IO CAINO - Ristretti Orizzonti. Sito di cultura e ... · L’augurio è che Io e Caino sia uno...

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La lunga estate calda del Marino IO e CAINO Stagione rovente al supercarcere. Il Ministero taglia i fondi e mette l’istituto in ginocchio: i detenuti senza carta igienica, posate e detersivi iniziano lo sciopero della fame (a pag. 5). Scoperto in una cella del giudiziario un buco nel muro: trasferimento immediato e rischio di isolamento per alcuni dei ragazzi che occupavano la stanza. La stampa nazionale assedia il Marino (nella foto) nel giorno dell’arresto di Salvatore Parolisi. Un uomo di successo, una famiglia unita. Poi la vita devia di colpo e spalanca le porte dell’inferno. La storia di Mario Lavori in corso: arrivano per tutti le docce nelle celle Anche i detenuti impegnati nelle opere “Mi tremavano le gambe, non riuscivo a dire una parola”. Una giornata di libertà. Dopo anni di sbarre e attesa. Il primo permesso premio di Gianluca e Marco Informatica, musica, teatro, training autogeno e cineterapia nei corsi proposti dalla direzione. Ecco da dove arriva la spinta per ricominciare a vivere a pag. 3 a pag. 4 alle pagg. 8 e 9 a pag. 10 Registro stampa del Tribunale di Ascoli Piceno - Autorizzazione N. 495 - Del 04/08/2011 Anno I . Numero 1 - Agosto 2011 Periodico d’informazione del Carcere di Ascoli Piceno

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La lunga estate calda del Marino

IOeCAINO

Stagione rovente al supercarcere. Il Ministero taglia i fondi e mette l’istituto in ginocchio: i detenuti senza carta igienica, posate e detersivi iniziano losciopero della fame (a pag. 5). Scoperto in una cella del giudiziario un buco nel muro: trasferimento immediato e rischio di isolamento peralcuni dei ragazzi che occupavano la stanza. La stampa nazionale assedia il Marino (nella foto) nel giorno dell’arresto di Salvatore Parolisi.

Un uomo di successo,una famiglia unita.Poi la vita devia di colpoe spalanca le porte dell’inferno.La storia di Mario

Lavori in corso:arrivano per tuttile docce nelle celleAnche i detenutiimpegnati nelle opere

“Mi tremavano le gambe,non riuscivo a dire una parola”.Una giornata di libertà.Dopo anni di sbarre e attesa.Il primo permesso premiodi Gianluca e Marco

Informatica, musica, teatro,training autogeno e cineterapianei corsi propostidalla direzione.Ecco da dove arriva la spintaper ricominciare a vivere

a pag. 3 a pag. 4 alle pagg. 8 e 9 a pag. 10

Registro stampa del Tribunale di Ascoli Piceno - Autorizzazione N. 495 - Del 04/08/2011 Anno I . Numero 1 - Agosto 2011

Periodico d’informazione del Carcere di Ascoli Piceno

Lucia Di Feliciantonio*

Quando i detenuti della redazionedel giornalino interno di questo car-cere mi hanno chiesto di dare diffu-sione esterna al giornale ho subitorisposto positivamente, ed è così ini-ziata questa nuova avventura.L’ entusiasmo dei ragazzi della reda-zione, l’ energia contagiosa di TeresaValiani, la disponibilità delMagistrato di Sorveglianza dott.ssaMaria Viscito hanno prodotto ilprimo frutto: un corso di giornalismoofferto gratuitamente ai detenuti daprofessionisti di grande generosità,che hanno saputo creare un clima d’aula informale, comunicativo edefficace. Ringrazio perciò i docentiGiannetto Sabbatini Rossetti,Presidente dell’Ordine deiGiornalisti della regione Marche,Maurizio Blasi di Rai Tg 3 Marche,Bruno Ferretti, caposervizio delMessaggero e il SostitutoProcuratore della Procura di AscoliPiceno, Ettore Picardi: è anche gra-zie a loro che “Io e Caino” nascevivo e vitale.Ma perchè un giornale del carceredi Ascoli? Perchè un impegno inpiù per me, incombenze in più pergli agenti penitenziari e gli educa-tori già oberati di lavoro e sottoorganico?La risposta a questa domanda è inuna recente delibera del Presidentedell’ Agicom Corrado Calabrò cheha richiamato le reti televisive italia-ne per la mancata informazione sullecarceri italiane e sulla giustizia ingenerale (solo l’ 1 % nel primosemestre dell’anno). Davvero il carcere non fa audience?Certo, se il carcere continua ad esse-re una discarica sociale, guardarenell’immondizia non è piacevole; ioperò sono convinta che il giornali-smo e l’informazione abbiano unruolo fondamentale nelle societàdemocratiche. Un giornalino apreuna finestra metaforica sul muro dicinta e il lettore può lanciare losguardo oltre le sbarre e i cancelli.Troverà un mondo inaspettato.Ragazzi che acquisiscono la licenzadi scuola media, che hanno chiestodi donare il sangue per l’emergenzadel terremoto dell’Aquila, che in unasituazione di assoluta indigenzahanno adottato una bambina a

distanza e sostengono Medici senzaFrontiere, che escono la mattina persvolgere lavoro volontario non retri-buito per la collettività e rientrano lasera.Ragazzi che non hanno denaro perarrivare alla prescrizione del proces-so (negli ultimi 10 anni, un milione esettecentomila processi prescritti:l’amnistia per i ricchi!), che espianola pena con grande dignità per i reaticommessi, in condizioni detentivedisumane, senza sbraitare contro igiudici, e che faticosamente e para-dossalmente proprio in carcerecominciano a costruire un futurodiverso. Tornando alla metaforadella discarica sociale, è propriovero che, come insegnano la raccol-ta differenziata e il riciclo, i rifiutisono rifiuti perchè noi li consideria-mo tali, ma guardati con altri occhidiventano risorse.L’augurio è che Io e Caino sia unostrumento di informazione correttache aiuti ad ampliare l’orizzonte eguardare con sguardo nuovo e curio-so lo strano mondo del carcere,diventando così strumento di promo-zione del cambiamento.Buon lavoro alla redazione.

*Direttore del carceredi Marino del Tronto

PerchéIo e Caino

Il Direttore del carcere, Lucia Di Feliciantonio

L’e

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ale

• Mi chiamo Alessio, ho 20 anni esono di Ascoli. Sono in carcere acausa di alcuni errori commessi inpassato. Ogni giorno spero e sognodi poter uscire da qui e ricominciareda zero. Sogno di avere una fami-glia tutta mia con cui andare avantiseriamente e senza pro-blemi.

• Sono Aldo e ho 20 anni.Vengo dall’Albania. Mitrovo in carcere per laprima volta. Mi piacetanto scrivere e leggere.Vengo da una buonafamiglia di intellettuali.Mi piacciono gli anima-li e il cinema. Sonovenuto in Italia lascian-do l’Albania, la scuola esoprattutto la cosa piùcara che ho: la famiglia.Adesso l’unica cosa chevorrei è stare vicino aloro e seguire sempre i consigli deimiei genitori. Il sogno più grandeche ho è finire l’università. Laprima cosa che farò appena esco èriprendere gli studi. Ho un carattereforte e sono deciso. Sono convintoche “dopo ogni notte esce il sole”.

• Sono Altin e sono albanese. Ho 35anni, gli ultimi 17 li ho trascorsi incarcere. E ancora non è finita. Amola mia famiglia e la libertà: due coseche non lascerò più per nessunaragione al mondo quando finirò lamia pena. Odio i prepotenti, gli igno-ranti, l’ingiustizia e la disuguaglian-za. Faccio parte della redazione perraccontare il carcere, di quanto hasenso, delle totali privazioni checomporta. Per confrontarmi e sensi-bilizzare coloro che ci leggono per-ché Caino non è poi tanto diverso daAbele. Sono contento della creazionedi questo giornale perché è un mezzoper confrontarsi e crescere con glialtri e soprattutto per sentirsi utili ainostri lettori. È un mezzo che ci aiutaad attirare l’attenzione sui problemi equindi a migliorare le condizioni delcarcere: sia dei detenuti che deglioperatori che ci lavorano.

• Sono Gennaro, ho 32 anni e sonodetenuto da più di quattro anni. Ho

due figli, una bimba di 7 anni e unodi quattro, che amo molto. E unamoglie che mi segue dappertutto. Ègrazie al suo aiuto se riesco ad anda-re avanti e a superare questa carce-razione. Sogno ogni giorno a occhiaperti di tornare libero per ricomin-

ciare una nuova vita insieme allamia famiglia che mi manca molto.Per affrontare al meglio la miadetenzione mi dedico alla lettura.

• Sono Gianluca, ho 31 anni, sono diNapoli ma da diversi anni vivonelle Marche. Convivo con unasplendida ragazza madre. Amoscherzare, ho sempre il sorrisostampato sul volto. Ho una dispera-ta voglia di libertà per ricominciaretutto da capo, in modo completa-mente diverso dal passato. Ho biso-gno, però, soprattutto di fiducia,che non tradirò. Sono dell’idea chetutti debbano avere una secondapossibilità.

• Mi chiamo Kleves, ho 34 anni evengo dall’Albania. Sono sposato,ho una bellissima figlia di 9 anni esono innamorato della mia famigliaper cui faccio l’impossibile. Misento fortunto anche se ultimamen-te la sfortuna mi ha seguito. Hotanta voglia di libertà. Ho tantisogni da realizzare e credo che allafine riuscirò a farli diventare realtà.Mi piace molto viaggiare. Mi piac-ciono il mare e le montagne delmio Paese che sono bellissimi. Eche spero di rivedere presto, appe-na finita questa disavventura.

• Sono Marco, ho 44 anni ma non lisento affatto, il tempo vola viacome il vento portando tempeste egiorni sereni. Ho tre figlie stupen-de e una famiglia meravigliosa.Sono alla prima esperienza con ilcarcere e per fortuna la mia disav-ventura con la giustizia sta vol-gendo al termine. Sono una perso-na positiva e tra queste muradesolanti ho scoperto la poesia.Mi piace scrivere versi e scoprireche i miei messaggi arrivano al

cuore delle persone chemi leggono.

• Sono Teresa, ho 45anni. Sono una giornali-sta e ho lavorato pertante redazioni, ma maicon un cancello al postodella porta e le sbarrealle finestre. Ogni voltache entro qui lasciofuori ogni certezza.Non so quanti ragazziverranno all’incontrodel giornale, non so seavranno voglia di star-mi a sentire e di raccon-tarsi. Non so se troverò

le stesse persone o se qualcunonel frattempo è stato trasferito. Ese mai potrò incontrarlo di nuovo.L’unica cosa che ritrovo ognivolta che oltrepasso il primo can-cello ed esco è la sensazione diaver ricevuto molto più di quelloche in due ore sono riuscita a tra-smettere.

Marino allo specchio

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Periodico di informazionedel Carcere di Ascoli Piceno

Registro stampa del Tribunale di Ascoli PicenoAutorizzazione N. 495 - Del 04/08/2011 ANNO I - N. 1 - 2011

Direttore responsabile:Teresa Valiani

EditoreLucia Di Feliciantonio

Progetto grafico:Luisa Stipa

Impaginazione:Teresa Valiani

Redazione Casa Circondariale Marino del Tronto,via dei Meli, 218 - 63100 Ascoli [email protected]

Stampa:FastEditVia Gramsci 11 - Zona Ind.63075 Acquaviva Picena (AP)[email protected]

chiuso in tipografia il 4 agosto 2011

Chi siamoLa redazione si presenta

Sono in carcere da diversi mesi. Unmese e mezzo l’avevo già scontatoappena accaduto il fatto. Sia l’atmo-sfera che l’ambiente trovato entrandoin sezione sono completamente diver-si da quello che ricordavo di aver vis-suto nel lontano 4 luglio 2005.Sono in carcere per aver ucciso miofiglio.Un fatto bruttissimo che non auguroneanche al mio peggior nemico.Anche se cinque gradi di processo mihanno riconosciuto il massimo delleattenuanti, quello che resta nel cuoreè una tristezza tale che solo l’amoreper la propria compagna, per l’altrofiglio e per i due splendidi nipoti tiimpediscono di toglierti la vita.Il timore che avevo mentre i poliziot-ti mi stavano portando qui al Marinoriguardava chi avrei trovato in cella,quanti altri detenuti avrei incontrato ecome mi avrebbero accolto. La Tvnon parlava d’altro che di sovraffolla-mento, di pestaggi, di suicidi. Ero ter-rorizzato.Ma contemporaneamente pensavo chepiù avessi trovato difficoltà, più inqualche modo avrei meglio scontatoil terribile gesto compiuto. In fondoera come trovare un’ulteriore atte-nuante.Con l’auto civetta varchiamo i can-celli del carcere. Il cuore batte amille. I miei accompagnatori milasciano alla matricola. Foto, impron-te digitali e poi una frase: “Qui rimar-rai poco perché questo è un carceregiudiziario mentre tu sei già definiti-vo”. Un ulteriore timore mi pervadein quel momento: avrei incontrato i

nuovi compagni di cella e d’aria emagari mi sarei adattato e subitodopo avrei dovuto cambiare e rico-minciare tutto da capo. Qui sei impo-tente. Non puoi fare, né chiedere. Seiun numero.Un appuntato mi accompagna incella. Ci sono cinque compagni.Vengo accolto benissimo. Data la miaetà mi concedono la branda più inbasso. Uno mi offre subito un caffèper farmi sentire più a mio agio. Sonotutti cortesissimi. Mi aiutano a siste-mare le mie cose dentro l’unico arma-dietto a disposizione. Mi sento benaccettato. Comincio con loro la miavita da detenuto.Essendo praticamente un novizio ini-ziano a insegnarmi ciò che è possibi-le e come chiederlo e ciò che è impos-sibile. Cosa si può ottenere e cosa no.La sera a cena scopro che un compa-gno di cella è anche un ottimo cuoco.Per fortuna non è permesso il vino.Con spazi così ridotti è già difficileconvivere con il cervello funzionante,immaginarsi se lo offuschiamo conl’alcool.I giorni passano abbastanza veloce-mente. Ogni giorno apprendo nuovecose dell’ambiente e aumenta la miasensazione di benessere anche se,naturalmente, relativa alla condizionein cui mi trovo. Arrivano i permessiper partecipare ai vari corsi cheun’ottima Direttrice ha consentitoall’interno del carcere. Tutto fila nelmigliore dei modi. La mia famigliasempre vicina. Mia moglie che vedoogni settimana, mio figlio che per laprima volta in vita sua mi scrive una

lettera dicendomi di non mollare per-ché tutto passa e si potrà tornare allavita di prima.Anche io sono cambiato.Prima davo importanza a cose che inrealtà non avevano alcun valore. Perla prima volta in vita mia ho scritto amio figlio dicendogli che lo stimavotantissimo e che gli volevo un mondodi bene. Non che prima fosse il con-trario, ma davo per scontato che ilmio modo di agire nei suoi confrontigli comunicasse i miei sentimenti.Invece non è così: le cose belle chevengono dal cuore devono esseremanifestate anche con le parole e nonsolo con i fatti. Soprattutto nei con-fronti delle persone che ami più dellatua vita.Il carcere mi ha insegnato tante cosepositive.Anche e soprattutto ad apprezzare,stimare e voler bene a compagni dicella prima perfettamente sconosciutie considerati rifiuti dell’umanità. Mache tutto sono tranne questo.

Mario

Nel momento in cui andiamo in stam-pa, Mario è fuori del carcere.In queste ore probabilmente è al lavo-ro, in un parco pubblico, impegnato apulire e sistemare la zona verde insie-me ad altri compagni del Marino.Recentemente ha ottenuto l’articolo21: esce al mattino per lavorare,torna a casa per il pranzo, e nel tardopomeriggio, terminata la pulizia delparco, rientra in cella per la notte.

Mario è il dirigente di una importan-te azienda. Arriva a sessant’anni conuna serie di successi professionalialle palle e in casa una famigliaunita. A un certo punto decide dilasciare il lavoro e andare in pensio-ne. Vuole prendersi cura personal-mente della nipotina appena nata.Decide che la famiglia è più impor-tante del suo ufficio e molla tutto. I

suoi giorni trascorrono tra una pas-seggiata in piazza con la piccola nelmarsupio e le discussioni con il padredella bimba, suo figlio: ogni giornopiù complesse e difficili da contenere.Fino alla tragedia.Fino al giorno in cui Mario devescegliere ancora.E ancora una volta sceglie didifendere la sua famiglia.

• Bicicletta - Parlare di “bicicletta”, in carcere, non significa racconta-re una bella pedalata. Tutt’altro: uno che ti “monta una bicicletta” è unoche ti sta facendo del male, inventando cose false su di te. Una biciclet-ta è una calunnia e una semplice calunnia dentro queste mura può faredanni gravissimi. Non sempre c’è il tempo e la possibilità di verificarese quello che si dice in giro è vero: si prendono provvedimenti e basta.A me è successo nel carcere di Bologna dove lavoravo e svolgevo unavita regolare. Un giorno, improvvisamente, sono stato trasferito permotivi di sicurezza alla casa circondariale di Parma. Qui, dopo qualchetempo, ho saputo il motivo del trasferimento: con una lettera anonima,qualcuno aveva detto alla direzione che io e un mio compagno di cellastavamo preparando un piano d’evasione. Anche se su di noi non c’eraalcun riscontro e tutte le perquisizioni erano andate a vuoto (in cella nonavevano trovato mappe, seghe, né piani di alcun genere) sono stato tra-sferito lo stesso.Naturalmente non mi era mai passato per la mente di evadere, né neavevo mai parlato, nemmeno per scherzo, con qualcuno. Ma erano glianni ’90 e in quel periodo noi albanesi eravamo tristemente famosi perle tante evasioni dalle carceri. Una lettera simile, anche se anonima, nonpoteva che scatenare le reazioni più ovvie. In questo modo la persona acui probabilmente eravamo antipatici o che mirava a prendere il nostroposto di lavoro, si è liberata di noi con molta facilità. In pratica ci ha“passato la bicicletta”.• Bilancetta - La bilancetta è un piccolo armadio in cui il detenuto siste-ma le sue cose personali. Si chiama sia bilancetta che armadietto.• Carrello - Il carrello ha un doppio significato: c’è il carrello che si uti-lizza per trasportare i pasti nelle varie celle. E quello che serve per por-tare la spesa. Il carrello dei pasti è in dotazione alla cucina e trasportale vaschette in acciaio all’interno delle quali ci sono le pietanze distri-buite a colazione, pranzo e cena: sono pasti preparati dai nostri stessicompagni che, a turni di un mese, lavorano tra i fornelli. Il carrello dellaspesa è simile. Spinto come l’altro da uno o due detenuti, serve perdistribuire i generi acquistati a proprie spese nello spaccio interno: olio,pasta, caffè ecc. Fare lo “sciopero del carrello” significa rifiutare il cibo:fare, cioè, lo sciopero della fame.• Domandina - La domandina è un modulo unico attraverso il qualetutti i detenuti possono chiedere tutto quello che è consentito avere. Siusa per chiedere un colloquio, per fare la spesa allo spaccio interno, perfrequentare i corsi proposti dalla direzione e per qualsiasi altra esigen-za. Si tratta di un modulo preimpostato nel quale devi solo aggiungerei tuoi dati: nome e cognome, data, nome dell’istituto e motivazione.Ogni cosa, qui dentro, viene autorizzata attraverso la domandina.• Ferro - Il ferro ormai è un termine nazionale. Nel linguaggio carcera-rio e criminale vuol dire arma, pistola. Quando qualcuno parla di“pezzo” o “ferro” intende pistola.• Protetti - In carcere ci sono quattro categorie di detenuti: i detenuticomuni, i detenuti classificati con la sigla A.S. che sta per “alta sicurez-za”, i 41bis che sono ristretti col carcere duro e i protetti. Questi ultimisono i detenuti definiti anche sex offenders: quelli che si sono macchia-ti di reati legati alla sfera sessuale. Per questo motivo vengono tenutiseparati dal resto dell’istituto, in una sezione a parte che si chiamaanche sezione “filtro”. Generalmente vengono chiamati “protetti”.

Altin Demiri

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Vite al bivio - “Ho visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare”

Tanto per capirciIl linguaggio del carcere

La storia di Mario

“Per la prima volta in vita mia ho scrittoa mio figlio dicendogli che lo stimavo

tantissimo e che gli volevo un mondo di bene”

Liberi di parlarne

Stare 20 ore al giorno in nove in una cellacostruita per quattro.Avere la sveglia tutti alla stessa ora e doverfare la fila ogni mattina per andare inbagno.Mangiare a turno a colazione, pranzo ecena su una tavola di compensato.Essere costretti a stare sdraiati a letto per-ché non c’è il posto fisico per camminare oanche solo per stare un po’ in piedi nellacella.Abituarsi ai cattivi odori causati, specie inestate, dagli orari fissi delle docce.Abituarsi a salire al terzo piano del letto acastello senza pestare i compagni che dor-mono nei letti inferiori.Abituarsi a dormire legati al letto con unlenzuolo o con la corda dell’accappatoioper evitare di cadere nel sonno dal terzopiano.Abituarsi al compagno di cella che ogninotte va in bagno almeno tre volte e che,puntualmente, occupa l’ultimo piano delletto a castello.Abituarsi a dormire per terra quando nonce la fai a dormire negli ultimi piani e nonpuoi scegliere un letto più in basso.Abituarsi a non pestare il compagno chedorme per terra, quando devi andare inbagno in piena notte.Essere pronti a convivere con persone diculture diverse: c’è chi prega all’alba e percinque volte al giorno, chi non mangia ilmaiale e non vuole che si mescolino stovi-glie e posate con cui è stata cucinata quel-la carne.Non avere operatori a disposizione per icolloqui in tempi ragionevoli perché il

numero di richieste è eccessivo rispettoalla disponibilità dei sanitari.Sopportare di tutto quando il bagno dellacella (per fortuna non è il nostro caso quial Marino) non ha la porta ma solo unatenda.Abituarsi a lavare e stendere la biancheriaa turno perché l’unico filo e l’unico lavan-dino a disposizione non bastano per tutti.Abituarsi al fatto che nell’unico lavandinoa disposizione tutti si lavano i denti, il viso,le mani, si fanno la barba, ci fanno il buca-to e ci lavano le pentole.Diventare psicologi per sedare i momentidi nervosismo e tristezza che in una situa-zione del genere si moltiplicano.Gestire il nervosismo degli agenti stressatidal sovraccarico di lavoro e dalla carenzadi organico.Abituarsi a una scarsa qualità dei pasti ser-viti dall’amministrazione e dovuta al fattoche le cucine sono predisposte per la pre-parazione di un numero di pietanze moltopiù limitato.Cucinare in cella con pentole piccolissimeche ti obbligano a cuocere gli alimenti aturno.Abituarsi ad attese sempre più lunghe per icolloqui con i familiari: la saletta non rie-sce ad ospitare tutte le persone in lista espesso capita che il colloquio fissato per leotto slitti a mezzogiorno. E che i nostrifamiliari, dopo aver percorso in molti casicentinaia di chilometri per venirci a trova-re, debbano affrontare un’ulteriore attesa.Per loro una croce in più da sopportare.

Altin, Kleves e Gianluca

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Da diversi mesi tutte le celle delsettore giudiziario sono in ristrut-turazione. Se da una parte questilavori creano qualche problema aidetenuti, dall’altra sono disagi chesi sopportano bene perché con

queste opere l’amministrazionepenitenziaria, come previstodall’Unione Europea, sta dotandoogni cella delle tanto sospiratedocce. Prima degli interventi pote-vamo lavarci solo raggiungendo il

locale comune a tutta la sezione. Equesto voleva dire chiedere ognivolta a un agente di farci uscire,aspettare che aprissero il blindo e,dopo essere stati accompagnati nellocale, iniziare finalmente a farela doccia. Una volta terminati ilavori sarà tutto più facile perchébasterà osservare gli orari checonsentono una doccia al giorno.Le opere sono eseguite dalle ditteesterne che hanno vinto l’appaltoe dalla Mof. (Manutenzione ordi-naria fabbricato) per la quale lavo-rano a turno i detenuti. Di solitodai 2 ai 4 ragazzi al mese, a secon-do del bisogno. I detenuti provve-dono alla tinteggiatura delle pare-

ti, dei termosifoni, del blindo edelle inferriate. Mentre gli operaiesterni all’istallazione della doc-cia e al rinnovamento dell’impian-to idraulico, dei sanitari e dellepiastrelle. I ragazzi della Mofsvolgono un lavoro molto impe-gnativo e di responsabilità, lo soper esperienza personale, ancheperché eseguono tutti quei lavoriche non riescono a essere appalta-ti e a Marino sono molti visto chela struttura, risalente agli anni ’80,non ha mai subito grossi interven-ti. Io attualmente sono in una cellache è stata ristrutturata da poco eposso farmi la doccia nella stanzacon numerosi vantaggi. Il primo è

quello di avere un’igiene maggio-re dato che è premura di chi vivenella cella tenere pulito il bagno.Poi c’è una maggiore privacy.Inoltre non si deve ogni voltachiamare l’agente per farsi accom-pagnare e in questo modo si evita-no attese interminabili. Altri lavo-ri in corso riguardano la strutturache si trova affianco al carcere eche ospiterà i semiliberi, comeme, e la caserma degli agenti. Idetenuti, essendo lo stabileall’esterno del carcere, non posso-no lavorarci. Per questo le operesono affidate solo a ditte esterne.

Marco

Venti flash per raccontare una vita da sardina

Arrivano le docce nelle celle: i lavori in corso al Marino

Sovraffollamento vuol dire…

Ci piace che…

Ci sono carceri che forniscono ai detenu-ti le borse termiche. Altri in cui ci sonoaddirittura piccoli frigoriferi in ogni cella.Al Marino abbiamo un grande freezer pertutti gli ospiti della sezione. Serve percongelare soprattutto la carne e gli ali-menti che possono essere conservati alungo. Ma per mantenere uova, latte, for-maggio e tutti i cibi che non si possono

congelare come si fa?Se non c’è un frigorifero in cella, siaguzza l’ingegno e se ne costruisce uno.A mano. Utilizzando le poche cose adisposizione. Servono: carta d’alluminioricavata dalle confezioni di biscotti o dicrackers, colla vinilica, cartone e l’arma-dietto standard della misura di 30 centi-metri per 30 che si trova in dotazione intutte le celle. Prima si taglia il cartoneformando quadrati uguali per ogni fac-ciata dell’armadietto, facendo in modoche questi quadrati possano aderire per-fettamente alle pareti. Poi su ogni carto-ne si incolla la carta d’alluminio.Bisogna fare attenzione a coprire benetutte le facciate interne.Quando abbiamo preparato le sei faccia-te iniziamo a incastrarle all’interno del-l’armadietto. Senza incollarle, però, per-ché possono sempre essere riutilizzate inun’altra cella, in caso di trasferimento. Eanche perché durante un’eventuale per-quisizione, il nostro frigorifero è facil-mente smontabile e rimontabile. L’unicopezzo che si deve incollare è quello chericopre l’interno della porta. Quandotutto è ermetico e anche la porta si chiu-de bene, il frigorifero è pronto per esse-re utilizzato.Ma come raffreddare i cibi?Il motore del raffreddamento altro non èche qualche bottiglia d’acqua da un litro emezzo messa qualche ora prima in conge-latore. Queste bottiglie sono le nostre

mattonelle refrigeranti. Le mettiamo nelfreezer e almeno una volta al giorno, aseconda della temperatura esterna, lesostituiamo con quelle più fredde. In que-sto modo riusciamo a mantenere freschiuova, carne, formaggi e tutti i prodotti chenon possono stare in congelatore.

Altin e Kleves

La varianteChi non vuole adoperare l’armadiettoperché lo utilizza in un altro modo, percostruire un frigorifero a mano può ser-virsi di un cestino portafrutta di plastica.Ecco come: prendiamo il cestino, lo svuo-tiamo e lo rivestiamo con la carta deibiscotti. Facciamo in modo che la partesuperiore possa essere aperta agevolmen-te in modo da poter inserire con facilitàgli alimenti ogni volta che ne abbiamobisogno. Poi con due sacchi per i rifiuti,uno da destra e l’altro da sinistra, avvol-giamo il cestino così da non far entrarel’aria calda. Infine lo chiudiamo ermeti-camente dopo aver sistemato all’internotre bottiglie d’acqua ghiacciata. In questomodo, il nostro cestino è diventato unaspecie di borsa termica e ci permettere ditenere freschi gli alimenti che ne hannobisogno.

Gennaro

Quando è necessario aguzzare l’ingegno

Come ti costruisco un frigorifero in 10 minuti

Un comune frigorifero: un sogno per i detenuti

Mi trovo in carcere da 17 anni e intutto questo tempo ho girato quattroistituti italiani. Da qualche mesesono a Marino del Tronto e quelloche sta accadendo qui non era maisuccesso prima, in nessun altroposto.La notizia è arrivata a maggio: unacircolare della direzione ci dicevache, per mancanza di fondi, da giu-gno non avrebbero più consegnatocarta igienica, saponi per la persona,detersivi per la pulizia, posate di pla-stica e sacchetti per i rifiuti. Prima inquesto istituto fornivano a ogni dete-nuto 30 forchette, 20 cucchiai, 20coltelli (tutto in plastica leggera, usae getta) e 5 rotoli di carta igienica almese. Oltre a spugne per i piatti,stracci, scope, saponette, detersiviper il pavimento e candeggina. Ladistribuzione di questo materiale aun certo punto ha iniziato a ridursi emolti di noi hanno cominciato acomprare da soli le posate, la carta ei prodotti. Chi poteva, per un po’ èriuscito anche ad aiutare i compagnipiù sfortunati.Ma poi è arrivato lo stop definitivo:le distribuzioni sono cessate e in car-cere siamo arrivati subito al collasso.Quando dal Ministero hanno tagliatoi fondi, la situazione qui è diventatainsostenibile.In cella, la nostra è una delle piùgrandi (circa 5 metri per 6 costruitaper ospitare quattro persone) siamoin nove.Per giorni abbiamo mangiato inquattro con le stesse posate.Lavandole e passandocele dopo ognipasto. Mangiando a turno. Ma nonc’era niente da fare.Anche così la situazione era inde-cente perché le posate di plasticaleggera puoi anche lavarle ma l’odo-re del cibo gli resta appiccicato etempo qualche ora diventa puzza. Èstato così per giorni, pranzo e cena.Alla fine abbiamo detto basta. Einsieme al resto dell’istituto abbia-mo iniziato lo sciopero della fame ela battitura dei blindi.Togliere la libertà alle persone nonsignifica trattare gli uomini peggiodelle bestie. Lo Stato che ti ha incustodia non può dirti di arrangiartisenza darti nemmeno la possibilità di

lavorare, fuori o dentro il carcerestesso, e di andare avanti in qualchemodo. E non si può sempre contaresulla solidarietà tra detenuti.Da un lato sentiamo che il ministroAlfano sta investendo milioni dieuro sul piano carceri, dall’altro nonarrivano fondi nemmeno per acqui-stare le posate.

Per questa situazione, che lede dirit-ti inviolabili perché mette a rischiola nostra salute, ci siamo messi insciopero.Il comandante, Pio Mancini, e i varigradi della polizia penitenziaria sonostati subito solidali con noi. Lo stes-so comandante si è attivato con laCaritas che ha portato un carico dicandeggina. Poi, insieme a noi, tra-mite un articolo di stampa, ha lancia-to un appello a tutti gli ascolani.Tante persone hanno aderito tempe-stivamente per coprire l’esigenza delmomento. Ma non sappiamo quantopotrà durare.Se il ministero non ha fondi per lecose indispensabili come igiene eposate, allora siamo veramente

messi male. Il sovraffollamento èinsostenibile. Può capitarti in cellagente con patologie per malattievarie o ragazzi tossicodipendenti.Per andare in bagno si fa la fila. Eimmaginate come si sta la sera:anche chi riesce a dormire, difficil-mente passa una notte di riposo per-ché gli altri russano, perché c’è chi

chiede terapie a voce alta, chi vuoleguardare la Tv. Il caldo, poi, qui den-tro non perdona. E rende la cellaancora più invivibile. L’afa siaggiunge alle tante torture.Se noi sbagliamo nei confronti dellasocietà veniamo puniti. Ogni voltache trasgrediamo una regola, anchela più banale, veniamo puniti. Undetenuto più degli altri: per unainfrazione, per esempio fumare incorridoio, si può essere puniti con unrapporto disciplinare e con la conse-guente sanzione.Mentre per ogni infrazione chesubiamo e per ogni nostro dirittonegato, a partire da quelli costituzio-nali, non ci viene scalato nessungiorno di carcere.

“La civiltà di un Paesesi riconosce dallo stato delle patrie galere”

(Dostoevskji)

di Altin Demiri

Quando in carcere parliamo di pran-zare non pensiamo a una bella tavo-la imbandita. O meglio, la tavola c’èma è proprio una… tavola. Se sitoglie a una cella di 5 metri per 6 ilposto occupato da due file di letti acastello, si intuisce che lo spazio cheresta non basta per ospitare anche untavolo vero e proprio.In altri istituti, alcuni anni fa, i dete-nuti per mangiare usavano la tavolarigida che stava sul letto, tra il mate-rasso e la rete. La toglievano a ognipasto e, finito di mangiare, la rimet-tevano al suo posto. Al Marino permangiare abbiamo a disposizioneuna tavola di compensato di circa unmetro e 70, chiamata “tavola razza”,che quando non serve per i pastiresta appoggiata a una parete. Il pro-blema è che, non avendo appoggi,non sappiamo come reggerla. Allorabisogna ingegnarsi. Nella nostracella adoperiamo i cestini della frut-ta: li accatastiamo uno sull’altro epoi li piazziamo sotto alla tavola cheresta in equilibrio quel tanto che

basta per farci mangiare. Ma la tavo-la non è abbastanza grande per tuttigli ospiti e allora capita che quandoalcuni di noi mangiano, gli altridevono stare a letto perché non c’èpiù spazio per muoversi. Le cose sicomplicano quando arriva un com-pagno che non ha soldi per acquista-re la frutta: quindi nemmeno il cesti-no che dovrebbe fare da appoggio.In quel caso, se gli altri non sono incondizioni di aiutarlo, mangia sulletto, per terra o sullo sgabello. Perevitare questi disagi, cerchiamo dimangiare tutti assieme, stringendocipiù che possiamo. Ma anche questoè un problema perché le pentoledisponibili sono piccolissime e nonpermettono, ad esempio, di cuocerela pasta per tutti nello stessomomento. E in una cella di otto per-sone, se non vuoi che la pasta diven-ti un pezzo unico, la devi mangiaresubito, altrimenti la butti.

A.D.

Qualche anno fa in carcere poteva-mo usare ciotole in acciaio, posatein alluminio e le scatolette per con-servare pomodori o tonno.All’epoca non c’erano problemi didistribuzione delle stoviglie perchécon le stesse posate potevi mangiareper anni senza mai doverle cambia-re. Ad un certo punto però è acca-duto che per colpa di un detenuto,per motivi di sicurezza hanno toltola posateria in alluminio a tutti glialtri. Durante una lite un agente erastato ferito al volto con il coperchioaperto di una scatoletta di tonno.Da quel momento il ministeroaveva ordinato l’immediato ritirodi tutto il materiale potenzialmente

pericoloso che presto era statosostituito dalla plastica. Ecco comesono arrivati i piatti di plastica e leposate di plastica usa e getta. È giu-sto fare prevenzione ma è anchevero che per l’errore di pochiabbiamo pagato e stiamo pagandotutti. In più questo cambiamento hainteressato più di 70 mila detenuticon una spesa enorme. Una spesache va ripetuta continuamente per-ché, specie nel caso di posate usa egetta come le nostre, c’è bisogno dicomprare continuamente nuovomateriale.

A.D

Liberi di parlarne

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In cella senza posate, saponi e carta igienicaI detenuti contestano il taglio dei fondi con lo sciopero della fame

Si mobilitano anche Provincia e Comune

Agente ferito al volto, bandito l’alluminioEcco perché nelle celle è arrivata la plastica

Aggiungi un posto… alla tavolaPasti in bilico su un pezzo di compensato

Ci piace che…Anche il presidente della Provincia di Ascoli, Piero Celani (nella foto), el’assessore alle politiche sociali del Comune di Ascoli, Donatella Ferrettihanno accolto l’appello lanciato dai ragazzi del Marino. Nei giorni succes-sivi allo sciopero della fame Celani ha raggiunto il supercarcere e ha conse-gnato personalmente al direttore, Lucia Di Feliciantonio, prodotti per l’igie-ne personale e stoviglie in plastica. Oltre al direttore, il presidente ha incon-trato anche due rappresentanti dei detenuti che hanno ritirato il materialeche è stato subito distribuito nelle diverse sezioni.“L’Amministrazione Provinciale con questo piccolo gesto semplice edinformale - ha spiegato il presidente - ha voluto rispondere concretamentee, in maniera sollecita, all’appello lanciato alle istituzioni locali dagli ospi-ti della casa circondariale che avevano evidenziato queste necessità per laloro vita quotidiana”.Nell’occasione, Celani ha ringraziato il direttore della casa circondariale perla proficua attività svolta per “l’integrazione e il reinserimento nella socie-tà dei detenuti e per la grande collaborazione che lega da sempre laProvincia e il carcere nel promuovere attività di socializzazione e formazio-ne fuori e all’interno del penitenziario piceno”.L’assessore comunale Donatella Ferretti, intervenuta a nome dell’ammini-strazione ascolana, ha consegnato all’istituto un contributo in denaro con ilquale la direzione ha potuto acquistare i generi di prima necessità.

Celani consegna stoviglie e detergenti, Ferretti un contributo

di Italo Tanoni*

In un recente convegno che si ètenuto ad Ancona sul rilancio dellaDifesa Civica nel territorio delleMarche, un collega garante di unaregione limitrofa, faceva cenno alfatto che gli era stata avanzata laproposta di accorpare nella DifesaCivica l’incombenza di Garantedei diritti dei detenuti. Un invitoda lui stesso decisamente rifiutatoperchè la funzione ricoperta nonavrebbe assicurato l’effettivo eser-cizio di controllo e supervisionedelle situazioni di criticità in cui sitrovano oggi le carceri italiane.Due le difficoltà: la poca accortez-za con cui molte realtà regionali,fatte le debite eccezioni, hannoaffrontato per la prima volta il pro-blema “carceri” e l’impermeabilitàdel nostro sistema carcerario.Affrontiamo il primo “nodo gor-diano”. Rispetto alle undici realtàregionali che hanno legiferato inmateria per istituzionalizzare lafigura del Garante dei diritti deidetenuti, solamente cinque regionihanno nominato questa autorità digaranzia (nella tabella). Segno chetrattare del problema carceri inItalia, è come toccare un cavo del-l’alta tensione in cortocircuito per-manente. A questo clima di “opaci-tà istituzionale” si aggiunga ancheuna certa dose di “populismo” diqualche autorità di garanzia cheinopportunamente in questa primafase di avvio, ha pensato bene digiocare il ruolo di Difensore delpueblo (carcerario) cavalcando lelegittime aspettative dei ristrettinella libertà personale e prospet-tando soluzioni rispetto ai tempi eai modi di un sistema giustizia inaffanno, che non si sarebbero poitradotte in fatti concreti.La seconda questione riguardal’impermeabilità del nostro siste-ma carcerario che si concretizzanella non facilità di accesso ancheda parte di soggetti accreditati,nella difficoltà di rapporti tral’amministrazione penitenziaria ele associazioni di volontariato, inproblemi legati a una informazio-ne poco trasparente, nella eccessi-va burocratizzazione di unambiente chiuso e perennementepervaso dal timore di una continuainvasione delle competenze daparte delle varie agenzie impegna-te attorno a questo “totalizzantepianeta carcere”: Ministero diGrazia e Giustizia, DipartimentoAmministrazione Penitenziaria,

Servizi Sociali e Servizio Sanitarioregionale, Uffici dell’Autorità diGaranzia, le Associazioni di volon-tariato, gli Enti Locali. Una situa-zione di scarsa interazione tra car-cere e mondo esterno della societàcivile, del lavoro, della formazio-ne, dei rapporti sociali ed econo-mici che porta come conseguenzaalla contrazione delle misure trat-tamentali attuate, soprattutto nelleMarche, in misura “minimale”. Unsegnale emblematico di una realtàche per certi versi appare del tuttofuori controllo da parte di chi- inprimis le autorità governative-dovrebbe garantirne il buon fun-zionamento. A riprova di ciò ripor-tiamo di seguito la diretta testimo-nianza pervenuta via e.mail all’uf-ficio del Garante, inviata da unodei soggetti coinvolti nelle misuretrattamentali di recupero e reinse-rimento sociale dei detenuti chetuttavia ha preferito conservarel’anonimato.«… butto subito là una propostache nasce da un problema graveche riguarda le attività formative

e lavorative all’interno dellastruttura carceraria. Non decolla-no, perché gli impicci burocratici,amministrativi e di ‘sicurezza’sono sempre più importanti delvalore educativo e dell’opportuni-tà di riscatto che si concede.Avevo promosso un laboratorioper la costruzione di cestini divimini,... si è fermato tutto perchénon si sapeva come venderli. Hoproposto l’orto: non si può perchénon si possono vendere i prodotti.C’è un laboratorio... alla mostraconclusiva i detenuti non possonoandare perché non è previsto daltrattamento. Ho proposto ad unGAR la vendita di un .prodottofatto direttamente dai detenuti,non si può per motivi fiscali.Eroriuscito a mandare due detenutiall’esterno per curare le areeverdi del comune... dopo tre mesisono rientrati perché a nessuno èvenuto in mente di rifinanziare ilprogetto. Con un confronto serenomi piacerebbe capire se i problemisono reali e solo il coraggio dirischiare di qualche amministra-

Una strada tutta in salitaL’intervento del Garante dei diritti dei detenuti

Il Garante dei diritti dei detenuti,Italo Tanoni (nella foto), si è recatoin visita al supercarcere di Marinadel Tronto per incontrare laDirigente dell’Istituto, Lucia DiFeliciantonio, il comandante dellaPolizia Penitenziaria, Pio Mancini, euna delegazione di detenuti chehanno manifestato con lo scioperodella fame contro le condizioniassurde in cui si trovano nel carceredi Ascoli Piceno. Se a questa situa-zione si aggiunge il cronico proble-ma del sovraffollamento che nelleMarche ha da qualche tempo supera-

to i limiti dell’umana tolleranza ilquadro è completo.Il Garante Tanoni nella stessa matti-nata, accompagnato dal funzionariodell’ufficio Ombudsman, Cinti, si èincontrato con Don Dante, Direttoredella Caritas di Ascoli, per affronta-re le emergenze denunciate dai dete-nuti. Quanto emerso dagli incontrisarà oggetto di discussione da partedel Consiglio Regionale nel cosidetto “pacchetto carceri”.

Ufficio stampa Regione Marche

L’Ombudsman in visita al Marino

Una risoluzione per intervenire sul-l’emergenza carceri nelle Marchefirmata Donati, Eusebi, Giorgi,Acacia Scarpetti dell’Idv, Cardogna(Verdi), Camela e Malaspinadell’Udc, Binci del Sel è stata appro-vata il 19 luglio con 19 voti favore-voli e 15 contrari.“Nelle Marche - si legge nel testo -tranne il caso di Barcaglione che puòessere definito carcere modello, cisono numerosi casi di sovraffolla-mento e promiscuità per stato disalute o di criminalità.Con la mozione si chiede alPresidente dell’Assemblea e alPresidente Spacca di:Sollecitare l’assegnazione di agentiper le carceri di Pesaro,Fossombrone, Ancona e AscoliPiceno. Richiedere al ministerodella Giustizia un incontro delladelegazione regionale edell’Ombudsman con il ministrodella Giustizia e il capo del Dap allapresenza dei direttori degli istitutidi pena per assicurare un pieno uti-lizzo delle strutture e rifunzionaliz-zare la casa di reclusione diAncona-Barcaglione per deconge-stionare Ancona-Montacuto, Fermoe Camerino”. Questi i punti salientidel documento.Intervenire presso la ConferenzaStato-Regioni proponendo di

migliorare il sistema sanitario deidetenuti e di promuovere le relazionidetenuti-familiari. Inserire nel bilan-cio regionale 2012 e successivi, uncapitolo di spesa per coprire spese dimateriale e attrezzature per interven-ti migliorativi degli spazi carcerari(manutenzione e piccole riparazioniimmobili, piantumatura, floricultura,etc.) secondo la richiesta degli stessidetenuti.Creare un tavolo di concertazioneche veda la Regione Marche capofi-la di un progetto pilota della duratatriennale. “Abbiamo chiesto - silegge nel documento - adeguatifinanziamenti e la piena attuazionedelle disposizioni sulle attività trat-tamentali con particolare riferimentoalle iniziative culturali, di sostegnoalle biblioteche e ai laboratori teatra-li, nonché alla manutenzione dellestrutture sportive”.Una riforma sostanziale del codicepenale che promuova una generaledepenalizzazione.Attivare presso la Conferenza StatoRegioni accordi con i Comuni eUepe per percorsi di reinserimentoattraverso attività socialmente utili.Sollecitare le Province a distaccareproprio personale per l’orientamentoe il reinserimento nel mondo dellavoro e per attivare uno sportellodell’ufficio di collocamento.

Punti di vista

6

“La Regione intervenga con un progetto pilota”

tore li bypassa. Se invece non cisono e sono esasperati dallamancanza di fiducia nelle azionitrattamentali.Tutto è paralizzato,cosa si può fare?». Di fronte a questo grido d’impo-tenza, la voce fervida del Giornaledel carcere di Marino del Trontoredatto dagli stessi detenuti sottol’attenta supervisione di TeresaValiani, tra le cui pagine ho avuto

l’onore di essere ospitato, rappre-senta nella nostra regione uno deiprimi tiepidi segnali di una auspi-cata inversione di tendenza nellaorganizzazione e diffusione dellemisure trattamentali. Per oracomunque, la strada è ancora tuttain salita.

*Autorità di Garanzia per i diritti deidetenuti Regione Marche

di Raffaele Agostini *

Il Consiglio d’Europa ha giudicato lestrutture carcerarie italiane “tra le piu’arretrate e vecchie, con istituti che nonhanno nemmeno gli spazi comuni persocialità e rieducazione”. Uno degli ulti-mi rapporti di Amnesty Internationaldefinisce le condizioni di vita dei detenu-ti italiani “crudeli, inumane e degradanti”.Mentre il Comitato europeo contro la tor-tura ha inserito l’Italia tra i paesi che neiprossimi anni, se non daranno chiarisegnali di aver preso provvedimenti in talsenso, rischiano di ricevere una condannadel Consiglio d’Europa per comporta-mento inumano, come è già accaduto sol-tanto per la Turchia, che ne ha ricevuti 2,e la Russia.Sono stato Magistrato di Sorveglianza adAscoli e Macerata per 10 anni (dal 1996al 2006) e nel tempo ho maturato il con-vincimento che il problema vero dell’ese-cuzione penale non è rapprentato dal pre-sunto venir meno del principio della cer-

tezza della pena. Ma dalla profondadisparità di trattamento esistente tra idetenuti, a seconda del carcere in cuiscontano la pena.Anzitutto, ci sono Istituti con un nume-ro di detenuti accettabile ed altri con unapopolazione carceraria doppia rispettoalla capienza. E si dice, riduttivamente,che si tratta di un problema di ediliziapenitenziaria. Ricordo aspre polemichedi un paio di anni fa: da una parte il Dap(struttura che dipende dal ministerodella Giustizia) secondo cui le carceriitaliane ospitano oltre 15.000 persone inpiu’ rispetto alla loro capacità edilizia eil Consiglio d’ Europa (che utilizza datidel Dap) secondo cui nelle carceri italia-ne (attualmente 205, ne servirebberoalmeno 20 in piu’) vi sono in media 135detenuti ogni cento posti disponibili.Calcolate che la Francia ha una densitàdi 97 detenuti ogni 100 posti disponibi-li, la Germania è a quota 108 su 100 eche soltanto Grecia e Romania hanno

una densità carceraria superiore a quelladel nostro Paese.Dall’altra parte il Ministro secondo cuitutto scaturisce dai risultati di uno studioche ha (erroneamente) stabilito che ognidetenuto deve avere diritto ad un certonumero di metri quadrati e che a questoproposito ha riferito di aver dato vita a

un’iniziativa per definire gli standardminimi di vivibilità nei penitenziarieuropei.Ma a parte gli spazi, pur importanti, ilproblema è la vita detentiva nella suacomplessità che determina assolute ini-quità. Per questo la stessa pena diventapiu’ o meno rigorosa, piu’ o meno dura aseconda di dove la si sconti. Una cosa èessere detenuti a Poggioreale oall’Ucciardone, una cosa è esserlo aMacerata Feltria o Camerino.Un detenuto, in sede di richiesta di libera-zione anticipata, mi spiegava che avevacollezionato sanzioni disciplinari perchénel carcere campano in cui era stato rai-stretto per due anni non era possibilerifiutare la partecipazione alle manifesta-zioni di protesta, ordinata dai detenuti più“autorevoli”, se non a rischio della pro-pria incolumità personale.Negli istituti di pena ci sono pochi psico-logi, pochi sanitari, pochi educatori: diconseguenza, tra la richiesta e lo svolgi-mento del colloquio con questi operatori

passano mesi. Ci sono pochi assistentivolontari e poca polizia penitenziaria:45.000 agenti a fronte di circa 60.000detenuti, senza tener conto poi che circa7.000 agenti si occupano del servizio tra-duzioni, prima effettuato dai carabinieri, eche 3.000 svolgono servizio d’ufficio.Non ultime le condizioni igieniche: sca-rafaggi, topi resistenti a disinfestazioni ederattizzazioni, scabbia. Ricordo adAscoli un focolaio di scabbia finlandeseresistente per lungo tempo ad ogni proto-collo sanitario. E ancora bagni intasati,campi di calcio non agibili, docce impra-ticabili. Se a questo si aggiunge l’ennesi-mo taglio dei fondi che, ad esempio aMarino toglie anche la possibilità diacquistare detergenti, si ha il quadro com-pleto della situazione.

*Giudice del Tribunale di Ascoli Piceno.Magistrato di Sorveglianza fino al 2006.

(Nella foto)

Primo giugno 2011. Aspetto in corrido-io i ragazzi del giornale. In mano ho lascaletta degli argomenti che affrontere-mo oggi: ci sono tante cose di cui par-lare, da capire. Per me e per loro.Ancora qualche minuto e finalmentescatta il primo dei due cancelli.Entrano in quattro. Non capisco. Di solito sono almeno sei o sette. Lefacce lunghe, il passo lento di chi non habuone notizie.Mi avvicino ad Altin, il primo della fila.“Buongiorno, che succede?”.

“Il carcere è in sciopero. Stiamo facen-do lo sciopero della fame, la battituradei blindi e disertiamo i corsi e le atti-vità. Gli altri ti mandano a dire che nonsono venuti per questo. Oggi ci siamosolo noi”.“Entriamo e raccontatemi tutto”.Ci sistemiamo nella saletta d’informati-ca, adibita a redazione. Ci sediamo incerchio e i ragazzi iniziano a parlare.Raccontano del taglio dei fondi, dellacarta igienica che non viene distribuita dagiorni, delle posate di plastica che si pas-sano di pasto in pasto per non ridursi amangiare con le mani. Dei bagni che nonriescono a pulire perché mancano i deter-sivi. Della paura di prendere infezioni.Sono più amareggiati che arrabbiati.Perché si sentono impotenti.Automaticamente metto in tasca il fogliocon la scaletta. Li invito a sedersi a unapostazione e ad accendere il pc. Aldo simette alla tastiera. Marco e Klevi dettanola bozza dell’articolo mentre Altin conti-nua a darmi i particolari della situazione.La redazione del giornale si è trasforma-ta di colpo nell’ufficio stampa dei dete-nuti. Stiamo buttando giù il comunicatocon l’appello alla città che il giorno dopopubblicheranno tutti i quotidiani dellaprovincia. Nella discussione intervengo-

no anche gli ufficiali che si alternanonella saletta. Fino a quando spunta unsignore che non avevo mai visto prima.Non ha alcuna divisa.“Oh! C’è il comandante!” Esclama qual-cuno alle mie spalle.Pio Mancini (nella foto), il comandantedella polizia penitenziaria di Marino delTronto, è visibilmente trafelato. Mi strin-ge la mano senza smettere di guardare idetenuti con un sorriso carico di appren-sione. Non sono nemmeno le 11 e sta giàsudando l’ottava camicia. Si vede che lasua mattinata è iniziata da diversi giorni.Mi spiega la situazione ripetendo che in27 anni di carriera non aveva mai affron-tato niente del genere. Il corpo di poliziapenitenziaria è solidale con i detenuti.Approva i motivi della protesta e lemodalità.“Ma adesso basta ragazzi, basta con losciopero della fame. Così vi fate solomale”. Lo guardo. Più chea il comandan-te delle “guardie” sembra il padre chetanti di questi ragazzi non hanno maiavuto. Continua a sudare ma non smettedi comunicare con i suoi “prigionieri”.“In quale altro modo possono far sentirela propria voce?”. Chiedo.

“La protesta è arrivata a Roma -rispondelui di getto -da stamattina sto ricoprendoil Ministero di fax”.“Di più, comandante! -incalza Marco -nedeve mandare di più!”.“Ha detto che li sta ricoprendo! -rispon-do di rilancio - Mica li pò ammazzà!”. Larisata generale stempera un po’ la tensio-ne mentre una vibrazione e un suonocupo riempiono ogni angolo della stanza.Istintivamente guardo il soffitto.“Ma che c’è il terremoto?”.“No! - mi spiega Altin sorridendo -Sono i nostri compagni che stanno bat-tendo tutti insieme con le pentole con-tro i blindi”.Se da qui si sente così, immagino il fra-stuono vicino alle celle.“Ragazzi -riprende il comandante -hoallertato la Caritas e oggi pomeriggio ciportano un carico di candeggina. Ma perfavore, allentiamo un po’ la battitura per-ché ai colleghi in corridoio sta scoppian-do la testa. Facciamo tre volte al giorno,va bene?”.Sembra un buon compromesso. I ragazzisono d’accordo. Spargeranno la voce.Il nostro articolo è pronto. Completoanche del contributo inaspettato delcomandante.

È mezzogiorno. L’incontro è finito.Mentre si apre l’ultimo cancello delcorridorio ci viene incontro Mauquia.È vestito da cuoco e spinge il carrellocon il pranzo.“Guarda! - dice col suo accento tunisino- Non ha mangiato nessuno!”.Saluto i ragazzi e raggiungo l’ufficioMatricola. Con il comandante ci scam-biamo e-mail e cellulare. La comunica-zione è diretta, spontanea. Come ci cono-scessimo da tempo. Mentre dalla primastretta di mano è passato meno di un’ora.Due giorni dopo mi sorprenderà ancora:quando insieme alla sua vice, AnnaLavinia Palmisano, raggiunge il primosupermercato e, di tasca propria, acquistai prodotti che mancano.Rientro a casa e ritrovo in tasca il fogliocon la scaletta. Non l’ho nemmeno aper-to. Oggi la lezione l’hanno tenuta i dete-nuti e il “loro” comandante.I ragazzi mi hanno insegnato come si faad affrontare con dignità una situazioneche non ha niente di dignitoso.Il comandante mi ha mostrato come ilbuon senso, l’intelligenza e un caricoenorme di umanità possano molto più dimille sanzioni.

Teresa Valiani

Punti di vista

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Carceri troppo vecchie e arretrate:l’Italia rischia una condanna dall’Europa

L’intervento del giudice Raffaele Agostini

Ci piace che…

Il Comandante va al supermercato e fa la spesa per i detenuti

È una bellissima mattina di sole.Quasi quasi esco dalla cella e mene vado un po’ in montagna. È ilgiorno ideale.Non sono impazzito, perché oggiaccade davvero. Ho avuto due per-messi premio in due settimane: unperiodo da incorniciare.La prima uscita è stata il 14 mag-gio, in occasione della giornataecologica al Santuario dellaMadonna dell’Ambro organizzatadal direttore del carcere, Lucia DiFeliciantonio, in collaborazionecon il rettore del Santuario, FraGiovanni Priori, la protezione civi-le, la Forestale e il comune diMontefortino.Partiamo di buon ora: io, il mioamico Sergio, il direttore, ilcomandante della polizia peniten-ziaria e tre appuntati.Destinazione: Monti Sibillini.Il furgone blindato ci metteun’oretta per raggiungere il san-tuario. Fra Mago e i suoi collabo-ratori ci stanno aspettando.L’accoglienza è sincera, come traamici che si conoscono da tempo.Genuina e generosa, come la cola-zione che ci attende sulla tavolaimbandita e che non smentisce lebuone abitudini della gente dimontagna.Amo molto la montagna e quandosi sono spalancate le porte del blin-dato il mio corpo e il mio cuoresono stati invasi da emozioni for-tissime. Il cielo completamenteazzurro, i monti coperti dai coloridella primavera, le cime ancoraimbiancate, i profumi della vegeta-zione, il rumore delle acque tor-tuose dell’Ambro che rimbomba

nella valle. Per completare il qua-dro, in lontananza, il Santuariodella Madonna dell’Ambro, contutto il suo carico di amore e spiri-tualità.Frate Mago si rivela dal primomomento una persona splendida. Èstato missionario per 16 anni inEtiopia e nel Benin. E il sopranno-me non è stato dato a caso: a fine

pranzo riesce a stupire tutti conspettacolari giochi di prestigio conle carte. Probabilmente gli stessicon cui ha portato il sorriso e l’al-legria tra i bambini di tutti i paesiche ha visitato. Finita la colazione visitiamo ilSantuario e Fra Gianfranco ci rac-conta la storia di Maria e di quelluogo sacro. Dice che i fedeli

lasciano alla Madonna un bigliettoin cui scrivono il loro desiderio.Ho portato con me la mia Bibbia eil mio Vangelo e approfitto delmomento per farli benedire. Poitiro fuori dalla tasca un fazzolettodi carta: c’è avvolta la statuina diGesù Bambino. La prendo, laguardo un’ultima volta e la dono alfrate. Sono momenti intensi. QuelGesù Bambino, che avevo in stan-za con me, mi ha tenuto compa-gnia e mi ha dato sollievo nei gior-ni di sconforto. Non me ne ero maiseparato da quando ero entrato incarcere. Lo facevo adesso, per laprima volta.Dopo la visita al Santuario ci dedi-chiamo alla pulizia del parco. Tuttiinsieme: direttore e polizia peni-tenziaria compresi (nelle fotosopra). Con grande umiltà e tantoimpegno raccogliamo i rifiutilasciati tra il verde riconsegnandoquello spicchio di natura ai colori eai profumi originali.

Marco

Marco è entrato in carcere per laprima volta tre anni fa. Nelmomento in cui andiamo in stampaprobabilmente è al lavoro, nel suonuovo ufficio ad Ascoli.Da metà giugno, infatti, è in semi-libertà: può uscire per lavorarema ha anche l’opportunità di starecon la sua famiglia il sabato e ladomenica e dopo l’orario d’uffi-cio. Lascia il carcere alle 8 e rien-tra alle 21.30.

A proposito di verde

Tutti insiemeper abbattere

la forestaQuello che si vedeva tra le sbarre, oltre i vetridelle finestre del carcere, assomigliava più auna foresta tropicale che a un’area verdeabbandonata. Intorno alle mura del carcere enegli angoli interni non c’era solo un po’ d’er-ba cresciuta troppo ma arbusti che negli annierano diventati alberi. Dal 14 luglio tutto que-sto è solo un ricordo perché una squadra divolontari formata da personale della poliziapenitenziaria e detenuti ha sfidato i 43 gradi delpiazzale per ripulire tutta l’area.L’iniziativa è partita in modo del tutto volonta-rio dall’assistente Claudio Di Bernardo e dal-l’agente scelto Angelo Costantini. Liberi dalservizio e con mezzi propri, invece di andare acercare un po’ di refrigerio al mare, hanno ese-guito una vera e propria deforestazione. Al lorointervento è seguito quello dell’assistente capoNazzareno Candidori e di quattro detenutivolontari, che hanno eliminato le erbacce rima-ste dopo l’abbattimento degli alberi più grandi,rendendo l’ambiente decisamente più vivibile.Una parte del merito va anche al Cral dellaCarisap che ha regalato al carcere il trattorinoutilizzato per tagliare l’erba mettendo a dispo-sizione anche un congruo quantitativo di car-burante per poterlo utilizzare.L’operazione di squadra ha centrato un doppioobiettivo: riportare le zone verdi del supercar-cere alla decenza senza alcun costo perl’Amministrazione, ma solo grazie alla colla-borazione delle persone esterne, dei detenuti edei poliziotti.

La riflessioneNon so se tutti concordano con iniziative di questo tipo. Forse la maggiorparte delle persone pensa che chi ha sbagliato, commettendo un qualunquetipo di reato, sia da isolare, nascondere, sia da tenere rinchiuso fino a quan-do, al termine della sua pena, non comprende il proprio errore. Il carcereè un luogo che dovrebbe farti capire quanto hai sbagliato per poi aiutarti areinserirti nella società. Ma succede molto raramente.Con le attuali condizioni, tra sovraffollamento, situazioni igieniche e pro-miscuità, come fa un cristiano a meditare per mettere in discussione i pro-pri sbagli? Come si fa a riflettere quando ogni minuto della giornata èimpiegato per sopravvivere? Situazioni come quelle vissute nei miei per-messi, in poche ore mi hanno consentito di apprendere e capire molte piùcose che in interi mesi di carcere.

Marco

Tra i boschi dell’Ambro a raccogliere i rifiutiinsieme al direttore e agli agenti della scorta

L’ora d’ar ia

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Montefortino, seconda giornata ecologica al Santuario

Mi è piaciuto perché…Anche se questo per me non è il primopermesso premio, uscire oltre le sbarre delcircondariale è sempre una grande emo-zione. Mentre ci allontaniamo da quellemura, che costituiscono la mia dimora datre anni ormai, penso al giorno in cuilascerò per sempre questo posto. Penso allavoro che fortunatamente ritroverò graziealla fiducia che il mio datore nutre ancorain me, nonostante tutto.Penso al ritorno a una vita normale.Arrivati alla chiesa di San Venanzio conmia grande meraviglia vedo tra gli ospitiun mio ex compagno di carcere: il “miti-co” Farina. Ci salutiamo affettuosamente.In carcere le amicizie nascono più in fret-ta che fuori. Forse per il fatto che la soli-darietà, qui dentro, è indispensabile.A pranzo ci sono tanti ospiti, persone“normali”. Ma anche tanta gente venutaper avere un pasto. Non posso fare a menodi pensare che, almeno dal punto di vistadel cibo, noi siamo più fortunati. Decidodi non pensare a cose tristi e di godermi inpieno la giornata, il pranzo, la musica e labella conversazione che, almeno per unavolta, non è imperniata su arresti, cortid’appello, domiciliari.La tristezza torna quando rivedo le cancel-late, i mattoncini rossi e le sbarre dietro lequali ritrovo quella che sarà, ancora per unpo’, la mia normalità.

Sergio

Giovedì 2 giugno siamo usciti senza scor-ta. Verso mezzogiorno arrivano in carcerei volontari: tra loro ci sono il brigadiereMaurizio e l’agente Piero. In chiesa trove-remo anche Cristina, l’educatrice. Quelgiorno non sono in servizio e dovrebberostare a casa, a festeggiare con le propriefamiglie. Invece sono qui, per noi. Ci cari-cano sulle proprie auto e si parte. Mentreil primo cancello si chiude alle nostrespalle, lasciamo dentro restrizioni e bruttiricordi e ci tuffiamo nella nuova giornata.Sembra tutto troppo bello per essere vero.Invece sta accadendo realmente: uscire dalcarcere senza manette, senza nessuna divi-sa intorno che ti fa da balia.La testa piena di tanti pensieri. E nel cuoreun’emozione infinita di felicità, di sereni-tà, di fiducia conquistata, apprezzata eripagata a tutti i costi. I volontari che ciaccompagnano ci trattano come personenormali, ci fanno sentire liberi sia fisica-mente che nel profondo dell’anima perquattro ore interminabili e stupende.

Marco

Nerkias, Santa Cecilia e Radio Incredibile insieme in carcere in un mixesplosivo di musica, battute e risate. Risultato: un pomeriggio di festa peri detenuti del Marino in cui dimenticare sbarre e restrizioni e cantare asquarciagola le canzoni più conosciute. È accaduto in occasione dellachiusura del laboratorio di radiofonia avviato a gennaio dai ragazzi del-l’associazione culturale di Grottammare.

Per salutare i detenuti in vista della pausa estiva, Radio Incredibile haorganizzato l’evento in collaborazione con la direzione del carcere invitan-do al Marino i due gruppi ascolani (nella foto). Per i Nerkias hanno parte-cipato Pierpaolo Piccioni, Carlo Travaglini e Nicola Flaiani. Per i SantaCecilia, che proprio al Marino avevano aperto la serie di concerti nel car-cere, c’erano Gianluca Di Benedetto, Roberto Celani e Paolo Mariani Tra una canzone e l’altra i musicisti sono riusciti a coinvolgere i ragazziintervallando battute e risate a momenti di riflessione e confronto. Chitarraacustica, percussioni e un paio di microfoni sono bastati per trasformare lasala degli incontri del Marino nel palco di un concerto. Alla fine del pome-riggio, musicisti, volontari e detenuti si sono salutati davanti a un buffet didolci dandosi appuntamento a settembre, quando riprenderanno i corsi.“Radio Incredibile” è un’associazione culturale, formata da giovanissimilaureandi e neolaureati, che trasmette sul web. Il corso al supercarcere,denominato “Radio Bravi Ragazzi”, prevede incontri settimanali in cui idetenuti diventano i protagonisti della radio. Le registrazioni, ottenute leautorizzazioni necessarie, vengono poi trasmesse dal sito web dell’asso-ciazione: www.radioincredibile.com. Responsabili del corso sono MaraEsposto, Sara Tassotti, Alessio Ceci, Claudio Siepi ed Elisa Vannucci.

di Gianluca Migliaccio

Il 2 giugno è stata una delle giornate più belledella mia vita. Dopo due lunghissimi anni hovarcato l’ultimo cancello del carcere: quello cheporta fuori. Verso la libertà.Con me ci sono altri tre compagni di sventura:Sergio, Giuseppe e Marco. Superato il cancellomi tremano letteralmente le gambe, sudo freddo.Per un attimo ho paura di svenire.Il cuore va a mille, non riesco a dire una parola.Sono troppo emozionato. Ci avviamo verso l’au-to di Teresa. Mi siedo sul sedile posteriore echiedo a lei e a Sergio, che le è seduto affianco,se possono aprire i finestrini. Poi faccio lo stes-so con il mio. Voglio far entrare più aria possibi-le. Per coglierla, respirarla. Per sentire quell’ariadi libertà che non assaporo da due anni. Mi sentostonato.Il rumore delle gomme sull’asfalto e il rumoredel motore sono una musica che avevo quasidimenticato. Guardo le auto e le moto che sfrec-ciano per chissà dove. Tutto sembra molto piùveloce.Arrivati a destinazione, alla chiesa di SanVenanzio di Ascoli, restiamo fuori in attesa deglialtri ospiti. Ad attenderci c’è il pranzo di solida-rietà organizzato per celebrare il centenario dellanascita di Madre Teresa di Calcutta. Il cieloazzurro, le mura di travertino dei palazzi, tantodiverse da quelle che vedo ogni giorno, l’aria e ipassanti mi danno una sensazione di appaga-mento e leggerezza ma contemporaneamente distordimento. La chiesa è molto bella, con affre-schi splendidi. Ci sono tante persone, tutte indaf-farate a imbandire la tavola. C’è un vociare e unvia vai di persone e di macchine che quasicominciano a infastidirmi. Non sono più abitua-

to a tutto quel movimento.Arrivano macchine piene dicibo, dolci, frutta e bevande.Aiuto qualcuno a scaricaredelle casse. Sono tutti volonta-ri, organizzati per far sì che aquesto pranzo non manchinulla. Fuori dalla chiesa sonoradunati a gruppi anche tanti“poverelli” di entrambi i sessi,di varie età. Tutti si conoscono. Sembriamo unafamiglia che si è riunita per fare pranzo, tuttiinsieme, in una giornata di sole. Questa sensa-zione mi ricorda la mia famiglia che è stata unitaper il pranzo o per la cena solo in qualche raraoccasione di festa. Mi viene il magone, ma subi-to caccio via dalla mente questi pensieri. Non

voglio rovinarmi questa gior-nata. Voglio cogliere ognisecondo di tutto.Se fossi libero probabilmentecerti momenti sarebbero insi-gnificanti. Stando in carcereho imparato che nella quoti-dianità bisogna apprezzare,ammirare e ascoltare tutto.Iniziato il pranzo, ci servonoottimi manicaretti ma non rie-sco a mangiare. Mi guardointorno, vedo i bisognosi epenso: io ho sbagliato ed ègiusto che paghi stando dietroalle sbarre. Ma loro cosahanno fatto per meritare divivere per strada, patendo lafame? Per fortuna esiste chi fail possibile per aiutarli.Il tempo passa velocemente ela bellissima giornata si con-clude davanti alle sbarre delprimo cancello. Nella mente enel cuore scorrono le immagi-ni delle ore trascorse, dense diemozioni e di felicità. Per unattimo però una nube grigiaoffusca i miei pensieri: unavolta libero, riuscirò a trovareun lavoro onesto che mi dia la

possibilità di vivere con la mia compagna e miafiglia? Il carcere mi ha fatto capire che l’onestàpaga, il reato no. Fuori siamo soli e siamo mar-chiati. È difficile ricominciare ma sono sicuroche con l’aiuto di persone disposte a darci fidu-cia avremo la possibilità di dimostrare le nostrecapacità. E tornare a vivere.

Pomeriggio di festa con Santa Cecilia, Nerkias e Radio Incredibile

Il primo permesso premio dopo due anni di sbarre

A proposito di musica

L’ora d’ar ia

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Tutti i corsi attivati dalla direzione

“Prof. non so se riesco a imparare a memoria quaranta minuti di monologo…”.La mia prima risposta alla richiesta del professore di letteratura è stata dubbiosa. Poi ho visto che luicontava su di me, ho capito che credeva nelle mie capacità, allora ho iniziato anche io a pensare chece l’avrei fatta. Il monologo era tratto da “Uno, nessuno, centomila” di Pirandello. Un testo non faci-le da leggere, da capire e soprattutto da interpretare.Ci ho messo giorni per imparare i movimenti del corpo e le tonalità della voce da usare nelle variesequenze e non dimenticherò mai le sensazioni provate durante quelle tre settimane di studio e diprove. In quei momenti notavo con quanta pazienza l’insegnante mi spiegava i diversi passi cercan-do di farmi capire dove stavo sbagliando. Dicendomi che dovevo essere espressivo se volevo trasmet-tere qualcosa al pubblico. Poi, finalmente, è arrivato il fatidico giorno (nella foto). E anche l’emozio-ne non aveva tardato a farsi sentire. Mi è sempre piaciuto tanto recitare, però questa era la prima voltache recitavo un monologo così lungo e non tanto semplice. Ma sentivo che ero nel personaggio.Pochi giorni prima dello spettacolo avevo avuto una brutta notizia. La prima cosa che avevo pensatoin quell’istante era stata che la vita è davvero molto breve e che, in certi casi, bisogna perdere menotempo a inventare mille scuse o difficoltà e, invece, agire. Perché non sempre ci potrà ricapitare unaseconda occasione. Così ho dato il meglio di me, senza preoccuparmi di ciò che gli altri potevanopensare, ma tenendo presente un’unica cosa: che stavo facendo quello che mi piaceva fare.L’incoraggiamento finale l’ho ricevuto dopo ogni applauso ma soprattutto notando gli sguardi di tuttii presenti, rivolti verso di me, concentrati nel cercare di capire quello che dicevo.Mi è sempre piaciuto mettermi alla prova ed è stato bellissimo vedere che c’ero riuscito. Ero riusci-to a ricambiare la fiducia del mio professore e ho visto che se si crede in quello che si fa, si può riu-scire anche nelle imprese che sembrano impossibili. Senza farsi condizionare dalle opinioni deglialtri, ma convinti semplicemente di quello che si sta facendo.

Gianni

Settimane di prove, uno specchioe tanta voglia di rimettersi in gioco

Il carcere di Marino rispetto a molti istituti italia-ni si può definire un’isola felice per il numero dicorsi attivati e per le possibilità lavorative. Usarel’espressione “isola felice” per un posto comequesto per me è difficile, ma devo essere coeren-te. L’esperienza di tanti anni di reclusione inposti diversi e le testimonianze di amici detenutibastano per rendersi conto di quante cose nonfunzionano altrove e di quanto le condizioni divita di tante carceri non siano paragonabili aquelle del Marino. Nonostante tutti i problemiche ci sono anche qui.Le attività proposte dalla direzione sono moltis-sime: se un detenuto ha voglia di partecipare atutti i corsi, in cella resta ben poco durante lagiornata. Essendo un carcere di prima accoglien-za, con un via vai continuo di persone, spessosuccede che alcuni non riescono a capire subitol’importanza di questi corsi, magari perché sonoalla prima esperienza o perché sono in attesa diprocesso e quindi troppo concentrati sulle vicen-de personali per pensare ad altro.Questi i corsi proposti dalla direzione:Alfabetizzazione -Scuola media - per chi vuoleimparare la lingua italiana e per chi vuole ottene-re il diploma.Bricolage - gestito dai volontari della PapaGiovanni XXIII. Negli incontri si realizzanolavori in argilla, legno e cartone. Tutto ciò che sicrea viene venduto dall’associazione che orga-nizza anche permessi premio con i detenuti pervendere i prodotti. Con il ricavato si realizzanoadozioni a distanza. È un corso utile per averebuona manualità e per socializzare. Ti fa sentireutile per gli altri.Canto - è utile per socializzare e imparare a can-tare. Durante gli incontri si organizzano spetta-coli. È rilassante e antistress. Insegna il lavoro digruppo.Cinematerapia - si guardano film e filmati poisi analizza il loro contenuto e il messaggio chevogliono trasmettere. Si fanno recensioni e si

discute sui temi affrontati nelle opere. È utilissi-mo per confrontarsi e imparare a lavorare ingruppo. Cucina - si preparano dolci che vengono distri-buiti in una casa per anziani.Ginnastica - è utilissimo per imparare esercizicontro i dolori alla schiena e per rafforzare lamuscolatura e la resistenza fisica. Si socializzaed è un ottimo antistress.Giornale “IO e CAINO” - serve per raccontareil carcere e i detenuti. È utile per il lavoro digruppo e per migliorare il carcere. Durante gliincontri si impara a scrivere gli articoli e a rela-zionarsi con l’esterno. Ci aiuta a riflettere e araccontarci. Crescita individuale su tutto.Giornalino interno - gestito dai volontari dellaPapa Giovanni XXIII, è utile per socializzare eraccontare storie diverse. Si può scrivere qual-siasi cosa, dalle poesie alle ricette. È una pubbli-cazione interna al carcere.Informatica -utilissimo per imparare a usare ilcomputer e i diversi programmi.Lettura - insegna a recitare e a fare spettacoli.Aiuta a rafforzare l’autostima ed è stimolanteperché permette di organizzare spettacoli indivi-duali.Radio Incredibile -si impara a fare interviste e avincere la timidezza. Dà soddisfazione perché sidiscute di vari argomenti. Aiuta a relazionarsicon gli altri, a riflettere, ad analizzare sé stessinel raccontarsi e ad imparare ad ascoltare.Teatro -ti permette di socializzare e imparare arecitare, ti insegna le regole del lavoro di gruppoed è un’occasione per confrontarsi con gli altri.Gli spettacoli finali sono un ottimo svago, rega-lano risate e danno una grande soddisfazione.Training autogeno - si imparare le tecniche diautocontrollo che aiutano a rilassarsi, controllarel’ansia e trovare l’armonia interiore. È moltoutile in un ambiente come questo a forte tasso distress.

Altin Demiri

Ricomincio da qui

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Tra le sbarre prevale senza dubbio la monotonia, sinonimo di:tutto, sempre, identicamente uguale. Sinonimo anche di carcere.Ogni mattina mi alzo dalla branda verso le 7. Vado in bagno e milavo. L’acqua è sempre gelida. D’inverno o d’estate non fa dif-ferenza. Poi mi siedo a tavola e davanti a qualche rassegna stam-pa in Tv aspetto la colazione che arriva puntuale alle 7.30.Faccio colazione, lavo il bicchiere e non faccio quasi in tempo alavarmi i denti che passa la “conta” delle 8. Entrano in stanza unpaio di appuntati. Uno di loro munito di martello. Accompagnatidal brigadiere e dall’ispettore, mentre uno sbatte il martello con-tro le inferriate della finestra, l’altro ci conta e si assicura che cisiamo tutti. Aspettando le 9, per l’ora d’aria, scambiamo qualcheparola a voce bassa, poi usciamo nel piccolo cortile.Una volta fuori dalla cella potremmo rientrare quando vogliamo.In alternativa si aspettano le 11, l’ora di fine passeggio. Rientrati,la maggior parte di noi aspetta con molta ansia la posta e ci rima-

ne pure male se un giorno non arriva niente. Il vecchio metodopostale qui è l’unica soluzione per tenerci in costante contattocon parenti e amici.Verso le 12 passano il vitto. Così apparecchiamo la “tavola”, cisediamo e mangiamo tutti insieme. Finito di pranzare, sparec-chiamo, spazziamo per terra e aspettiamo le 13. A quel punto siesce di nuovo all’aria e ci si resta fino alle 15. Terminate questedue ore d’aria la giornata si fa un po’ più pesante perché c’è pocoda fare. Fortunatamente dal primo giugno riaprono l’aria estiva:un’ulteriore uscita dalle 16.30 alle 17.30 per respirare un po’d’aria pulita, passeggiare e scambiare due chiacchiere con gliamici.Poi si rientra in cella e alle 18 passa il vitto offerto dall’ammini-strazione. Ma noi non prendiamo quasi mai il pasto dal carrello.La sera preferiamo cucinare qualcosa di nostro e di più buono.Dopo cena sgombriamo la “tavola” e ognuno di noi ha i propri

compiti: c’è chi lava i piatti, chi lava le gavette, chi spazza epulisce la cella, chi pulisce a fondo il bagno. Per noi è un modomolto utile per digerire evitando di sdraiarsi subito in branda.A fine giornata alle volte ci riuniamo attorno alla “tavola” e gio-chiamo a carte, altre volte se c’è un bel film ci concentriamo suquello. A questo punto la giornata inizia a essere più leggera per-ché la mente si proietta sul giorno dopo e mette una “x” sulcalendario virtuale che ognuno di noi ha e si calcola un giorno inmeno da scontare per arrivare al tanto ambito traguardo chiama-to “libertà”.Questa è la mia giornata tipo ma ci tengo a sottolineare che nonsempre le ore scorrono così. In carcere ogni tanto si può anchelavorare e, soprattutto, ci si può iscrivere a uno dei tanti corsiproposti dalla direzione. In quel caso si cambia di giorno in gior-no e si ha la possibilità di studiare e conoscere persone nuove.

Alessio

“La mia giornata tra le sbarre del Marino”

Una piccola isola felice per ricominciare a vivere

Mi chiamo Aldo Gjinj e ho 20 anni.Sono in carcere da due mesi. Il primo giorno è stato il più difficile.Insieme ai cancelli che si chiudevano alle mie spalle, ho sentito subitoche qui c’era un’aria diversa. Intorno vedevo solo sbarre e cemento.Nei volti dei ragazzi che incontravo, tanta tristezza: nei loro occhi nonera rimasto altro che la speranza. Poi ho capito che era proprio la spe-ranza a tenerli in piedi, a permettere loro di resistere. La speranza dellalibertà, del giorno in cui ognuno uscirà per tornare dalla propria fami-glia, alla propria vita.Gli agenti mi hanno accompagnato in cella e qui ho trovato tutti mieicompaesani: ragazzi albanesi finiti in carcere in Italia, come me.Questa cosa mi ha tranquillizzato un po’. Ho conosciuto Altin che miha spiegato come funzionano le cose qui dentro, come comportarsi ecome ammazzare il tempo che non passa mai. I primi giorni sono statidurissimi. Ma un po’ alla volta mi sono integrato.La cosa che fin dall’inizio mi ha dato più coraggio di tutte e che mi haconsentito e mi consente di tenere duro è la posta. La posta è l’unicomodo che ho per avere notizie dall’esterno, l’unica cosa che mi tieneconnesso alla mia famiglia e alle persone che mi aspettano fuori.Ogni mattina mi metto davanti alla porta e aspetto di sapere se c’è qual-che lettera per me. Non tutti i giorni puoi ricevere posta anche perchéle cose, quando stai qua dentro, cambiano e pure tanto. Fuori avevo un

gruppo di amici molto allargato. Ma da quando sono qua ho ricevutole lettere solo dai miei familiari e da persone che mai avrei pensatopotessero scrivermi.Il carcere mi ha fatto capire tante cose. Molte volte mi incazzo con mestesso perché sono stato tanto stupido da farmi fregare. Ho dato fidu-cia alle belle parole degli “amici”. Credevo in loro e per la loro “ami-cizia” ero disposto a fare tutto. Ma loro per me cosa hanno fatto?Tantissime volte vorrei svegliarmi e accorgermi che tutto questo è soloun brutto sogno. Invece è la realtà e bisogna accettarla.Adesso tramite la posta scrivo solo alle persone che valgono qualcosaper me o viceversa.Non avrei mai pensato di finire in carcere. Era un mondo che non mitoccava. Io vivo qui vicino ed ero passato tante volte accanto ai cancel-li. Vedevo questo posto con indifferenza e non sapevo niente di quelloche succedeva all’interno. Questa esperienza, che spero duri poco, miha fatto capire che nella vita non bisogna mai sentirsi troppo distanti daquesta realtà perché può capitare di finire nei guai molto più facilmen-te di quanto si pensi.In un posto che pensavo pieno di sopraffazione e violenza ho trovatotanta umanità, conforto e comprensione. Il merito è dei miei compagnidi cella che di sicuro non dimenticherò mai.

Aldo Gjinj

Ciao Altin,mi chiamo Federica e ci siamo conosciutiquando sono venuta con la mia classe a visi-tare il carcere. Ricordo le tue parole e quelledegli altri detenuti, come se le avessi appenaascoltate. Mi hanno colpito molto e soprattut-to mi hanno dato l’occasione di riflettere pro-fondamente. Questa è la prima motivazioneper cui sento il desiderio di mettermi in con-tatto con te per ringraziarti.Ho ascoltato la tua testimonianza conmolta attenzione, ma forse la cosa più signi-ficativa per me è stato poter osservare latua comunicazione non verbale. Le tueparole erano importanti, così come le tuemani che tremavano come la tua voce.Vedevo come alle volte fissavi un puntofisso cercando le parole migliori per raccon-tare la tua storia. Mi è piaciuta la semplici-tà con cui hai avuto il coraggio di esporti anoi, ai nostri giudizi. Difficilmente dimenti-cherò le parole di uno di voi: ”preferiamoavere dei giudizi, non dei pregiudizi”.Penso che questo valga per tutti, masoprattutto per voi.Credo di aver fatto una cosa molto impor-tante quel giorno: ho lasciato i pregiudiziche ancora avevo nei vostri confronti all’in-terno delle vostre mura, portando fuori laconvinzione di dover conoscere le persone ei fatti prima di esprimere giudizi.Credo che due ore siano state davveropoche per potervi conoscere. Ad ogni vostraparola la mia mente si affollava di doman-de, a volte scontate e altre delicate e diffici-li da porvi.

Ho visto nei tuoi occhi la speranza e allostesso tempo la paura per un futuro davve-ro incerto. Ho letto con piacere i tuoi arti-coli. Ho colto la tua consapevolezza diaver commesso un errore e il tuo credere chesia giusto pagare per ciò che hai fatto. Trale righe ho letto la voglia che hai di riscat-tare la tua vita, di poter dimostrare il tuocambiamento, di poter tornare libero dicompiere le piccole azioni quotidiane che ilcarcere nega come, ad esempio, abbraccia-re le persone a cui si vuole bene.Sono convinta che queste iniziative di colla-borazione con le scuole siano molto impor-tanti per voi e vi diano la possibilità di con-frontarvi con persone sempre diverse e nellostesso tempo l’opportunità di far uscire dalcarcere un’informazione che purtroppo imass media non sempre riescono a trasmet-tere.Saremmo potuti stare intere giornate sui libria studiare cos’è un carcere e tutte le sue leggi,ma credo che non sarebbero state altrettantoefficaci quanto voi. Sono convinta che la pre-venzione migliore che si possa realizzare sunoi giovani sia proprio questa, sicuramentepiù efficace di mille divieti. Quindi penso chequesti incontri siano utilissimi per voi masoprattutto per noi. L’augurio più sincero che mi sento di farti èquello di non smettere di trovare la forza eil coraggio di affrontare le situazione cheincontrerai nel tuo percorso, superando tuttigli ostacoli nella maniera migliore possibile,cercando la serenità che dovrebbe apparte-nere a tutti noi uomini.

Un caro saluto, Federica

Ciao Federica

Ho ricevuto la tua bellissima lettera e ti assicu-ro che mi ha fatto molto piacere sentire sinceriapprezzamenti e giudizi che tu hai voluto con-dividere con me. Federica mi scrivevi che pro-babilmente non ti conosco, è vero, ma adessoper lo più conosco i tuoi pensieri che condivi-do e apprezzo tantissimo. Questa lettera mirende felice e orgoglioso per il fatto che la miatestimonianza ti ha dato l’occasione per riflet-tere profondamente nel giudicare gli altri dalpunto di vista del loro vissuto: questo è proprioquello che io e i miei compagni vogliamo tra-smettere. Mi ha fatto piacere sentire che questaesperienza è stata più efficace di mille divieti.Le tue parole mi rendono più determinato acredere in quello che faccio in questo progettocon le scuole. E alla fine qualcuno si convince-rà che anche un detenuto può fare qualcosa, segli sarà chiesto, per gli altri e per sé stesso.Ho letto nella tua lettera che avevi voglia difare tante domande delicate e difficili. Adessoanche io sono curioso di sapere quali sonoqueste domande così delicate. Se ti fa piaceret’invito a scrivere le tue domande in modo cheinsieme alla redazione ti si possa rispondere.

È giusto che tu abbia timore del futuro perchéniente è scontato.Quante volte nella vita si fanno progetti che percausa di forza maggiore vanno persi? In tuttiquesti anni ho imparato sulla mia pelle che inqualsiasi scelta nella vita devi dare importanzaall’amor proprio e vedrai che la ragione di por-terà sempre verso le scelte giuste.È questo pensiero dell’incognita del futuro chemi rende consapevole che non sarà per nientefacile ricominciare fuori da qui. Per una seriedi fattori che tu puoi immaginare, il mio passa-to sarà sempre un confronto di verità. E nonbisogna mai dimenticare che non sempre le per-sone cambiano opinione. Niente è scontato.L’importante è restare coerenti e cercare vera-mente di dare scopo alla tua vita, trovandoquella serenità di cui parlavi, quella chedovrebbe appartenere a tutti gli uomini.Adesso ti saluto con tanta stima e devo confes-sare che invidio la tua gioventù, il tuo futurocon tutte le esperienza che la libertà ti offre, perla semplice ragione che io non l’ho vissuto.

Di nuovo ciao,Altin

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Le parole per dirloQuando si aspetta una lettera come la pioggia nel deserto

“Ogni giorno mi metto davantialla porta della cellae aspetto di sapere

se c’è qualche lettera per me”

PPeerr ssccrriivveerrccii......È possibile scrivere alla nostra redazione, intervenire e commentare i diversi argomenti

trattati dal nostro giornale. Potete indirizzare le vostre lettere a:

Redazione Io e Caino, c/o Casa Circondariale, via dei Meli, 218, 63100 Ascoli Piceno

Oppure potete inviare la vostra e-mail a: [email protected]

Indirizzi utili

“Monsieur Le Maire,mi è stato chiesto di scriverle mentre sogna…Signor sindaco, quale edificio direbbeche ospiti il maggior numero di sogni?La scuola? Il teatro? Il cinema? La biblioteca?Un albergo intercontinentale? La discoteca?Non potrebbe essere un carcere?Tanto per cominciare, il carcere è fondato su unaserie di sogni.Il sogno della Giustizia Civica, il sogno dellaCorrezione.Il sogno di una città fatta di Civica Virtù.Poi ci sono i sogni sognati adesso, ogni notte.I sogni includono, naturalmente,gli incubi e i terrori degli insonni…Dentro le mura… c’è il grande, perenne sognodella Fuga.Tra le guardie c’è l’incubo della Rivolta deiDetenuti.Poi c’è una serie infinita di piccoli sogni.Il sogno del mare: il Rodano dista solo lo spaziodi un giardino e i piccioni che cacanosul reticolato di ferro volano sopra il fiume.Il sogno di prendere il TGV per Parigi.Parte ogni ora e i binari sono anche più vicinidel Rodano.Sogni di una vita privata.E questi riguardano sia il tempo che lo spazio.Il sogno di un tempo tutto per sé.Scegliere una data (sabato 6 maggio, diciamo)per fare qualcosa che si è scelto da soli!

Sabato vado a trovare mio cognato a Bapaue.O, sabato vado al cimitero di Clamart a prenderela bottiglia di vodka nascosta tra i fiori sulla tombadel mio amico per bere alla sua salute.(Anche lui è stato per ventisette anni in un altrotipo di carcere).Il sogno delle donne. Il sogno delle porte aperte.Il sogno dei sabato sera.Il sogno rabbioso di mettere fine a tutto.Il sogno di niente più sbagli…Spero che stia ancora sognando, Monsieur LeMaire…Se ho capito bene, la prima fase del suo vastopiano di riassetto del centro di Lione…prevede la demolizione delle carceri…Cosa ne prenderà il posto?Mi permetto di darle un suggerimento.L’area occupata dalle due carceri è piccola.Meno di due ettari.Immagini di trasformala in un meletoda utilizzare come parco pubblico.Sarebbe la prima volta al mondoche nel cuore di una città si trova un meleto!E nei fiori primaverili e nei frutti d’ottobrerivivrebbe il ricordo di tutti i sogni sognati qui.Qui, mi permetto di insistere, signor sindaco qui.Secondo Zima, esperto forestale, gli alberiandrebbero piantati a intervalli di 6-8 metri.Le celle attuali misurano 3 metri x3,6”.

JOHN BERGER

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