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Lezione 8 Regime sinusoidale Corso di Elettrotecnica – Prof.ssa Lorenza Corti – A.A. 2017/2018 1/41 Lezione n.8 Regime sinusoidale 1. Richiami sulle funzioni sinusoidali 2. Metodo dei fasori e fasori 2.1 Impedenza ed ammettenza 2.2 Diagrammi fasoriali 3. Potenza in regime sinusoidale 3.1 Potenza attiva e reattiva del resistore, condensatore, induttore e generatore 3.2 Teorema di Tellegen in regime sinusoidale: conservazione della potenza attiva e reattiva 4. Definizione di Funzione di Rete in un circuito a regime sinusoidale 5. Filtri passivi 5.1 RLC serie in risonanza 5.2 RLC parallelo in risonanza 5.3 Filtro passa banda 5.4 Esercizi: circuiti con elementi in risonanza 6. Circuiti con wattmetri 6.1 Esercizio 7. Line di trasporto dell’energia elettrica e rifasamento di un carico Tag: funzione periodica, funzione sinusoidale, periodo, pulsazione, frequenza, valor medio di una funzione periodica, valore massimo di una sinusoide, valore efficace di una sinusoide, fasori, fasori efficaci, regime sinusoidale, impedenze, ammettenze, reattanza, suscettanza, fase istantanea, fase iniziale, metodo dei fasori, fasore, fasore efficace, trasformazione nel dominio dei fasori, impedenza, ammettenza, reattanza, suscettanza, sfasamento, fattore di potenza, modulo e fase di un fasore, diagramma fasoriale, potenza istantanea, potenza media, potenza fluttuante, potenza attiva, potenza reattiva, potenza complessa, potenza apparente, funzione di rete, filtro passivo, risonanza RLS serie e parallelo, pulsazione di risonanza, circuiti con elementi in risonanza, uso del wattmetro in regime sinusoidale, linee di trasporto dell’energia, rifasamento di un carico, carico ohmico-induttivo, carico ohmico capacitivo.

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Lezione 8 – Regime sinusoidale

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Lezione n.8

Regime sinusoidale

1. Richiami sulle funzioni sinusoidali 2. Metodo dei fasori e fasori

2.1 Impedenza ed ammettenza 2.2 Diagrammi fasoriali

3. Potenza in regime sinusoidale 3.1 Potenza attiva e reattiva del resistore, condensatore, induttore

e generatore 3.2 Teorema di Tellegen in regime sinusoidale: conservazione

della potenza attiva e reattiva 4. Definizione di Funzione di Rete in un circuito a regime sinusoidale 5. Filtri passivi

5.1 RLC serie in risonanza 5.2 RLC parallelo in risonanza 5.3 Filtro passa banda 5.4 Esercizi: circuiti con elementi in risonanza

6. Circuiti con wattmetri 6.1 Esercizio

7. Line di trasporto dell’energia elettrica e rifasamento di un carico

Tag: funzione periodica, funzione sinusoidale, periodo, pulsazione, frequenza, valor medio di una funzione periodica, valore massimo di una sinusoide, valore efficace di una sinusoide, fasori, fasori efficaci, regime sinusoidale, impedenze, ammettenze, reattanza, suscettanza, fase istantanea, fase iniziale, metodo dei fasori, fasore, fasore efficace, trasformazione nel dominio dei fasori, impedenza, ammettenza, reattanza, suscettanza, sfasamento, fattore di potenza, modulo e fase di un fasore, diagramma fasoriale, potenza istantanea, potenza media, potenza fluttuante, potenza attiva, potenza reattiva, potenza complessa, potenza apparente, funzione di rete, filtro passivo, risonanza RLS serie e parallelo, pulsazione di risonanza, circuiti con elementi in risonanza, uso del wattmetro in regime sinusoidale, linee di trasporto dell’energia, rifasamento di un carico, carico ohmico-induttivo, carico ohmico capacitivo.

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1. Richiami sulle funzioni sinusoidali

Una funzione x(t) presenta un andamento periodico se per ogni t sussiste la relazione: x(t)=x(t+nT), con n numero intero qualsiasi.

Il tempo T definito nella formula precedente si dice periodo. Il numero di periodi f =1/T contenuti nell’unità di tempo si dice frequenza e si misura in Hertz (Hz). Il valore massimo della funzione periodica lo indicheremo con XM. Inoltre è possibile definire per x(t) il valore medio in un periodo e lo indicheremo con Xm:

ttx dT

1X

T

0m . (1)

La quantità:

2

XXd

T

1X M

T

0

2 ttx , (2)

verrà detta valore efficace della grandezza periodica. Una grandezza periodica si dice alternata se il valore medio in un periodo è nullo. Un particolare tipo di grandezza alternata è quella sinusoidale:

xM α

T

2πsinX ttx . (3)

I valori istantanei della funzione (3) corrispondono alle proiezioni sull’asse delle ordinate di un segmento di lunghezza XM che ruota intorno ad un suo estremo posto nell’origine del piano cartesiano con velocità angolare 2/T. Il segmento compie un intero giro nel tempo T che rappresenta il periodo. Il rapporto 2/T può essere indicato nel seguente modo: 2/T = = 2 f (4) La grandezza legata al tempo T e alla frequenza f dalla (4) si chiama pulsazione e va espressa in rad/sec. Per la (4) la formula (3) può essere riscritta come:

xM αωsinX ttx (5)

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L’argomento della sinusoide t+x rappresenta un angolo che costituisce la fase

istantanea per la grandezza in esame. L’angolo x si chiama fase iniziale della grandezza sinusoidale considerata. La fase iniziale è legata al valore di x(t) all’istante t = 0. Un circuito forzato da un solo generatore sinusoidale a regime avrà tutte le grandezze del circuito sinusoidali con la stessa pulsazione del generatore. La stessa cosa accade anche quando nel circuito vi sono più generatori sinusoidali, purché questi siano isofrequenziali, ossia abbiano la stessa pulsazione. Che accade, viceversa, quando i generatori hanno pulsazioni diverse? Supponiamo vi siano due generatori di diversa pulsazione 1 e 2 con 1 > 2. Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti otteniamo che le grandezze del circuito sono la somma di due sinusoidi (di diversa pulsazione), ognuna soluzione del circuito quando si considera acceso uno solo dei due generatori.

La somma di due sinusoidi di pulsazione diversa che si ottiene dà luogo a una funzione comunque periodica se il rapporto tra le due pulsazione è un numero intero. Cioè se:

mn

n

ω

ω

2

1

2

1 ,

dove n1, n2 ed m sono due numeri interi. In questo caso la funzione periodica che si ottiene avrà periodo:

22

11 ω

2πn

ω

2πnT .

Viceversa se il rapporto tra le due pulsazioni è pari ad un numero non intero la somma delle due sinusoidi dà luogo ad una funzione non periodica.

2. Metodo dei fasori e fasori

Il fatto che il regime di un circuito avente generatori sinusoidali isofrequenziali è costituito da grandezze che hanno tutte una dipendenza temporale dello stesso tipo, suggerisce l’introduzione di una metodologia che consenta di trasformare tutte le grandezze del circuito in nuove grandezze corrispondenti “semplificate” in cui non compaia esplicitamente la dipendenza temporale. Il metodo che consente di operare questa semplificazione si chiama metodo dei fasori.

Il nostro obiettivo è quello di semplificare il calcolo della soluzione di regime sinusoidale di un circuito. Si intuisce che se riuscissimo ad esprimere le grandezze

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del circuito in un dominio trasformato nel quale, potendo eliminare la dipendenza dal tempo, le derivate si “algebrizzano” potremmo operare in modo simile a come facevamo in regime stazionario. In regime stazionario, utilizzando la riduzione a resistenze equivalenti e i partitori, riuscivamo a calcolare le grandezze del circuito operando direttamente sul circuito. In regime sinusoidale non è possibile più la riduzione a resistenze equivalenti in quanto bisogna tenere conto della presenza di elementi dinamici la cui relazione caratteristica non è più di tipo statico come nei resistori. Ciò che ci impedisce di lavorare come nei circuiti resistivi (circuiti in regime stazionario) sono le derivate degli elementi dinamici presenti nel sistema di equazioni da risolvere.

La trasformazione da individuare deve operare tra grandezze definite nel dominio del tempo e grandezze definite in un nuovo dominio.

Dunque quali caratteristiche deve avere tale trasformazione?

Deve essere biunivoca, cioè ad ogni funzione nel dominio del tempo deve associare uno ed un solo elemento nel nuovo dominio e viceversa. Questo perché una volta che ho trasformato il mio problema nel nuovo dominio e una volta che ho ivi trovato la soluzione devo poter tornare nel dominio del tempo individuando un’unica funzione.

Deve trasformare, nel nuovo dominio, funzione sinusoidali dipendenti dal tempo in “oggetti” non dipendenti dal tempo.

Deve trasformare l’operatore di derivata, che compare nelle equazioni (nel circuito possono essere presenti elementi dinamici), in modo “conveniente”. Nel nuovo dominio, infatti, non compare il tempo e questo ci suggerisce la possibilità di “algebrizzare” le equazioni differenziali con la trasformazione nel nuovo dominio.

Deve trasformare le equazioni del sistema globale in altrettante equazioni nel dominio dei fasori tali da poter consentire di trovare ivi la soluzione. Le equazioni del sistema globale sono combinazioni lineari di funzioni sinusoidali. A queste dovranno corrispondere combinazioni lineari delle grandezze trasformate nel dominio individuato. Questo perché devo poter trasformare le equazioni di Kirchhoff nel nuovo dominio senza alterare il loro contenuto informativo.

“Costruiamo” la trasformazione. Abbiamo detto che una grandezza sinusoidale è individuata da tre parametri: 1) Ampiezza XM. 2) Pulsazione . 3) Fase iniziale x.

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Per quanto riguarda la pulsazione abbiamo detto che quando in un circuito vi è un generatore sinusoidale di pulsazione , oppure più generatori isofrequenziali di pulsazione , allora ogni grandezza del circuito è una funzione sinusoidale di pulsazione . Questo vuol dire che ogni grandezza del circuito sarà individuata in definitiva dai due parametri: XM e x, essendo la dipendenza dal tempo uguale per tutte le grandezze. Pertanto nel nuovo dominio, dove “il tempo non esiste (!)”, le grandezze potranno essere rappresentate da una coppia di valori. Il dominio che stiamo cercando lo chiameremo Dominio dei Fasori. Vediamo come, attraverso varie trasformazioni, possiamo rappresentare in modo diverso la nostra grandezza sinusoidale senza più la dipendenza dal tempo.

Partiamo da una generica funzione nel dominio del tempo:

x(t)=XM sin(t+x). (6) Allo scopo di “costruire” la trasformazione consideriamo nel piano complesso il punto di coordinate:

(XM cos(t+x, XM sin(t+x), (7)

a cui è associato il numero complesso: XMcos(t+x + j XM sin(t+x, (8)

La funzione (6) è la parte immaginaria del numero complesso appena introdotto: x(t)=XM sin(t+x)=Im{XMcos(t+x + j XM sin(t+x}. (9) Ricordando che (formula di Eulero) ejx= cosx + j sinx , possiamo scrivere:

x(t)=XM sin(t+x)=Im{XM ej(t+x}= Im{XM ejx ejt}. (10) Ogni funzione sinusoidale che compare nel nostro problema può essere espressa come parte immaginaria della funzione complessa XMejxejt. Tale funzione complessa può essere rappresentata nel piano complesso con un vettore rotante intorno all’origine avente lunghezza pari a XM, fase iniziale pari ad x e velocità angolare . Sempre mirando ad individuare una trasformazione “conveniente”, osserviamo che, essendo la pulsazione uguale per ogni grandezza del circuito, le

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funzioni complesse, la cui parte immaginaria corrisponde alle nostre funzioni nel dominio del tempo, avranno tutte lo stesso fattore moltiplicativo ejt. Tutti i vettori ruoteranno solidali tra loro con la stessa velocità angolare. Le grandezze del nostro circuito saranno la proiezione, sull’asse delle y, dei vettori rotanti considerati. A questo punto siamo nelle condizioni di introdurre la trasformazione cercata. Questa sarà così definita:

x(t)=XM sin(t+x) = Im{XMejxejt} <=> z XMejx, (11) dove z è una costante complessa arbitraria. Molto semplicemente per ottenere il fasore che corrisponde ad una funzione sinusoidale nel tempo basta considerare il suo valore massimo e la sua fase e stabilire il valore della costante complessa z. Facciamo un esempio. Consideriamo la funzione: x(t)= 30cos(100t+/4). (12) Prima di scrivere il fasore corrispondente trasformiamo la funzione (12) in una equivalente che utilizza però la funzione seno. Si ha: x(t)= 30 sen(100t+ /4+ /2)=30sen(100t+ 3/4). Assumendo z =1, avremo che il fasore sarà: 30ej3/4 3a)

Viceversa, assumendo z= e-j3/4, avremo che il fasore sarà: 30. 3b)

Assumendo z=2

1, avremo che il fasore sarà:

2

30ej3/4 3c)

Spendiamo qualche parola per la costante arbitraria z. Come possiamo evidenziare nella Fig. 1 notiamo che la scelta del valore della costante z non inficia la efficacia

trasformazione nel

dominio dei fasori

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del metodo della trasformazione nel dominio dei fasori. Come vedremo meglio nel seguito, quando, una volta trovata la soluzione nel dominio dei fasori, torno nel dominio del tempo mi basterà prima dividere i fasori che rappresentano la mia soluzione per la costante arbitraria z. Semplificare la costante z nell’operazione di anti-trasformazione dal dominio dei fasori al dominio del tempo è dovuta al fatto che, essendo il nostro modello lineare (nel dominio del tempo e nel dominio dei fasori), i fasori che rappresentano la soluzione (in realtà tutti i fasori) sono moltiplicati per la costante moltiplicativa z. In genere si usano due possibili valori per z: z = 1 (14a) z = 21 (14b) A queste due scelte corrispondono le trasformazioni:

X xj

M x Mx(t) X sen t X e , (15a)

xx jMj

efxMe

XeX tsenX(t)x

2

X , (15b)

La prima genera il fasore e la seconda il cosiddetto fasore efficace. La trasformazione (15b) e stata utilizzata per la (13c). Questa trasformazione che utilizza il valore efficace introdotto nella (2), come vedremo nel paragrafo 3, semplifica l’espressione della potenza attiva. In conclusione: abbiamo trovato una corrispondenza tra funzioni sinusoidali ed elementi definiti da una coppia di parametri: i numeri complessi. L’insieme di tali elementi, che chiameremo fasori (fasori efficaci), con le operazioni in esso definite (somma, sottrazione, moltiplicazione per uno scalare) lo chiameremo dominio de fasori. Il simbolo che utilizzeremo per il fasore sarà:

xje

MXX (16)

Prima di commentare la Fig. 1 e di spiegare come si opera nel dominio dei fasori, verifichiamo che la trasformazione trovata soddisfi le proprietà che richiedevamo (corrispondenza biunivoca, algebrizzazione della derivata, trasformazione del sistema globale in un sistema di equazioni algebriche complesse).

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Fig.1 – La trasformazione del problema dal dominio del tempo al dominio dei fasori.

Una volta fissata la costante z (tipicamente 1 o 2

1), la trasformazione introdotta

individua un solo fasore per ogni funzione del tempo. Inoltre il sistema globale trasformato nel dominio dei fasori darà luogo ad una ed una sola soluzione che anti-trasformata univocamente restituisce la soluzione cercata. Per quanto riguarda la derivata, vediamo innanzitutto che succede alla derivata di una funzione sinusoidale. Si ha

2

παωωXαωωXαωX xMxMxM tsentcostsen

dt

d

dt

tdx (17)

dove abbiamo utilizzato la relazione

2αα xx

sencos . L’ultimo membro della

(17) si trasforma nel dominio dei fasori banalmente (z=1):

dominio del tempo

fasori dei generatori

soluzione del problema nel

dominio dei fasori

operazioni per la

determinazione della soluzione

dominio dei fasori

impedenze (ammettenze)

dominio del tempo

fasori dei generatori

soluzione del problema nel

dominio dei fasori

operazioni per la

determinazione della soluzione

dominio dei fasori

impedenze (ammettenze)

z

z-1

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X ωX ωX ωαωX M2

MxM jejetsendt

dx

xj

j

, (18)

dove abbiamo sfruttato la relazione jej

2

e dove X rappresenta il fasore della funzione x(t). In conclusione alla derivata delle funzioni sinusoidali del dominio del tempo corrisponde nel dominio dei fasori la moltiplicazione per un coefficiente complesso, cioè:

ωjdt

d . (19)

La trasformazione individuata “algebrizza” le equazioni differenziali. Abbiamo, cioè, trasformato il nostro problema in un problema più semplice.

Verifichiamo che la combinazione lineare di funzioni sinusoidali nel tempo si trasforma in una combinazione lineare di fasori. Dobbiamo dimostrare che:

1 1 2 2 1 1 2 2 nˆ ˆ ˆk k ... k 0 k X k X ... k X 0.

n n nx t x t x t (20)

Partiamo dal dominio del tempo: 1 M1 1 Mn nk ω X ω α ... k ω X ω α 0

nsen t sen t per ogni t (21)

dove eventualmente ki dipende da in quanto il coefficiente deriva da una normale derivazione.

Ora se nella (21) trasliamo il tempo di /2, e osservando che la (21) vale per ogni t, abbiamo l’espressione nei coseni: 1 M1 1 Mn nk ω X ω α ... k ω X ω α 0

ncos t cos t . (22)

A questo punto sommiamo la (22) alla (21) moltiplicata per j. Si ha:

1 M1 1 1

Mn n n

k ω X ω α ω α ...

k ω X ω α ω α 0.n

cos t jsen t

cos t jsen t

(23)

La (23) può anche essere riscritta come:

1 2

1 M1 2 M2 Mnk ω X k ω X ... k ω X 0njj j j t

ne e e e

, (24)

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che, dovendo essere nulla per ogni tempo t, può essere riscritta nel modo seguente:

1 1 2 2 nˆ ˆ ˆk ω X k ω X ... k ω X 0

n , (25)

che è quanto volevamo dimostrare. Abbiamo visto come trovare gli elementi nel dominio dei fasori (i fasori) corrispondenti alle funzioni sinusoidali del dominio del tempo. Ci siamo occupati della fase indicata in rosso della Fig. 1. Per descrivere il metodo che ci conduce alla soluzione del problema nel dominio dei fasori (in giallo in Fig.1) dobbiamo introdurre le impedenze e le ammettenze (in verde nella Fig.1). Queste rappresentano il corrispondente, nel dominio dei fasori, delle resistenze in un circuito a regime stazionario.

2.2 Impedenza ed ammettenza Trasformiamo nel dominio dei fasori le relazioni caratteristiche dei bipoli che conosciamo; rispettivamente del resistore, del condensatore e dell’induttore. Si ha:

ˆ ˆR V RIv t i t (26a)

ˆ ˆL V ω LIdi t

v t jdt

(26b)

IˆC Vω C

dv ti t

dt j (26c)

Abbiamo trovato che il rapporto tensione-corrente dei bipoli passivi che conosciamo è un numero complesso. Tutti i bipoli passivi si comportano nel dominio dei fasori come se fossero dei resistori aventi per “resistenza” un numero complesso. Questo ci suggerisce di introdurre un elemento generico che descriva il generico bipolo. Il rapporto tra i fasori tensione e corrente prende il nome di impedenza e si indica con

Zɺ :

I

VZɺ (27)

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Per i bipoli di nostra conoscenza:

Resistenza Z Rɺ (27a) Induttanza Z ω Ljɺ (27b)

Capacità ZωC

jɺ (27b)

Il fatto che le impedenze di ogni bipolo del circuito si comportano come delle “resistenze complesse” ci suggerisce di trattare le impedenze di ogni bipolo del circuito come facevamo nei circuiti resistivi. Ha senso quindi parlare di impedenza

equivalente di bipoli. Pertanto possiamo calcolare l’impedenza serie di due bipoli e quella parallelo con formule analoghe ai circuiti resistivi. Questa volta si tratterà di fare operazioni con numeri complessi. Ad esempio un resistore R ed in induttore L posti in serie hanno per impedenza equivalente la somma delle loro impedenze Zɺ = R+jL. L’impedenza Zɺ è, in generale, un numero complesso, pertanto possiamo scrivere:

XRZ jɺ , (28)

dove il coefficiente della parte reale è detto resistenza e quello della parte immaginaria X prende il nome di reattanza. Resistenza e reattanza dell’impedenza hanno dimensioni di . Per i nostri bipoli passivi abbiamo: resistore: 0X (reattanza nulla) (29a) induttore: X ωL (reattanza induttiva) (29b)

condensatore: 1

XωC

(reattanza capacitiva) (29c)

Chiamiamo ammettenza Yɺ l’inverso dell’impedenza, ossia:

2 2 2 2

R XY j G jB

R X R X

ɺ , (30)

Dove G è la conduttanza e B la suscettanza. Conduttanza e suscettanza dell’ammettenza hanno dimensioni di -1 (Siemens). Osserviamo che, facendo la convenzione dell’utilizzatore, la parte reale dell’impedenza e la parte reale dell’ammettenza sono positive. Al contrario la parte immaginaria può essere positiva e negativa. Quando è positiva diremo che il bipolo equivalente è di tipo induttivo; quando è negativa diremo che il bipolo equivalente è di tipo capacitivo.

Osserviamo che usando i fasori, analogamente a quanto facevamo per i circuiti resistivi, è possibile usare lo strumento del partitore di tensione e corrente. Le

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formule sono analoghe ai circuiti resistivi tranne che questa volta dobbiamo usare numeri complessi. Ma c’è di più: anche i circuiti equivalenti secondo Thévenin e Norton possono essere usati. In questo caso il calcolo della resistenza equivalente viene sostituito dal calcolo della impedenza equivalente. La tensione a vuoto sarà un fasore così come la corrente di corto circuito.

Approfondiamo la conoscenza dell’impedenza e dell’ammettenza. Supponiamo di avere per un bipolo con i fasori tensione e corrente:

Vj

Me

VV e Ij

Me II , (31)

e consideriamo il loro rapporto

M M

M M

V V Vˆ I II

v ij jZ e e ɺ . (32)

Dunque l’impedenza è un numero complesso avente per modulo il rapporto dei moduli dei fasori VM/IM e per fase l’angolo . Quest’angolo rappresenta la differenza di fase tra tensione e corrente. Chiamiamolo sfasamento per ragioni che vedremo tra breve. Questo angolo può essere negativo o positivo. Le impedenze e le ammettenze sono numeri complessi. Anche i fasori sono numeri complessi, tuttavia rappresentano una cosa diversa. I fasori sono la rappresentazione di funzioni sinusoidali nel dominio trasformato. Ad ognuno di essi corrisponde una funzione nel dominio del tempo. Una volta calcolato il fasore noi lo “anti-trasformiamo” per ottenere la funzione cercata. L’impedenza invece rappresenta un rapporto tra fasori nel dominio dei fasori. Non è una grandezza che poi “trasporto” nel dominio del tempo. È per questa differenza che usiamo simboli diversi. Nonostante la differenza di significato si tratta sempre di numeri complessi. A tal proposito facciamo qualche considerazione sul calcolo della fase. I fasori (come le impedenze) possono esprimersi in forma esponenziale e in forma trigonometrica. Per prepararci alla anti-trasformazione sarà necessario passare per la forma esponenziale che mi lascia individuare il modulo e la fase. Quindi anche se abbiamo lavorato con forme trigonometriche dovremo fare un passaggio finale alla forma esponenziale. L’aspetto critico è nel calcolo della fase. Dato un numero complesso in forma trigonometrica z= a + j b, (33) la sua forma esponenziale z= zMej si trova ponendo zM = (a2 + b2)1/2 (34) che risulta di semplice calcolo; e per la fase

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b

arctg se a 0 a

α= b

arctg + π se a 0a

(35)

dove è necessario discutere il segno in quanto bisogna tener presente in quale quadrante si trova il fasore.

2.3 Diagrammi fasoriali I fasori hanno un modulo MX e una fase α . Questo suggerisce di rappresentare i fasori in un piano, detto diagramma fasoriale, nel quale i fasori siano rappresentati da “vettori” aventi la coda nell’origine del riferimento e aventi il modulo proporzionale al modulo del fasore. La direzione e verso di questi “vettori” dipenderà dall’altro parametro, la fase. Dobbiamo scegliere un riferimento a cui riferire i vettori-fasori con le loro fasi. Scegliamo l’asse delle ascisse come riferimento per i vettori-fasori aventi fase nulla. Gli altri si collocheranno nel diagramma facendo ruotare il vettore-fasore dal riferimento scelto in senso antiorario di un angolo pari alla sua fase. Vediamo i diagrammi fasoriali per i singoli bipoli passivi. Supponiamo che il fasore della corrente sia a fase nulla, quindi collochiamolo sull’asse delle ascisse. Vediamo poi dove si trova il vettore-fasore tensione nei vari casi. Per il resistore la tensione ha la stessa fase della corrente e modulo pari a quello della corrente moltiplicato per il fattore R. Il diagramma risulterà pertanto quello di Fig.2. Si dice che i fasori sono in fase. V I

Fig.2 – Diagramma fasoriale per il resistore.

Per l’induttore la tensione ˆ ˆV ωLIj ha fase di 2

π rispetto alla fase supposta nulla

della corrente in quanto 2

πj

ej . Il modulo è pari a quello della corrente moltiplicato

il fattore L. Si ha quindi la Fig. 3. Si dice che la tensione è in anticipo di fase.

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V

I

Fig.3 – Diagramma fasoriale per l’induttore.

Infine per il condensatore la tensione ˆ ˆV IωC

j ha fase di

2

π rispetto alla corrente e

modulo scalato di 1

ωC rispetto a quello della corrente. Il diagramma fasoriale è

quello di Fig.4. Si dice che la corrente è in anticipo di fase. I V

Fig.4 – Diagramma fasoriale per il condensatore.

3. Potenza in regime sinusoidale

Supponiamo di avere un bipolo con tensione M vv t V sen ωt α e corrente

M ii t I sen ωt α . La potenza istantanea (assorbita o erogata) è data, così come

definito nella (6) della Lezione n.1, dalla relazione: M Mp V sen ω α I sen ω α

v it t t . (36)

La (36) rappresenta una potenza erogata se sul bipolo avremo fatto la convenzione del generatore, altrimenti la potenza sarà assorbita. Ricordando la formula:

1sen x sen y cos x y cos x y

2 e applicando la sostituzione:

πcos x y sen x y

2

, otteniamo la formula:

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1 πsen x sen y cos x y sen x y

2 2

,

che applicata al nostro caso fornisce:

M M M M

1 1 πp V I cosφ V I sen 2ω α α

2 2 2

v it t , (37)

dove φ α α

v i è detto sfasamento e cosφ è il così detto fattore di potenza.

Chi sono i due termini al secondo membro della (37)? Come si può vedere dalla Fig. 5, il primo rappresenta un termine costante che risulterà coincidente con la potenza

media che indicheremo con P, il secondo un termine dipendente dal tempo che viene denominato potenza fluttuante.

Fig.5 – Un grafico di esempio della funzione p(t). Verifichiamo quanto abbiamo detto per il primo termine. Consideriamo il valore medio della potenza istantanea p t , che chiamiamo P, della (37), otteniamo:

M M ef ef0

1 1P V I cosφ V I cosφ

2

n

p t p t dtn

, (38)

dove ω

2π è pari al periodo temporale delle funzioni tv e ti . La media

temporale della potenza fluttuante è nulla. Possiamo quindi riscrivere la (37) come:

M M

1 πp P V I 2ω α α2 2

v it sen t . (39)

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Si osservi che la potenza media dipende dalle ampiezze MV e MI e dal fattore di

potenza cosφ . Inoltre, essendo il coseno una funzione pari, la potenza media dipende solo dal valore assoluto di φ . Noi usiamo il metodo dei fasori e quindi vogliamo “trasportare” in quel dominio delle informazioni sugli aspetti energetici del sistema da studiare. Per far ciò introduciamo, nel dominio dei fasori, la seguente grandezza che chiamiamo potenza complessa:

M M M M

M M M M

1 ˆ ˆVI2

1 1V I V I cos α α sen α α2 21 1V I cos φ V I sen φ2 2

S

v ijjv vi ie e j

j

(40)

dove I rappresenta il coniugato del numero complesso I e dove abbiamo considerato z=1 il parametro arbitrario introdotto nella (11) di cui dobbiamo tener conto nella trasformazione nel dominio dei fasori. Si osservi subito che la parte reale della potenza complessa è uguale alla potenza media definita nel dominio del tempo (vedi la (38)). La grandezza introdotta nella (40) la chiamiamo potenza complessa. Questa “potenza” è una invenzione umana! Non si tratta di una potenza “trasformata” nel dominio dei fasori, ma piuttosto di una grandezza “costruita” direttamente in tale dominio. A valle di ciò si osserva che la parte reale della potenza complessa S coincide con la potenza media P. Possiamo scrivere la (40) nel seguente modo:

M M M M1 1V I cos φ V I sen φ P Q2 2

S j j , (41)

dove abbiamo introdotto la potenza attiva M M1P V I cos φ2

e la potenza reattiva

Q= M M

1V I sen φ

2. La potenza reattiva Q non ha alcun significato fisico.

Quello che abbiamo trovato è che: Re{S}=P, (42)

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cioè che la potenza attiva introdotta nel dominio dei fasori coincide con la potenza media (potenza “vera”) introdotta nel dominio del tempo. Se utilizziamo la seguente trasformazione (molto diffusa in letteratura) che utilizza i valori efficaci:

xx jMj

efxMee t(t)x

2

XXXsenX , (43)

(in cui 21z ) abbiamo che:

M M M M

V I V Iˆ ˆVI cos φ sen φ

V I V Icos φ sen φ P Q

2 2

S ef ef ef efj

j j. (44)

Dalla (44) si può desumere il triangolo delle potenze rappresentato in Fig. 6.

Fig.6 – Triangolo delle potenze nel dominio dei fasori.

Osserviamo che, quando usiamo anziché i valori massimi delle sinusoidi i valori efficaci, troviamo che la potenza attiva uguaglia la potenza media se utilizziamo la definizione di potenza complessa omettendo il termine 1/2. La potenza reattiva Q non ha corrispondenza nel dominio del tempo e non ha alcun significato fisico. Perché dunque la introduciamo? Il motivo risiede nel fatto che tale potenza tiene conto della presenza di elementi dinamici come induttori e condensatori. I resistori infatti, come vedremo, non assorbono potenza reattiva. Ancora meglio: Q tiene conto del fatto che esistono nel circuito bipoli che anche se non assorbono potenza media (lo vedremo tra breve), possono immagazzinare energia. Si può far vedere, infatti, che la potenza reattiva è legata all’energia magnetica immagazzinata in un induttore e a quella elettrica in un condensatore. Essendo il sen(.) una funzione dispari, il segno della potenza reattiva dipende dal segno dello sfasamento φ . In particolare per i condensatori, essendo φ negativo, si ha potenza reattiva negativa; viceversa per gli induttori, essendo φ positivo, si ha

P

Q

S

φ

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potenza reattiva positiva. Come si vede dunque il segno di Q ci basta ad individuare la natura del carico considerato. Infine, si definisce potenza apparente il modulo della potenza complessa:

2 2S P Q S . (45)

Per quanto riguarda le unità di misura, per la potenza attiva (P) si usa il Watt, essendo essa effettivamente una potenza, mentre per la potenza reattiva (Q) si utilizza il Var (Volt - ampere - reattivo). Vediamo quanto valgono la potenza attiva e quella reattiva nei vari bipoli. 3.1 Potenza attiva e reattiva nel resistore, condensatore, induttore e generatore L’equazione caratteristica del resistore, considerando la convenzione dell’utilizzatore, risulta essere IV R , cioè iv jj

eRe

MM IV , da cui si ricava che

MM IV R e α α 0v i .

Quindi la potenza attiva assorbita risulta:

2M M Mφ

1 1P V I cos I2 2

R ,

mentre la potenza reattiva assorbita:

M M

1Q V I senφ 0

2 .

L’equazione caratteristica del condensatore, secondo la convenzione dell’utilizzatore, risulta essere ˆ ˆI ωCVj , rappresentando j in forma esponenziale ed esplicitando I e

V abbiamo: 2M MI ωCV

vi

jje e

da cui si ricava che

M MI ωCV e π π

α α α α φ2 2

i v v i

.

Quindi la potenza attiva assorbita risulta:

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M M1 πP V I cos 02 2

,

mentre la potenza reattiva assorbita:

2

M M M

1 π 1Q V I sen ωCV

2 2 2

L’equazione caratteristica dell’induttore, secondo la convenzione dell’utilizzatore, risulta essere ˆ ˆV ωLIj , rappresentando j in forma esponenziale ed esplicitando I e

V abbiamo: 2M MV ωLI

iv

jje e

da cui si ricava che

M MV ωLI e π π

α α α α φ2 2

v i v i

.

Quindi la potenza attiva assorbita risulta:

M M1 πP V I cos 02 2

,

mentre la potenza reattiva assorbita:

2

M M M

1 π 1Q V I ωLI

2 2 2sen

.

In generale avremo che i generatori presenti in un circuito erogano sia potenza attiva che potenza reattiva. In questo modo forniranno ai bipoli passivi presenti nel circuito la potenza attiva e reattiva richiesta. I valori di potenza attiva e reattiva P e Q dipenderanno, appunto, dal carico alimentato dal generatore. Si può utilizzare la sovrapposizione degli effetti nel calcolo della potenza quando vi sono presenti in un circuito a regime più generatori di tipo sinusoidale isofrequenziali? Per poter rispondere a questa domanda osserviamo che la potenza è definita come prodotto della tensione per la corrente e quindi, sebbene sia la tensione che la corrente, grazie alla linearità del sistema, si calcolano come la somma delle risposte ai vari generatori, la potenza NON risulterà anch’essa pari alla somma delle potenze calcolabili facendo funzionare un generatore alla volta. La potenza dunque non può calcolarsi con il principio di sovrapposizione degli effetti e sarà pertanto necessario calcolare i fasori tensione e corrente dovuti ai vari generatori con il principio di

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sovrapposizione e solo in seguito calcolare la potenza come prodotto tra i due fasori complessivi.

3.2 Teorema di Tellegen in regime sinusoidale Una volta introdotta la potenza in regime sinusoidale, occupiamoci di un teorema importantissimo quando applicato al regime sinusoidale. Il teorema di Tellegen. Questo teorema continua a valere in regime sinusoidale. Ricordiamo, infatti, che ogni circuito che verifica i principi di Kirchhoff, quindi anche un circuito in regime sinusoidale, verifica il teorema di Tellegen. Il teorema ci dice che in regime sinusoidale si conservano le potenze istantanee virtuali. Ma come vedremo tra breve ci dice molto di più. Trasformiamo la formula di conservazione del teorema scritta nel dominio del tempo

01

'

l

i

ii titv , (46)

in una formula in cui si utilizzano i fasori. Ricordiamo che l’apice rappresenta il fatto che l’insieme delle tensioni è preso da un circuito e l’insieme delle correnti da un altro. L’obiettivo che ci poniamo nel dominio dei fasori è quello di trovare una formula di conservazione per le potenze complesse. Nella (46) abbiamo che ogni singolo termine rappresenta un prodotto tra funzioni del tempo. Questi prodotti non si possono “trasformare” nel dominio dei fasori considerando il prodotto tra i fasori corrispondenti alla tensione e alla corrente. Ricordiamo che noi abbiamo introdotto, nel dominio dei fasori, la potenza complessa per convenienza in modo arbitrario. Allo stesso modo introduciamo un teorema di conservazione che somma le potenze complesse: consideriamo il prodotto del fasore tensione per il coniugato del fasore

corrente diviso 2: *

i

'

i IV2

1 . Consideriamo anche in questo caso due circuiti aventi stessa

topologia ma eventualmente bipoli diversi. In questo modo introduciamo un teorema di conservazione che ci dice che la somma delle potenze virtuali complesse assorbite (o erogate) in un circuito è zero. Cioè:

0IV2

1IV

2

1

1

'*

1

*'

l

i

ii

l

i

ii . (47)

Dove ricordiamo che nella (47) i termini della sommatoria hanno tutti lo stesso segno avendo fatto la stessa convenzione su tutti i bipoli. Per dimostrare la (47) facciamo riferimento alla prima sommatoria, e scriviamola in forma compatta matriciale:

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' * * ' *T '

1 1

1 1ˆ ˆ ˆ ˆ ˆ ˆV I I V2 2

I Vl l

i i i ii i

, (48)

dove al secondo membro abbiamo un prodotto tra un vettore riga e un vettore colonna, e quindi un prodotto scalare. Osserviamo che la prima legge di Kirchhoff vale anche per i fasori della corrente (vedi la (5) della Lezione n.3) ed essendo I un numero complesso, la prima legge vale anche per i coniugati dei fasori, cioè (fissato un nodo):

1

I 0

ii

*n

. (49)

L’insieme di tutte le leggi di Kirchhoff indipendenti agli n-1 nodi nel dominio dei fasori la possiamo scrivere in forma compatta:

*

rˆ 0A I , (50)

dove Ar è la matrice d’incidenza ridotta.

Osserviamo poi che il fasore della tensione Vi può essere espresso come differenza di

potenziale di nodo e quindi (vedi la (6) della Lezione n.3):

V i s r

, (51)

dove il lato i-simo afferisce ai nodi s ed r. Le l-(n-1) equazioni indipendenti della seconda legge di Kirchhoff si possono scrivere in forma compatta:

' T

rˆ 'V A . (52)

Fatte queste osservazioni, la dimostrazione del teorema si riconduce a quella fatta nel dominio del tempo (vedi Lezione n. 3). Dalla (48) e dalla (52) scriviamo:

*T ' *T T

rˆ ˆ ˆ 'I V I A , (53)

che possiamo riscrivere, utilizzando la proprietà delle matrici trasposte (AB)T=BTAT :

T*T ' *T T *

r rˆ ˆ ˆ ˆA ' A ' 0 I V I I . (54)

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Quindi, analogamente a quanto fatto nel dominio del tempo (Lezione n.3), abbiamo dimostrato che esiste, nel dominio dei fasori una legge di conservazione delle potenze complesse. Inoltre, in riferimento ad unico circuito, essendo:

l

i

jjl

i

*ii

ii

i

iv

i

eeˆˆ

1MM

1

IVIV

. (55)

Si ha, posto

i ii v iα α ,

M M M M a1 1 1 1

1 1ˆ ˆV I V I cos V I P2 2i i i i i

l l l l*

i i i i ii i i i

j sen j Q

(56)

Per il teorema di conservazione (50) abbiamo che:

a1 1

P 0i

l l

ii i

j Q

(57)

e quindi

a1

P 0i

l

i

, (58)

01

l

iiQ . (59)

Le relazioni (58) e (59) ci dicono una cosa molto importante: sia le potenze attive assorbite (generate) che le potenze reattive assorbite (generate) si conservano.

In un circuito si verifica sempre un bilancio di potenze attive e reattive. La potenza attiva erogata dal generatore (potenza assorbita negativa) uguaglierà la somma di tutte le potenze attive assorbite dai bipoli passivi. Lo stesso dicasi per la potenza reattiva.

4. Definizione di Funzione di Rete in un circuito a regime sinusoidale

Siamo in regime sinusoidale. Il circuito può essere studiato nel dominio dei fasori. In questo paragrafo introduciamo una funzione, detta funzione di rete, molto utile per una analisi sintetica del circuito che si intende studiare. Per introdurre la funzione di rete risulta necessario descrivere il circuito con un approccio di tipo sistemistico: pensiamo il circuito come un sistema (fisico) ingresso – uscita. In questo caso

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sottolineiamo che il sistema è in regime sinusoidale e il sistema ingresso – uscita lo si studia nel dominio dei fasori. Consideriamo la Fig.7. L’uscita x(t) può essere qualsiasi grandezza del circuito (tensione o corrente).

Fig.7 – Il circuito come sistema ingresso-uscita. Se trasformiamo il circuito considerato in Fig.7 nel dominio dei fasori facciamo riferimento alla Fig.8.

Fig.8 – Il circuito come sistema ingresso-uscita nel dominio dei fasori.

Ci domandiamo se esiste una relazione tipica che lega il fasore di ingresso G al

fasore di uscita X . Abbiamo detto che nel dominio dei fasori lavoriamo in modo uguale a quanto facciamo per i circuiti resistivi, tranne considerare impedenze al posto dei resistori e quindi trattare con i numeri complessi. Lavorando con impedenze equivalenti serie e parallelo e con i partitori di tensione e corrente, è sempre possibile riuscire ad individuare una relazione tra il fasore della grandezza che abbiamo scelto di uscita e il fasore del generatore. La relazione sarà del tipo: GωHωX jj , (60)

dove la funzione H(.) è una quantità che troviamo grazie ad operazioni di equivalenza tra impedenze e di partitori. Nella (60) abbiamo esplicitamente espresso la

g(t)=GMsen(t+g) Circuito in regime sinusoidale

x(t)=XMsen(t+x)

G Circuito trasformato nel dominio dei fasori

X

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dipendenza dalla j in quanto vogliamo evidenziare che, grazie alla presenza di eventuali induttori e condensatori, le impedenze equivalenti possono contenere la dipendenza dalla pulsazione. Dunque, mentre il fasore il fasore G non dipenderà dalla , dobbiamo evidenziare che, grazie alla presenza della funzione ωH j ,

l’uscita dipenderà dalla pulsazione : ωXX j . Noi siamo abituati al fatto che in

un regime sinusoidale la pulsazione è fissata e quindi non va considerata variabile indipendente. In questo contesto evidenziamo la dipendenza della funzione di rete e quindi dell’uscita dalla pulsazione in quanto vogliamo studiare il comportamento dell’uscita come dipende dalla pulsazione scelta per il generatore. Dobbiamo quindi immaginare che la pulsazione del generatore sia un parametro da poter variare. La funzione ωH j è detta Funzione di Rete del circuito. È facile convincersi che

tale funzione sarà una funzione complessa del tipo rapporto di polinomi in j. La funzione di rete NON è un fasore così come non lo sono l’impedenza e l’ammettenza. Consideriamo il tipo di uscita: tensione ωVV outout j o corrente ωII outout j ;

consideriamo il tipo di generatore di corrente J o di tensione E . Abbiamo quattro casi:

EωHωVout jj , (61a)

JωHωIout jj , (61b)

JωHωVout jj , (61c)

EωHωIout jj . (61d)

Negli ultimi due casi la funzione di rete si chiama rispettivamente funzione impedenza e funzione ammettenza. Una volta trovata la funzione di rete bisogna tenere conto che, essendo le funzioni di rete quantità complesse, vanno esplicitate in modulo e fase. Graficando il modulo e la fase di una funzione di rete si possono facilmente visualizzare le risposte in ampiezza e fase del circuito in funzione della pulsazione del generatore ω e determinare le caratteristiche “filtranti” del circuito. Nel caso di circuiti lineari dinamici del secondo ordine si può anche facilmente determinare la frequenza di risonanza utilizzando le funzioni di rete impedenze e ammettenze, e determinare il fattore di qualità del circuito risonante.

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5. Filtri passivi

In elettronica un filtro è un dispositivo che realizza delle funzioni di trasformazione dei segnali. In particolare la sua funzione può essere quella di filtrare determinate bande di frequenza lasciando passare le frequenze più alte o più basse di un valore determinato di , o quelle comprese in un intervallo prestabilito.

I tipi più comuni di filtri elettronici sono lineari, indipendentemente da altri aspetti del loro progetto. Molti filtri sono anche dei sistemi risonanti.

Ogni dispositivo reale funge per sua natura da filtro. La realizzazione più semplice di un filtro lineare è basata sulla combinazione di resistori, condensatori e induttori. Questi filtri sono i cosiddetti circuiti RC, RL, LC e RLC. Nel loro complesso sono chiamati "filtri passivi", perché il loro funzionamento non dipende da una fonte di alimentazione esterna. Gli induttori bloccano i segnali ad alta frequenza e conducono quelli a bassa frequenza, mentre il condensatore si comportano al contrario. Un filtro in cui il segnale passa attraverso un induttore, o nel quale un condensatore fornisce un percorso verso terra, presenta quindi minore attenuazione ai segnali a bassa frequenza che a quelli ad alta frequenza ed è un filtro passa basso. Se il segnale passa attraverso un condensatore, o ha un percorso a terra attraverso un induttore, allora il filtro presenta un'attenuazione minore per i segnali ad alta frequenza che per quelli a bassa frequenza, ed è un filtro passa alto. I resistori da parte loro non hanno la proprietà di selezionare le frequenze, ma sono aggiunti a condensatori e induttori per determinare le costanti di tempo del circuito, e quindi le frequenze a cui essi rispondono. Nel seguito analizzeremo il fenomeno della risonanza in circuiti semplici (RLC serie e parallelo), le sue proprietà e il comportamento filtrante che hanno questi circuiti opportunamente utilizzati. 5.1. RLC in serie in risonanza Un circuito in regime sinusoidale, comunque complesso, nel quale siano presenti resistenze, induttanze e capacità e un solo elemento attivo si dice in risonanza quando, rispetto al generatore che lo alimenta, si comporta come un circuito puramente ohmico. Noi osserveremo il fenomeno della risonanza nel circuito RCL serie illustrato in Fig.9.

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Fig. 9 – Circuito RLC serie. Consideriamo il funzionamento in regime sinusoidale di tale circuito. Immaginiamo che la pulsazione del generatore di Fig. 9 non sia fissata. Lasciamo che sia un parametro del problema. Il fasore jeˆ

MII rappresentativo della corrente )t(sen)t(i αωIM è dato da,

utilizzando la (61d):

eq

1ˆ ˆ ˆI H E EZ

ɺ

j , (62)

dove MEE ˆ rappresenta il fasore relativo alla tensione del generatore

Me( ) E ( )t sen t e

ωC

1ωLRZeq j (63)

è l’impedenza equivalente della serie del resistore, dell’induttore e del condensatore. Il modulo del fasore corrente è:

2

2

MM

ωC

1ωLR

EωI

. (64)

Consideriamo, ora, l’andamento del modulo della corrente IM al variare della pulsazione . È immediato verificare che il valore del modulo IM tende a zero per

vR(t) vL(t)

R C e(t)

i(t)

vC(t) L

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e per ,mentre assume il suo valore massimo in corrispondenza della pulsazione caratteristica del circuito:

LC

1ω0 . (65)

La pulsazione (65) prende il nome di pulsazione di risonanza. Quando alimentiamo il circuito con un generatore di pulsazione uguale a quella di risonanza abbiamo che il modulo del fasore corrente presenta il suo valore massimo ammissibile. In questo caso diciamo che il circuito si trova in risonanza. Vediamo quali sono le proprietà che si manifestano quando il circuito si trova in risonanza. È facile verificare che per tale valore della pulsazione la parte immaginaria dell’impedenza eqZɺ è uguale a zero, essendo infatti la reattanza del condensatore

opposta di quella dell’induttore, e quindi l’impedenza risulta puramente resistiva. In questo caso il modulo di eqZɺ assume il valore minimo.

quindi abbiamo graficato VRM/EM. Il valore del modulo della corrente alla pulsazione di risonanza è quindi uguale a:

R

EωI

M

M0

, (66)

uguale, cioè, alla corrente che si avrebbe se nel circuito vi fosse solo il resistore. In Fig. 11 abbiamo rappresentato il grafico della funzione (64) normalizzato ad EM/R; Dunque alla risonanza si verifica che la tensione del condensatore CV è l’opposto di

quella dell’induttore LV , e quindi la tensione sul resistore è uguale a quella del

generatore. Questo significa che alla risonanza la differenza di fase tra le due tensioni è di 180o, mentre i valori di picco sono uguali. Da un punto di vista energetico possiamo osservare che la potenza fornita dal generatore viene assorbita senza che venga immagazzinata alcuna parte. L’induttore e il condensatore, infatti, alla risonanza si scambiano continuamente energia senza che venga coinvolta la sorgente.

Fig. 10 – Andamento del modulo della corrente della maglia

in un circuito RLC serie (vedi la (64)) con frequenza di risonanza pari a 2.

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In definitiva, alla pulsazione di risonanza il circuito, rispetto alla tensione che lo alimenta, si comporta come se fosse puramente ohmico. Esaminiamo il rapporto tra le i moduli massimi delle tensioni degli elementi conservatori di energia e il valore massimo della tensione del generatore:

R

ωRI

ωLIω

E

ωV

E

ωV0

0M

0M0

M

0C

M

0L MM . (67)

Concludiamo che se 0L>>R, allora la tensione sull’induttore e il condensatore possono assumere valori molto elevati nonostante la sorgente abbiamo un valore massimo esiguo. Ciò dipende dal valore della pulsazione di risonanza rispetto al rapporto L/R. Il circuito in risonanza può diventare pericoloso nonostante l’utilizzo di piccoli valori per il modulo della tensione del generatore. Consideriamo infine la fase della corrente:

2

1 0I 2

ωL ωω tan 1

R ω

. (68)

Per 0ωω la fase (68) è positiva e la reattanza equivalente è di tipo capacitivo.

Per 0ωω la fase (68) è negativa e la reattanza equivalente è di tipo induttivo.

Fig. 11 – Andamento della fase della corrente della maglia in un circuito RLC serie (vedi la (68)) con frequenza di risonanza pari a 2.

5.2. RLC in parallelo in risonanza Il circuito RLC parallelo manifesta anch’esso il fenomeno della risonanza. Tuttavia in questo caso avremo un generatore di corrente al posto di quello di tensione e dovremo considerare in uscita la tensione sul parallelo come abbiamo evidenziato in Fig. 12.

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Fig. 12 – Il circuito RLC parallelo come filtro passa - banda. Noi osserveremo il fenomeno della risonanza nel circuito RCL parallelo illustrato in Fig. 13.

Fig. 13 – Circuito RLC parallelo. Consideriamo il funzionamento in regime sinusoidale di tale circuito. Il fasore MV V je rappresentativo della tensione M( ) V (ω α)v t sen t è dato da:

eq

JV

, (69)

dove MJ J rappresenta il fasore relativo alla corrente del generatore

Mj( ) J ( )t sen t , e dove

eq

1 1Y ωC

R ωLj

ɺ (70)

è l’ammettenza equivalente del parallelo del resistore, dell’induttore e del condensatore.

Circuit RLC parallelo j(t) v(t)

j(t) iL iR

II

v(t)

iC

R L C

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Il modulo del fasore tensione è:

MM 2 2

JV ω

1 1ωC

R ωL

. (71)

Consideriamo, ora, l’andamento del modulo della tensione VM al variare della pulsazione . È immediato verificare che la (71) ha la stessa forma della (64) e che quindi il valore del modulo VM tende a zero per e per ,mentre assume il suo valore massimo in corrispondenza della pulsazione caratteristica del circuito:

LC

1ω0 . (72)

La pulsazione (72) prende lo stesso nome della (65) e cioè pulsazione di risonanza. Quando alimentiamo il circuito con un generatore di pulsazione uguale a quella di risonanza abbiamo che il modulo del fasore tensione presenta il suo valore massimo ammissibile. In questo caso diciamo che il circuito si trova in risonanza. Anche in questo caso del parallelo è facile verificare che per tale valore della pulsazione la parte immaginaria dell’ammettenza eqYɺ è uguale a zero, essendo infatti

la reattanza del condensatore opposta di quella dell’induttore, e quindi l’impedenza risulta puramente resistiva. In questo caso il modulo di eqYɺ assume il valore minimo.

quindi abbiamo disegnato il grafico del modulo del fasore tensione della (71) normalizzato a RJM: VM()/RJM. Il valore del modulo della tensione alla pulsazione di risonanza è infatti uguale a:

0

M MV ω RJ

, (73)

uguale, cioè, alla tensione che si avrebbe se nel circuito vi fosse solo il resistore. In Fig. 14 abbiamo rappresentato il grafico della funzione (71) normalizzato ad RJM;

Dunque alla risonanza si verifica che la corrente del condensatore CI è l’opposto di

quella dell’induttore LI , e quindi la corrente sul resistore è uguale a quella del

generatore. Questo significa che alla risonanza la differenza di fase tra le due correnti è di 180o, mentre i valori di picco sono uguali. Da un punto di vista energetico possiamo osservare che la potenza fornita dal generatore viene assorbita senza che venga immagazzinata alcuna parte. L’induttore e il condensatore, infatti, alla risonanza si scambiano continuamente energia senza che venga coinvolta la sorgente.

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Fig. 14 – Andamento del modulo della tensione del parallelo del circuito RLC parallelo (vedi la (71)) con frequenza di risonanza pari a 2.

. In definitiva, alla pulsazione di risonanza il circuito, rispetto alla corrente che lo alimenta, si comporta come se fosse puramente ohmico. Esaminiamo il rapporto tra le i moduli massimi delle correnti degli elementi conservatori di energia e il valore massimo della tensione del generatore:

M ML 0 C 0 0 M 0

0

M M M 0

I ω I ω ω CV ωω RC

J J V ω / R . (74)

Concludiamo che se 0C>>1/R, allora la corrente nell’induttore e nel condensatore possono assumere valori molto elevati nonostante la sorgente abbiamo un valore massimo esiguo. Ciò dipende dal valore della pulsazione di risonanza rispetto al costante RC. Il circuito in risonanza può diventare pericoloso nonostante l’utilizzo di piccoli valori per il modulo della corrente del generatore. Consideriamo la fase della tensione:

2

1 0V 2

ωφ ω tan ωRC 1

ω

. (75)

Per 0ωω la fase (75) è positiva e la reattanza equivalente è di tipo capacitivo.

Per 0ωω la fase (75) è negativa e la reattanza equivalente è di tipo induttivo.

Fig. 15 – Andamento della fase della tensione del parallelo del circuito RLC parallelo

(vedi la (75)) con frequenza di risonanza pari a 2.

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5.3. Filtro passa banda Vediamo come utilizzare il circuito RLC serie e parallelo come filtro passa – banda. Se consideriamo come uscita del circuito RLC serie la corrente della maglia abbiamo che il sistema si comporta come un filtro passa – banda. Infatti se guardiamo la Fig. 9 o la Fig. 14, è evidente che il circuito filtra solo i segnali in ingresso che sono “sintonizzati” intorno alla frequenza di risonanza. Quando alimento il circuito con un generatore di pulsazione prossima a quella di risonanza il valore del segnale in uscita è apprezzabile, quando la pulsazione del generatore è lontana da quella di risonanza il segnale in uscita risulta debole. I circuiti risonanti, almeno da un punto di vista di principio, sono quelli che si utilizzano nelle comunicazioni quando si voglia selezionare un segnale di una data frequenza presente in tutto lo spettro che il sistema ricevente raccoglie. La selezione avviene facendo variare la frequenza di risonanza del sistema ricevente (quindi i parametri R, L e C) che si “accorda” con la frequenza cercata grazie al fatto che a quella frequenza si ha un picco di corrente. Si osservi che, grazie alla relazione caratteristica del resistore, possiamo considerare come segnale d’uscita anche la tensione del resistore. Il valore massimo che assume la tensione (segnale d’uscita) è pari proprio alla tensione del generatore. 5.4 Esercizi: circuiti con elementi in risonanza. In questo paragrafo risolveremo due esercizi in regime sinusoidale nei quali i due elementi reattivi, condensatore e induttore, si trovano in risonanza. Ricordandoci che, come visto per i circuiti RLC serie e parallelo in risonanza, quando siamo nella condizione in cui le reattanze dei due elementi sono uguali, e cioè: XL = XC , (76) Possiamo affermare che: se i due bipoli sono in serie => la loro serie si comporta come un corto circuito se i due bipoli sono in parallelo => il loro parallelo equivale ad un circuito aperto Infatti nel caso specifico dell’RLC serie in risonanza, abbiamo che il carico visto dal generatore è puramente resistivo e la somma delle due tensioni dei bipoli è nulla. Il generatore “non si accorge” della presenza dei bipoli reattivi. Anche nel caso dell’RLC parallelo in risonanza, abbiamo che il carico visto dal generatore è puramente resistivo e la somma delle due correnti dei bipoli è nulla. Ma osserviamo che: nell’RLC serie in risonanza pur se la somma totale della tensione sulla serie dei bipoli reattivi è nulla si assiste al passaggio di corrente, dualmente per l’RLC

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parallelo, pur se la somma totale delle due correnti dei bipoli reattivi è nulla, si può misurare una tensione non nulla ai capi del parallelo.

(a) (b)

Fig. 16 – Reattanze in risonanza serie e parallelo.

Per sottolineare quanto appena detto, guardiamo la Fig. 16 e assumiamo che in (a) e (b) sia verificato XC=XL. Per la configurazione (a) possiamo scrivere:

L s s sL sC s sˆ ˆ ˆ ˆ ˆ ˆX I X I V V V 0; I 0

C , (77)

e quindi avrà senso calcolare la corrente diversa da zero che attraversa la serie dei due bipoli. Analogamente per la configurazione (b):

p L p C pL pC p pˆ ˆ ˆ ˆ ˆ ˆV /X = V /X I I I 0; V 0 , (78)

e quindi avrà senso calcolare la tensione diversa da zero che esiste sul parallelo dei due bipoli.

Consideriamo ora il circuito di Fig.17. Vogliamo determinare il fasore I . I dati del problema sono:

1E =3; 2E =30j; XL=10; XC=10; R=10.

Consideriamo la maglia indicata in Fig.17 con la linea tratteggiata e scriviamo per essa la II LdK:

R C p 1 L p 2ˆ ˆ ˆ ˆ ˆV X I +E +X I E =0 . (79)

Tenendo conto che XC=XL possiamo riscrivere la (78):

XL XC

Îp

ÎpL ÎpC

Vp

Îs

^

^

^

^ VsL

VsC

Vs

XL

XC

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R 1 2ˆ ˆ ˆV = E E , (80)

da cui ricaviamo:

2 1ˆ ˆE E

I= 0,3 3R

j

. (81)

Fig. 17 – Circuito con elementi in risonanza serie.

Nel risolvere questo semplice esercizio abbiamo visto come agisce la risonanza serie. Osserviamo che in questo circuito i due elementi reattivi non si trovano in serie ma la somma delle loro tensione dà comunque un contributo nullo alla equazione della maglia considerata. Ha senso dunque considerare il circuito di Fig. 18 come equivalente a quello di Fig. 17. Tuttavia se in riferimento al circuito iniziale di Fig. 715 si dovesse chiedere il valore della tensione di uno dei due bipoli reattivi, la risposta dovrebbe tener conto della presenza dei due bipoli reattivi anche se non condizionano il valore delle altre grandezze presenti nel circuito. Detto in altre parole …. i due bipoli ci sono ma non si vedono!

Fig. 18 – Circuito equivalente a quello di Fig. 15.

XC

Î

Ê1

R

XL

Ê2 R ^ VR

Î

Ê1

R Ê2 R

^ VR

VC ^

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In particolare il fasore della tensione CV della Fig.17 si potrà calcolare nel modo

seguente:

C Cˆ ˆV = X I 10 ( 0,3 3) 3 30 0 j j j j . (82)

Consideriamo ora il circuito di Fig. 19 dove i due bipoli reattivi si presentano in

parallelo. Vogliamo determinare il fasore V . I dati del problema sono: E =30j; XL=10; XC=10; R1=10R2=10.

Fig. 19 – Circuito con elementi in risonanza parallelo.

I due bipoli reattivi si trovano in risonanza e quindi si comportano come un bipolo circuito aperto. Possiamo risolvere il problema considerando il circuito di Fig.20

equivalente a quello di Fig. 19 ai fini del calcolo di V . Dalla Fig.20 si evince che la soluzione del problema richiesto è banale in quanto: ˆ ˆV=RI 0 , (83)

dove il fasore della corrente V è quella che attraversa la resistenza ed è nulla poiché la resistenza si trova in serie ad un circuito aperto.

Volendo poi calcolare il fasore della corrente CI , cominciamo a calcolare dalla Fig.20

la tensione a vuoto 0V :

0ˆ ˆV =E=30j , (84)

R2

R1

XC

Ê

XL

V ^

^ IC

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e dunque:

C

C

E 30I = = 3 0

X 10

j

j j. (85)

Quindi possiamo osservare come, nonostante il parallelo sia equivalente ad un circuito aperto, la corrente nei due bipoli reattivi in risonanza è diversa da zero.

Fig. 20 – Circuito equivalente al circuito di Fig. 17. 6. Circuiti con wattmetri

In questo paragrafo affrontiamo il tema dell’uso di un wattmetro in un circuito sinusoidale per misurare la potenza attiva assorbita o erogata da un bipolo. Nella Lezione n.2 abbiamo introdotto il wattmetro e nella Fig. 21 di quella lezione abbiamo mostrato come si inserisce allo scopo di misurare la potenza assorbita o erogata dal bipolo B. Ci chiediamo in questo contesto come usare un wattmetro in un circuito in regime sinusoidale il quale è stato trasformato nel dominio dei fasori. A tale scopo riproduciamo la Fig. 21 della Lezione n.2 ma con il circuito trasformato in regime sinusoidale: si veda la Fig. 21 nel seguito. La prima domanda che ci poniamo è: cosa misura il wattmetro? Considerando si essere in regime sinusoidale il wattmetro misurerà la potenza attiva in questo caso assorbita dal bipolo B. Utilizzando l’espressione (41) e (42) di questa lezione possiamo riscrivere:

R2

R1 Ê

V ^

^ V0

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M M ef ef1P V I cos V I cos2

(86)

Dove VM e IM sono i valori massimi, Vef e Ief sono i valori efficaci dei fasori tensione e corrente di B e è lo sfasamento tra i due fasori.

Fig. 21 – Inserimento di un Wattmetro in regime sinusoidale. Per determinare dunque la misura effettuata dal wattmetro sarà necessario calcolare il fasore tensione ed il fasore corrente del bipolo B. Il wattmetro potrebbe essere inserito in maniera più complicata come in Fig. 22. Il circuito mostrato è quello di un esercizio proposto alla sessione di esami di gennaio 2018. L’esercizio chiedeva il calcolo della misura del wattmetro W. In questo caso la voltmetrica e l’amperometrica non sono riferite ad un unico bipolo. Pertanto il wattmetro non misura una vera potenza attiva assorbita o erogata da un bipolo. In questo caso il wattmetro misurerà:

* *1 ˆ ˆ ˆ ˆVI V I2

W ef efRe Re (87)

Con V e *I rispettivamente fasore della tensione e coniugato del fasore della corrente

indicati in Fig.22. Vef e *Ief sono i fasori quando sono stati utilizzati i valori efficaci

nella trasformazione in fasori. Per risolvere l’esercizio basterà quindi calcolare i fasori V e I ( Vef e Ief ) e poi

utilizzare la formula (87). A tale scopo risulta conveniente rimuovere il wattmetro dal circuito per poter analizzarlo più agevolmente come abbiamo fatto in Fig.23. Dalla figura si evince immediatamente che la tensione utilizzata dalla misura del wattmetro è nulla, pertanto la potenza calcolata è nulla!

A

B

Î Sotto-circuito C

Bipolo B

W

V

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Fig. 22 – Circuito in regime sinusoidale con wattmetro.

Fig. 23 – Circuito della Fig.22 a cui è stato rimosso il wattmetro.

7. Line di trasporto dell’energia elettrica e rifasamento di un carico

In questo paragrafo affronteremo un esercizio che riguarda la distribuzione dell’energia ed in particolare la sua efficienza e la minimizzazione dei costi lungo la linea che trasporta tale energia. Consideriamo la Fig. 24. Si tratta di un schema che rappresenta la produzione, la distribuzione/trasmissione e il consumo dell’energia elettrica. Abbiamo un sistema

Ê

R1

X

+

+ W

XL

R2 ^ V

Î

Ê

R1

XXL

R2 ^ V

Î

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che abbiamo chiamato G che rappresenta una centrale di produzione, una linea di trasmissione che abbiamo chiamato l e un carico Ca. Nella realtà le centrali di produzione convertono energia di altro tipo come meccanica in energia elettrica, la linea di trasmissione è (la possiamo osservare lungo le strade di campagna), costituita da alti tralicci collegati da una serie di conduttori (sistemi trifase di trasmissione), il carico può essere il frigorifero di casa o meglio l’insieme degli apparecchi elettrici presenti a casa nostra.

Fig. 24 – Sistema di trasporto dell’energia elettrica. Nonostante le linee di trasmissione insieme con i centri di produzione e i carichi collegati costituiscano un sistema grande e complesso di distribuzione dell’energia, è possibile utilizzare un modello circuitale. Pertanto in Fig. 25 abbiamo rappresentato il sistema di Fig. 24 attraverso l’uso di un generatore ideale che rappresenta la centrale di produzione, una resistenza che rappresenta la linea di trasmissione, un’impedenza che rappresenta il carico. Supponiamo di essere in regime sinusoidale in quanto i sistemi di trasporto dell’energia elettrica operano in regime sinusoidale ad una data frequenza (50 Hz in Europa). Il carico Ca tipicamente sarà un carico ohmico-induttivo e dunque la reattanza della sua impedenza sarà positiva: Z=R+jXɺ , (88) con X>0. Il carico Ca per funzionare avrà necessità di assorbire una potenza attiva P pari a: P=V I cos(φ)ef ef , (89)

dove cos(φ)è il fattore di potenza del carico Ca, Vef e Ief i valori efficaci dei fasori tensione e corrente del carico Ca. Dalla (89) ricaviamo che la corrente che attraverserà la resistenza di linea Rl, e cioè la Il, sarà uguale a quella del carico Ca e dunque uguale a:

A

B

Ca G

l

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2 2P +QP SI =I =V cos(φ) V V

l ef

ef ef ef

, (90)

dove S è la potenza apparente assorbita dal carico, P quella attiva e Q quella reattiva.

Fig.25 – Modello circuitale del sistema di Fig. 24.

La potenza attiva erogata dal generatore PE sarà data da:

EP =P +Pl . (91)

Nella (91), una volta fissata la potenza attiva P necessaria al funzionamento del carico Ca, la potenza da produrre PE dipenderà dal valore della potenza attiva Pl dissipata per effetto Joule lungo la linea e quindi nella resistenza Rl. L’espressione di tale potenza è:

2P =R Il l l . (92)

Affinché la potenza da produrre nella centrale PE sia il più piccola possibile, e ciò per ridurre i costi di produzione, dovrà essere quanto più piccola possibile la potenza dissipata Pl della (92). Ciò si ottiene agendo sul valore efficace della corrente lungo la linea Il. Per far questo consideriamo l’espressione (90) dove il valore efficace della tensione Vef e la potenza P le dobbiamo considerare fissate. Per diminuire il valore di Ief possiamo dunque agire solo sul fattore di potenza cos φ o equivalentemente, sulla

potenza reattiva Q. In particolare cercheremo di massimizzare il fattore cos φ o,

equivalentemente, a minimizzare la potenza Q. Ricordiamo che un grande cos φ si

ottiene per uno sfasamento φ che tende a e quindi per un carico che tende ad essere resistivo, che corrisponde ad una potenza reattiva che tende a zero. Come possiamo, senza “toccare” quello che è presente nel sistema di Fig.25, far aumentare il cos φ ? Con il cosiddetto rifasamento del carico che prevede

l’inserimento di un condensatore tra i nodi A-B in parallelo al carico come in Fig.26.

A

B

Î

Z V Ê + -

Rl

Îl

.

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Fig.26 – Sistema di trasporto con carico rifasato.

Con l’inserimento del condensatore di reattanza XC la corrente lungo la linea diventa:

2 2P +Q'PVV '

I I'l l

efefcos φ

, (93)

dove per minimizzare il valore di I'l realizziamo:

C 2C

VQ'=Q Q Q 0

Xef e (94)

2 2

P 1P Q'

cos φ'

. (95)

In conclusione volendo fornire al carico una data potenza attiva P si potrà chiedere di rifasare il carico e quindi di utilizzare banchi di condensatori in maniera da ottenere un accettabile valore del fattore di potenza e dunque accettabili valori di corrente lungo la linea.

A

B

Î

Z V Ê Rl

Î’l

XC .