre rifiuti

solidi o liquidi (verso la casa altrui e) sulla pubblica via, andranno incontro a una multa di 10

soldi. Questa norma sarà notificata alla popolazione con pubblico bando.

[XXIV].

De pena iniuriarum verborum.

Quicumque alicui desserit (f)460 mentiris, periurum sive cornutum, latronem vel bozam, et mulieri

lerciam vel fuiam461, aut aliquod verbum iniuriosum, coram curia, solvat pro pena . xx . soldos, alibi

. x . soldos, si querimonia inde fuerit. Et si renvoltaverit iniuriam quam ab alico (g) substinuisset, si

coram curia . xl . soldos, si alibi . xx . soldos, si querimonia inde fuerit.

Articolo 24°

Titolo: pene per ingiurie verbali.

Chiunque offenda altra persona usando male parole o offese del genere: spergiuro, cornuto, ladro,

bastardo e se rivolga a una donna insulti come: sudicia, bugiarda, puttana, sarà punito, a seguito di

querela da parte dell’offeso, con una multa di 20 soldi, (10 soldi se chi offende si pente).

Se l’offesa è fatta, in qualche modo alla presenza di persone della (Curia) la multa sarà di 40 soldi, se chi ingiuria si pente la pena è ridotta a 20 soldi).

[XXV].

De sindicaria offitiarum facienda.

Teneatur potestas infra . ii . menses a principio sui domminatus sindicare omnes offitiales de

Radicofano, qui fuerunt pro anno proxime preterito, per iuramenta comunis hominum de Radicofano,

si aliquid ipsis offitialibus dederunt contra formam constituti aut consilii. Et si aliquis corum inventus

fuerit contra predicta aliquid accepisse, in duplum reddere compellatur.

460 - f) così A per dixerit. – g) così A per aliquo. - 461 - Notisi il valore generico assegnato all’aggettivo dantesco di fronte al significato specifico di ladra.

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Articolo 25°

Titolo: controlli sulla correttezza e onestà dei pubblici funzionari.

Il Podestà, entro i primi due mesi dall’inizio del suo incarico, è tenuto a controllare il comportamento

dei funzionari del Comune di Radicofani rimasti in carica durante l’anno precedente alla sua nomina.

E se qualcuno di essi sarà trovato in difetto per aver trascurato l’esatta applicazione degli Statuti o

per aver approfittato di denaro o vantaggi a suo favore, sarà obbligato a restituire il doppio dei profitti

illeciti percepiti.

[XXVI].

De pace facta pro malefitio infra certum tempus.

De omni malefitio personali commisso inter aliquas personas, et omnibus et singulis verbis iniuriosis

seu malefitiis persone, de quibus pena imponitur per constitutum, possit et liciat fieri pax et concordia

infra . xv . dies a die commissi malefitii in antea. Et si facta fuerit infra dictum tempus, ex tunc nulla

pena auferatur exinde non obstante aliquo capitulo costituti, excepto furto et intrata domus alterius de

nocte et de die.

Articolo 26°

Titolo: condono della pena per avvenuta pacificazione entro il tempo stabilito.

Per ogni violazione della legge verificatasi nel corso di contrasti tra due o più persone, ovvero per

qualsiasi offesa verbale punita dagli articoli dello Statuto, sarà possibile beneficiare di un condono a

condizione che sia ristabilita la pace e la concordia entro 15 giorni a decorrere dal momento in cui

accaddero i fatti incriminati.

Il condono comunque non potrà essere concesso per quanto riguarda i furti e la violazione di

domicilio, verificatasi sia di giorno sia di notte.

[XXVII].

De pena spinarum.

Si quis spinas alterius mandrie, vinee vel orti seu campi estrasserit vel inciserit, . x . soldos pro pena

solvat.

Articolo 27°

Titolo: pena per il taglio o l’abbattimento di una recinzione della proprietà privata,

Se qualcuno aprirà dolosamente un varco nella siepe o nel muro che recinge un ovile, una vigna, un

orto, un campo, dovrà pagare una pena di 10 soldi.

[XXVIII].

De pena aiutorii asgarano.

Quicumque de Radicofano dederit consilium, autorium vel iuvamen alicui asscarano traneunti vel

stanti per Radicofanum vel etiam Radicofani cum furto, preda rapina, .c. soldos pro pena solvat.

Articolo 28°

Titolo: pena per colui che presta aiuto a un ricercato.

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Qualsiasi abitante di Radicofani che fornirà informazioni, protezione o aiuto di ogni genere ad un

evaso o fuoruscito, responsabile di omicidio, violenza, furto o rapina, e che si trovi a passare per

Radicofani, oppure che si nasconda dentro il paese o nei suoi dintorni, sarà tenuto a pagare una pena

di 100 soldi.

[XXIX].

De pena putredinis proiecte in viis Radicofani.

Nulla persona proiciat vel proici faciat in muris castelli vel burgorum Radicofani, vel in fossis nec a

fossis intus versus terram, letamen, fecciam, vinacciam seu spazaturam (a)462 aut palglarum, nec in

viis publicis nec infra muros predictos, et contra faciens solvat pro pena . x . soldos. Et hoc publice

banniatur.

Articolo 29°

Titolo: pena per coloro che scaricano rifiuti nelle vie del paese.

Nessuna persona scaricherà rifiuti all’interno delle mura del Castello o dei Borghi di Radicofani,

evitando di ingombrare le pubbliche vie con scarichi di terra, letame, feccia delle botti, vinaccia,

spazzatura, paglia delle stalle e simili; i trasgressori saranno puniti con una pena di 10 soldi.

Quest’ordine sarà reso di pubblico dominio dal banditore comunale.

[XXX].

De pena impedimenti domus et platee mercati.

Nulla persona faciat vel costruat aliquod edifitium propter quod impediatur vel minuatur platea

comunis sive mercati. Contra faciens solvat pro pena . lx . soldos, et teneatur insuper quicquid

edificatum fuerit elevare.

Articolo 30°

Titolo: pena per coloro che costruiscono (abusivamente presso le piazze ed i mercati) con

costruzioni abusive le piazze e i mercati.

Nessun cittadino costruirà qualsiasi edificio privato nelle aree riservate alle pubbliche piazze e ai

mercati, impedendo il libero esercizio della vita sociale ed economica. I trasgressori pagheranno 10

(60) soldi di multa e saranno costretti a demolire a proprie spese l’edificio arbitrariamente costruito.

[XXXI].

De penitentia danda ospiti et eius pena.

Ordinamus quod quicumque non fecerit dari penitentiam ospiti suo petenti, et fraudem commisserit

quod non recipiat penitentiam, solvat pro pena . x . libras.

Articolo 31°

Titolo: Divieto di imporre una tassa di soggiorno ai forestieri.

Ordiniamo che nessuno pretenda di imporre una tassa ai viaggiatori in transito per Radicofani. Chi

ricorrerà alla frode, sarà punito con un’ammenda di 10 libbre.

462 - a) segue espunta una s.

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[XXXII].

De pena portantis panem et vinum ante ostium alterius.

Nemo burgiensium portet vel mictat vinum seu panem ante ostium alterius ad vendendum

transeuntibus, vel mensuram aliquam. Contra faciens singulis vicibus solvat . v . soldos, ecceptis

(a)463 personis que publice vadunt ad vendendum panem per Radicofanum. Et nemo portet panem vel

vinum seu aliqua victualia ad stratam de suttus ad bannum . c . soldorum.

Articolo 32°

Titolo: pena per coloro che vendono pane e vino davanti alla porta delle abitazioni altrui.

Nessun abitante dei Borghi di Radicofani potrà erigere bancarelle per la vendita del pane e del vino

ai forestieri di passaggio, impedendo l’accesso alle case degli altri cittadini. Coloro che violeranno

questa norma dovranno pagare ogni volta 5 soldi.

La proibizione non concerne i fornai che si recano per le case di Radicofani a vendere il pane.

È inoltre proibito alle persone non autorizzate recarsi lungo la strada che passa a valle (di sotto) per

vendere pane, vino o altri generi commestibili ai viandanti, pena una multa di 100 soldi.

[XXXIII].

De non recipiendo rem prede et furti.

Ordinamus quod nullus scienter emat vel receptet studiose ab aliquo rem prede vel furti sine parabola

illius cuius fuerit. Et si quis contra fecerit, solvat pro pena qualibet vice . lx . soldos et restituat rem

eptam (b)464 sine pretio domino rei, salvo quod liceat hominibus de Radicofano rem abblatam pro

comuni et a comuni vel ab alio, qui licentiam habuerit, sine pena emere.

Articolo 33°

Titolo: pena per i ricettatori di oggetti rubati.

Ordiniamo che nessuno compri o rivenda consapevolmente oggetti provenienti da furti o da sequestri.

Coloro che non rispetteranno quest’ordine, saranno puniti ogni volta con una multa di 10 soldi. (60 soldi e dovranno restituire la cosa rubata o sequestrata). È però consentito ai cittadini di

Radicofani acquistare oggetti confiscati dalle autorità comunali.

[XXXIV].

De facienda scaraguaita.

Si qua persona non fecerit custodiam terre seu scaraguaitam de die et da nocte, sicut ei iniuntum

fuerit, solvat curie singulis vicibus . v . soldos pro pena.

Articolo 34°

Titolo: pena per coloro che si rifiutano di fare il turno di guardia.

Se un cittadino si rifiuterà di compiere l’obbligo che stabilisce di effettuare periodicamente il turno

di ronda all’interno delle mura, durante il giorno o durante la notte, allo scopo di sorvegliare sul

rispetto dell’ordine pubblico, dovrà ogni volta pagare alla Curia una pena di 5 soldi.

[XXXV].

De sellis et de frenis iumentum et aliis armis emendis.

463 - a) così A. - 464 - b) così A per emptam.

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Potestas teneatur omnes et singulis habentes iumenta emere sellas, frenos bonos et ydoneos, et

spatam, lanceam. cervelleriam et kalcarea, et hec usque ad kalendas martii, ita quod quelibet sella

valeat . xx . soldos: et ita per totum annum tenere. Et potestas vel iudex teneatur duabus vicibus in

anno facere eas demostrari, et sacramento (c) comunis interrogens si sella, quam ostendit, sit

assignantis. Et contra faciens in quolibet capitulo . x . soldos pro pena solvat, et insuper habere et

assignare predicta teneatur. Et hoc intelligatur de illis qui non habent predicta, et salvo quod sit in

arbitrio potestatis de illis iumentis que videbuntur (d)465 eidem convenientia habere predicta.

Articolo 35°

Titolo: obbligo di tenere sempre a disposizione la sella, il freno, le briglie e le armi per chi possiede

un cavallo.

Il Podestà è tenuto a controllare che tutti i singoli possessori di cavalli si riforniscano di sella, delle

briglie, della lancia, elmo e calzari entro il primo giorno di marzo, al prezzo complessivo di 20 soldi;

(e in tal maniera tenere tutto l’anno). Il Podestà ed il Giudice hanno altresì l’obbligo di

verificare due volte l’anno che tutti i cavalieri dispongano costantemente di quest’attrezzatura

completa, sotto pena di pagare 10 soldi per ogni arredo che risulti mancante. (E ciò comprende anche coloro che non hanno le cose suddette e coloro che, per arbitrio del Podestà, hanno bestie da soma che hanno convenienza ad avere le cose sopra elencate).

[XXXVI].

De citinis non faciendis in certis locis.

Item nulla persona faciat nec fieri faciat aliquam citinam a Montelupone illuc sicut mittit per podium

Calcinarie, et mictit ad fossatum Nebiaiole, et redit ad Umbricianum, et mittit ad podium Clantine et

Faggeta superius, Contra faciens singulis vicibus solvat . xl . soldos pro pena.

Articolo 36°

Titolo: divieto di costruire recinti in alcune località.

Nessun proprietario potrà recintare riserve di caccia privata nella zona di Montelupo

(Montelupone), nel poggio del Calcinaio, lungo il fosso dei Nibbiali, e nei pressi della strada che

da Umbriciano conduce alla Faggeta superiore (nel sito di Umbriciano, nel poggio di Clantina e Faggeta Superiore). I trasgressori saranno multati di 10 soldi. (Coloro che trasgrediscono questo divieto dovranno pagare 40 soldi come pena).

[XXXVII].

De roketo fontis Santesis.

Teneatur potestas in principio sui domminatus facere banniri rocketum contra fontem Santesem466

per totum annum. Et si quis inciserit arbores in eadem, vel avellanas collegerit in eadem usque ad

festum Sancte Marie de agusto tam in dicto rocketo quam in aliis, solvat pro pena . x . soldos.

Articolo 37°

465 -c) sacremento – d) vedebentur. 466 Oggi Fonte Antese.

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Titolo: norme per la macchia della Fonte del Santese (oggi Fonte Antese). (Macchia di Fonte del Santese).

Il Podestà è obbligato, all’inizio del suo mandato, di emettere un bando, valido per tutto l’anno,

sull’uso della macchia (Macchion Grosso) che si estende intorno alla Fonte del Santese (Il vocabolo

antico “Santese” significa: Sagrestano, oppure Amministratore laico di una chiesa).

Se qualcuno andrà a fare legna, tagliando le piante che si trovano in detta macchia, oppure a

raccogliere nocciole dopo la festa di Santa Maria di agosto, sia nella stessa macchia come nelle altre

vicine, sarà punito con una multa di 10 soldi.

[XXXVIII].

Qualiter mulieres et homines vadant post mortum.

Nulla mulier presummat ire vel vadat ad foveam, ad quam corpus defunti seppelliri (a)467 debet, nec

exeat de ecclesia causa eundi ad foveam cum eodem, set corpore sepulto exeant de ecclesia et

revertantur domum non faciendo moram aliquam supra foveam. Contra faciens pro qualibet vice

solvat . v . soldos, excepta femmina penitentie, que possit ire; et adito (b) quod homines primo iusta

mortuum et femmine post homines vadat.

Articolo 38°

Titolo: norme per gli uomini e per le donne che partecipano a un funerale.

Nessuna donna potrà essere presente mentre il corpo del defunto viene calato nella fossa (sia che il defunto venga seppellito in chiesa che fuori) per non disturbare con il pianto lo svolgimento

del rito. Non appena sia stata compiuta la tumulazione, le donne usciranno dalla chiesa per far ritorno

a casa. Coloro che non rispetteranno questa disposizione, saranno punite con una multa di 5 soldi.

Durante il trasporto dalla casa del defunto alla chiesa, verrà osservato l’ordine che segue: precederà

il Clero, poi il feretro, dietro gli uomini e per ultime le donne.

[XXXIX].

Quod mulieres non vadant per pennam.

Nulla mulier presummat ire per Radicofanum causa acquirendi pennam, linum sive bladum per se vel

eius nomine. Contra faciens solvat . xx . soldos nomine pene, si inventa fuerit.

Articolo 39°

Titolo: Norme supplementari per le donne. (Affinché le donne non vadano per piume).

Nessuna donna potrà percorrere le vie del paese (andare per Radicofani allo scopo di acquisire piume o lino per se stesse o in nome di altre persone) e recarsi nelle case altrui

allo scopo di raccogliere piume per fare cuscini, materassi o acquistare lino da tessere.

Coloro che saranno colte sul fatto, pagheranno 20 soldi di multa.

[XL].

De ortis non faciendis in certis locis.

Item nulla persona presummat facere aliquem ortum in carbonariis Burgi Maioris, Castelli et

Castrimurri infra os fines: in Burgo a cantone cellarii Bonagratie Iuvannutii usque ad rocketum

positum supra ospitale de Spinetis. Idem dicimus de carbonariis Castelmorri. Et si quem factum esset

467 - a) suppelliri. – b) così A per addito.

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et inveniretur infra dictos fines, infra unum mensem a principio sui domminatus potestas faciat

dissipari, et puniatur in . v . soldis (c)468, et dissipet quicquid fecerit, excepto orto filiorum Richi

Malentrata.

Articolo 40

Titolo: Divieto di coltivare orti in determinati luoghi.

Nessuna persona potrà impiantare e coltivare un orto privato nelle carbonaie di Borgo Maggiore, del

Castello e di Castelmorro, all’interno della cinta delle mura. Dentro Borgo Maggiore, la proibizione

si estende dalle cantine di Buonagrazia di Giovannuzzo fino alla macchia che circonda lo Spedale di

Spineta (fino alla macchia posta sopra allo Spedale di Spineta). Lo stesso divieto è valido

anche per le carbonaie di Castelmorro. Il Podestà, nel primo mese della sua carica, dovrà punire i

trasgressori per l’importo di 10 (5 soldi) soldi, imporre la distruzione degli orti abusivi, fatta soltanto

eccezione per l’orto che appartiene ai figli di Arrigo Malentrata.

[XLI].

De rocketo supra ospitale de Spineto.

Nemo rumpat petras in fossato seu rocketo quod est supra ospitale de Spinetis ab ipso ospitali usque

ad viam Castellanam, et contra faciens . c . soldos singulis vicibus nomune pene perdat.

Articolo 41°

Titolo: Vincolo per la macchia che appartiene allo Spedale di Spineta.

Nessuno potrà spaccare le pietre da costruzione nella macchia di proprietà dell’Ospedale di Spineta,

a iniziare dallo stesso Spedale fino a tutta la Via Castellana. Chi trasgredisce questo vincolo, pagherà

ogni volta 100 soldi. – (Questo Spedale, fatto costruire dall’Abbazia di Spineta all’inizio della strada

che conduce alla Fortezza, assunse in seguito il titolo di “Spedale dei Pellegrini” e successivamente

quello di “Spedale di San Pietro”. (Fu soppresso nel 1782 dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena, e

la sua esistenza è attestata nella toponomastica attuale con la “Via dello Spedale”).

[XLII].

De rocketo circa locum fratrum.

Nemo rumpat petras seu incidat arbores vel frasscas in rocketo circa Bo(n)miliaccium, quod est a

cisterna usque ad petram Grossam a capanna que fuit Intende Baldini. Et nemo incidat arborem vel

frasscas, aut faciat ligna im rocketo circa fratum Minorum. Contra faciens . lx . soldos solvat singulis

vicibus. Et nemo incidat arbores seu frasscas, nec incidat seu rumpat petras in rocketo de muro

Bo(n)miliaccii foras usque ad locum ubi est capanna Burnetti Godinelli, usque ad domum

Fighinensium, et contra faciens . x . soldos qualibet vice solvat.

Articolo 42°

Titolo: Vincolo per la macchia di Bonmigliaccio e per quella che appartiene al Convento dei Frati

Minori (San Francesco Vecchio). – (La macchia vicino ai frati). Nessuno potrà spaccare le pietre da costruzione o tagliare alberi e frasche nella macchia che si estende

intorno a Bonmigliaccio e che confina con la cisterna fino al Sasso Grosso e alla capanna (che fu)

dell’Intendente Baldini. Parimente, è vietato tagliare alberi e frasche, o raccogliere legna nella

macchia che circonda la proprietà dei Frati Minori Conventuali. Per i trasgressori sarà comminata una

468 - c) sottinteso quilibet contra faciens.

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multa di 10 soldi (60 soldi) ogni volta. (E nessuno tagli alberi o frasche, ne spacchi pietre nella macchia vicino al Roccheto e muro di Bonmigliaccio fuori dal luogo dove è la capanna di Burnetti Golinelli e vicino alla casa di Fighinesio, per i trasgressori verrà comminata una multa di 10 soldi ogni volta)

[XLIII].

De spatio dimittendo pro edifitiis.

Quicumque voluerit facere aliquod hedifitium iusta viam pubblicam dimitat solium et spatium . vi .

brachiorum ad brachium canne senensis pro via inter rem suam et rem sui convicini; et si erit in strata,

dimitat per . ii . cannas proud videbitur potestati sive iudici: et si erit in retto vicinali, dimictat per .

viii . pedes, et, si minus esset via ibi et si plus esset, plus dimictat. Contra faciens . xx . soldos pro

pena sol[vat et ] (a)469 dissipet quicquid ultra hedificaverit. Et hoc intelligatur in Radicofano usque

ad ospitale fontis Cecule, usque ad ospitale de Sancta [Maria] ……….(a).

Articolo 43°

Titolo: distanze da mantenere nella costruzione di edifici privati.

Chiunque vorrà edificare una casa privata lungo la via pubblica, dovrà lasciare una distanza di sei

braccia di Canna senese tra l’edificio da costruire, (e se sarà costruito sulla strada libera per due (2) canne, può costruire con licenza del Podestà o del Giudice, se è dietro ad un vicino può costruire a 8 piedi e se la distanza è minore deve distanziarsi di tanto), la

strada e le case dei vicini.

Queste distanze dovranno essere osservate anche intorno allo Spedale di Fonte Cecola (acqua

salmastra) e allo Spedale di Santa Maria.

Chi non rispetterà queste norme, dovrà pagare 20 soldi oltre alla demolizione dell’edificio.

[XLIV].

Questo aticolo manca di titolo perché la pergamena è stat parzialmente tagliata.

….sursum et citinell(is) intus, a meratorio Proventiani sursum, ab ospitale Bonaionte sursum, a petra

Posatoria intus, a cerreto Guilielmi intus, a petra Pintiuta sursum, a postitiis sursum debeat et teneatur

ponere vineam ad unum starium semente ad maiorem starium Radicofani usque ad festum omnium

sanctorum, et ponere similiter in dicta quantitate terreni usque ad . xv . plantones (b)470 cuiuslibet

arboris domestice et fructus afferentis. Et quicumque ad dictum terminum non fecerit, . lx . soldos

nomine pene solvat. Et potestas teneatur super hoc videndo ponere . iii . bonos homines ad sciendum

si facta (c) erunt. Ei hoc capitulum teneantur potestas et camerarius facere poni de costituto in

costituto.

Articolo 44°

Questo articolo manca di titolo perché la pergamena è stata parzialmente tagliata.

L’argomento tattato riguarda l’impianto di nuove vigne.

………. (al di sopra e in prossimità , entro il negozio di Provenzani, sopra lo Spedale di Bonagiunta, entro la pietra Posatoria, entro il cerreto di Guglielmi, sopra la pietra Pinzuta, e dopo tutto questo chiunque …) Chiunque vorrà piantare nuove vigne nella

campagna di Radicofani, dovrà occupare al minimo la superficie equivalente a uno staio di semente

e intramezzare i filari con almeno quindici piante domestiche e da frutto. Il periodo stabilito per la

469 - a) tagliata la pergamena. 470 – b) plantonis. – c) segue una p. – a2) Leggasi Sinibardi.

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messa a dimora dei vitigni non dovrà oltrepassare la festa di tutti i Santi (mese di Novembre). (Chi non rispetterà questi detti termini dovrà pagare la somma do 60 soldi di multa). Il

Podestà assumerà tre sorveglianti esperti per controllare che le norme siano rispettate. (E questo capitolo [oggi diremmo articolo] sia mantenuto dal Podestà in modo che il ministro futuro sia tenuto a portarlo da Statuto a Statuto).

[XLV].

De confinibus vinearum non intradis cum bestiis.

Ordinamus quod a festo sancte Marie de agusto usque ad perfectas vendemias nulla pecura transeat

a strata ospitalis Bonaionte usque ad podium Sassete, et a Mattonasria sicut mittit via que venit ad

citinas, et vadit per fossatum Melanensem ad podium Trifolli, et a fornace Ioannis Sinbardi (a2) intus,

a Petriscaia intus, a podium Scolculi intus, a strata de Sturtis intus usque ad fossarellam campi Iannini

et redit in fossato Voltiole et redit ad rigum, ad vadum Cellensem usque ad Cotone, et mittit per

fossatum Fagelle, et mittit per fossatum Melglani ad podium Trifolli. Et qui contra fecerit pro qualibet

foccla solvat . xx . soldos.

Articolo 45°

Titolo: Costruzione di siepi per impedire agli animali di penetrare all’interno delle vigne.

Ordiniamo che dalla festa di Santa Maria di agosto fino al termine della vendemmia, nessun gregge

di pecore transiti per la strada che conduce dallo Spedale di Bonagiunta fino a Poggio Sasseta, e

inoltre dalla strada che va dalla Mattonaia (così come s’immetta nella via prossima, e vada per il) al fosso della Milanese, come pure dall’altra strada che congiunge il poggio di Trecolle (o Piantrafolla?) (Dentro) alla fornace di Giovanni di Sinibaldo, (dentro a Pietreta, al poggio Scolculi, alla strada di Sturtis e al fossatello del campo di Iannini e passare per il fosso di Voltole e toccare il Rigo) dal fiume Rigo al fosso di Voltole, dal guado di Celle al

Cotone, (lasciare per il fossato Fagelle, e lasciare per il fossato Melano al poggio Trecolle [o Piantrafolla?]). Chi trasgredirà queste proibizioni sarà multato di 20 soldi.

[XLVI].

De toto costituto legendo.

Teneatur iudex totum statutum legere, ita quod omnis homo sit certus de hiis que in eo continentur.

Articolo 46°

Titolo: pubblica lettura dello Statuto.

Il giudice del Comune di Radicofani è tenuto a leggere nella pubblica piazza dei Borghi tutti i capitoli

di questo Statuto, affinché ogni cittadino sia a perfetta conoscenza dei suoi contenuti. La legge non

ammette ignoranza.

[XLVII].

De non ocellando cum panno rubeo.

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Nullus ocellator vadat ad oscellandum cum panno rubeo per terram Radicofani ad bannum . xl .

soldorum, medietatem cuius banni sit accusantis, et ei qui astulerit non detur (b)471 bannum.

Articolo 47°

Titolo: Divieto di uccellagione con telo rosso.

Nessuno può catturare uccelli usando il panno rosso. Questa proibizione è valida per tutto il territorio

di Radicofani. I cacciatori che non rispetteranno questo divieto dovranno pagare una multa di 10 soldi

(40 soldi), metà dei quali andranno a beneficio di colui che avrà sporto la denuncia.

[XLVIII].

De via a fossato de Spissis.

Item ordinamus quod via comunis a fossato de Spissis usque ad portas Radicofani actetur trainaria,

ubi actata non est, ad dictum Serafini Romani et Terrisii, et totum comune Radicofani intersit et faciat

per totum mensem madii.

Articolo 48°

Titolo: ampliamento della strada che proviene dal fosso di Spineta.

Ordiniamo che la strada comunale che proviene dal fosso di Spineta (Ponte sul fiume Orcia) e conduce

alla Porta di Radicofani sia ampliata allo scopo di permettere il transito dei carri.

Il lavoro è stato appaltato (Il Comune di Radicofani l’ha appaltato) a Serafino di Romano e al

capomastro Terzilio, con l’obbligo che l’ampliamento sia portato a termine entro il mese di Maggio.

[XLIX].

De via Corvarie.

Item Attettur via de Corvaria per totum comune Radicofani, ubi actata non est, a colle Olivoli usque

ad Radicofanum ad dictum Serafyni Romi (c) et Terrisii per totum mensem aprelis.

Articolo 49°

Titolo: ampliamento della strada di Corvaia.

Parimente verrà ingrandita la strada comunale che da Corvaia e dal poggio dell’Oliveto conduce fino

al paese di Radicofani.

Anche questi lavori sono stati affidati a Serafino di Romano e a Terzilio e dovranno essere completati

entro il mese di Aprile.

[L].

De macinis et eorum pretio.

Quicumque magister da Radicofano sciverit facere macinas, et fecerit, teneatur illas vendere

Radicofanensibus parium silicet pro . lx . soldis, et non plus (d), et universis molendinis abatis de

Calemala472. Et si pro dicto pretio non dederit Radicofanensibus, aliis non vendat. Et qui contra fecerit

solvat pro pena . lx . soldos.

471 - b) qui ei …..det. Si sottindenda ei dopo astulerit. - (a2) leggasi Sinibaldi.

c) così A per Romani. – d) plux.

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Articolo 50°

Titolo: Costruzione di macine da mulino e loro prezzo.

Ogni maestro scalpellino di Radicofani che sia capace di eseguire macine da mulino dovrà venderle

ai mugnai di Radicofani al prezzo fisso di soldi 10 (60), senza maggiorazioni. Sono inoltre tenuti a

fornire di macine i mulini di Callemala che sono di proprietà dell’Abbazia di San Salvatore.

Se non verrà rispettato il calmiere stabilito, dovranno subire una pena di 10 (60) soldi.

(Le macine da mulino di Radicofani erano molto ricercate per la durezza e la resistenza della lava

rossastra con cui venivano eseguite) Di quest’attività di cui parla pure il Gherardini nella sua venuta a Radicofani nel 1676, non siamo riusciti, per ricordala, visto che è durata circa 8 secoli, a farci nemmeno il Palio che era previsto nello Statuto e, quindi, non abbiamo nulla che ci possa ricordare questa importante attività durata tanto tempo.

[LI].

De via de molinis.

Item via de molendinis de Perticariis actetur ab agro domini Guaste de podio de Scolculo usque

Radicofanum per homines Burgi ad dictum Tancredi domine473 (a) Guilie per totum mensem madii.

Articolo 51°

Titolo: Manutenzione della strada che conduce ai Mulini.

Agli uomini che abitano Borgo Maggiore (?) spetta il compito di mantenere in efficienza la strada

che porta al Mulino dei Perticari, attraverso i campi di proprietà del Signor Guasta. I lavori di

manutenzione dovranno essere eseguiti entro il mese di Maggio. (Sotto la direzione di Tancredi di

donna Giulia nel mese di maggio)

[LII].

De vie masse Score.

Attetur et arrenetur silice, ubi actata non est, a massa Scole usque ad ospitale Fontis Ceculi (b)474 per

totum mensem agusti per homines Castelli, Castri Murri et Bo(n)miliacii ad dictum Iohannis

Sinibardi.

Articolo 52°

Titolo: manutenzione della strada che conduce allo Spedale di Fonte Cecula.

Agli uomini che abitano i Borghi del Castello, di Castelmorro e di Bon Migliaccio spetta il

mantenimento della strada che porta allo Spedale di Fonte Cecula. La fornitura e lo spargimento della

ghiaia sulla carreggiata saranno effettuati nel mese di Agosto dal predetto Giovanni di Sinibaldo.

[LIII].

De offitio scandali.

472 Intendi: i mulini a Callimala dell’abate di S. Salvatore. cfr, REPETTI, IV, pag. 710. Per i possessi della badia in

quella località. – tra cui la chiesa dedicata a S. Cristina, - cfr VERSIANI –BANDI, pag. 27. Alla bontà della lava

rossastra di Radicofani per costruire macine da mulini accenna pure il REPETTI, IV, pag. 714. 473 ) a) segue espunto Guaste. 474 – b) eu aggiunto nell’interlinea.

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Nemo prestet impedimentum offitio scandali ad bannum . v . soldorum, et una sit regula pro quolibet

populo comunis et non ultra. Et si aliquis puer faceret aliam, solvat . v . soldos.

Articolo 53°

Titolo: pena che verrà comminata a coloro che non rispettano le servitù.

Se gli abitanti delle quattro contrade che compongono il Comune di Radicofani si rifiutano di

assolvere gli oneri connessi agli obblighi di servizio ad essi spettanti, andranno incontro ad una pena

di 5 soldi “pro capite”. (Nessuno sia di ostacolo ai doveri che ciascun [cittadino] del popolo del comune deve avere per regola, e colui o coloro che non li rispettano dovranno pagare per ammenda 5 soldi. E, la stessa cosa, vale anche per i ragazzi. Anch’essi paghino 5 soldi se non rispettano gli obblighi dello Statuto).

[LIV].

De requisitione fornariorum.

Iudex comunis teneatur ter in anno inquirere fornarias si bene faciunt suum offitium, et si aliquam

invenerit475 (c) contra facientem, solvat . x . soldos pro pena.

Articolo 54°

Titolo: controlli periodici per i fornai.

Il Giudice del Comune di Radicofani è tenuto a verificare tre volte l’anno l’attività dei responsabili

che gestiscono i forni; e qualora si riscontri qualche irregolarità o trascuratezza per quanto concerne

la qualità della farina e la cottura del pane, sarà applicata l’ammenda di 10 soldi.

[LV].

De observando contractum cum abate Santi Petri in Campo.

Potestas et totum comune Radicofani iuramento teneatur observare et facere observari contractum

factum inter Avidutum notarium, sindicum comunis, et do(m)num Jacobum abatem Sancti Petri in

Campo et Bartholomeum sindicum eiusdem ecclesie ex altera, sicut plene continetur in istrumento

facto manu Benvenuti notarii. Et hoc, capitulum de costituto in costituto ponatur.

Articolo 55°

Titolo: obbligo di osservare il contratto con l’Abate di San Piero in Campo.

Il Podestà e i Magistrati del Comune di Radicofani sono tenuti sotto giuramento a osservare e a far

rispettare il contratto stipulato, tramite il notaio Avveduto rappresentante del Comune di Radicofani,

con il signor Giacomo, abate dell’Abbazia di San Piero in Campo (Valdorcia), rappresentato dal suo

amministratore Bartolomeo incaricato da quell’Abbazia, come chiaramente è contenuto nel contratto

scritto per mano del notaio Benvenuto.

Questo capitolo sarà ripetuto anche negli Statuti successivi.

[LVI].

De complendo murum post domus Ranerii castaldi.

475 - c) inverit.

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Potestas sive camerarius teneatur cogere suprastantes sotietatum Burgi Maioris facere fieri per

homines ipsius Burgi murum cum pettoralibus et merlis inceptum post domum Ranerii castaldi usque

ad cantum domini Iacobi Vendibovis iuxsta viam qua itur ad fontem usque ad kalendas ottubris

proxime venturas. Et potestas cogat abbatem de Spinetis et ospitalarios facere et complere presam

que remansit anno preterito, et iuvare suprastantes ad alias presas faciendas, sicut placuerit

suprastantibus; et si nollet facere, potestas et iudex faciant fieri de bonis eorum. Et fiant in dicto muro

due cocle, una inter domum Iacobi et Ildebrandi Legesis, et alia inter domum Rola(m) (a)476 et domum

ospitalis. Et hec fiant ad dictum et voluntatem Ranerii castaldi et Borgarelli, qui sun(t supr)states ad

dictus opus faciendum.

Articolo 56°

Titolo: completamento del muro di sostegno che si trova sotto la casa del Castaldo (vocabolo di

origine longobarda che significa: amministratore) Ranieri.

Il Podestà ha il dovere di imporre ai Governatori che presiedono la popolazione di Borgo Maggiore

a far erigere dagli uomini dello stesso Borgo un muro completo di parapetto e di merli sotto la casa

del castaldo Ranieri fino al cantone dell’abitazione del signor Giacomo Vendibovi, lungo la strada

che conduce a Fonte Grande; Il lavoro dovrà essere ultimato per il 1° di ottobre prossimo venturo.

Inoltre il Podestà dovrà costringere l’Abate di Spineta e gli amministratori che dirigono l’ospedale

che appartiene all’Abbazia a completare i lavori rimasti sospesi lo scorso anno. In caso contrario, il

Podestà (e il Giudice) provvederà (provvederanno) al completamento di detti lavori,

addebitandone il costo all’Abbazia. (E questo sia fatto per ciò che ha detto e per la volontà del castaldo Ranieri e Borgarelli, che sono i suprastantes dell’opera che sarà fatta).

[LVII].

De istrumentis inveniendis.

Teneatur potestas infra unum mensem a principio sui domminatus invenire omnia [instrument]a

comunis, et specialiter et nominatim instrumentum sive licteram papalem, in qua continetur quod

aliquis (b)477 non possit extra Radicofanum conveniri, et dep(onan)tur apud quemdam bonum

massarium eleptum per consilium.

Articolo 57°

Titolo: conservazione dei documenti pubbici (che riguardano il Comune).

Il Podestà, nel primo mese dall’inizio del suo incarico, dovrà ottenere tutti i documenti che

legalizzano la sua nomina, e in particolare gli atti notarili, le Bolle pontificie e gli attestati che

comprovano la sua origine non radicofanese, essendo il Podestà di regola forestiero.

Tali documenti saranno raccolti e conservati nell’Archivio del Comune.

[LVIII].

De via fontis Pergule.

Actetur et silicetur et arenetur via de fontis Pergula ab orto Ioannis [….]zuculi usque ad plebem

Viclani per homines Castelli et Castelmorri per totum mensem aprelis ad dictum Rai[neri]i

Baroncelli, et fiat ponticellus a Mattonaria, et aqua de fonte Pergula curat infra rem domine Sapie et

rem Rollandi Vegnentri.

476 - a) rola(n)[di]? - 477 - b) aliqui. -

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Articolo 58°

Titolo: strada che conduce a Fonte Pergola.

Dovrà essere mantenuta in efficienza la strada di Fonte Pergola con regolari lavori di manutenzione,

utilizzando ghiaia e sabbia di fiume (?). Il tracciato di questa strada inizia dall’orto di Giovanni Zucoli

e termina alla Pieve di Castelmorro (la via di Fonte Pergola dall’orto di Giovanni …Zucoli fino alla plebe di Viclano e ci devono lavorare gli uomini di del Castello e quelli di Castelmorro)478. È affidato l’incarico a Ranieri di Baroncello per far costruire entro il mese di

aprile un piccolo ponte alla Mattonaia, permettendo all’acqua che sgorga da Fonte Pergola di scorrere

attraverso i campi di proprietà del signor Sapia e di Rolando Vegnantri.

[LIX].

De [via] de Agiano facienda.

Attetur479 c), silicetur et arenetur via ab Incarerata usque ad apparitori[un de Spi]netis per homines

Burgi Maioris usque et per totum mensem maii ad dictum et ad mandatum Michaelis Fylippi.

Articolo 59°

Titolo: costruzione della strada di Agiano.

Gli operai di Borgo Maggiore apriranno una nuova strada che dall’incarcerata condurrà fino

all’Apparitoia di Spineta. L’esecuzione dei lavori sarà affidata a Michele di Filippo e si protrarranno

per tutto il mese di Maggio con l’impiego di sabbia e di ghiaia estratta dal fosso dell’Orcia (dove l’ha trovato il fosso dell’Orcia, anche se ci sta bene?).

[LX].

De via de molinis.

Atetur (d), silicetur et arrenetur via de molendinis de Calemala a campo Ber[tolin]i de Ioiannis usque

ad silvam de Planis per totum mensem maii et per totum comune ad dictum Iohannis Iannis.

Articolo 60°

Titolo: manutenzione della strada che porta ai mulini del Paglia.

Anche questa importante strada che inizia dal campo di Bertolino (di Giovanni) e, attraverso la

Selva del Piano (Cerreto Piano?) raggiunge i mulini di Callemala sarà mantenuta in ordine con

nuovi rifornimenti di sabbia e ghiaia per riparare l’erosione delle piogge invernali. (e, per tutto il comune, dal detto Giovanni di Nanni. La parte di sotto vale soltanto per i lavori). I lavori saranno diretti da Giovanni di Nanni e verranno effettuati nel mese di Maggio.

[LXI].

De via a molinis.

Attetur, silicetur et arrenetur via de molinis a porta de Cresscis usque ad [viam] que venit de

Bo(n)miliaccio per totum mensem maii et per totum comune ad dictum Iacobi Bontalenti.

Articolo 61°

478 - Antico insediamento, quasi certamente di origine Etrusca, che era situato dove o nei pressi di Castelmorro. Si ciamava, in latino “Viclanus”. 479 c ) la a ripetuta. - d) notare come cominciano i capitoli e la differenza che c’è fra i verbi iniziali del capitolo! -

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Titolo: manutenzione della strada del Mulino di Cresci (?).

È affidata a Jacopo Buontalenti la fornitura di sabbia e di ghiaia per la manutenzione della strada che

dalla porta del mulino del Cresci imbocca nella strada che scende dal Borgo di Bonmigliaccio. Anche

questi lavori saranno fatti per tutto il mese di Maggio.

[LXII].

De via Bo(n)miliacii.

Attetur via a cantone domus Iacobi Carnevecha usque 480(a) ad portam domus B[….]tis per totum

mensem martii, et silicetur de lapidibus rossis481 de Castello per homines Bo(n)miliacii ad dictum

Fede Smoche.

Articolo 62°

Titolo: manutenzione della strada di Bonmigliaccio.

Gli operai del Borgo di Bonmigliaccio, sotto la direzione di Fede Smoche, cureranno la manutenzione

della strada che dalla casa di Giacomo Carnevecchia conduce fino alla porta della casa di Battista. I

lavori saranno eseguiti nel mese di marzo; ma per la pavimentazione, anziché adoperare la sabbia e

la ghiaia di fiume, sarà utilizzata la pietra rossa (pepa) (io penso quella pietra rossa più compatta e più dura, data la pendenza della strada!) estratta dalla cava del Castello.

[LXIII].

De via Storte [a] domo Melani.

Item attetur via de Storta a casa Melano usque ad exitum cerreti, et sil(ice)tur et stirpetur per homines

Burgi Maioris ad dictum Benencase Tornensis.

Articolo 63°

Titolo: manutenzione della strada di Casa Melano.

Gli operai di Borgo Maggiore, sotto la direzione di Benincasa Tornensi, ripareranno la strada che

dalla Storta conduce a Casa di Melano fino al termine del Cerreto, liberando la carreggiata dagli sterpi

e spargendo sopra un nuovo manto di ghiaia.

[LXIV].

De ecclesia Bo(n)miliaccii et eius aiutorium faciendo.

Omnes homines qui habitant estra portam Novam de Castromurro usque ad por[tam] Ormanni, et

extra portam Bo(n)miliacci, teneantur iuvare omnes alios de Bo(n)miliaccio et esse cum eis ad

hedificandam ecclesiam de Bo(n)miliaccio, ad [om]nia opera et expensas pro ipsa ecclesia. Et

potestas cogat eos ad hoc ad (b) voluntatem soprastantium Bo(n)miliacii qui nunc sunt et in antea

erunt; et si quis esset nollet etstare, puniatur a . xx . soldis et nichillominus stet cum eis.

Articolo 64°

Titolo: costruzione della Chiesa (di San Giovanni Battista?) nel Borgo di Bonmigliaccio.

480 - a) ausque. - b) segue espunto deu[m]. 481 - vedi nota nell’art.( L).

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Tutti gli uomini che abitano al di fuori della Porta Nuova di Castel Morro (Oggi Porta del Vento) e

fino a Porta Ormanno, e quelli che risiedono fuori della Porta di Bonmigliaccio, sono tenuti a prestare

aiuto agli abitanti del Borgo di Bonmigliaccio e a collaborare con essi per l’edificazione della nuova

Chiesa intitolata a San Giovanni Battista (dove ha trovato San Giovanni Battista?482),

partecipando a tutta l’opera e alle spese per la costruzione dell’edificio sacro. Il Podestà s’impegna a

soddisfare il desiderio degli attuali Governatori di Bonmigliaccio di avere una propria Chiesa, e a tale

scopo ordina che vengano puniti con una pena di 20 soldi tutti coloro che si rifiuteranno di prestare il

loro contributo all’edificazione e al completamento della detta Chiesa.

[LXV].

De domo Petri Tinacii habenda pro comuni et domo comunis.

Statuimus et ordinamus comuni concordia, quod potestas vel consilium iuramento teneantur per totum

mensem ianuarii convocare consiluim483 (c) Radicofani, et in ipso consilio et cum ipso consilio

teneatur hemere domum Petri Tinacci et fratruum, (d) que est ad caput Burgi Maioris, pro domo

comunis pretio . cc . librarum et abinde infra, si aberi poterit abinde infra.

Articolo 65°

Titolo: acquisto della sede del Comune.

Stabiliamo e ordiniamo con il consenso di tutto il popolo che il podestà (e il giuramento del consiglio) indica(no) per il mese di Gennaio la convocazione plenaria del Consiglio (di Radicofani) allo scopo di ratificare l’acquisto dell’abitazione di Pietro Tinacci e dei suoi fratelli,

che si trova da capo al Borgo Maggiore (oggi Palazzo Pretorio) e che d’ora in poi dovrà servire come

residenza ufficiale del Comune di Radicofani. Il prezzo pattuito per l’acquisto è di 200 libbre.

[LXVI].

Qualiter libra fieri debeat, et per quos, et eius modo et ordine.

Potestas de mense aprelis teneatur convocare consilium et in ipso consilio eligere et facere eligi . x .

bonos homines per contratas, silicet . ii . de Castello, . ii . de Castromurro et . ii . de Bo(n)miliaccio

et . iii . de Burgo Maiori, qui . x . iurent ad santa Dei evangelia allibrare omnes homines de Radicofano

sicut eis videbitur; et ad libram quam ipsi facient datium colligatur, et bona illorum . x . allibrentur

per consilium.

Articolo 66°

Titolo: imposizione e ripartizione delle tasse comunali.

Entro il mese di Aprile, il Podestà farà convocare il Consiglio, nel corso del quale saranno eletti (10)

dieci Probiviri così ripartiti per le quattro contrade del Comune di Radicofani: due Probiviri per la

contrada del Castello, due per quella di Bonmigliaccio, due per quella di Castel Morro e quattro per

la contrada di Borgo Maggiore.

I nuovi eletti presteranno giuramento sul Libro dei Santi Evangeli per dare garanzia di imporre una

tassa su tutte le famiglie del Comune secondo giustizia, tenendo conto dei beni e delle proprietà

possedute da ciascuna di esse.

[LXVII].

De ortis et capannis supra ospitale Sancte Marie.

482 San Giovanni apostolo ed evangelista. 483 - c) cosilium. – d) così A (ausque).

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Liceat unicuique volenti facere ortum et capannam in territorio abatie Sancti Salvatoris supra ospitale

Sancte Marie iusta viam Castellanam, facere libere ad voluntatem abbatis et suorum nuntiorum, tracto

rocketo.

Articolo 67°

Titolo: regolamentazione (ordinamento) degli orti e delle capanne che si trovano sopra l’ospedale

di Santa Maria.

Sarà consentito a chiunque lo desideri costruire orti e capanne nel terreno che appartiene all’Abbazia

di San Salvatore e che si estende sopra lo Spedale di Santa Maria (poi denominato dei Pellegrini e

successivamente di San Pietro) (io, invece, penso che lo Spedale di Santa Maria che apparteneva all’Abbazia di San Salvatore fosse e insisteva nel territorio di Castelmorro il quale dipendeva tutto da quell’Abbazia)484, lungo la via Castellana

(corrispondente all’attuale Ripa con Via della Fortezza oggi Via Baldassarre Lanci- architetto, costruttore della Fortezza-). Per i contratti d’affitto, gli interessati dovranno inoltrare domanda direttamente all’Abate oppure ai

suoi amministratori.

[LXVIII].

De pretio lapidum.

Teneatur potestas cogere et cogi facere omnes illos qui faciunt lapides et soliti sunt facere, dare

centonarium lapidum pro . viii .soldis tantum cum . iiii . cantonibus per centonarium. Et si nollent

facere, potestas cogat eos facere, et qui contra faceret . x . soldos qualibet vice solvat. Similiter

cogantur illi qui faciunt mattones dare . c . mattonum pro . xxv . soldis tantum et non ultra ad bannum

. xx . soldorum.

Finitum, completum et correttum hoc costitutum per costitutarios comunis, videlicet dominum

Guastam, Olverium Presbiteri, Bernardinum Pepi Iamnini, Baldictionem notarium et Petrum de

Brigottis, et ab eis (a)485approbatum per singula, non cancellatum, non interlinatum nec vitiatum in

aliqua parte, anno Domini millesimo, . CC . . LV ., indictione . XIII ., tempore Alessandri pape quarti,

mense novembris die . V . intrante.

Articolo 68°

Titolo: prezzo per la fornitura di materiale da costruzione (Prezzo delle pietre).

Il Podestà è tenuto a imporre un tariffario per gli scalpellini che squadrano le pietre, fissando un costo

di (otto) 8 soldi per ogni quantitativo di cento pietre conce, ivi comprese quattro pietre da cantonate.

Parimente, coloro che lavorano nelle fornaci riscoteranno 25 soldi per ogni cento mattoni.

Chi non rispetta queste tariffe pagherà una multa di 10 soldi per la maggiorazione delle pietre, e 20

soldi per quella dei mattoni.

Questo statuto è stato redatto, completato e corretto dai Costituenti del Comune di Radicofani, e

precisamente dal signor Guasta, dal sacerdote Oliviero, da Bernardino di Peppe Giammini e da Pietro

del Brigotti, fungendo da notaio Baldizione.

484 Infatti guardando le denominazioni dei Bastioni della Fortezza che sono nominati in base alle chiese dove essi erano

rivolti, il Bastione di Santa Maria è subito dopo quello di Sam’Andrea, e prima di quello di San Giovanni (n.d.a.). 485 - a) e corretta su a . –

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Lo statuto ha ricevuto l’approvazione per ogni singolo articolo, senza cancellature né correzioni in

qualunque sua parte, nell’anno del Signore 1255. Indizione XIII, al tempo di Papa Alessandro IV, il

giorno 5 del mese di novembre (entrante).

Radicofani, 15 luglio 1988

Radicofani, lì 3 Marzo 2014

PERSONAGGI ILLUSTRI NATI A RADICOFANI

A nessuno prima delle mie pubblicazioni su “Amiata Storia e Territorio” e su “Centritalia” era venuto in mente di raccogliere in un unico articolo i personaggi illustri o meno cui ha dato i natali la terra di Radicofani, fatta eccezione del Pecci nel XVIII sec. e del Bicchi nel XIX sec. (In modo incompleto).

Questi personaggi con il passare del tempo sono stati dimenticati dalla gente di Radicofani e anche da coloro, cultori di storia patria, che avrebbero dovuto ricordarli molto più di Ghino di Tacco, che non era di Radicofani, e che nel nostro paese è restato soltanto tre anni, con qualche sparuta visita poco tempo prima per assoldare i suoi famosi masnadieri per depredare i viandanti sulla via Francigena.

Di parere molto più negativo, per ciò che riguarda Ghino di Tacco, Alberto Luchini il quale nel suo “Radicofani” Scandicci 1970 nelle pagg.47 e 48 così recita: «Sembra vietato

nominare Radicofani, senza che Ghino di Tacco non venga subito tirato fuori. Personaggio con

connotati psicofisici, nel Duecento e Trecento senesi, abbastanza consueti e grossolani……;

beneficiò da morto, d’una quaterna di fortune letterarie punto meritate. A) Dell’inserzione in un verso

della Commedia di Dante ……… B) Della promozione a medico dilettante e umorista, mercé

Boccaccio. C) Del pittoresco-medioevale che, in lui, vollero trovare i romanzieri e memorialisti

italiani………………i surricordati Guerrazzi e d’Azzeglio, fruirono dei loro bravi decenni di voga,

non sempre gratuita, presso il pubblico leggente connazionale, durante il Risorgimento. D) Del

fascino esercitato, ancora nel 1939 su uno dei più patriottici ed educativi scrittori nostri per

l’adolescenza. Ci riferiamo a Yambo e al suo romanzo «Il falco della Val d’Orcia» incardinato

interamente sulle gesta cavalleresche brillanti, da lui regalate al rapace figlio di Tacco.

……………………………………… Sennonché, e a prescindere da codeste constatazioni, la realtà

è, che l’intruso valdichianino Ghino di Tacco, quassù, fu, a malapena, un’apparizione episodica,

incapace di metter radici e di lasciar strascichi».

Il Mazzuoli nel suo “Pensione Vertunno e dintorni” Abbadia S.S. 2001 - non lo smentisce ma è più moderato affermando: «La grandinata di miliardi, caduta sui restauri del castello,

potrebbe costituire l’indispensabile miracolo, per agevolare l’ascesa del “bel Masnadiero” alla gloria

degli altari, e non sarebbe fuori luogo nominarlo patrono onorario di Radicofani, con tanto di

cerimonia solenne nella Chiesa Parrocchiale, ormai abituata a vederne di tutti i colori.

Fin qui fatti e opinioni.

Come sia possibile, poi, estromettere dalla storia di Radicofani un protagonista, realmente

esistito, autore d’un gran numero di prodezze di ogni genere, passando da una serie di delitti

all’amicizia con sua Santità, è un altro paio di maniche. Lo stesso Dante. Senza sbilanciarsi, lo ricorda

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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come giustiziere (o assassino a seconda dei punti di vista) di Benincasa, aretino di nascita e cittadino

romano per ragioni d’ufficio.»

Come si vede anche fra i radicofanesi colti c’è differenza di opinioni, ma fino ad oggi nessuno ha preso in considerazione gli uomini illustri ai quali ha dato i natali il nostro paese.

Vale la pena, quindi, ricordare in queste pagine personaggi importanti nati in questa Terra (come la chiamano Gherardini e Pecci), che con le loro opere o imprese hanno dato lustro al paese di Radicofani486.

Più volte in passato e al presente ho cercato di attrarre l’attenzione delle Istituzioni raccontando quello che si conosce su questi personaggi, ultimamente devo dire che qualche cosa, per me ancora poco, è stato fatto.

Forse intestando loro qualche via e a lato farne una descrizione più minuziosa possibile potremmo far conoscere alla popolazione questi personaggi e chissà che con il passare del tempo la gente non li senta più vicini a sé. Non è giusto che Radicofani lasci nel dimenticatoio tutti questi personaggi che in passato hanno onorato la storia del paese.

A onor del vero il Pecci ricorda «Se non sono i Radicofanesi molto facoltosi, non vi è però

alcuno, che non possieda qualche poca vigna, non abbia bestiami e non faccia qualche poca di

sementa, e non poche famiglie vi sono antiche e civili. ......Radicofani, in ogni età ha mantenuto

giovani a studiare nell’Università più culte e molti d’essi sono, in ogni facoltà, divenuti dottori, altri

impiegati ne’ governi politici, e altri hanno seguito la milizia…»487

Vito Mazzuoli nel suo libro dichiara:

Chi non onora la memoria dei morti, dà un pessimo esempio ai vivi.

Ricordo le parole, che oggi mi sembrano profetiche di Luis Buñuel: «Un popolo se

non ha memoria del proprio passato è come un albero senza radici, al primo soffio di vento rischia di

cadere», ed io credo che se non ricorderemo le nostre vere radici rischiamo di fare la fine dell’albero.

Quest’articolo li vuole ricordare tutti quelli di cui sono venuto a conoscenza fino al più internazionale che è tuttora vivente!

In primo luogo, va ricordata la famiglia GUASTA (uno di questi è il primo

firmatario dello “Statuto di Radicofani del 1255” sopra riportato!), la quale ha dato diversi uomini illustri ed è stata, per antonomasia, la vera famiglia nobile di

RADICOFANI488. Anche loro, come Ghino di Tacco, discendenti da un ramo dei Cacciaconti. Tutte le notizie riportate in corsivo-grassetto dei vari personaggi sono state riprese dal ms. del Pecci ricordato nella nota n. 485.

BEATO GUGLIELMO

Frate francescano che visse quasi tutta la sua vita religiosa sul monte della Verna. Uomo di

preghiera e di ascesi, è ricordato di Lui un episodio particolare, che mentre era assorto nell'orazione

gli fu visto ardere sul capo una fiamma. Morì in odore di santità nel 1270. (Secondo il Pecci Beato

486 Le descrizioni sono state riprese da “La terra di Radicofani” da “Memorie storiche, politiche,

civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono state suddite della città di Siena.” ms. D71 di G. A.

Pecci, cc. 409-453 dell’A.S.S. 487 Opera già citata nella nota n. 1 pag. 453. 488 Chiamati anche DEL GUASTA vedi Cammarosano P. e Passeri V., I castelli del senese.

Repertorio delle strutture fortificate dell’area senese-grossetana. Siena 1976, rist. 1985

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Guglielmo minor conventuale, che, con gran concetto di santità passò all'eterno riposo li quattro

dicembre 1270, del quale con stima, e venerazione ne trattarono non pochi scrittori di quella

religione.)489

GUASTA DI MESSER IACOMINO

Castellano di Radicofani, condottiero famoso ardito ed abile. Nel 1311 Capitano del popolo a

Firenze nel 1325 Generale in capo delle forze armate fiorentine.

(Secondo il Pecci nel 1311 fu Capitano del popolo della città di Firenze, conforme scrive

l'Ammannati, e resosi Signore della propria Patria (era Capitano del popolo anche a Radicofani),

attendendo il mestiero dell'armi, passando di grado in grado, pervenne a' supremi onori della

489 Dal libro " LA FRANCESCHINA" Vol. II – Firenze – MCMXXXI – testo volgare-umbro

del secolo XV scritto dal P. Giacomo Oddi di Perugia, edito per la prima volta nella sua integrità dal P. Nicola Cavanna O.J.M. – A PAG. 26-27 leggiamo:

"Anche in questa medesima provincia (parla della provincia di Siena dalla quale proveniva il

frate di cui aveva parlato precedentemente n.d.t.) et nel loco de la Verna se reposa uno santo frate,

chiamato FRATE GUGLIELMO da Radecofano. Quisto homa de Dio avea singularmente la

virtù de la oratione, nella quale tucto era absorto. Unde che fo veduto una fiata, stando esso in

oratione, uno grande fuoco descendere da cielo sopra lo suo capo. (nel libro c'è anche un disegno

la fig.65 n.d.t.), demonstrando quanto erano le suoe oratione infocate de l'amore de Dio. Amen.

Nella nota in fondo alla pagina: Pisano, AF IV. pag. 254; Chron. 24 gen. p. 286; Cater.

p.15. DAL LIBRO «IL MONTE DELLA VERNA» DI PADRE MARINO BERNARDO BARFUCCI – Firenze - 1993

Sotto un disegno che raffigura il Beato Guglielmo e porta il n. 9, non so dire se è del medesimo libro di cui sopra si legge:"B. Guglielmo de Radicofano, mire sanctitatis, orans

ignis maximus super caput eius est; in monte hoc sacro in pace requiescit". Più sotto ancora sempre contrassegnato con il numero 9 c'è scritto: " B. GUGLIELMO, laico, da

Radicofani († 1270) – Trascorse quasi tutta la sua vita sul monte della Verna. Mariano

scrive:"Frate Guglielmo da Radicofani el quale orando gli fu veduto sopra el capo discendere

un grande fuocho". Il Martirologio francescano lo ricorda il 4 dicembre.

Un medaglione in affresco che si trova (il disegno di cui ho parlato sopra n.d.t.) al santuario

della Verna nel corridoio del dormitorio sopra la porta di una cella: Il beato Guglielmo prega

e sul suo capo si posa un globo di fuoco.

AFH 2 (1909) 458; 4 (1911) 549; AF, IV, 254 E 519; AM, IV, 358; Franceschina, II, 26.

Dal libro "MISCELLANEA FRANCESCANA DI STORIA, LETTERE, DI ARTI" diretta dai frati minori conventuali di San Francesco – Nuova serie – Volume XXXII – Roma – 1982 – a pag. 109 leggiamo: " 19 – B. Guglielmo da Radicofani – Spira divozione in ogni sua parte il Monte della Verna, ove

il Serafico Padre S. Francesco ricevé da Cristo nostro Signore le Sacrate Stimmate. E perciò

molti Servi di Dio l'hanno volentieri eletto per loro abitazione, come luogo attissimo per la vita

contemplativa.

Quivi fiorì il B. Guglielmo da Radicofani, Laico, il quale con tanto fervore di spirito

attendeva alla santa orazione, che più volte, mentre orava, fu dai Frati veduta una rilucente

fiamma di fuoco sopra il suo capo.

Visse vita esemplarissima, e colmo di meriti in quel sacro monte riposò in pace circa l'anno

1270.

Nella nota c'è scritto: WADD. an. 1270, p. 21 (II ediz. 26). L'ARTURO lo pone al 4 dicembre.

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milizia, perché fu Conestabile (grado di comando nell'antica milizia) di 50 lancie per i senesi

contro gli aretini circa l'anno 1314. Rotta poi la guerra tra Castruccio (Castracani) signore di

Lucca Capo de' Ghibellini, e i fiorentini, Guasta si avanzò maggiormente, perché ridotti i fiorentini

a strettissime angustie, crearono loro Capitano di guerra Oddo da Perugia, e consegnarono

l'assoluta custodia della città loro a Guasta, che colà si ritrovava coll' armi ausiliarie de' senesi,

conforme scrive Giovanni Villani, ed esso coraggiosamente la difese e preservò. Per una tal

valorosa pruova salì Guasta a tanta riputazione, che i "Guelfi di Toscana" lo dichiararono loro

Capitano Generale, (o come altri dicono) a Priore della Taglia, cioè della Lega Toscana, nella qual

carica andò sempre più agumentandosi onore, e riputazione, di mode che l'anno 1328 fu eletto

Governatore di Fuligno, conforme scrive Jacobilli, e altre cariche si può supporre, che esercitasse,

ma, in verità, più oltre non se n'ha certezza).

Nel suo libro, - Radicofani – a cura di Alberto Luchini – Editrice Industria grafica l’Impronta

S.p.A. –Scandicci (FI) –Luglio 1970, - l’autore dichiara a pag. 149: Nel Secolo XIV, il

condottiero Guasta manovrò con abilità tale, anche axtra-militarmente, che il Comune di Firenze,

forse il più diffidente dell’universo, gli conferì, nel 1311, il grado di Capitano del popolo; e la

Signoria, nel 1325, quello di Generale in capo delle forze armate fiorentine, quando Castruccio

Castracani ebbe inflitta loro una batosta memorabile.

Su internet in un libro su google-libri in pdf- La cronaca anni 1326 -1350 – a pag. 29 dell’anno 1326 troviamo scritto:

Morte di messer Guasta da Radicofani (1326)

Il 3 settembre vengono tumulate ai Frati Minori le spoglie mortali di Guasta da Radicofani,

Capitano di guerra di Bologna, qui giunto agli inizi di aprile. Egli lascia uno splendido ricordo

di sé:

«avè lo maore honore vivo e morto che regedore ch’avesse may Bononia, e fo capetanio de guerra

et avè le chiave delle porti». Il suo comando viene assunto dal fratello, messer Ranieri da

Radicofani. Nota 145 (Rerum Bononiensis, p. 370 e Cr. Vill., p. 374 e 375.)

Sempre a proposito di Guasta da Radicofani troviamo su Internet a “Capitani di Ventura” un’ampia cronologia delle sue azioni e battaglie.

MONALDO DA RADICOFANI

Podestà di Foligno nel 1323.

(Secondo il Pecci l'anno 1325, anch'egli [come Guasta di messer Iacomino] fu podestà,

e governatore di Fuligno, come dal catalogo del Jacobilli, e come altro Cartolario riportato nella

"Storia di mezza età" del Muratori490 si raccoglie, dove è descritto podestà di Fuligno ancora

nell'anno 1323).

PONE DI GUASTA E SUO FIGLIO GUASTA

Nel libro "La città fortificata di Radicofani – Nuova immagine editrice – Siena 1998 – AA.VV."

Angela Lanconelli nelle pagg. 93-94 a proposito delle famiglie nobili di questi luoghi dichiara:

«È significativa, al riguardo, la vicenda di Pone di Guasta e di suo figlio Guasta. Troviamo Pone

nel giugno 1340 alla guida dell'esercito pontificio nella spedizione contro Todi che si era ribellata

alla Chiesa; riconquistata Todi, Pone fu incaricato di presidiarla e nel settembre dello stesso anno

guidò una nuova operazione militare per la conquista di Onano. Dopo qualche mese, tuttavia, i servigi

da lui resi al Papato non gli impedirono di impadronirsi di Radicofani, insieme con Giovanni di

490 Muratori – Storia di mezza età, Tomo IV, Repert. 46, 146.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Monaldo, ma il tentativo non durò a lungo: i due ribelli furono catturati dal rettore della provincia,

Bernardo di Lago, e Pone morì poco dopo (prima del novembre 1341) ucciso, insieme con suo

fratello, dallo stesso Giovanni di Monaldo491. Dieci anni dopo il figlio Guasta riprendeva l'opera del

padre occupando alla fine del 1352 Radicofani e sottomettendosi nell'ottobre dello stesso anno a

Siena, ma all'arrivo dell'Albornoz fu catturato e imprigionato a sua volta nel carcere della Curia

provinciale. Nel corso di quel secolo, dunque, mentre aumentavano le tensioni all'interno del castello,

il controllo papale andò progressivamente allentandosi, fino al definitivo passaggio di Radicofani

sotto il dominio del Comune di Siena».

Sempre su internet su google-libri nel libro – La cronaca anni 1326 – 1350 a pag.708 dell’anno 1340 troviamo: Ribellione di Amelia (1340)

In giugno si combatte sotto le mura di Amelia. Nel corso del 1339 vi è stato un forte

movimento di ribellione in tutta la regione, rivolte in qualche modo fomentate dall’eresia nata

con la nomina dell’antipapa del Bavaro. Todi si è sollevata in armi e, nell’aprile 1339, ha

minacciato Alviano, Narni, Amelia e San Gemini. Amelia è caduta nelle mani dei ribelli e il

rettore ha inviato ora, nel giugno del ’40, il nobile Pone di Guasta da Radicofani ad espugnare

l’alta città dove si sono arroccati gli eretici. L’esercito pontificio ha ricevuto rinforzi da

Perugia e da Orvieto. Guasta mette balestrieri a Foce, 3 miglia a nord est di Amelia, un

naturale antemurale della città, e riesce a espugnare Civitella. La situazione degli assediati in

pochi giorni diventa critica e il rettore invia Manfredo Vitelleschi a negoziare la capitolazione

dei ribelli. Ottenutala, l’esercito pontificio si installa in città e Pone di Guasta di Radicofani lo

governa per qualche tempo. L’esercito del Patrimonio deve ora rivolgere le armi contro la vicina

Terni, la quale, a sua volta, si è ribellata, ma questa città oppone una resistenza ben più

forte di quella degli Amerini.106

106 ANTONELLI, Patrimonio, p. 299, molto diffuso CESSI, Una relazione, p. 169-175.

DINO DI PONE DI GUASTA DI IACOMINO DA RADICOFANI

Dino di Pone di Guasta da Radicofani, da Belisario Bulgarini nell'albero Genealogico tenuto

dalla Famiglia de' Visconti da Campiglia, siccome padre Ugurgieri nelle "Pompe Sanesi",

all'opposto dell'Ughelli, che lo crede della famiglia di Ghino di Tacco, né io sarei lontano

appigliarmi a quest’ultimo, ma però considero, che Ghino di Tacco fosse de' Cacciaconti signori

della Scialenga, e un ramo de' Manenti signori di Sarteano, e Chianciano. Fu dunque Dino

Patriarca d'Alessandria, poi Arcivescovo di Genova, e il 29 ottobre 1342 trasferito alla

Metropolitana di Pisa, e morì nel 1349, conforme scrivono l'Ughelli, il padre Orlandi nel "Mondo

sacro, e profano" 492. Dal libro, - Radicofani – a Cura di Alberto Luchini – Editrice Industria grafica

491 Sulle vicende di Pone vedi M. ANTONELLI, Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio di S.

Pietro in Tuscia dalla traslazione sede alla restaurazione dell'Albornoz, in "Archivio della Società romana di

storia patria", XXV (1902), pagg. 355-395, XXVI (1903), pagg. 249-341, XXVII (1904), pagg. 109-146 e 313-

349; La dominazione pontificia nel Patrimonio negli ultimi venti anni del periodo avignonese, ivi, XXX

(1907), pp. 269-332, XXXI (1908), pp. .121-168 e 315-355; Nuove ricerche per la storia del Patrimonio dal

MCCCXXI al MCCCXLI, ivi, LVIII (1935), pp. 119-151. 492 Dal libro "IL CAMMINO DELLA CHIESA GENOVESE - “dalle origini ai nostri giorni" –

a cura di Dino Puncuh – Genova MCMXCIX – Nella sede della società ligure di storia patria –

Palazzo ducale – Piazza Matteotti, 5 – p. illeggibile – leggiamo:

" ..... in questo sfondo papa Benedetto XII, alla morte di Bartolomeo da Reggio, rinnova

immediatamente la riserva sulle nomine vescovili dell'intera Liguria, riguardo a Genova con

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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l’Impronta – Scandicci (FI) Luglio 1970, l’autore dichiara a pag. 149: in un giro d’anni subito

consecutivo (secolo XIV° anni succitati), un Dino da Radicofani, ecclesiastico, fu Arcivescovo, prima

di Genova, quindi di Pisa, e spiegò, a parere d’esperti in Storia della Chiesa, una perizia straordinaria.

Per una più corretta biografia di Dino da Radicofani, così come è conosciuto in Italia, qui sotto presentiamo, ripresa da Internet la biografia della storica pisana Daniela Stiaffini:

DINO da Radicofani

Dizionario Biografico degli Italiani - Treccani – Vol. 40 (1991).

di Daniela Stiaffini

DINO da Radicofani. –

Nacque alla fine del sec. XIII a Radicofani (prov. Siena), dove risiedeva la famiglia. Era nipote

di Simone Albo, conte di Radicofani e di Acquapendente, e zio di Guasta da Radicofani, visconte di

Montevaso.

La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà feudale toscana e con il titolo comitale deteneva

diritti signorili e giurisdizionali sul castello di Radicofani e sul suo circondario fino a comprendere la

rocca di Acquapendente. Essa traeva il cognome dal luogo stesso su cui aveva la signoria. Il diritto

signorile della famiglia di D. sul castello di Radicofani è testimoniato da una bolla di papa Innocenzo

III dell'8 maggio 1200, ma fu sempre contrastato dai monaci del convento di S. Salvatore del Monte

Amiata, i quali avevano detenuto l'assoluto potere signorile e giurisdizionale sul castello fino alla

metà del sec. XIII quando ne avevano ceduto la metà alla S. Sede nella persona di papa Eugenio III.

La prima notizia a noi nota relativa alla residenza della famiglia di D. a Radicofani è contenuta in un

atto relativamente tardo, del 2 genn. 1282, in cui si menziona il palazzo dei conti di Radicofani posto

nel castello. Sono probabilmente da rifiutare, come prive di fondamento, le affermazioni fatte

dall'Ughelli e dall'Ugurgieri Azzolini secondo le quali D. sarebbe stato imparentato con Ghino di

Tacco; sono altresì da rifiutare quelle del Tronci, secondo il quale il D. sarebbe stato un suo antenato

in quanto un ramo dei Tronci, prima di stabilirsi a Pisa, avrebbero abitato nel contado senese.

D. venne destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica che percorse con soddisfacenti

risultati lontano dalla sua patria di origine. Ricevuta l'ordinazione sacerdotale, D., dopo avere

conseguito il titolo di doctor decretorum, divenne preposito della Chiesa genovese. Sotto il pontificato

di Giovanni XXII divenne cappellano del sommo pontefice. Si distinse in tale carica tanto che il 6

nov. 1332 il pontefice lo nominò patriarca di Grado in sostituzione del patriarca Domenico morto in

quell'anno (D. fu consacrato tra il 12 febbraio e il 2 ott. 1333). Anche sotto il pontificato di Benedetto

XII D. godette di grande considerazione. Già il 26 giugno 1336 fu incaricato da quel pontefice di

studiata diplomazia attende la rinuncia del neoarcivescovo Goffredo Spinola, arcidiacono di

San Lorenzo, eletto nel frattempo dal capitolo. Soltanto nel gennaio del 1337, dopo più di un

anno di sede vacante, il papa procede alla nomina di Dino da Radicofani, uditore delle cause

apostoliche in Avignone e cappellano pontificio, mentre nell'anno seguente è assegnata allo

Spinola la cattedra vescovile di Mantova. Per quanto riguarda Dino da Radicofani – senese e discendente da famiglia di origine ................... la

recente pubblicazione dell'annuario del monastero urbano di S. Siro rivela un dato interessante: egli nel

1303 risiede a Genova e in qualità di vicario dell'arcivescovo Porchetto presenzia alla lunga e laboriosa

elezione dell'abate. In seguito, alla fine del 1332, rinunzia al canonicato dell'antica pieve di Rapallo per

assumere il patriarcato di Grado. Alti incarichi e connessi trasferimenti segnano la vita di Dino da

Radicofani e anche l'esperienza genovese non si rivela duratura: nel 1342, per volontà di Clemente VI,

è trasferito alla sede metropolitana di Pisa dove resta fino alla morte avvenuta agli inizi del '48. (il Pecci

ci dice che è morto nel 1349)..........................il nuovo incarico pisano di Dino da Radicofani va inquadrato

nel nuovo corso di rapporti instauratisi fra Genova e Pisa con il trattato del giugno 1341, i cui obiettivi

riflettono da parte delle due secolari rivali prove di notevole pragmatismo politico".

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condurre una missione di pace da eseguire per conto della Sede apostolica in Francia: doveva

comporre la controversia sorta fra Oddone IV duca di Borgogna, da una parte, e Henri de Montfaucon

e Giovanni da Cabillono (l'odierna Chálons-sur-Saône) dall'altra. La sua condotta in questo incarico

fu prudente e improntata a molta saggezza: dopo tale missione la fiducia nei suoi confronti da parte

degli ambienti curiali contribuì ad indurre il papa Benedetto XII a trasferirlo all'arciepiscopato di

Genova come successore di Bartolomeo da Reggio, morto il 13 dic. 1335, nomina che venne ratificata

con una bolla del 24 genn. 1337 dopo il rifiuto opposto da Gottifredo di Spinola, diacono genovese,

a ricoprire tale carica.

Le spiccate attitudini diplomatiche di D. non mancarono di manifestarsi anche nel suo governo

episcopale. Il nuovo presule, infatti, ebbe un posto di rilievo nel processo svoltosi il 17 genn. 1340

contro il decano Teodorico ed i canonici della Chiesa di Worms, accusati di avere eletto a loro

vescovo - dopo la morte di Conone - Gerlasco detto Pincerna, e, dopo la morte di quest'ultimo,

Salamanno, preposito della chiesa di S. Stefano di Magonza, senza aver chiesto ed ottenuto la ratifica

papale. D., nominato dal pontefice giudice di questo processo, condannò Teodorico ed i canonici di

Worms a dieci anni di scomunica. Pochi anni dopo, morto l'arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli (24

sett. 1342), il governo di quella città fece pressioni sul pontefice perché designasse come successore

del presule scomparso il frate domenicano Marco Roncioni, priore del convento di S. Caterina di Pisa,

appartenente ad una delle più influenti e nobili famiglie cittadine: tali preghiere non ottennero l'effetto

desiderato, perché il pontefice aveva già deciso di conferire a D. l'importante sede toscana. D. venne

eletto infatti arcivescovo di Pisa con una bolla del 7 ott. 1342.

Lasciata Genova, tuttavia, il presule non raggiunse subito la sua nuova sede e preferì recarsi ad

Avignone dove si trattenne parecchi mesi. La sua permanenza ad Avignone dovette forse prolungarsi

più del previsto, perché D. dapprima chiese una sovvenzione in denaro agli abati dei monasteri pisani

di S. Vito, di S. Paolo a Ripa d'Arno e di S. Savino per il suo soggiorno avignonese e poi, in novembre,

decise di eleggere un suo vicario che governasse la diocesi pisana nella persona di Guidone Sette,

arcidiacono della Chiesa genovese. A Pisa D. giunse soltanto all'inizio del mese di febbraio del 1343

proveniente da Livorno dove era sbarcato da una nave che veniva dalla Francia.

D. amministrò la Chiesa pisana con molta oculatezza e prudenza. Il suo primo atto in veste di

arcivescovo fu quello di chiedere per lo Studio pisano l'autorizzazione papale a conferire il dottorato

in sacra pagina, in iure canonico et civile e in medicina: la grazia fu concessa, e dette nuovo impulso

alla nascente università pisana. L'anno successivo D. rese di pubblico dominio una lettera del 27

maggio 1344, indirizzata dal pontefice al vescovo di Genova: essa aveva come tema principale la

ricerca di una soluzione di compromesso fra il governo pisano e il duca di Milano in lite ormai da

diverso tempo.

Notevole fu l'attività di D. nella amministrazione dei beni fondiari spettanti alla mensa

arcivescovile pisana. Nel 1344 D. elesse il nuovo camerario della mensa arcivescovile pisana nella

persona di Peretto di Cognanuti da Val di Tana e, con la sua assistenza, procedette alla vendita, alla

permuta o all'acquisto di molti beni fondiari posti nei dintorni di Pisa, fino a comprendere le località

di Chianni e San Luce. Il 30 sett. 1344 ricevette il giuramento di fedeltà dagli abitanti di San Michele

di Meli di Riparbella, già ribelli al potere di Guasto da Radicofani visconte di Montevaso e nipote di

D.: nell'accettarlo, concesse il suo perdono per la sommossa organizzata contro il nipote e nello stesso

tempo confermò i suoi diritti feudali e giurisdizionali sull'abitato e il contado di Meli di Riparbella.

Anche in questo periodo D. alternò l'attività pastorale con quelle mansioni diplomatiche che il

nuovo pontefice, Clemente VI, come già i suoi predecessori, gli affidò periodicamente. Il 28 ag. 1344,

ad esempio, si recò insieme al legato della Sede apostolica, Aimerico, a Napoli; e nel giugno dell'anno

seguente si dovette occupare, sempre per incarico del papa, della situazione che si era venuta a creare

in Corsica con la morte del vescovo Pagano. Nella sua funzione di primate di Corsica, D. affidò la

sede vescovile vacante a fra' Bernardo dell'Ordine dei minori, assicurandogli la sua assistenza morale

e pastorale. Il 23 sett. 1347, poi, ricevette l'incarico dal pontefice di recarsi insieme con i vescovi di

Perugia, di Siena e di Firenze in Sicilia, dove con l'assistenza dei rappresentanti dei governi di

Genova, di Siena e di Firenze ebbe il compito di prestare tutto l'appoggio possibile al governo locale.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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D. morì a Pisa nel 1348.

L'Ughelli e gli autori che muovono da esso affermano invece che D. morì a Pisa l'anno

successivo. L'esame della documentazione dimostra, al di là di ogni dubbio, che D. era sicuramente

morto nel mese di ottobre del 1348, anche se il suo successore - Giovanni Scarlatti - fu eletto

arcivescovo di Pisa solo con una bolla del 27 giugno 1349: esiste infatti un documento del 14 ott.

1348 con il quale il pontefice ordinò ad Andrea da Tuderto di recarsi a Pisa per redigere l'inventario

dei beni mobili del defunto arcivescovo: Andrea doveva tra l'altro farsi consegnare gli oggetti

personali da questo posseduti.

Fonti e Bibl.: Pisa, Arch. della Mensa arcivescovile, Diplomatico, nn. 29, 704, 631, 683, 703, 760,

765, 733, 715, 747; Ibid., Acta extraordinaria ab anno 1325, n. 1, c. 8rv; Ibid., Apographorum, VIII,

nn. 1683, 1685, 1752; Arch. di Stato di Lucca, Cronaca pisana di autore anonimo contenuta nel codice

54, c. 17; Cronica antiqua conventus S. Catharinae de Pisis, in Arch. stor. ital., VI (1845), 2, pp. 519

s.; Benoit XII (1334-1342). Léttres comMunes, a cura di J.-M. Vidal, I, Paris 1902, nn. 3977 s., 4050,

4077, 4098; II, ibid. 1904, nn. 7934, 8147; Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, a cura di G.

Mollat, VIII, Paris 1924, nn. 47214, 48538, 49065; XI, ibid. 1929, nn. 56521 s.; XII, ibid. 1932, nn.

58750, 59207, 59314, 59592; XIII, ibid. 1933, nn. 61625 s.; Clément VI (1342-1352). Lettres closes,

patentes et curiales, a cura di E. Déprez-M-G. Mollat, I, Paris 1960, n. 1728; II, ibid. 1958, n. 3473;

I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi ovvero relazioni delli huomini e donne illustri di Siena e suo

Stato, I, Pistoia 1649, p. 110; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1718, col. 457, n. LVIII;

IV, ibid. 1719, col. 889, n. XXXVII; V, ibid 11720, coll. 1149 s., n. LII; S.M. Fabbruccio, Excursio

historica, I, De prima dote Pisani publici Gymnasi, eiusdemque privilegiis, in Raccolta di opuscoli

scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, XXIII, Venezia 1741, pp. 6-11; A. F. Mattei, Ecclesiae

Pisanae historia, II, Lucae 1752, pp. 60 ss., 82-87; P. Tronci, Annali pisani, III, Lucca 1829, pp. 171,

197; G. Volpini, Storia del monastero e del paese di Abbadia San Salvatore, s.l. 1966, p. 162; N.

Zucchelli, Cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Pisa, Pisa 1907, pp. 132-135; C. Eubel, Hierarchia

catholica... ab anno 1198, I, Monasterii 1913, pp. 266, 281, 400.

Abbiamo riportato tutto l’articolo, consultabile su “internet”, perché è molto più esaustivo e perché abbiamo una più ampia visibilità dell’importanza del personaggio Dino; senza dubbio il più importante personaggio cui abbia dato i natali Radicofani e a Radicofani nessuno lo conosceva!

FRA LEONE DA RADICOFANI

(Sec. XVI) In gran favore presso i Granduchi. (Secondo il Pecci Fra Leone da

Radicofani Minor Conventuale fu molto favorito da' Gran Duchi di Toscana, mentre fu Inquisitore

a Siena, morì nella carica, e Padre Ugurgieri nelle sue "Pompe Sanesi" asserisce, che morì lì 14.

d'ottobre 1576., ma nelle costituzioni del Collegio dei Teologi di Siena si legge morisse nel 1564).

Su Internet vi è un racconto intitolato: La pozione di mastro solene di teodato tintore senese Causa d'imputazione di Malìe contro Mastro Solene di Teodato tintore senese.

Anno domini 1574. Indizione 2. Martedì 30 Marzo.

Mastro Sebastiano di Ottaviano Menicucci da San Gimignano habitante et accasato in Siena

constituito dinanzi alli Probi Rev.di Vicario di Mons. Arcivescovo di Siena et a Mastro Leone da

Radicofani dell’Ordine minore di S. Francesco di Giussano Inquisitore del Heresie……….

Sempre su Internet su Ereticopedia troviamo gli inquisitori di Siena:

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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• Leone da Radicofani OFMConv (1575–1577)

• Giovanni Pelleri da Radicofani OFMConv (1656–1664)

DON NICCOLO’ MIGLIORI

Monaco Certosino, compose a requisizione del B. Giovanni Colombini di lui amico, e

contemporaneo un’opera, che ha per titolo “Mistica Teologica”, che si conserva scritta a mano

nella Libraria de’ Padri Serviti di Siena.

Questo Certosino crederei, che fusse della famiglia Migliori del Sig.re Dott. Jacono Paolo,

oriunda dalla terra di Chianciano, e stabilita poi a Radicofani, perché si prova concludentemente

la di lui discendenza da quella terra dal 1287. in qua, come si può riconoscere dallo Statuto antico

di Chianciano, compilato in detto anno, dove, fra gli altri Statuenti, si leggono Nos Minus Monaldi,

Cenne Melioris, Finus Berighieri, Statutarj communis Clanciani.

PIETRO MAZZANTE (Il Pecci lo chiama Pietro Mazzantes)

Professore ed Astrologo all'Università di Padova, vissuto nella seconda metà del 1600.

(Secondo il Pecci, nativo di questa terra fu bravo professore, e intendente di Astrologia, come

molto bene lo dimostra, perché diede alle stampe in Siena l’anno 1600. molte testimonianze di

Prognostici, che in gran parte si avverarono).

Su Internet sul sito books-google, it si trova un libro “Collezione degli uomini e donne

illustri della Toscana da ……. “ e al nome di Mazzantes Pietro recita: Mazzantes Pietro da

Radicofani nel Senese fu valente intendente di astrologia; diede in luce molte prove de’ suoi

pronostici in detta scienza. Vedi Ugurgieri pompe senesi par. 1 tit. 21.

GIOVANNI PELLEI

Vissuto tra la prima e la seconda metà del 1600. Frate minore conventuale, fu inquisitore, guardiano del convento di S. Croce a Firenze. Ispettore dei conventi francescani in Toscana e Sardegna ed infine Vescovo di Grosseto. E' ricordato in una lapide della Basilica di S. Francesco a Siena ed è raffigurato in un quadro all'interno della chiesa di S. Agata.

(Secondo il Pecci fu religioso dell'ordine dei minori conventuali, dichiarato in Bologna

Maestro, e dopo aver sostenuto l'officio di Guardiano di più conventi, fu eletto Inquisitore di

Belluno nel 1656, poi di Trevigi (Treviso), e dopo di Siena. Vacata la chiesa vescovile di Grosseto,

il pontefice Alessandro VII gliela conferì nel 1664, ma, senza vederla, mentre per la strada s'

incamminava a quella volta, gli otto di giugno del medesimo anno 1664 morì in Radicofani sua

Patria, e il cadavere, conforme a quanto aveva disposto, fu trasportato a Siena a seppellire nella

chiesa di S. Francesco alla quale era cotanto affezionato, che per mantenimento di quella fabrica

lasciò un pingue capitale, co' frutti del quale, amministrati da quattro depotati, eletti dalla Balìa si

supplisce a tutto il bisognevole.).

FRA ARCANGIOLO MARIA RADI

(Secolo XVII) Teologo e matematico. (Secondo il Pecci religioso domenicano teologo, filosofo, eccellente mattematico, ritruovò col

di lui altissimo ingegno un Oriolo a sole portatile [che fu il primo in questa invenzione, dilatata

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poi a tempi nostri universalmente], senza l'uso della calamita, meraviglioso assai, e in modo di due

tavolette, che si chiudono co' loro gnomoni, spiegato in tre faccie, una servendo per la de' raggi

del nostro Zenit, l'altra per l'approssimazione ad essa, e la terza per gli Equinozii, ritruovandosi

per mezzo di questo, senza fatica, la linea meridionale, e di più può servire comodamente per

istrumento a comporre gli Oriuoli, dimostrare l'ore Babiloniche, Astronomiche, e Italiane, e in

qual segno il Sole si Truovi, e in quai gradi. Oltre a ciò diede alle stampe "Lunare deliquium Senis

observatum die 25 Junii 1657 etc...", di poi si portò nell'Umbria, colà chiamato per levare, e

disegnare le piante di tutte quelle Città, ed io ho veduto quella della Città di Narni, e se altre ne

compilasse non mi è noto, ma crederei, che l'avesse eseguite).

Su Internet a proposito del nostro ho trovato le seguenti notizie: books.google.it - Altre edizioni

Bollettino della Società geografica italiana: Volume 46, Parte 2

Società geografica italiana - 1909 - Visualizzazione snippet

A quest'epoca deve evidentemente riportarsi la pianta topografica di Fra Arcangelo Maria Radi,

sopracitata. Dalla serie dei vescovi narnesi, stampata dall' Eroli nel suo libro Descrizione delle chiese

di Narni e suoi dintorni — Narni, ...

Italianistica: Volume 25

1996 - Visualizzazione snippet

Infine, vanno anche ricordate le osservazioni fatte da altri due illustri autori che si sono occupati

di orologi: Anton Francesco Doni e Arcangelo Maria Radi. Il Doni, nell'opera del quale si ravvisano

elementi già presenti nel testo di ...

Physis; rivista internazionale di storia della scienza: Volume 10

1968 - Visualizzazione snippet

1665 Arcangelo Maria RADI Nvova Scienza di Horologi a Polvere che mostrano, e' suonano

distintamente tutte l'hore Del P. Maestro F. Archangelo Maria Radi de Predicatori Professore di

Matematiche, e' Teologo dell'Emin"° S. Card: Facheti ...

Filologia e critica: Volume 21

1996 - Visualizzazione snippet

Bonito, per giungere a capo del problema, non esita a chiamare in causa i testi scientifici

dell'epoca (poniamo, La nuova scienza di orologi a polvere di Arcangelo Maria Radi, gli Orologi

elementari di Domenico Maria Martinelli, ...

Mappe e letture: studi in onore di Ezio Raimondi

Ezio Raimondi, Andrea Battistini - 1994 - 483 pagine - Visualizzazione snippet

Il testo maggiormente legato, per argomento e affinità meccaniche, agli Orologi elementari è la

Nuova scienza di orologi a polvere" di Arcangelo Maria Radi ...

Bullettino senese di storia patria: Volume 19

Nessuna immagine di copertina R. Accademia dei Rozzi, R. Accademia dei Rozzi (Siena, Italy),

R. Accademia dei Rozzi. Commissione senese di storia patria - 1912 - Visualizzazione snippet

Fra Arcangelo Maria Radi, Domenicano, teologo, filosofo ed eccellente matematico ; inventò un

orologio a sole, portatile, che gli scrittori del tempo chiamano meraviglioso. ...

A philosophical and mathematical dictionary: containing an ...: Volume 1 - Pagina 327

Charles Hutton - 1815 - 41 pagine - Consultazione completa

There is likewise a treatise on Hour- Glasses by Arcangelo Maria Radi, called Nova Scienzade

Horologi Polvere. See also the Tcchnica Curiosa of Gasper Schottus ;• and Amontons Remarques et

Experiences Physiques sur la Construction d'une ...

GIOVANNI DOMENICO PARRACCIANI

Ogniuno sa, dice il Pecci, perché son fatti freschi de’ tempi nostri, che la famiglia Parracciani

è originaria da questa terra, e che da essa, benché nato a Roma, ne derivò L’Eminentissimo

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Signore Cardinal Giovanni Domenico di tal cognome, promosso alla Porpora dal pontefice

Clemente xi., nel 1706., e morto in Roma nel 1721.

(Per più approfondite notizie vedi di F.M. Magrini, I Parroci di Radicofani, Edizioni Cantagalli

– Siena – 1983 –Pagg. 15 e16).

Su internet troviamo a « Sant’Anastasia (titolo cardinalizio) » Sant'Anastasia è un titolo cardinalizio istituito da papa Evaristo intorno al 105. In seguito, fu

inserito tra quelli del sinodo romano del 1º marzo 499. La chiesa alla quale si ispira è sita ai piedi del

monte Palatino. Tale posizione costituisce un'eccezione dato che tutti i 24 titoli esistenti al tempo di

papa Marcello I erano fuori dalla cinta muraria di Roma, mentre le diaconie si trovavano al suo

interno. In base al catalogo di Pietro Mallio, compilato durante il pontificato di Alessandro III, il titolo

era collegato alla Basilica di San Pietro e i suoi sacerdoti vi celebravano Messa a turno.

Fra i titolari troviamo:

Giovanni Domenico Parracciani (1706 – 1721).

JACONO PAOLO MIGLIORI

(Sec. XVIII) - Medico- Fisico. (Secondo il Pecci - Medico Fisico vivente, che l'anno 1729 diede alle Stampe in Siena un'opera,

intitolata "De lesa digestione dissertatio". Avea ancora antecedentemente nell'anno 1726 scritta

la "Storia delle febbri maligne epidemiche occorse in Sarteano per il mal vapore d'una quantità di

quoia imputridite, e corrotte", che si ha manoscritta). Il Pecci parla anche di molte altre opere del Migliori e della sua erudizione.

ALCEO GESTRI

Alceo Gestri è stato «il più eccezionale sindaco di quella che sarebbe stata la loro storia futura:

notabile locale e uomo di classe dalla testa ai piedi493». Questo sindaco, nato a Pienza, in pratica ha costruito Radicofani con tutti i servizi come lo si trova ancora oggi! Per l'esattezza elencherò tutte le sue opere:

il "Maccione" (gli attuali giardini pubblici) era una discarica e concimaia abusiva a cielo aperto, le scuole pubbliche, le fogne, la pavimentazione di tutto il paese, la restaurazione della torre dell'orologio, e, a quanto sembra, il desiderio di realizzare l'acquedotto per portare l'acqua nelle case, infine, un lotto di loculi nel cimitero del paese494.

Alceo Gestri era sposato con Giulia Brugi, che morì il 25/11/1875 non ancora trentenne! Nella chiesetta adiacente al podere "Colombaiolo" c'è ancora la pietra tombale (2014) del nostro che recita:

«La religione dei sepolcri qui raccolse le spoglie mortali – del Cav. Alceo Gestri – ebbe animo

integro e generoso culto e versatile ingegno – Governatore della Misericordia – e sindaco di

Radicofani per cinque trienni – ornò il paese di pubblici edifizi e ne migliorò le finanze – la madre,

il figlio, i parenti e quanti lo conobbero – piangono inconsolabili la perdita d'una sì cara esistenza

– morì il 29 settembre 1881».

493 Vedi di V. Mazzuoli "Pensione Vertunno e dintorni" – Il Riccio – Abbadia S.S. – 2001 – pag. 45. 494 Per altre notizie su Alceo Gestri rimandiamo al libro della nota precedente alle pagg. 45 – 49.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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LUCIANO BANCHI

Luciano Banchi nacque a Radicofani il 27 dicembre 1837 alle ore 21, da Luigi e da Barbera Modesti, radicofanese figlia di: Pasquale Modesti e Francesca Angeli.

Compì i suoi studi presso il regio collegio Tolomei a Siena, conseguì la laurea alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Siena.

Valente archivista, letterato e filologo, cultore dell’arte ed appassionato Sindaco, Luciano Banchi ha senza dubbio lasciato tracce indelebili del suo operato nella Siena postunitaria. Altissimo senso di responsabilità ed amore per lo studio furono le doti che gli consentirono di diventare un personaggio eminente sulla scena cittadina e nazionale della seconda metà dell’Ottocento495.

Nella sua vita ha ricoperto, oltre che la carica di Sindaco di Siena più volte dal 1870 al 1887, quella di archivista, direttore dell’Archivio di Stato, vice-presidente del consiglio provinciale, presidente del reale orfanotrofio ,presidente dell’Istituto provinciale delle Belle Arti, presidente della Società di esecutori di Pie Disposizioni, presidente della reale Accademia dei Fisiocratici, presidente della reale Accademia dei Rozzi, deputato del Monte dei Paschi di Siena, Presidente della stessa deputazione, scrittore e poeta. Amico intimo di Giosuè Carducci, il quale gli dedica anche una poesia (tratto da AA.VV. – Ricordi di Luciano Banchi s.e., s.l. – 1888).

ODOARDO LUCHINI

Odoardo Luchini nasce a Radicofani l'11 giugno 1844 , insigne giurista, si laurea all'Università

di Pisa a 20 anni in scienze politico-amministrative di cui si ricorda una commedia "Il galante per

l'industria" . A 22 anni pubblicò uno studio "La pena di morte e la Storia" e poco più tardi un altro

studio sull'opera di G. Vico "De universi juris uno principio et fine uno". Dal 1879 al 1892 fece parte

della Camera dei Deputati per il collegio di Montepulciano, tornò nuovamente alla Camera nel 1897

nel collegio di Montalcino. Fu eletto senatore nel 1900 e cinque anni dopo, il 17 gennaio 1905, morì

per emorragia cerebrale. Fra le altre cose si interessò dell'emancipazione della donna, e dato il suo

amore per le civiltà anglosassoni (aveva visitato molto sia l'America che l'Inghilterra) portò in Italia

la "festa degli alberi”, che un altro parlamentare gli rubò. Il "bosco Isabella" (giardino romantico costruito dal 1904 da Odoardo e dalla figlia Matilde catalogato dalla Sovrintendenza

come giardino monumentale, del quale abbiamo parlato più sopra)496.

Su Internet vi sono due siti su Odoardo Luchini: Scheda Senatore Odoardo Luchini e Odoardo

Luchini – Portale Storico – Camera dei Deputati.

COSTANTINO COSTANTINI

Costantino Costantini nacque a Radicofani l'11 dicembre 1860 ed è deceduto a Chiusi il 1° marzo

1948. Maestro e compositore di musica. Vinse un concorso internazionale e diventò “Direttore della

Filarmonica di Odessa” con la quale girò la maggior parte delle capitali europee497. Emigrato a Cetona

il 13 marzo 1931 ritornato a Radicofani il 18 ottobre 1933 emigrò a Chiusi il 15 aprile 1942.

Costantini vinse il concorso sotto il governo dell’ultimo Zar di Russia Nicola II e rimase Direttore

della Filarmonica di Odessa fino al 1917, anno della rivoluzione bolscevica.

495 Giulia Barbarulli, Luciano Banchi – Uno storico al Governo di Siena dell’Ottocento, Industria Grafica

Pistoleri per conto dell’Archivio Storico del Comune di Siena, 2002. 496Vedi V. Mazzuoli “Pensione Vertunno e dintorni” Ed. Il Riccio – Abbadia S.S, - 2001 – pagg. 148 –

149. Di questo giardino ne abbiamo parlato sopra nel libro “Bosco Isabella”. 497 Notizie riprese dal libro sopra citato pagg.148 – 149.

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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Al ricordo del prof. Costantini, non è stata dedicata una via, un’aula, una piazza. Male.

Chi non onora la memoria dei morti, dà un pessimo esempio ai vivi!

(Oggi nel 2014 a Costantini, grazie alle mie ricerche, è stato dedicato il teatro di Radicofani! Prima di questa dedica si chiamava semplicemente “Teatro Comunale” e nel ‘800 sembra si chiamasse “Teatro dell’Etruria”).

MATILDE LUCHINI

Matilde Luchini nacque a Firenze e proprio qui trascorse la sua giovinezza. Figlia

del deputato Odoardo Luchini si trasferì a Radicofani nel "ventennio fascista" e

proprio in questo periodo istituì la pensione "Vertunno" nella casa paterna, pensione

che per un ventennio divenne il crocevia di artisti di vario genere i quali, attirati dalla

padrona di casa, valente pittrice e con una solida cultura, vennero volentieri a

passare le loro giornate fra le bellezze della Val d'Orcia con le tante personalità che

frequentavano la pensione. A questo proposito è bene leggere il libro di Vito Mazzuoli

“Pensione Vertunno e dintorni” citato nelle note.

Su internet alla voce Matilde Luchini leggiamo:

Firenze (1874 – 1948)

Allieva di F. Simi, ne rifletté i caratteri formali depurandoli di certe accezioni dialettali connesse

con i temi pateticamente popolari a da boudoir tipici del maestro. Studiò poi anche con C. Ciani .

Appartenente alla buona borghesia, ebbe committenti nel suo ambiente, eseguendo ritratti e anche

acquarelli e pastelli di fiori. Esordì a Firenze presentando quattro ritratti alla Promotrice del 1891-

1892 e nel 1892 partecipò alla Mostra del ritratto a San Remo. Prese parte in seguito alle mostre di

Firenze (1896-1897), di Milano (1900), e di Roma (1904). A Firenze tenne una rinomata scuola di

pittura ed ebbe fra i suoi allievi anche G. Severini, uno dei più grandi pittori del novecento. Da ricordare che la Luchini fu molto amica di Ada Negri, alla quale fece pure un

ritratto.

FRA ACCURSIO DA RADICOFANI

Frate cappuccino al secolo Salvatore Rasi, nato nel 1890 e morto nel 1950. Fondatore e primo superiore delle missioni cappuccine in Australia. Fondò chiese, collegi, scuole, missioni ed ospizi in U.S.A e in Australia che ancora oggi portano il suo nome. P. Accursio – sacerdote missionario – al secolo Rasi Salvatore di Domenico (fratello della nonna paterna di chi scrive), vestì l'abito il 14 marzo 1906, dec. il 21/02/1950498. P. Accursio – sacerdote missionario –In fondo alla pieve di S. Pietro, a destra, quando si esce, a ricordo di P. Accursio vi è una lapide in sua memoria che ricordando la sua vita così recita:

«In memoria del M. Rev. Padre Accursio Rasi – Radicofani 12.11.1890 – Passaic –New Jersey

21.2.1950 – Fondatore e primo superiore della missione di cappuccini in Australia – Per venti anni

fecondo apostolo della dottrina di Cristo nella comunità di Orange – New Jersey fondando chiese,

collegi, scuole, ospizi, Cavaliere della Corona d' Italia per meriti di apostolato cattolico e

d'italianità, soccorritore volontario in Estremo Oriente dei prigionieri italiani di guerra.

498 Notizia ripresa dal "L'ex convento dei cappuccini di Radicofani" – Talete Tapperi – 1931 –

Dattiloscritto.

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Iddio lo chiamò a se mentre la sua opera di carità continuava nella Parrocchia di Sant'Antonio

in Passaic, dalle autorità civili degli Stati Uniti onorato quale uomo che dette tutto se stesso alla

chiesa e alla comunità.

Aveva sessant'anni e stava per tornare a salutare la sua patria e i suoi congiunti.

Il fratello e le sorelle lo ricordano.

Q.M.P.»

Notizie della missione in Australia si possono trovare nella rivista “Fra Noi” –

Pagine informative dei Cappuccini Toscani – Anno XIII – Dicembre 1996 – n. 4 – Firenze; in cui si raccontano i sacrifici che dovevano affrontare i frati che andavano nelle missioni in Australia, e quelli fatti da padre Accursio ancora oggi poco riconosciuti.

Da questa rivista pubblichiamo la lettera che scrisse p. Silvio, al quale gli hanno dato tutti gli onori della missione e nulla, o poco, hanno dato al Rasi. Padre Silvio con questa lettera riconosce l’opera svolta da p. Accursio.

La lettera costituisce un vero documento storico sul ruolo svolto da p. Accursio in quei primi anni della missione.

Due giorni fa, ho ricevuto una lettera del P. Rasi, in cui mi comunicava la nomina dei nuovi

superiori e l’ordine a lui di ritornare in America. Non può immaginare come un tale ordine dei

superiori di Roma ci abbia altamente sorpresi ed anche moralmente annientati.

Per noi P. Rasi era tutto: l’animatore, l’organizzatore e il direttore.

In tutti i nostri complicati problemi si aveva solo da scrivere a lui e si era sicuri di avere

consigli e direttive ottime, e perciò io considero la sua partenza una vera catastrofe per la nuova

missione ………(Non possiamo dire che l’opera di p. Accursio in Australia abbia avuto fino ad oggi

il dovuto riconoscimento storico. Quando, nel settembre 1981, fu eretta la Provincia australiana dei

cappuccini, negli atti, nei proclami, nelle allocuzioni anche ufficiali, nelle omelie ecc. ..furono

ricordati nomi di vari confratelli, ma non fu menzionato, neppure dal Ministro Generale, quello di p.

Accursio, a cui la storia non può negare il merito di aver guidato i passi del nuovo cammino

dell’Ordine cappuccino in Australia e di averne assicurato l’avvenire su solide basi organizzative.

Anche nella recente celebrazione del 50° della presenza dei cappuccini in Australia (9-13 Ottobre

1995), il ruolo da lui svolto non è stato sottolineato con criteri critico-storici adeguati, ma soltanto

cronachisticamente ricordato (Cf. «Province of the Assumption, Golden Jubi lee, Mid-Term Assembly

October 9-13 1995», Plumpton, Australia, pag. 38-45).

Finché non sarà studiata criticamente la copiosa documentazione archivistica ed

oggettivamente ripresentata, anche se non con molto onore delle gerarchie dell’Ordine, p. Accursio

Rasi sarà sempre creditore nei riguardi della storia dei cappuccini in Australia. Quell’infausto ordine

di ritornare in America sembra ancora allungare la sua ombra sulla virtù dovettero del religioso

ubbidiente, anche se il tempo ed anche i superiori del tempo dovettero riconoscere la rettitudine, la

sincerità e la validità oggettiva delle sue osservazioni.

RINO RAPPUOLI

Nato nel 1952 (il 4 agosto) a Radicofani in provincia di Siena, Rino Rappuoli si è laureato nel 1976 in Scienze Biologiche all’Università di Siena. Ha poi consolidato la sua esperienza di ricerca nel campo dei vaccini durante la permanenza in prestigiose istituzioni accademiche degli Stati Uniti, come la Harvard Medical School di Boston e la Rockefeller University di New York, dove si è principalmente dedicato alla patogenesi batterica e allo studio del batterio responsabile della difterite.

Nel 1978 entra a far parte del Centro Ricerche dell’Istituto Sclavo di Siena, la principale azienda italiana produttrice di vaccini. Da allora, la sua carriera

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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professionale progredisce rapidamente e nel 1988 è nominato direttore della Divisione Ricerca e Sviluppo Vaccini.

In seguito all’acquisizione nel 1992 da parte dell’azienda biotenologica statunitense Chiron dell’Istituto Sclavo e alla nascita di Chiron Vaccines, ricopre diverse posizioni di responsabilità, fino alla nomina di Chief Scientific Officer della Chiron Corporation quando lo scorso 20 aprile, l’azienda è stata acquisita dal gruppo elvetico Novartis, ha preso la Responsabilità globale della Ricerca Vaccini di Novartis.

Da sempre impegnato nel campo dell’immunologia e dello sviluppo di vaccini contro gravi malattie

di origine virale o batterica, Rino Rappuoli è uno dei fondatori della microbiologia cellulare, disciplina che unisce biologia cellulare e microbiologia, ed è

fra i pionieri della cosiddetta reverse vaccinology, tecnica innovativa che consente di produrre vaccini partendo dal genoma, una tecnologia che ha permesso di sviluppare vaccini che non è possibile sviluppare con le metodiche classiche. Tra i numerosi successi, quelli più rilevanti sono il vaccino influenzale adiuvato, quello coniugato contro la meningite di tipo C, e il primo vaccino ricombinante contro la pertosse.

Ad oggi Rino Rappuoli ha pubblicato oltre 400 lavori scientifici originali ed è stato autore di diversi libri; fa, inoltre, parte del comitato scientifico di autorevoli riviste di settore ed è membro di diversi comitati e organizzazioni internazionali, quali l’European Molecular Biology Organization (EMBO).

Insignito di numerose onorificenze nazionali e internazionali, tra i più recenti riconoscimenti da lui ricevuti c’è la prestigiosa Medaglia d’Oro al Merito della Sanità Pubblica, che viene assegnata ogni anno agli scienziati italiani che hanno maggiormente contribuito al miglioramento della salute pubblica.

Nel 2005 il premio è stato conferito a Rappuoli dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi per i suoi studi pionieristici dedicati allo sviluppo di un vaccino in grado di proteggere da una pandemia di influenza.

A coronamento del suo impegno nella ricerca sui vaccini, che ne ha fatto uno dei maggiori punti di riferimento nel panorama scientifico internazionale nel settore dell’immunologia, nel 2006 Rappuoli è stato infine eletto membro della National Academy of Science (NAS) statunitense, entrando così a far parte della limitata rosa di scienziati italiani, tra cui il premio Nobel Rita Levi Montalcini, presenti all’interno

della più antica e autorevole istituzione scientifica degli Stati Uniti. «Occupandomi di biotecnologia – racconta – mi ero trovato subito di fronte al mito americano.

Mi era stato detto che se volevo avere successo avrei dovuto recarmi negli Stati Uniti, dove i grandi

cervelli italiani riescono ad esprimersi e ad avere successo».

Tutto quanto sopra, tolto il racconto del nostro, è la biografia della “Novartis” che si trova su Internet al nome “Rino Rappuoli”.

GIUSEPPE LENCI

Giuseppe Lenci nacque a Radicofani il primo aprile 1830 e morì nel febbraio 1873 a Firenze. Figlio del cancelliere Carlo Lenci e da Fine Del Nero.

A soli quarantatre anni aveva raggiunto la carica di Cav. Avv. Sostituto Procurator Generale della Regia Corte D’Appello della città di Firenze, quindi il nostro paese ha dato i natali pure ad un magistrato regio!

Il Lenci è ricordato in una biografia del 1874 Edita dalla Tipografia Bencini di Firenze firmata A.G.R. (Avvocatura Generale Regia?).

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Libri su Radicofani Personaggi nati a R. Renato Magi

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FRANCESCO CANINI

“Omesso dalla letteratura antica e moderna, dobbiamo la sua conoscenza ai contributi

di Laura Martini e agli arricchimenti documentari di Roberto Longhi, Stelvio Mambrini e Salvatore Di Salvo.

Il Canini fu sicuramente dimenticato per non aver lavorato a Siena. La sua attività si concentrò quasi esclusivamente sull’Amiata e Sinalunga, dove si trasferì nel 1629 per rimanervi fino alla morte”. Così comincia il libro a cura di M. Ciampolini – Pittori Senesi

del Seicento – Nuova immagine – Provincia di Siena. Si deve però a Stelvio Mambrini e alla sua ricerca pubblicata su “Amiata Storia e

Territorio” n. 35 del 2000 la notizia che il Canini era di Radicofani (risulta dall’Archivio Vescovile di Chiusi, Parrocchia di Santa Croce di Abbadia San Salvatore – Atti di Battesimo), infatti viene definito “pittore da Radicofani” luogo dove sembra sia nato intorno al 1580 e morto a Sinalunga nel 1643.

Fra le sue opere ricordiamo un’“ultima cena”, olio su tela di cm. 200 per 510 sito nel convento di S. Bernardino a Sinalunga datato nel 1629; sempre a Sinalunga in San Pietro ad Mensulas la tela con Gesù che consegna le chiavi a San Pietro datato 1636 e la decollazione del Battista; nella collegiata di Sinalunga ha lavorato a tre tele compresa un’Annunciazione che sembra la meglio riuscita. Ha lavorato a Grosseto dov’è esposta al Museo d’Arte Sacra delle diocesi di Grosseto una “Crocifissione con le Marie e San Giovanni”. È stato presente dal 1616 al 1622 ad Abbadia San Salvatore.

LEOPOLDO MAZZEI

Leopoldo Mazzei (Radicofani 1819 – Pistoia 1901) Leopoldo Mazzei, laureato in medicina a Pisa negli anni 1841-42, di ideali

mazziniani, si iscrisse alla “Giovine Italia” e partecipò attivamente a vari circoli politici locali di ispirazione unitaria quali la “Società degli amici del popolo di Pistoia” e la sezione locale della “Società Nazionale” e l’Associazione pistoiese pe l’Unità d’Italia. Il culmine della sua attività “rivoluzionaria” si ebbe nella sua adesione ai fatti del 1848 che tra l’altro lo videro volontario nella prima guerra di indipendenza a Montanara. Questa sua attività gli costò nel 1849 l’arresto per qualche mese. Tornato libero inizia la sua attività di medico presso gli Ospedali Riuniti di Pistoia che lo vedranno percorrere tutta la gerarchia fino al ruolo di direttore che terrà fin quasi alla morte. Questo non gli impedì di essere ufficiale medico della Guardia nazionale dal 1859 al 1866 e quindi membro del Consiglio sanitario circondariale di Pistoia dal 1866 al 1888. L’unità d’Italia, vede un sostanziale distacco di Leopoldo Mazzei dalla politica attiva e la sua iscrizione alla massoneria. Questi brevi tratti servono ad illuminare gli interessi e le attività che emergono dalle carte d’archivio. Dalle radici mazziniane e dall’esperienza massone nasce la sua attenzione per le classi popolari, dalla sua attività di medico i suoi studi di carattere “scientifico”, dalla sua passione civile, deriva la sua produzione letteraria e la sua attività di pubblicista che lo vide tra i collaboratori de «La Nazione».

Dagli strumenti di ricerca: Paolo Franzese, Inventario del Fondo Carte Mazzei.

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Per finire non posso non ricordare il maestro Millo (Giovanni Magrini del 1916) il quale fu, per diverso tempo giornalista della “NAZIONE”, dedicò un articolo a Radicofani che amava profondamente e che riporto qui sotto.

RADICOFANI

PAESE NATO DALL’ESTRO

DI UN VULCANO

Una rupe scarna, di colore rossigno, spavaldamente impennata nel cielo, con una lunga

striscia di case distese lungo il fianco a sole, e una torre emergente dalla sommità, immalinconita

in un distaccato sogno di memorie.

Sensazione di sperdimento in un silenzio remoto.

Radicofani appare al viandante della Cassia con la esasperata concisione di un quadro

tirato a pennellate violente, senza respiro di sfumature.

Una cert’aria scanzonata, in tanta drammaticità, e la posa aristocratica del torrione,

incoronato dalla nobile merlatura guelfa, sono intimamente collegate al privilegio commesso a

questa rocca di far gli onori di casa a chi, venendo da Roma per l’antica via Francigena, entra in

terra Toscana.

Presentazione alla buona, senza finezze, da vecchio armigero indurito nella consegna di

vegliare sulle sorti di una gloriosa repubblica e assuefatto assai più a sbrigarsela con bande di

predoni e lanzichenecchi che a far cerimonia a carovane di turisti.

All’immaginifico, che cantando le laudi della terra modulò la dolcezza della Toscana per

le sue colline Inghirlandate di ulivi, andò a genio l’aspra premessa della rupe di Radicofani che

gli si rivelò dominatrice del paesaggio più virile d’Italia, modellato dal fuoco e dal travaglio

immane della natura.

Figura di nobile ribelle, che alla gravità senatoriale dei monti che gli stanno intorno

impone il suo atteggiamento spregiudicato di picco maledetto.

Immagine selvaggia e spiritata, concepita in un attimo di allucinazione, emergente da una

campagna aspra e avara, marcata dalle tetre fenditure che tagliano le crete e sembrano colpi di

spada avventati alla cieca da un dio cieco di rabbia.

Le genti che abitarono intorno a Radicofani, tormentate dalla stizza d’avere davanti ai

loro sguardi la sua sconsacrata irrisione e rabbia d’esser tenute a bada da un Cavaliere di gran

cuore che soccorre i miseri e spuntava le unghie ai furfanti, dissero che* questo picco era un

parto del diavolo.

Ma, se ci fermiamo in intimità col silenzio della rocca, nel distacco della sua altezza,

dove si è liberi dalla sensazione di disagio creata dall’asprezza del paesaggio, si arriva

naturalmente al senso più aderente e più reale di Dio.

Questa solitudine aerea stabilisce un distacco dal resto del mondo e si è presi dalla

magica attrazione delle mura sgretolate che evocano il fantastico e tormentato intreccio delle

passate avventure ed esprimono il travaglio degli uomini che arroccandosi quassù vissero la loro

fugace illusione di titanismo.

Ansiti di lotte feroci e figure fascinose di uomini da leggenda che suscitarono fiammate

di odio e di ammirazione, sorgono da questa tessitura imponente di mura che il tempo, sornione e

indifferente, inghiotte con lenta pazienza.

All’improvviso un grido guerriero frange il silenzio. Un falco piomba dal vuoto del cielo

incontro alla cima della grande torre; quando è prossimo alla merlatura e si è presi dallo

sgomento per l’urto che spezzerà il suo volo temerario, scivola d’ala, caracolla un attimo e si

butta, come scagliato da una fionda, dietro un moncone di muro.

Per alcuni attimi si ode il suo grido acuto di voluttà rabbiosa. E poi che la voce si spegne,

restiamo sospesi nell’attesa che essa torni a rompere il silenzio che cenobio (vita comune) che

regola il passo delle ore, quassù, dove il tempo si rivela nella cruda realtà di dominatore

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invincibile, indice spietato del precipitare delle immortali costruzioni degli uomini e delle loro

titaniche illusioni.

Gm (Giovanni Magrini da tutti chiamato Maestro Millo)

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INDICE

Prefazione pag. 2

Radicofani a cura di – O. Bicchi – Siena 1912 ‘ 6

Della Rocca di Radicofani – a cura L Chiavini – 1928 ‘ 7

La fortezza di Radicofani - a cura di E. Magrini – 1929 ‘ 7

Radicofani – a cura di A. Luchini – 1970 ‘ 9

I Parroci di Radicofani – a cura di F. M. Magrini – 1983 ‘ 9

Giustizia per un bandito – a cura di F. M. Magrini – 1985 ‘ 9

La verità storica su Ghino di Tacco – Radicofani difende e

riabilita il suo castellano - a cura di F.M. Magrini – 1987 ‘ 9

La robbiane di Radicofani e … - a cura di

B. Santi e C, Prezzolini – 1993 ‘ 12

Il bosco Isabella a Radicofani – a cura di

M. Mangiavacchi ed E. Pacini – 1994 ‘ 12

La Posta di Radicofani – a cura di L. Carandini – 1995 ‘ 12

La città fortificata di Radicofani – a cura di C. Avetta ‘ 13

Ghino di Tacco nella tradizione letteraria del

Medioevo – a cura di B. Bentivogli – 1992 ‘ 13

Il Paglia – cura di Jader Jacobelli - 2000 ‘ 13

Radicofani – a cura di R. Terziani – 1999 ‘ 13

Ghino di Tacco detto il “Falco” – a cura di G. Guidotti – 2001 ‘ 13

Ghino di Tacco – a cura di B. Craxi - 1999 ‘ 13

Pensione Vertunno e dintorni – a cura di V. Mazzuoli – 2001 ‘ 14

Radicofani e il suo statuto del 1441 – a cura di B. Magi – 2004 ‘ 16

Memorie di un’antica terra di frontiera e di fortezze – a cura di

Beatrice e Renato Magi – 2006 ‘ 17

Matilde Luchini – a cura di Dee Keithahn – 2002 ‘ 19

Carta Archeologica della provincia di Siena – AA.VV. – 2004 ‘ 19

De strata Francigena – XIX/1-2- AA.VV. – 2011 ‘ 19

L’Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata – a cura di

W. Kurze e C. Prezzolini – 1988 ‘ 19

L’Amiata nel medioevo – a cura di AA.VV. – 1989 ‘ 33

Romanico nell’Amiata – AA.VV. – 1990 ‘ 61

Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di

Arezzo-Siena-Chiusi – a cura di A. Maroni – 1990 ‘ 96

Relazione della città di Fiorenza e nel granducato di Toscana –

a cura di G. G. Priorato – 1668 – r.a. 1977 ‘ 98

Tradizioni popolari e leggende di un comune medioevale e

Del suo contado – a cura di G. Rondoni - ‘ 98

I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena – a cura di

A. Verdiani.Bandi – MCMXXXVI – r. a. del MCMXXIII ‘ 99

Comunicazioni stradali attraverso i tempi – Firenze – Roma –

a cura di Daniele Sterpos – 1964 ‘ 128

Viaggiatori stranieri in terra di Siena – a cura di A. Brilli – 1986 ‘ 159

I Medici e lo Stato Senese – 1555 - 1609 – a cura di

L. Rombai – AA.VV. – 1980 ‘ 166

Libri sulla Via Francigena ‘ 166

Toponomastica del nome Radicofani ‘ 183

Documenti vari ‘ 185

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Battaglia di Radicofani (II^ guerra Mondiale) ‘ 188

Lo Statuto del 1255 ‘ 194

Personaggi Illustri ‘ 222

Beato Guglielmo ‘ 223

Guasta di messer Iacomino ‘ 224

Dino da Radicofani ‘ 226

Giovanni Pellei ‘ 230

Alceo Gestri ‘ 232

Luciano Banchi ‘ 233

Fra Accursio da Radicofani ‘ 234

Rino Rappuoli ‘ 235

Francesco Canini ‘ 237