LETTERA DEL PARROCO - Parrocchie.it

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LETTERA DEL PARROCO Alzare lo sguardo. Non è da tutti. Non importa se si è giovani o anziani: ci si abitua, senza accorgersene, a guarda su di sé, attorno a sè, al massimo si guarda indietro. Guardare avanti, forse per il tempo che stiamo attraversando, richiede fatica e una buona dose di fiducia. Non che il passato sia una realtà da dimenticare: caso- mai esso è il luogo dove ritrovare le radici, le motivazioni originarie, il faro che proietta sempre oltre a sè la luce che orienta e rassicura. La memoria del passato più che a un sentimento nostalgico si deve ancorare ai valori genuini per cui un tempo ci si è messi in cammino per arrivare fino a d oggi e, custodendoli, procedere oltre. Dai mesi scorsi, a ridosso dell’estate, siamo stati uditori di noti- zie e spettatori di scelte che hanno dato via a un mutamento di abi- tudini e di relazioni. Vi è stato un avvicendamento repentino dei sa- cerdoti: don Giudo è stato nominato parroco a S. Luigi in Milano e don Michele vicario presso la parrocchia S. Gregorio Barbarigo V, sempre in città. A risiedere in parrocchia, come referente della vita parrocchiale è giunto, nella prima settimana del mese di novembre, don Samuele. Inoltre dentro un progetto ampio che riguarda l’intera Fratelli tutti pag. 3 Gli Angeli Custodi e il presepe pag. 6 L’Avvento della rinascita. La salvezza ci viene donata in un’attesa pag. 7 Sul Confine pag. 10 In ricordo di Luigia Panigada (19.8.1922 - 7.6.2020) pag. 11 Comunioni 2020 pag. 18 Riflessioni sulla Cresima pag. 19 In vigore la nuova edizione del messale pag. 21 Gli Angeli raccontano pag. 22 In questo numero: Anno XII, numero 12 - dicembre 2020 Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected] Parrocchia Angeli Custodi Via Pietro Colletta 21, Milano www.parrocchie.it/milano/angelicustodi [email protected]

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LETTERA DEL PARROCO

Alzare lo sguardo. Non è da tutti. Non importa se si è giovani o

anziani: ci si abitua, senza accorgersene, a guarda su di sé, attorno

a sè, al massimo si guarda indietro. Guardare avanti, forse per il

tempo che stiamo attraversando, richiede fatica e una buona dose

di fiducia. Non che il passato sia una realtà da dimenticare: caso-

mai esso è il luogo dove ritrovare le radici, le motivazioni originarie,

il faro che proietta sempre oltre a sè la luce che orienta e rassicura.

La memoria del passato più che a un sentimento nostalgico si

deve ancorare ai valori genuini per cui un tempo ci si è messi in

cammino per arrivare fino a d oggi e, custodendoli, procedere oltre.

Dai mesi scorsi, a ridosso dell’estate, siamo stati uditori di noti-zie e spettatori di scelte che hanno dato via a un mutamento di abi-

tudini e di relazioni. Vi è stato un avvicendamento repentino dei sa-cerdoti: don Giudo è stato nominato parroco a S. Luigi in Milano e

don Michele vicario presso la parrocchia S. Gregorio Barbarigo V, sempre in città. A risiedere in parrocchia, come referente della vita

parrocchiale è giunto, nella prima settimana del mese di novembre, don Samuele. Inoltre dentro un progetto ampio che riguarda l’intera

Fratelli tutti pag. 3

Gli Angeli Custodi e il presepe pag. 6

L’Avvento della rinascita. La salvezza ci viene donata in un’attesa pag. 7

Sul Confine pag. 10

In ricordo di Luigia Panigada (19.8.1922 - 7.6.2020) pag. 11

Comunioni 2020 pag. 18

Riflessioni sulla Cresima pag. 19

In vigore la nuova edizione del messale pag. 21

Gli Angeli raccontano pag. 22

In questo numero:

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Milano, e con diverse modalità già avviato in diocesi, siamo stati inseriti in una dinami-

ca in divenire verso la formazione di una comunità pastorale che comprenderà la par-

rocchia degli Angeli Custodi e la parrocchia di sant’Andrea. Per questo motivo, per en-

trambe le parrocchie, vi è un unico parroco, don Adriano, con il compito non tanto di

provvedere alle questioni pratiche delle singole parrocchie quanto piuttosto per avviare

collaborazioni e sinergie tra le due comunità.

Alzare lo sguardo indica appunto quella modalità di stare dentro la propria parroc-

chia con uno spirito disponibile a discernere le prospettive di cambiamento e di apertu-

ra all’altro e che facilita l’individuazione di qualcosa di nuovo; che testimonia la volontà

di porre dei passi per non stare fermi nelle proprie abitudini ma, pur custodendone i va-

lori, tentare vie diverse per vivere insieme il dono della fede.

Il libro dell’Apocalisse (Ap 21,5) ricorda che lo Spirito del Signore fa nuove tutte le

cose: per discernere il “nuovo” delle cose che già ci sono occorre il coraggio di non se-

dersi quasi appagati, di non cullarsi in quanto fatto e ci fa sentire sicuri e tranquilli; oc-

corre lasciarsi anche condurre, mettendosi in discussione, chiedendosi cosa oggi lo Spi-rito ci suggerisce. Questo ritengo sia il cammino che ci sta dinanzi negli anni a venire:

discernere cosa e come, oggi, lo Spirito ci chiede di essere discepoli e come testimoniare la buona notizia del Vangelo. Ogni energia indirizzata fuori da questo contesto sarebbe

energia sprecata. Come in ogni parrocchia vi è un nucleo storico di persone, nate o cre-sciute nel posto, e vi sono fedeli che giungono da più parti, per diversi motivi, lavorativi

o logistici, e vi si stabiliscono. Creare sinergie nell’accoglienza e nella disponibilità colla-borativa al fine di formare una comunità rinnovata e viva appartiene alla sapienza del cristiano adulto; chiudersi da un lato o sentirsi a priori non accolti dall’altro rende im-

possibile un cammino comunitario.

Chiediamo al Signore il dono della docilità e della pazienza nella consapevolezza che non ci è chiesto di costruire qualcosa di nostro ma di collaborare ad edificare la

Chiesa, la comunità dei suoi discepoli dentro questa città, in questo tempo.

A tutti auguro buon cammino,

don Adriano

P.S.: A partire dai prossimi numeri saranno pubblicati articoli di presentazione dei nuo-

vi preti della comunità.

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Fratelli tutti

Ugo Basso

La terza lettera enciclica di papa Francesco, un manuale per un nuovo umanesimo animato dall’a-more, mi induce a riflettere sulla recezione da parte dei cattolici dei documenti della loro chiesa. Riconosco senz’altro che sono troppi e che, di fatto, nessuno ha la possibilità di leggerli tutti; spesso sono di difficile lettura e poco invitanti; molti sono discutibili e forse neppure del tutto evangelici, ma mi rammarico che non si riconosca-no quelli importanti, che gli si dia così scarsa at-tenzione e ben poco ci si preoccupi di che cosa suggeriscano a ciascuno. In nessuna associazione sarebbe possibile ignorare i documenti che forni-scono le linee programmatiche, le istruzioni di comportamento, le cose da fare. Se ne parla po-co, anche in chiesa: penso, per esempio, alla Cari-tas in veritate di Benedetto XVI che, facendo eco alla Populorum progressio di Paolo VI, fornisce sug-gerimenti addirittura su come fare gli acquisti e investire i soldi, sui doveri di accoglienza e su co-me boicottare il commercio delle armi, per non dire dell’Evagelii gaudium e della Laudato si’ o anco-ra, se vogliamo andare indietro negli anni, della Pacem in terris di Giovanni XXIII. Quanto le cono-sciamo e quanto hanno modificato il nostro modo di essere credenti e il nostro modo di agire? Quanto chiediamo perdono di questi peccati di omissione? Posta questa premessa, veniamo all’enciclica fir-mata dal papa lo scorso 3 ottobre ad Assisi sulla tomba di san Francesco. Per quanto è possibile in questi spazi, mi limito a considerarne lo spirito e la attraverso mettendo in evidenza diversi punti che mi sembrano caratterizzanti, utilizzando però molte parole del testo, per farne gustare il lin-guaggio. E rivolgo a tutti un caldo invito alla lettu-ra, per la quale occorre un po’ di pazienza, ma che sarà una sorpresa incoraggiante. Il testo, articolato in 8 capitoli, raccoglie docu-menti e discorsi pubblicati nei sette anni di ponti-ficato a cui si aggiungono citazioni da moltissime fonti – sociologiche, psicologiche, filosofiche, let-terarie – e da scritti dei pontefici più recenti. Le ombre di un mondo chiuso Un’enciclica sociale per chi, con i piedi nella real-tà, ancora crede che una società diversa è possibi-le con il coraggio di cambiamenti radicali nei com-

portamenti di ogni giorno, indicati da Francesco anche nei dettagli anche utilizzabili nella quotidia-na revisione di vita, nelle confessioni, nella valuta-zione delle scelte per la giornata. Tutta l’enciclica è tesa alla costruzione di una nuova società, un nuovo umanesimo, una nuova cultura fondata sulla fraternità. Nella prima parte, Francesco indica alcune «tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale» (9). Dunque cominciamo dagli osta-coli. Ne indico tre: il primo considera la condizio-ne, apparentemente contraddittoria, della società globalizzata, in cui siamo più soli che mai, vittime della ricerca ossessiva degli interessi individuali, del consumo senza limiti, che nega la dignità delle persone. Il secondo è la manipolazione e la defor-mazione di parole come democrazia, libertà, giusti-zia, unità da parte dei mezzi di comunicazione sociale «per utilizzarli come strumenti di domi-nio, come titoli vuoti di contenuto che possono servire per giustificare qualsiasi azione» (14), per indebolire le identità dei più deboli rendendoli vulnerabili e dipendenti. Il terzo ostacolo è «l’indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità» (29) da cui solitudine, infelicità e frustrazione fino alla disperazione responsabi-le talvolta della violenza sociale. Un estraneo sulla strada Il passaggio alla parte dell’enciclica più consistente e propositiva è costituito da una minuta e origi-nale interpretazione della famosissima parabola del buon samaritano (Luca 10, 25-37): occorre interrogarsi su quella per chiederci quanto siamo disponibili a cambiare visione e cuore per appro-dare al nuovo umanesimo. Il papa elenca diverse citazioni della Scrittura nei due Testamenti che invitano all’amore del prossimo: la parabola inse-gna a farne stile di vita. «É importante che la cate-chesi e la predicazione includano in modo più di-retto e chiaro il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convin-zione sull’inalienabile dignità di ogni persona e la motivazioni per amare e accogliere tutti» (86). I briganti rappresentano il male, di cui abbiamo vi-sto alcuni aspetti nella prima parte; nel ferito «è il popolo stesso e tutti i popoli detta terra» (79), tutti gli uomini a cui sono sottratti la dignità, la

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salute, l’istruzione, lo stesso diritto di vivere. Il samaritano, uno straniero, di cui nemmeno si dice che abbia fede, è ciascuno di noi, credente o no, e ci impone di «scendere dalla nostra serenità per sconvolgerci con la sofferenza umana [...] Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta pos-sibile» (68). Dunque occorre in ogni momento farsi disponibili, dare il proprio tempo, fare scelte politiche non complici dei briganti, imparare a operare con gli altri, come il samaritano che si è rivolto all’albergatore. Neppure l’appartenenza a una chiesa è garanzia di affidabilità: «il fatto di cre-dere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace [...] Il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti» (74). L’armonia delle differenze Tre i temi centrali della terza parte: dal riconosci-mento dell’amore come fondamento della vita - «nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare» (87) - scendono per un verso il recupero dei valori della rivoluzio-ne francese – libertà, uguaglianza, fraternità -, per un altro il ridimensionamento del valore della proprietà privata. Se è vero, come ricorda France-sco, che «la tradizione cristiana non ha mai rico-nosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata» (120), è altrettanto vero che neppure nelle encicliche che fondano il cosiddetto pensiero sociale della chiesa è mai stata messa in discussione. Se Marx considerava la proprietà pri-vata un furto dei padroni ai lavoratori, Francesco ne nega l’intoccabilità in una società fondata sull’a-more, per arrivare a concludere che, «se qualcu-no non ha il necessario per vivere con dignità, è perché un altro se ne sta appropriando» (119). Solo la fraternità garantisce l’uguaglianza, indipen-dentemente da qualunque condizione di disabilità o di provenienza: non ci possono essere differen-ze nel diritto alla cura, sia da persona a persona, sia da parte delle strutture sociali mentre ciascu-no deve essere guardato e valorizzato «nella di-versità degli apporti che può dare»: occorre «imparare a vivere insieme in armonia e pace sen-za che dobbiamo essere tutti uguali» (100). Per una politica animata dall’amore Dopo queste alte proclamazioni di principi l’enci-clica offre una serie di suggerimenti operativi su cui si potrebbe ragionare per farne scendere isti-tuzioni e comportamenti. La linea portante è l’in-tegrazione fra culture che valorizzi gruppi e istitu-

zioni a partire dalla famiglia, nelle loro individuali-tà, sempre tuttavia inseriti in una visione univer-sale: non farsi spaventare dal diverso, da culture diverse che devono esser rispettate e mantenute nell’armonia della conoscenza reciproca e della collaborazione. La nuova società deve evitare il doppio rischio dell’omologazione con la perdita di tante originalità e del separatismo conflittuale, in cui contano solo il mio e il nostro. Strumenti essenziali sono un ordinamento giuridico mondia-le, un’autorità che sappia risolvere le tensioni in-ternazionali con arbitrati, che curi l’equa distribu-zione dei beni, faccia rispettare l’ambiente e man-tenga la pace; ma anche la gratuità, chiesta dall’e-vangelo: «chi non vive la gratuità fraterna fa della propria esistenza un commercio affannoso, sem-pre misurando quello che dà e quello che invece riceve in cambio» (140). Anche il samaritano non ha potuto fare tutto da solo e ha avuto bisogno almeno della locanda: una struttura a lui estranea, ma necessaria perché potesse offrire soccorso al malcapitato. Se nel nostro tempo la politica è considerata una brutta parola, è anche vero che «nella politica c’è spazio per amare con tenerezza» (194). Il papa offre in-dicazioni in tante direzioni con le quali varrebbe la pena di confrontarsi per verificare da che parte stiamo noi e i politici a cui diamo fiducia: ogni azione, ogni scelta devono essere animate dall’a-more e tutto avrà valore: «se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vi-ta» (195). Tre i nodi principali di questo sguardo alla politica: intanto la distinzione tra popolare, cioè appartenente al popolo e di suo interesse e populismo definito «abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politica-mente la cultura del popolo» (159); in secondo luogo la politica non deve mai essere sottomessa all’economia o al mercato, nella convinzione, so-stenuta da molti, che se circolano tanti soldi, pur se a vantaggio di pochi, traboccheranno anche sui molti; e non tralasciare mai «di porre tra gli obiettivi principali e irrinunciabili quello di elimi-nare effettivamente la fame» (189); e, in terzo luogo, occorre avere il coraggio di fare progetti sui tempi lunghi, che prevedano lavoro per tutti, anche se «pensare a quelli che verranno non ser-ve a fini elettorali» (178). Dialogo e amicizia sociale «Nessuno potrà possedere tutta la verità, né

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soddisfare la totalità dei propri desideri, perché questa pretesa porterebbe a voler distruggere l’altro negando i suoi diritti» (221): dunque dialo-go, un dialogo che presuppone stima e rispetto e riconosce «che anche gli altri hanno diritto a esse-re felici» (224). Nella nuova cultura dell’incontro, il dialogo deve costituire lo stile del rapporto fra persona e persona, un dialogo che non rifiuta nes-suno e apprezza le differenze. Francesco è sempre attento al mondo digitale e riconosce dono di Dio la possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti che Internet può offrire. «È però necessario veri-ficare continuamente che le attuali forme di co-municazione ci orientino effettivamente all’incon-tro generoso, alla ricerca sincera della verità pie-na, al servizio, alla vicinanza con gli ultimi, all’im-pegno di costruire il bene comune» (205). Questo clima positivo, anche nei momenti di crisi, anche quando «gli altri diventano ostacolo alla propria piacevole tranquillità» (222), può essere mantenu-to facendo ricorso sempre alla gentilezza, in casa e in ogni ambiente. E il richiamo è addirittura di san Paolo! Perdono e memoria La settima parte dell’enciclica è dedicata ai conflit-ti, inevitabili in qualunque società umana, anche se in una società equa e fraterna sarebbero molto limitati. Francesco riprende con sistematicità il suo pensiero sulla guerra largamente espresso in molti documenti e discorsi degli anni passati e af-fronta il tema del perdono. Al perdono è invitato ogni cristiano, nella consapevolezza della difficoltà, ma «amare un oppressore non significa consentire che continui a essere tale» (241). La rinuncia alla vendetta, pubblica e privata, non comporta rinun-ciare alla giustizia e neppure accettare soprusi e ingiustizie lesivi della dignità, pensiamo alla tratta di uomini e di donne, ai lavori non retribuiti, alle violenze politiche. I grandi orrori del passato non devono mai essere dimenticati e il perdono può essere solo personale, mai collettivo. Non si può dimenticare la Shoah, non si possono dimenticare Hiroshima e Nagasaki «e tanti altri fatti storici che di fanno vergognare di essere umani»: vanno ri-cordati sempre, sempre nuovamente, «senza stan-carci e senza anestetizzarci» (248). Sulla doverosa abolizione della pena di morte Francesco si è tan-te volte pronunciato: mi pare ancora interessante osservare da una parte come anche «l’ergastolo è una pena di morte nascosta»; dall’altra come chi si batte per l’abolizione della pena di morte, deve

anche battersi «al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà» (268). Le religioni al servizio della fraternità nel mondo L’ultima parte è dedicata alle Religioni al servizio della fraternità del mondo: «senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possono essere ragioni soli-de e stabili per l’appello alla fraternità [...] La ra-gione da sola è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraterni-tà» (272). Da questa considerazione deriva la re-sponsabilità dei credenti nell’edificazione della società fondata sull’amicizia sociale a cui è dedica-to questo lungo testo. Responsabilità non solo dei cristiani: «le diverse religioni non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» (277) e i credenti di tutte le reli-gioni sanno che «rendere presente Dio è un bene per le nostre società» (274). Questo significa una nuova apertura verso le religioni, senza negare l’identità cristiana e l’urgenza di «dare testimo-nianza di un cammino di incontro tra le diverse confessioni cristiane» (280). Francesco non igno-ra le violenze e gli odi scatenati nel corso della storia, e neppure oggi dissolti, proprio dai conflit-ti fra religioni a anche fra cristiani: «queste sciagu-re sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi» (285), mentre «la violenza fondamenta-lista viene scatenata in alcuni gruppi di qualsiasi religione dall’imprudenza dei loro leader. Tuttavia il comandamento della pace è iscritto nel profon-do delle tradizioni religiose che rappresentia-mo» (284). Prima delle preghiere conclusive, un richiamo all’appello alla pace, alla giustizia e alla fraternità, già più volte ricordato, lanciato al mon-do a conclusione dell’incontro del 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi nel quale Francesco e il gran-de imam Ahmad Al-Tayyeb «dichiarano di adotta-re la cultura del dialogo come via, la collaborazio-ne comune come condotta, la conoscenza reci-proca come metodo e criterio» (285). Francesco ci ha aperto la finestra su un mondo di sogno, ma possibile almeno per chi crede: dopo aver respirato in questi cieli, tornare alla realtà in cui viviamo e che la TV ci porta in casa ogni gior-no è scoraggiante. Ciascuno di noi è però inter-pellato ad assumere le proprie responsabilità e a chiedersi che cosa proprio io disposto a fare... Da oggi.

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Gli Angeli Custodi e il presepe

I presepisti

Hai pensato al presepe di quest’anno? Domanda, da diversi anni puntualmente ricorren-te intorno a fine settembre, ma stavolta non ho risposto come al solito anticipando un tema o un’idea da sviluppare, eravamo impreparati. Si respirava nell’aria un senso di vuoto e di incer-tezza, mancava lo spirito progettuale, il presepe era l’ultimo dei pensieri, la nostra comunità oltre ai limiti dettati dalla pandemia doveva abituarsi alla nuova realtà parrocchiale. Anche la festa patronale degli Angeli custodi è passata quasi inosservata. Nel frattempo, gli amici parrocchiani non demor-devano, incontrandoci per strada ci spronavano, raccomandandoci di allestire un bel presepe, per-ché, quest’anno dovrà stupire più degli altri anni, è un appuntamento a cui la comunità degli Angeli si ritrova unita sia fisicamente che nei sentimenti più profondi dell’attesa, e cosa di primaria importanza non possiamo deludere i bambini! Marco, che da tempo non è più un bambino, non concepisce il Natale senza il presepe, mi incorag-gia dicendomi: “dai Pippo, facciamolo utilizzando il materiale che abbiamo in magazzino, aggiungendo qualche particolare, riverniciamo le casette e per quest’anno va così.” Così mi ritrovo, tutte le mattine, da metà ottobre nel sotto chiesa a trafficare, mentre Marco, rita-gliando qualche ora dopo il lavoro o al sabato mattina, contribuisce all’avanzamento lavori, per realizzare il presepe di quest’anno così travagliato. Un presepe tradizionale, ambientato in un vecchio borgo affacciato su spazi e sentieri lastricati, dove la gente del luogo si incontra per andare dal for-naio, passare dal falegname per qualche aggiusto, e degustare un buon bicchiere in compagnia, c’è anche una stalla dove si può trovare del buon lat-te genuino e della ricotta appena fatta dal pastore delle pecore. In fondo alla via che porta fuori sorge una casa modesta dei contadini con annesso un fabbricato appena costruito, ben curato adibito a locanda per accogliere decorosamente i fore-stieri di passaggio. Qua e la, tra i prati verdi, i pa-storelli sorvegliano le loro pecore al pascolo. Lon-

tano, sulla collina, un piccolo villaggio isolato so-vrastato dalle montagne le cui vette appuntite ricordano i vicini monti lecchesi a noi familiari È qui che vogliamo nasca il nostro Gesù! in un ambiente fatto di cose semplici tra gente sincera, serena. che vive la vita seguendo le ore scandite tra il sorgere e il tramonto del sole, che si ferma a scambiare un saluto senza fretta, gente che sen-te e ascolta le melodie che la natura dona in con-certi composti da suoni incomparabili, che tutte le sere contempla ammirata le stelle nel cielo, contandole una ad una man mano che spuntano e illuminano la notte. Questo è il quadro che appare a chi si ferma a guardare il nostro presepe, vede il paesaggio so-pra descritto, esprime qualche apprezzamento, ammira l’aurora che colora il cielo di rosa, scopre i particolari nelle bottegucce e, magari in cuor suo, cerca un messaggio, dà un significato alle co-se, alle figure alle luci ai colori, ecco che con l’ani-ma trova un segno in ogni cosa, e nel cuore na-scono sentimenti ed emozioni su cui viaggiare con la fantasia e….., mentre i pensieri portano lontano, ci si ritrova davanti al presepe ai piedi del nostro bell’altare, con le vetrate che gli fanno da sfondo, ad ammirare un creato dipinto con occhi di bambino, puro, come la natura che so-gniamo, fatta di cose che vogliamo custodire, di persone che si rispettano, che costruiscono con amore, ambienti senza porte e occasioni di giochi e di festosa accoglienza. Anche per noi, che lo abbiamo preparato co-struendo giorno per giorno senza un progetto, a lavoro finito è apparso un quadro inedito che ha superato le nostre tiepide attese: una sorpresa! Lungo la strada che conduce i forestieri al villag-gio si trova una decorosa locanda, ma chi prose-gue e loraggiunge vede un’insolita animazione in-torno alla stalla , tanta gente esulta con stupore per la nascita di un bambino! Perché tanto stupore e tanta gioia!? Mettici fantasia e scoprirai il motivo per cui tutti gli anni aspettiamo l’autunno per prepararci ad accogliere la nascita di GESU.

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L’Avvento della rinascita. La salvezza ci viene donata in un’attesa

Siamo ormai alle porte del Santo Natale e i colori ac-cesi dell’autunno cedono, a poco a poco, il passo a quelli più rigidi dell’inverno. È un tempo di profonda riflessione, ma anche occasione di rinascita nella spe-ranza cristiana. Siamo chiamati a meditare e a un silenzio orante in vigile ascolto della Parola che si è fatta carne per la nostra salute.

La bruma intravista nei primi giorni di novem-bre mi ha riportato a ricordi di autunni passati quando con l’arrivo dell’Avvento ci voleva il paltò e non un vestiario ancora sbarazzino. E la memo-ria, per singolari assonanze, si è raccolta su pagine sfogliate da fanciullo, dove lo stupore si leggeva non solo per il racconto ben rilegato in volume, ma pure sul piccolo viso di chi sapeva ancora me-ravigliarsi con seria spensieratezza. Riprendo tra le mani il vecchio e consunto libro, smuovendo veloci i fogli ingialliti dal tempo. Mi soffermo su un capitolo in particolare, avvinto di nuovo da quell’incalzare di vocaboli allineati con cura. Se il Manzoni andò nell’Arno a sciacquare i panni e noi possiamo recarci da lui per fare lo stesso, non ci è proibito sostare sull’immortale fiaba del Collodi. E nel punto dove mi trovo, mi figuro un infarinato Pinocchio, che, un attimo prima di essere fritto in un tegame, viene salvato in extremis. Libero, anzi liberato, può correre a casa dalla sua Fata pronto a invocar misericordia per le sue mascalzonate. Ma gli eventi non vanno come s’aspetta; al contra-rio, come si suol dire, passò, quasi letteralmente, dalla padella alla brace. La notte era buia e faceva tempaccio e, per di più, l’acqua veniva giù a catinelle e il burattino, reo delle sue birichinate, esitava e tentennava nel bussare alla porta. In poche parole, il clima – esteriore e interiore – non era per nulla favorevole. La situazione non migliora: anziché rivedere la dama dai capelli turchini, si aprì una finestra dell’ultimo piano... e Pinocchio vide affacciarsi una grossa Lumaca. La brava bestiola fa le veci della padrona di casa con spirito pronto, ma senza fret-ta: ci vogliono nove ore per scendere fino sull’uscio di strada e soltanto dopo altre tre ore e mezzo porta qualcosa da mettere sotto i denti del burat-tino, il quale si sentì consolarsi tutto. Tuttavia, le cibarie sono oggetti incommestibili e, per il gran

dolore o per la gran languidezza di stomaco, Pinoc-chio stramazza svenuto.

Mi fermo nella lettura e medito sullo stato at-

tuale. C’è un tempaccio anche ai nostri giorni a causa di quel virus taldeitali in libero sfogo per cui non sembra intravvedersi la luce, la fine della sventura epidemica. Riemerge in me la domanda di discepoli curiosi davanti alla prospettiva della distruzione del tempio e dell’inizio dei dolori: Di’ a noi, quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per com-piersi? Gesù è lapidario nell’articolata risposta, sintetizzabile in un laconico badate a voi stessi! La vita non può essere vissuta come un possesso e un controllo su ciò che ci circonda, ma come un dono attinto in una relazione d’amore, quella col Padre. E come ogni rapporto ci deve essere fidu-cia, generatrice di fedeltà, e pazienza. Noi Pinoc-chi moderni vogliamo subito quel che ci passa per la testa, rigettiamo l’attesa. E, invece, dobbiamo macerare nell’impazienza, fintantoché – come si apprende in un geniale commento a Le Avventure di Pinocchio – «le illusioni si disperdono e le inten-zioni si purificano. Senza questa prova, ogni ritor-no rischia di essere solo una “esperienza” super-ficiale ed effimera». Sicché, la Fata con il suo at-teggiamento educa il burattino: non è indubbio il perdono, ma è necessario un cammino di reden-zione. Ivi trovano dimora la speranza e la crescita spirituale: quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi. “Non inquietarti, non di-sperarti”, mi par di sentire nel mio intimo la voce di Pinocchio oramai divenuto un ragazzino perbe-ne, “ci sono passato anch’io. Abbi pazienza e fidu-cia. Pensa a quello che tu puoi testimoniare in questo frangente; sii fedele”. E si palesa la vera questione: a chi dar credito?

Riapro il libro foriero di meravigliose notazioni

e l’attenzione cade su un altro capitolo tanto at-tuale da essere disarmante. Non hanno tutte le risposte gli uomini cosiddetti di “scienza”, disci-plina assurta al ruolo di religione universale a cui obbedire senza batter ciglio, da idolatrare e for-sanche adorare? Siamo persuasi, se ci si affaccia al

Don Samuele

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tubo catodico con morigerata distrazione, che non sia proprio così e non può essere altrimenti: la vera scienza cerca di spiegare “il come” non “il perché” avvengano le cose. Non basta sapere il funzionamento della natura per guarire i mali che affliggono l’uomo, è stato detto con verità. È quan-to il Lorenzini descrive nella disputa tra i medici più famosi del vicinato chiamati dalla Fata al capez-zale di Pinocchio appena salvato dall’impiccagione per capire se sia morto o vivo. Se il primo speciali-sta sentenzia: A mio credere il burattino è bell’e mor-to: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sareb-be indizio sicuro che è sempre vivo!; l’esimio collega, dal canto suo, replica: per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero. Parole senza dubbio ammirevoli nella loro concreta fattualità, seppur non dimostrata. È, però, il terzo parere, quello del Grillo parlante, simbolo della coscienza, a essere risolutivo, perché aiuta Pinocchio a rico-noscere le sue malefatte. Si sentì nella camera un suono soffocato di pianti e di singhiozzi: la salvezza arriva sovente accompagnata da lacrime amare (come non rimembrare la conversione dell’Inno-minato?), ove la coscienza si prende carico dei peccati commessi. Seguire i dettami della propria coscienza non è, infatti, agire assecondando il gu-sto o l’idea del momento, bensì mettere in pratica nel proprio operato la volontà divina, bene massi-mo per ogni creatura.

Rimugino e pondero; la fase in cui siamo è diffi-cile, eppure Dio ci parla mediante la storia, trami-te i fatti che accadono. Se per irenismo lessicale nell’orbe cattolico sono sparite parole dal sapore biblico ed ecclesiale, come “castigo”, “prova” o “merito”, sovente lo sono per una pigrizia teologi-ca che non si disturba più a chiarire il retto signifi-cato dei termini in questione. È un castigo quello con cui Dio sta affliggendo il mondo? Sic et non, rispondo abelardianamente, mentre un raggio di sole penetrato dalla finestra mi distoglie dai ragio-namenti. Di quanta luce abbiamo urgenza, conven-go con il mio “io” interiore, per poi riprendere il filo dei pensieri. No, di certo, mi dico, se si crede che questa pandemia sia usata da Dio per punirci (nel caso, potrebbe trovare, de facto, metodi an-cora più efficaci). Sì, invece, se si intuisce che il male si è propagato per una catastrofe iniziale, assente nel progetto divino. Se il peccato è stato riparato in melius ne rimangono gli influssi mortife-ri, perché il Signore vuole accaparrare il cuore

d’ogni uomo con la potenza del Suo amore, senza prevaricare la libertà delle sue creature. Epide-mie, terremoti, carestie e quant’altro sono causa-ti da un nuovo ordine scaturito dal peccato (originale). Ecco il castigo: è la pena che l’umanità si è autoinflitta, una conseguenza. La realtà è at-traversata dal male, permesso soltanto da un Pa-dre che vuole bene a tal punto i suoi figli da con-cedergli di sbagliare. Nondimeno, li aspetta, pron-to a rialzarli dalle inevitabili cadute. È il Padre mi-sericordioso che attende il figliol prodigo e che sopporta le indebite intemperanze del figlio mag-giore.

Riprendo in mano il Vangelo. Scorro quelle

sacre sillabe e intuisco come ogni cosa esistente (anche malefica) è ricondotta dalla potenza divina al bene, per un bene. Apro il cuore alla speranza, cedendo a un sospiro di sollievo: nulla è più forte dell’amore di Dio (neanche la natura) e, pertanto, qualsiasi particella del reale trova il suo senso nella fede, nella fiducia di chi prega: “Credo in te, Signore, nonostante tutto!”.

Quale il castigo? Quello di chi rifiuta un lega-

me con il Cristo, condannandosi al vuoto della solitudine. La risurrezione è, invece, relazione con il Padre, il quale non esita a correggere i suoi figli in vista di un dono più grande: È per la vostra cor-rezione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?

L’Avvento è il periodo dell’attesa, della prepa-

razione, della conversione e, oggi più che mai, di purificazione. Sorrido. Le risposte il buon Dio me le ha date tutte, ma la mia dura cervice non mi consente di coglierle nella sua portata. Che fare? Mi fido. Ossia non mi lamento, poso l’attenzione sulle grazie divine disseminate nel mio quotidiano, non chiacchiero a sproposito come i due profes-soroni nel racconto collodiano (che, d’altronde, pur parlanti, rimangono bestie). Dinanzi al burat-tino che si dispera, facendo una sorta di mea cul-pa, il dottor Corvo non ha dubbi: Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione; eppure il compare Civetta non ne è convinto: Quando il morto piange, è segno che gli dispiace di morire. In-voco: “Signore liberaci dai troppi discorsi inutili!”.

Sì, alla fin fine mi convinco, è il tempo propizio

per un silenzio orante, per fare di noi il luogo del-la presenza dello Spirito Santo e annunciare a co-

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loro che incontriamo la buona novella: Dio nasce per noi! Dio si fa uomo per salvarci! Niente e nes-suno può impedirlo. Cambio posizione sulla pol-trona e mi alzo con fare quasi infastidito. L’ultimo interrogativo è un pungolo, ma non posso evitare

la domanda: Sono pronto a rinunciare alle mie piccole idee per assimilarmi al sorprendente pen-siero di Cristo? Qui, non altrove, ne sono conscio, si gioca la vita (eterna).

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Sul confine

Simone Moscardi

Dammi un tramonto di quelli tosti, con il mare calmo leggermente increspato, l’onda lunga sulla spiaggia che degrada lenta, con le nuvole sfilaccia-te ad affettare la luce fino a renderla diseguale quanto basta. Dammi il silenzio delle terre disabitate, dove la distanza è regola, dove l’umano è di troppo, dove la felicità è densamente spopolata. Dammi tempo per rimanere accucciato nel silen-zio a respirare l’aria gelida di una estate ribaltata, bavero alto, ciuffo scomposto, sguardo lontano. Dammi luce a sufficienza per distinguere il confine dell’oceano e delle nuvole, del tramonto e dell’al-ba, della fine e dell’inizio.

E in questo tramonto freddo e assoluto, dopo che mi hai riportato a casa e dell’altra parte del mondo e l’estate si è mischiata all’inverno, mi ag-grappo agli ultimi istanti di luce per distinguerti appena alla mia sinistra e chiederti di darmi la for-za di saper guardare nel buio, nella nebbia, nel sole accecante, nella monotonia della quotidiani-tà, nella paura dell’inadeguatezza, nella imprevedi-bilità della pioggia e delle giornate assolate. Dammi forza per stare in piedi davanti a quello che sarà e guardare avanti come oggi guardo, li-bero e consapevole, in questo spazio dilatato e rarefatto, il confine del buio che incurante ci rag-giunge e ci avvolge, nell’attesa che sia domani.

In ricordo di Luigia Panigada (19.8.1922 - 7.6.2020)

Nel seguito riportiamo diversi pensieri, ricordi e contributi scritti a seguito della scomparsa della nostra carissima Luigia Panigada, avvenuta lo scorso 7 giugno. Purtroppo l’evolversi della pande-mia e il succedersi di nuovi preti ci ha permesso solo ora la pubblicazione di quanto giunto in reda-zione.

… mai avrei voluto che arrivasse questo momen-to, questa liturgia. Figuriamoci come posso sentirmi sul pulpito a di-re queste parole per ricordare e salutare Luigia, ma quando mi è stato detto della possibilità ho subito risposto sì. È sempre una gioia – e sempre lo sarà - pensare e far pensare a lei, ma anche un cruccio averle restituito poco, soprattutto nell’ul-timo periodo. Luigia ho detto poco fa? Ma no, no era zia Pani! Voglio prendermi il “merito” di averla sopranno-minata così – zia Pani – con tutto l’affetto e il ri-spetto che quell’appellativo poteva contenere, che voleva esprimere. Non so voi, io l’ho sempre vista come la zia tene-ra ma rigorosa, presente, interessata e attenta, quella zia che qualcuno ha o ha avuto e che io in-vece mi sono trovato qui agli angeli custodi, che ho adorato e rispettato in tutti gli anni in cui l’ho avuta tra le presenze importanti della mia vita. C’era quando da ragazzo frequentavo assidua-mente l’oratorio e la chiesa, con don Peppino. Ero Rombo per lei – il mio soprannome ancora oggi per qualcuno, e fin da quei tempi – e ieri mi dice-vano che qualche volta le è stato chiesto chi fosse questo Rombo che lei citava. C’era quando mi sono sposato qui agli Angeli (e poco prima mi ha donato – stiamo parlando di 35 anni fa - questo semplice pensiero, una candela votiva, dedicata alla Madonna di Caravaggio, che ancora conservo quasi come reliquia). C’era in età adulta, al consiglio pastorale, in se-greteria e in tante altre iniziative della comunità, religiose, caritative o ricreative che fossero. C’era, c’è stata fino a poco tempo fa, quando l’e-

tà e la fatica ne hanno rallentato l’attività, ma mai quella impagabile e inarrestabile voglia di esserci Sto parlando di un donnino (mi si passi il termi-ne) minuto, sempre più minuto nel fisico col pas-sare degli anni, ma di un gigante, un vero gigante nella sua vita lunga X anni (uno dei suoi vezzi è stato quello di svicolare sempre sulla sua età, ma io sono tra i non molti che la conoscono). Che fosse un gigante concorderà senza dubbio chi l’ha conosciuta anche solo un po’. In fede, speranza e carità. La celebrazione eucaristica era la sua fonte, il suo sguardo sempre al futuro con gioia, una disponibilità totale in parrocchia e an-che fuori, per esempio come volontaria ospeda-liera… Era il nostro Direttore Generale. Ma non voglio fare una lista delle sue qualità, pre-ferisco invitare ciascuno a riportare alla mente i suoi ricordi più cari di zia Pani, quelli conservati, diciamo scolpiti, nel cuore. Non un momento accademico, ma al contrario vuole essere, è, vita vissuta, per onorare questa grande persona. Lo faccio io per primo, cercando di limitarmi per-ché potrei davvero parlare a lungo (è per questo che se inizialmente avevo pensato di parlare a braccio ho poi preferito scrivermi una traccia). Butto lì solo qualche parola ‘chiave’ con cui de-scrivere il mio vissuto con lei. Ognuno avrà il suo di vissuto, ma sono sicuro che molti ricono-sceranno quello che sto per dire. SORRISO: sorridente, allegra, positiva, la gioia di vivere in una persona. RIGORE: tutto quello che ha fatto l’ha sempre fatto con passione, dedizione, impegno e soprat-tutto con rigore. Mi permetto di riportare la fra-se che mi ha scritto Roberta l’altro giorno perché mi pare significativa: “nessuno riusciva a spiegarmi il senso di una regola come lei”. Da questo nasce-

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vano i suoi rimproveri (chi non è stato sgridato dalla zia? Nessuno, penso, e i sacerdoti per primi, vero?), ecco nascevano dal fatto che per lei le co-se dovevano essere fatte bene, con coscienza, passione, dedizione appunto. Quante volte mi ha ricordato, a me un po’ trasandato, che la domeni-ca ci si deve vestire bene, per l’incontro col Si-gnore nell’eucaristia? A quanti ha raccomandato di curare anche la propria persona per onorare sia il corpo che gli altri con cui ci si incontra? CHIERICHETTI: erano i suoi nipotini, la sua gioia e qualche volta la sua croce (mi è capitato di dirle sorridendo, ma dai sono bimbi, faranno meglio la prossima volta… anche di quelli più grandi, eh…). Ma la domenica c’erano i cioccolatini per loro (e anche per me) PRESENZA: Zia Pani c’era, sempre, lo dicevo già prima. C’era all’eucaristia, c’era ai pranzi comuni-tari, c’era alle riunioni (quanto ha amato e anima-to la Commissione Liturgica) c’era quando il biso-gno chiamava e doveva pure ingegnarsi (come per aprire il portone della chiesa, altissimo per lei) DIALETTO MILANESE: le piaceva da pazzi alter-nare il milanese all’italiano, ancor di più quando cercava complicità a un commento, a una battuta. Lo faceva sia con chi, come me o Francesca (che me lo ricordava ieri), aveva dimestichezza con questo linguaggio ormai desueto, sia con chi ma-gari doveva andare a intuito per capire. Ed era tutta divertita TECNOLOGIA: diciamo che con la tecnologia

aveva un rapporto complicato e io ero un po’ il suo riferimento soprattutto nell’uso di quell’og-getto diabolico, il telefonino. Come Alberto stavo in cima alla lista dei numeri memorizzati ed …era un piacere sentirla quando mi chiamava per sba-glio. Ma non si è mai bloccata quando quell’aggeg-gio è diventato indispensabile, magari con fatica, ma si è impegnata ATTENZIONE E CURIOSITA’: penso di non aver mai incrociato nella mia ormai annosa esi-stenza una persona che come lei ricordasse fatti, situazioni, soprattutto i nomi delle persone. Era un motore di ricerca, un Google ante litteram, di zia Pani ci si poteva fidare ciecamente, pochissimi gli errori. E coi nomi era veramente incredibile, persino il mio cane non era un Bobi qualsiasi ma… “dove è Trilly?” “come sta Trilly?” Mi fermo, lascio a ognuno il compito di ricordare la Luigia (detto alla milanese) stasera domani do-podomani, come gli verrà. Sono certo che sarà sempre un bel ricordo. Non è più fisicamente con noi e quindi manche-ranno i gesti di cui ho appena detto. Non è più fisicamente con noi un faro degli Ange-li Custodi, ma sono sicuro che la luce di questo faro resterà accesa per tutti noi che l’abbiamo conosciuta, che le abbiamo voluto bene. E io sen-za la minima retorica dico il mio grazie a lei per esserci stata e al Signore per avermela fatta in-contrare.

Alberto Rozzoni

Arrivederci sorella Luigia! «Ci introduciamo alla celebrazione eucaristica col canto numero...» era la formula che ci ha insegna-to la signorina Panigada. La sua voce -inconfondibile- dall’accento vigentino, invitava l’as-semblea con garbata finezza a partecipare alla messa. Si avvicinava all’organo, mentre studiavo, per un saluto. Amava intrattenersi coi giovani, ci ascolta-va, dava consigli, aveva una memoria prodigiosa per qualsiasi cosa ed era sapiente.

Prima della messa tornava sempre con qualche consiglio: questa domenica la liturgia prevede... e da organista inesperto (avevo appena quattordici anni) iniziai ad appassionarmi alla liturgia, a cono-scerla, amarla e rispettarla. Una volta mi spiegò il significato delle litanie, il legame che intercorre fra i diversi santi elencati. Lo ricordo come se fosse ieri. Viveva i preparativi della settimana santa curando ogni minimo dettaglio, compreso il catafalco del crocifisso che veniva rivestito secondo una pro-

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cedura scientifica con tanto di spilli affinché il da-mascato non avesse pieghe superflue. Quanta au-tentica dedizione! Era formidabile quando dalla sacrestia apriva un varco in mezzo ai chierichetti per dare le ultime disposizioni affinché la celebrazione fosse perfetta sotto ogni aspetto e si arrabbiava -spesso, devo dire- quando nel turibolo mettevano troppo in-censo, quando un canto non aveva coerenza con le letture del giorno, quando non si arrivava in tempo a leggere sull’ambone o ci si presentava mal vestiti. Lo faceva notare senza troppi giri di parole. C’è chi si lamentava, ma aveva ragione.

Con lei si chiude un capitolo importante della nostra parrocchia. Abbiamo avuto tanti parroci e sacerdoti ma la Luigia era al di sopra di tutti, non me ne vogliano, ma era così. Dedizione e rispetto sono i principi che più di ogni altra cosa conserverò fra i suoi innumerevoli insegnamenti. Parafrasando san Francesco mi viene proprio da dire: lodato sii, mio Signore, per la nostra sorella Luigia!

Gian Francesco Amoroso

…È tutta la vita che aspetto! Qualche anno fa frequentavo un blog di spirituali-tà, sul quale raramente mi capitava di intervenire con brevi commenti. Un giorno, intorno alla festa della Presentazione di Gesù al Tempio, si disquisi-va della figura di Simeone, l’anziano sacerdote che accoglie la Famiglia e riconosce nel neonato Gesù, il Messia. Io scrissi queste parole: Simeone… io lo conosco bene: abita nella mia stessa via e si chiama Luigia Panigada (detta la Zia Pani). Ha 86 anni e opera in parrocchia da… sempre! Ha lavorato nell’Ufficio Liturgico della Curia per 35 anni e così, da esperta, si è occupata per tutta la vita (quindi non ha ancora finito) della nostra sacrestia e di tutto quel che gira intorno alla liturgia. Quando ero giovane la consideravo come la solita bigotta un po’ acida; invecchiando (io, lei no: è sempre uguale!) e conoscen-dola meglio, mi sono resa conto di come possegga

una delle menti più aperte e giovani della parrocchia: collabora con tutti, si ricorda tutto, si informa su tutto e su tutti e… non si lamenta mai! Ha allevato schiere di chierichetti con pazienza, stri-gliate e affetto che tutti loro ricambiano anche quan-do crescono, anche quando si allontanano. Qualche anno fa un gruppo di venticinquenni, tutti ex chieri-chetti, si è iscritto alla caccia al tesoro della festa pa-tronale denominandosi “Panigada’s boys”. Un riferimento granitico, un punto fermo colossale. Su lei si può contare, si è sicuri di trovarla perché è sempre stata lì… senza mai stare ferma! Qualche tempo fa mi ha detto: “Ho bisogno di parla-re con te per i canti del mio funerale”. Una tipa che era con me ha esclamato “Ma Luigia… cosa dice?!” E lei: “Non è il caso di dire così: è tutta la vita che aspetto di incontrarlo!”

Roberta Marsiglia, gennaio 2010

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Luigia, maestra di fede e di vita Osservavo Luigia a distanza, si muoveva con gesti decisi, sicuri, testa bassa assorta, sembrava che non volesse perdere il filo. Tutto era sotto l’oc-chio vigile e nulla rimaneva sospeso o tralasciato. Ogni causa un effetto, ogni azione aveva una rea-zione che poteva svilupparsi in più di un modo e, semmai si prevedesse una terza o quarta possibili-tà, era calcolata nel campo delle ipotesi e quindi difficile incorrere in un errore. Così era Luigia: una maestra generosa e severa, comprensiva an-che se, a prima vista, dava un’immagine impene-trabile. No, posso assicurare che racchiudeva un cuore grande, esigeva il rispetto per le regole: sì! certo! Non poteva alcuno salire i gradini dell’alta-re ma si doveva girare attorno, la gente avrebbe notato le impronte… Sta minga ben, è la casa del Signore! Faceva intendere di presentarsi bene in chiesa la domenica, per onorare Dio nel giorno di festa dedicato a Lui. I lettori e le lettrici: in ordine sull’ambone! La parola di Dio deve giungere da un’immagine decorosa! Se no la gent se la gà de pensàaa!? Teneva conto di ogni particolare per la realizza-zione delle celebrazioni importanti o no. In tutti questi anni in cui ho ricevuto l’onore di esserLe spesso al fianco ho conosciuto un altro aspetto dell’amore: quello di una personcina che ha amato una comunità nel profondo delle sue viscere, più di una mamma. Che esplosione di gioia quando entrava in sagrestia un parrocchiano o parrocchiana per salutarla, magari dopo che si era trasferito da tempo. Tutto si ricordava e si informava dei famigliari, emanava una maternità amorevole colma di attenzione. Camminavamo insieme nelle sere in cui abbuiava presto fino alla sua abitazione e non perdeva oc-casione di raccontarmi episodi che si erano mani-festati nella sua esperienza di vita attiva. Le la se regorda? mi chiedeva e così entravamo in un mondo denso di storia e avvenimenti, persino dei canti a Maria che non si usavano più e comun-que avevano suscitato emozioni. Ci siamo sempre rivolte dandoci del ‘Lei’, io non sentivo l’esigenza

di proporre il ‘tu’ perché con Luigia era bello co-sì. D’altronde vengo da un’altra epoca, dal ‘900 e alle mie insegnanti non mi sarei permessa di rivol-germi in seconda persona. Lei usava la stessa for-mula, pur essendosi via via consolidata una confi-denza empatica tra noi, non si sarebbe mai posta più su di un gradino. La sua vita intanto declinava, caparbiamente non si arrendeva, voleva essere sicura di lasciare una continuità perché la sua amata parrocchia proce-desse nel tempo sulla lunghezza d’onda da cui era nata. Faceva le ore piccole per confezionare corredi per la sagrestia oppure pensava alle preghiere per le celebrazioni solenni, diverse da quelle dell’anno precedente, stilate con una grafia minuziosa e chiara in modo che non ponesse difficoltà al let-tore. La sua casa era un archivio storico perché con-servava tutto: le omelie di don Peppino -primo nostro parroco- lettere, preghiere, e quando vo-leva mostrarmi a proposito di un certo argomen-to sapeva, a colpo sicuro, dove cercare. Era dotata di una certa capacità di vivere nella contemporaneità: nel campo politico, nella crona-ca ed era uno spasso quando, da sotto gli occhia-li, dava un giudizio tra il serio e il faceto: Mah! Chi se capi pü nient!!! Amava vivere tra la sua gente, non esitava a far due chiacchiere per strada mentre ogni pomerig-gio si avviava al suo incontro con Dio per poi aprire la segreteria affiancata da una di noi volon-tarie. Dico anche a nome delle mie amiche che l’abbiamo coccolata e amata come lei ha amato noi. Negli ultimi tempi si era creato un gruppo pro-Luigia e speravamo di accompagnarla fino alla fine del suo mandato. Il giorno in cui ha dovuto arrendersi alla consape-volezza che le sue forze e la sua capacità di ge-stirsi erano giunte ormai al limite, per me e per tutti è stato vissuto come se il mondo intero ci fosse crollato intorno. Difficile da accettare, no-nostante l’età avanzata, perché la sua mente non aveva subito l’usura degli anni e avrebbe avuto ancora molto da insegnare.

Superata questa ultima parentesi oscura, sta tor-nando la luce sulla sua presenza in ogni cosa, in ogni momento, in ogni celebrazione, in tutti i bim-bi che sono cresciuti, che sono passati sotto le sue ali di chioccia, che si sono sposati e sono pa-dri, madri, nonni e nonne, in tutti noi che l’abbia-mo apprezzata e amata.

Cara Luigia, allora ci vediamo domani, arrivederci e si riposi! Era il nostro modo di salutarci… Arrivederci Francesca -accompagnando con il gesto della ma-no alura se vedum duman!

A Luigia, con amore e devozione. Francesca Sali

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ADDIO LUIGIA

Anche tu ti sei spenta, soave candela. Addio Luigia, amata sacrestana, torna serena dal Padre. Fosti per noi punto fermo di consiglio, e imperituri saranno i ricordi che a te mi legano. Mi ricordo di te, della dolcezza con cui mi accoglievi ogni domenica in Chiesa, quando solevo far il chierichetto. Mi ricordo di te, di quanto eri gentile e paziente, mai ti arrabbiavi, ci hai sempre amati senza risparmio. Ci dirigevi ed istruivi, sul tuo viso mai spariva il sorriso.

Quanto hai fatto per me, quanto hai fatto pel fratel mio, quanto per gli altri chierichetti, quanto per tutti? E ora vola, anima sua, mentre noi te ancora vegliamo e piangiam ricordando, vola dal Padre, su nel bel cielo. Vai, vola Luigia Lì in Paradiso, trovi così la Vera gioia, or sei rinata, dopo un lungo sonno, sii felice ora e per sempre! Gesù, accoglila dunque tra le Tue braccia, falla vivere in eterna pace con Te. Ti prego Gesù, accoglila!

Uno dei tuoi ragazzi

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Lettera scritta dalla nipote di Luigia Pani-gada e letta durante la liturgia delle ese-quie. Rispettiamo le ultime volontà della zia, che desi-derava il funerale nella sua amata parrocchia ac-compagnata e circondata da tutte le persone care che le sono state accanto in tutti questi anni, e che, con il loro affetto e la loro vicinanza, sicura-mente l'hanno accompagnata serenamente nella vecchiaia, creando intorno a lei una rete famiglia-re, si perché la parrocchia era la sua famiglia, lei conosceva tutti, ricordava tutti, ha seguito certi bambini dall'infanzia fino all'età adulta, li ha visti crescere, studiare, fidanzarsi, sposarsi e diventare genitori, diventare adulti, formare una famiglia, parte della sua grande famiglia parrocchiale. A causa della situazione attuale ancora incerta do-vuta al coronavirus abbiamo deciso con grande difficoltà e a malincuore di non prendere parte a questa cerimonia per tutelare le figure più fragili della nostra famiglia. È comunque nostra intenzio-ne, superata l'emergenza sanitaria, chiedere a don Guido una messa di suffragio in ricordo della zia, a cui, sperabilmente, potremo partecipare tutti sen-za problemi. Affidiamo quindi il nostro pensiero a don Guido, che possa farvi partecipi del nostro dolore, del nostro sgomento per la separazione forzata cau-sata da questo virus che, in questi ultimi mesi, ci ha costretti lontani, impossibilitati a far visita alla zia, a prendere il caffè con lei, a fare una passeg-giata in giardino, semplicemente esserle vicini, pic-coli gesti quotidiani, che però, probabilmente, per lei erano senso di vita, di sentirsi viva; mancando questi, lentamente ha perso il coraggio, ha perso le forze, la forza di reagire e noi abbiamo dovuto assistere inermi, non poter esserle accanto negli ultimi momenti, questa è la cosa che più ci ha fat-to soffrire, e credo che chiunque abbia subito una perdita in questi mesi, a causa di questo virus,

possa capire il doloroso vuoto che lascia nell'ani-mo. Vogliamo ringraziare in primo luogo don Guido, è stato confidente, sostegno morale e spirituale della zia, è stato figura primaria di riferimento, sempre presente con le sue visite settimanali, ha saputo sostenerla, rassicurarla ed accompagnarla con serenità in questo ultimo anno che via via si faceva sempre più difficile. Ringraziamo di cuore anche tutti quelli che, no-nostante impegni, lavoro e lontananza, sono spes-so venuti a farle visita, portandole un guizzo di vita e coraggio, la visita dei suoi cari amici valeva più di mille medicine e le dava proprio tanta for-za; ringraziamo quanti si sono prodigati affinché la zia potesse tornare a fare visita alla parrocchia e le hanno organizzato un bellissimo pranzo; ringra-ziamo coloro i quali hanno inviato foto e qualche pensiero all'indirizzo e-mail della zia, questi mes-saggi venivano puntualmente letti e le foto mo-strate ripetutamente; ringraziamo doppiamente di cuore tutti coloro che si sono prodigati nei video-messaggi pasquali, sappiamo per certo che la zia li ha graditi moltissimo e ha chiesto di rivederli più volte; ringraziamo enormemente il coro, che si era organizzato per un pomeriggio di intratte-nimento in struttura e ci dispiace tantissimo che la cosa non sia stata possibile, la zia sarebbe stata molto felice; un ultimo grazie di cuore alle care Suore Missionarie del Sacerdozio di Cristo, sem-pre vicine nel pensiero e nella preghiera. Grazie a tutti, grazie per essere presenti oggi per un ultimo saluto alla zia, in fondo a noi piace pen-sare che sia stata zia non solo nostra, ma anche un po' di tutti voi. La zia verrà sepolta nel cimitero di Melzo, dove già riposa la sua cara mamma ed il cognato.

Cari saluti a tutti, Silvia e famiglia

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Quest'anno le prime comunioni si sono svolte in un clima diverso dal solito a causa della nota que-stione del Covid. A marzo si è interrotta la preparazione. Abbiamo cercato di mantenere dei contatti coi ragazzi con l'aiuto di don Guido. Si è deciso di rimandare ad ottobre nella speranza di tempi migliori. Di fatto nel rispetto delle normative vigenti ci sia-mo incontrate coi bambini due volte prima del grande evento. Abbiamo avvertito in loro un forte desiderio e una certa emozione per un avvenimento tanto atteso: da maggio spostato ad ottobre! Per fortuna don Guido, ormai trasferito a san Lui-gi, ha presenziato e ha distribuito lui la comunio-ne , avendo seguito i fanciulli, nel loro percorso di catechesi. Una bimba ha confidato di aver pianto durante la messa di addio al parroco. I bimbi ci sono sembrati attenti, sebbene un po' turbolenti, hanno accettato con serenità le limita-zioni: la mascherina, niente tunica, niente proces-

sione, numero di parenti limitato (una catechista ha preparato dei biglietti di invito affinché entras-sero solo i familiari) niente movimenti, fermi sull'altare ben distanziati. Non sono mancati i fiori ad adornare e i canti scelti ad hoc hanno accompagnato la liturgia della messa. Nel complesso una celebrazione sobria in cui te-mevamo che i veri protagonisti si sentissero me-no coinvolti. Hanno cantato il salmo 8 con impegno sotto la guida di Roberta che ha avuto poco tempo per prepararli. Durante la messa sono stati tranquilli, c'era silen-zio e partecipazione. Erano ordinati, ben vestiti e forse un po' com-mossi nel momento in cui hanno ricevuto Gesù per la prima volta, sotto le due specie. L'omelia è stata coinvolgente e con una parte ri-volta ai genitori che vedono crescere i loro figli: la tappa della prima comunione è un passaggio importante. Nel seguito riportiamo alcuni messaggi arrivati dai bambini.

Comunioni 2020

Una catechista di V elementare

Alla mia Comunione sono stata felice perché mi sono sentita più vicina a Dio, ma anche un po’ agitata a prendere per la prima volta l’ostia e un po’ triste perché non c’era il mio papà che ave-va la febbre. Spero di rivedere presto le mie catechiste e i miei compagni per parlare insieme di questa bella esperienza che abbiamo vissuto.

Bianca

La mia prima Comunione è stato il momento dove mi sono sentita più vicina a Dio. È stato magi-co, bellissimo e emozionante. Ero molto felice quel giorno e sapevo che quello era il giorno in cui sarei ufficialmente diventata figlia di Dio e che Lui mi avrebbe accompagnata per un lungo cam-mino… la vita!

Agnese

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Già negli ultimi incontri di catechismo con pazien-za e impegno, avevamo spiegato ai ragazzi che lo Spirito Santo attraverso i sette doni: sapienza, in-telletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio, trasforma interiormente la nostra vita per aiutarci a diventare veri uomini e veri cristiani re-sponsabili. Purtroppo quello del diciannove feb-braio è stato l’ultimo incontro: poi la PANDEMIA ci ha sorpreso con la paura, con la chiusura in ca-sa, l’incertezza e lo smarrimento. In seguito nei mesi successivi abbiamo cercato di far sentire la nostra presenza e vicinanza alle fami-glie e ai ragazzi, inviando attraverso i mezzi tecno-logici qualche spunto di riflessione e preghiera. Purtroppo il tempo è stato lungo ma con gioia domenica 25 ottobre i ragazzi hanno ricevuto il sacramento della Cresima, che ha loro conferma-to e rinnovato la grazia battesimale, unendoli più saldamente a Cristo e alla Chiesa. Le perplessità, i dubbi che hanno accompagnato i preparativi di questa cerimonia e la responsabilità di celebrare in sicurezza con la conseguente divi-sione in gruppi, ci hanno lasciato incerte fino all’ultimo. Anche don Andriano, nuovo parroco degli Angeli Custodi, avrebbe voluto incontrare cresimandi e famiglie ma per problemi di salute, con rammarico non ha potuto condividere con noi la celebrazio-ne. Ciò che ci ha guidato però è stata la certezza che, come gli altri sacramenti, anche la Cresima è ope-ra di Dio, e non degli uomini. È proprio dallo Spi-rito Santo che il cristiano attinge la forza e l’in-ventiva per scoprire ogni giorno la sua vocazione ad essere testimone di Cristo nel mondo. Quale messaggio migliore di questo? Quale dono ci può essere più gradito e indispensabile in un momento di sfida come quello che stiamo affron-tando?. Anche molte famiglie hanno condiviso la scelta di accompagnare i propri figli alla Cresima, come necessità di poter vivere interiormente una gioia che in un periodo come questo, avrebbe

dato conforto e speranza. Certo, fino all’ultimo, abbiamo temuto che tutto sarebbe stato sospeso a data da destinarsi, ma come sappiamo Ministro ordinario della Cresima è stato Monsignor Carlo Azzimonti, vicario epi-scopale della città di Milano e stretto collabora-tore del nostro arcivescovo Mario Delpini, un uomo che ha trasmesso ai ragazzi un messaggio importante. Con molta semplicità e fermezza è riuscito a sin-tetizzare l’azione dello Spirito Santo in tre verbi che iniziano tutti con l’iniziale S (come lo Spirito Santo). Li riassumiamo qui brevemente. Lo Spirito ci suggerisce la capacità di fare scelte secondo la volontà di Dio, e di consigliare gli altri nel modo giusto. Questo dono ci guida nella giu-sta direzione nel momento opportuno, e ci aiuta a riconoscere le tentazioni del male per evitarlo, e la presenza del bene per realizzarlo. Lo Spirito ci sostiene in questa scelta di vivere da figli di Dio, avendo il Signore come unico riferi-mento, cercando di camminare sulla strada che Lui ci ha indicato: la strada della fedeltà e dell'a-more. La Cresima rende ciascun cresimando par-te viva di una Chiesa fatta di uomini, in cui, dopo aver ricevuto molto, potranno mettersi in gioco in un cammino di crescita che chiederà loro di mettersi al servizio donando come a loro è stato donato. Lo Spirito ci spinge, ci apre tutti gli orizzonti. Non ci sono barriere né confini. In ebraico lo spi-rito è “ruah”, vento, soffio, respiro, una vitalità imprevedibile e prorompente, tanto fisica quanto psichica; la nozione di spirito contiene quindi un preciso riferimento alla vita, alla sua energia dina-mica, alla sua capacità di manifestarsi e di creare comunione nella gioia e nell'amore. Lo «Spirito» è spirito di vita. Una cerimonia intima, ma intensa. I ragazzi erano timorosi ma attenti, forse un po’ smarriti ma par-tecipi; siamo riuscite a donare loro la dispensa di catechismo che avevamo preparato per il loro

Riflessioni sulla Cresima Le catechiste

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cammino e una boccetta di olio profumato. “Signore, aiutami a diffondere ovunque io passi il Tuo profumo. Inonda la mia anima del Tuo spirito e della Tua vita” Così hanno recitato i ragazzi al termine della ceri-monia, seguendo la bella preghiera del cardinale Newman. Grazie ragazzi, la vostra gioia, la vostra spontanei-tà, la vostra sincerità ed energia tante volte ci

hanno stupite. Siete ragazzi con la tecnologia sempre in mano, ma dentro di voi c’è un poten-ziale straordinario che chiede di potersi esprime-re e di potersi donare. Coltivatelo e spargete il vostro profumo a tutti!!!! Un grande grazie alle famiglie che in questi anni ci hanno dato fiducia, e a Roberta che con il coro ha accompagnato ogni nostro momento liturgico e ha donato alla celebrazione calore, partecipa-zione e gratitudine a Dio.

Domenica 25 ottobre mio figlio Edoardo ha ricevuto la Cresima. Eravamo un po’ dispiaciuti di non poter invitare tutti e quattro i nonni, gli zii e i cugini, con i quali avremmo voluto festeggiare que-sto importante momento del suo percorso cristiano. Sapevamo però che la limitazione di quattro soli invitati che ci era stata chiesta dalle catechiste aveva lo scopo di proteggere la salute di tutti, in questo difficile momento. In chiesa c’era poca gente, molte panche erano vuote e il silenzio quasi assoluto. L’atmosfera era quindi un po’ surreale, dato che, normalmente, in queste occasioni la folla e il vociare dei ragaz-zi, dei parenti e degli amici rende proprio l’idea di una grande e bella festa. Data l’indisponibilità di Don Adriano, la messa è stata celebrata da Mons. Carlo Azzimonti, vicario episcopale della città di Milano. Le sue parole, rivolte a tutti noi presenti ma soprattutto ai ragaz-zi cresimandi, e le sue riflessioni sullo Spirito Santo, che “ci sostiene, ci spinge e ci suggerisce” sono state davvero belle e toccanti, e hanno scaldato i cuori di tutti noi presenti. Ed è con questa sensazione di calore che siamo tornati a casa, un po’ meno dispiaciuti e un po’ meno soli.

Eleonora, mamma di Edoardo

È stato emozionante, in un anno così buio e pieno di dubbi e incertezze, vedere i nostri figli illu-minare la chiesa con la loro presenza. I ragazzi sono la vita, il futuro e la speranza. Il messaggio che si è voluto trasmettere con la celebrazione della Santa Cresima è che la vita continua e che, uniti nella fede, riusciremo a superare ogni momento difficile. Grazie

Giuditta, mamma di Sara

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IN VIGORE LA NUOVA EDIZIONE DEL MESSALE Dallo scorso 29 novembre è entrata in vigore la terza edizione del Messale che sostituisce la pre-cedente dell’83, con le relative modifiche decise dalla Cei. Si tratta di variazioni dovute - in parte ad aggiornamenti delle traduzioni che, nella ricerca di ri-manere sempre più fedeli all’intenzione originaria espressa in greco antico, possono subire corre-zioni - e in parte ad ammodernamenti del linguaggio. Nell’arco dell’intera celebrazione sono parecchie le formule che cambiano ma la maggior parte sono pronunciate dal celebrante e quindi l’assemblea, pur sentendole “nuove” all’orecchio, non ne viene direttamente coinvolta. Tra queste ci colpiscono particolarmente la nuova formula per lo scambio della pace: “scambiatevi il dono della pace” e la parte introduttiva della consacrazione: “… santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito…”. Le parti che ci riguardano tutti invece appartengono alle preghiere da recitare comunitariamente e le riportiamo qui, con le variazioni evidenziate in grassetto: ATTO PENITENZIALE Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle, di pregare per me il Signore Dio nostro. GLORIA Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini, amati dal Signore. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo, con lo Spirito Santo: nella gloria di Dio Padre. Amen. PADRE NOSTRO Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua vo-lontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri de-biti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.

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Hanno collaborato a questo numero: Ugo Basso, Carlo Favero, Fabrizio Favero, Roberta Marsiglia, Simone Moscardi, don Samuele

I numeri precedenti sono raccolti nella sezione “La Parrocchia” del sito internet parrocchiale www.parrocchie.it/milano/angelicustodi

Sacerdoti Don Adriano Castagna (parroco) Don Samuele Pinna (vicario e referente) Don Fabio Colombo (vicario e resp. Pastorale giovanile) Don Stefano Cremonesi (residente) Contatti tel. 0258306894 (don Adriano) tel. 0255011912 (don Samuele)

Ss. Messe festive: 9.00 (inv.) - 11.00 - 18.00 vigilia: 18.00 feriale: 8.15 (momentaneamente sospesa) - 18.00 Segreteria tel. 0255011625 Lun. - Ven. 9.30 - 12.00

Gli Angeli raccontano… (a cura di Ilaria Sambi)

L’albero di Natale di Mario Faustinelli

C’è un misterioso alberello

venuto chissà da quali foreste, Che tutti gli anni sotto le feste spunta in un angolo del tinello.

È inverno, e gli alberi fuori dormono tutti ma questo, al caldo di casa, dà fiori e dà frutti:

son mele lucenti, cristalli di neve, stelline d’ottone rimaste sepolte un anno dentro una scatola di cartone.

L’albero adesso è come un re vestito da festa che ha per corona una stella cometa in cima alla testa.

Nel bosco dei rami, tra dolci e dolcetti, svolazzano senza fine uccelli, angioletti e le lucciole di mille minuscole lampadine.

Quando poi viene la notte delle notti, lustrini, mele, stelle d’argento, nell’albero che fa da cielo formano un piccolo firmamento… …sopra un presepio disperso dove un bambino, giocando, nel gran silenzio dell’universo torna a venire al mondo.