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Lezione 4 La preghiera 9 Premessa. Alcuni accenni iniziali L’argomento della preghiera è talmente tanto importante per la spiritualità cristiana, che è bene considerare questo discorso confrontando le tradizioni spirituali nella loro globalità: in questo caso cercheremo di tenere presenti sia la tradizione spirituale occidentale che quella orientale. In Occidente, gli autori scolastici del Medioevo si sono soffermati soprattutto sulla necessi- tà della preghiera: a causa della radicale incapacità dell’uomo di salvarsi da solo, essa ha la funzione di offrirgli questa possibilità, a causa della sua intrinseca peccaminosità. In segui- to, l’interesse si spostò sulla sua grande importanza per quanto riguarda tutto il cammino Per questa lezione farò spesso riferimento al seguente testo: T. ŠPIDLĺK, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente 9 cristiano. Lipa, Roma 2002. Fr. Roberto Fusco FFB Corso di Teologia Spirituale 38 Preghiera, meditazione, contemplazione, metodi di preghiera, cammino della preghiera. Keywords In questa lezione definiremo le caratteristiche della preghiera propriamente cristiana; in seguito, faremo riferimen- to ad alcune forme di preghiera tipiche della tradizione cristiana, e in seguito approfondiremo le tappe del cammi- no di preghiera, secondo le interpretazioni e le chiavi di lettura che ne danno diversi autori spirituali. Sommario

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Lezione 4

La preghiera9

Premessa. Alcuni accenni iniziali

L’argomento della preghiera è talmente tanto importante per la spiritualità cristiana, che è bene considerare questo discorso confrontando le tradizioni spirituali nella loro globalità: in questo caso cercheremo di tenere presenti sia la tradizione spirituale occidentale che quella orientale.

In Occidente, gli autori scolastici del Medioevo si sono soffermati soprattutto sulla necessi-tà della preghiera: a causa della radicale incapacità dell’uomo di salvarsi da solo, essa ha la funzione di offrirgli questa possibilità, a causa della sua intrinseca peccaminosità. In segui-to, l’interesse si spostò sulla sua grande importanza per quanto riguarda tutto il cammino

Per questa lezione farò spesso riferimento al seguente testo: T. ŠPIDLĺK, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente 9

cristiano. Lipa, Roma 2002.F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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Preghiera, meditazione, contemplazione, metodi di preghiera, cammino della

preghiera.

Keywords

In questa lezione definiremo le caratteristiche della preghiera propriamente cristiana; in seguito, faremo riferimen-to ad alcune forme di preghiera tipiche della tradizione cristiana, e in seguito approfondiremo le tappe del cammi-no di preghiera, secondo le interpretazioni e le chiavi di lettura che ne danno diversi autori spirituali.

Sommario

Page 2: Lezione 4 · Lezione 4 La preghiera9 Premessa. Alcuni accenni iniziali L’argomento della preghiera è talmente tanto importante per la spiritualità cristiana, che è

cristiano: ad esempio, troviamo in santi quali S. Alfonso Maria de’ Liguori, affermazioni di questo tipo:

Chi prega certamente si salva, e chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccet-tuati i bambini, si sono salvati con il pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non aver pregato; se avessero pregato, non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà, la loro maggio-re disperazione nell’inferno, l’aver potuto salvarsi con tanta facilità quanto era il do-mandare a Dio le sue grazie, ed ora non essere, i miseri, più in tempo di domandarle.10

Questa tradizione viene completata dalla ricchezza di significato che riveste la preghiera per la spiritualità ortodossa. Infatti altri accenni molto significativi riguardanti l’importa-nza e la necessità della preghiera ci vengono anche da questa tradizione. Negli scritti di molti padri orientali, si trovano molteplici metafore che descrivono la preghiera in manie-ra plastica: essa è per il monaco ciò che l’arma è per il soldato, o l’acqua per i pesci, la mo-glie del monaco (Paterikon), la luce per l’anima, la madre della filosofia (Giovanni Criso-stomo); è lo specchio del monaco (Paolo Evergetinos), ecc.

In Oriente il significato della preghiera è da ricercare nel contesto più ampio del discorso riguardante la divinizzazione dell’uomo e della sua unione con il Cristo e la sua partecipa-zione alla vita trinitaria. La preghiera, dunque, è qualcosa di connaturato all’esistenza stessa del cristiano: Teofane il Recluso, ad esempio, ricorrendo alla concezione antropolo-gica tipica dell’Oriente, sottolinea che l’uomo è formato da tre parti: la parte del corpo, del-l’anima e dello spirito; ognuna di queste tre parti ha le sue necessità, le sue forze, e il modo per esercitarle. Allora, se il corpo ha fame, ha bisogno di essere nutrito, reclama ciò di cui ha bisogno, per cui non glielo si può negare. Se l’anima ha bisogno di esprimersi in ciò che le è proprio - nell’ambito della conoscenza, del volere e nella sfera dei sentimenti -, bisogna assecondarla. Qual è l’ambito proprio dello spirito? Esso è proprio la preghiera. Essa, in qualche modo, secondo Teofane, è proprio il respiro dell’anima, l’attività propria dello spi-rito.

Giovanni Climaco, in uno stupendo passo della Scala del Paradiso afferma ancora:

La preghiera, secondo la sua vera denotazione, è dialogo dell’uomo con Dio, unione mi-stica; secondo gli effetti che la connotano, è detta sostegno del mondo e riconciliazione con Dio, madre o figlia delle lacrime e propiziazione per i peccati, difesa dalle tentazioni e baluardo contro le tribolazioni, vittoria nelle lotte e impegno da angeli, alimento degli esseri incorporei e gioia dell’attesa, attività che non avrà mai fine e sorgente delle virtù, mediatrice di carismi e progresso spirituale, nutrimento dell’anima e luce della mente, scure che recide la disperazione e dimostratrice della speranza, dissolutrice della tristez-

Citato in: G. GOZZELINO, Al cospetto di Dio, p. 49.10

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Page 3: Lezione 4 · Lezione 4 La preghiera9 Premessa. Alcuni accenni iniziali L’argomento della preghiera è talmente tanto importante per la spiritualità cristiana, che è

za e tesoro dei monaci, pregio degli esicasti, e diminuzione dell’ira, specchio del pro-gresso e rivelazione del giusto mezzo, indicatrice delle condizioni in cui ci troviamo e preannunciatrice di quelle future o segnalatrice della gloria vera. La preghiera, per chi la fa veramente, è il luogo del giudizio di Signore, il trono su cui Egli siede per invitarci al discernimento prima che venga il momento del giudizio definitivo.

Dunque, le definizioni della preghiera e le prospettive di comprensione possono essere va-rie, ma tutte quante, sia in ambito occidentale che in ambito orientale, hanno questo co-mune denominatore: la preghiera è assolutamente necessaria, per cui bisogna imparare a pregare, bisogna sforzarsi di pregare, anzi, addirittura, si deve pregare per poter imparare a pregare.

Lo specifico della preghiera cristiana

La preghiera cristiana, per essere tale, deve avere una caratteristica fondamentale che la differenzia da qualsiasi altro tipo di preghiera: essa si deve modellare fedelmente sulla preghiera di Gesù. Ciò non vuol dire semplicemente imitarlo o sostituirsi a Lui, ma vuol dire che noi dobbiamo pregare dentro di Lui, nel senso che dobbiamo permettere a Lui di pregare dentro di noi. Se è vero che la preghiera di Gesù è il nostro modello, cerchiamo di capire quali sono le caratteristiche della Sua stessa preghiera. Essa, fondamentalmente, è una preghiera che si leva al Padre, che nello stesso tempo rivela l’identità filiale di Gesù, e che si compie nello Spirito Santo.

Al Padre…

La preghiera è anzitutto elevazione della mente e colloquio con Dio; però la conversazione si può fare solo con una persona, cioè con un essere personale. A differenza dei sistemi fi-losofici, ogni religione possiede un’idea personale di Dio, e quindi, una certa nozione di «paternità divina». Nella Bibbia quest’aspetto è molto presente: Israele ha scoperto nella sua storia la presenza paterna di Dio, e Gesù stesso porta a completamento questa rifles-sione sulla paternità di Dio, ricordando in molti brani evangelici che Dio vuole essere da noi considerato proprio come un padre; dunque il cristiano, pregando, si pone nello stesso atteggiamento di Gesù nei confronti del Padre, trovando la forza di fare, attraverso questa preghiera, la volontà dello stesso Padre.

Per mezzo del Figlio…

Nei sistemi filosofici e nelle tendenze pseudomistiche tardoantiche, si nota la presenza di un concetto ricorrente: tra il mondo invisibile e quello visibile vi è un divario talmente grande che senza la presenza di una qualche mediazione, questa unità è pressoché impos-

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Page 4: Lezione 4 · Lezione 4 La preghiera9 Premessa. Alcuni accenni iniziali L’argomento della preghiera è talmente tanto importante per la spiritualità cristiana, che è

sibile.Quando Gesù Cristo rivela l’identità di Dio come padre, Egli situa questa rivelazione nell’ambito di un duplice movimento di salvezza. Il primo è discendente: tutto il bene che il Padre ci dà, viene a noi per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo. Il secondo è ascenden-te: noi ci eleviamo nello Spirito, per mezzo del Figlio fino al Padre. Dunque, la mediazione di Cristo è assolutamente fondamentale, se si vuole parlare di preghiera cristiana: ogni preghiera, per essere esaudita, deve essere fatta in nome di Gesù, dato che Egli è l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Quindi, ciò che i pensatori antichi avevano solo presagito, i Padri della Chiesa lo hanno esplicitato e compreso: il Logos di Dio si è fatto carne per di-venire mediatore; Cristo è il mediatore proprio perché in Lui Dio parla agli uomini, ed an-che perché Egli è la voce dell’umanità che si eleva verso Dio. Ma Gesù vive anche la sua figliolanza con il Padre in maniera assolutamente caratteristica: dunque la preghiera di Gesù ha una connotazione filiale, in quanto manifesta la Sua piena donazione nella perso-na del Padre. Così la preghiera cristiana ha senso solo se ricrea questa condizione di ab-bandono totale e perenne nella persona del Padre.

Nello Spirito Santo…

Sebbene l’azione dello Spirito Santo nella vita cristiana sia stato oggetto di numerose di-storsioni nel corso dei secoli – soprattutto a causa delle tendenze carismatiche di gruppi eterodossi quali i montanisti e i messaliani – sin dall’antichità fu chiaro il ruolo della terza Persona della Trinità nella preghiera stessa. Lo Spirito anzitutto unisce la nostra preghiera a quella del Signore Gesù, e ci dà il potere di ottenere ciò che chiediamo. Senza lo Spirito, dunque, la preghiera non potrebbe essere veramente cristologica. Inoltre lo Spirito, nella Chiesa, si è sempre manifestato come fonte di gnosi e di profezia: ma è solo quando pre-ghiamo il Padre per mezzo del Figlio che ci viene comunicata questa fonte di luce e di sa-pienza. Quindi, lo Spirito Santo ha anche il compito di riunire tutte le preghiere dei fedeli dispersi e renderle l’unica voce di Cristo e della sua Chiesa.

Dunque, la preghiera cristiana deve essere animata dallo Spirito, per essere tale; solo così la preghiera cristiana diviene responsoriale, poiché in questo modo, si attua in essa quella riposta d’amore nei confronti di Dio che ci parla per primo e si ferma con noi in amorosa amicizia.

Le modalità della preghiera cristiana e le condizioni ascetiche della preghiera

Quali sono le modalità della preghiera cristiana? In realtà esse sono diverse e molte volte sono complementari tra loro; schematicamente, possiamo ridurre a quattro il loro numero:

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1. Adorazione e lode: nasce dallo stupore riconoscente per l’infinita grandezza di Dio manifestata dalle sue opere;

2. Ringraziamento: essa sgorga dalla percezione della munificenza di Dio nei confronti delle creature;

3. Supplica ed intercessione: la prima implica la richiesta fatta per sé, mentre la seconda riguarda richieste fatte per gli altri.

4. Domanda: essa può essere fatta per chiedere cose convenienti; è la più spontanea e faci-le.11

La preghiera vera si distingue da quella falsa per il fatto che essa crea uno stile di vita con-creto nell’esistenza di chi prega; però questo stile di vita va coltivato attraverso degli at-teggiamenti pratici, tesi soprattutto a eliminare tutto ciò che è incompatibile con la vita cri-stiana. Questi atteggiamenti sono le cosiddette condizioni ascetiche della preghiera: nella vita di preghiera, infatti, ciò che si interpone tra l’uomo e Dio nell’orazione è un ostacolo, per cui bisogna rimuoverlo, mentre bisogna coltivare maggiormente ciò che aiuta a man-tenere questo rapporto con il Maestro.

Qualche secolo fa, uno scrittore spirituale, J. P. de Caussade, che si occupava dei novizi della sua congregazione, scrisse un’opera, Il trattato sulla preghiera del cuore: nei capp. 7 ed 8 di quest’opera egli affrontò questa problematica, e concentrò le condizione ascetiche della preghiera in quattro tipi di purezza:

1. Purezza di COSCIENZA: è l’atteggiamento del soggetto che prende posizione contro ogni forma, mortale e veniale, di peccato, impegnandosi con ferma volontà a non con-sentire nemmeno alla più piccola forma di offesa a Dio: è quindi il distacco dal peccato.

La preghiera di domanda pone due problemi fondamentali: A) la sua legittimità e B) la sua validità. 11

Riguardo ad A), la domanda di fondo è: che senso ha chiedere, se Dio sa già ciò di cui abbiamo bisogno? In realtà, dice S. Agostino, la preghiera di domanda serve non tanto ad informare Dio dei nostri bisogni, ma serve per far crescere in noi la consapevolezza e il desiderio in noi di quanto chiediamo; la domanda serve a noi per disporci a ricevere ciò che già Dio vuole darci.

Riguardo a B), la domanda è: spesso Dio non ci dà quanto chiediamo. Se molte volte dobbiamo rettificare la nostra ri-chiesta, o perfino metterla da parte, non è meglio non chiedere nulla? In realtà, dobbiamo ricordare che anche Gesù ha praticato questa preghiera; inoltre, dobbiamo ricordare che l’uomo costitutivamente è un essere in divenire che progetta. Per tale motivo è giusto che egli chieda, anche dei beni temporali. F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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2. Purezza DI CUORE: è la castità spirituale, cioè l’opposizione dello spirito agli affetti disordinati, l’assenza degli attaccamenti ai valori creati che impediscono l’adesione a Dio.

3. Purezza DI SPIRITO: è la padronanza dei pensieri, dell’immaginazione, la capacità di controllo dei ricordi cattivi, inutili, o importuni; esclude da un lato l’eccessivo assorbi-mento nel lavoro e l’affanno dell’azione, e dall’altro l’evasione in fantasticherie, favo-rendo così il raccoglimento.

4. Purezza DI AZIONE: è il distacco dall’impegno operativo di un soggetto da fini diversi da quello della ricerca del compimento della volontà di Dio.

Queste condizioni fanno si che il nostro rapporto con Dio in Gesù Signore sia reale e fon-dato su una ricerca sincera: altrimenti corriamo il rischio di illuderci e di restare sempre allo stesso punto nella nostra vita spirituale. Così dice infatti s. Giovanni della Croce in un testo molto suggestivo:

Molti vorrebbero che Dio non costasse loro più che pronunciare una parola. Ma finché non usciranno in cerca dell’Amato, per quanto gridino a Lui, non lo troveranno. Anche la sposa del Cantico lo cercava così, ma non lo trovò finché non uscì per cercarlo. Chi dunque cerca Dio volendo rimanere nei propri gusti e nelle proprie comodità, lo cerca di notte e quindi non lo trova. Colui invece che lo cerca mediante le buone opere e l’eserci-zio delle virtù, lasciando il letto dei suoi gusti e dei suoi piaceri, lo cerca di giorno, e quindi lo trova, perché ciò che è introvabile di notte si scopre di giorno.12

Forme e gradi della preghiera cristiana

La preghiera diffusa 13

Tutto il Nuovo Testamento formula con grandissima frequenza l’invito pressante alla pre-ghiera continua; ora, la realizzazione di tale appello nella vita cristiana si attua anzitutto con uno stato previo di preghiera che chiamiamo preghiera diffusa. In effetti, nella tradi-zione cristiana, le forme storiche di attuazione di questa richiesta del Signore sono state anzitutto due: una prima forma consisteva nel prendere alla lettera l’invito di Gesù a la-sciare tutto per seguirlo nel deserto: si lascia tutto per fare della preghiera il proprio lavo-ro. È un’esperienza legata a pochi e ad alcuni momenti particolari della vita. Oppure, vi è una seconda forma, accessibile a tutti e alla quale tutti sono chiamati, che consiste nello

GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale B, strofa 3, nn. 2.312

A. GENTILI – M. REGAZZONI, «Giaculatoria», in Dizionario enciclopedico di spiritualità. Voll. 3. A cura di E. Ancilli, 13

Città Nuova, Roma 1995. Vol. 2, pp. 1110-1112.F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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sforzarsi di vivere sempre alla presenza di Dio insieme a Gesù, vivendo sempre sotto il suo sguardo e sotto la sua azione, in un rapporto d’amore continuo.

In cosa consiste quindi la preghiera diffusa? Essa consiste nel far entrare la preghiera nella propria esistenza a tal punto da renderla un tutt’uno con la nostra vita. Per fare questo però, è necessario che essa debba essere frequentemente esplicitata attraverso la moltipli-cazione delle preghiere brevi.

Sono le cosiddette giaculatorie: con questo termine noi facciamo riferimento a quei moti 14

del cuore e del pensiero rivolti a Dio. In genere sono formule brevi, tratte o ispirate dalla S. Scrittura, che si pronunciano in situazioni di pace, di gioia, o di dolore e di sofferenza: il loro valore è soprattutto quello di rinnovare la consapevolezza della presenza di Dio, in-tensificando l’unione con Lui nel momento presente.

Per quanto riguarda la tradizione occidentale, già Sant’Agostino conosceva la validità di questa forma di preghiera, visto che in una lettera a Proba egli afferma: “Dicuntur fratres in

Aegypto crebras quidam habere orationes, sed eas tamen brevissime, et raptim quadammodo jacula-

tas”. Con il termine jaculata il Dottore di Ippona descrive così il dinamismo della preghie15 -ra che, dal cuore o dalla volontà dell’orante e sotto forma di sospiri o di appelli brevissimi, viene “lanciata” a Dio.

Dunque, già per gli autori spirituali di Occidente, la preghiera diffusa, chiamata conven-zionalmente giaculatoria, non è una semplice pia pratica devozionale, ma è un’autentica via d’accesso alla perfezione e all’esperienza mistica.

Anche in Oriente questa forma di preghiera diffusa è molto conosciuta e praticata sin dal-l’antichità: essa è conosciuta soprattutto nella forma della preghiera di Gesù, consistente

C’è da dire che queste pratiche non sono esclusive della tradizione cristiana: anche altre religioni conoscono l’efficacia 14

di questa preghiera diffusa. In ambito islamico/sufita, abbiamo il dikr!, cioè il nome tecnico che indica la glorificazione del nome di Allah; in India il japa, cioè la ripetizione del mantra (con i nomi di Rama, o la sillaba sacra OM); nel buddi-smo zen il Nembutsu, cioè la forma di venerazione del nome di Budda Luce Infinita. In tutte queste tradizioni citate, la ripetizione del Nome sacro ha un duplice scopo: da un punto di vista psicologico ha il significato di arrestare il chiac-chiericcio interiore, mentre da un punto di vista religioso serve a fare proprio il Nome sacro facendolo passare dalle lab-bra alla mente, e da essa al cuore, in una progressiva interiorizzazione. Rispetto a tutte queste tradizioni religiose, si deve dire che la differenza tra esse e la tradizione cristiana è la seguente: per la spiritualità cristiana non si tratta tanto di trat-tenere un nome o di dissolvere in esso la propria mente, quanto quella di far pulsare in tutto l’essere umano la pienezza della vita teologale intrisa di fede, speranza e carità, facendo appello alla misericordia di Dio che salva.

“Si dice che i monaci in Egitto praticavano delle preghiere frequenti ma brevissime, come lanciate con rapidità”. (Epist. 15

130, 20).F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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nel ripetere la frase: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!”. L’o-rigine di questa forma di preghiera è da ricercare nel monachesimo orientale: tra i monaci grande importanza rivestiva la custodia del cuore, cioè la lotta contro i pensieri cattivi. Il metodo per eccellenza era l’antírresis, che consisteva nel rispondere ad ogni pensiero catti-vo con un testo sacro ben preciso. Ma man mano, la pratica semplificò il principio, per 16

cui da una serie di testi da citare a seconda del bisogno, la tradizione monastica passò al-l’invocazione del nome di Gesù secondo la formula suddetta, in quanto molto più sempli-ce e molto più efficace. Ma è soprattutto in Russia che questa preghiera avrà notevole suc-cesso, a causa della diffusione di un classico della spiritualità orientale, cioè I racconti since-

ri di un pellegrino russo. In questo testo si celebra la straordinaria efficacia di questa pre-ghiera per giungere alla perfetta unione con Dio, invocando la presenza divina di Dio per mezzo del Nome di Gesù.

Dunque, l’elemento fondamentale della giaculatoria è dato dall’esprimere con brevi parole o frasi concise gli effetti che una determinata situazione ha sulla coscienza: ogni espressio-ne può andare bene, a patto che essa serva ad esplicitare il nostro stato di unione con Dio. Quindi, la vita si trasforma in preghiera soltanto se c’è questo stato previo di preghiera, che risulta essere così indispensabile per due motivi: anzitutto come supporto e alimento dei momenti forti di preghiera, e poi in quanto essa rappresenta la verifica dell’amore che si nutre per Dio. Per cui, senza nulla togliere ai momenti di preghiera “ufficiali” della no-stra vita (sia comunitaria che personale), la preghiera diffusa deve divenire la linfa vitale che anima tutta la nostra preghiera cristiana. 17

La preghiera vocale

Anzitutto, bisogna dire che a differenza della preghiera diffusa, che consiste essenzialmen-te in uno stato di preghiera, la preghiera vocale - come anche la preghiera mentale - è costi-tuita da atti e pratiche puntuali.

Evagrio Pontico, a questo proposito, compose l’Antirrétikos, cioè una raccolta di 487 testi scritturistici, a seconda dei 16

vari tipi di pensieri cattivi.

Questo stato di preghiera non presenta nessun inconveniente particolare, e una grande quantità di vantaggi. Anzitutto 17

è un tipo di preghiera spontaneo che libera dal rischio dell’artefatto; essa inoltre è la risposta all’obiezione secondo la quale per pregare bisogna sentirlo, in quanto essa rappresenta un nutrimento di base per la preghiera di ogni cristiano. Inoltre, essa risponde anche all’obiezione secondo la quale per pregare bisogna avere tempo, perché in realtà la preghiera diffusa si può attuare in ogni circostanza della vita senza nessun problema.F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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Di per sé quest’espressione fa pensare a una preghiera nella quale i pensieri e i sentimenti interiori trovano espressione in parole pronunciate sensibilmente, a differenza dell’orazio-ne mentale, che le lascia nel nascondimento dell’interiorità. In realtà la preghiera non si dice vocale o mentale per il fatto di avere la bocca aperta o chiusa, e non cessa di essere mentale solo per il fatto che in essa l’anima faccia il colloquio con Dio in modo sensibile.

La preghiera vocale si caratterizza per il fatto che adopera formule prestabilite, mentre la preghiera mentale è quella che si fa spontaneamente, esprimendo sentimenti che sgorgano dal cuore. Allora il valore della preghiera vocale implica l’appropriazione personale di una formula di incontro con Dio presa da altri.

Storicamente si deve dire che le posizioni riguardo la preghiera vocale sono state diverse, e molte volte anche antitetiche tra loro: molti autori spirituali infatti accusano questa forma di preghiera perché essa in realtà è sterile e non rappresenta la vera preghiera, che invece proviene dal profondo del cuore e non si può esprimere con le parole. In realtà la preghie-ra vocale presenta una serie di valori indiscussi: recitare delle formule è assolutamente uti-le, e in certi momenti persino indispensabile. Gli argomenti che avallano questa preghiera non sono solo di ordine pedagogico e psicologico, ma anche di natura teologico spirituale. Secondo Teofane il Recluso, tutti i maestri spirituali e la Chiesa stessa tiene in grande con-siderazione la preghiera vocale, soprattutto perché essa funge da preparazione necessaria per una preghiera superiore. Inoltre, il linguaggio della preghiera è tale che, come tutte le altre lingue, deve essere studiato: per cui prima bisogna cominciare con i manuali di pre-ghiera, e poi si potrà rischiare di parlare liberamente con Dio. Del resto, anche coloro che sono giunti a un grado di preghiera superiore, che è l’orazione mentale, le labbra non re-stano sempre chiuse.

Ma ci sono motivazioni anche più profonde: in fondo la parola umana è un riflesso dell’u-nica Parola divina rivolta da Dio agli uomini, per mezzo del Logos: essa dunque non è solo strumento di dialogo tra gli uomini, ma anche tra gli uomini e Dio stesso.

Detto questo, possiamo evidenziare gli elementi della preghiera vocale, che possono essere circoscritti essenzialmente a tre:

1. La comprensione della formula, la percezione dei significati delle parole con la carica di idee e degli affetti che comunica. 18

Per pregare l’Ave Maria, è necessario anzitutto capire il senso delle parole, i valori che vuole esprimere e il profondo 18

significato affettivo racchiuso in questa formula.F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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2. La sua appropriazione o personalizzazione, cioè il farla propria. 19

3. La sua formulazione vocale: dopo averla capita e interiorizzata, eventualmente può an-che essere formulata vocalmente con parole, attraverso la sua pronuncia.

Valori

A prima vista può sembrare che questo tipo di preghiera, essendo non creativa, ma bensì ripetitiva, possa avere minor valore rispetto agli altri tipi di orazione: in realtà, essa ha in-negabilmente dei valori:

1. La facilità della pratica. Le formule di preghiera vocale infatti sono sempre a disposi-zione, vanno bene in qualsiasi momento, quando il cuore è arido e triste; 20

2. La duttilità delle espressioni. La molteplicità delle formule infatti permette di dar voce a molte risonanze dell’anima: attraverso formule e testi, colui che prega trova la possi-bilità di esplicitare mozioni interiori che altrimenti resterebbero difficilmente espresse:

3. L’ampliamento delle prospettive. Questo tipo di preghiera obbliga colui che prega a prendere coscienza di esigenze, valori, bisogni della chiesa che altrimenti l’individuo difficilmente neppure sospetterebbe. Allora si comprende l’utilità di pregare sia con formule del passato, in quanto rappresentano il patrimonio spirituale dei secoli passati, sia con formule del presente, perché ci aiutano ad attualizzare la nostra preghiera nel contesto concreto in cui si vive.

4. Il sostegno della povertà di spirito. Questo tipo di preghiera ci obbliga a uscire dalla cerchia ristretta dei nostri pensieri, delle nostre preoccupazioni, delle nostre sensibilità per entrare in contesti più ampi: per questo essa è utilissima per mortificare il proprio orgoglio e favorisce il distacco da se stessi, cioè la povertà di spirito.

Difficoltà e rimedi

Purtroppo la preghiera vocale, così utile e così vicina alla nostra esperienza, non è esente da difficoltà. Per esempio, il rischio più comune è certamente quello dell’automatismo:

Non basta cioè aver capito cosa significa e il senso delle parole, ma dobbiamo anche farla nostra, facendola sgorgare 19

dal nostro cuore.

Dice a questo proposito s. Teresa di Lisieux: “Qualche volta, quando il mio spirito si trova in una aridità tale che mi è 20

impossibile trarne un solo pensiero per unirmi a Dio, recito molto lentamente un Pater noster, e poi la salutazione angeli-ca (Ave Maria). Così, queste preghiere mi rapiscono, e nutrono l’anima mia molto più che se le avessi recitate precipito-samente un centinaio di volte. (scritto autobiografico C, n. 318). F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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cioè, la preghiera si è trasformata in una successione meccanica di parole dette senza par-tecipazione personale. Inoltre, un altro rischio è dato dal fatto che, soprattutto quando preghiamo insieme, non possiamo soffermarci a gustare quei pensieri e affetti coinvolgenti che porterebbero molto frutto. Infine questa preghiera non è esente dalle distrazioni. In ogni caso, esistono dei rimedi semplici che possono aiutare a superare queste difficoltà: il primo e più semplice consiste nel recitare lentamente le formule, in modo che la mente e il cuore abbiano il tempo di soffermarsi sulle parole che la bocca esprime. Un altro ottimo rimedio può essere quello di fare di questi testi che più si usano nella preghiera vocale de-gli oggetti di meditazione: cioè, qualche volta, nella preghiera personale, ci si può soffer-mare sulle formule più usate per la preghiera vocale, cercando di comprenderne il senso e il significato profondo.

La preghiera mentale

Come già accennato, la preghiera mentale si distingue dalla preghiera vocale per il fatto che la prima dà voce ad affetti, pensieri e sentimenti personali, senza servirsi di formule prestabilite. Ci soffermeremo ora sulla forma più comune di preghiera meditativa, cioè la cosiddetta meditazione discorsiva. Nell’Antico Testamento, l’idea di meditazione è espres-sa con dei termini che hanno per radice haga, che in greco viene reso dal termine #ελετη, #ελεταν, e che in latino viene tradotto con meditari, meditatio. Nel suo senso originario, il termine indica l’azione del mormorare a bassa voce, per cui l’organo principale della me-ditazione è appunto la gola, la laringe. Nel suo senso più letterale, queste radici verbali hanno tutte, come riferimento, il tenere a cuore, il vigilare, l’aver cura di qualcosa, oltre che di esercitarsi e di abituarsi. Dunque, il termine “meditare”, in base all’etimologia ebraica, greca e latina, ha a che fare con la riflessione che si fa assimilazione, nutrimento e interio-rizzazione progressiva.

Ora, in tutta la tradizione cristiana, non vi è maestro di spirito che non abbia sottolineato l’importanza della meditazione discorsiva, ritenuta indispensabile per il progresso nelle vie dello spirito. Addirittura, la sua assenza o pratica incostante può essere sintomo di vita spirituale tiepida e superficiale, e ciò per due motivi:

1. il deterioramento della meditazione è uno dei segni più visibili e costanti del deterio-ramento di tutta la vita spirituale di un soggetto;

2. se manca la meditazione, manca o è profondamente carente l’amore per Dio, per cui non c’è aridità che giustifichi l’abbandono di tale pratica, se non il disamore per Dio.

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In genere, molti autori spirituali insistono su due forme principali di meditazione discor-siva: una detta riflessiva, e un’altra detta semplificata. Nella prima prevale la riflessione, quando cioè, posti alla presenza di Dio, si prende un testo e lo si passa al setaccio, pezzo per pezzo, facendone passare ogni brano dall’intelligenza al cuore, per poi scoprirne la portata spirituale e infine trarne le conclusioni per la propria vita. Invece, nella meditazio-ne semplificata, la riflessione si riduce notevolmente, in quanto cresce molto di più il senso della presenza di Dio: basta anche una semplice frase o pensiero per porre subito l’orante alla presenza di Dio e muovere il cuore agli affetti.

La meditazione semplificata, ovviamente, è ad un gradino superiore rispetto a quella pre-cedente: però, come per tutte le specificazioni e gradazioni, non si deve pensare che vi sia una distinzione netta fra di esse: vi sono dei momenti in cui può bastare anche una piccola frase per creare il clima di preghiera e di silenzio dentro l’orante, mentre a volte sarà ne-cessario sforzarsi con la riflessione per cogliere la presenza di Dio e giungere alla mozione del cuore. Ciò è assolutamente normale e non provoca problemi di sorta.

Struttura della meditazione

La meditazione discorsiva presenta, al di là dei vari metodi, una struttura oggettiva rigo-rosa fondata su tre elementi successivi, ai quali sono legate alcune facoltà dell’anima:

Da questo schema, si può comprendere come il cuore della meditazione sia dato dal se-condo momento, cioè da quel movimento interiore di apertura a Dio e di ripulsa del male

ELEMENTI PROGRESSIVI FACOLTÀ CORRISPONDENTI

La riflessione. Esso pone l’orante in rapporto con un valore da accogliere o con un disvalore da respingere.

L’intelligenza. Essa si apre alla percezione del valore o disvalore rappresentati da una particolare realtà.

2. L’affetto. Esso rappresenta la risonanza nell’orante della percezione dell’uno o dell’altro.

2. La volontà. Essa si apre al fascino del valore e se ne lascia impregnare, oppu-re rigetta il disvalore.

3. La risoluzione. Fa passare la risonanza nella pratica della vita.

3. La volontà. È ancora essa orienta la vita nella direzione del valore da accettare e vivere o del disvalore da rifiutare.

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che in genere viene chiamata mozione degli affetti; è su questa che dobbiamo ora soffer-marci.

Cosa vuol dire mozione degli affetti? Il termine mozione, anzitutto, implica un movimen-to, un uscita dalla stasi, dall’immobilità e dall’inerzia; resta ora da capire cosa siano gli af-fetti. Etimologicamente, il termine affetto deriva dal latino afficio, cioè toccare, smuovere, colpire e coinvolgere, e si può definire come la risonanza dello spirito di fronte ad un valo-re o ad un disvalore percepito come tale. Di conseguenza, l’affettività è definibile come la capacità di sintonia o di distonia attiva dell’uomo di fronte a ciò che egli coglie come pro-movente o degradante. Questa capacità dell’uomo è attiva, nel senso che egli non si limita a reagire di fronte a degli impulsi, ma li può provocare o reprimere, per cui quando la ri-sonanza è positiva, si formano gli affetti dell’attrazione e dell’amore, mentre quando la ri-sonanza è negativa si hanno gli affetti della paura, dell’odio e della rabbia.

Conseguenze pratiche

In base a quanto detto, è necessario operare alcuni chiarimenti riguardanti la meditazione.

1. La riuscita della meditazione non si misura sull’intensità o complessità della riflessio-ne, quanto sulla forza di risoluzione conferita allo spirito;

2. Dato che la meditazione deve scuotere la volontà, appena il lavoro intellettuale è riusci-to a produrre la mozione, esso deve fermarsi; bisogna gustare ciò che si medita;

3. Bisogna servirsi, nella meditazione, di quei testi che veramente servono. Finché un sus-sidio alimenta la mozione degli affetti, è bene continuarlo.

4. La riflessione può essere fatta sia sui testi della S. Scrittura, che sui testi della tradizione spirituale cristiana;

5. Quando si nota che un testo riesce a provocare facilmente la mozione degli affetti, oc-corre utilizzarlo per la meditazione;

6. La meditazione non si basa tanto sulla qualità dei sentimenti, ma sulla stabilità e sulla forza delle risoluzioni che si prendono concretamente: cioè i suoi frutti si vedono nella misura in cui ci si converte.

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L’accesso alla contemplazione

Quando la vita di preghiera si svolge nella costanza e nell’impegno, in genere si nota sem-pre una progressione: nelle prime fasi della vita spirituale, prevale lo sforzo dell’orante, e nella preghiera prevale il lavoro dell’intelletto e della discorsività, mentre la coscienza del-l’azione di Dio si mostra debole e saltuaria. Ma man mano che si progredisce, l’orante en-tra in una preghiera più semplice e fruttuosa, più sensibile all’azione di Dio: diviene cioè più passiva. L’orazione, così, diviene affettiva, nel senso che gli atti dell’intelletto si ridu-cono, mentre aumenta il coinvolgimento dell’anima nei confronti della presenza di Dio, percepita in maniera molto più forte; la preghiera si può definire a questo stadio anche di semplicità, cioè gli atti della volontà si semplificano e si fanno più intensi, mentre aumenta in maniera notevole la consapevolezza di stare continuamente alla presenza di Dio. È l’ini-zio della cosiddetta contemplazione acquisita.

Come discernere chiaramente questo stato da altri simili ma che in realtà con esso non hanno nulla a che vedere? S. Giovanni della Croce sottolinea tre criteri atti a operare que-sto discernimento: anzitutto, uno dei segni del passaggio dalla preghiera meditativa alla contemplazione acquisita è la crescente difficoltà a praticare la meditazione discorsiva, perché il rapporto con Dio si fa più immediato, e quindi ogni lavoro della riflessione si fa superfluo. Un secondo segno, più concreto, consiste nell’impossibilità di trovare gusto e 21

soddisfazione nelle persone o nelle cose; il terzo segno è quello più sicuro, e consiste nel 22

fatto che l’orante trova soddisfazione solo ed esclusivamente in Dio e nell’intimità affet-tuosa con Lui. Tale segno, unito agli altri due, permette un accurato discernimento dello stato spirituale di colui che prega.

La contemplazione infusa

Man mano che l’orante coltiva la sua vita di preghiera e rende la sua esperienza cristiana sempre più coerente con essa, si nota un’ulteriore progressione: nell’orazione prevale mol-to di più l’iniziativa divina e diviene più passiva da parte dell’orante; nello stesso tempo la preghiera diviene più semplice, mentre più forte diviene la percezione di Dio, e non rara-mente a tutto ciò si accompagnano fenomeni straordinari di ordine conoscitivo ed operati-vo. Se questi aspetti sono presenti in maniera marginale negli stadi di preghiera precedenti

Giova ricordare che questo segno, da solo, non basta per ritenere di essere passati ad una fase successiva della preghie21 -ra; si può provare disgusto nella meditazione anche per negligenza o indolenza.

Anche questo segno da solo non basta, perché gli stessi effetti potrebbero aversi per orgoglio o per una patologia psi22 -chica. F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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(meditazione discorsiva, contemplazione acquisita), in questo momento essi divengono predominanti: la preghiera si trasforma in contemplazione infusa, così chiamata perché essa consiste in uno stato di conoscenza e di amore infusi direttamente da Dio, che nello stesso tempo produce, nell’intelligenza, una conoscenza nuova ed esperienziale di Dio, e nella volontà un amore molto intenso e soave. È, quindi, lo stato mistico propriamente det-to.23

Questo stato di contemplazione infusa può assumere diverse gradualità, chiamate in di-versi modi a seconda dei vari maestri di spirito che hanno scritto su questo argomento. Seguendo la classificazione di s. Teresa d’Avila, abbiamo cinque gradi progressivi di con-templazione infusa:

1. Il raccoglimento soprannaturale: è una condizione di concentrazione su Dio che produ-ce grande amore sensibile;

2. La quiete: è uno stato che coinvolge la volontà, per cui permane anche nelle occupazio-ni più coinvolgenti;

3. L’unione semplice: tutte le potenze interne (memoria, intelletto e volontà) sono prigio-niere e occupate in Dio;

4. L’unione delle nozze spirituali: l’incatenamento in Dio interessa anche i sensi, provo-cando spesso estasi e rapimenti;

5. L’unione del matrimonio spirituale: questo incatenamento si estende a tutto l’io dell’o-rante, facendo si che egli si senta del tutto unito a Dio.24

Siamo così nell’ambito dell’esperienza mistica vera e propria: cerchiamo ora di evidenziare alcuni elementi della conoscenza mistica, per avere un quadro quanto più possibile com-pleto riguardo a questa problematica.

Si tocca qui un problema: è effettivamente possibile una conoscenza quasi sperimentale di Dio e della realtà divina 23

presente nell’uomo? Partiamo dal presupposto che nel rapporto con Dio il fondamento e la base è data dalla fede; però, se il piano della comunicazione con Dio trascende il piano della percezione psicologica, non è detto che Dio stesso non possa donarsi a qualcuno in modo da risultare percepibile anche in maniera riflessa nella coscienza. C’è da dire però, che questo è un dono gratuito di Dio, che concede a chi vuole. È un dato di fatto che la contemplazione acquisita è una di-sposizione favorevole per la contemplazione infusa; però, l’esperienza dimostra che non c’è un automatismo. Quindi, tutti sono chiamati alla santità, ma non tutti sono chiamati alla contemplazione.

La differenza tra questi stati di contemplazione infusa sta nell’ambito di azione di Dio nella persona e dalla durata del 24

coinvolgimento prodotto da essi. F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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Le caratteristiche della conoscenza mistica

Come abbiamo avuto già modo di accennare, l’esperienza mistica è tutto ciò che va al di là della nostra ordinaria esperienza e dei suoi schemi, ed è ciò che sfugge alle nostre normali facoltà conoscitive. Ora, c’è da dire che, nonostante nel corso dei secoli la letteratura cri-stiana, sia di Occidente che di Oriente, ha conosciuto una grande ricchezza di espressioni concrete, è soprattutto nei primi secoli che si deve ricercare una terminologia chiarificatrice che, a sua volta, ci rimanda a degli schemi di comprensione della realtà della mistica fissati verso la fine del IV sec. dai padri greci. Già i primi autori cristiani avevano sottolineato l’assoluta inconoscibilità di Dio e del Suo mistero; però, nello stesso tempo, iniziano a comparire delle immagini simboliche che tentano di definire questa esperienza del Divino che, poi, sfocia in questa conoscenza esperienziale non comune.

Ad esempio, già subito dopo il IV. sec. compaiono autori che parlano dell’esperienza di Dio considerandola sotto l’immagine della salita e dell’ascesa verso Dio: l’ascesa mistica è simboleggiata così come la salita di Israele dall’Egitto fino a Gerusalemme, o come la salita verso il monte Sinai, o del monte Oreb, o del Carmelo, ecc. A questa si unisce un’altra im-magine ascensionale: quella della salita della scala di Giacobbe: anche questa diviene im-magine classica del progresso spirituale in generale. Una grande importanza riveste un’o-pera che si può a ben diritto definire il primo vero trattato di teologia mistica della lettera-tura cristiana, che è La Vita di Mosè, di Gregorio di Nissa. Questo testo, che è in realtà una rilettura allegorica di tutta la vita di Mosè, si basa su una concezione originalissima e che farà storia nei secoli a venire. Il centro di tutto il testo è il monte Sinai: il popolo, all’ini25 -zio, si trova alle falde del monte, sente la presenza di Dio attraverso i lampi e i tuoni. Que-sta è la prima forma di conoscenza di Dio: quella cioè che avviene per mezzo del timore.

Mosè inizia la sua ascesa del monte Sinai: questo è il simbolo della teologia positiva, cioè di quel tipo di conoscenza di Dio che si basa su una serie di definizioni intellettuali e con-cettuali che tentano di descriverne, in qualche modo, il Mistero. L’anima, durante questa salita, passa da un concetto all’altro riguardo Dio, che via via diviene sempre più perfetto. Ogni giorno, in pratica, si impara qualcosa su di Lui. Però, questa conoscenza non è inter-minabile: ad un certo punto, infatti, Mosè si deve fermare, nella sua ascesa, di fronte all’a-bisso: egli cioè si rende conto che deve fermarsi di fronte al mistero di Dio, in quanto or-

Ovviamente quest’interpretazione della conoscenza mistica non è l’unica, dato che le esposizioni sono molteplici, a 25

seconda dei vari autori e dei vari periodi: Ci soffermiamo su questa perché storicamente è una delle più significative e più carica di conseguenze per la spiritualità posteriore. F r. R o b e r t o F u s c o F F B C o r s o d i Te o l o g i a S p i r i t u a l e

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mai non può più avanzare, ma solo entrarvi dentro. Dunque, il simbolo è chiaro: arrivati alle cime della conoscenza intellettuale di Dio, ci si accorge che nessun concetto è in grado di esprimere una adeguata conoscenza di Lui, per cui solo la negazione serve ad esprimere la vera conoscenza di Dio. Dunque, il centro di tutta l’esperienza mistica del cristiano si riassume in quell’esperienza che Gregorio di Nissa chiama ε3εκτασις: con questo termine si fa riferimento al cammino del cristiano, che è un continuo pregresso, in una tensione senza fine verso l’Assoluto, che non può mai fermarsi, perché mai completato del tutto. Mosè, a un certo punto, entra nella tenebra divina, e così è per l’anima: essa s’introduce sempre più in questa tenebra di inconoscibilità, e scopre cose sempre più nuove su Dio, in un’infinita novità. Dio stesso attira l’anima in questa tenebra luminosa, e la solleva al di 26

sopra di se stessa, dandole una visione sempre nuova di sé: dunque Dio è una novità eter-na e perpetua che mantiene l’anima in una dimensione di perenne stupore.

Allora, qual è l’apice della conoscenza mistica, secondo quest’interpretazione? È l’assoluta non conoscenza di Dio, intendendo con questo termine il rifiuto di ogni definizione pura-mente razionale/teorica di una Realtà che sfugge ad una qualsiasi possibilità di determi-nazione per mezzo di concetti, pensieri e parole. Dunque, il culmine della conoscenza mi-stica non è giungere a una definizione nuova su Dio, ma bensì quello di entrare nel Suo Mistero, per mezzo della propria esperienza. È quella che Nicolò Cusano (1401-1464) chiama la Dotta Ignoranza, e che esprime bene lo Pseudo-Dionigi: “la conoscenza più divi-na di Dio è quella che si acquisisce con la non conoscenza (…). Essa è una cessazione di ogni attività conoscitiva che apre la via da una unione che si situa al di là dell’intelligenza”. 27

Come si può notare, un altro grande simbolo risulta importante per capire la conoscenza mistica: la tenebra divina. 26

Questa simbologia si trova in molti autori e in entrambe le tradizioni cristiane d’Occidente e di Oriente.

Citato in ŠPIDLĺK, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, p. 268.27

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