LIBERIAMOCI DAL DOLORE - curareildolore.org · 2 7 D. A volte accade di sentir parlare di terapia...

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8 Notiziario informativo dell'associazione C.I.D. - ONLUS ANNO III - N.8 APRILE 2017 Autorizzazione del Tribunale di Modena n.21 del 6/10/2015 Direttore responsabile: Roberta Vandini Spedizione in abbonamento postale tariffa associazioni senza fini di lucro: D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 2 DCB Modena LIBERIAMOCI DAL DOLORE 1 Giovanna Vignoli, presidente dell’associazione C.I.D. - Curare il dolore La novità di un numero monografico della nostra rivista Cari soci e lettori, ecco una novità nell'uso del nostro giornalino. Un numero monografico tutto dedicato ad una intervista. Per noi una nuova modalità per offrire ai nostri soci e amici nuovi momenti di approfondimento. L'intervistato è il dott. Dante Comelli, psicoanalista e psicoterapeuta, profondo conoscitore di insegnamenti come psicologia della salute e psicologia dei processi di cura. Da cosa nasce questa intervista? A dicembre 2016 presso la Polisportiva Sacca, a Modena, abbiamo tenuto il convegno “Chi si occupa del tuo dolore” in occasione dell'inaugurazione della sede modenese della nostra Associazione. Convegno importante che ci ha permesso di fare il punto sulla terapia del dolore che, ad oggi, è a disposizione dei cittadini nel territorio della nostra provincia. Ne abbiamo parlato con Giuliana Urbelli, assessore al Welfare del Comune di Modena, Stefano Reggianini, sindaco di Castelfranco Emilia, Gianbattista Spagnoli, allora direttore sanitario dell'AUSL Modena, e ne abbiamo riferito nell'ultimo giornalino del 2016. Il convegno è stato anche molto di più: ci ha offerto l'occasione per un momento di approfondimento con una importante relazione tenuta dal dott. Dante Comelli “La cura del dolore e il bene comune”, relazione molto apprezzata da tutti i partecipanti e di grande sostegno per l'azione della nostra Associazione. Per questo abbiamo pensato di ripercorrerne i contenuti, in forma di intervista, affinché soci e amici del C.I.D (anche coloro che non avevano potuto essere presenti al convegno) abbiano la possibilità di apprezzarne i contenuti e le riflessioni che stimola. Invita, infatti, a riflettere sul coinvolgimento fisico, psicologico ed emotivo che qualsiasi forma di dolore produce, alle alterazioni che intervengono nel percorso di vita di chi ne soffre, a quanto incide negativamente sul sistema degli affetti e delle relazioni, sulle attività di vita e di lavoro. Quanto il dolore costituisca un vero e proprio problema sociale, da affrontare, coniugando l'impegno per il contrasto al dolore del singolo con un'azione a carattere sociale affinché il tema dolore abbia diritto di cittadinanza, riconoscendo al suo contrasto un “bene comune”, per tutta la comunità. Cogliamo l'occasione per ringraziare il dott. Dante Comelli per il suo importante contributo e per la disponibilità e attenzione che ha prestato al C.I.D e alla tematica del dolore. 5x1000 = Il Tuo contributo aiuterà a rafforzare l’associazione “C.I.D.” nella lotta contro il dolore Con la prossima dichiarazione dei redditi puoi destinare il tuo 5%o all’associazione C.I.D. Basta indicare il codice fiscale 94071180361 nell’apposita casella e apporre la tua firma. SEDE Presso Ospedale Civile di Castelfranco Emilia “Regina Margherita” tel. / fax 059 929224 [email protected] www.curareildolore.it richiede una formazione centrata sull'esperienza e sulla competenza relazionale e dialogica. D. La cura del dolore è una faccenda esclusivamente sanitaria o c'è dell'altro? R. Certamente c'è dell'altro. Solamente dagli anni settanta, con l'affermarsi delle politiche di welfare, le pratiche di cura cominciano a divenire oggetto di programmazione politica e a essere valorizzate anche dal punto di vista retributivo. Così come è stato possibile, negli scorsi decenni, avviare politiche di valorizzazione della cura delle persone anziane, delle persone con disabilità, dei bambini, così oggi è possibile avviare politiche di valorizzazione della cura delle persone che soffrono di dolore. Per fortuna i primi passi importanti in questa direzione sono già stati fatti (vedi ad es. l'istituzione dei Centri di terapia contro il dolore, l'impegno nella costruzione della Rete Antidolore, il Progetto Ospedale-Territorio senza dolore, l'attenzione crescente al Dolore post-operatorio, l' accesso alle cure palliative, ecc.). Ciò nonostante non è ancora stata scardinata la cultura della svalutazione cui sono sottoposte le attività di cura. Solo con il pieno riconoscimento del contributo delle attività di cura allo sviluppo civile e culturale, queste potranno diventare prioritarie nell'agenda sociale e politica. Ecco perché l'intero apparato delle attività di cura del dolore dovrebbe entrare a far parte di quel patrimonio collettivo che è il bene comune e come tale andrebbe perseguito e tutelato. Questo perché la cura del dolore è certamente un problema sanitario, ma non è esclusivamente sanitario. Tradizionalmente l'espressione “bene comune” è riferita solo a risorse materiali come l'acqua, l'aria, le risorse energetiche e ambientali, ecc. Credo che sia importante collocare nel dominio del bene comune anche risorse immateriali come l'atteggiamento di cura e come tutti gli atteggiamenti cooperativi e solidaristici che concorrono a determinare il livello di civiltà di un gruppo sociale.

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Notiziario informativo dell'associazione C.I.D. - ONLUSANNO III - N.8 APRILE 2017Autorizzazione del Tribunale di Modena n.21 del 6/10/2015Direttore responsabile: Roberta VandiniSpedizione in abbonamento postaletariffa associazioni senza fini di lucro: D.L. 353/2003(Conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 2 DCB Modena

LIBERIAMOCI DAL DOLORE

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Giovanna Vignoli, presidente dell’associazione C.I.D. - Curare il dolore

La novità di un numero monograficodella nostra rivistaCari soci e lettori,ecco una novità nell'uso del nostro giornalino.Un numero monografico tutto dedicato ad unaintervista. Per noi una nuova modalità per offrireai nostri soci e amici nuovi momenti diapprofondimento. L'intervistato è il dott. DanteComelli, psicoanalista e psicoterapeuta, profondoconoscitore di insegnamenti come psicologiadella salute e psicologia dei processi di cura. Dacosa nasce questa intervista? A dicembre 2016presso la Polisportiva Sacca, a Modena, abbiamotenuto il convegno “Chi si occupa del tuo dolore”in occasione dell'inaugurazione della sedemodenese della nostra Associazione. Convegnoimportante che ci ha permesso di fare il puntosulla terapia del dolore che, ad oggi, è adisposizione dei cittadini nel territorio della nostraprovincia. Ne abbiamo parlato con GiulianaUrbelli, assessore al Welfare del Comune diModena, Stefano Reggianini, sindaco diCastelfranco Emilia, Gianbattista Spagnoli, alloradirettore sanitario dell'AUSL Modena, e neabbiamo riferito nell'ultimo giornalino del 2016.Il convegno è stato anche molto di più: ci haofferto l'occasione per un momento diapprofondimento con una importante relazionetenuta dal dott. Dante Comelli “La cura del doloree il bene comune”, relazione molto apprezzatada tutti i partecipanti e di grande sostegno perl'azione della nostra Associazione. Per questoabbiamo pensato di ripercorrerne i contenuti, informa di intervista, affinché soci e amici del C.I.D(anche coloro che non avevano potuto esserepresenti al convegno) abbiano la possibilità diapprezzarne i contenuti e le riflessioni che stimola.Invita, infatti, a riflettere sul coinvolgimento

fisico, psicologico ed emotivo che qualsiasi formadi dolore produce, alle alterazioni cheintervengono nel percorso di vita di chi ne soffre,a quanto incide negativamente sul sistema degliaffetti e delle relazioni, sulle attività di vita e dilavoro. Quanto il dolore costituisca un vero eproprio problema sociale, da affrontare,coniugando l'impegno per il contrasto al doloredel singolo con un'azione a carattere socialeaffinché il tema dolore abbia diritto dicittadinanza, riconoscendo al suo contrasto un“bene comune”, per tutta la comunità. Cogliamol'occasione per ringraziare il dott. Dante Comelliper il suo importante contributo e per ladisponibilità e attenzione che ha prestato al C.I.De alla tematica del dolore.

5x1000 = Il Tuo contributo aiuterà arafforzare l’associazione “C.I.D.”nella lotta contro il dolore

Con la prossima dichiarazione dei redditi puoi

destinare il tuo 5%o all’associazione C.I.D.Basta indicare il codice fiscale

94071180361nell’apposita casella e apporre la tua firma.

SEDEPresso Ospedale Civiledi Castelfranco Emilia“Regina Margherita”tel. / fax 059 [email protected]

richiede una formazione centrata sull'esperienzae sulla competenza relazionale e dialogica.

D. La cura del dolore è una faccendaesclusivamente sanitaria o c'è dell'altro?

R. Certamente c'è dell'altro. Solamente daglianni settanta, con l'affermarsi delle politiche diwelfare, le pratiche di cura cominciano a divenireoggetto di programmazione politica e a esserevalorizzate anche dal punto di vista retributivo.

Così come è stato possibile, negli scorsi decenni,avviare politiche di valorizzazione della curadelle persone anziane, delle persone condisabilità, dei bambini, così oggi è possibileavviare politiche di valorizzazione della curadelle persone che soffrono di dolore. Per fortunai primi passi importanti in questa direzione sonogià stati fatti (vedi ad es. l'istituzione dei Centridi terapia contro il dolore, l'impegno nellacostruzione della Rete Antidolore, il ProgettoOspedale-Territorio senza dolore, l'attenzionecrescente al Dolore post-operatorio, l' accessoalle cure palliative, ecc.). Ciò nonostante non èancora stata scardinata la cultura dellasvalutazione cui sono sottoposte le attività dicura. Solo con il pieno riconoscimento delcontributo delle attività di cura allo sviluppocivile e culturale, queste potranno diventareprioritarie nell'agenda sociale e politica. Eccoperché l'intero apparato delle attività di curadel dolore dovrebbe entrare a far parte di quelpatrimonio collettivo che è il bene comune ecome tale andrebbe perseguito e tutelato. Questoperché la cura del dolore è certamente unproblema sanitario, ma non è esclusivamentesanitario. Tradizionalmente l'espressione “benecomune” è riferita solo a risorse materiali comel'acqua, l'aria, le risorse energetiche e ambientali,ecc. Credo che sia importante collocare neldominio del bene comune anche risorseimmateriali come l'atteggiamento di cura ecome tutti gli atteggiamenti cooperativi esolidaristici che concorrono a determinare illivello di civiltà di un gruppo sociale.

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D. A volte accade di sentir parlare di terapia deldolore e di cura del dolore come se fossero lastessa cosa, come se i termini cura e terapiafossero sinonimi. E' davvero così?

R. Per rispondere alla domanda dobbiamo fareun passo indietro e chiarire quale concezioneabbiamo del dolore. L'interrogativo è legittimopoiché si può pensare al dolore in due modidiversi: il dolore come sensazione e il dolorecome esperienza. Secondo la prima concezionel'essenza del dolore è la sensazione. Il dolore èla sensazione del dolore. E' esattamente questala concezione che troviamo nelle prime teoriedel dolore che furono elaborate nel periodo cheva approssimativamente dal 1850 al 1920. Trale più rilevanti troviamo le teorie della specificitàe la teoria dell'intensità dello stimolo. Le teorie

Chi è Dante ComelliDante Comelli è medico e specialista inpsicologia clinica con formazione inpsicoanalisi e in psicoterapia. Membro delComitato direttivo di Psicoterapia e ScienzeUmane. Ha collaborato con l'Università degliStudi di Parma ricoprendo l'incarico diprofessore a contratto per gli insegnamentidi “Psicologia della Salute” e di “Psicologiadei processi di cura” e di coordinatorescientifico del corso di perfezionamentouniversitario “Psicologia ospedaliera”. Hacollaborato inoltre con il Servizio SanitarioRegionale dell'Emilia Romagna - AziendaOspedaliero Universitaria Policlinico diModena ricoprendo l'incarico di coordinatoredel Servizio di Psicologia Ospedaliera, e conuna ventina di Aziende Sanitarie Locali /Ospedaliere ricoprendo incarichi di docenzae supervisione clinica per operatori diDipartimento di Salute Mentale e di altriDipartimenti. Membro del Comitatoorganizzativo dei “Seminari internazionali”di Psicoterapia e Scienze Umane ecoordinatore dei “Seminari Clinici diModena” e del “Gruppo di Studio e diLettura” di Modena. Ha ricoperto incarichididattici in diverse Scuole di Specializzazionein Psicoterapia.

“La cura del dolore e il bene comune.”Intervista a Dante Comelli.

della specificità sostengono che la sensazionedel dolore si trasmette attraverso vie e strutturespecifiche e distinte da quelle degli altri organidi senso. Ogni sensazione, come il tatto, la vista,l'udito, l'olfatto, ha le sue vie di trasmissione.La teoria dell'intensità dello stimolo invecesostiene che non esistono strutture specifiche peril dolore ma che qualsiasi stimolo sensoriale,superata una certa intensità, causa dolore. Ciòche queste teorie hanno in comune è l'idea cheil dolore abbia origine in un distretto del corpoche ha subito una qualche alterazione e da cuiorigina uno stimolo che attraverso le vie nervoseporta al sistema nervoso centrale ed è percepitocome sensazione dolorosa. Il dolore sarebbequindi un fenomeno relativamente semplice, dinatura esclusivamente percettivo-sensoriale. Inquesta prospettiva il presupposto necessario del

della società e viene solitamente delegato asoggetti femminili deboli. Gran parte del lavorodi cura, come ad esempio accudire i bambinipiccoli, le persone disabili, gli anziani, vienesvolto di solito da donne ed è poco riconosciutoe spesso non retribuito.

D. Ma le professioni sanitarie godono di un buonriconoscimento sociale …R. E' vero, un'eccezione sembrerebberappresentata, a prima vista, dall'attività medico-sanitaria, poiché essa gode di un buonriconoscimento sociale. Ma, a ben guardare,l'attività medico-sanitaria, che pure implicapratiche di cura, deve il suo prestigio non tantoalle pratiche di cura ma alle pratiche terapeutichee all'attività di ricerca. Di fatto chi svolgeesclusivamente attività di cura esperisce unoscarso riconoscimento del proprio impegno.

D. Qual è l'atteggiamento di cura del personalesanitario verso il dolore?

R. Un discorso a parte meritano le attività dicura che si svolgono in ambienti professionali,come ad es. gli ospedali e le altre strutturesanitarie e sociali. Potremmo chiederci: perchéla relazione di cura con le persone che soffronoè così difficile e faticosa? Perché sembra chenelle strutture professionali il tempo da dedicarealla cura sia incompatibile con tutte le altre coseda fare? Qual è l'atteggiamento di cura delpersonale sanitario nei confronti delle personeche soffrono di dolore? La cura delle personesofferenti sembra muoversi tra due oppostieccessi. L'eccesso di distacco emotivo tipico delrazionalismo tecnico e l'eccesso di coinvolgimentoemotivo compassionevole che presto diventainsostenibile e conduce al burn-out degli operatorisanitari. Quest'opposizione è però solo apparenteperché l'eccessivo distacco è proprio l'espressionedi un'autodifesa necessaria dal rischio di uneccessivo coinvolgimento emotivo personale. Arigore di logica la cura professionale, a differenzadi quella non professionale, non implicanecessariamente il coinvolgimento in unarelazione affettiva soprattutto quando la relazioneè di breve durata, tra persone che non siconoscono o che si conoscono molto poco. Chesi stabilisca una relazione affettiva può accadere.E abbastanza spesso effettivamente accade. Ma

non è costitutivamente richiesto nel lavoro dicura professionale. D'altra parte sappiamo cheil coinvolgimento emotivo è necessario per evitareche la cura sia impersonale e distaccata.

D. Allora come si può uscire da questacontraddizione?

R. L'apparente mancanza di una via di uscitadipende dai possibili fraintendimenti su cosa sidebba intendere per coinvolgimento emotivo.Coinvolgimento emotivo non è farsi carico deldolore e della sofferenza del paziente, ma è“disporsi ad aiutare”. Sarebbe, infatti, intollerabilesentire costantemente dentro di sé il doloredel l 'a l t ro, d i tut t i g l i a l t r i d i cui ,professionalmente, ci si deve occupare. La cura,nella sua essenza, è orientata al soddisfacimentodei bisogni materiali e immateriali dell'altro.Una filosofa italiana, Luigina Mortari, dice “Sipuò volere il bene dell'altro, anche senza volerbene all'altro”. Si può svolgere il proprio lavoroprofessionale aiutando il paziente senza esserecostantemente sommersi dalla sofferenza.

D. L'atteggiamento di cura è una “dote” naturaleo può essere imparato?

R. E' una domanda importante soprattutto perquanto riguarda gli ambienti professionali.L'atteggiamento di cura può essere “imparato”?E' sensibile a programmi di formazioneprofessionale? O l'attitudine alla cura non èpiuttosto un dato personale stabile e scarsamentemodificabile. La domanda così è mal posta. E'evidente che ci sono persone dotate diun'attitudine particolare alla cura. E anche trail personale sanitario possiamo vedere che alcunisono più orientati alla cura di altri. Il che perònon significa che le competenze utili nelle relazionidi aiuto non possano essere modificatesignificativamente. Le migliori esperienze diformazione professionale, per quanto attiene iltema del dolore, sono quelle che sanno coniugarel'approfondimento della “riflessività” conl'apprendimento di tecniche di gestione deldolore. La questione della riflessività è importanteperché in quest'ambito non basta una formazionetecnico-scientifica. Mentre le tecniche possonoessere apprese con una formazione centrata suicontenuti e sui metodi, l'apprendimento riflessivo

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dolore è la presenza di una lesione organica ela percezione del dolore è direttamenteproporzionale all'intensità dello stimolo. Unultimo decisivo aspetto che queste teorie hannoin comune è che entrambe escludono l'esistenzadi qualsiasi elemento di mediazione tra lo stimoloe la risposta allo stimolo: il dolore vienericondotto senza mediazioni alla lesionebiologica. Una conseguenza rilevante di questeteorie è che quando il dolore non può esserefatto derivare linearmente da una lesionebiologica identificabile, viene considerato nonreale. La comprovata lesione biologica è, arigore di logica, l'unica giustificazione accettatadel dolore. Anche se l'esperienza clinica ci diceche non sempre le cose stanno così. Spero diaver chiarito che molto di queste prime teoriesul dolore è ancora oggi attuale: prima di tuttonelle idee che i pazienti stessi hanno del lorodolore, ma anche nei modi e nei metodi concui il dolore è affrontato dalla medicinacontemporanea.

D. Se invece consideriamo il dolorecome esperienza?

R. Anziché considerare il dolore come unfenomeno relativamente semplice e di naturaesclusivamente sensoriale, si può considerarlocome un fenomeno complesso di naturaesperienziale. Cioè come un'esperienza somato-psichica unitaria e globale. Troviamo questoconcetto, di esperienza somato-psichica unitaria,sia nella definizione di dolore data dall'OMS,l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che inquella data dalla IASP, l'AssociazioneInternazionale per lo studio del dolore. Il dolore,in questa prospettiva, è un'esperienza somato-psichica unitaria e al tempo stesso globale, cioèsensoriale, emotiva e cognitiva. Questaimpostazione è in linea con le teorie del dolorepiù recenti, quelle che vanno, diciamo, daglianni '50 a oggi. E che considerano appunto ildolore come un'esperienza. Tra le teorie recentile più note sono la teoria del cancello, la teoriadella neuromatrice e la teoria degli oppioidiendogeni. La teoria del cancello risale al 1965ed è stata proposta da due autori, Melzak eWall. Ronald Melzak è uno psicologo canadesementre Patrick Wall è un neurofisiologobritannico. La teoria del cancello sostiene che

l'esperienza del dolore implica simultaneamentetre diverse dimensioni, che sono distinte ma alcontempo collegate tra loro: la prima dimensioneè quella fisiologica e riguarda il cammino dellostimolo doloroso attraverso le vie nervose finoal sistema nervoso centrale. La seconda e laterza dimensione sono di natura mentale: ladimensione affettiva e la dimensione cognitiva.Il tratto distintivo più importante di questa teoriaè l'ipotesi che, lungo il cammino percorso dallostimolo e precisamente a livello del midollospinale, esistano dei cancelli, vale a dire deimeccanismi, in grado di facilitare o di inibire latrasmissione delle informazioni dolorose chepartono dai distretti periferici e vanno verso ilsistema nervoso centrale. E' come dire che, aparità di stimolo, la percezione del dolore puòessere aumentata o diminuita. La teoria dellaneuromatrice, è più recente e può essereconsiderata come un'evoluzione della teoria delcancello. La neuromatrice è una rete specificadi cellule, i neuroni cerebrali, la cui strutturapuò modificarsi in funzione delle esperienze. Inparticolare delle esperienze sensoriali, affettivee cognitive. Infine, la teoria degli oppioidiendogeni ha messo in evidenza la capacitàpropria dell'organismo di produrre sostanzeoppioidi che svolgono un'importante azione dimediazione nella percezione della sensazionedolorosa. Queste tre ultime teorie fornisconouna nuova cornice concettuale all'interpretazionedel dolore e in particolare a quella del dolorecronico, che è caratterizzato da una grandeintensità del dolore e dalla sua persistenza neltempo, senza che sia riscontrabile un ruolosufficientemente definito della patologiasottostante. Secondo queste teorie il dolore,piuttosto che essere il prodotto diretto deglistimoli sensoriali scatenati dalla lesione, è ilrisultato di complessi processi di mediazionericonducibili al funzionamento dei cancelli, deirecettori oppioidi endogeni e della neuromatrice,nella quale, ricordiamolo ancora una volta, sifondono esperienze sensoriali, affettive ecognitive.D. E' così importante la distinzione tra dolore-sensazione e dolore-esperienza?R. Dipende. Quando il dolore ha una brevedurata e quando l'intensità della sofferenza restaentro limiti accettabili, la distinzione tra dolorecome sensazione e dolore come esperienza non

cura non è un risultato tardivo dell'evoluzionedell'uomo, ma è in qualche modo connaturato,presente da sempre. Non può che essere così,poiché la cura è necessaria perché l'essere umano,fin dalla nascita, non è né autonomo, néautosufficiente: dipende dagli altri e dipendedall'ambiente nel quale vive. L'essere umanoha bisogno di qualcuno che si prenda cura dilui. Prendersi cura implica responsabilità ededizione di qualcuno verso qualcun altro.Anche questa idea, che la cura sia da semprecentrale per l'umanità, che la cura sia la pastadi cui è fatto l'uomo, è un'idea molto antica.Igino, che era uno scrittore latino, amico diOvidio e bibliotecario dell'imperatore Augusto,volle raccontare ai latini i miti dell'antica Grecia.In uno di questi, Igino racconta della creazionedell'uomo da parte di una dea che si chiamavaCura. La dea Cura, “nell'attraversare un fiume,vide del fango argilloso, lo raccolse pensosa ecominciò a modellare un uomo; mentre stavaosservando ciò che aveva fatto, arrivò Giove.Cura gli chiese di dare la vita alla statua e Giove,soff iando, l 'esaudì senza dif f icoltà”.In sintesi: la materia di cui è fatto l'uomo è laTerra, anche lei per i greci una dea, la vita gliè stata data dal soffio di Giove, ma la formadell'uomo è quella che gli ha dato Cura. Tral'altro è interessante notare che il raccontomitologico della dea Cura, in qualche modoriecheggia un passo della Bibbia che, nel librodella Genesi, dice: «Dio poi formò l'uomo con

la polvere della terra, soffiò sul suo volto unsoffio vitale e l'uomo divenne un essere vivente»(Gn 2,7). Questa centralità della cura è stataevidenziata, in tempi molto più recenti dalfilosofo tedesco, Martin Heidegger nel suo testofondamentale che è “Essere e tempo”. Heideggerha affermato che la cura costituisce la strutturaontologica originaria dell'essere, cioè la cura èil modo fondamentale di essere dell'uomo. Alpunto che, potremmo dire, rinunciare al compitodella cura ha come conseguenza rinunciare aciò che di umano c'è negli uomini.

D. Com'è considerato nella nostra società illavoro di cura?

R. Da tutto quanto abbiamo detto ne consegueche il lavoro di cura dovrebbe essere tenuto ingran conto. Se ci fosse piena e diffusaconsapevolezza dell'importanza del lavoro dicura, quest'ultimo dovrebbe essere socialmentericonosciuto e apprezzato. Eppure si devecostatare che non è così. Il valore della cura è,nei fatti, scarsamente riconosciuto, potremmodire svalorizzato. Vedi ad esempio le riflessionioggi molto attuali che provengono da più parti:dalla sociologia, dalla filosofia, dalla psicoanalisie forse soprattutto dai movimenti femminili.Pensiamo ad autori come J. Butler, J. Beniamin,N. Chodorow, M. Nussbaum. La svalorizzazioneè una conseguenza del fatto che anche il lavorodi cura è legato alla struttura socio-economica

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ha grandissima importanza pratica. Masfortunatamente può accadere che il dolore siprolunghi nel tempo con un'intensità elevata oanche elevatissima e che il tentativo di controllaresolo farmacologicamente il dolore dia risultatitroppo modesti. Vedi il caso del dolore cronico,quando il dolore cessa di essere solamente unsintomo e diventa esso stesso una malattia. Ildolore cronico, come sappiamo, è diventatooggi uno dei problemi centrali della medicinamoderna. Ecco allora che la distinzione tradolore-sensazione e dolore-esperienza acquistain pieno la sua importanza, non solo a finidescrittivi e teorici ma anche, e questo è il fattopiù importante, ai fini della programmazionedei possibili interventi contro il dolore. Infatti,il dolore cronico, come dicevamo, non è uns e m p l i c e m e s s a g g i o s e n s o r i a l esovradimensionato, eccessivo, ma è un'esperienzache va a incidere profondamente sull'identitàdell'uomo e a volte la frantuma. Queste sonoparole di David Le Breton che è un antropologofrancese di Strasburgo e che ha studiato moltogli aspetti antropologici del dolore. Dice LeBreton che l'esperienza del dolore impedisce lacancellazione del corpo. Concetto interessantequello di cancellazione del corpo perché ciricorda che nella condizione di benessere ilcorpo è come se fosse cancellato, nel senso chela consapevolezza del proprio corpo è quasiassente, mentre la comparsa del dolore accendela consapevolezza del corpo. Un concetto simileè espresso anche da Leriche il quale parla di“vita silenziosa degli organi” per dire che, incondizioni di benessere, gli organi funzionanosenza che se ne abbia percezione econsapevolezza, mentre la comparsa del dolorerompe improvvisamente il silenzio degli organi.René Leriche è stato un medico famoso, che tral'altro ha dato il nome alla sindrome aorto-iliaca, ed è considerato una delle figure piùimportanti della medicina per quanto riguardala lotta contro il dolore. Anche lui francese, diLione, era un chirurgo che, in polemica conl'orientamento del tempo, non credeva nellacosiddetta “bontà” del dolore. Sosteneva che ildolore, soprattutto il dolore cronico, se possibile,va eliminato, anche chirurgicamente. Ai suoistudenti, futuri medici, era solito ricordare che“il dolore più facile da sopportare è quello deglialtri”.

D. Torniamo al punto: cosa vuol dire chel'esperienza del dolore incide profondamentesull'identità dell'uomo e talvolta può arrivare afrantumarla?

R. Vuol dire che quando il dolore si fa cronicoe troppo intenso finisce per annientare ogniinteresse verso il mondo e verso gli altri. Rendedifficile la relazione con gli altri, comprometteil gusto di vivere. E' così che il dolore chiudel'uomo in se stesso. Un ripiegamento checonduce al distacco da tutto ciò che non è dolore.Possono comparire spossatezza, apatia, paralisidelle attività di pensiero, suscettibilità, insonnia.Insomma il dolore colora di sé tutta l'esistenzasenza lasciare niente d'intatto. Un altro modoper dire la stessa cosa è quello usato da LudwigWittgenstein, il filosofo che ha scritto il “Tractatuslogico-philosophicus”. Dice Wittgenstein: almodo vivono persone felici e persone infelici,ma il mondo in cui vivono le persone felici èdiverso da quello in cui vivono le persone infelici.E' questo che s'intende come minaccia all'identitàpersonale, poiché il dolore implica una feritamorale, una messa in discussione del rapportoche l'individuo ha con il mondo. In altri terminisi può dire che non può esserci dolore, intesocome sintomo, senza sofferenza, intesa comeesperienza, e che questa sofferenza intensa eprolungata minaccia di frantumare l'identitàpersonale.

D. Ora possiamo finalmente tornare alladomanda iniziale: la cura del dolore e la terapiadel dolore sono cose diverse oppure no?

R. Se consideriamo la terapia del dolore comequell'insieme di pratiche (tecniche) che hannocome oggetto la riduzione della sensazione deldolore, mentre consideriamo cura del dolorequell'insieme di pratiche che hanno comeoggetto la persona sofferente e la sua esperienzadel dolore, è evidente che si tratta di cose diverse.Detto in altri termini: la terapia è rivolta a unoggetto, la lesione causa del dolore, la cura èrivolta a un soggetto, la persona che soffre. Ladistinzione tra terapia e cura, sul pianoconcettuale, è dunque netta … A meno che nonsi dica, e personalmente propendo per questaaccezione, che la cura include tutto ciò di cui lapersona sofferente ha bisogno. Se è così allora

si può dire che la terapia non è una cosa diversa,ma è inclusa nella cura, o meglio, che la terapiaè un momento della cura. Quest'ultimadefinizione unitaria ha, tra l'altro, il pregio dinon dividere nettamente, in modo dicotomico,la terapia dalla cura, come spesso avvienenell'organizzazione del lavoro tipica delle strutturesanitarie dove ad es. la terapia è riservata almedico, la cura all'infermiere. Mi sembrainteressante ricordare che questa co-essenza dicura e terapia è ben rappresentata da Omeronell'episodio di Euripilo e Patroclo che è forsela più antica testimonianza di un atto di curache troviamo lella letteratura occidentale. Ilpoema è l'Iliade, canto XI. Omero descrive unagrande battaglia combattuta fra i Troiani e gliAchei durante la guerra di Troia. Siamo nelcampo dei greci. Euripilo è un condottiero acheo,Patroclo è un eroe acheo amico di Achille. Itroiani stanno vincendo la battaglia e duranteil combattimento Euripilo è ferito, colpito allacoscia da una freccia troiana. Zoppicando Euripilosi ritira dalla battaglia. Dice Omero: “Scorrevail nero sangue dalla dolorosa ferita”. Euripiloallora si rivolge a Patroclo, sapendo che Patrocloha imparato l'arte della guarigione da Achille,al quale a sua volta l'ha insegnata il centauroChirone. Patroclo, nonostante l'infuriare dellabattaglia, pronuncia queste parole “Ma nonlascerò te, così sofferente”. “Disse e cingendolointorno al petto, condusse alla sua tenda il

condottiero di eserciti; lo scudiero vedendoliarrivare stese delle pelli di bue. E qui lo misea giacere. Patroclo incise la coscia con il pugnaleed estrasse la freccia acuta e amara, poi conacqua tiepida deterse il sangue nero e spalmò,dopo averla spremuta, un'aspra radice chealleviava il dolore, ed essa gli tolse ogni pena.Così nella sua tenda il forte figlio di Meneziocurava la ferita di Euripilo”. Questo episodiodell'Iliade, citato da Alberto Merini, nel suolavoro “Euripilo e Patroclo”, racconta del gestodi Patroclo che rappresenta un atto medicocompleto, con una componente terapeuticainclusa nell'atteggiamento di cura. Patroclo fatutto ciò di cui Euripilo ha bisogno: terapia ecura insieme.

D. E' corretto dire che la cura del dolore fa partedella categoria più ampia della cura?

R. Sì, la cura del dolore è soltanto una delletante possibili forme della cura. Gli atteggiamentidi cura, in senso generale, sono molteplici etoccano i principali ambiti di vita delle persone.Pensiamo ad esempio alla cura dell'ambientenel quale viviamo, dell'aria, dell'acqua, delleforeste, della biodiversità. Ma pensiamo anchealla cura del prossimo, di se stessi, del propriocorpo, delle cose. Dunque quello della cura èun atteggiamento molto generale. Ed èimportante sottolineare che l'atteggiamento di