Letteratura e critica nella DDR. Il caso di Franz Fühmanndi aprire gli occhi sulle minacce di...

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Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Vol. 8.2 (2010), pp. 183-204 Elena Agazzi, Letteratura e critica nella DDR. Il caso di Franz Fühmann Letteratura e critica nella DDR. Il caso di Franz Fühmann ELENA AGAZZI PREMESSA ERMENEUTICA E WIRKUNGSGESCHICHTE Nel suo recente studio, Kritik der Hermeneutik. Interpretationsphilosophie und Realismus 1 , Hans Krämer ha evidenziato, tra gli altri problemi, il limite del concetto di Wirkungsgeschichte espresso dall’ermeneutica di Gadamer, che sosteneva che la storia degli effetti è sempre “indispensabile quando si voglia mettere in piena luce il significato autentico di un’opera o di un dato storico, sottraendolo ad uno stato in cui oscilla fra storia e tradizione” 2 . L’interpretazione, che si configura come un intendersi sulla verità della cosa detta nel testo, si affianca al tentativo di comprendere le intenzioni dell’autore. In questa “fusione d’orizzonti”, come la definisce Gadamer, ogni nuova interpretazione s’inserisce nella catena della Wirkungsgeschichte, la quale si apre a sempre nuove possibilità della comprensione di senso. Krämer osserva dunque che “il senso si produce in Gadamer a partire dalla Wirkungsgeschichte in modo sempre nuovo e diverso negli atti di una comprensione storica che è mutata storicamente. La 1 Hans Krämer, Kritik der Hermeneutik. Interpretationsphilosophie und Realismus, C. H. Beck, München 2007. 2 Hans Georg Gadamer, Verità e metodo, tr. di Gianni Vattimo, Bompiani, Milano 1983 (ed. orig. Wahrheit und Methode, 1960), p. 350.

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Studi Linguistici e Filologici Online ISSN 1724-5230 Vol. 8.2 (2010), pp. 183-204 Elena Agazzi, Letteratura e critica nella DDR. Il caso di Franz Fühmann

Letteratura e critica nella DDR. Il caso di Franz Fühmann ELENA AGAZZI

PREMESSA ERMENEUTICA E WIRKUNGSGESCHICHTE

Nel suo recente studio, Kritik der Hermeneutik.

Interpretationsphilosophie und Realismus1, Hans Krämer ha

evidenziato, tra gli altri problemi, il limite del concetto di

Wirkungsgeschichte espresso dall’ermeneutica di Gadamer, che

sosteneva che la storia degli effetti è sempre “indispensabile quando si

voglia mettere in piena luce il significato autentico di un’opera o di un

dato storico, sottraendolo ad uno stato in cui oscilla fra storia e

tradizione”2. L’interpretazione, che si configura come un intendersi

sulla verità della cosa detta nel testo, si affianca al tentativo di

comprendere le intenzioni dell’autore. In questa “fusione d’orizzonti”,

come la definisce Gadamer, ogni nuova interpretazione s’inserisce

nella catena della Wirkungsgeschichte, la quale si apre a sempre nuove

possibilità della comprensione di senso.

Krämer osserva dunque che “il senso si produce in Gadamer a

partire dalla Wirkungsgeschichte in modo sempre nuovo e diverso

negli atti di una comprensione storica che è mutata storicamente. La

1 Hans Krämer, Kritik der Hermeneutik. Interpretationsphilosophie und Realismus, C. H. Beck, München 2007. 2 Hans Georg Gadamer, Verità e metodo, tr. di Gianni Vattimo, Bompiani, Milano 1983 (ed. orig. Wahrheit und Methode, 1960), p. 350.

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rilevanza persistente della storia – o di altre culture – è così garantita

al prezzo di una relativizzazione del senso e della verità”3. Per Krämer

uno degli obiettivi è mostrare la necessità di superare

pragmaticamente lo storicismo, riconoscendo alla narrazione dei fatti

storici (Historie) una funzione scientifica e pianificandone così di

volta in volta il recupero nel presente.

Il metodo ermeneutico di Gadamer ha determinato, a

cinquant’anni dalla sua opera più importante, Wahrheit und Methode

(1960), una serie di reazioni da parte di studiosi di discipline “altre”

rispetto alla filosofia, che criticano la prospettiva scarsamente

realistica di Gadamer e suggeriscono in alcuni casi, come nel caso

specifico della Literaturwissenschaft, la costruzione di metateorie

ermeneutiche.

3 Krämer, Kritik der Hermeneutik, op. cit., p. 13. Per i teorici della seconda generazione della Scuola di Francoforte, come Habermas, la Wirkungsgeschichte sarebbe concepita eludendo il consenso in quanto dialettica tra soggetti comunicativi. Habermas ha insistito su una dimensione trascendentale della comunicazione che interessando il confronto degli individui su base sociale, non dà per altro per scontata la sostanzialità che li accomuna nel tessuto storico. Secondo Habermas, dunque, a Gadamer non starebbe a cuore la comunicazione, quanto piuttosto il linguaggio. L’ovvietà con cui i soggetti accettano il loro inserimento nella storia e nella tradizione, pur conservando la facoltà di scegliere cosa scartare e cosa conservare, non li preserverebbe dalla sottomissione a sistemi di dominio e alle imposizioni culturali intrinseche al sistema sociale; cfr. Jürgen Habermas, Su “Verità e metodo” di H. G. Gadamer, in: AA.VV., Ermeneutica e critica dell’ideologia, Queriniana, Brescia 1979, pp. 60-70 (ed. orig., Zu Gadamers “Wahrheit und Methode”, in: K. Otto Apel, Hermeneutik und Ideologiekritik, 1971, pp. 45-56). Anche Thomas Mc Carthy ha obiettato a sua volta che “Equiparare l’ermeneutica semplicemente alla prosecuzione della tradizione vuol dire privilegiare la partecipazione e il dialogo rispetto alla presa di distanza e alla critica. Nella riflessione critica, infatti, le pretese di verità tradizionali possono essere accettate o rifiutate; Thomas Mc Carthy, Kritik der Verständigungsverhältnisse. Zur Theorie von Jürgen Habermas, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1980, p. 208 (ed. orig., The Critical Theory of Jürgen Habermas, 1978).

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Naturalmente, ciò che nella teoria di Gadamer rappresenta un

affrancamento da posizioni dogmatiche è la sua presa di distanza dai

precetti ermeneutici della tradizione esegetica e il riassorbimento del

principio ermeneutico in seno alla dialettica. Anche Gadamer è stato

certo conscio del fatto che l’interpretazione artistica o letteraria

richieda un intervento specifico, ma poiché il suo stesso metodo

ermeneutico non si trova in connessione diretta con la realtà sociale,

poiché esso agisce nell’alveo delle scienze dello spirito e non prende

le mosse direttamente dalla letteratura e dall’arte, non gli risulta

semplice allontanarsi da quella visione “quasi-trascendentale”

(mutuata da Heidegger) che si lega ad una forte pretesa di universalità.

Se un’opera, nell’ottica di Gadamer, può essere d’altra parte

compresa solo se il lettore delle singole parti dell’opera ha già un’idea

del significato dell’opera intera, e se il moto circolare del

comprendere, che interessa la parte e il tutto, porta a una

modificazione tra il soggetto che comprende e il testo che viene

interpretato, egli non avrebbe sufficientemente tenuto conto del fatto,

ancora nel giudizio di Krämer, che ciò che è presente (gegenwärtig) e

ciò che è storico (geschichtlich) si trovano in posizione di reciproca

complementarità. Al paragrafo intitolato Geschichte und System della

sezione C, dedicata alle “alternative all’ermeneutica gadameriana”,

Krämer scrive:

La trattazione tradizionale delle scienze storiche si muove o lungo il

percorso della riflessione di metodo, sia che si tratti di un adattamento a

particolari tipi della sistematica e del suo ideale di conoscenza

nomologicamente esatto, sia che si tratti dell’accentuazione distintiva

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della sua diversità, oppure nei binari del tradizionale pensiero fondativo

di matrice ontologica, trascendentale (ermeneutica) o teorico-

comunicativa […] Il fatto della storia è diventato di per sé problematico.

Pertanto essa [la trattazione tradizionale delle scienze storiche, nds] ha

bisogno di una forma di riflessione di più ampio respiro, che coinvolga

la quaestio facti e che al posto del tradizionale fondamento giustificativo

metta in primo piano invece rapporti funzionali in senso pragmatico, i

quali siano in grado di giustificare in modo sistematico l’esistenza e la

conservazione della narrazione storica, a partire dal contesto

interscientifico e culturale4.

Krämer suggerisce dunque di formulare un lavoro sistematico che

non si limiti a comprendere il passato come studio della storia, ma lo

trasformi in un contemporaneo presente: i nuovi nessi costruttivi

possono rendere la nuova prospettiva autonoma dalla dimensione

diacronica e possono far sì che la mediatizzazione della storia trovi

una propria ricaduta nelle Spezial-Historien del diritto, dell’economia,

della sociologia, della religione, ma anche dell’arte e della letteratura.

L’esempio prodotto è quello dell’interazione tra la conoscenza

sincronica delle scoperte ottenute in campo medico in un determinato

ambito specialistico, e le conoscenze (e le conseguenti cesure)

prodottesi sull’asse diacronico, che sono state registrate nell’ambito

della storia della medicina.

4 Krämer, Kritik der Hermeneutik, op. cit., p. 123.

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CAMBIO DI SCENARIO: LA LETTERATURA TESA TRA IL “PRINCIPIO

SPERANZA E LA MINACCIA DELL’APOCALISSE ALL’INIZIO DEGLI ANNI

’70” (EMMERICH)

La cultura della Germania Democratica all’inizio degli anni ’70 è

sovrastata da un’esigenza di cambiamento, sicuramente favorita dal

passaggio dall’era di Ulbricht a quella di Honecker e da alcune

schiarite ideologiche, accompagnate anche da una necessità condivisa

di aprire gli occhi sulle minacce di guerre atomiche e sulla violazione

dei diritti umani, che sono sotto gli occhi di tutti. Il “nuovo corso”

viene così descritto da Anna Chiarloni:

L’avvento al potere di Erich Honecker, nel 1971, inaugura un ‘nuovo

corso’ – questa la terminologia ufficiale – nella politica interna della

DDR, favorito dalla Ostpolitik di Willy Brandt, il cancelliere della

Germania di Bonn fautore di una distensione nei rapporti con l’est

europeo. La BRD rinuncia, malgrado l’opposizione interna della CDU,

alla rivendicazione dei confini orientali del Terzo Reich. Le vie della

comunicazione con Berlino ovest vengono ripristinate secondo ‘normali

rapporti di buon vicinato’. Riconosciuta la DDR come stato sovrano, dal

1973 le due Germanie siedono all’ONU5.

La prospettiva del progresso e il credo nel pensiero illuminista,

che si era mescolato anche con la difesa del canone classicista contro

il formalismo nel primo periodo del Dopoguerra, inizia a vacillare

seriamente alla fine degli anni ‘60. Come scrive Wolfgang Emmerich 5 Anna Chiarloni, 1968-1989: una letteratura critica verso il riconoscimento internazionale, in: Michele Sisto (a cura di), L’invenzione del futuro. Breve storia letteraria della DDR, Libri Scheiwiller, Milano 2009, pp. 125-215; cit., p. 133.

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nella Kleine Literaturgeschichte der DDR6, Christa Wolf farà dire in

Kein Ort. Nirgends (1979) a Heinrich von Kleist, autore a lungo

emarginato dalla cultura di regime, “Egli, al contrario, e questo

pensiero lo sovrasta per la prima volta, non ha vissuto in una reale

collettività, bensì nella propria idea di Stato”7.

Infatti, la letteratura della DDR degli anni ’50 e ancora di tutti gli

anni ’60, si era sviluppata sotto l’egida di un concetto marxista di

Illuminismo, che obliterava la necessità di una riflessione critica sulla

sua funzione. Confortati dall’ideologia del socialismo reale e fiduciosi

in un concetto di progresso che percorreva come un filo rosso la storia

dello sviluppo dell’azione umana nel tempo, gli scrittori avevano

guardato con fiducia ad un controllo della storia con i mezzi della

ragione.

Programmaticamente, con il Bitterfelder Weg, “il segretario della

SED Walter Ulbricht e lo scrittore e funzionario di partito Alfred

Kurella chiedono [in occasione del V Congresso della SED del luglio

1958 e poi con la conferenza di Bitterfeld del 24 aprile 1959] che il

lavoro intellettuale e manuale si integrino fra loro per rivitalizzare la

Aufbauliteratur, sia per spezzare l’isolamento dello scrittore

portandolo quanto più possibile nella realtà quotidiana del lavoro”8.

6 Wolfgang Emmerich, Kleine Literaturgeschichte der DDR. Erweiterte Neuausgabe, Aufbau Verlagsgruppe, Berlin 20073 (I ed. 1996). 7 Ivi, p. 272. 8 Fabrizio Cambi, 1945-1968: il contributo della letteratura al progetto socialista, in: L’invenzione del futuro. Breve storia letteraria della DDR, op. cit., pp. 25-107; cit., pp. 41-42.

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L’assorbimento delle idee della Scuola di Francoforte nel tessuto

delle riflessioni degli scrittori della DDR, pensando in particolare alla

Dialektik der Aufklärung di Horkheimer e Adorno, insieme con una

cauta rivalutazione dell’estetica di Lukács, che era stata messa al

bando dalla DDR dal 1956 (dopo le insurrezioni di Ungheria e Polonia

che lo avevano visto partecipare al breve governo di Imre Nagy),

produce un’inversione del pensiero sulla filosofia della storia e delle

sue conseguenze per l’interpretazione della realtà nella cultura

contemporanea. Lukács, curando nel 1962 una nuova edizione della

sua Theorie des Romans, faceva ammenda a partire dalla sua

conquistata posizione di ideologo del marxismo (che pure veniva

ancora bollata da più parti come aristocratica), dei limiti metodologici

delle scienze dello spirito in senso diltheyano ed eredi della filosofia

hegeliana, che avevano ispirato il suo lavoro tra il 1914 e il 1915.

Lukács dichiarava nel 1962, giustificando l’eccessiva astrazione del

metodo dalle realtà storico-sociali, quanto segue: “A mio avviso la

Teoria del romanzo è la prima opera ispirata alle scienze dello spirito

in cui i risultati della filosofia hegeliana vengono concretamente

impiegati in seno a problematiche di tipo estetico”9.

Uno scrittore che nel corso della travagliata storia del ’900 ha

ragionato in modo assolutamente originale e fattivo sui “molteplici

presenti” da cui è costituita la geschichtliche Gegenwartserfahrung è

Franz Fühmann (1922-1984), considerato in Germania come uno dei

più versatili autori della DDR, mentre in altri Paesi la sua opera 9 György Lukács, Teoria del romanzo, a cura di Giuseppe Raciti, SE, Milano 1999, p. 14 (ed. orig., Theorie des Romans, 1916, 1920).

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complessiva è ancora poco nota. Si potrebbe dire che mentre la Teoria

del romanzo è, a detta dello stesso autore, un libro in cui per la prima

volta l’etica di sinistra “improntata ad una percezione radicale della

rivoluzione” si sposa con un’interpretazione “tradizionale e

convenzionale” della realtà, c’è uno scrittore nella DDR che recepisce

il Lukács degli anni ‘60 evitando di omologarsi alla sua visione

ortodossa del socialismo reale e cogliendo invece nella teoria estetica

alcuni suggerimenti diretti a valorizzare un pensiero antropologico,

che si esplicita particolarmente nella fase postbellica del pensiero

lukacsiano. Tali suggerimenti emergono in particolare nel saggio di

Lukács Die Eigenart des Ästhetischen (1963) e vengono integrati da

Fühmann con un’attenta lettura delle opere di Arnold Gehlen. Se

nell’ideologia dominante della DDR, che si rifaceva a Lenin, Engels,

Marx e in modo mediato a Hegel, al centro dell’attenzione non c’era

tanto l’“uomo” quanto la “storia”, come osserva Fühmann, egli non

ammette più che natura e appartenenza sociale costituiscano i poli

estremi, e dunque non intrinsecamente correlati, della definizione del

soggetto umano.

Dopo aver incominciato negli anni ‘50 il proprio cammino

artistico come poeta, Fühmann si è poi sperimentato nei generi del

Märchen, della Nacherzählung mitologica e biblica, nella saggistica e

nel romanzo.

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L’opera interrotta con la morte sopravvenuta nel 1984, Im Berg10,

assorbe tutto il fascino misterioso della tradizione romantica riferita al

mito della montagna come viene rappresentato con variazioni nello

Heinrich von Ofterdingen (1802) di Novalis, nei Die Bergwerke zu

Falun (1818) di E.T.A. Hoffmann, oppure in Die Harzreise di Heine

(1824), o ancora in autori come Tieck e Hebel. Questo testo diventa

ricettacolo di una serie di considerazioni sulla natura, sull’arte e sulla

letteratura che si oppongono ai veti ideologici della cultura di regime.

Il perturbante romantico viene qui difeso in nome di un lavoro intorno

ad un concetto di “quotidianità” che, divenuta “spettrale” nel

passaggio tra sistema feudale e organizzazione borghese, aveva

mostrato l’esigenza di riconsegnare alla creatività artistica una nuova

libertà espressiva.

L’interesse per E. T. A. Hoffmann, in particolare, che non lo

abbandonerà più fino alla morte, nasce da una decisa contrapposizione

di Fühmann, all’inizio degli anni ’70, nei confronti dell’ortodossia

culturale marxista, che condannava il romanticismo come una forma

di idealismo astratto e come una tendenza contraria ai principi

positivistici dettati dall’idea del “kulturelles Erbe” della DDR11.

Lukács aveva tuttavia salvato nella propria valutazione parte della

produzione letteraria dell’autore romantico, considerandola in linea

con le esigenze di una visione materialistica della storia. Il saggio di

Lukács, Die Romantik als Wendung in der deutschen Literatur (1947) 10 Franz Fühmann, Im Berg. Texte und Dokumente aus dem Nachlaß, hrsg. von Ingrid Prignitz, Hinstorff, Rostock 1993. 11 Cfr. ad es. i saggi di Alexander Abusch, Humanismus und Realismus in der Literatur, Reclam, Leipzig 1966.

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dà conto di una distinzione tra un Hoffmann da salvare e un Hoffmann

da rigettare come pernicioso, a causa di una “assenza di coscienza

sociale”12.

Come osserva Lucien Goldmann nel suo saggio L’esthetique du

jeune Lukács, è solamente in Storia e coscienza di classe che vediamo

la filosofia della storia fondata sul fatto che l’uomo è l’essere che

tende a creare in permanenza delle strutture coerenti sempre più vaste

di modo che l’affermazione del privilegio estetico, filosofico,

religioso ecc… di queste strutture deriva semplicemente dal fatto che

si tratta di attività di creazioni umane. Tre idee – continua Goldmann

– si manifestano così strettamente legate le une alle altre:

a) l’uomo è un essere storico che tende a dare un significato alla

propria vita;

b) la storia, in quanto creazione umana, è significativa e perciò

presuppone la validità della categoria di progresso;

c) la coerenza delle forme è uno dei principali valori secondo cui

l’uomo lavora nella costruzione dello spirito”13.

L’indagine di Lukács sulla crisi del modello organico della Kultur

e sulla sua deriva nella Zivilisation, lo induce a vedere in un’opera

centrale per la critica letteraria, Teoria del romanzo, i guasti di una

discrepanza tra realtà e mondo che troverebbe la propria cura nello

12 Per maggiori dettagli, cfr. Swantje Rehfeld, Zwischen Erinnern und Vergessen – Franz Fühmanns Rezeption E. T. A. Hoffmanns als Rückeroberung eines mythischen Schreibantriebs, in: Carsten Gansel (Hr.), Rhetorik der Erinnerung – Literatur und Gedächtnis in den >geschlossenen Gesellschaften< des Real-Sozialismus, V&R Unipress, Göttingen 2009, pp. 83-93; cit., pp. 86-87 e nota 13. 13 Lucien Goldmann, L’estetica del giovane Lukács, in: Guido Oldrini (a cura di), Lukács, ISEDI, Milano 1979, pp. 67-79; cit., p. 73.

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sforzo del protagonista del romanzo di formazione classicista di

comprendere il mondo con un progressivo avvicinamento

all’organizzazione dei dati della realtà in relazione alle strutture

sociali di riferimento. Il romanticismo sarebbe al contrario, per

Lukács, un’occasione per il soggetto di trasfigurare la propria

interiorità in una forma di poesia al prezzo di un sacrificio del mondo

esterno ad essa.

Questa critica contro l’anti-realismo di stampo romantico e contro

una solo parziale accettazione della produzione artistica degli scrittori

romantici viene capovolta da Fühmann in una serie di saggi,

ideologicamente molto audaci, se teniamo conto del contesto in cui

sono sorti, che egli dedica dal 1976 al 1979 alla figura e all’opera di

Hoffmann. Lo scopo è reintegrare parte della tradizione letteraria

tedesca nell’orizzonte culturale della DDR, nonché dimostrare che il

ritorno del passato è sempre intrinsecamente intrecciato con

l’esperienza quotidiana. In altre parole, si tratta di un manifesto per la

riabilitazione del “perturbante” in letteratura e del “dubbio” rispetto ad

una cieca fiducia nel progresso. La ragione dell’importanza di questi

saggi per una visione ermeneutica che in modo indiretto potremmo

definire in dialogo con quella gadameriana, dipende dal fatto che

Fühmann si pone in una prospettiva euristica, tesa tra una psicologia

imbevuta di mito e una logica dello scavo del testo, che risponde

esattamente alla proposta di Krämer di considerare varie cesure

storiche, nel corso del tempo, come termine a quo per una definizione

della “Vorgeschichte” (‘preistoria’) del nostro presente in

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contrapposizione alla “strenge Linearität” (‘rigida linearità’) che sta

alla base dell’ermeneutica gadameriana.

L’idea principale di Fühmann a proposito della narrazione di

Hoffmann è che essa offre modelli di “esperienze di vita” non

classificabili sotto l’etichetta dell’irrazionale. Peraltro, Fühmann si

dice convinto che nella narrazione non deve essere già presente una

massa critica che vincola l’autore al ruolo di “pensatore” piuttosto che

un “narratore”:

Ci troviamo posti di fronte al quesito su quale utilità possa avere la

letteratura, in che cosa consista la particolarità della sua quaestio e della

sua risposta nel contesto di una letteratura nazionale e mondiale – anche

la parola Dichter è ormai assolutamente vaga e asfittica, suggerisce una

Gartenlaubästhetik14, ma vorrei una volta per tutte ribadire, senza

doverci ritornare sopra continuamente, che io intendo lo scrittore come

colui che crea artisticamente e anche in senso più ampio: colui il quale

non si riduce alla poesia, ma che non è neppure riducibile al pensiero

filosofico: dunque un Hoffmann e non uno Hegel o un Moses Hess15.

Fühmann ricusa dunque un rapporto tra testo e critica che risponda

alla funzione strumentale di mettersi al servizio di un’ideologia

imperante o a una visione del mondo con pretese universali, e

distingue tra letteratura e critica in modo molto chiaro, almeno a

partire dal suo contributo al VII Congresso della DDR (14-16

14 L’espressione, che potrebbe essere tradotta letteralmente come ‘estetica da pergola’, si riferisce ad un settimanale pubblicato tra il 1853 e il 1943 che portava appunto il nome di Gartenlaube (‘pergola’). 15 Franz Fühmann, Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Rede in der Akademie der Künste der DDR (24-01-1976), in: Id. Essays, Gespräche, Aufsätze, 1964-1981, Hinstorff, Rostock 1993, pp. 216-238; cit., p. 220.

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novembre 1973) intitolato Literatur und Kritik16. Questo testo

costituisce un vero e proprio manifesto programmatico contro i

principi enunciati nel Bitterfelder Weg17.

Per il pensiero mutuato dalla Frage der Dialektik di Lenin

(Philosophischer Nachlass) e dagli scritti di Marx e di Engels, tutti

eredi del pensiero di Hegel, non era tanto centrale il concetto di

“uomo” ma quello di “storia”: pertanto il presupposto della lettura

culturale del mondo occidentale si incardinava su una prospettiva

storico-filosofica e non antropologica18.

Sostenendo la centralità dell’uomo, Fühmann trovava sostegno per

la propria posizione nella Anthropologische Forschung di Gehlen, che

pure Wolfgang Harich e Georg Lukács avevano parzialmente

integrato nella loro estetica e filosofia della storia marxista, pur

espungendo alcuni aspetti sociologici che Harich considerava “oscure

tendenze della moderna filosofia borghese”19. Tuttavia, ciò che più

conta, è che Fühmann accolse dall’opera di Gehlen, Der Mensch.

Seine Natur und seine Stellung in der Welt (1940)20 l’idea di una

identificazione fra sfera interiore ed esteriore dell’individuo che 16 Franz Fühmann, Literatur und Kritik, in: Id., Essays, Gespräche, Aufsätze 1964-1981, op. cit., pp. 68-81. 17 Cfr. Simone Barck, Franz Fühmann (1922 bis 1984) Auf der Suche nach »seinem Ort«, in: Simone Barck, Stefanie Wahl (Hrsg.), Bitterfelder Nachlese. Ein Kulturpalast, seine Konferenzen und Wirkungen. Mit unveröffentlichten Briefen von Franz Fühmann, Karl Dietz Verlag, Berlin, pp. 173-194. 18 Ulrich von Bühlow, Die Poetik Franz Fühmanns. Vom Geschichtsphilosophischen Märchen zum anthropologischen Mythos, ars una, Neuwied 2000, p. 75. 19 Ivi, p. 81, n. 4. 20 Cfr. Ubaldo Fadini, Azione e istituzioni in Arnold Gehlen, in: Id., Configurazioni antropologiche. Esperienze e metamorfosi della soggettività moderna, Liguori, Napoli 1991, pp. 131-149; dello stesso autore, Il corpo imprevisto. Filosofia, antropologia e tecnica in Arnold Gehlen, Franco Angeli, Milano 1988.

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avrebbe potuto mostrare nel suo lavoro sul mito come il mitico sia una

forma originaria tanto dell’arte, quanto della scienza:

Ho trovato nella Logica di Hegel un passo che continua a rendermi

inquieto, e questo passo dice: L’essenza (WESEN) sta tra l’essere

(SEIN) e il concetto (BEGRIFF) e costituisce l’elemento mediano tra i

due; così mi chiedo se questa essenza non possa essere anche un punto

di snodo tra essere (SEIN) e tipo (TYPUS)? E ancora: sarebbe questa

essenza l’elemento unificante di una contraddizione tra scienza e arte e il

mito la cellula originaria di questa contraddizione?21

Dunque anche il concetto di letteratura che Fühmann riesce a

formulare grazie alla poetica di Hoffmann scaturisce dal tentativo di

dimostrare che solo laddove viene fornito un modello di “ganzer

Mensch (uomo inteso nella sua complessità)” è possibile trovare un

modello di “Menscheits-“ e “Menschenerfahrung” (‘esperienza

dell’umanità e dell’uomo’) necessario a rispondere alla domandarsi se

il romanticismo, con i suoi stilemi e contenuti, sia ancora esemplare

per il presente.

Nella Rede tenuta alla Akademie der Künste nel 197622, Fühmann

cerca di smontare una per una tutte le obiezioni che gli potevano

essere mosse contro il suo interesse per un’epoca giudicata malata. 21 Ulrich von Bühlow, Die Poetik Franz Fühmanns, op. cit., p. 91 (citazione da Franz Fühmann, Das mythische Element in der Literatur. Typoskript (Kopie der Rostocker Vorfassung). 22 Sigrid Kohlhof è colei la quale ha letto per prima da vicino le implicazioni ideologiche dell’interpretazione dell’opera di Hoffmann da parte di Fühmann: Sigrid Kohlhof, Franz Fühmann und E. T. A. Hoffmann. Romantikrezeption und Kulturkritik in der DDR, Peter Lang, Frankfurt am Main 1988. Si veda anche Swantje Rehfeld, »…seltsames Knistern unter Bindestrichen«. Franz Fühmanns produktive Rezeption E. T. A. Hoffmanns, WVT, Trier 2007; inoltre, Gunnar Decker, Franz Fühmann, Die Kunst des Scheiterns. Eine Biographie, Hinstorff, Rostock 2009, p. 213 ss.

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Tra queste il fatto che Hoffmann produca fantasmi che distraggono il

lettore da un rapporto con la realtà:

Hoffmann scaturisce dal romanticismo in un doppio senso: egli è

radicato in esso e lo supera. Le sue storie sono modelli di una

quotidianità divenuta spettrale, e precisamente di una quotidianità

fortemente concreta, che per una più precisa definizione della sua

essenza riassume in sé anche l’elemento spettrale con le sue diverse

forme di esistenza23.

Ciò che lo scrittore dice in questa riflessione è proprio il carattere

di sopravvivenza di simulacri di un passato sociale e culturale che in

una realtà in cui sono mutate le politiche economiche (il transito dal

regime feudal-nobiliare a quello borghese) diventano visibili e

assumono un carattere persecutorio: “la dialettica del mutamento, una

volta messasi concettualmente in moto, trascina con sé anche

l’elemento mutato”24.

Fühmann osserva a proposito di Hoffmann che l’ansia della

creazione artistica dei suoi personaggi non può e non deve essere

liquidata come follia, perché proprio su essa si misura la

contrapposizione nei confronti del mondo borghese, appagato della

propria opera, nel quale Fühmann non esita a riconoscere anche la

mentalità culturale di apparato della Germania socialista che è tesa a

omologare la creatività degli artisti e degli scrittori.

Riassumendo dunque quanto si è detto: si può constatare che per

Fühmann la letteratura (sempre accompagnata alla critica letteraria ma

23 Fühmann, Ernst Theodor Amadeus Hoffmann. Rede, op. cit., p. 229. 24 Ivi, p. 230.

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non sovrapponibile ad essa) assume un compito mnestico in quanto la

Vorgeschichte di cui è tenuta ad occuparsi quando affronta l’analisi di

un oggetto estetico non è condizionata né dall’“obiettivismo

storicistico”, paventato da Gadamer in Verità e metodo come una

posizione teorico-critica che “chiude gli occhi davanti all’intreccio

della storia degli effetti in cui la coscienza storica si trova

avviluppata” e che “elimina d’altronde ogni occasione di arbitrario,

casuale o troppo disinvolto accostamento al passato in base

all’attualità”25, né dalla Wirkungsgeschichte propria di Gadamer, che

solo sul piano teorico decide della necessaria interazione tra effetti del

passato e ricerca della verità nel presente. La Vorgeschichte nel senso

di Fühmann è qualitativamente definibile come preistoria della

malattia sociale che viene diagnosticata nel presente e che ricorda in

tempi recenti gli obiettivi in base ai quali era entrato in vigore il nuovo

ordine sociale. Essa consente di operare un lavoro di rimemorazione

contro rimozione ed oblio che proliferano dappertutto, facendosi così

organo vitale della società. Una delle frasi più celebri pronunciate da

Fühmann per inquadrare il proprio rapporto ideologico con la cultura

socialista della DDR riguarda il fatto che egli sarebbe transitato

direttamente dall’esperienza dell’orrore di Auschwitz al socialismo,

senza passare per una lettura sovietica dell’ideologia marxista.

Troppo inclini a far scaturire la Gedächtniskultur dai ragionamenti

socio-politici del dopoguerra o, più recentemente, da una caduta dei

germi degli studi culturali anglosassoni sul suolo tedesco, ci siamo

25 Gadamer, Verità e metodo, op. cit., p. 351.

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spesso dimenticati che anche il sapere della letteratura è stato

sottoposto ad un ricatto dell’ideologia, che ha costretto i suoi difensori

a partire dalle fonti primarie, i testi, per intervenire sul piano della

memoria del mito. Fühmann si rendeva conto che la mediazione degli

effetti storici, per la conoscenza dell’uomo, doveva avere natura

scientifica, ma che d’altronde non era possibile ridurre il potenziale di

conoscenza insito nella letteratura in un sapere che fosse in primis un

Erklären, piuttosto che un Verstehen (da qui la sua osservazione che

la lettura di Hoffmann non significava per lui solo darsi delle risposte

sul tempo presente, ma anche e soprattutto cogliere l’emergere delle

domande nelle sue opere, ponendosi in posizione di ascolto rispetto al

passato).

In modo complementare, Krämer dimostra che la discussione

ermeneutica che si è sviluppata fino ad oggi sembra aver fallito per

ora il proprio compito, per il fatto di non aver preso abbastanza sul

serio la diversità categoriale di una ricezione scientifica del racconto

storico a fronte di quella preistorica; la scienza della e sulla letteratura

non può giungere al medesimo risultato dell’arte e della letteratura

stessa. Infatti, con questi principi

si perviene ad un livello di riflessione correlato ad una razionalità

analitica, che non può essere semplicemente ricondotta ad una ricezione

di tipo preistorico e, dunque, tradotta in incontri che si sviluppano nel

corso del tempo senza soluzione di continuità26.

26 Krämer, Kritik der Hermeneutik, op. cit., p. 154.

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Il fatto che le scienze storiche e culturali sembrino agire oggi nella

direzione di disconoscere il ruolo della storia come magistra vitae

dipende dal carattere sistematico del loro strutturarsi (ovvero secondo

una struttura sincronica); questo carattere sistematico non ammette

che si guardi ad un passato precedente alla scelta sistematico-

organizzativa.

Possiamo dunque concludere – e solo in modo provvisorio – che

grazie alla lettura di scritti di teoria critica di Adorno unitamente ai

saggi di Gehlen, Fühmann sia pervenuto in un primo momento ad una

polemica contro la visione hegeliana del mondo secondo la quale

esisterebbe nel mondo stesso uno scopo assoluto e razionale dello

stesso. Nella Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno si

legge:

In quanto la filosofia della storia trasferisce le idee umanitarie come

forze operanti nella storia stessa, facendo terminare quest’ultima con il

loro trionfo, esse vengono private dell’innocenza che è essenziale al loro

contenuto […] Nella filosofia della storia si ripete ciò che è accaduto nel

Cristianesimo: il bene, che in realtà è abbandonato alla sofferenza, è

travestito da forza che determina il corso della storia e finalmente trionfa

[…] l’idea stessa, che dovrebbe spezzare la necessità viene sfigurata. Il

pericolo della deviazione viene sventato. L’impotenza fraintesa come

potenza viene, in quest’elevazione, negata ancora una volta: sottratta,

per così dire, al ricordo. Così cristianesimo, idealismo e materialismo,

che contengono in sé, anche la verità, hanno la loro parte nelle

mascalzonate che sono state commesse in loro nome. Come alfieri e

portavoce della potenza sono diventate a loro volta potenze storiche

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organizzate, e come tali hanno svolto una parte sanguinosa nella storia

dell’umanità: quella di strumenti dell’organizzazione27.

Dobbiamo interpretare questa diffidenza verso la filosofia della

storia con il fatto che essa nasconde i fatti reali della storia nel quadro

di una dialettica progressiva volta al continuo superamento dei

contrasti socio-economici28. Insieme con questa generale posizione

polemica nei confronti della filosofia della storia hegeliana, Fühmann

difende il concetto di “quotidiano” ricordando la matrice comune delle

parole heimlich e unheimlich e pensando alla “vita” come elemento

regolato tra arte e scienza. Fühmann comunque riferisce la scienza al

mondo obiettivo di sperimentare la realtà, mente l’esperienza

soggettiva è quella che egli riserva all’arte: il mito è per lui

l’esperienza non teorizzata. Bisogna aggiungere peraltro che proprio

all’inizio degli anni ’70, incomincia nella DDR una campagna a

favore della fantasia (si pensi ad esempio al Lob der Phantasie scritto

da Kurt Batt e apparso nel numero 73 di “Sinn und Form” a proposito

di Sonderbare Begegnungen di Anna Seghers)29. Troviamo dunque

una coincidenza tra la scoperta del principio serapiontico che

caratterizza la poetica di Hoffmann e l’idea di Fühmann, confortata

anche dalla lettura di Freud e Jung, che le immagini di mito si

concretizzino nella letteratura, senza dover far largo alla storia per

giustificarle:

27 Max Horkheimer, Theodor Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1966, p. 241 (ed. orig., Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, 1947). 28 von Bühlow, Die Poetik Franz Fühmanns, op. cit., p. 80. 29 Kurt Batt, Lob der Phantasie, in: „Sinn und Form“, n.6, anno 25 (1973), pp. 1293-1300.

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Ciascuno esamini bene, se ha veramente guardato ciò che si accinge a

render noto, prima di osare darne pubblica notizia. Ciascuno lotti almeno

seriamente per cogliere correttamente l’immagine che gli si è dischiusa

interiormente, con tutte le sue manifestazioni, colori, luci ed ombre e

poi, quando si sente finalmente coinvolto in modo appassionante, per

portarne alla luce del giorno la sua rappresentazione30.

Non è solo una risposta ideologica contro il tentativo di fare

dell’uomo solo un prodotto sociale e non anche contemporaneamente

un prodotto della natura a suggerire a Fühmann il lavoro sul mito, ma

anche la ricerca di una costanza iconica, come la chiama Blumenberg,

che il mito rende possibile con la sua durata e persistenza nel tempo e

nello spazio. La possibilità di perpetuare nel ricordo i contenuti di

verità è dato dalla costanza iconica. Ci si deve dunque chiedere quale

sia il rapporto tra i luoghi del mito, l’archeologia e la costruzione dei

miti della modernità Si può parlare di survivals, come fa Tylor nel

libro Primitive Culture31, ma anche di immagini di infanzia (Freud)

che si codificano negli strati profondi della coscienza, prima di poter

parlare di archetipi (Jung). “Il racconto mitico è molto più antico della

storia della sua ricezione: il mito, rispetto alla storia, non ha bisogno

di chiedersi il perché delle cose, perché esso è interessato da un

passato assoluto”; anche questo annota Fühmann nei suoi appunti.

Le strutture archetipiche su cui si basa il mito, possono essere

destabilizzate dall’istante (das Plötzliche), in cui l’immaginazione si

30 E. T. A. Hoffmann, Die Serapionsbruder, in: Sämtliche Werke (vol. 4), a cura di Wulf Segebrecht, DKV, Frankfurt am Main 2001, p. 69. 31 Edward Burnett Tylor, Primitive culture, Harper & Row, New York 1958.

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libera dal senso comune dettato dalle regole del realismo e gode

dell’elemento fantastico (come succede leggendo l’opera di

Hoffmann), che però è sempre in comunicazione con la realtà.

Riassumendo, alcune delle prospettive qui affrontate in nome di

una riflessione sull’influenza della filosofia della storia sul metodo

della lettura dell’opera (su due fronti distanti quali sono quelli del

pensiero ermeneutico occidentale e della riflessione sul rapporto tra

letteratura e critica nella ex-Germania democratica) mostrano come il

“sapere della letteratura” rivendichi una specificità storica ed

epistemica rispetto ad altre forme di conoscenza (filosofia, scienza,

religione). Il difetto di rigore, che è sempre ancora imputato alla

letteratura allo scopo di sminuirne il ruolo sociale, rientra però nel

raggio di azione di una critica letteraria che da un lato pretende a buon

diritto dignità scientifica e riconoscimento di una specificità operativa

e dall’altro la libertà di avocare a sé una varietà di prospettive

interpretative che intendono anche salvaguardare la dimensione

creativa dell’arte.

Il caso di Fühmann dimostra come nell’urgenza di un quadro

storico-politico in cui l’ideologia di Stato mira ad omologare le

prospettive culturali e soprattutto a limitare il dialogo tra letteratura e

critica, cancellando dall’orizzonte le correnti e le opere giudicate

sovversive, la guerra alla fantasia (a Hoffmann, tra gli altri, ma si

potrebbero anche citare Kafka o Trakl) si traduce sempre in una delle

armi più micidiali per rallentare o far addirittura regredire la crescita

morale e culturale di un Paese. Per Fühmann diventa uno dei motivi

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per dimostrare – in una prospettiva di latente dissidenza – che solo

uno sguardo miope come quello del sistema di controllo della cultura

della DDR può ignorare la dialettica esistente tra principio creativo e

situazione storico-sociale ed economica del tempo in cui un autore ha

operato, anche se il suo mondo sembra irrazionale, grottesco e pieno

di fantasmi. Alla fenomenologia dello spirito Fühmann voleva

rispondere con una fenomenologia della spettralità, come cifra di

tempi storici molto tormentati32.

32 Swantje Rehfeld ha trattato in modo molto opportuno uno degli aspetti centrali della poetica della memoria di Fühmann riferita alla fase del romanticismo, definendo il lavoro sul mito e sul perturbante come una forma di ampliamento della coscienza, ovvero, come una forma di rimemorazione, atta a elaborare il suo passato lacerato in quanto corresponsabile degli orrori della seconda guerra mondiale; cfr. Swantje Rehfeld, Zwischen Erinnern und Vergessen – Franz Fühmanns Rezeption E.T.A. Hoffmanns, op. cit., pp. 87 ss.