Lezione sul pubblico della radio

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Il pubblico della radio martedì 20 novembre 2012

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Il pubblico della radio

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Una prima definizione:

Gabriel Tarde (1901):Mentre le folle dipendono dalla casuale prossimità fisica, i pubblici si creano attorno ad esperienze condivise da persone che non sono nello stesso luogo (il pubblico dei lettori di un giornale, il pubblico di Stephen King, il pubblico di una radio): «individui dispersi nello spazio la cui coesione è puramente mentale» (in Clark, 1969, p. 277).

Sempre Tarde sostiene che dal momento in cui i lettori di uno stesso giornale si lasciano guadagnare dall’idea o dalla passione che esso ha suscitato, essi vengono a comporre un vero e proprio pubblico. Le tecnologie della comunicazione, secondo Tarde, a partire dal telegrafo in avanti hanno notevolmente contribuito all’emergere dei pubblici moderni, ovvero pubblici le cui esperienze sono mediate da mezzi di comunicazione. Il pubblico radiofonico è un insieme di persone disperse nello spazio - e nel tempo da quando esistono i podcast - che condividono l’esperienza dell’ascolto (emotivo, informativo, identitario).

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2) Il pubblico come massa di consumatori (Lazarsfeld)

Uno dei primi a realizzare ricerche sul pubblico della radio è stato Paul Lazarsfeld. Nel 1940 ne dava già una definizione molto pragmatica e orientata al mercato:

Una massa invisibile e non conoscibile nella sua interezza ma rilevabile e sondabile in modo regolare e con pretese di piena rappresentatività sulla base di rilevazioni a campione (Ortoleva, Scaramucci, 2003, p. 58).

Lazarsfeld rappresenta la radice di una corrente di pensiero «riduzionista» (Napoli, 2011, p. 291) che vede il pubblico semplicemente come un potenziale mercato di consumatori mediali.

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3) Il pubblico come massa in balìa delle industrie culturali (Scuola di Francoforte)

La Scuola di Francoforte invece, affermatasi in un periodo storico in cui la radio è stata largamente impiegata come mezzo di propaganda e costruzione del consenso, si è concentrata sul lato oscuro della visione riduzionista di Lazarsfeld, ovvero sull’idea di pubblico come una massa indistinta di individui indifesi in balìa del potere dei media (le industrie culturali), che ne reificano la coscienza per integrarlo in un sistema di produzione oppressivo.

Alla tradizione critica appartiene anche il canadese Dallas Smythe (1977), il quale sostiene che il pubblico lavori inconsapevolmente per i pubblicitari, regalando loro il proprio tempo libero dedicato al consumo dei media, che i media stessi poi confezionano e vendono ai pubblicitari in quanto merce. Una posizione molto simile a quella di Ien Ang, che accusa i media di considerare il pubblico in un’ottica puramente quantitativa, come puro capitale economico. Secondo Ang per i media il pubblico conta soltanto in quanto merce di scambio, quindi soltanto sotto forma di indici d’ascolto, i quali definiscono «il prezzo concordato a cui i pubblicitari e le reti comprano e vendono la merce-audience» (Ang, 1998, Cercasi audience disperatamente, p. 111).

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3) Il pubblico come massa in balìa delle industrie culturali (Scuola di Francoforte)

La Scuola di Francoforte invece, affermatasi in un periodo storico in cui la radio è stata largamente impiegata come mezzo di propaganda e costruzione del consenso, si è concentrata sul lato oscuro della visione riduzionista di Lazarsfeld, ovvero sull’idea di pubblico come una massa indistinta di individui indifesi in balìa del potere dei media (le industrie culturali), che ne reificano la coscienza per integrarlo in un sistema di produzione oppressivo.

Alla tradizione critica appartiene anche il canadese Dallas Smythe (1977), il quale sostiene che il pubblico lavori inconsapevolmente per i pubblicitari, regalando loro il proprio tempo libero dedicato al consumo dei media, che i media stessi poi confezionano e vendono ai pubblicitari in quanto merce. Una posizione molto simile a quella di Ien Ang, che accusa i media di considerare il pubblico in un’ottica puramente quantitativa, come puro capitale economico. Secondo Ang per i media il pubblico conta soltanto in quanto merce di scambio, quindi soltanto sotto forma di indici d’ascolto, i quali definiscono «il prezzo concordato a cui i pubblicitari e le reti comprano e vendono la merce-audience» (Ang, 1998, Cercasi audience disperatamente, p. 111).

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4) Oltre alla visione del pubblico come mercato o come massa - da manipolare o da redimere - ce n’è una quarta, che affonda le radici nella definizione di Tarde per poi essere ampliata da Herbert Blumer (1933, 1946) e altri: il pubblico come gruppo, ovvero un insieme di reti sovrapposte di rapporti sociali che filtrano i media e che ne orientano la fruizione e l’interpretazione (esemplare a tal proposito è oggi la strutturazione dei pubblici su Twitter, organizzati intorno a leader d’opinione).

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Diverse visioni del pubblico corrispondono a diversi obiettivi d’analisi.

McQuail (2001, p. 29) sostiene che sia possibile classificare gli obiettivi della ricerca sul pubblico in base alle principali tipologie di uso dei dati prodotti. Tali usi includono:

a) contabilità;b) misurazione della portata effettiva e potenziale per scopi pubblicitari;c) la manipolazione del comportamento di scelta del pubblico;d) la ricerca di opportunità di mercato;e) la sperimentazione di nuovi prodotti e la verifica dell’efficacia della comunicazionef) l’adempimento delle proprie responsabilità nel servire un dato pubblico (è il caso della ricerca svolta dai media di servizio pubblico).

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3 sono le grandi tradizioni di ricerca sul pubblico, sostiene ancora McQuail (ivi, p. 30):

a) strutturale (approccio quantitativo; misurazione del pubblico, descrizione della sua composizione; estrazione di dati socio-demografici, inchiesta e analisi statistica);

b) comportamentale (comprensione e previsione delle scelte e delle reazioni del pubblico - focus group -);

c) socioculturale (studi culturali, approccio etnografico, indagine sul contesto socio-culturale della ricezione).

Ognuna di queste tradizioni vede il pubblico in modi diversi: come un mercato di consumatori (gli studi strutturali), come una massa che reagisce in maniera diversa in base al proprio retroterra socio-culturale o come un pubblico «produttivo» (Fiske 1992, Jenkins 1992) in grado di reinterpretare autonomamente il significato dei media e partecipare alla processo di produzione di senso del messaggio mediale.

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Mentre gli altri medium dell’epoca - stampa, cinema, teatro, musica popolare - potevano basarsi sulle vendite dei loro contenuti per legittimare se stessi agli occhi dei portafogli degli investitori pubblicitari, la radio stentava a raccogliere dati sul proprio pubblico. Alcuni investitori pubblicitari che sponsorizzavano la produzione di programmi radiofonici iniziarono ad offrire coupon - molto prima di Groupon - e premi come misure della risposta del pubblico. Nel 1933 circa i due terzi degli investitori della NBC facevano offerte di questo genere agli ascoltatori (Webster, Phalen & Lichty, 2009, p. 94). In risposta ad un annuncio all’interno di un programma per bambini la WLW di Cincinnati ricevette ventimila lettere e lo sponsor del programma, la Hires Root Beer, usò queste risposte per selezionare le stazioni più adatte dove investire in futuro (questa primitiva estrazione di dati qualitativi come i gusti degli ascoltatori non ricorda molto da vicino l’attuale estrazione di dati dei fan/follower sui social media da parte dei brand?).

Alla scoperta del pubblico radiofonico

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Nel 1927 la NBC commissionò uno studio per determinare non solo l’ampiezza del proprio pubblico ma anche i giorni e gli orari di massimo ascolto, nonché lo status economico dei propri ascoltatori. Nessuno di questi tentativi riusciva però ad offrire un servizio regolare e affidabile di misurazione dell’audience, fondamentale soprattutto quando il mercato americano del nuovo medium radiofonico prese a crescere rapidamente. Dal 1930 al 1935 infatti, nonostante la Grande Depressione, le entrate e i profitti dei maggiori network raddoppiarono. Ed è in questo stesso periodo di crescita che si affermano i primi metodi di rilevamento regolare degli ascolti negli Stati Uniti. Nel 1927 un’azienda produttrice di lievito in polvere commissionò alla Crossley Business Research Company il compito di verificare l’efficacia della sua pubblicità radiofonica. Due anni dopo Crossley fece lo stesso per la Eastman Kodak, usando il metodo delle indagini telefoniche per sapere se il pubblico aveva o meno ascoltato il programma sponsorizzato dall’azienda. Archibald Crossley, presidente della compagnia e famoso sondaggista politico, suggerì allora all’Associazione Nazionale dei Pubblicitari (ANA) di finanziare una società per la valutazione indipendente dell’ascolto radiofonico basata su interviste telefoniche. L’ANA, insieme all’Associazione Americana delle Agenzie di Pubblicità dell’epoca (AAAA), accettò l’idea ed il modello economico: ogni suo membro avrebbe pagato una quota mensile per ricevere in abbonamento i dati. Il servizio, ufficialmente chiamato CAB (Cooperative Analysis of Broadcasting) ma più noto a tutti come Crossley ratings, partì nel marzo del 1930 e divenne subito una moda, tanto che i giornali presero a pubblicarne e commentarne i risultati. Curiosamente i costi di questi rilevamenti non erano sostenuti, come accade oggi, dai networks, ma solo dagli sponsor, che avevano un gran bisogno di capire dove finivano i propri soldi. All’epoca non si discuteva il senso di investire nella radio - come accade oggi - ma il come e il dove dell’investimento. La radiofonia era il nuovo medium dell’epoca, rappresentava un settore in espansione e i produttori degli oggetti di consumo avevano tutto l’interesse a saltare sulle onde della radio per raggiungere masse altresì mai raggiunte ed iniziarle agli usi e i costumi della nascente società dei consumi. La NBC e la CBS entrarono a far parte del gruppo dei sottoscrittori soltanto nel 1937, condividendone costi e dati. A partire dal 1935 Crossley ampliò il suo campione: le ricerche venivano condotte in trentatré diverse città dove operavano sia NBC che CBS. Le chiamate venivano fatte su un campione di tremilacinquecento famiglie che venivano contattate quattro volte al giorno chiedendo loro di ricordare l’ascolto fatto nelle 3-6 ore precedenti (Webster, Phalen & Lichty, 2009, p. 96). I risultati venivano pubblicati mensilmente e successivamente, ogni due settimane. In più, tre volte l’anno venivano pubblicati dati più approfonditi (ascolto ora per ora per zone geografiche e status economico). Eppure,

il metodo CAB aveva due grandi problemi: si basava sul ricordo e non comprendeva gli ascoltatori che non avevano il telefono in casa. Quando il numero di famiglie con la radio cominciò a superare quello dei possessori di telefono i dati di Crossley cominciarono ad essere meno affidabili. Secondo la storica della radio americana Susan Douglas nel 1929 soltanto il 41 per cento delle case americane era collegato ad una linea telefonica; gran parte delle famiglie della classe operaia e le comunità etniche erano così escluse dalla ricerca. Nel 1931 stando ai dati CAB, Amos’n’Andy era lo show più seguito. Ai tempi della Depressione, mentre gli apparecchi radio erano presenti nel 62 per cento delle case, il numero di abbonati al telefono era sceso al 31 per cento, così il campione raggiunto al telefono era rappresentativo soltanto di una parte molto ristretta della società americana, quella bianca, medio borghese e urbana (Douglas, 1999, p. 137)

la nascita della ricerca quantitativa: metodo CAB

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la Gallup. George Gallup aveva iniziato nel 1929 a fare ricerche su piccoli campioni locali attraverso il metodo della telefonata in tempo reale, durante la quale all’ascoltatore veniva chiesto cosa stesse ascoltando in quel preciso istante.Comparando i due metodi Lumley sottolineava che i risultati mostravano che alcuni programmi di successo secondo Gallup, lo erano meno secondo Crossley. In particolare i programmi di fiction venivano ricordati meglio di quelli musicali e rimanevano più impressi nella memoria del pubblico (1934, pp. 29-30). Il metodo di Gallup venne ripreso ed ampliato da un’altra società, la Clark and Hooper, che nel 1934 diede il via ad un servizio di rilevamento su 16 città che divenne presto il maggiore avversario delle Crossley Ratings. Il metodo era semplicissimo: al momento della chiamata l’operatore chiedeva all’ascoltatore se stesse ascoltando un programma radiofonico e quale programma fosse; e quale stazione lo trasmetteva?; quale sponsor lo offriva?; quanti uomini, donne, bambini erano all’ascolto in quel momento? C’è della triste ironia nel ricordare che le Hooperatings, come venne chiamata l’indagine di Clark e Hooper, nacque su finanziamento di un cartello di gruppi editoriali che, preoccupati per la quota crescente di investimenti pubblicitari attratti dalla radio, volevano dimostrare come gli ascolti della radio forniti da Crossley fossero sovrastimati. E i risultati diedero loro, ma solo in parte, ragione. I dati di Hooper erano più bassi della CAB per alcuni programmi, ma più alti per altri.

Hooper spiegò in seguito che le persone ricordavano meglio i programmi che duravano a lungo, che erano già molto popolari, di cui si discuteva molto e che erano in onda già da anni. Il varietà rimaneva più impresso nella memoria mentre ci si dimenticava di aver ascoltato le notizie (Chappell, Hooper, 1944, p. 140). Col tempo, le Hooperatings vennero considerate più affidabili di quelle di Crossley e subito dopo la seconda guerra mondiale Hooper acquisì la CAB, diventando il leader indiscusso dei rilevamenti quantitativi. L’industria del broadcasting stava però cambiando rapidamente, cresceva il numero delle stazioni locali e un nuovo medium, la televisione, iniziava ad alterare il modo in cui le persone passavano il proprio tempo libero. Altre società di analisi, orientate alla televisione, divennero presto competitive e Hooper nel 1950 fu costretto a vendere la propria alla A. C. Nielsen. Negli Stati Uniti i metodi di rilevamento degli ascolti basati su indagine telefonica conosceranno il declino a fine anni novanta.

la nascita della ricerca quantitativa: metodo Hooper

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Sempre negli Stati Uniti sono nate le prime sperimentazioni di un altro metodo oggi molto usato, il meter. Nel 1929 uno studente della Columbia University aveva messo a punto un apparecchio per registrare le abitudini d’ascolto in un periodo limitato di tempo ma l’invenzione non ebbe seguito. La riprese nel 1935 Frank Stanton, che avrà un ruolo anche in altre storiche ricerche sulla radio. Per il suo dottorato Stanton costruì e testò dieci apparecchi in grado di registrare su un nastro di cera l’ascolto radiofonico per sei settimane di fila. Lo strumento non riusciva a distinguere la stazione ascoltata ma soltanto la lunghezza delle singole sessioni d’ascolto. I dati raccolti erano usati per verificare la veridicità delle risposte ottenute dal campione attraverso le indagini telefoniche e incrociando i dati Stanton scoprì così che gli interpellati al telefono con il metodo del ricordo tendevano a sottostimare il tempo passato in ascolto della radio. Ma anche questo apparecchio non ebbe successo. Nel 1936 un altro ingegnere, Robert Elder, brevettò un altro strumento, chiamato Audimeter, che venne acquistato dalla A. C. Nielsen per essere ulteriormente migliorato. Nel 1938 la Nielsen utilizzò l’Audimeter in una serie di test sulle differenze tra l’ascolto radiofonico nelle zone urbane di Chicago e quelle rurali del North Carolina. Nonostante la guerra, nel 1942 venne lanciato il servizio Nilesen Radio Index (NRI), basato su un campione di ottocento case attrezzate con il suo meter. I tecnici della Nielsen dovevano periodicamente visitare le famiglie campione per cambiare i nastri e questo rallentava molto la raccolta dei dati. A metà degli anni Cinquanta la società cominciò a spostare i suoi investimenti verso la televisione, mantenendo il NRI per le radio locali e migliorando il meter con cartucce che potevano essere spedite direttamente via posta. Tuttavia nel 1964 la Nielsen si ritirò definitivamente dal mercato radiofonico. Una nuova compagnia, la Statistical Research INC (SRI) prese il suo posto fino al 2001, quando venne acquisita dalla Arbitron, una società nata nel 1949 per rilevare gli ascolti televisivi e diventata in seguito la società più importante per il campionamento del pubblico radiofonico. È stata la stessa Arbitron, nel 2007 - e dopo un periodo di sperimentazione iniziato nel 1992 - ad introdurre una versione aggiornata del meter, il portable people meter, come metodo di rilevamento principale all’interno del mercato radiofonico americano.

la nascita della ricerca quantitativa: il meter

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Oltre a indagini telefoniche e meter, gli Stati Uniti hanno sperimentato per primi anche un altro metodo di rilevamento quantitativo, il diario, anche se questo strumento ha avuto molta più fortuna in Europa. La prima ricerca sistematica sui diari è stata fatta da Garnet Garrison nel 1937. Il suo metodo era semplice e poteva essere spedito e ricevuto via posta. Al campione veniva chiesto ogni giorno di compilare un foglio diviso in una griglia oraria che andava dalle 6 del mattino a mezzanotte, con blocchi di quindici minuti l’uno. Gli interpellati dovevano segnalare le stazioni ascoltate, i programmi seguiti e i numeri delle persone in ascolto. La CBS provò ad utilizzarli nel 1940 ma senza entusiasmo. Anche Hooper li utilizzò, come metodo sostitutivo nelle zone rurali dove il telefono era poco diffuso ma fu soltanto con l’arrivo della televisione che i diari divennero popolari negli Stati Uniti. Dal dopoguerra al 2007 il pubblico radiofonico americano ha continuato ad essere mappato principalmente attraverso indagini telefoniche basate sul ricordo e la compilazione di diari (attraverso un campione annuo di 1.6 milioni di ascoltatori).

la nascita della ricerca quantitativa: il diario

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Per quanto riguarda invece la ricerca non quantitativa - quella cioè volta non a capire quanti fossero in ascolto ma cosa piacesse al pubblico e perché - il maggior impulso sarebbe invece venuto da un immigrato austriaco, di fede socialista, il viennese Paul Lazarsfeld, il padre della ricerca di mercato e non solo. Lazarsfeld era un sociologo di estrazione matematica. Fu costretto a fuggire dall’Austria nel 1933 a causa della minaccia nazista. Nel 1937, grazie ai finanziamenti della Rockefeller Foundation, inaugurò alla Princeton University il suo Office for Radio Research, poi trasferitosi nel 1939 presso il Bureau of Applied Social Research della Columbia University a New York, dove lavorò anche Adorno nel suo periodo americano, non senza contraddizioni. Il modello di ricerca di Lazarsfeld, di tipo misto - metà accademico metà commerciale - funzionò da paradigma di riferimento per tutta la ricerca sui media statunitensi degli anni successivi. Insieme ad un suo compagno di ricerca, Frank Stanton, mise a punto un nuovo metodo di indagine basato su uno strumento artigianale costruito da Stanton, il programme analyzer, più noto come Little Annie, la “piccola Anna”. Little Annie non era altro che una scatola con due pulsanti in superficie, uno verde e uno rosso. Gli ascoltatori che partecipavano al test ricevevano una scatola a testa e venivano fatti accomodare in una sala, dove avrebbero ascoltato tutti insieme uno show radiofonico. Stanton e Lazarsfeld chiedevano loro di premere il pulsante rosso nei momenti in cui lo show non era di loro gradimento, mentre quello verde serviva per segnalare i momenti piacevoli. I pulsanti erano collegati via cavo ad uno strumento simile a un poligrafo, di quelli utilizzati per rilevare i terremoti, sistemato nella stanza accanto, ma invisibile agli ascoltatori; un rullo di carta si muoveva continuamente sotto due penne, una rossa e una nera. Ogni pulsante rosso attivava la penna rossa, ogni pulsante verde quella nera mentre il rullo di carta riportava sull’asse orizzontale una linea del tempo che corrispondeva alla durata del programma. In questo modo, dall’analisi del rullo di carta, si era in grado di capire quali erano stati i momenti piacevoli e quelli sgradevoli durante lo show. Nel rullo erano evidenziati i picchi positivi e negativi, esattamente come nell’analisi dell’intensità dei terremoti. Little Annie testava fino a undici persone simultaneamente. Alla fine dello show gli ascoltatori venivano intervistati collettivamente per capire i motivi che li spingevano a premere un pulsante piuttosto che l’altro, così da mettere insieme un quadro quantitativo e qualitativo abbastanza completo degli ascoltatori testati. Senza saperlo, Stanton e Lazarsfeld avevano inventato i primi focus group.

la nascita della ricerca qualitativa: little Annie e i focus group

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In Gran Bretagna, dove vigeva il monopolio di Stato sull’etere, la ricerca sul pubblico ebbe fin da subito obiettivi diversi da quella americana e la sua evoluzione fu tardiva. L’assenza nel settore radiofonico inglese di un’economia di mercato basata sugli investimenti pubblicitari e la mancanza di una concorrenza interna spinsero la ricerca sul pubblico a indagare meno l’ampiezza dell’ascolto attraverso metodi statistici e dedicare più spazio agli aspetti qualitativi - abitudini d’ascolto, differenze di genere e di classe nel gradimento dei programmi - volti ad ottenere indizi su come migliorare la programmazione per legittimare il monopolio. Il Listener Research Department (LRD, rinominato nel 1950 BBC Audience Research Department) fu istituito soltanto nel 1936 (Silvey, 1974; Scannell, 1991), quando gli ascoltatori avevano già raggiunto i due terzi delle case inglesi (Scannell, 1991). Starkey (2002) sostiene che la necessità di fondare un Dipartimento di ricerca sul pubblico nacque come risposta alla minaccia rappresentata dalle stazioni commerciali straniere dirette al pubblico inglese. In quello stesso anno l’Advertising Institute, un ente privato, aveva pubblicato una propria ricerca secondo cui Radio Luxembourg raggiungeva quote d’ascolto fino al 45.7 per cento e i giornali avevano iniziato a pubblicare altri sondaggi secondo i quali le stazioni commerciali straniere nel loro insieme arrivavano, in alcuni momenti della domenica, fino all’80 per cento (Briggs, 1985). Le prime due indagini che Silvey portò a termine riguardavano le abitudini di ascolto invernali ed estive (Silvey, 1974) Queste due ricerche furono le prime ad impiegare tecniche di campionamento casuale. Tremila abitazioni scelte casualmente in tutte le regioni del paese vennero scelte come base del campione. Le due indagini dissero che c’erano poche differenze tra regioni diverse e differenze molto ridotte tra uomini e donne mentre c’erano notevoli differenze sociali: ad esempio, un maggior numero di ascoltatori appartenenti alla classe media era incline ad ascoltare Shakespeare rispetto alla classe lavoratrice, maggiormente attratta dai programmi di Varietà e intrattenimento leggero.

C’erano differenze sociali significative anche nell’ascolto domenicale dei programmi stranieri: il 47 per cento della classe lavoratrice ascoltava Radio Luxembourg e Radio Normandie al posto della BBC contro il 28 per cento della classe media (Scannell, 1991, p. 376).

Le ricerche dimostrarono anche i benefici dei programmi altamente serializzati e regolari in termini di popolarità. Nel 1937 Silvey iniziò un’indagine di tre mesi - la Variety Listening Barometer - su un campione di 2000 volontari a cui venne chiesto di compilare dei diari settimanali sulle abitudini d’ascolto e il gradimento del varietà. Nel 1939 ai partecipanti del General Listening Barometer (indagine basata su interviste dirette sull’ascolto del giorno prima) venne chiesto di dare il loro gradimento all’aumento della serializzazione non solo per i programmi di intrattenimento ma anche per quelli drammaturgici e per quelli parlati e il risultato fu che tutti apprezzavano la serializzazione dei formati. Nicholas (2008) sottolinea l’influenza dell’orientamento sociologico alla base della ricerca inglese sul pubblico, in opposizione a quella statistica americana. Silvey fu il primo a sperimentare strumenti d’analisi qualitativi - interviste in profondità, osservazioni etnografiche, panel postali su ristretti gruppi di ascolto - oltre agli strumenti quantitativi - questionari e indagini su campione - e gli effetti delle sue prime indagini ebbero una grande ricaduta sulle strategie di programmazione della BBC.

la ricerca qualitativa in Gran Bretagna

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In Italia le prime indagini sul pubblico vennero prima indette da riviste e giornali specializzati e infine dalla stessa azienda emittente. Tutte usarono il metodo del referendum, un’indagine a carattere volontario su campioni non rappresentativi e che, tranne che nel caso dell’ultimo referendum del 1939, fornì indicazioni di costume senza alcun valore scientifico.I primi referendum - indetti nel febbraio del 1927 dal Radiorario e nel luglio 1930 dal Radiocorriere e -diedero risultati molto simili ma il numero di rispondenti era molto basso. Un ulteriore referendum sul gradimento delle trasmissioni fu indetto nel 1936 dall’EIAR ma i risultati non vennero mai diffusi (Natale, 1990). Tutt’altro caso rappresenta il grande referendum del 1939.Nel 1939 in Italia era stato da poco superato, con notevoli sforzi di regime e grazie soprattutto all’abbassamento dei costi degli apparecchi riceventi, il tetto del milione di abbonati alla radio (l’età dell’oro del mezzo doveva ancora venire, in termini numerici), contro i tredici milioni della Germania e i nove della Gran Bretagna (Monteleone, 2003, p. 124). La guerra si stava avvicinando e c’era bisogno di un mezzo capace di alimentare il consenso politico, l’ascolto delle radio clandestine si moltiplicava, il pubblico stava inesorabilmente allargandosi e l’EIAR decise così di mettere in campo una ricerca quantitativa e qualitativa che per la prima volta si interessasse al pubblico radio tenendo conto delle sue abitudini di ascolto e alla sua composizione sociale. All’EIAR importava conoscere: «quanti fra i suoi abbonati sono professionisti, impiegati, artigiani, agricoltori, donne di casa, per stabilire quanta parte deve esser fatta nei programmi a questa o a quella materia. Ogni categoria (…) ha una particolare mentalità ed abitudini e l’EIAR è bene che lo sappia per poter andare incontro ai desideri di tutte» (Radiocorriere, 1940).Il Referendum radiofonico EIAR aveva ovvi fini propagandistici (Menduni, 2003). Forse anche per questo fu condotto con estrema accuratezza. I suoi risultati furono utili sì al regime dell’epoca ma lo sono soprattutto oggi per gli storici dei media. L’indagine, influenzata più dal modello britannico che da quello americano, aveva il fine di indagare le preferenze degli abbonati - suddivisi in quarantadue categorie professionali - nei confronti di ventotto generi di programmazione radiofonica (Monteleone, 2003, p. 125). Opportunamente collegato a un concorso a premi per gli abbonati, il Referendum del 1939 fu il più grande sondaggio d’opinione realizzato all’epoca (novecento mila i rispondenti, il 75 per cento degli abbonati).

La nascita della ricerca sul pubblico in Italia

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All’ampio risalto dato dai media al referendum nei giorni del lancio corrispose, dopo il suo completamento, un sostanziale silenzio, segno che il regime non fosse particolarmente soddisfatto dei risultati (Natale, 2003). Ne emergeva infatti un pubblico non del tutto massificato, desideroso più di svago che di ideologia e non particolarmente entusiasta dell’offerta. Il pubblico italiano della radio era diffuso soprattutto al Nord - in molte zone del Sud e del Centro il segnale nemmeno arrivava - e tra i ceti più abbienti. Le fasce pregiate erano dalle 12.00 alle 13.00 e dalle 20.00 alle 23.00 (Scaglioni, Fenati, 2002, p.106). I dissensi più marcati riguardavano proprio le trasmissioni orientate all’indottrinamento ideologico; si registrò un dissenso più forte tra i ceti superiori e sensibilmente più debole tra i ceti inferiori: rispettivamente al 54 per cento per i primi contro il 34 per cento dei secondi. Le trasmissioni di educazione ginnica da camera (81.4 per cento di dissenso) e il listino della Borsa (81.9 per cento di dissenso), insieme alle lezioni di lingua straniera (71.4 per cento di dissenso) e le declamazioni poetiche (60.1 per cento di dissenso), erano le trasmissioni più odiate, senza distinzioni d’età, di sesso o di ceto sociale; mentre le commedie drammatiche erano tra le più apprezzate dai ceti medio-superiori al contrario di quelle umoristiche e le riviste, molto più trasversali nel gradimento (Natale, 1990). Con la fine della seconda guerra mondiale e il crollo del fascismo, finisce anche l’epoca dei referendum di regime.

Il risultato del referendum del 1939

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La RAI, nata nel 1944, istituisce nel luglio del 1945 un suo ufficio interno, il Servizio Opinioni, che fino al 1952 promuove ricerche basate su questionari distribuiti attraverso le riviste specializzate, analisi delle lettere ricevute, interviste in profondità con gruppi d’ascolto (ingenui antenati dei focus group già applicati negli Stati Uniti). A partire dal 1952 inizia la collaborazione con l’Istituto di ricerca Doxa e si applicano i primi metodi di campionamento rappresentativo dell’ascolto. La RAI rimarrà fino a tutti gli anni settanta la committente quasi esclusiva della ricerca sul pubblico (Menduni, 2003, p.155). Lo strumento principale di indagine rimane il Barometro di ascolto (qui si riscontrano chiaramente le tracce dell’influenza della metodologia inglese nell’orientare i ricercatori della RAI) comune alla radio e alla televisione, realizzato con personale interno e grande sforzo organizzativo: mille interviste giornaliere sull’ascolto del giorno prima, condotte da cinquecento operatori distribuiti in quattrocento comuni (Menduni, 2003). Il Servizio Opinioni della RAI rimarrà attivo fino agli anni’80, quando verrà sostituito nel 1988 da Audiradio per la ricerca quantitativa e dal servizio di Verifica Qualitativa dei Programmi Trasmessi (VQPT), poi trasformato in Marketing Strategico. Audiradio ha cessato di esistere nel 2010 e nuovi dati, con nuovi metodi, sono stati pubblicati nel 2012 da una nuova società, GFK Eurisko, indipendente dalle emittenti coinvolte.

Italia: i metodi di rilevamento dal dopoguerra ad oggi

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Nel 2001 erano 35 milioni gli italiani che mediamente ascoltavano la radio ogni giorno. Nel 2009, secondo gli ultimi dati disponibili, erano 39.3 milioni - il 72.3 per cento della popolazione italiana - per un totale di 169 minuti di ascolto al giorno rispetto alla media europea di 193 minuti (EBU, 2011).

I dati del 2012, ottenuti con una diversa metodologia (indagine telefonica + meter) mostrano però un quadro generale molto diverso. Nel giorno medio (GM) sono 34 milioni e 263 mila gli ascoltatori della radio (il 65.4 per cento della popolazione italiana sopra i 14 anni), praticamente gli stessi del 2001. Mentre gli italiani che almeno una volta nell'ultima settimana (il cosiddetto dato sette giorni) hanno ascoltato per almeno 15 minuti una radio sono 43 milioni e 970 mila (l'83.9 per cento della popolazione over14). Il cambio di metodologia rende però i dati di Audiradio non confrontabili con questi ultimi. L'ascolto per fasce orarie invece è simile ai dati precedenti. Il prime time radiofonico (picco massimo d’ascolti) è ancora concentrato fra le 7.00 e le 9.00 del mattino (37.3 per cento); la fascia dalle 9 alle 12 è la seconda più ascoltata del giorno, poi l'ascolto cala tra le 12.00 e le 14.00 per risalire fra le 15.00 e le 18.00 – terza fascia di massimo ascolto – con un secondo picco di minore intensità tra le 17.00 e le 18.00. Dalle 18.00 alle 21.00 è ancora sintonizzato il 23.3 per cento del pubblico, mentre dopo le 21.00 l'ascolto crolla al 9 per cento.Le fasce più pregiate coincidono con il cosiddetto drive-time, ossia i due momenti tipici degli spostamenti verso il proprio posto di lavoro al mattino e del rientro a casa nel tardo pomeriggio. Durante questi spostamenti la radio accesa in auto diventa un’insostituibile compagna di viaggio per milioni di italiani. Dopo le 19.00 si assiste ad una lenta e costante decrescita d’ascolti della radio, per la migrazione degli utenti verso la televisione. Al mattino la radio accompagna il risveglio e la ripresa delle attività quotidiane collocandosi in primo piano, soprattutto per la funzione informativa. Man mano che si procede nel corso della giornata ma già a partire dalla seconda mattina, la radio si sposta in sottofondo, rispetto alle attività primarie. Al contrario, dalla prima serata alla notte, l’ascolto radiofonico torna ad essere elettivo, scelto da un pubblico molto motivato. (Scaglioni, Fenati, 2002, p. 95). Anche il tempo d’ascolto segue i ritmi della giornata. Al mattino la rigidità dei tempi di vita limita al minimo la durata dell’ascolto attento, che invece raggiunge il massimo di notte, quando tempo e modi di fruizione sono governati dalla scelta dell’ascoltatore e non più dai ritmi e dagli impegni del giorno.Per quanto riguarda i luoghi d’ascolto (Fig. 1) tra gli ascoltatori è molto alta la percentuale di coloro che ascoltano la radio fuori casa durante tutto l’arco della giornata lavorativa.

martedì 20 novembre 2012

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Dove si ascolta la radio

Il dato degli ascoltatori fuori casa è notevolmente superiore rispetto a quello dell’ascolto domestico tranne che nelle prime ore del mattino - dalle 6.00 alle 7.00 - e della sera - dalle 20.00 alle 24.00 - dove le curve d’ascolto in casa e fuori casa si avvicinano. Una particolarità tutta italiana è il predominio schiacciante dell’ascolto in automobile rispetto a quello domestico, una modalità che presenta un incremento continuo negli ultimi dieci anni. La percentuale di coloro che ascoltano la radio in automobile è cresciuta costantemente fino all’anno 2008, dove ha superato il 60 per cento del totale di ascolti (era il 47 per cento nel 2001). Secondo Giovanna Maggioni, direttore generale di UPA: «le curve di ascolto fuori casa sono molto sensibili sul lungo periodo. Per esempio, quando è nata, venti anni fa, la ricerca indicava grandi ascolti durante gli orari di apertura dei negozi. Ora registriamo che in quelle fasce orarie è cresciuto moltissimo l’ascolto in ufficio, evidenza che ci riporta a un probabile incremento sull’uso del web per l’ascolto della radio» (AA.VV, 2008, p. 80).

martedì 20 novembre 2012