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LETTERA DEL PARROCO Cari fratelli e care sorelle nel Signore, vi giunge questa lettera nel mezzo della Quaresima e ho pensato di of- frirvi una meditazione intorno alla figura di Caino (Gn 4, 1 – 16). Due premesse. La prima per ricordare che all’origine di tutto sta l’apprezzamento di Dio per la sua opera (“Dio vide quanto aveva fatto, e ecco, era cosa molto buona” Gn 1, 31) e la benedizione rivolta all’uomo, fatto a sua immagine (Gn 1, 26 – 28). Da non dimenticare mai! La seconda per ricordare che il racconto della creazione, di Adamo e Eva, di Caino e Abele, del diluvio, di Noè e, infine, della città e della torre di Babele affondano le radici nell’esperienza umana di sempre che genera molteplici interrogativi (perché l’uomo esiste e è fatto così? perché l’uomo si lascia sedurre dal male? perché fatica e suda per la- vorare? Perché le catastrofi naturali come il diluvio? perché l’umanità parla lingue diverse, non si capisce, è dispersa sulla faccia della ter- ra?) cui si risponde con una narrazione che loda l’agire benevolo di Dio e dell’uomo che a lui si affida. In questa linea il racconto di Caino e Abele ha dietro e dentro questi interrogativi: perché non si va d’accordo tra fratelli? Perché la relazione fraterna è spesso faticosa, segnata dall’incomprensione e dall’invidia (amor di fratelli, amor di coltelli: così recita il detto popolare) e a volte si trasforma in relazione fratricida? Caino e Abele sono fratelli. Hanno un lavoro diverso (agricoltore e pa- La grazia della vergogna pag. 3 Le scimiette cinesi pag. 4 Ogni mattina a Jenin pag. 6 Ci hanno parlato… Paolo Canti pag. 7 Gruppi di ascolto della Parola di Dio nelle case pag. 9 In questo numero: Parrocchia Angeli Custodi Via Pietro Colletta 21, Milano www.parrocchie.it/milano/angelicustodi [email protected] Anno 2018, numero 3 - mese di marzo Per inviare suggerimenti, lettere e articoli scrivere a: [email protected]

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LETTERA DEL PARROCO Cari fratelli e care sorelle nel Signore, vi giunge questa lettera nel mezzo della Quaresima e ho pensato di of-

frirvi una meditazione intorno alla figura di Caino (Gn 4, 1 – 16). Due premesse. La prima per ricordare che all’origine di tutto sta l’apprezzamento di Dio per la sua opera (“Dio vide quanto aveva fatto, e ecco, era cosa

molto buona” Gn 1, 31) e la benedizione rivolta all’uomo, fatto a sua immagine (Gn 1, 26 – 28). Da non dimenticare mai! La seconda per ricordare che il racconto della creazione, di Adamo e

Eva, di Caino e Abele, del diluvio, di Noè e, infine, della città e della torre di Babele affondano le radici nell’esperienza umana di sempre che genera molteplici interrogativi (perché l’uomo esiste e è fatto così? perché l’uomo si lascia sedurre dal male? perché fatica e suda per la-

vorare? Perché le catastrofi naturali come il diluvio? perché l’umanità parla lingue diverse, non si capisce, è dispersa sulla faccia della ter-ra?) cui si risponde con una narrazione che loda l’agire benevolo di Dio e dell’uomo che a lui si affida. In questa linea il racconto di Caino e Abele ha dietro e dentro questi interrogativi: perché non si va d’accordo

tra fratelli? Perché la relazione fraterna è spesso faticosa, segnata dall’incomprensione e dall’invidia (amor di fratelli, amor di coltelli: così recita il detto popolare) e a volte si trasforma in relazione fratricida?

Caino e Abele sono fratelli. Hanno un lavoro diverso (agricoltore e pa-

La grazia della vergogna pag. 3

Le scimiette cinesi pag. 4

Ogni mattina a Jenin pag. 6

Ci hanno parlato… Paolo Canti pag. 7

Gruppi di ascolto della Parola di Dio nelle case pag. 9

In questo numero:

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store) e si vogliono bene: tra loro non c’è nessun problema, sono fraterni. Dopo un po’ di tempo, il lavoro di Caino non procede bene, mentre quello di Abele prospera e Caino ci rima-ne male: la relazione fraterna si guasta, come spesso capita anche ai nostri giorni e il moti-vo non è certamente da addebitarsi a Dio, quasi che Dio stesso sia la causa del conflitto. Caino ce l’ha con Abele e non con Dio, che, vedendo Caino irritato e abbattuto, lo ammoni-

sce perché resista al male, non ceda alla tentazione (come successe a Adamo e Eva), la do-mini ovvero sia signore di se stesso e scelga ciò che è buono e giusto. La scelta del male (il peccato) non è inevitabile e nemmeno da addebitarsi in qualsiasi modo a Dio: è l’uomo che apre la porta e il male/maligno entra in casa sua. Bellissima e intensa questa immagine

del male/maligno/peccato che come un demone sta accovacciato fuori dalla porta: Dio ha creato l’uomo a sua immagine e il peccato è sempre un cedere a una tentazione esterna e esteriore alla natura buona dell’uomo, creata e benedetta da Dio. Sant’Agostino commente-rebbe così: “Ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” –

(Confessioni, I,1,1). Caino è accecato, non vuole sentire ragioni, alza la mano contro il fratello e lo uccide… l’in-

vidia, l’odio e quant’altro non ti permettono di vedere l’altro come fratello, ma come un nul-la. È singolare come, secondo gli studiosi, Abele non sia tanto un nome proprio, ma un attri-buto e l’esatta traduzione sia soffio, vuotezza, inconsistenza ovvero nulla/nullità diremmo noi occidentali, e il rimando più intrigante è al libro del Qohelet 1, 2: “Un immenso vuoto, tutto è vuoto!”, secondo la traduzione di Gianfranco Ravasi che rende meglio il noto “vanita

delle vanità: tutto è vanità!”. È la drammatica considerazione della storia umana dove, pur-troppo da sempre, la vita dell’altro, di miliardi di uomini, non ha contato e non conta nulla. A questo punto l’interrogativo di Dio – dov’è Abele, tuo fratello?, che corrisponde al dove

sei? rivolto a Adamo e Eva ovvero all’uomo – è al contempo domanda e risposta. E non c’è nulla da aggiungere. Caino nega e se ne esce con una risposta insolente - io agricoltore, sono forse guardiano e

pastore del pastore Abele mio fratello? La menzogna respinge la relazione fraterna e giunge a sopprimere l’altro: Gesù non fu forse accusato falsamente e per questo condannato a morte?

La maledizione di Dio è l‘inevitabile conseguenza che colpisce Caino: sarà vagabondo, con-ducendo una vita insicura e tutte le volte che si chinerà per coltivare la terra, questa gli ne-gherà i suoi frutti, ricordandogli sempre quel sangue versato. Caino non avrà mai pace: an-che la madre terra lo rifiuta. Che ne sarà di Caino che ha ricusato la benedizione di Dio?

Chiunque potrà ucciderlo per ristabilire giustizia? Che dire di questo Dio che maledice? L’in-terrogativo è serio, molto serio. E la risposta lo è altrettanto: se Dio stesso ha risparmiato la vita a Caino, nessuno per nessun motivo ha il diritto di ucciderlo. Sopprimere un omicida non è mai un atto di giustizia né umana né tantomeno divina.

Don Guido

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In un recente volume che raccoglie scritti vari di papa Francesco in qualche modo riferibili al Padre nostro – Quando pregate dite Padre nostro, Rizzoli – Libreria editrice vaticana, 2017, pp 150, 13,60 € - tre pagine (83-85) sono dedicate alla grazia della vergogna. Gli scritti, come le omelie, di Francesco piacciono a molti per la semplicità del discorso e spero anche per il profumo evangelico che quasi sempre emanano, ma devo ancora riconoscere che sono spesso inquietanti interrogativi per me che leggo e non posso fermarmi al compiacimento e alla condivisione. Non avevo mai pensato alla vergogna come stru-mento di grazia. Rimorso, pentimento, ravvedi-mento sono parole che ci piacciono di più, ma forse vengono in un secondo tempo: la vergogna è immediata, sensazione imbarazzante di disagio per qualcosa che si è fatto e si vorrebbe non aver fatto e si cerca di nascondere. È il campanello che sollecita a prendere atto responsabilmente di quanto si è fatto di scorretto o inopportuno per ravvedersene, prima ancora di ragionarci sopra, di fare un’analisi approfondita: per questo dunque grazia, da accogliere come tale e da gestire, come si dice, in modo costruttivo. Il papa scrive in modo molto diretto: «Non c’è grazia più grande che la vergogna dei propri pec-cati». Lascia qualche brivido: naturalmente occor-rono lucidità e aiuto, comprensione e esercizio della misericordia per incanalare positivamente quella vergogna, perché potrebbe generare dispe-razione e indurre a ulteriori nuovi errori, come purtroppo ogni tanto leggiamo nelle cronache. Il papa fa tre esempi di vergogna dichiarata in tre personaggi presenti nei racconti della passione di Gesù: Pietro, il ladro buono, Giuda. Pietro genero-so, ingenuo, certamente appassionato amico di Gesù prima si addormenta mentre Gesù prega e poche ore dopo nega addirittura di averlo mai conosciuto: ma basta il canto di un gallo per farlo arrossire di vergogna, e piangere amaramente. Il

ladro, crocifisso con Gesù, che la tradizione chia-ma buono tanto buono probabilmente non era, vista la condanna e la sua stessa ammissione: ma diventa buono proprio perché si vergogna di quanto ha fatto e riconosce gli errori. Non gli occorre neanche chiedere perdono, per essere accolto dalla misericordia. E Giuda: «un personaggio difficile da capire», quando si accorge di che cosa ha fatto ed è re-spinto dai sacerdoti ai quali restituisce il prezzo del tradimento, è travolto dalla vergogna e nella sua solitudine decide il suicidio. Francesco aggiun-ge: «forse se avesse trovato la Madonna le cose sarebbero cambiate». Ma gli piace comunque pensare a una conclusione diversa e racconta di avere dietro la scrivania dove lavora ogni giorno la riproduzione del capitello di una chiesa medie-vale in Borgogna che raffigura Gesù buon pastore che, con un accenno di sorriso, «si carica Giuda sulle spalle e lo porta via con sé». Queste pagine di Francesco, mi ricordano l’ome-lia che Primo Mazzolari nella sua parrocchia di Bozzolo aveva dedicato proprio a Nostro fratello Giuda il giovedì santo del 1958, l’anno prima della sua morte, in cui ritrovo vergogna e misericordia: Povero Giuda. Che cosa gli sia passato nell’anima io non lo so […] Mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro povero fratello Giuda. Non vergo-gnatevi di assumere questa fratellanza. Io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore; e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui […] E forse l’ultimo momento, ricordando quella pa-rola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apo-stolo che è entrato insieme ai due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua misericordia.

La grazia della vergogna

Ugo Basso

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Anche il procedimento messo a punto dagli scien-ziati cinesi per clonare le scimmie ha avuto suc-cesso dopo molti tentativi falliti. Ciò significa che dai tempi di I. Wilmut e della sua pecora Dolly, il meccanismo non è ancora padroneggiato. Significa anche che i ricercatori cinesi hanno raggiunto alti livelli di competenza. La discussione etica si è accesa non tanto per la novità tecnica, quanto per il tipo di animale clona-to, le scimmie che sono geneticamente molto si-mili all’uomo. Prima di affrontare il rilievo etico della clonazione è necessario precisare quali sono i fini che ci si ripromettono dall’uso di questa tecnica. Separiamo le finalità della clonazione degli animali da quella dell’uomo. Per gli animali gli obiettivi sono i seguenti:

a) allevare in modo rapido i migliori animali; si tratta della replicazione dell’eccellenza;

b) salvare le specie di animali che sono in peri-colo di estinzione;

c) produrre cloni di animali transgenici, per usarli come riserva di organi per l’uomo,

Per l’uomo gli scopi prevedibili attualmente sono la riduzione del numero di ovociti da prelevare nelle donne che ricorrono alla FIVET (Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer) e la possibilità di operare la diagnosi pre-impiantatoria su un embrione del quale si ha la copia. Altri obiettivi potrebbero essere la riproduzione di embrioni non affetti da patologie mitocondriali o ereditarie e la FIVET nei casi di assenza totale di spermatozoi, nei quali si vuole conservare il patri-monio genetico del partner maschile della coppia. Accanto a questi motivi scientifici, ne sono ipotiz-zabili altri che hanno un carattere fantastico-apocalittico, ma che sono quelli che più colpisco-no l’immaginazione della gente:

a) replicare individui umani di grande valore o bellezza;

b) replicare individui sani, per evitare il rischio di malattie ereditarie;

c) procurare un figlio di un determinato sesso, dato che il clone prende il sesso della per-sona da cui è preso il nucleo;

d) produrre soggetti identici, per fini sperimen-tali o per compiti speciali, tra i quali la possi-bilità di fungere come scorta di organi o cel-lule, lasciando il “doppio” come riserva con-gelata allo stato di embrione.

Il Comitato Nazionale di Bioetica si è pronuncia-to sulla clonazione umana e, nel suo parere, ha individuato tre ragioni che motivano il rifiuto: la riduzione dell’uomo a mezzo; la violazione del diritto all’unicità genetica; la violazione del diritto a non sapere. Circa la prima ragione, basti richiamare la funzio-ne di scorta assegnata al clone, per eventuali so-stituzioni di cellule o di organi malati nel soggetto “originale”. La seconda motivazione riguarda la violazione del diritto all’originalità del patrimonio genetico, che esercita una reale incidenza nell’evoluzione e nell’espressione della persona. A ciò si aggiunge un’altra non meno importante osservazione di carattere genetico: si riduce la diversità genetica tra gli esseri umani, in quanto la vita si diffonde e si evolve proprio grazie alla di-versità che con la clonazione verrebbe turbata. Il terzo rilievo critico concerne la violazione del diritto all’ignoranza, circa il proprio destino bio-logico e culturale. Ignoranza che è condizione preliminare della libertà, cioè la condizione per cui si diventa se stessi nell’incontro con la pro-pria vita per la prima ed unica volta. La libertà di colui che sa di esser copia di un altro, del quale ripercorrerà almeno alcune vicende biologiche, è molto incrinata. Accanto alle ragioni teleologiche esistono anche ragioni deontologiche. Da quest’ultimo punto di vista, due sono le ragio-ni che fondano il giudizio di illiceità della clona-

Le scimmiette cinesi

Don Michele Aramini

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zione. Innanzi tutto la nascita dell’uomo verrebbe ridot-ta alla sua sola dimensione biologica. E si spezze-rebbe ogni legame tra generazione e coppia gene-rante. Anzi il ruolo del padre potrebbe essere del tutto annullato. In secondo luogo, la clonazione permetterebbe il

dominio totale del produttore sull’oggetto pro-dotto. Un dominio che toccherebbe non solo la manipolazione e la soppressione a fini sperimen-tali, ma la programmazione dell’identità biologica. Non occorrono molte altre parole per compren-dere l’urgenza di un bando universale della clona-zione umana.

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Ogni mattina a Jenin (tratto dal romanzo di Susan Abulhawa)

In occasione della festa del papà, riportiamo questo brano tratto dal romanzo di Susan Abulhawa, “Ogni mattina a Jenin”, in cui l’autrice – ora americana ma nata da famiglia palestinese - racconta la storia di una famiglia araba attraverso i sessant’anni del conflit-to israelo-palestinese. Gli autori citati nel brano - Khalil Gibran, al-Ma’arri, Abu Hayyan e Rumi – rispettiva-mente libanese, siriano e persiani gli ultimi due, sono grandi firme della poesia e lettera-tura araba

[…] Una mattina di aprile, il mese dei fiori, scoprii un lato di mio padre che prima non avevo mai conosciuto. Lavorava così tanto e lo vedevo così poco che fino a quel giorno mi ero limitata ad adorarlo da lontano. Ave-vo cinque anni. Mi svegliai prima dell’alba, accorgendomi con un senso di panico che l’avevo fatta nel letto, e mi precipitai a risolvere quel guaio nell’unica stanza che offriva un po’ di privacy. Con orrore e vergogna, quando uscii dal bagno trovai papà che mi aspettava. Più di ogni punizio-ne, temevo la sua delusione.

Quel giorno è uno dei ricordi più niti-di della mia infanzia. Senza dire nul-la, papà mi aiutò a cambiarmi il pi-giama e levitai da terra nelle sue braccia enormi. Nascosi la testa nel suo collo mentre mi portava fuori e mi faceva sedere sul suo grembo in terrazza, un rettangolo di tre metri per quattro di pietra e piastrelle co-perto da una tettoia di vite rampican-te […]. Era ancora buio, ma ricordo lo sfumato panorama campestre dei frutteti in fiore. Peschi, melograni e ulivi sbocciavano mentre, alla luce di una candela, mio padre per la prima volta mi leggeva qualcosa.

Per molto tempo, i miei sensi mi avrebbero restituito i dolci profumi primaverili che incantavano l’aria. Anche la pipa di legno d’ulivo che sporgeva da un angolo della bocca di mio padre e il fumo del tabacco al miele e mela avevano segnato quella mattina speciale.

“Ascolta bene le parole che leggo. Sono magiche” disse. Mi sforzai di comprendere la prosa classica araba, ma per la mia giovane mente era come un’altra lingua. Eppure aveva un ritmo ipnotico e la voce di papà era come una ninna nanna. Mi ad-dormentai tra le sue braccia.

Non dissi a nessuno dell’incidente e passai la giornata aspettando con trepidazione la notte, l’oscurità ap-pena prima dell’alba, sperando di avere nuovamente un posto speciale nel mattino di papà.

Mi adattavo perfettamente al suo grembo. Le sue braccia mi cingevano e mi teneva così, con la testa appog-giata nella conca della sua spalla, mentre leggeva di nuovo. […]

Era difficile svegliarsi così presto e spesso ciondolavo il capo e mi riad-dormentavo tra le braccia di papà. Ma col tempo mi abituai ad alzarmi prima del sorgere del sole e da allora è un’abitudine che non ho più perso. Ogni giorno all’alba, mentre papà leggeva sulla terrazza della nostra piccola casa di paglia e argilla, vede-vamo il sole bagnare lentamente il paesaggio, impregnando di vita tutto ciò che toccava. […]

Papà disse: “Possono portarti via la terra e tutto quello che c’è sopra, ma non potranno mai portarti via quello che sai o le cose che hai studiato”. Avevo sei anni e i bei voti a scuola diventarono la moneta di scambio per conquistarmi l’approvazione di

papà, che desideravo come non mai. Diventai l’alunna più brava di tutta Jenin e imparai a memoria le poesie che mio padre amava così tanto. An-che quando il mio corpo diventò troppo grande per il suo grembo, il sole ci trovava sempre abbracciati e con un libro tra le mani.

Adesso la mia vita prima della guerra mi ritorna in ricordi avvolti dalle braccia di papà e profumati dal ta-bacco della sua pipa. Avevamo poche cose e pochissime necessità. Non ho mai visto un parco giochi e non ho mai nuotato nel mare, ma la mia infanzia è stata magica, sotto l’incan-to della poesia e dell’alba. Non ho mai trovato un luogo sicuro come l’abbraccio di mio padre, quando nascondevo la testa nella cavità del suo collo e delle sue spalle robuste. Non ho più conosciuto un momento più dolce dell’alba, che arrivava con l’odore di tabacco al miele e mela e le splendide parole di Abu Hayyan, Khalil Gibran, al-Ma’arri, Rumi. Non sempre capivo ciò che dicevano ma i loro versi erano liricamente ipnotici. Grazie a loro conobbi le passioni di mio padre, le sue sconfitte, le sue angosce e i suoi affetti. Papà mi tra-smise tutte queste cose. E fu un dono splendido, che nessuno riuscì a strapparmi. Decenni dopo, nell’alba grigia di un aprile in Pennsylvania, le parole dei versi ossessivi di Gibran e il ricordo della dolce voce baritonale di papà sarebbero stati il mio unico motivo di conforto.

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Paolo Canti parrocchiano di S. Michele Arcangelo (zona Precotto) ci ha raccontato il suo breve ma intenso viaggio ad Aleppo, in Siria, avvenuto lo scorso luglio. Da fine dicembre 2016, Aleppo, e poi man mano tutta la sua provincia, è stata libe-rata dalle forze jihadiste che hanno dominato la città per diversi anni. Paolo ha compiuto un viaggio di soli tre giorni e mezzo in Siria in compagnia di altri cinque suoi parrocchiani con i quali è andato a incontrare pa-dre Ibrahim, parroco della comunità latina di Aleppo retta dai francescani della custodia di Ter-ra Santa con il quale la parrocchia di Paolo ha fat-to un gemellaggio. Durante la serata del 23 febbraio scorso Paolo ha fatto scorrere diverse foto: immagini di distruzio-ne certamente, ma anche immagini di volti, di sguardi, di sorrisi e addirittura di festa. Infatti la prima immagine che Paolo ci ha mostrato della parrocchia di padre Ibrahim è quella del Grest in cui circa ottocento bambini giocano e vivono la loro quotidianità. Non si trova davanti a persone in lacrime che si nascondono, disperate, inerti, ma anzi si trova davanti persone che deci-dono di vivere e che non si fanno schiacciare dalla guerra. Una parrocchia, quella di padre Ibrahim, che si muove in maniera organizzata per soddisfa-re i bisogni della popolazione: tantissime attività e iniziative sono presenti, da una scuola di sordo-muti all’erogazione di microcredito per la ripresa di un’attività commerciale, dal Grest alla distribu-zione dei pacchi alimentari, in cui persone assolu-tamente normali che hanno perso tutto, dignito-samente e senza vergogna, si mettono in fila per ricevere il pacco alimentare. Ciò che si vede è una popolazione il cui cuore non si fa schiacciare da ciò che le succede, ma che prova a vivere. Si potrebbe dire che la più grande vittoria di Aleppo è che la guerra non è riuscita a uccidere la voglia di vita e di normalità della sua popolazione. Con questo viaggio Paolo ha potuto

sperimentare che dentro l’uomo c’è una voglia di bene che è più forte di qualsiasi cosa e non è ir-realistica; la situazione che uno ha attorno è evi-dente, ma questa voglia di vita e di bene comun-que prevale. Tanti certamente sono scappati, ma quelli che sono rimasti non si sono fatti schiaccia-re o annientare. La dignità che contraddistingue gli abitanti è evi-dente anche nello stato della città. Nonostante i palazzi distrutti, che ovviamente senza un inter-vento centrale non possono essere ricostruiti, le strade si presentano a Paolo pulite e ordinate: la popolazione le ha ripulite, accatastando le mace-rie ai lati delle vie, per creare un ambiente digni-toso e “bello” per quanto possibile. In tutto ciò, qui c’è l’uomo che, a prescindere dalla fede reli-giosa, è più forte di tutto e non può lasciarsi vin-cere dal pessimismo, dalle cose che non vanno, dalla disperazione. Tanti miracoli sono accaduti ad Aleppo: la città è stata dichiarata libera e sicura la vigilia di Natale del 2016 e nella chiesa Maronita tutta la comunità cristiana si è ritrovata per celebrare la festa del Natale. In concomitanza tutta la città festeggiava anche la liberazione, e nel clima di festa anche la comunità musulmana, che è maggioritaria, ha fe-steggiato il Natale insieme alla comunità cristiana. La guerra ad Aleppo è stata una tragedia che pe-rò ha portato tanti frutti dal punto di vista ecu-menico: la comunità ortodossa ha costituito una specie di Caritas, creata da vecchi gioiellieri di Aleppo, che accoglie tutti senza distinzione e di-stribuisce circa 6.000 pacchi di viveri; padre Ibra-him ha messo in piedi un corso fidanzati per tutte le comunità cattoliche, cosa impensabile prima. Tutto ciò, dice Paolo, viene fatto per vedere il volto di Cristo. L’esperienza della carità ci per-mette di fare esperienza del volto di Cristo e questo avviene lì ad Aleppo. L’ultimo ricordo che ci racconta Paolo è la messa prima di partire per tornare in Italia, al termine della quale i fedeli presenti salutano e stringono la

Ci hanno parlato…

Aleppo: la speranza tra le macerie (a cura di Fabrizio Favero)

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mano ai sei parrocchiani venuti dall’Italia, ringra-ziandoli. Il fatto di essere andati ad Aleppo dall’Ita-lia per quei siriani è stata una testimonianza di condivisione, erano tutti grati perché delle perso-ne erano andate là per essere testimoni con loro. Padre Ibrahim Alsabagh ha ricevuto il 26 giugno il Premio Jan Karski 2017 con la motivazione di aver “portato speranza a un mondo senza speranza e alle

persone dimenticate”. Nel discorso di ringraziamento p. Ibrahim ha sottolineato che l’onorificenza è “un incoraggiamento nella battaglia per il mio popolo, nella mia missione di portare alla mia gente l’aiuto, la consolazione, la speranza”. Egli ha ricordato ancora il “dovere morale” che egli ha avvertito in questi anni di “fare conoscere a tutto il mondo la situazione tragica (del popolo siriano)”, offrendo per questo fine “la mia vita e tutto quello che ho”.

RACCOLTA CARITAS Domenica 25 marzo durante le SS. Messe (sabato h. 18, domenica h. 9, 11, 18) raccolta viveri in

favore della Caritas parrocchiale

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Mercoledì 21 febbraio si è tenuto il quarto incon-tro dell’ascolto della Parola di Dio nelle case sull’Esodo intitolato” IN CAMMINO VERSO LA LIBERTÀ – Dalla schiavitù alla Pasqua”. Lo legge-remo con l’aiuto di Mons. Pierantonio Tremola-da e Don Luca Leggiamo il testo (Es 3,16 – 4,17) 3,16«Vai! Riunisci gli anziani d'Israele e di' loro: "Il Si-gnore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, di !sacco e di Giacobbe, mi è apparso per dirmi: Sono venuto a visitarvi e vedere ciò che viene fatto a voi in Egitto. 17E ho detto: Vi farò salire dalla umiliazione dell'Egitto verso la terra del Cananeo, dell'Ittita, dell'Amorreo, del Perizzita, dell'Eveo e del Gebuseo, verso una terra dove scorrono latte e miele". 18Essi ascolteranno la tua voce, e tu e gli anziani d'Israele andrete dal re d'Egitto e gli direte: "Il Signore, Dio degli Ebrei, si è presentato a noi. Ci sia permesso di andare nel deserto, a tre giorni di cammino, per fare un sacrificio al Signore, nostro Dio". 19Io so che il re d'Egitto non vi permetterà di partire, se non con l'intervento di una mano forte. 20Stenderò dunque la mano e colpirò l'Egitto con tutti i prodigi che opererò in mezzo ad esso, dopo di che egli vi lascerà andare. 21 Farò sì che questo popolo trovi grazia agli occhi degli Egiziani: quando partirete, non ve ne andrete a mani vuote. 22Ogni donna do-manderà alla sua vicina e all'inquilina della sua casa oggetti d'argento e oggetti d'oro e vesti; li farete porta-re ai vostri figli e alle vostre figlie e spoglierete l'Egit-to». 4,1Mosè replicò dicendo: «Ecco, non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce, ma diranno: "Non ti è apparso il Signore!"». 2Il Signore gli disse: «Che cosa hai in mano?». Rispose: «Un bastone». 3Riprese: «Gettalo a terra!». Lo gettò a terra e il bastone diven-tò un serpente, davanti al quale Mosè si mise a fuggi-re. 4Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano e prendi-lo per la coda!». Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. 5«Questo perché credano che ti è apparso il Signore, Dio dei loro padri, Dio di Abramo, Dio di !sacco, Dio di Giacobbe». 6Il Signore gli disse ancora: «Introduci la mano nel se-no!». Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco, la sua mano era diventata lebbrosa, bianca come la neve. 7Egli disse: «Rimetti la mano nel seno!». Rimise in seno la mano e la tirò fuori: ecco, era tornata come

il resto della sua carne. 8«Dunque se non ti credono e non danno retta alla voce del primo segno, crederan-no alla voce del secondo! 9Se non crederanno neppu-re a questi due segni e non daranno ascolto alla tua voce, prenderai acqua del Nilo e la verserai sulla ter-ra asciutta: l'acqua che avrai preso dal Nilo diventerà sangue sulla terra asciutta». '°Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l'altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». 11Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all'uomo o chi lo ren-de muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? 12Ora va'! lo sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». 13Mosè disse: «Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!». 14Allo-ra la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita? lo so che lui sa parlare bene. Anzi, sta venendoti incon-tro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. 15Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. 16Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio. "Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni». Questo racconto è ambientato sul monte di Dio, l’Oreb, con il roveto ardente che brucia senza consumarsi, dove Dio si è rivelato a Mosè per la prima volta. Mosè non lo riconosce immediatamente perché ciò avverrà progressivamente, in modo graduale. Infatti, come l’esperienza ci insegna –e il testo biblico qui conferma- la conoscenza di Dio avvie-ne poco a poco e non è mai esaustiva. Soffermiamoci ora su che cosa dice il testo. In questo brano non avvengono fatti o eventi, ma si descrivono cose che accadranno. Tutto è una promessa: tu parlerai - io sarò con te, non temere - ci saranno segni che ti accompa-gneranno - se hai paura di andare da solo andrai con tuo fratello. Il Signore parte con un progetto molto ben defi-nito e le sue richieste sono due, aperte sempre da un imperativo <Va!>. Prima chiede a Mosè di convocare gli anziani per andare nel deserto a sacrificare, poi gli dice di parlare come bocca di

Gruppi di ascolto della Parola di Dio nelle case

Lucia Vanelli

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Dio. È proprio un piano perfetto dove non manca nulla e sono previste anche le reazioni del nemico (il faraone) e il necessario intervento di Dio stes-so. A ciascuna richiesta Mosè tira fuori alibi, che pun-tualmente ricevono una controreplica da parte di Dio: questo è il racconto biblico di vocazione che presenta il maggior numero di obiezioni. L’ultima parola è comunque quella di Dio, che arriva anche ad “arrabbiarsi”. L’accavallarsi di un numero così grande di obiezioni serve a sottolineare il fatto che Mosè non si è scelto, non può farsi liberatore da solo, ma è stato scelto e mandato da Dio. Cosa altro scopriamo in questa pagina in cui Dio stesso si presenta? Dice: “lo sono il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Il Signore Dio che sta parlando non è ancora il Dio di Mosè. È necessario un percorso, una familiarità, un tratto di strada e di vita insieme perché si possa com-prendere chi è questo Dio misterioso, qual è il suo nome, ma soprattutto qual è la Sua volontà, il Suo progetto. Mosè fa obiezioni perché ha paura; dovrebbe fi-darsi di Dio e non di se stesso, ma compiere que-sto salto richiede una novità di prospettiva di vita e una profonda capacità di affidamento all’Altro. Di fronte alla resistenza di Mosè la reazione di Dio è non solo di pazienza e di accoglienza verso questa difficoltà, ma anche di aiuto concreto. Dio viene in aiuto a Mosè subito, con segni e simboli. Fa parlare azioni, atti, cose che agli occhi degli in-terlocutori dimostreranno che Dio è con lui. Dio, nella seconda parte del brano, mostra tre diversi segni possibili e Mosè assiste stupito: il ba-stone si trasforma in serpente, la mano di Mosè passa dalla lebbra, che ha preso tutta la mano, all’improvvisa guarigione, e infine l’acqua del Nilo che si trasforma in sangue. È molto consolante per noi il fatto che Mosè re-sista ancora, perché ritroviamo in questo la no-stra stessa fatica a credere. E Mosè ribadisce a Dio che i segni da Lui dati lo spingono ancora più a preoccuparsi perché non sa come parlare e cosa dire, dato che non è un buon parlatore. A questo punto il Signore pensa ad una alleanza, ad una compagnia, ad un aiuto ulteriore. È l’aiuto del fratello Aronne che parlerà quando Mosè do-vesse far fatica a trovare le parole. Molto bella questa immagine: il Signore, nella missione che ci affida ogni giorno, anche la più semplice, ci pensa

sempre in comunione con altri. Quello che noi riusciamo a fare è possibile perché c’è sempre qualcuno con noi. Il Signore si preoccupa anche di precisare la ge-rarchia tra i due fratelli per prevenire liti e divi-sioni. “Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio”. Infatti, solo dopo aver chiarito i ruoli e i compiti di ciascuno si potrà compiere una missione efficace. Ripercorriamo i tre passaggi del testo che abbia-mo letto: Primo passaggio. C’è un piano di Dio, molto chia-ro e molto netto. Dio vuole che Israele si liberi dallo stato di schiavitù in cui vive in Egitto, come dire che Dio ci vuole uomini liberi. Secondo passaggio. La resistenza di Mosè verso un Dio che vuol cambiare la sua vita completa-mente e vuole farlo strumento della sua opera di liberazione. Ma Mosè è uno strumento fragile e dubbioso e Dio si prende cura di lui, lo chiama, gli parla, gli dà il bastone e il segno della guarigio-ne. Terzo passaggio, la comunità. Dio non lo lascia solo: un fratello lo affiancherà in questa missione. Con identica finalità, con gli stessi obiettivi condi-visi chiaramente, ma ciascuno con il proprio ruo-lo per lavorare insieme. È molto bello il segno del trovare un socio, un compagno di strada, un al-leato. Trovare la persona giusta con la quale col-laborare è un dono quasi più grande che avere il potere di guarire una mano malata. Anche Gesù manderà i suoi discepoli a due a due, affinché si veda la comunione dell’amore, dell’aiuto recipro-co, dell’armonia, del cammino insieme nel nome di Dio. Al centro di tutta la lettura c’è il cuore dell’episo-dio: il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe deve diventare il Dio di Mosè e allo stesso modo tutta la Scrittura, tutta l’Alleanza dall’Antico al Nuovo Testamento cammina con pazienza a fianco di ciascuno di noi perché Dio vuole diventare il nostro Dio. Noi conosciamo il Signore solo attraverso le sue opere nella storia. Nella mia storia personale e nella mia vita come è entrato il Signore? Quali momenti, fatti e segni hanno fatto sì che io lo riconoscessi come il mio Dio?

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Concludiamo con questa preghiera: “Signore nostro Dio, Tu che scendi a compromessi con le nostre paure e resistenze

pur di averci con Te, donaci un cuore capace di seguirti in ogni luogo nel quale vorrai condurci”

GRUPPI DI ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO NELLE CASE

I prossimi incontri si svolgeranno

Mercoledì 11 Aprile 2018 h. 21.00

Mercoledì 16 Maggio 2018 h. 21.00

Elenco delle famiglie ospitanti Balboni via Muratori, 46/4 tel. 02 5464508

Vanelli via Muratori, 32 tel. 02 59900257

Vangelisti via Colletta 21 tel. 02 55189978

Il quinto incontro programmato per mercoledì 28 marzo è stato spostato a mercoledì

11 Aprile alle ore 21.00

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Gli Angeli raccontano… (a cura di Elisabetta Perego)

LA QUARESIMA

Verificate le vostre conoscenze riguardo alla Quaresima…poi controllate le risposte!

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Orizzontali

2. Amore che si fa dono

4. Atteggiamento fondamentale da vivere in Quaresima

7. Si ricevono sul capo il primo giorno di Quaresima

12. Gesù lo è la domenica di Pasqua

13. Giorno della Settimana Santa in cui si ricordano l'istituzione dell'Eucaristia e del Sacerdo-zio

14. Incontro personale con Gesù

15. Non la si mangia nei venerdì di Quaresima

17. La Quaresima è tempo particolarmente adatto per la preparazione a questo Sacramento

20. Durante la Quaresima non lo si canta prima della proclamazione del Vangelo durante la Messa

21. Numero di giorni che compongono la Quaresima

Verticali

1. Giorno di inizio della Quaresima (secondo il rito romano)

3. La si vive soprattutto in Quaresima in unione a Gesù che ha sofferto ed è morto per noi

5. Giorno della Settimana Santa in cui si ricorda la morte di Gesù

6. Non si mettono in chiesa per adornare l'altare durante la Quaresima

8. Avvenimento centrale della nostra fede

9. Non lo si recita durante la Quaresima dopo l'atto penitenziale della Messa

10. Lo si osserva il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo

11. Colore dei paramenti liturgici in Quaresima

16. Solennità preparata dalla Quaresima

18. I tre giorni che precedono la domenica di Pasqua

19. Si portano in processione l'ultima domenica di Quaresima in ricordo di Gesù che entra in Gerusalemme SOLUZIONI: 1.Mercoledìdelleceneri 2.Carità 3.Penitenza 4.Conversione 5.Venerdì 6.Fiori 7.Ceneri 8.Risurrezione 9.Gloria 10.Digiuno 11.Viola 12.Risorto 13.Giovedì 14.Preghiera 15.Carne 16.Pasqua 17.Battesimo 18.Triduopasquale 19.Palme 20.Alleluia 21.Quaranta

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Rendiconto parrocchiale - Anno 2017

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Hanno collaborato a questo numero: Ugo Basso, Andrea Borroni, Carlo Favero, Fabrizio Favero, Roberta Marsiglia, Levia Messina, don Guido Nava, Elisabetta Perego

I numeri precedenti sono raccolti nella sezione “La Parrocchia” del sito internet parrocchiale www.parrocchie.it/milano/angelicustodi

Sacerdoti Parroco Don Guido Nava tel. e fax. 0255011912 Residente Don Michele Aramini (con incarichi pastorali)

Ss. Messe festive: 9.00 (inv.) - 11.00 - 18.00 vigilia: 18.00 feriale: 8.15 (inv.) - 18.00 Segreteria tel. 0255011625 Lun. - Ven. 9.30 - 12.00 / 17.00 - 18.00 Lun. - Mer. - Ven. 16.00 - 17.00 (Centro di ascolto)

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CALENDARIO PARROCCHIALE MARZO 2018

GIO 1

VEN 2 19. 00: Incontro Edu – Preado – Ado 21. 00: Confessioni per tutti

SAB 3

DOM 4 III di Quaresima

“di Abramo” 10. 00: Catechismo Adulti 11. 00: III elementare – Memoria del Battesimo

LUN 5 MAR 6 MER 7

GIO 8 21. 00: Redazione …tra le case

VEN 9 Via Crucis nella Città – partenza h. 20.00 dalla Parrocchia

SAB 10

DOM 11 IV di Quaresima 10. 00: Catechismo Adulti

LUN 12 21. 00: Consiglio Pastorale Parrocchiale

MAR 13 MER 14 GIO 15

VEN 16 21. 00: Dio a modo mio – Paola Bignardi

SAB 17

DOM 18 V di Quaresima 10. 00: Catechismo Adulti

LUN 19 MAR 20 MER 21 GIO 22

VEN 23 19. 00: Incontro Edu - Preado - Ado 21. 00: Città dell’uomo secondo il cuore di Dio-Magnoni

SAB 24 15. 30: Catechismo II elementare

DOM 25 DOMENICA DELLE PALME 10. 45: Processione con i rami d’ulivo dal cortile delle Suore

Mantellate di via Vasari – II elementare

LUN 26 MAR 27 MER 28

GIO 29 GIOVEDÌ SANTO 17. 00: Lavanda dei piedi e accoglienza Oli Santi. 21. 00: S. Messa In Coena Domini

VEN 30 VENERDÌ SANTO 15. 00: Celebrazione della morte del Signore.

SAB 31 SABATO SANTO 21. 00: Veglia pasquale

CALENDARIO PARROCCHIALE APRILE 2018 DOM 1 DOMENICA DI PASQUA Ss. Messe: 9. 00 – 11. 00 – 18. 00

LUN 2 Lunedì dell’Angelo S. Messa: 18. 00

MAR 3 È sospesa la S. Messa delle h. 8.15

MER 4 È sospesa la S. Messa delle h. 8.15

GIO 5 È sospesa la S. Messa delle h. 8.15

VEN 6 È sospesa la S. Messa delle h. 8.15 SAB 7

DOM 8 II di Pasqua

In albis depositis 10. 30: Battesimi