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Vita di un genio pirla Chi era Piero Manzoni? Tutti sappiamo che cosa è stato Piero Manzoni, il faro, l'anticipatore di tante vie percorse dalle neoavanguardie degli anni '60 e '70, dal concettuale all'happening. Ora si tratta di capire chi era l'uomo Manzoni. Prova a scandagliare la breve biografia di questa meteora lucente dei cieli dell'arte del '900, artista che non riuscì a veder il suotrentesimo anno di vita (morirà ventinovenne il 6 febbraio 1963), Flamlnio Gualdoni in Piero Manzoni. Vita d'artista, uscito presso Johan & Levi. In questo 2013 avrebbe compiuto 80 anni il conte Piero Manzoni, primogenito del conte Egisto Manzoni di Chiosca e Poggiolo, abitante dal '38 (lasciata con la famiglia la dimora di Soncino) a Milano in una abitazione di 14 camere, servito da un plotone di cameriere, cuochi, autisti e collaboratori. Piero Manzoni era un aristocratico? 0 era un «pirla», come si definisce («PMP Piero Manzoni Pirla») nel libro d'artista che regalò all'amico Emilio Villa? Un genio «pirla»? Rendere l'intero pianeta terra una scultura mediante piedistallo recante la scritta rovesciata di «Base del mondo» (il «Sode du monde» del '61) è scatto concettuale di una mente geniale, non di un pirla. Incorporare l'arte a tal punto da viverla come emissione di aria («Fiato d'artista») e di escrementi («Merda d'artista»), e da comprendere cheapprodo dell'essere artista è l'essere («Non c'è nulla da dire: c'è solo da essere, c'è soto da vivere» annoterà in uno dei suoi tanti splendidi scritti), è da uomo-sonda delle verità ultime dell'arte e della vita. La lucida intelligenza nonriuscì tuttavia scalfire un nucleo di dolore, anch'esso, come le sue visioni, annidato nel suoessere; e allora via libera al fiume di alcol che indebolirà il cuore di questo ragazzo forte e fragile, coraggioso e disperato, portandolo alla precoce morte. «Qui sono ubriaco tutte le sere, e sono contento di esser/o», scrive a se stesso nel diario del '54- 55, durante la breve parentesi romana per iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Racconterà d'altronde l'amico belga Jef Verheyen: «Ad ogni incontro discutevamo tre giorni di seguito, bevendo quantità atroci di vino e birra, fino al punto che uno di noi crollava ...». E lo stesso Manzoni, in piena attività espositiva: «Lavoriamo a tutta birra e beviamo ancor di più». Quindi? Piero Manzoni era un alcolizzato? Dal documentato racconto di Gualdoni, affresco composito di una stagione dell'arte e della cultura a Milano e in Europa a cavallo tra anni '50 e '60, Manzoni spicca anche per abilità autopromozionale e consapevolezza strategica, per fervore militante e operativo, per vitalità ideativa e capacità organizzativa. Più che un alcolizzato, parrebbe un workahollc dell'arte. Ma allora, chi era costui? Gualdoni scrive che, quando si pensa a Manzoni, prima ancora delle sueopere, «sorge alla memoria quel suo volto tondo e vagamente pacioso, da bravo ragazzo borghese, destinato a calvizie precoce, dasempre sovrappeso, tradito da occhi acuminati e ironici, occhi che rìdono e guardano intenti sempre un po' più lontano di dove credi». Piero Manzoni ha sondato la sua umanità per parlare della nostra', convinto, come ha scritto, che «quanto più ci immergiamo in noi stessi, tanto più ci apriamo, perché quanto più siamo vicini al germe della nostra totalità, tanto più siamo vicini al germe della totalità di tutti gli uomini». Era se stesso ed era noi. J Guglielmo Giglkrtti Piero Manzoni. Vita d'arti- sta, di Flaminio Gualdoni, 240 pp., ili. b/n, Johan & Levi editore, Monza 2013, €27,00

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Page 1: Libri IL GIORNALE DELL'ARTE Numero 334, Tra ...1381401172...22 Libri IL GIORNALE DELL'ARTE Numero 334, settembre 2013 Leonardo, Bramante e quel taccagno di Ludovico il Moro Milano,

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Libri

IL GIORNALE DELL'ARTE Numero 334, settembre 2013

Leonardo, Bramantee quel taccagnodi Ludovico il MoroMilano, ultimo ventennio del

Quattrocento: la città è nelle mani

di Ludovico II Moro, che si è appena

impossessato del potere a spese

della cognata Bona di Savoia, vedova

del fratello Galeazzo Maria (morto

nel 1476 in modo quanto meno

sospetto) e reggente per il figlio Gian

Galeazzo, bambino: Ludovico non è

uomo colto ma è un politico astuto,

consapevole dell'utilità di un'accorta

promozione delle arti per garantirsi

la legittimazione che gli manca.

Al di là dei metodi spregiudicati

con cui ha conquistato il potere,

sono infatti le fondamenta stesse

del suo casato a essere malferme,

mancando il riconoscimento

imperiale della continuità dinastica

tra i Visconti e gli Sforza, che

giungerà solo nel 1494. Tuttavia è

proprio grazie alla sua sete di potere

e alla strenua volontà di celebrare

la sua famiglia e di emulare le altre

capitali del Rinascimento se nel

Ducato vedono la luce monumenti

come Santa Maria delle Grazie, laCertosa di Pavla o la piazza Ducaledi Vigevano. Per realizzarli Ludovico

chiama a corte (sottopagandoli,

perché è anche taccagno) artisti

del calibro di Leonardo e Bramante,che per quasi vent'anni lavorano

in contemporanea in città e che

nell'ultimo decennio del secolo si

trovano gomito a gomito nel gran

cantiere delle Grazie, il primo nel

Refettorio con l'«Ultima Cena», il

secondo in chiesa, con la Tribuna,

pensata come mausoleo ducale.

Rievocare quel sodalizio, un'amicizia

vera, è oggi un'impresa titanica per

via della mole di letteratura prodotta

in almeno un secolo, da Malaguzzi

Valeri in poi, ma la difficoltà non ha

scoraggiato Simone Ferrari e AlbertoCottino che nel loro libro, oltre

a ripercorrere quel fitto dibattito,

hanno avanzato nuove ipotesi

critiche. Dalla loro indagine riemerge

quella stagione irripetibile che,

proprio grazie alle innovazioni dei

due «foresti», trasformò la «gotica»

Milano in una città aggiomatissima,

dando di fatto il via alla «maniera

moderna». Ferrari e Cottino

evidenziano lo scambio costante

fra i due maestri (due esempi per

tutti: nella «Cena», sono evidenti

le tangenze con l'accelerazione

prospettica cara a Bramante e

l'«Eraclito e Democrito» dipinti da

quello in casa Visconti-Panigarola

sono «figli» degli studi fisiognomici di

Leonardo), ma pongono soprattutto

l'accento sull'attenzione di entrambi

alla tradizione lombardo-padana:

Leonardo vide l'opera di Mantegna

a Mantova, nel viaggio da Bologna

a Milano, mentre si accingeva a

diventare (proprio come lui) un

artista di corte? È assai probabile,

suggeriscono: e non solo per

l'influenza suH'«Ultima Cena»

dell'illusionismo prospettico della

«Camera Pietà», ma anche (come già

notava Pietro C. Marani) per i festoni

di frutta presenti nel Cenacolo, o

per i paesaggi petrosi di Mantegna,

frequenti nelle opere vinciane.

E ancora, la composizione

ondulante, dinamica della «Cena»,

così lontana dall'isometria

fiorentina, non dovrà qualcosa agli

allora celebratissimi «Compianti»

emiliani e alla loro potente

espressività? Insomma, il Leonardo

che scaturisce da queste pagine è

un maestro geniale e autonomo sì,

ma non impermeabile alla cultura

«nordica» in cui a quel tempo opera.

Quanto a Bramante, nella Tribuna

crea uno spazio «elastico, sonoro,

rotante» e si mostra sensibile al

parlare «padano» di Amadeo, allora

assai stimato, non meno che al

modello offerto da Vincenzo Foppa

nella Cappella Portinari. Senza

dimenticare poi la stimolante

domanda finale, suggerita dal

raffronto fra lavori di Dùrer e di

Leonardo (e seguaci): il tedesco

passò forse per Milano? È molto

probabile, dicono gli autori. Le

ragioni sono nelle pagine del libro,

-l Ada Masoero

«Forestieri a Milano. Riflessioni suBramante e Leo-nardo alla corte diLudovico il Moro»,

di Simone Ferrari e

Alberto Cottino, 192

pp., ili., Nomos, Busto

Arsizio2013, €49,00

Tra Rinascimento e Barocco II cielo in una stanza Vita di un genio pirla

Caldo legno di SiciliaLa prima trattazione organica dedicata alla scultura lignea nell'isola

«La materia lignea, più calda e morbida, pre-

senta fi valore di una più diretta comunicativitàt.

Partendo da quest'assunto, che mira a rista-

bilire il valore intrinseco e le qualità del le-

gno come materiale artistico rispetto al più

osannato e giudicato pregevole marmo, lo

storico dell'arte messinese Teresa Pugliatti

sviluppa un meticoloso studio di ricostruzio-

ne e riflessione sulla scultura siciliana. Lo fa

in un ponderoso volume dal titolo Manuface-

re et scolpire in lignamine. Scultura e intaglio in

legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, cura-

to dalla stessa, insieme con Salvatore Rizzo

e Paolo Russo.

Il libro è in assoluto la prima trattazione

organica dedicata al tema e costituisce l'e-

levato esito di un lungo lavoro di studio

e di una vasta campagna di ricognizione

conoscitiva e documentale estesa a tutto il

territorio regionale. Ad aprirlo è il saggio di

Giuseppe Giarrizzo, li lungo Cinquecento,

che fornisce una meticolosa ricostruzione

storica della Trihacria tra Cinque e Seicen-

to, in particolare sulla grande stagione del

regno di Filippo II, quella stagione imperiale

in cui, a detta dell'autore stesso, la Sicilia

non visse alla periferia, ma in un ideale cen-

tro, con le famiglie aristocratiche inclini al

lusso e promotrici di numerosi capolavori,

così come fecero gli alti porporati del clero e

le confraternite. Il saggio di Teresa Pugliatti

ha lo spessore di una riflessione più ampia,

nella quale, come linea guida, l'autrice pone

la distinzione tra statue intese come massi-

ma espressione della scultura e i numerosi

esempi di arti decorative f̂ercoli, arredi,

macchine d'altare), che pure raggiungono

esiti elevatissimi proprio tra le opere a in-

taglio ligneo, spesso trascurate per la (ap-

parente) povertà del materiale, così come le

statue stesse, sovente sostituite negli altari

delle chiese da altre in marmo.

Il volume si articola in due sezioni: una

che segue criteri geografici e mira ad ana-

lizzare i contesti, con una suddivisione tra

Sicilia Occidentale (sezione a cura di An-

tonio Cuccia), Orientale (a cura di Teresa

Pugliatti) e Centrale (a cura di Paolo Russo);

un'altra, aperta a una. riflessione su «For-

me, significati e funzioni», che si apre con

un saggio di Giuseppe Cantelli dedicato

alla scultura devozionale italiana e ai suoi

contatti con la coeva arte spagnola.

Proprio i rapporti con le correnti straniere,

così come con l'arte napoletana, di cui la

cultura visiva isolana ha sempre risentito,

e con le influenze locali (da Gagini a Ser-

Ignoto scultore (attribuito alla famiglia Milanti), «Crocifisso» (part.), seconda

metà del XVII secolo, Salenti (Tp), Chiesa di San Clemente

potta) è un altro degli elementi che rende

questo volume complesso e fortemente

specialistico di così ampio respiro, grazie

anche agli apporti di numerosi studiosi

italiani e stranieri che vi hanno lasciato

un proprio contributo. Corredato da un

ricchissimo apparato iconografico a colori,

il volume si presenta, dunque, come un

suggestivo viaggio attraverso straordinari

esempi dell'arte dell'intaglio in legno in

Sicilia: dal coro della chiesa di S. France-

sco d'Assisi a Palermo (1520-24) a quello

dell'abbazia di San Martino delle Scale

(1597) e della Cattedrale di Nicosia (1622);

dalle cantorie tardomanieriste della chiesa

madre di Castroreale agli scenografici ar-

madi che rivestono le sacrestie della chiesa

di casa Professa a Palermo e dell'Annun-

ziata a Trapani, al trionfo dell'arte barocca

nella cappella del Santissimo Crocifisso del

duomo di Monreale, e ancora i mirabolanti

gonfaloni architettonici, le ingegnose mac-

chine lignee e i sontuosi «fercoli» proces-

sionali, le elaborate cornici, accanto a sta-

tue in legno dalle sontuose vesti damascate

rilucenti d'oro destinate alla devozione

popolare e che testimoniano, tra l'altro, le

straordinarie capacità tecniche e artistiche

dei loro autori.

J Marina Giordano

Manufacere et scolpire Inlignamine. Scultura e Inta-glio in legno in Sicilia traRinascimento e Barocco, acura di Teresa Pugliatti, Sal-

vatore Rizzo, Paolo Russo,

720 pp., ili. col., Giuseppe

Maimone Ed.'Catania

2012, € 180,00

I colpevoli della non tutelaSEGUE DA PAG.20, V COL.

milioni di condomini, case, villette tutti zeviana-

mente sottratti a quei valori formali «gabellati

come "valori" eterni e permanenti dell'ar-

chitettura». In compenso però, quei condomini,

villette eccetera, responsabili d'aver assassinato il

paesaggio italiano.

Un problema che lei unifica a quello dei

terremoti.

Sono nei fatti due dei segnali di come l'Italia

sia incapace di salvaguardare la caratteristica

che rende unico al mondo il proprio patrimonio

artistico: la sua plurimillenaria stratificazione

nell'ambiente, la sua indissolubilità dal pae-

saggio urbano, agricolo e naturale. Pensi alla

scandalosa impreparazione di Ministero, Icr e

Scuole universitarie di architettura di fronte a

questo problema. Quasi i terremoti non fossero

in Italia, come sotto, tragica ricorrenza di più

o meno breve periodo. Dopo anni, sono ancora

ideologicamente a chiedersi che cosa fare a L'A-

quila, come a Modena e Ferrara: se un museifi-

cante restauro storicistico arganobranAia.no, se

una ricostruzione com'era dov'era, se com'era

ma non dov'era ecc. Come se monumenti, case e

cittadini potessero aspettare a tempo indefinito

soluzioni ricostruttive che una comunità scientì-

fica che davvero voglia dirsi tale dovrebbe essere

in grado di dare in tempo reale.

Pasquale Rotondi e Giovanni Urbani

dalla direzione dell'Icr ci avevano pro-

vato, a cambiare le'cose.

Fu con l'alluvione di Firenze del 4 novembre

1966. Quella calamità aveva dimostrato come il

fulmineo passaggio dell'Italia da un'ultrasecola-

re e indigente economia rurale a una moderna

e ricca economia industriale avesse creato una

grave questione ambientale, che interessava

il patrimonio artistico nella sua totalità, cioè

pubblico e privato, e nell'indissolubile rapporto

di questa totalità con l'ambiente. Il che spostava

il problema della conservazione del patrimonio

artistico dalle singole opere al nuovo e ben più

arduo quesito tecnico-scientìfico e organizzativo

di come intervenire sulla totalità del patrimonio

e sul suo ormai alterato rapporto con l'ambien-

te. La conservazione preventiva e programmata

del patrimonio artistico in rapporto aU'ambien-

te, messa a punto daU'Icr di Rotondi e Urbani,

tramite un del tutto innovativo lavoro di ricer-

ca condotto dallo stesso la, con cinque o sei tra

Università italiane e straniere, i laboratori di

ricerca di alcune grandi industrie private, Cnr e

Cnen. Un lavoro esemplare, però subito buttato

nel cestino dai cdUeghi soprintendenti di Urbani

e Rotondi e dal neonato ministero di Spadolini.

Quali soluzioni sono possibili oggi?

Una profonda revisione e un rilancio del ruolo

dei soprintendenti, da formare in specifiche scuo-

le post laurea e da impegnare nella conservazio-

ne preventiva e programmata del patrimonio

artistico in rapporto all'ambiente.

E poi dare un'occupazione ai giovani ponendo al

centro, ad esempio, la ricerca scientifica, settore

in Italia arretratissimo. 0, per restare all'edilizia,

quello della decementificazione, cioè il risarci-

mento delle ferite causate dalla montagna di ster-

eo cementizio, i 4/5 del costruito, con cui è stato

lordato il paesaggio italiano nefl'ultimo mezzo

secolo. Due lavori, ricerca scientifica e ripulitura

di quelle stalle di Augìa che sono oggi fl paesaggio

e l'ambiente, da affidare appunto a giovani storici

dell'arte, archeologi, ingegneri, architetti, geologi,

agronomi, economisti, giuristi; giovani a cui ino-

stri Governi non riescono a dare un lavoro diverso

da quello nei cali center E un Paese che non riesce

a dar lavoro ai giovani è un Paese profondamente

ingiusto e malato.

BRUNOZANARD!

UN PATRIMONIO

ARTISTICO

SENZA

Un patrimonio artistico s

senza. Ragioni, problemi, s

soluzioni, di Bruno Zanardi, «

168 pp., Skira, Milano 1

2013, € 18,00 • 1ir

Goya come SaturnoL'itinerario d'esistenza di Francisco Goya ha suscitato nel tempo una serie corposa

di rivisitazioni narrative, tra letteratura e cinema. Basti citare la strepitosa scrittura

per un film non realizzato «Goya 1926» di Luis Bunuel, uscita da Marsilio nel 1994

(da noi anticipato in esclusiva nel 1992, cfr. n. 105, nov. '92, pp. 36, 61 , 64, Ndr).

Jacek Dehnel, trentenne, tra le voci maggiori della Polonia degli ultimi anni, aggiunge

con la sua notevole scrittura romanzesca II quadro nero una nota particolare. La

vicenda, strutturata come una sequenza alternata di diari, è infatti quella della

relazione impossibile tra il pittore, all'apice della fama, sordo (le conversazioni con

lui si svolgono su quaderni in cui i visitatori appuntano domande e risposte) e il figlio,

Javier, abulico artista mancato. Il titolo originale del libro, Saturn, in modo più preciso

riferisce la vicenda all'insegna di un mito oscuro, in cui a tutti gli effetti i genitori

mangiano i propri rampolli. Il discendente di Goya viene quindi fagocitato dal genitore,

dalla sua vitalità ossessiva, che lo porta continuamente a cercare corpi di donne.

Quello stesso istinto che lo spinge a uscire nel mezzo della notte per creare opere

ispirate dagli sconvolgimenti della natura e della società. L'invasione francese fornisce

quindi occasioni e episodi continui, e il «sordo», continua a fissare su carta e tela la

propria potentissima e oscura visione. Sullo sfondo compaiono le identità femminili che

assistono a questa logorante disfida, e il nipote, Mariano, bambino vispo e acuto, che

cerca faticosamente di comprendere il perché dei modelli opposti fornitigli dalla sua

famiglia. Infine il gran-pittore, che piroetta tra i potenti, riuscendo sempre a cogliere il

giusto elogio da tributare, conosce il proprio destino e lo dichiara a

chiare lettere: «Di molte cose nella mia vita posso ringraziare Dio: non

certo di avermi elargito talento e denaro, perché sia il talento che il

denaro me li sono guadagnati lavorando duramente, ma di avermi dato

un cuore pieno d'amore». • Luca Scarlini

II quadro nero, di Jacek Dehnel, trad. di Raffaella Belletti, 252 pp.,

Salani, Milano 2013, € 14,90

Agli studi sul collezionismo succedutisi

negli ultimi anni va il fondamentale

merito di averci dischiuso un mondo,

ricostruendo non solo la vita dei

protagonisti, artisti, mecenati, mercanti,

ma anche rendendoci partecipi di

atmosfere private e spesso dense di

intrecci coinvolgenti. Dalma Frascarelli

non è nuova a questo tipo di studi: nel

2004 ha pubblicato con Laura Testa un

volume sulla collezione di Pietro Gabrielli,

erudito, libertino e bibliofilo con casa

a Palazzo Taverna a Montegiordano. I

sofisticati strumenti di indagine messi

a punto dalla Frascarelli si concentrano

ora nel nuovo volume dedicato a Paolo

Falconieri (1634-1704), figura oltremodo

interessante e modernissima per la

varietà delle sue passioni. L'autrice ne

fa un ritratto puntuale. Il testo unisce

infatti l'impeccabile complessità filologica

a una arguta e ampia messa a fuoco del

personaggio. Va detto che Paolo Falconieri

è un soggetto che esemplifica nella sua

personalità proprio quel poliedrico fiorire

di stimoli che convivono nell'animo di un

nobile mecenate, colto e appassionato,

in quegli anni centrali e irripetibili per

10 sviluppo del collezionismo e delle

committenze nella Roma barocca, attorno

alla metà del secolo e oltre.

Toscano di origine, svolge il ruolo di

consulente e agente di Leopoldo de'Medici, documentato da un fitto carteggio

da cui emergono le innate doti di

mercante e intenditore, ma anche di fine

intermediario. Sempre pronto a fare buoni

affari, consiglia al Granduca l'acquisto

dell'Autoritratto di Bernlni, oggi agli Uffizi,

che propone come ottimo investimento

considerata la rarità della produzione

pittorica dell'artista. I suoi orientamenti

'di gusto volgono verso una pittura

spiccatamente classicista che vede tra

i suoi preferiti Annibale Carraccl, Reni,Maratta, Lorraln, Dughet.Tra i dipinti più noti della raccolta figurano

«La Modestia e la Liberalità» di GuidoReni, identificato dalla Frascarelli nella

tela in collezione privata a New York, di

cui l'autrice ricostruisce tutta la storia;

la «Santa Cecilia» di Guerclno, oggi alla

Dulwich Picture Gallery di Londra e ancora

la «Santa Michelina» di Federico Barocci,attualmente alla Galleria Sabauda di

Torino e il bellissimo e intenso «Ritratto

del cardinal Biscia» di Andrea Sacchl ora

alla National Gallery del Canada a Ottawa,

prezioso anche per le suggestioni del

non finito. Falconieri è uomo dalla cultura

multiforme e innovativa come molti eruditi

del periodo e, come spesso avviene, è

dilettante di pittura e architettura, ma

anche di poesia. È galileiano convinto,

al punto che suggerisce al Granduca di

Firenze di commissionare il busto dello

scienziato allo scultore Carlo Marcellini,

che si conserva al Museo della scienza

a Firenze. Falconieri è infatti cultore

di scienze e di botanica e a questi

interessi deve il suo particolare ampre

per il paesaggio, testimoniato dalla ricca

collezione, ma anche dalla sua dimora

nota per il giardino ricco di erbe e fiori

rari e nella quale una stanza con «il cielo

dipinto» era destinata proprio ai quadri

di soggetto paesistico. L'autrice riesce

a ricostruire l'assetto del palazzetto,

in cui le ragioni dell'arte si bilanciano

con quelle della comodità, in assoluto

anticipo sui tempi. È un capitolo che

esercita un particolare fascino sul lettore

perché riesce a introdurlo nella dimora

accompagnandolo in una visita alle varie

stanze in cui erano disposti i dipinti della

collezione, ricostruendo non solo un elenco

di opere, ma l'intima dislocazione degli

ambienti e quindi il gusto di Falconieri e

11 suo modus vivendi. Così, dagli inventari

ritrovati e integralmente pubblicati nella

seconda parte del volume, i quadri e i libri

rivelano la personalità del personaggio.

Se verso l'arte del passato il nobiluomo

ha un approccio da erudito, per quella

contemporanea è quasi un critico

militante. L'amore per il paesaggio lo

porta a stringere un legame privilegiato

con Salvator Rosa. Ne possiede alcuni

piccoli quadri tenuti da lui in gran conto,

condividendo con il pittore l'interesse per

la natura selvaggia e libera, in sintonia

con l'idea di uno spirito antidogmatico.

Interessi questi che portano Falconieri

ad aderire precocemente all'Accademiadell'Arcadia che ha sede nel Bosco

Parrasio, proprio di fronte alle finestre della

sua dimora in via Giulia. Una dimora, scrive

l'autrice, che è insieme luogo di cultura

e svago, ma anche rifugio dagli affanni e

dagli amati affari.

J Anna Lo Bianco

Paolo Falconieri trascienza e arcadia. Lecollezioni di un Intellet-tuale del tardo baroccoromano, di Dalma

Frascarelli, 296 pp., ili.,

Campisano, Roma 2013,

€ 40,00

Chi era Piero Manzoni? Tutti sappiamo

che cosa è stato Piero Manzoni, il faro,

l'anticipatore di tante vie percorse dalle

neoavanguardie degli anni '60 e '70,

dal concettuale all'happening. Ora si

tratta di capire chi era l'uomo Manzoni.

Prova a scandagliare la breve biografia

di questa meteora lucente dei cieli

dell'arte del '900, artista che non riuscì

a veder il suo trentesimo anno di vita

(morirà ventinovenne il 6 febbraio 1963),

Flamlnio Gualdoni in Piero Manzoni. Vita

d'artista, uscito presso Johan & Levi.

In questo 2013 avrebbe compiuto 80

anni il conte Piero Manzoni, primogenito

del conte Egisto Manzoni di Chiosca e

Poggiolo, abitante dal '38 (lasciata con la

famiglia la dimora di Soncino) a Milano in

una abitazione di 14 camere, servito da

un plotone di cameriere, cuochi, autisti

e collaboratori. Piero Manzoni era un

aristocratico? 0 era un «pirla», come si

definisce («PMP Piero Manzoni Pirla»)

nel libro d'artista che regalò all'amico

Emilio Villa? Un genio «pirla»? Rendere

l'intero pianeta terra una scultura

mediante piedistallo recante la scritta

rovesciata di «Base del mondo» (il «Sode

du monde» del '61) è scatto concettuale

di una mente geniale, non di un pirla.

Incorporare l'arte a tal punto da viverla

come emissione di aria («Fiato d'artista»)

e di escrementi («Merda d'artista»), e da

comprendere che approdo dell'essere

artista è l'essere («Non c'è nulla da dire:

c'è solo da essere, c'è soto da vivere»

annoterà in uno dei suoi tanti splendidi

scritti), è da uomo-sonda delle verità

ultime dell'arte e della vita. La lucida

intelligenza non riuscì tuttavia scalfire un

nucleo di dolore, anch'esso, come le sue

visioni, annidato nel suo essere; e allora

via libera al fiume di alcol che indebolirà

il cuore di questo ragazzo forte e fragile,

coraggioso e disperato, portandolo alla

precoce morte. «Qui sono ubriaco tutte

le sere, e sono contento di esser/o»,

scrive a se stesso nel diario del '54-

55, durante la breve parentesi romana

per iscriversi alla Facoltà di Lettere e

Filosofia. Racconterà d'altronde l'amico

belga Jef Verheyen: «Ad ogni incontro

discutevamo tre giorni di seguito, bevendoquantità atroci di vino e birra, fino al puntoche uno di noi crollava ...». E lo stesso

Manzoni, in piena attività espositiva: •

«Lavoriamo a tutta birra e beviamo ancor

di più». Quindi? Piero Manzoni era un

alcolizzato? Dal documentato racconto

di Gualdoni, affresco composito di una

stagione dell'arte e della cultura a

Milano e in Europa a cavallo tra anni '50

e '60, Manzoni spicca anche per abilità

autopromozionale e consapevolezza

strategica, per fervore militante e

operativo, per vitalità ideativa e capacità

organizzativa. Più che un alcolizzato,

parrebbe un workahollc dell'arte. Ma

allora, chi era costui? Gualdoni scrive che,

quando si pensa a Manzoni, prima ancora

delle sue opere, «sorge alla memoria quel

suo volto tondo e vagamente pacioso,

da bravo ragazzo borghese, destinato acalvizie precoce, da sempre sovrappeso,

tradito da occhi acuminati e ironici, occhi

che rìdono e guardano intenti sempre

un po' più lontano di dove credi». Piero

Manzoni ha sondato la sua umanità per

parlare della nostra', convinto, come ha

scritto, che «quanto più ci immergiamo

in noi stessi, tanto più ci apriamo, perché

quanto più siamo vicini al germe della

nostra totalità, tanto più siamo vicini al

germe della totalità di tutti gli uomini». Era

se stesso ed era noi.

J Guglielmo Giglkrtti

Piero Manzoni. Vita d'arti-sta, di Flaminio Gualdoni,

240 pp., ili. b/n, Johan &

Levi editore, Monza 2013,

€27,00

Arteterapia in ibookVideo e fotografie, ma anche dipinti

e installazioni, di Marina Abramovlc,Paola Pivi, Francesco Vezzoli, ReginaJosé Gallndo, Santiago Sierra, VanessaBeecroft, Nathalie Djurberg, KerenCytter e molti altri sono tra le opere

inserite nell'ibook The Videoinsight®

Concept (pubblicato da Cic medica,

Roma; su Apple Store, € 19,99). Il

Metodo Vldeoinslght consiste nella

prevenzione, la diagnosi e la cura

attraverso l'interazione con immagini

selezionate dell'arte contemporanea.

L'autrice, Rebecca Russo, è psicoioga,

psicoterapeuta, collezionista d'arte

contemporanea e fondatrice del Centro

Videoinsight® di Torino. L'ibook, in

lingua inglese, sarà

il manuale di base

_ delle Scuole di altaCmcw" specializzazione

in Videoinsight®

che partiranno

quest'autunno in Italia

e all'estero.