L'Etica Della Psicoanalisi -...

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Nel tentativo di liberare la psi- coanalisi dal vocabolario e dai concetti medici e meccanicisti nei quali si trova incasellata, Szazs sviluppa una concezione della psi- coterapia in termini di attività sociale. Così concepita, la terapia psicoanalitica è caratterizzata dal suo scopo - aumentare nel pa- ziente la conoscenza di se stesso e degli altri e, di conseguenza, la sua libertà di scelta e l'auto- responsabilità nel condurre la propria vita; dal suo metodo - l'analisi delle comunicazioni, del- le regole e dei giochi; e infine dal suo contesto sociale - una rela- zione più contrattuale che « te- rapeutica » fra analista e analiz- zato.

CC Non solo in psicoterapia, dice Szazs, ma in innumerevoli altre situazioni ... le persone si influen- zano reciprocamente. Chi ci dirà se tali interazioni sono utili o dannose e per chi lo sono? I1 concetto di psicoterapia ci tradi- sce su questo punto, giudicando a priori l'interazione "terapeuti- ca" per il paziente, nell'intenzio- ne o nell'effetto o in entrambi i casi D.

M Gli psicoterapeuti fanno mol- te cose: lo scopo che professano è sempre quello di fornire "una terapia". Spesso, però, i tentativi di trattare un paziente s'ono in

realtà sforzi per trasformare la sua condotta da un certo modo in un altro. Ci sono quindi psi- chiatri che cercano di t r a s fma- re coppie infelicemente sposate in coppie felici, omosessuali in eterosessuali, criminali in onesti cittadini; o, in geneirale, pazienti mentalmente malati in ex-pazien- ti mentalmente recuparati ... La mia tesi è che la psicoanalisi non può essere un'impresa di questo genere D.

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PSICOANALISI E PSICHIATRIA DEL PROFONDO

Questa collana deriva la sua ispirazione e ragion d'essere dalla comune rilevazione del fatto che la moderna psichiatria sembra oggi essa stessa impazzita. Ciò non solo per le innumeri moltepli- cità, la reciproca contraddittorietà, la frequente inconsistenza cli- nica e la frammentazione ideologizzata dei suoi contenuti attuali; ma specialmente per il fatto che molti psichiatri, travolti dali'orien- tamento anti-medicale assunto dalla specialità professionale che li qualifica, sono partiti all'attacco della propria disciplina, dichiarando col fatto o con la parola che la psichiatria è ormai morta! n. E il nostro Paese si è particolarmente distinto in questo programma.

Sembra d'altra parte evidente che la causa dei disastro cultu- rale psichiatrico che stiamo vivendo in Italia e nel mondo si collo- chi a livello dell'episteme, cioè della fondazione conoscitiva di una competenza che si rivolge alla rilevazione del disturbo mentale, per conoscerlo e trattarlo. Proprio la carenza di una epistemologia ca- pace di promuovere la sintesi creativa fra gli innumerevoli aspetti della psichiatria e della psicoterapia di oggi, riduce questi a tron- coni disarticolati che non si riconoscono pih come parte integrabili a vicenda, anzi si lottano forsennatamente, mirando ciascuno alla soppressione dell'altro. Di conseguenza anche la didattica, quella

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propedeutica e quella di specialità, minaccia di accrescere la con- fusione. Dire che per owiare a tale stato di cose la psicoanalisi dovrebbe essere la ispirazione ultima della psichiatria, è un program- ma insieme troppo riduttivo e troppo inflattivo; dire invece che la psichiatria deve essere traguardata secondo un nuovo modello, che articoli la sua ineliminabile dimensione biologica con quella dell'in- conscio, in uno spessore piìl complesso e dinamico, significa colli- marla con la autentica conoscenza dell'uomo, nella sua evoluzione espansiva o regressiva.

La collana si ispira a questa concezione che si dovrebbe dire propriamente « antropologica », se il termine non fosse estenuato dall'uso del tutto improprio che se ne è fatto; per questa ragione il suo programma è aperto a contributi di vario livello e natura con- cettuale, ed è marcato dalla scelta preferenziale di quelli che, per il fatto di non proporsi come auto-sufficienti e come spiegazione ultima del problema psichiatrico, si dimostrano disponibili alla ibri- dazione inter-disciplinare; che è quella che fonda il progresso e costituisce la falsificabilità, cioè 2a verifica di ogni scienza. Ma in particolar modo della psichiatria, nel suo essere irreversibile di « scienza umana » che trova il suo specifico nello studio teorico e clinico delle avventure del pensiero e della emozione: del singolo e dei suoi gruppi.

Nella collana saranno inserite opere già pubblicate da questa editrice in diverse a serie D, e riconosciute valide per le finalità che la collana stessa si propone.

DIRETTORE DELLA COLLANA: LEONARDO ANCONA

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THOMAS S. SZAZS

L ' ETICA DELLA PSICOANALISI

TEORIA E METODO DELLA PSICOTERAPIA AUTONOMA

SECONDA EDIZIONE

ARMANDO ARMANDO EDITORE - ROMA

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Titolo originale The Ethics of Psychoanalysis. Theory and Method of Autonomous Psychotherapy

O Thomas S. Sz~zs

Basic Book Inc. Pubbl., New York - London 1965

Traduzione di FRANCA DI BENEDETTI e GIORGIO SASSANELLI

1974 Editore Armando Arm

an

do Via della Gensol'a, 60-61 - Roma

Seconda edizione 1979

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PRESENTAZIONE

Una rapida scorsa a recensioni, critiche e articoli su Thomas Szasz e la sua opera, mostra come l'aspetto del suo pensiero maggiormente sottolineato e sul quale più diffusamente tende a svolgersi il discorso è quello che indicherei col termine di "negativo" o "critico": nel sen- so cioè di una messa in discussione globale della conce- zione classica della psichiatria a partire dal concetto stes- so di "malattia mentale" sino all'equiparazione psichiatra- inquisitore, per cui e chiunque tiene sotto chiave un'altra persona è un carceriere, anche se veste un camice bianco e ha il titolo di medico n.

Difensore della libertà e della dignità umana, Szasz si oppone senza riserve al ricovero coatto che potrà si essere utile a qualcuno, ma non certo all'interessato u.

Svolgendosi su questa linea, il pensiero di Szasz si in- serisce validamente, con una sua particolare impronta, chiarezza e originalità, nella corrente della cosiddetta anti- psichiatria, e appare di notevole interesse per medici, educatori, legislatori ed altri.

All'interno di questo discorso, quale posto occupa nel pensiero di Szasz che, non dimentichiamolo, è uno psico- analista, la psicoanalisi? Non v'è dubbio che gli attacchi di Szasz siano sovente diretti contro una certa struttura isti- tuzionale psicoanalitica e contro una certa concezione e prassi della psicoanalisi; tanto è vero che, nel desiderio

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di prendere le distanze e dissociarsì da una tale conce- zione, nella prefazione al presente libro propone, in alter- nativa al termine psicoanalisi, quello di psicoterapia au- tonoma ad indicare la propria attività clinica.

Ma è altresì vero che egli si rifà continuamente alla psicoanalisi, nella sua dimensione sia storica che teore- tica e pratica, come portatrice dei valori relativi alla li- bertà e dignità umane.

Nel corso di una riunione all'lstituto di psicoanalisi d i Roma, di fronte alla mia affermazione che ciò che i n quel momento si scontravano non erano semplici idee o opinioni divergenti fra cui cercare u n compromesso o una sintesi, ma due concezioni radicalmente diverse della psi- coanalisi, i n breve due psicoanalisi, u n collega osservò argutamente che questa sarebbe stata già una situazione quanto mai fortunata; e che i n realtà non c'erano due, ma u n numero imprecisato di psicoanalisi. La battuta, anche se indovinata, non corrisponde a verità. Ritengo che "tutte le psicoanalisi'' possano i n definitiva ridursi a due, e il libro di Szasz ne costituisce, a mio avviso, la riprova.

I due aspetti del discorso di Szasz, quello dell'oppo- sizione a una psichiatria coercitiva e quello della psicote- rapia autonoma, trovano i1 loro punto di convergenza nella figura di Freud.

Scrive Szasz: a Al tempo in cui Freud divenne medico, c'erano due ruoli stabiliti per lo psichiatra, tuttora lar- gamente accettati. Uno è il ruolo di rappresentante della società: lo psichiatra ospedaiìero, anche se sembra assi- stere il malato, i n realtà protegge la società dal paziente. L'altro è il ruolo di rappresentante d i tutti e di nessuno: arbitro dei conflitti tra il paziente e la famiglia, tra il paziente e il datore di lavoro e così via, questo tipo d i psichiatra si allea con chiunque lo paghi. Freud rifiutò d i svolgere entrambi questi ruoli. Al loro posto ne creò uno nuovo: di agente o rappresentante del paziente. Secondo

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ta mia opinione, questo è il suo più grande contributo alla psichiatria D.

La figura di Freud appare qui rivoluzionaria non tan- t o i n rapporto alle sue "scoperte scientifiche", quanto i n rapporto alla nuova posizione conquistata grazie ad una identificazione col malato mentale.

Questa nuova posizione, di agente del malato, viene di solito ritenuta connaturata alla prassi psicoanalitica purché sostenuta da una corretta tecnica o, se si prefe- risce, da u n adeguato setting.

Tale modo di vedere, assai diffuso, ha l'inconvenien- te di cristallizzare i n norme tecniche quello che va con- siderato, a mio avviso, u n momento storico o una scelta etica. Equivale a ritenere che Freud ( e altri padri della psicoanalisi) abbiano risolto una volta per tutte il pro- blema del ruolo dell'analista o, più esattamente, della sua identità; e che non si tratti al contrario di una scelta che continuamente si ripropone sotto gli aspetti più vari e dalla cui soluzione scaturisce di volta in volta l'identità dello psicoanalista.

E' questo, credo, il senso della critica di Szasz quando afferma che « nonostante si ponesse a fianco del pazien- te, Freud non affrontò i cruciali problemi etici e sociali connessi a questa nuova posizione e non riconobbe la necessità di esplicitare la posizione dello psichiatra al riguardo m.

Ritengo importante sviluppare questa critica (che a mio avviso trascura la portata deile grandi opere dell'ul- t imo Freud) i n termini di potere e conoscenza.

Che la psicoanalisi sia essenzialmente una conoscenza ( J i se stessi, del proprio inconscio, del rapporto duale analitico, e così via), m i sembra cosa pacifica. Ciò che invece ritengo utile esplicitare è che questa conoscenza si oppone a u n potere.

Quest'idea ritorna più volte nel discorso di Szasz (a ... il mandato originale della psicoanalisi era di aiuta-

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re l'individuo malato nella lotta non solo contro la sua malattia, ma anche contro quelli che, con la loro con- dotta, erano causa della sua infermità ... »; « ... nelle cose umane, potere e comprensione sono untitetici...», « ... lo psicoterapista deve scegliere tra controllare il paziente e condividere con lui le informazioni ... u, etc.). Ciò che intendo sottolineare è che essa è fondamentale i n qua- lunque discorso psicoanalitico.

Ai primordi della psicoanalisi, il potere a cui ci si opponeva con la conoscenza era quello esercitato dal ricordo traumatico.

I n seguito, si imputò ai desideri e alle pulsioni incon- sce il tenere schiavo l'individuo, e, sempre con la cono- scenza, si cercava di ottenere la liberazione (guarigione).

Infine, il concetto di potere fu esplicitato in modo assolutamente inequivocabile nella teoria strutturale, quando l'lo venne considerato il servo di due padroni e lo scopo del trattamento f u di estendere il campo di azione dellJIo.

Naturale sbocco di queste successive chiarificazioni e approfondimenti, furono le grandi opere di pensiero di Freud, da La fine di un'illusione a Mosè e il monotei- m o i n cui egli identifica se stesso nella funzione profe- ti= che si oppone al potere della classe sacerdotale.

A questo punto il problema tecnico ha chiaramente assunto una dimensione etica e storica, ed è questa di- mensione che, a mio avviso, si ripresenta continuamente nella nostra prassi clinica dietro lo schermo della tecnica.

I n altri termini, Iadesione a una tecnica per quanto >l corretta", non esime dal problema d i gestire un potere; il rischio è quello d i una tecnica-potere. La scelta del ruolo, affrontata da Freud ottant'anni or sono, ci è con- tinuamente riproposta.

Ma la precondizione per una scelta autenticamente liberatrice, vale a dire psicoanalitica, non può essere che una posizione interiore di rifiuto da parte dell'ana-

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lista a esercitare, all'interno del rapporto analitico, qua- lunque forma di potere, incluso quello terapeutico. Po- tere, quest'ultimo, inerente a u n rtzodello medico della psicoanalisi. Mentre infatti in un rapporto medico è indi- spensabile concedere al terapista, in quanto esperto, una quota più o meno ampia di potere decisionale,' nel rap- porto psicoanalitico compito dell'analista è di rinuncia- re: di mettere in discussione il potere previamente pos- seduto in qualità di esperto, restituendo continuamente al paziente la quota di potere che quest'ultimo tende a concedergli.

Di fronte al rischio di questo "potere terapeutico", il pensiero di Szazs offre nuove e valide prospettive, in particolare con la concettualizzazione dell'analisi come rapporto contrattuale meta-educativo e con la sua teo- rizzazione sulla base di un modello ludico (in contrappo- sizione al consueto modello medico).

La chiarezza del discorso di Szazs ci esimerebbe da qualunque introduzione o commento, lasciando al letto- re il compito di valutarne i risultati e le implicazioni. Ma è appunto i n qualità di lettore psicoanalista che desidero accennare a una serie di considerazioni, di osser- vazioni e anche di critiche, miranti ad aprire un "dialo- go col libro" ( e attraverso il libro coi suoi lettori) e ad ampliarne, se possibile, le prospettive, forse al di là delle intenzioni esplicite dello stesso autore ma, credo, restan- do fedele al suo spirito.

Ritengo anzitutto utile proporre una lettura del libro di Szazs che tenga distinti due aspetti, in realtà intima- mente connessi tra loro. Mi riferisco da una parte a ciò che, in senso molto lato, indicherei come spirito del

1 a I l primo dovere del medico è chiedere perdono » afferma un personaggio di Bergman ne Il posto delle fragole.

2 Dimenticare dice Bion.

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libro; dall'altra alle concrete asserzioni e deduzioni che l'autore ne trae. Senza voler privilegiare u n aspetto nei confronti dell'altro, e riconoscendo una certa artificiosità a una simile distinzione, essa ci consente tuttavia di ade- rire pienamente ai principi informatori del libro e, al tempo stesso, di prendere distanza da alcune afferma- zioni, proprio in nome di una pih approfondita elabora- zione di tali principi.

Da u n punto di vista più pragmatico, questa distin- zione fa riferimento a una doppia utilizzazione del libro di Szazs. Da un lato abbiamo una serie d i indicazioni e di asserzioni che nel loro insieme configurano, a mio av- viso, il versante esterno o le modalità visibili in cui deve concretarsi l'assetto interiore dello psicoanalista perché la sua attività sia realmente analitica. Ritengo questo aspetto estremamente utile non solo al comune lettore che in tal modo può avere un'idea concreta di ciò che l'analista fa o non fa e di ciò che l'analista è o non è, ma soprattutto al giovarze psicoanalista che all'ini- zio della sua pratica professionale ha certamente biso- gno di alcuni punti stabili, e anche ad ogni analista come punto di riferimento nei suoi inevitabili momenti di confusione.

Ma queste indicazioni acquistano il loro significato e la loro gitrstificazione solo alla luce e nel quadro della concezione generale del libro, informata all'etica del contratto e della libertà. Ed è questo secondo aspetto che, oltre a consentire (insieme alla prassi analitica) di valutare, accettare, approfondire e modificare le sin- gole indicazioni, è di valido aiuto nel tentativo di dare alla psicoanalisi una sua collocazione nell'ambito della dimensione socio-politica e della storia del pensiero, e allo psicoanalista una sua identità non mistificata e non mistificante.

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La distinzione che ho proposto ci riporta inoltre, met- tendola concretamente i n atto, alla distinzione di Szasz tra apprenldimento indicativo (d i informazioni) e ap- prendimento ~metasducativo (insegnare e apprendere sul- l'insegnamento e sull'apprendirnento). Meta-educazione che, nel libro di Szasz, passa attraverso i concetti di li- bertà, di rispetto del contratto, di rispetto della dignità e dell'identità del paziente e del terapista; vale a dire si svolge nell'ambito del discorso sul potere e sulla cono- scenza a cui ho accennato a l l ' in i z i~ .~

Appare evidente che una concezione metaeducativa dell'analisi non può essere teorizzata sulla base di un modello medico con la sua fissità e disparità di ruoli, la necessità di uno status di dipendenza, la mancata ri- partizione delle informazioni. I n sua vece Szasz propo- ne l'uso di u n modello di gioco e precisamente del gioco del bridge. Portando a fondo l'analisi di questo gioco, Szasz ci mostra come, inseriti in tale cornice, molti annosi problemi psicoanalitici (ad esempio il problema dell'analizzabilità del paziente e quello della fine del- l'analisi) si chiarificano o addirittura svaniscono, e come numerose pratiche i n atto nella psicoanalisi (ricordiamo la diagnosi, la selezione dei pazienti e soprattutto la co- siddetta analisi didattica) siano contraddittorie con i fini del trattamento analitico.

Mi sembra che i moderni orientamenti della psicoana- lisi, tendenti sempre più a coinvolgere il terapista nel rapporto (valga per tutti l'uso dello strumento contro- trasferenziale), possano essere teorizzati molto più ade- guatamente sulla base di u n modello ludico (che mette i due partners su uno stesso piano, anche se con funzioni diverse), che non sulla base di un modello medico (che tende necessariamente a oggettualizzare il paziente cr su cui si applica una terapia m). Il limite sarebbe, a mio av-

4 Concepire l'analisi come metaeducazione offre, tra l'altro, una risposta al dubbio e alla possibilità che ideologie positive dell'ana- lista possano influenzare l'analizzando.

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viso, l'inversione del rapporto nel senso di un paziente- soggetto e di un analista-oggetto,' sempre secondo un mo- dello ludico che contempli non tanto due giocatori che giocano seguendo determinate regole, quanto un giocato- re (il paziente) e u n giocattolo (l'analista) che proponga al primo le regole della propria struttura reale.6

Un adeguato approfondimento del discorso di Thomas Szasz non può, a mio awiso, prescindere da alcune con- siderazioni critiche sia su determinate affermazioni o conclusioni, sia su certe tendenze che mi sembrano impli- cite nel suo pensiero.

A proposito di queste ultime, noterò che, se pur volu- tamente limitato all'aspetto contrattuale, normativo del rapporto, il discorso di Szasz senzbra a volte negare (an- ziché semplicemente prescindere da ) il versante inte- riore d i tale aspetto normativo. Anzitutto l'asserita non necessità di una analisi personale ( e non solo di quella didattica) come premessa a una pratica analitica. Inoltre, frasi imperative o esortative come « ... il terapista deve essere... libero dalla paura di perdere il paziente e, quindi, dal desiderio di controllarlo ... D; « ... l'analista deve ... ri- nunciare al desiderio di ricevere doni dai pazienti e ac- cordare loro dei favori ... D; « ... è necessario rendersene conto e guardarsene ... D; « non aspirate segretamente ad essere medico ... » ed altre, poco si accordano con l'accet- tazione da parte dell'analista delle proiezioni del pazien- te o con una dimensione controtrasferenziale, ma soprat- tutto poco si accordano con un discorso metaeducativo. Affinché il rapporto analitico abbia una sua dimensione etica e non sia una mera finzione, ritengo necessario che

5 Cosa abitualmente implicita quando parliamo, ad esem io di analista contenitore (cfr. BION, Apprendere dall'esperienza, 5; ma 1972) o di seno-gabinetto (cfr. MELTZER, il processo psicoana- lirico, Roma 1972).

6 Ritengo che l'ultimo pensiero di Winnicott, rektivo ai rap porti tra psicoterapia e gioco e all'uso dell'oggetto, sia chiara- mente orientato in tal senso. Cfr. WINNICOTT, Gioco e realtà, Roma 1974.

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l'analista non solo viva tali esperienze emotive ma che ne viva la tentazione, vale a dire la possibilità reale di violare il contratto. Un ,discorso sulle tentazioni nel de- serto potrebbe essere istruttivo.

Ugualmente poco chiaro m i sembra il pensiero di Szazs nei riguardi dell'attività extra-analitica del terapi- sta quando, pronunciandosi in parte a favore di una pra- tica analitica a tempo pieno o consigliando d'altra parte solo attività "compatibili", sembra indicare nella fuga o nell'isolamento il mezzo migliore per preservare una di- mensione interiore autenticamente analitica. Perché la fuga e non la integrazione nella vita reale della prassi analitica?

Ma dove vorrei soffermarmi più a lungo è sul proble- ma della frustrazione e della aggressività, esperienze che, almeno nel loro aspetto più fondamentale (d i distacco, d i perdita e di morte), m i sembra non trovino sufficiente spazio nel modello ludico così come Szazs ce lo propone. Il punto in cui tali esperienze m i sembrano più radical- mente estromesse dal gioco analitico credo di poterlo in- dividuare nella modalità di portare a termine l'analisi. Nulla da eccepire all'asserzione che il terapista debba ri- nunciare di fatto alla opzione medica di por termine alla terapia allorché lo giudichi conveniente; e neppure al- l'affermazione che il problema d i ternzilzare l'analisi è di responsabilità e di pertinenza del paziente, il quale potrà continuarla o concluderla in qualunque momento. Ma da dove se ne deduce che il paziente debba poterla continua- re ( o pensare di continuarla) indefinitamente?

Esaminiamo la struttura dei giochi. Concordo piena- mente con Szazs che essa non ci fornisce alcuna risposta circa la durata del gioco ( i n quanto la fine del gioco fa riferimento a u n non-gioco); ma alla domanda: « chi, se non i giocatori stessi, dovrebbe stabilire la durata del

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gioco? D, io risponderei: anche la realtà esterna D. Una partita di tennis finisce non solo perché lo decidono i giocatori, ma anche in base a regole o convenzioni ester- ne ad essi, o perché l'oscurità o una pioggia rendono il campo impraticabile; una partita di calcio dura novanta mivtuti, indipendentemente dal risultato e dal desiderio della squadra perdente; e in una partita a carte, il t e m i n e (l'ora) è di solito fissato in anticipo, e da quel momento si costituisce come realtà esterna che si impone agli even- tuali desideri di singoli giocatori. Dove questa realtà esterna, così drammaticamente propostaci da Freud nelle ultime pagine di Analisi terminabile e interminabile, tro- va il suo spazio, specialmente nella sua dimensione di morte, nel modello di conclusione del gioco propostaci da Szazs.? Inoltre u n gioco è tale solo in rapporto a u n non-gioco, vale a dire a una realtà esterna ad esso: ma u n gioco senza-fine non si confonde forse con tale realtà? E per finire, sono forse i giocatori a decidere di por ter- mine al gioco della vita?

Il sogno di fine analisi che secondo Szazs dimostrereb- be il desiderio del paziente clze l'analista si comportasse diversamente dal padre mandandolo via a calci, in effetti per evitargli la responsabilità di concludere l'analisi ( e venendo quindi ad essere paradossalmente simile al pa- dre), desiderio frustrato dal rifiuto dell'analista di porre u n termine all'analisi, dimostra anche, a mio avviso, una più profonda esigenza del paziente: di un padre cioè capace 'di imporre una perdita e quindi i n grado di con- sentire la liberazione di tutta l'aggressività repressa del figlio.

Non è questa la sede per approfondire ulteriormente il discorso o proporre soluzioni alternative: m i basta aver indicato la complessità, la portata e i termini del pro- blema.

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Un'ultima parola, infine, sul problema del pagamen- to dove ugualmente m i sembra che la dimensione in- conscia trascurata emerga in alcune flagranti contraddi- zioni, in una specie di lapsus logico. Infatti l'atteggiamen- t o diagnostico respinto con fermezza lungo tutto il libro, fa poi la sua ricomparsa nei confronti dei pazienti ipo- condriaci (vedi p. 236), unici per i quali il terapista sem- bra autorizzato a valutare e a sanzionare le "assenze". E che dire del fatto che l'arresto per u n delitto, il ricovero per psicosi o quello per malattia fisica sono valutati di- versamente dal viaggio in Europa o dalle riunioni d'affa- ri, nel senso che queste ultime evenienze sono conside- rate motivi validi per disdire gli appuntamenti senza do- verli pagare, a differenza delle prime? Non è lecito pen- sare che l'analista trova più agevole identificarsi con l'uo- m o d'affari o col ricco turista piuttosto che col "delin- quente", col "pazzo", o col "malato"? Ma è questa l'iden- tificazione che ha consentito a Freud di creare un nuovo rapporto col paziente o a Reich quel capolavoro di intui- zione poetica e scientifica che è Ascolta, piccolo uomo?

I Queste critiche, per quanto importanti, non intacca-

no comunque il valore e la validità del libro di Thomas Szasz. Unicamente ci mettono in guardia da una visione troppo unilaterale dell'analisi, non sostenuta e conferma- ta da una contemporanea visione sull'altro versante. Ma se ciò è vero nel senso indicato dalle mie critiche a Szasz, è altresì vero per il contrario. Mi spiego: non ba- sta affermare che non si controlla e reprime un'altra per- sona i n quanto la si comprende col metodo psicoanaliti- co. Se u n esame della struttura formale del rapporto ci mostra una realtà oppressiva, allora è doveroso conclu- dere che si tratta di una comprensione fittizia e che quel- lo che facciamo non è psicoanalisi; e, di conseguenza, riesaminare il rapporto. E in questo senso il libro di Szasz risulta oltremodo prezioso.

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A mio fratello George

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PREFAZIONE

Psicoterapia è il nome che viene dato a u n partico- lare tipo di influenza personale: mediante comunicazio- ni, una persona, indicata come lo "psicoterapista", eser- cita un'influenza di pretesa natura terapeutica su di una altra, identificata come il "paziente". E' evidente, tutta- via, che questo processo non è altro che una componente particolare di una classe ben più vasta, i n verità così vasta da comprendere praticamente tutte le interazioni umane. Non solo nella psicoterapia, ma in innumerevoli altre si- tuazioni, come la pubblicità, l'educazione, l'amicizia e il matrimonio, la gente si influenza reciprocamente. Chi ci dirà se tali interazioni sono utili o dannose e per chi lo sono? Il concetto di psicoterapia ci tradisce su questo punto, giudicando a priori l'interazione "terapeutica" per il paziente, nell'intenzione o nell'effetto o i n entrambi i casi.

Le persone cercano costantemente di influenzarsi a vicenda. Questo è ciò che rende la vita sociale al tempo stesso cooperativa e conflittuale. Controllare ed essere controllati, sono l'ordito e la trama del tessuto delle relazioni umane. Gli uomini desiderano ardentemente e nello stesso tempo si oppongono a influenzare gli altri e ad essere a loro volta influenzati. La questione che riguar- da coloro che si interessano di psicoterapia è: che genere di influenza gli psicoterapisti esercitano sui loro clienti?

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Come regola, gli individui si influenzano reciproca- mente per sostenere alcuni valori ed opporsi ad altri.

I n passato alcuni valori erano sostenuti pubblicamen- te: ad esempio la castità, l'obbedienza, la frugalità. Oggi, i valori sono più spesso patrocinati nascostamente, come per esempio il bene comune, la salute mentale o il be- nessere. Tali parole sono dei vuoti che l'interlocutore o l'ascoltatore può riempire con tutto ciò che desidera. I n ciò risiede la loro grande importanza per il demagogo, politico o professionale. Così, u n candidato alla presi- denza può parlare di risanamento dell'economia della nazione per raggiungere una condizione "sana" e nessuno può essere sicuro se, così parlando, intende promuovere responsabilità fiscali o deficit finanziari. I n maniera si- mile uno psichiatra può parlare di "salute mentale" della comunità senza che nessuno sappia con certezza se egli stia promuovendo l'individualismo o il collettivismo, l'au- tonomia o l'eteronomia.

Gli psicoterapeuti fanno molte cose: lo scopo che pro- fessano è sempre quello di fornire "una terapia". Spesso, però, i tentativi di "trattare" u n paziente sono in realtà sforzi per trasformare la sua condotta da un certo modo in u n altro. Ci sono quindi psichiatri che cercano di tra- sformare coppie infelicemente sposate i n coppie felici, omosessuali i n eterosessuali, criminali i n onesti cittadini; o, in generale, pazienti mentalmente malati in ex-pazienti mentalmente recuperati.

La mia tesi è che la psicoanalisi non può essere una impresa di questo genere. Senza dubbio, il termine "psi- coanalisi" può essere applicato a tipi di psicoterapia per- suasiva; difatti, ognuna delle procedure summenzionate è spesso descritta come "psicoanalitica" nello scopo, nei principi o nel metodo. Perfino la psichiatria sociale è pro- mossa da persone ufficialmente accreditate come psico- analisti.

Questi sviluppi illustrano e dovrebbero ancora una

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volta ricordarci che il significato di una parola può es- sere esteso fino al punto di designare l'opposto del suo significato originario. Ad esempio, la parola greca hairesis, che significa "fare una scelta", divenne "eresia". Analo- gamente Freud ideò un metodo di psicoterapia che am- pliasse l'autonomia del paziente e lo chiamò "psicoanali- si"; oggi, lo stesso nome viene usato per procedure che limitano l'autonomia.

l n questo libro, m i prefiggo di descrivere la psicotera- pia come un'azione sociale e non come u n metodo di guarigione. Così concepito il trattamento psicoanalitico viene caratterizzato dal suo scopo - aumentare nel pazien- te la conoscenza di se stesso e degli altri, e quindi la sua libertà di scelta nella condotta di vita; dal suo metodo - l'analisi delle comunicazioni, delle regole e dei giochi; e, infine, dal suo contesto sociale - u n rapporto contrattuale, piuttosto che "terapeutico", fra analista e analizzando.

Riassumendo, tenterò di definire la natura della psico- analisi, chiarirne i limiti e stabilire le sue relazioni con altre forme di psicoterapia, con la medicina, l'etica e la sociologia. Questo è certamente un disegno ambizioso; ma è il meno che possa bastare allo stadio attuale della psichiatria nel quale collettivismo, irrazionalisrno e "me- dicalismo" non solo hanno fallito nel fornire nuove ri- sposte ai nostri problemi, ma sono riusciti a oscurare quelle che già avevamo.

Eppure, solo ieri, la psicoanalisi costituiva una gran- de promessa per la liberazione dei valori interiori dell'uo- mo, come già lo era stata la Società Aperta per la libe- razione dell1Uomo Esterno.

Entrambe sono aspetti del moderno razionalismo e individualismo i quali hanno cercato e cercano tuttora di promuovere la Personalità Autonoma e la Società Li- bera. Hanno forse fallito? E' troppo presto per dirlo. La partita non è ancora chiusa.

Qualunque sia il risultato finale, l'attuale situazione

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non offre motivi di ottimismo. NelltAmerica della metà del secolo, il benessere ha soppiantato la libertà e l'indi- viduo autonomo è diventato l'uomo superfluo, il di più. La domanda è: vogliamo e possiamo riaccendere la tre- molante fiammella dell'individualismo? Solo per coloro che potranno o vorranno farlo la psicoanalisi come tera- pia autonoma avrà un interesse e u n valore. Gli altri, o la eviteranno o la ridurranno al proprio servizio.*

Syracuse, New York Febbraio 1965

* RICONOSCIMENTI. Desidero ringraziare il dr. Kenneth Barney per la lettura critica del manoscritto e gli utili suggerimenti; il dr. Ronald Leifer per i suggerimenti riguardanti il 20 e 30 capitolo; la signora Arthur Ecker per la competente assistenza editoriale; la signora Margaret Basset per l'insuperabile lavoro di segretaria e il National Institute of Menta1 Health, United States Public Health Service per la sovvenzione della ricerca (No. MH 07099-01) che ha in parte sostenuto le spese del lavoro di questo libro. Alcune parti del 30 capitolo erano state precedentemente pubbli- cate nel A.M.A. Archives of General Psychiatry, 90 Volume, (1963); sono grato all'editore e al redattore per il permesso a ristampare e a rielaborare l'articolo per questo libro.

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INTRODUZIONE

Per venticinque o trent'anni, ho scritto e parlato di quelle che una volta erano chiamate novità ed ora non ho un solo di- scepolo. Perché? Non che non fosse vero ciò che dicevo o che non abbia trovato ascoltatori intelligenti, ma non ho mai avuto alcun desiderio di condurre gli uomini verso di me, bensì, al con- trario, di condurli verso toro stessi (...). Questo è il mio vanto, di non aver seguaci di scuola. La mancanza di indipendenza a2 riguardo la considero segno di scarso insight. (RALPH EMERSON)

(...) il paziente deve essere educato a liberare e realizzare la sua propria natura, non a rassomigliare a noi. ( S . FREUD)

i( ...) 20 scopo di una vita può essere solo quello di aumentare la quantità di libertà e responsabilità che si trova in ogni uomo e nel mondo. Non può, in nessuna circostanza, essere quello di ridurre o sopprimere t d e libertà, anche solo temporaneamente. (A. CAMUS)

I1 trattamento psicoanalitico è un tipo particolare di rapporto umano. Occorrono solo due persone, l'analista e il paziente. Cosa fanno queste due persone e perché lo fanno?

Questo libro è la mia risposta a tale quesito. Nei miei primi scritti, specialmente ne Il mito della malattia men- tale1 ho wrcato di dissipare l'idea che la persona che consulta uno psicoterapista sia "malata" e che lo sfor- zo per aiutarlo a comportarsi con maggiore discernimen- to, libertà e autoresponsabilità sia una specie di "tratta- mento". Dopo aver scartato l'ingannevole concettualizza- zione medico-terapeutica dei problemi del comportamen-

1 The Myth of Menta1 Zblness, Foundations of a Theory o f Persona1 Conduct, Hober-Harper, New York 1961. Tr. it. Il Mito della malattia mentale, I1 Saggiatore, Milano 1972.

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to personale e della psicoterapia, affronterò il tema del rapporto analitico partendo da un'ampia base psicoso- ciale, considerando l'uomo come una persona che usa dei segni, segue delle regale e partecipa a dei giochi, e non come un organismo che ha istinti e necessità o come un paziente che ha una malattia.

I1 trattamento psicoanalitico o "gioco analitico" - co- me spesso lo chiamerò - può essere studiato da tre punti di vista.

Primo, possiamo osservare e descrivere le esperienze del paziente e dell'analista: alcune di queste possono essere più o meno tipiche dell'incontro analitico. Molte affermazioni circa il trattamento analitico si riferiscono a questo aspetto del problema.

In secondo luogo possiamo determinare le regole del gioco analitico: ad esempio, il fatto che il paziente debba sdraiarsi sul divano o che l'analista debba interpretare la nevrosi (di transfert. Se ben riuscita, una tale specifica- zione potrebbe determinare cos'è l'analisi (e, di conse- guenza, cosa non è). Ma non ci dirà cosa si prova ad es- sere analista o analizzando, non più di quanto le regole degli scacchi ci dicano cosa si sente giocando una partita a scacchi.

Terzo, è possibile discutere il gioco analitico, i suoi fini, le sue regole, le sue limitazioni e così via. Possiamo parlare di questo, alquanto genericamente, come teoria del trattamento analitico, o, con maggiore precisione, come una descrizione del metagioco dell'analisi (le rogo- le dell'analisi che specificano il gioco-oggetto). Una tale descrizione è importante perché, senza di essa, la nostra conoscenza del gioco analitico è incompleta e inadeguata. Ma ancora una volta non dobbiamo aspettarci dalla teo- ria della terapia analitica ciò che essa non può darci e non ha mai preteso di darci: fornire l'aocesso alle espe- rienze dei giocatori.

E' chiaro che per sapere ciò che si prova giocando

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a scacchi, occorre giocarci. L'esperienza del gioco non può essere derivata o tratta dalle regole, dalla descri- zione di partite giocate da altri, o dalla teoria sul gioco. Lo stesso vale per la psicoanalisi. Ciò nonostante c'è stata una persistente attesa, da parte degli analisti e dei loro lettori, di poter trasmettere l'esperienza analitica in for- ma stampata. Questo è impossibile. Per sapere cosa ac- cade quando si .è analizzati occorre essere un paziente; per sapere come si conduce un'analisi occorre essere un analista. E' tutto qui!

Non si è tuttavia apprezzato sufficientemente la possi- bilità di realizzare gli altri due compiti. Certamente do- vremmo essene in grado di descrivere in modo chiaro e semplice le regole \del gioco che governano il comporta- mento dei giocatori analitici. Eppure questo non è stato mai fatto. Di solito vengono dette alcune cose su quanto ci si aspetta dal paziente, ma nulla su quanto ci si aspetta dal terapista. Secondo le parole di Fenichel, per l'analista « tutto è permesso, purché egli sappia il perché ».' Niente di più assurdo. Dire che l'analista può fare qualunque cosa è come asserire che egli è un giocatore in un gioco ove non gli si chiede di seguine alcuna regola. Questo è un completo fraintendimento di ciò ohe l'analisi è o do- vrebbe essere, e io oercherò di correggerlo dando una descrizione del trattamento psicoanalitico come impresa educativa, paragonabile a un gioco, con (delle regole che devono essere seguite da ciascun giocatore.

Anche la così detta teoria del trattamento psicoanali- tic0 è stata vittima di un malinteso. Sotto questo titolo spesso troviamo autori che discutono qualunque proble- ma relativo d'incontro analitico, dalla psicopatologia del paziente alle ragioni per modificare le regole analitiche. Ma la teoria di un gioco deve fornire una spiegazione dei principi su cui si fondano le regole; inoltre deve. render canto dei valori che il gioco cerca di realizzare attraverso

2 OTTO FENICHEL, Problems of Psychoanalytic Technique, E< The Psychoanalytic Quarterly », Im., Albany N. Y., 1941, p. 24.

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il comportamento richiesto ai giocatori. La teoria del trat- tamento psicoanalitico deve quindi chiarire la connessio- ne tra gli scopi e i valori del gioco e l'e sue regole. Cer- cherò di presentare una tale teoria, comprendente i prin- cipi del rapporto psicoanalitico e i concetti etici e psico- logici inerenti a tali principi.

Dato che l'argomento è complesso, che molto è stato scritto al riguardo e, infìne, che quest'opera anche se mi auguro di interesse e valore per il lettore comune, è di- retta principalmente a persone già familiarizzate con la natura della psicoterapia, procederò secondo quello che logicamente è l'ordine inverso, e cioè dal generale al par- ticolare. Nella prima parte, parlerò del problema dello studio scientifico delle relazioni umane ed esporrò alcuni concetti e principi basilari per lo studio dell'impresa ana- litica. Ndla seconda parte, presenterò i principi della psicoanalisi considerata come psicoterapia autonoma. Nel- la terza parte, infine, descriverò le regole del gioco ana- litico.

Psicoanalisi o psicoterapia autonoma?

Per molti anni mi sono scontrato col problema di co- me chiamare il tipo di psicoterapia che pratico e la cui teoria e metodo vorrei ora esporre al lettore.

Vi sono due alternative. Da una parte, potrei riferirmi ad essa sempli~cemente come "psicoanalisi" perché riten- go che essa sia psicoanalisi. Freud e i primi freudiani sa- rebbero forse d'accordo. I1 nostro scopo è il medesilmo: estendere il controllo del1910 su certe aree delllEs, secon- do il loro modo di esprimersi, o aumentare la capacità del cliente di autodeterminarsi e operare le sue scalte, come io preferisco dine. Anche i nostri metodi hanno molto in comune: nella psicoanal~isi classica così come nella psicoterapia autonoma, il solo compito del terapi- sta è di "analizzare". Di conseguenza, dando un nuovo nome al metodo terapeutico che descriverò, r,ischierei di

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essere criticato per aver usato una parola nuova a indi- care la psicoanalisi appropriandomi di ciò che di fatto appartiene a Freud.

Purtroppo, la situazione della psicoanalisi è più com- plicata oggi di quanto non lo fosse poche mdecadi fà. Attual- mente ognuno usa la parola "psicoanalisi" per indicare ciò che gli pare. Quindi, se affermassi che la terapia de- scritta in questo libro è psicoanalisi, molti analisti pro- babilmente respingerebbero questa mia pretesa. La psico- analisi, essi potrebbero ribattere, è ciò che loro praticano e non quello che faccio io. Poiché non vi è alcun metodo ~iconosciuto per arbitrare una tale disputa, chi sarà a stabilire ciò che dovrebbe essere definito psicoanalisi e ciò che non dovrebbe esserlo?

Supponiamo comunque che le mie rivendicazioni sia- no corrette. I1 mio metodo di psicoterapia sarebbe allora riconosciuto quale continuazione dello spirito della psico- analisi freudiana e ne rappresente~bbe, forse, un ragio- nevole sviluppo: di conseguenza, dovrebbe essere definito "psicoanalisi". Questa possibilità sarà comunque fonte di confusione in 'quanto se ciò che io faccio è psicoanalisi, aBora molto di quello che ara vime chiamato psico- analisi è qualcosa d'altro.

La seconda alternativa è quella di chiamare con un nome nuovo il mio sistema di praticare la psicoterapia. Io l'ho fatto di quando in quando, riferendomi ad esso come Il psicoterapia autonoma". Scelgo questa espressione per indicare lo scopo principale di questa procedura: conser- vare ed estendere l'autonomia del cliente. Per accentuare la natura del metodo terapeutico piuttosto che il suo sco- po, la procedura potrebbe anche essere definita "psicote- rapia contrattuale": il rapporto analista-analizzando non è determinato né dalle "necessità terapeutiche" del pazien- te né dall' "ambizione terapeutica dell'analista", ma piut- tosto da un inslieme di promesse e di aspettative, esplici- tamente e mutuamente accettate, che io definisco "il con- tratto".

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I1 vantaggio principale di chiamare con un nome nuo- va la terapia qui descritta è che così facendo la si separa dalle molte altre imprese psicoterapeutiche attualmente chiamate psicoanalisi. Se le interpretazioni del compor- tamento, insieme alla somministrazione di tranquillanti e di stimolanti, è una forma di psicoanalisi; se la terapia

, di pazienti psicotici ricoverati in forma coatta è anche considerata una forma di psicoanalisi; e infine, se la co- siddetta analisi di'dattica, caratterizzata dall'attivo e coer- citivo controllo dellla vita dd'analizzando da parte dello analista, è anch'essa un'altra forma di psicoanalisi, allora la psicoterapia autonoma $non è psicoanalisi e deve essere ben distinta da essa.

Lo svantaggio principale di dare d mio metodo di psi- coterapia un nome nuovo è quello già menzionato: che a molti esso sembrerà un ribattezzare ciò che "realmente" è la psicoanalisi. Inoltre, una nuova definizione per un procedimento psicoterapeutico tende ad implicare alcune novità radicali nonché una promessa di straordinari po- teri curativi. Ma in questo caso non vi sono implicazioni di questo genere, né tantomeno io avanzo simili pretese.

Ho deciso di risolvere il problema adottando il se- guente piano: userò i tenmini "psicoanalisi" (o tratta- mento psicoanalitico) e "psicoterapia autonoma" scambie- volmente e come sinonimi. Ciò servirà a etichettare, alme- no prowisoriamente, il particolare tipo di psicoterapia qui descritto; nello stesso tempo, lasoerà lo psicoterapi- sta e lo studioso di scienze sociali liberi di decidere se il mio metodo ha bisogno di una nuova denominazione.

In passato, gli psicoterapisti hanno di frequente mani- festato la loro propensione per i rapporti eteronomi con i pazienti, imponendo neologismi psichiatrici ai loro let- tori. Mi sembra quindi particolarmente opportuno che un libro sulla psicoterapia autonoma lasci il lettore li- bero di decidere se le idee e il metodo dell'autore diffe- riscono da quelle dei suoi colleghi al punto di giustificare l'uso di un nuovo nome.

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PARTE PRIMA

LO STUDIO SCIENTIFICO DELLA PSICOTERAPIA

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LA RELAZIONE PSICOANALITICA COME PROBLEMA SCIENTIFICO

I1 tema di questo libro è il rapporto fra l'analista e i'analizzando. Tale rapporto è stato definito con nomi diversi, ma tutti più o meno ingannevoli. Alcuni analisti lo chiamano trattamento psicoanalitico, ma* non è un trattamento. Altri tecnica psicoanalitica, ma non vi è al- cuna tecnica specifica che l'analista possa applicare al soggetto, come se questi fosse un oggetto. Altri ancora parlano di situazione psicoanalitica, ma non è una sin- gola, specifica situazione, ma piuttosto un lungo rappor- to evolutivo. In effetti, userò anch'io molti di questi ter- mini poiché non vi è alcun vantaggio nel coniare nedo- gismi se si può evitarlo. Userò le parole "paziente", "tera- pista" e "trattamento" per ragioni di comodità, onde po- ter comunicare facilmente col lettore; è ovvio, comunque, che rifuggo dal loro implicito significato medico, psicopa- tologico e terapeutico.

Prima di lprocedere è conveniente domandarsi: Che genere di impresa è la psicoanalisi? Dobbiamo renderci conto che la parola "psicoanalisi" denota due propositi fondamentalmente diversi. Primo, la psicoanalisi è una scienza: poiché il suo oggetto è l'uomo e le relazioni

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umane, oggi essa fa parte delle scienze sociali. Secondo, la psicoanalisi è una forma di psicoterapia, vale a dire un rapporto umano caratterizzato da determinati fini e re- gole di comportamento; dal momento che il paziente ed il terapista si giudicano e si influenzano a vicenda e, nel- lo stesso tempo, esaminano gli standard dei loro giudizi e della loro condotta, la terapia psicoanalitica è stretta- mente legata all'etica, alla politica e alla religione. E' perciò inutile avvicinarsi ai problemi dei quali si occupa la psicoanalisi e alle soluzioni che essa offre primaria- mente dal punto di vista della medicina o della psichia- tria tradizionale. La psicoanalisi appartiene alla storia delle idee e alla storia dei rapporti dell'uomo con i suoi simili.

Perché studiare il rapporto analitico?

Perché studiare la situazione psicoanalitica? Secondo l'opinione psicoanalitica tradizionale, la ragione princi- pale è che la terapia psicoanalitica è il procedimento più efficace per curare il gruppo di malattie chiamate "ne- vrosi". Se così è, cadiamo nella nostra stessa trappola concettuale. Perché questa formulazione è una trappola? Perché essa implica, primo, che la psicoanalisi è il mi- glior trattamento per le nevrosi, ma non per altre ma- lattie mentali, come le psicosi, le perversioni e le tossi- comanie; e secondo, che la psicoanalisi è una forma di cura, paragonabile ad altre cure come la terapia farma- cologica, l'elettroshock e la lobotomia. Certamente que- sto non è un buon inizio. Eppure, una delle principali giu- stificazioni sociali della psicoanalisi, specialmente negli Stati Uniti, è stata la sua utilità terapeutica. Un celebre libro moderno reca il titolo Il valore medico della psico- analisi.' Ma è imprudente giustificare la psicoanalisi col

1 FRANZ ALEXANDER, The Medica1 Value of Psychoanalysis, Nor- ton, New York 1932.

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suo valore medico che io ritengo, infatti, scarso. Se non altro, questo è il suo tallone d7Achille, né quest'aspetto è stato disconosciuto da eminenti colleghi, dentro e fuori della psichiatria.

Un'altra frequente giustificazione dell'importanza scien- tifica dello studio della situazione psicoanalitica è che i'analista possiede uno strumento unico per investigare la personalità umana e in particolare "l'inccjnscio". In questo modo la psicoanalisi è difesa non solo come una buona terapia, ma anche come ricerca effettiva. Comun- que sia, questa non è la ragione del mio attuale interesse per quest'argomento, né tantomeno ritengo sia questo il più importante contributo della psicoanalisi allo studio dell'umo. In che consiste allora il suo valore principale? 0, meglio, per usare la metafora di Achille, qual'è il punto più solido dell'arrnatura del nostro guerriero?

Credo che il principale valore intellettuale e scienti- fico del trattamento psicoanalitico stia, come la chiave del* la massaia, sotto il tappeto della porta (dove nessuno pen- serebbe a cercarlo; e cioè, nel tipo di modello che il rapporto analitico fornisce, al fine di ottenere una mi- gliore comprensione dell'etica, della politica e dei rap- porti sociali in generale. Che io sappia, nessuno ha mai fatto un suggerimento di questo genere. E' quindi oppor- tuno che io sostenga quest'asserzione con qualcosa di più sostanziale di una mia opinione personale.

L'individuo, il gruppo ed il problema della libertà

Il sintomo psichiatrico come limitazione della libertà.

Per quanto il concetto di "sintomo psichiatrico" sia generalmente ben compreso, ritengo necessario premet- tere alcune parole sul significato che ha per me l'uso di questa espressione. Secondo l'uso comune, parlerò di #> sintomi" per indicare idee, sentimenti, inclinazioni ed

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azioni che sono considerate indesiderabili, involontarie o strane. Ma a giudizio di chi?

I1 giudizio che il comportamento di un individuo non è normale e che qui'ndi è un "sintomo", può essere espres- so da un certo numero di persone: il cliente stesso; i suoi parenti; un esperto che comprenda i suoi desideri; un esperto apertamente o velatamente in antagonismo con lui; o, infine, la società in generale tramite agenti debitamente designati (per esempio, uno psichiatra del tribunale). Sfortunatamente, la gente tende ad usare il concetto di sintomo psichiatrico (o diagnosi) senza pre- stare troppa attenzione al problema di chi giudica e di chi viene giudicato. Non deve quindi sorprendere che un individuo consideri la propria condotta adeguata e nor- male, mentre altri la considerano strana e sintomo di "malattia mentale".

Nella disoussione che segue, mi limiterò a quei casi nei quali il cliente considera alcuni aspetti della propria condotta come un sintomo psichiatrico, o, per lo meno, condivide il giudizio espresso da altri. In altre parole, non considererò quei casi nei quali alcuni aspetti della con- dotta di una persona vengono etichettati come "sintomo" da un osservatore, mentre sono invece considerati soddi- sfacenti dal soggetto.

Tenendo quindi presente che parleremo di "sintomi psichiatrici" solo quando una tale qualifica del compor- tamento coinciderà col giudizio proprio del soggetto per quel che riguarda la sua condotta, poniamoci questa do- manda: cosa distingue i vari fenomeni che possono esse- re classificati come sintomi psichiatrici? Tutti implicano un'essenziale restrizione della libertà del paziente a te- nere una condotta accettabile (da parte di altri, inseriti, come lui, nel suo ambiente sociale.

Fenomenologicamente, i sintomi psichiatrici sono di una varietà senza fine. L'isterico è paralizzato: non può

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parlare, camminare o scrivere. I1 fobico non può compie- re alcuni atti: deve evitare di toccare vari oggetti, di andare per strada, o di rimanere solo. L'ossessivo-compul- aivo è costretto a occuparsi di cose banali, deve control- lare e ricontrollare i suoi atti, deve pensare determinati pensieri o compiere dei cerimoniali. L'ipocondriaco #deve preoccuparsi della propria salute, il paranoico dei suoi og- getti persecutori, lo schizofrenico delle sue fantasie de- liranti.

L'elemento comune in questi ed altri cosilddetti sintomi psichiatrici 6 l'espressione della perdita di controllo o di libertà. Ogni sintomo è sperimentato e descritto dal pa- ziente come qualcosa che non può evitare di fare o di sentire o come qualcosa che è obbligato a fare. L'alcoliz~ zato, ad esempio, asserisce che non può smettere di bere; la persona abitualmente pigra, che non p ~ ò fare a meno di arrivare in ritardo; la persona volubile che non può controllare il suo temperamento; l'allucinato, che non può far tacere "le voci" e fermare "le visioni"; il depresso che non può provare piacere o autostima, e così via.

Quello che ci interessa nei sintomi psichiatrici, quindi, è che il paziente li esperimenti o li definisca (più o meno) come accadimenti involontari: inoltre, dato che non è libero di impegnarsi in o di astenersi da un particolare atto o esperienza, egli di solito pretende di non dover essere ritenuto responsabile di tali atti e delle loro con- seguenze. (Più avanti tratterò del paziente psichiatrico che si rivolge al terapista col linguaggio delle scuse).

Per chiarire il significato dell'espressione "perdita di libertà" nel sintomo psichiatrico, paragoniamo i sintomi alle abitudini e al lavoro. Consideriamo tre esempi con- creti: I'ipocondria, il malumore abituale e l'esagerato im- pegno nel lavoro (ad esempio, di un medico). L'ipocon- driaco fa professione di essere malato, la persona colle- rica di essere intrattabile, e il medico di essere indispen- sabile; essi si rassomigliano per un'eccessiva adesione a

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un particolare ruolo. Tuttavia, questi tre tipi di persone possono differire nel grado di adesione al loro ruolo, vale a dire nel grado di libertà a impegnarsi in altre attività. Ad esempio, 1'i;pocondriaco è considerato tale nella rnisu- ra in cui si sente costretto a rimurginare sui suoi distur- bi o sui suoi guai. In altre parole, giudichiamo tale per- sona ipcondriaca o meno, nella misura in cui essa "è prigioniera' dei suoi sintomi.

La differenza tra sintomo e abitudine è in gran parte una questione di convenzione e giudizio: coloro che sono abituati a un tipo di famiglia autoritaria possono accet- tare un padre collerico come persona con un pessimo carattere; coloro che non sono abituati a una famiglia del genere potrebbero invece considerarlo come una per- sona mentalmente malata. Lo stesso soggetto collerico è probabile che consideri la propria condotta al di fuori del suo controllo e di conseguenza simile a un sintomo.

L'impegno nel lavoro, infine, è di solito considerato come qualcosa di volontario e liberamente scelto; tutta- via, anche il lavoro può essere qualificato come un com- portamento sul quale non è possibile esercitare un con- trollo. E' interessante notare come il (dedicarsi eccessi- vamente al lavoro può essere sia esaltato che criticato; per Albert Scweitzer, è la risposta ad un "richiamo", ma per l'uomo d'affari comune o per il medico che lavora troppo è una "schiavitù".

Dobbiamo tener presente che la condotta personale è altresì una forma di comunicazione e come tale è sempre qualificata o come libera e volontaria, o come coatta e involontaria. I1 possesso o la mancanza di libertà di un individuo ha un effetto cruciale sul grado di libertà delfle persone che frequenta; pertanto, il concetto di libertà gioca un ruolo determinante nella psichiatria e nella psi- coterapia.

In effetti, quello della libertà è forse il punto di vista migliore per una classificazione delle psicoterapie. Pus-

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siamo così ,distinguere fra due gruppi: uno, il cui scopo è quello di aumentare la libertà personale del paziente, l'altro mirante a diminuirla. Le psicoterapie pre-freudia- ne erano tipicamente repressive; esse tendevano a ridur- re la libertà di sentimenti, di pensiero e di azione del paziente. I1 grande contributo di Frewd sta nell'aver po- sto i fondamenti di una terapia che cerca di allargare il campo di scelta del paziente e di conseguenza la sua libertà e la sua responsabilità.

L'idea di libertà e il trattamento psicoanalitico

Anche se non chiaramente esplicitato, lo scopo del trattamento psicoanalitico fu, all'inizio, quello di "libe- rare" il paziente. Dapprima, Freud volle liberare il pa- ziente dall'influenza patogena dei ricordi traumatici. Na- turalmente, si trattava solo di una liberazione dai sintomi, nel senso medico tradizionale. Ma non burliamoci di ciò. Anche allora Freud tentava di liberare il paziente dal far- dello dei cattivi ricordi, che è dopotutto un fardello mo- rale. Né quest'idea è superata. Alcuni autori contempora- nei sostengono che lo psicoterapista dovrebbe fare esat- tamente l'opposto. I "cattivi" ricordi provano che il pa- ziente è "colpevole"; di conseguenza, egli non dovrebbe esserne liberato bensì reso più responsabile (di quanto sia disposto ad esserlo. Nandimeno, lo scopo e il risultato sarebbero una maggiore libertà per l'individuo.

Successivamente alla concezione del ricordo trauma- tico, Freud sviluppò poco dopo l'ipotesi che la nevrosi è in gran parte una questione di inibizioni; il paziente nevro- tico è ammalato in quanto eccessivamente socializzato. Scopo della terapia sarebbe quello di liberarlo da alcune inibizioni in modo che possa divenire più spontaneo e creativo, in una parola più libero. Questa era l'idea pre- valente nei circoli analitici negli anni dal 1920 al 1930. Wilhelm Reich ne fu il principale sostenitore. Sebbene egli fallisse nel tentativo di aocordare la libertà con la

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responsabilità, la sua opera, e specialmente il libro Ascol- ta, piccolo uomo,2 sono più importanti nella storia della psicoanalisi che non molti classici ~psicoa~nalitici. In verita, quando l'analisi dell'Io era una scoperta recente, molti analisti ritenevano che scopo dell'analisi fosse la distru- zione del Super-Io (arcaico) del paziente. L'idea non era completamente da scartare. Di nuovo, il mio punto di vista è che gli analisti erano ancora impegnati nel gio- care la partita della libertà. Volevano liberare il paziente dalle influenze inconscie e automatiche esercitate su di lui dagli introietti infantili o, in parole semplici, dalle idee che gli erano state instillate dentro da bambino.

Dopo la morte di Freud, lo scopo dell'analisi è stato quello di liberare il paziente dagli effetti mstrittivi della sua nevrosi (intendendo per "nevrosi" un comportamen- to inconsciamente determinato, stereotipato, in contra- sto con una condotta normale, liberamente e cosciente- mente determinata). Ecco di nuovo la nozione di libertà. In realtà, la moderna concezione psicoanalitica di nor- malità è in qualche modo identica a quella di libertà; non naturalmente libertà economica o politica, ma liber- tà personale. Secondo questo punto di vista, il cornpor- tamento nevrotico è automatico o abituale, mentre il comportamento non nevrotico o normale è discriminante e selettivo.

Benché fondamentale per la teoria del trattamento psicoanalitico, il preciso significato o natura della libertà non è stato esplicitamente definito, ne è stato articolato in un coerente sistema etico. Eppure, io sostengo che come psico~terapia la psicoanalisi non ha alcun signifi- cato senza un'etica articolata. Qui sta il significato morale, politico e, al tempo stesso, scientifico della situazione psicoanalitica; essa è un modello di incontro tra uomi- ni regolato dallética dell'individualismo e dall'autono-

2 Orgone Institute Press, New York 1948. Tr. it. Sugar, Tori- no 1973.

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mia personale. Lo scopo del trattamento psicoanalitico è quindi paragonabile allo scopo delIa riforma politica li- berale. I1 proposito di una costituzione democratica è quello di dare al popolo, oppresso da un governo tiranni- co, una maggiore libertà nella condotta politica, econo- mica e religiosa. Lo scopo della psicoanalisi è quello di dare ai pazienti oppressi dai loro abituali modelli di comportamento, una maggiore libertà nella condotta per- sonale.

Libertà per chi?

I1 moderno concetto di libertà è complesso. Esso pro- viene da varie fonti e riflette le aspirazioni di uomini che hanno vissuto in condizioni diverse; i suoi scopi di conseguenza differiscono. In verità, il concetto di libertà può agevolmente assumere due significati quasi diame- tralmente opposti. La psicoanalisi e molte altre cose, nella società contemporanea, testimoniano la nostra con- fusione circa la libertà. Chiarendo quello che è il molo ddla libertà in psicoanalisi, possiamo contribuire a chia- rirne il ruolo nella moderna politica e sociologia.

Quali sono le due maggiori fonti del moderno concet- to di libertà? Uno è "L'età dell'Zlluminismo": i protago- nisti, uomini di elevata condizione sociale e di cultura eccezionale; scenario, la Francia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti; l'epoca, il secolo XVIII. L'aspetto preminente del- l'idea di libertà offerta in questo periodo era il suo carat- tere individualistico e positivo. Per uomini come Voltaire e Jefferson, la libertà era d'opportunità dell'individuo soli- tario di perseguire certe mete: libertà di indagare, di apprendere, di leggere, di pensare, di scrivere, di sfidare l'autorità costituita e di essere un individuo cosciente. In breve, questa è la libertà di essere una persona indi- viduale, un uomo autentico, responsabile e autonomo. Sebbene alcune di queste libertà venissero definite come libertà da qualcosa (ad esempio, dalla tirannide teologi-

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ca o dalla tirannilde governativa), in realtà esse erano, per la maggior parte, liberlà per qualcosa (ad esempio per l'autogoverno dell'individuo o della nazione). In al- tre parole, il contenuto della libertà era definito in temi- ni 'di mete che l'uomo fissava a se stesso. Questo è il ge- nere di libertà che nessuno può dare a un al.tro.

Esiste comunque un altro genere di libertà che, inve- ro, non è detto che ogni uomo possa guadagnarsela per conto proprio. Questo tipo di libertà deriva da un'altra fonte. Sebbene affondi le sue radici ideologiche nel XVIII s.ecolo, negli scritti dei messia politici (quali Rousseau e Saint Simon), la sua anima la costituirono i rivoluzio- nari politici del XIX secolo (Marx e i primi comunisti, Lincoln e gli abolizionisti). La caratteristica più evildente di quest'idea di libertà è di essere collettivistica e nega- tiva. Per evitare malintesi, desidero sottolineare che uso questi termini in senso descrittivo e non peggiorativo. Ritengo che entrambe le forme di libertà siano desidera- bili e necessarie. Sebbene mi occuperò più della libertà individualistica che non di quella collettivistica, non de- sidero favorire l'una a scapito dell'altra. Inoltre, l'etica dell'autonomia punta a una possibile riconciliazione fra entrambe.

Gli scopi della libertà collettivistica ' sono la libertà dall'oppressione politica, dallo sfruttamento economico, dalla s~chiavitu, dalla colonizzazione e dalla persecuzione religiosa, razziale e politilca. In breve, si tratta della li- bertà collettiva o di un gruppo di godere dei privilegi garantiti a un altro gruppo. Senza dubbio queste conce- zioni influiscono sul destino dell'individuo. Ciò nondime- no, abbiamo qui a che fare con la libertà di gruppi o classi di persone, lavoratori, ebrei, negri. Il contenuto di

3 I1 concetto di libertà collettivista che viene qui sviluppato è simile, ma, non uguale, a cib che Comte e altri hanno chiamato "libertà collettiva". Vedere MORTIMER J. ADLER, The idea of Free- dom, Doubleday & Co., Garden City, N. Y. 1961, specialmente vol. TI, pp. 184-222.

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questo tipo di libertà è formulato largamente in termini negativi, colme libertà da (generalmente dalla vessazione di un altro gruppo oppressore).

Anche se alcuni uomini debbono a volte combattere per queste libertà, noi ci aspettiamo che una società civile le accordi ai s u d cittadini: e nel XX secolo, molti nel mondo occidentale godono di queste libertà senza aver dovuto far nulla per ottenerlte. Ed è bene che sia così, per- ché solo quando tutti gli uomini, ovunque, saranno sicuri delle loro libertà collettive e negative, essi saranno capaci di perseguire su più larga scala l'individualismo e l'au- tonomia. Fino allora, questi valori saranno minacciati dai movimenti che favoriscono le libertà collettivisiche, dato che i loro protagonisti definiscono e considerano l'inclivi- dualismo e l'autonomia come un pretesto per lo sfrutta- mento del debole. Che questa identificazione sia fallsa poco importa nelle battaglie politiche e ideologiche. Ri- mane il fatto, e speriamo che si riveli così tenace come si suppone lo siano i fatti, che l'individualismo e l'auto- nomia non possono costituire il fondamento di una rigi- da ideologia politica; in verità, essi sono gli unici effettivi antidoti all'intossi~cazione ideologica.

Per ricapitolare, suggerisco che nel moderno concetto di libertà si combinano queste due tendenze divergenti: l'idea della libertà per l'individuo che deriva dai pen- satori e dagli statisti del XVIII secolo e l'idea della liber- tà per il gruppo che proviene dai filosofi sociali e dai ri- formatori politici del XIX secolo. La prima è una nozio- ne aristocratica; l'altra, una idea democratica. Tra le due c'è spesso un conflitto. In tale conflitto lo psichiatra ha svolto e continua a svolgere un ruolo decisivo 4. Qualpera la posizione di Freud per quanto riguarda queste due forme di liberltà e il loro mutuo conflitto?

4 Vedere T . Sz~sz, Law, Liberty and Psychiatry. An Znquiry into The Social Uses of Menta2 Health Practices, Macmillan, New York 1963.

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Freud, il paziente e la società

La tesi che Freud sia stato fortemente influenzato dal- le idee politiche e morali del XVIII e XIX secolo è arn- piamente dimostrata e non vi è alcuna necessità di docu- mentarla in questa sede. Egli aveva pari dimestichezza con gli scritti di coloro che proponevano sia la libertà individualistica che quella collettivistica. Quali di questi valori attrasse maggiormente Freud e perché? Come con- ciliò il conflitto fra di essi?

Sappiamo abbastanza di Freud e del primo movimen- to psicoanalitico per essere discretamente sicuri di diver- se cose. Anzitutto, per il fatto di essere ebreo, Freud si sentiva estraniato dalle correnti principali della società austriaca. Inoltre, ai tempi della sua infanzia, la classe media ebraica di Vienna poneva le sue speranze nell'edu- cazione e non nel sionismo. Pertanto, Freud era più in- teressato alla libertà individuale che non a quella di gruppo. Nello stesso tempo, i suoi concetti di famiglia modello e di stato modello erano basati più su ciò che sapeva per esperienza che su quello che aveva letto o che sperava; di qui la sua adesione ultraconservatrice al- l'idea del patriarcato benevolo sia nella famiglia che nello stato.

Di conseguenza, Freud combinava nella sua persona- lità i valori del paternalismo conservatore e dell'indivi- dualismo liberale. Questa mescolanza si manifestò in molte contraddizioni del suo comportamento sociale e personale. Ciò spiega inoltre il fatto ohe alcuni condanni- no Freud come autoritario e repressivo, mentre altri lo elogiano come la personificazione del liberalismo del lais- sez-faire. In effetti egli sembra mostrare entrambi questi aspetti. Ma quello che ci interessa maggiormente non è la personalità di Freud, per quanto importante come sfon- do. E' all'atteggiamento di Freud verso il paziente e verso la società, nella situazione del trattamento psicoanalitico, che siamo principalmente interessati. All'inizio la sua po-

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sizione era relativamente chiara ma, a lungo andare, di- ventò eccessivamente am~bigua.

Al tempo in cui Freud divenne medico, c'erano due ruoli stabiliti per lo psichiatra, tuttora largamente accet- tati. Uno è il ruolo di rappresentante della società: lo ps

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chiatra ospedaliero, anche se sembra assistere il ma- lato, in realtà protegge la società dal paziente. L'altro è il ruolo di rappresentante di tutti e di nessuno: arbitro dei conflitti tra il paziente e la famiglia, tra il paziente e il datore di lavoro, e così via, questÒ tipo di psichiatra si allea con chiunque lo paghi. Freud si rifiutò di svolgere entrambi questi ruoli. Al contrario, ne creò uno nuovo: di agente o rappresentante 'del paziente. Secondo la mia opinione, questo è il suo più grande contributo alla psi- chiatria.

Ritengo che la scelta di tale indirizzo dipese da una doppia identificazione tra Freud e il malato mentale. Nel malato di mente che soffriva, Freud vide se stesso come ebreo oppresso e come nevrotico inibito. Documentare queste idee ui porterebbe troppo 'lontano. Ci basti x5cor- dare che. Freud considerava la psicoanalisi una "scienza ebraica" e che cercò ostinatamente di maschera~e questo fatto. Ma per un aspetto assai irnpartante da psicoanalisi era una scienza ebraica, e perderemmo molto se non lo 1.8- conoscesslimo. Nel,la gloriosa Vienna dell'hperatore Francesco Giuseppe chi, se non un ebreo, ai starebbe iden- tificato con gente così indesijderabile come i malati di mente? Certamente non l'aris~tocraziiia, non l'affabile classe media e neppure la pwera gente ignorante. Per quanto grande, il contributo di Freud fu limitato nei suoi effetti. Sebbene parteggiasse per il paziente nella sua lotta contro k forze che lo imbrigliavano, Freud non affrontò i cru- ciali problemi etici e sociali dell'autonomia di fronte al-

5 Vedere ROBERT SEIDENBERG e HORTENCE S. COCHRANE, Mind and Destiny. A Social Approach to Psychoanatytic Theory, Syracuse University Press, Syracuse N. Y. 1964, pp. 1-2.

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l'etercmomia e dell'iaudividuslismo nei confronti del col- bettivismo. Egli non riconobbe 'h necessità di rendere espli- cità la posizione dello psichiatra su (questi argomenti.

Perché l'autonomia?

Perché attribuisco tanta importanza all'autonomia? Qual è il merito speciale di questo concetto morale? De- finiamo cosa intendiamo per autonomia, e il suo valore di- verrà allora evidente. Quello di autonomia è un concetto positivo. E' la libertà di realizzare se stessi, di aumentare le proprie conoscenze, di migliorare le proprie capacità e di raggiungere la responsabilità della propria condotta. Ed è anche la libertà di dirigere la propria vita, sceglien- do fra diversi modi di agire, a condizione che non ne derivi danno agli altrL6

In una societb moderna, basata più sul contratto che sullo status, la personalità autonoma sarà socialmente più competente e utile della sua controparte eteronoma. Inoltre, cosa decisamente significativa, l'autonomia è la sola libertà positiva la cui realizzazione non danneggi gli altri. Altre libertà, come il combattere per scopi naziona- listici o religiosi, tendono probabilmente a danneggiare altre persone; e ldifatti, molti di questi scopi non possono essere perseguiti nel loro pieno significato senza l'esisten- za di una opposizione. Senza dubbio la realizzazione di se stessi può anche "danneggiare" gli altri; il muratore migliore può socppiantare quello meno esperto.

C'è comunque una differenza radicale tra il danno pro- curato da un individuo che ha maggiori capacità e quello inflitto da ch3 opprime gli altri o nuoce (loro fisicamente. In realtà, argomentare che a causa della propria supe- riorità la persona più capace nuoce ad altri meno abili, è come accettare l'asserzione che sadico è colui che ri-

6 Vedere DAVID RIESMAN, NATHAN GLAZER e REURL DENNEY, La folla solitaria, I1 Mulino, Bologna, specialmente la IV parte.

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fiuta (di danneggiare un masochista. Naturalmente una persona meno abile può in verità soffrire in una società liberamente competitiva la quale non preveda nessuna misura per la dignitosa sopravvivenza di coloro che, per una ragione qualunque, non hanno successo nella compe- tizione? Questa condizione, comunque, verrà corretta me- glio premiando i cattivi giocatori affinché giochino meglio, piuttosto che penalizzando i bravi perché hanno giocato bene.

A causa del rapporto intimo e personale tra lo psico- terapeuta e il paziente, il concetto di libertà nell'analisi non è un risultato astratto e accademico. Sebbene all'ini- zio l'analista occupi un ruolo in certo senso esterno alle lotte che l'analizzando combatte per la libertà - libertà dalle sue inibizioni, dai sintomi, o dal suo "oggetto in- temo" - la situazione presto cambia. In primo luogo il paziente ha rapporti reali extra-analitici con la madre, il padre, il fratello, il datore di lavoro, la moglie, il figlio e così via; secondo, ha un rapporto reale con l'analista. In modi diversi, l'analizzando tende a sentirsi costretto e imprigionato, non tanto dall' "intima struttura della sua personalità" quanto da persone reali. La domanda è que- sta: quale sarà l'atteggiamento dell'analista nei confron- ti delle persone che fanno parte della vita del paziente? E, come analista, quale sarà il suo atteggiamento verso il paziente? In entrambi i casi, l'analista è des.tinato a iinfluenzare il paziente nella sua ricerca di libertà perso- nale 0 nella fuga da essa.

Se pratica la psicoterapia autonoma, l'analista deve so- stenere le aspirazioni ldi libertà del paziente nei confronti di oggetti coercitivi. Questo non significa che egli deve incoraggiare il paziente a comportarsi in un certo modo particolare, ad esempio ribellandosi a un genitore, a un

7 Vedere LUDWIG VON MISES, Human Action. A Treatise on Economics, Yale University Press, New Haven 1949 e MILTON FRIEDMAN, Capitalism and Freedom, University of Cricago Press, Chicago 1962.

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coniuge o a un datore di lavoro dispotico. Ma neppure significa che l'analista debba accettare e interpretare can- didamente la natura dei rapporti significativi del paziente, lasciandogli assoluta libertà dì sopportare, modificare o cessare qualunque relazione preesistente.

Lo stesso problema è facile che insorga nella situazio- ne analitica stessa. Se il paziente si sente abitualmente imbrigliato nei suoi rapporti umani, quasi sicuramente si sentirà coartato anche dall'analista. Questo diverrà par- te integrante della nevrosi di transfert dell'analizzando. La ragione di ciò è che tutti noi tendiamo a giocare i giochi che siamo abituati a fare. Di conseguenza il pa- ziente sentirà che l'analista esercita su di lui un'azione costrittiva. In ciò sta la ragione più importante per evi- tare qualunque coercizione nell'analisi; ed in verità que- sto è anche il motivo per cui insisto che l'analisi non può essere altro che una psicoterapia autonoma.

Se l'analista stabilisce regole resltrittive, come soste- neva Freud, egli non può mostrare al paziente la differen- za fra transfert e realtà; e come lo potrebbe, se in effet-ti non v'è alcuna differenza? Viceversa, sarà possibile per il paziente rendersene conto se la situazione analitica è contrattuale e libera da coercizioni. I1 rapporto analitico in tal modo non solo fornirà le condizioni necessarie per un certo tipo di esperienza istruttiva, ma offrirà anche un modello di rapporto autonomo, non coercitivo.

L'etica del rapporto analitico si evidenzia in quello che accade fra l'anallista e l'analizzando. Ciò che distingue quest'impresa da altre consimili è che, sebbene l'analista cerchi di aiutare il suo cliente, "non si prende cura di lui". E' il paziente a prendersi cura di se stesso. Inoltre, l'analizzando si rende conto che "ci si aspetta che lui guarisca", ma non in senso medico o psicopatologico bensì in senso puramente morale, apprendendo di più su se stesso e assumendosi maggiori responsabilità circa la sua condotta. Egli impara che solo la conoscenza di sé,

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un impegno e un agire responsabili 10 renderanno libero. Insomma, la psicoterapia autonoma è una reale dimo- strazione su piccola scala della natura e delle possibilità dell'etica dell'autonomia nelle relazioni umane.

L'analista si comporta in maniera autonoma e respon- sabile, subordina se stesso ai termini di un contratto, sen- za riguardo della conseguente condotta del paziente, ed evita di limitarlo in qualunque modo. In queste condizio- ni, ad paziente avrà un'opportunità di liberarsi da quelle costrizioni che gli impediscono di divenire la persona au- tonoma e autentica ch- egli desildera essere.

Il mandato morale della psicoanalisi

Faccio rilevare che il mandato originale della psico- analisi era di aiutare l'individuo malato nella lotta non solo contro la sua malattia ma anche contro quelli che, con la loro condotta, erano causa della sua infermità. Un aneddoto, tratto dalla vita di Freud, illustra e suffraga questa tesi.

Un giorno, racconta Freud," il SUO amico e collega più anziano, Chrobak, gli chiese di prendere in cura una sua paziente, alla quale egli non poteva dedicare abbastanza tempo. Quanldo Freud arrivò, trovò che la paziente sof- friva di "attacchi di ansia ingiustificati, chc si calmava- no solo informandola esattamente sul luogo dove si tro- vava il suo medico in ogni momento del giorno". Più tardi, Chrobak disse a Freud che l'ansia della paziente era do- vuta al fatto di essere ancora vergine, malgrado fosse spo- sata da 18 anni. I1 marito era impotente. In questi casi - disse Chrobak - non c'era nulla da fare per un medico se non proteggere quella disgrazia familiare con la sua re- putazione e rassegnarsi se la gente, alzando le spalle,

8 Sulla storia del movimento psicoanalitico (1914), The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, Hogarth Press, Lodon 1957, vol. XIV.

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avrebbe detto di lui: "Non è un buon medico se dopo tanti anni non è riuscito a curarla" m.

In altri termini, accettando la moglie come malata mentale, il medico sosteneva l'immagine pubblica del marito, immagine di uomo normale e capace. Freud era indignato. Ancora una volta si scontrava con l'evidenza che i suoi colleghi sapevano che la causa dell'isteria era la chose genitale ... toujours, toujours come diceva Chamt. L'krnediata replica di F r e d fu: u Ma allora perché non lo dicono? n. I1 motivo era ovvio: i medici non erano gli agenti del paziente; di conseguenza, perché mai avrebbero dovuto "dirlo"? Sarebbe stato economica- mente e professionalmente imprudente per essi agire in tal modo e altrettanto lo sarebbe al giorno d'oggi. Ho di- scusso questo problema altrove. Qui sarà sufficiente no- tare che non appena Freud e i primi Freudiani rivendica- rono moralmente un certo tipo di attività psichiatrica essi l'abbandonarono. Forse questa è una affermazione troppo severa. E' evidente che essi non si resero conto abbastan- za chiaramente di cosa distingueva il loro lavoro dai ten- tativi degli altri psichiatri.

All'inizio, gli psiconalisti ritennero che il loro tratto distintivo consistesse nel lavoro con "l'inconscio". Stan- do così le cose, lo si poteva studiare su psicotici chiusi nei manicomi o su prigionieri confinati nelle carceri, non soltanto su pazienti volontari nello studio dell'analista: da qui la perdita del precetto morale.

Più tardi, invece, si pensò che il tratto distintivo ri- siedesse nel lavoro con il "transfert" e la "resistenza". Ma anche questo poteva essere studiato in situazioni di ogni genere: ancora una volta perdita del mandato mo- rale.

Finalmente arrivò, e tuttora permane, la catastrofe del training psicoanalitico. Gli psicoanalisti anziani, modelli nella loro professione, divennero analisti didatti. In que- sto ruolo essi abbandonarono perfino la pretesa di essere

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gli agenti dei loro candidati-pazienti e, per citare una felice espressione di C. Wright Mill, divennero invece al- legri automi al servizio della élite del potere analitico. In poche decadi, gli psicoanalisti avevano compiuto un ciclo completo. Freud era indignato che il medico profes- sionista viennese ottenesse alcuni dei suoi successi sociali sacrificando gli interessi del paziente isterico; eppure, mentre era ancora vivo e con molto maggior fervore più tardi, gli analisti didatti acquistarono e seguitano ad ac- quistare riconoscimenti professionali mettendo a repen- tagljo gli interessi dei loro candidati-pazienti.

Questa, in tre brevi paragrafi, la storia del fallimento di una idea liberatrice. Tuttavia, correggendo i nostri er- rori, è forse ancora possibile far rivivere la psicoanalisi come psicoterapia individualistica e umanistica. I falsi pregiudizi medici e istintuali sulla psicoanalisi non deb- bono ulteriormente preoccuparci. Rimangono soltanto da chiarire alcune considerazioni politico-mordi.

Psichiatria per l'individuo o per la comunità?

La tendenza oaratteristica assunta da Freud nella sua pratica psicoterapica fu, come ho suggerito, di considerare se stesso il rappresentante del paziente. In questo modo egli cercò di fare quanto era in suo potere per il singolo paziente, ripudiando i suoi obblighi verso la famiglia del paziente stesso e verso la società. Evidentemente sen- tiva di non poter fare giustizia a entrambe le parti, dato che ambedue erano assai spesso in conflitto. Dovette inol- tre credere che la famiglia e la società non fossero indi- fese: se avessero avuto bisogno di aiuto, lo avrebbero cercato e ottenuto per conto loro.

Questo è, naturalmente, un dogma fondamentale del- l'etica democratica liberale e, più specialmente, dell'etica dell'autonomia. Quando c'è un conflitto fra due o più parti, le diversità vanno apertamente riconosciute; ognu- na delle parti dovrebbe avere libero accesso all'aiuto dei

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suoi rappresentanti in modo da promuovere i propri inte- ressi e il proprio benessere; da ultimo, quelli che sono coinvolti nel codlitto (sia come partecipanti di primo pia- no sia come soccorritori) non dovrebbero esserne anche gli arbitri.

Non deve sorprenderci che questi principi siano cam- pletamente ignorati da tutte le moderne scuole di tratta- mento psichiatrico: terapia ambientale, terapia famiglia- re, terapia di gruppo - queste e molte altre pratiche ten- tano di raggiungere l'impossibile, vale a dire di "aiutare" il paziente e allo stesso tempo !di "rendere giustizia" alla famiglia, ai suoi amici, ai datori di lavoro e al governo. Non ritengo sorprendente questo sviluppo, dato che gli stessi analisti hanno fallito nel tenersi saldi a quello che ho chiamato il loro mandato morale. Freud stesso parlò fiduciosamente di un futuro in cui una richiesta per « l'ap- plicazione su larga scala della nostra terapia ci costrin- gerà ad amalgamare l'oro puro dell'analisi con il rame della suggestione diretta ». In tal modo si realizzerà una "psicoterapia per tutti", vale a dire per il "povero" e 1' "ignorante"; qualcosa di adatto « al trattamento di una considerevole massa di popolazione »? Ma che genere di terapia o di aiuto è necessario a "una considerevole mas- sa di popolazione"?

La gente povera ha bisogno di lavoro e di denaro, non di psicoanalisi. L'ignorante ha bisogno di istruirsi e di- ventare abile, non di psicoanalisi. Inoltre, il povero e l'ignorante sono spesso privi di diritti politici e social- mente oppressi; in tal caso, ciò di cui hanno bisogno è libertà dall'oppressione. I1 tipo di libertà personale che la psicoanalisi promette può avere significato solo per quelle persone che beneficiano in larga misura di libertà economica, politica e sociale.

Awicinandoci alla seconda metà del XX secolo, trovia-

9 Lines of advances in Psyco-Analytic Therapy (1919), The Standard Edition, vol. XVII, pp. 167-168.

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mo psichiatri che cercano di offuscare e persino di can- cellare il conflitto fra l'individuo ed il gruppo, conflitto che i primi analisti affrontarono così coraggiosamente. I nuovi termini psichiatrici - "psicoterapia di gruppo", "te- rapia della famiglia" e, più recentemente, "psichiatria co- munitaria" sono sintomi di una tendenza infausta. Senza dubbio le famiglie, i gruppi e la comunità, tutti hanno il diritto, in una società libera, di perseguire i propri va- lori e i propri fini.

Ma non inganniamoci da noi stessi. La psichiatria ha sempre servito gli interessi della famiglia, dei gruppi e della comunità. Quando gli ammalati mentali erano esi- liati in manicomi fuori mano per restarvi in deposito sino alla fine dei loro giorni, questa era un'iniziativa della comunità, era ciò che la comunità e non gli ammalati vo- levano. Se oggi la comunità ha maggiori scrupoli riguar- do certe cose e vuole che "ci si prenda cura" dei malati in modo più elegante, rimane il fatto che è ancora il desiderio della comunità e non quello del singolo pa- ziente che prevale in questo tipo di imprese psichiatriche. Dietro le porte non chiuse a chiave, ma ben sorvegliate, degli "ospedali aperti", ci sono ancora pazienti involon- tari, privi di protezione legale e tenuti tranquilli in una totale sottomissione. Che psicoanalisti facciano questo genere di lavoro e pretendano di servire le necessità del paziente ha solo mascherato il problema in modo più efficace; non lo ha affatto risolto.

In realtà, nel contesto del moderno stato assistenziale, la psichiatria comunitaria promette di avvicinare sempre più il giorno in cui, come è stato opportunamente detto, ognuno si occuperà di qualoun altro, ma nessuno si pren- derà cura di se stesso.

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L'IDENTITA' PROFESSIONALE DELLO PSICOTERAPISTA

Che genere di esperto lo psicoterapista?

Il modello medico della psicoterapia

Finché applicheremo la struttura concettuale di malat- tia e (di terapia alla psichiatria e alla psicoanalisi, dovre- mo considerare le nevrosi e le psicosi come malattie e i metodi per infl~uemanle come cure. In quanto medico, si ritiene che lo psichiatra possieda numerosi mezzi e capa- cità terapeutiche, ognuna adatta ad alleviare un partico- lare disturbo. Infìne, come in medicina, si ritiene che il trattamento psichiatrico dipenda dalla natura e dalla cau- sa della malattia del paziente.

In conformità a questo modello medico, è comune- mente accettato che le varie malattie mentali richiedano diversi metodi di trattamento. Su questo punto concor- dano tutti i moderni testi di psichiatria e di psicoanalisi. Respingo come falso questo punto di vista: esso è l'esten- sione del mito della malattia mentale all'area della psico- terapia. Vediamone la prova.

In medicina (non psichiatrica) la specializzazione è ba- sata principalmente sulla divisione del corpo umano in

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parti o funzioni. Ci sono quindi esperti in cardiologia, in dermatologia, in ginecologia, ematologia, medicina inter- na, neurologia, proctologia, urologia e così di seguito. Ogni specialista tratta, come regola, solo pazienti afflitti da certe malattie: comunque, egli esamina e tratta il pa- ziente con una varietà di metodi che includono le medici- ne, i raggi X e la chirurgia. Apparentemente, anche la spe- cializzazione in psichiatria poggia su una base di questo genere; in realtà le cose vanno diversamente.

Se lo psichiatra è uno specialista medico, quale strut- tura o funzione dell'organismo umano è il suo campo, la sua area (di competenza specifica? La risposta deve essere: la mente e il comportamento. Ma è )la "mente" un organo come il cervello o il cuore? E il comport'amento umano è "una funzione", come il metabolismo del glucosio o l'ematopoiesi? Se rispondiamo affermativamente a 'que- ste domande, ci impegniamo moralmente e filosdicamen- te a considerare gli esseri umani come macchine e quindi a trattare le persone come cose.

Questo punto di vista va respinto non solo per ragio- ni etiche. Risulta chxe è altresì falso. La "mente" è una astrazione che ci aiuta a descrivere certe esperienze uma- ne, in particolare l'esperienza della coscienza di noi stessi. Anche se abbiamo un concetto chiamato "mente" non ne consegue necessariamente che esilsta un oggetto fisico o un'entità biologica con questo nome. Credere questo, e quindi trattare la mente come un "organo", equivale a commettere ''un errore ldi categoria"? Andare oltre e con- siderare la psichiatria come lo studio e il trattamento delle "menti ammalate'' è trasformare un errore di cate- goria relativamente semplice in un grandioso sistema di errori di categoria.

Concludendo, lo psicoterapista osserva persone, non menti. Senza dubbio la gente è spesso infelice e sfortuna-

1 Vedere GILBERT RYLE, The Concept of Mind, Hutchinson's University Library, London 1949.

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ta; tuttavia se per queste ragioni decidiamo di chiamarli "malati", usiamo un linguaggio metaforico e retorico e parliamo come il poeta o il politico, non come il medico o lo scienziato. Perciò 10 psicoterapista non "cura" ma- lattie psichiche, ma ha rapporti e comunica con un suo simile.

Le realtà sociali relative alla psicoterapia sono con- formi a questi punti di vista e illustrano, in maniera piut- tosto drammatica, cane i concetti mitologici della psi- chiatria contemporanea conducano una vita propria: essi sono, in altri termini, utili solo come silmboli istituzionali, non come strumenti.

Qual è l'attuale base della specializzazione in psichia- tria? Nella psichiatria americama oontemporanea ci im- battiamo in varie "scuole" di psichiatria e psicoterapia: freudiana, adleriana, junghiana, scuole esistenziali e così via. Ognuna si distingue per il metodo che usa (e implici- tamente per i metodi che esclude), non per i tipi di ma- lattie mentali che tratta. Malgrado le asserzioni degli ideo- logi della psichiatria, la maggior parte degli psicoterapi- sti è esperta nell'uso di una tecnica particolare. Sebbene i loro clienti abbiano una varietà di difficoltà personali, tutti vengono trattati in modo più o meno simile. Quindi gli psicoterapisti sono - come implica il loro nome - specialisti in un metodo di influenza personale. A questo riguardo, essi differiscono dagli specialisti medici che sano esperti in un particolare gruppo di malattie (ad esem- pio, il dermatologo o l'oftalmologo), ma rassomigliano invece a coloro che sono esperti in una tecnica partico- lare (ad esempio il radiologo o il chirurgo).

Lo psicoterapista come specialista in una tecnica

La tesi che lo psicoterapista è specialista in una tecni- ca, merita particolare rilievo. Per quanto sia un'asserzio- ne semplice e non controversa, se considerata a fondo essa ha conseguenze insospettate e di grande portata.

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Anche se lo psicoterapista assomiglia per certi aspetti a esperti di altre tecniche terapeutiche, al tempo stesso si differenzia da essi. Per esempio, l'essere un radiologo o un chirurgo richiede non solo abilità personale ma an- che l'uso di una speciale attrezzatura (ad esempio appa- recchi radiografici, radioisotopi, apparecchiatura per ane- stesia, incisione e sutura, e cosi via). In breve, questi specialisti sono esperti nell'uso di tecnologie mediche.

Se lo psicoterapeuta è anche specialista in una tecnica, che specie di tecnica è questa? E' chiaro che i81 suo me- todo è completamente non tecnologico; non usa medici- ne o strumenti e neppure ha contatti col corpo del pa- ziente. Le tecniche psicoterapeutiche utilizzano tre atti- vità, strettamente connesse tra di loro: la comunicazione verbale, la comunicazione non verbale, e la stipula o la inadempienza di contratti o promesse. In altre parole, la speciale abilità dello psicoterapista sta nella sua perizia nel condurre il rapporto coi pazienti. Egli non usa ap- parecchiature speciali, a meno che non si consideri la personalità del terapista come uno strumento. Di fatto, questa equivalenza fra "persona" e "strumento" indusse Freud a ritenere che ogni psicoanalista debba essere ana- lizzato. Ma se troppo insistente, l'analogia fra oggetto e persona diventa in verità ingannevole.

I1 dilemma dell'esperto non tecnologo

Lo psicoterapista è uno scienziato?

Freud sosteneva che la psicoanalisi era una scienza; come ricerca sulla personalità umana, era scienza pura: come terapia, scienza applicata. E' giusto o falso questo punto di vista?

E' difficile rispondere a questa domanda senza aver prima definito le parole "scienza" e "scientifico". Ai gior- ni nostri, questi termini hanno assunto un significato lar-

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gamente valutativo; quando definiamo qualcosa "scienti- fico" vogliamo dire che è esatto, effettivo, buono, onesto, razionale o attendibile. Simultaneamente, questi termini hanno perduto il loro sostanziale significato. Stando così le cose, è naturale che gli psicoanalisti pretendano di es- sere scienziati. Ogni professione contemporanea, che non sia basata sull'arte, la si considera basata sulla scienza. I1 moderno professionista è costretto a questa rivendica- zione perché, se il suo lavoro fosse qualificato come non scientifico, gli verrebbe addossata un'identità di valore negativo. Solo quando torneremo al significato originario della parola "scienza" e penseremo ad essa come descri- zione di una attività piuttosto che came giudizio, allora sarà ragionevole chiedersi se lo psicoanalista è uno scien- ziato.

La scienza come possesso di capacità strumentali

In generale una persona è considerata un esperto se possiede una particolare abilità nell'uso di strumenti o tecniche speciali. (Non faccio distinzione qui fra scien- ziati e tecnici). Questo è il fondamento della distinzione basilare tra ruoli e status strumentali e ruoli e status isti- tuzionali: i membri del primo gruppo hanno uno speciale rapporto con gli "strumenti", quelli del secondo con le "istituzioni". Ad esempio, falegnami e neurochirurghi pos- siedono capacità strumentali e occupano posizioni stru- mentali; re e sacerdoti non posseggono tali capacità e il loro ruolo è istituzionale.

Questa concezione del molo tecnico-scientifico mette il terapeuta psicoanalista in un particolare dilemma. Che tipo di esperto è egli? Che genere di abilità strumentale possiede? Batteriologi, chimici e fisici non hanno questo problema; essi sono abili nell'uso di speciali strumenti di osservazione e di misura. C'è qualcosa di paragonabile nel lavoro dell'analista? A mio avviso, nulla. L'analista ha particolari abilità ma esse sono affatto non tecnologi-

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che; e in quanto all'attrezzatura speciale, l'analista non ne ha bisogno e non ne usa alcuna.

Si potrebbe obiettare che gli strumenti dell'analista sono il divano e la libera associazione. Poiché un carattere di strumentalità scientifica è spesso attribuito a questi due aspetti del processo analitico, sarà utile chiarirne le origini e le funzioni.

Le origimi storiche del setting analitico

I1 divano analitico è un residuo dei giorni in cui lo psicoterapista impersonava un guaritore medico-spiritua- le che curava il paziente mettendolo in uno stato di trance. I1 paziente doveva addormentarsi; poiché non è possi- bile dormire in posizione eretta, I'ipnotista faceva quindi sdraiare il paziente su un lettino.

Senza dubbio Freud trovò conveniente I'uso del divano che lo proteggeva dall'essere squadrato, giorno dopo gior- no, da una serie di pazienti; a tale scopo è tuttora utile. Inoltre, Freud considera utile il divano anche perché riteneva che facilitasse il "flusso" della libera associa- zione. Per mio conto, comunque, ritengo che a prescinde- re dal significato che esso assume per il paziente e dal fatto che l'analista esiga o meno al cliente di adottare la posizione sdraiata, 1Uso del divano può sia favorire che ostacolare la libera comunicazione tra analizzando e ana- lista.

Anche la posizione dell'analista deriva dalla situazione ipnotica. L'ipnotizzatore stava dietro al paziente, in piedi o seduto. Egli appoggiava le mani sulla fronte del sog- getto o usava un piccolo oggetto, come una moneta o un orologio, sul quale invitava il soggetto a fissare la sua attenzione. Scopo di queste manovre era distrarre il pa- ziente da certi stimoli, inclusa la presenza fisica dell'ipno- tizzatore, e aiutarlo a concentrarsi sulla comunicazione verbale di quest'ultimo. Era quindi necessario che il sog- getto non fosse in grado di osservare l'ipnotizzstore. Ci6

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si otteneva in parte ,istruendo ,il soggetto a chiudere gli occhi, in parte sistemandolo in modo 'da impedirgli di vedere l'ipnotizzatore. L'abituale assetto analitico, l'ana- lista su una sedia bassa dietro la spalliera del divano, in modo da non essere visto dal paziente a meno che questo ultimo non si metta a sedere o giri la testa, è quindi un altro residuo della situazione ipnotica.

La cosiddetta regola fondamentale dell'analisi, vale a dire la regola che il paziente debba associare liberamente, deriva anch'essa da una precedente procedura. Josef Breuer scoprì l'eziologia dell'isteria e il suo trattamento ascoltando le espressioni verbali di una giovane. Egli e Freud chiamarono ciò "metodo catartico", a designare l'idea che la cura consistesse in una specie di "pulizia" dai ricordi traumatilci. Queste noxe, concepite in analogia col pus, sono eliminate non attraverso fistole nella pel- le, ma attraverso parole sgorgate dal'la bocca del paziente.

Quando Freud cominciò a lavorare da solo, considera- va le parole del paziente il "materiale" col quale l'analista lavora. Come l'ematologo richiede dal sangue così l'ana- lista chiede al suo paziente di fornirgli parole. E' così che la regola della libera associazi~one divenne operante.

Mi auguro che questi commenti aiutino a collocare certi aspetti quasi-strumentali della psicoanalisi nellla lo- ro prospettiva storica. Come illustrerò più avanti, il di- vano e la libera associazione non sono strumenti, né tanto meno sono necessari per condurre un'analisi.

Pseudostrumentalismo in psicoanalisi

Sfortunatamente i primi psicoanalisti non misero mai in discussione l'idea che ogni specialista medico che si rispetti debba essere esperto nell'uso di un certo specia- le. strumentario. Freud stesso incoraggiò questa nozione asserendo che lo psicoanalista usava il divano e la libera associazione così come il medico usa lo stetoscopio e l'oftalmoscopio. Sebbene falsa, quest'idea è stata larga-

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mente accettata. Oggi, né gli analisti né i profani sembra- no sicuri di cosa sia il divano, uno strumento necessario o un simbolo istituzionale. Ne sono la prova le vignette che mostrano analisti alle prese coi loro lettini piuttosto che con i loro pazienti. Ne ricordo una che mostrava due uomini con la borsa da medico che guardavano un terzo che trasporta un divano sulle spalle: « Sta facendo una visita a domicilio » era la didascalia.

Eppure sarebbe un errore biasimare Freud. Sebbene sostenesse l'uso del lettino, non lo considerò indispensa- bi'le. Freud fu un uomo intrepidamente onesto; egli rifug- giva dalle finzioni e dagli artifizi. Tuttavia, a misura che la psicoanalisi riscuoteva successo e rispettabilità sociale, essa dovette soccombere sempre più allo pseudostrumen- talismo. Questa situazione è andata talmente avanti che oggi, ai candidati degli Istituti di Psicoanalisi, che ma- gari sono psichiatri autorizzati, spesso si proibisce di met- tere i loro pazienti - incluso quelli privati - sul divano, fintanto non abbiano il permesso dell'analista didatta o della commissione d'insegnamento. Ciò dovrebbe provare, suppongo, che il divano è uno strumento delicato, non diversamente dal bisturi del chirurgo, 'da non fidarsi a lasciarlo usare da un principiante.

Sfortunatamente, il divano e la libera associazione fu- rono solo i primi di una lunga serie di pseudostrumenti psicodiagnostici e psicoterapici. Concependo la persona e il corpo negli stessi termini, come oggetti da esaminare e curare, gli psichiatri e gli psicologi hanno ideato di- versi artifizi apparentemente per la diagnosi e per il trat- tamento della personalità umana. Molti di questi sono stati largamente accettati, in buona fede, come strumenti scientifici.

Esempi dei primi sono strumenti "diagnostici" come il test di Rorschach (ideato da uno psichiatra a orienta- mento psicoanalitico) e altri tests proiettivi e di perso- nalità; tra i secondi certi arricchimenti dell'armamenta-

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rio terapeutico dello psicoterapista e perfino dello psico- analista, come l'ipnoanalisi e la narcoanalisi, nonché l'uso dei moderni psicofarmaci, al fine di facilitare la psico- terapia. Infine, la pseudostrumentalizzazione ha raggiun- to il suo vertice con i recenti tentativi di usare magneto- foni, cineprese e complicate misure di processi fisiologici sia del paziente che del terapista, per registrare la reci- proca azione terapeutica.

Considero tutte queste invenzioni degli pseudostru- menti. I1 loro uso fa si che l'esercizio della professione rechi il marchio dello scientismo e non della scienza. Con questo non voglio dire, ad esempio, che il test di Rorschach o il Thematic Apperception Test siano inutili, ma piuttosto che la loro utilità è o insignificante o im- morale.

Molti tests psicologici - e specialmente i tests proiet- tivi - sono insignificanti perché, a prescindere da ciò su cui due persone discutono, l'incontro sarà informativo per entrambi i partecipanti. La domanda non è, quindi, se il test di Rorschach può essere utilizzato per trarre informazioni, ma se informazioni ugualmente valide e in- teressanti possono essere ottenute senza di esso, conver- sando semplicemente col cliente,

L'immoralità dei tests psicologici, almeno in certe si- tuazioni, è stata oggetto di adeguata considerazione negli ultimi anni? L'esecuzione di test non può avere aIcun po- sto nella terapia psicoanalitica, neppure come preliminare a tale terapia. La ragione è che l'essere assoggettato a tests psicologici per il cliente significa di solito che la sua "mente" verrà esplorata; che si otterranno "informa- zioni" che solo lo specialista potrà interpretare m e t t a - mente; e infìne che i risultati del test gli saranno nascosti o comunicati in base al parere dell'esperto il quale giudi- cherà se tale comunicazione gli sarà utile o dannosa. Quin-

2 Vedere MARTIN L. GROSS, The Brain Watchers, Random House, New York 1962 e BANESH HOFFMAN, The Tyranny of Testing, Macmillan, New York 1962.

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di, indipendentemente dal fatto che il cliente sia d'accordo o meno nel sottoporsi ai test, la situazione stessa del test, al pari della situazione ipnotica, tende a porre l'esecutore del test nel ruolo dell'esperto che manipda e il cliente nel ruolo (del soggetto che viene manipolato. Questo tipo di rapporto è, naturalmente, l'antitesi dei principi e degli scopi della psicoterapia autonoma.

A mio avviso, lo strumentarismo in psicoterapia serve solo uno scopo: di consacrare come attività scientifica quello che è sentito "solo" come incontro umano. Questo è un atteggiamento denigratorio sia per lo psicoterapista che per la saienza. Inldica che mul'ti studiosi dell'uomo credono tuttora che per studiare scientificamente gli esse- ri umani e i loro rapporti debbano prima di tutto preten- dere di essere "scienziati". Ma cosa vogliamo dire affer- mando che uno è scienziato? Certamente non che costui intenda farsi passare per tale.

Lo studio corretto degli incontri umani. Qual è, dunque, il primo obbligo dello scienziato? Ho

dimostrato che per essere uno scienziato puro non è cuffi- ciente rassomigliare a un fisico, come per essere uno stu- dioso di scienze applicate non è sufficiente rassomigliare a un medico. I1 dovere principale di uno scienziato è di essere onesto.

Come ogni altra cosa esistente, gli esseri umani e i loro i'ncontri possono essere osservati in modo accurato o inesatto e descritti con onestà o fraudolentemente. All'ini- zio, la psicoanalisi fu un tentativo serio e riuscito di dare un onesto contributo allo studio scientifico dell'uomo. Se uno psicoanalista vuole essere uno scienziato, deve continuare ad essere sincero con se stesso, su ciò che fa e perché lo fa. Questo implica che l'analista non può ac- cettare nulla, specialmente riguardo allo strumentario ana- litico, per il suo valore nominale, perché lo ha detto Freud o in conformità alle pressioni istituzionali della sua pro- fessione.

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Sarà utile sottolineare maggiormente le differenze tra medico e psichiatra. I1 compito del medico richiede che si occupi dei fattori fisici o causali e che tratti i11 paziente, almeno in parte, come un oggetto. I1 compito dello psi- ohiatra esige che si occupi di ciò che è psicologico ed esi- stenziale e che tratti il cliente come una persona. Lo psicoterapista non fa nulla al paziente né impiega alcun metodo su di lui. L'uso dei verbi transitivi per descrivere cosa succede fra terapista e paziente, o è un errore o non è psicoterapia autonoma. Dello psicoanalista si può dire quindi che ascolta il p'ziente, che parla con lui o che intavola con lui un certo tipo di rapporto contrattuale; ma non si può dire con proprietà che cura il paziente.

La mia cmlusione è che lo psicoanalista è un esper- to, o uno specialista scientifico, anche se non ha un'at- trezzatura speciale. Non ne usa alcuna perché non ne ha bisogno. Le sue particolari capacità sono l'autodisciplina e la conoscenza di se stesso, l'atteggiamento critico e di ricerca e l'attitudine a capire e a decodificare le comunica- zioni del paziente e il significato della sua "malattia men- tale''.

L'analista deve creare un rapporto formale o profes- sionale col cliente, in cantrapposizione a un rapporto in- formale o amichevole. Per questo, uno studio professiona- le è il primo e principale requisito. La tradizionale siste- mazione analitica - il paziente disteso sul divano e l'ana- lista seduto dietro di lui o per lo meno al di fuori della sua visuale - può essere utile ma non è un requisito. In quanto alla libera associazione, si tratta di un concetto ingannevole; essa Iion è necessaria per il genere di cose che ci si attende che il paziente riveli su se stesso.

Poiché il trattamento psicoanalitico è un'impresa che coinvolge persone (e niente altro), possiamo considerare il setting analitico alla stregua di un apparato usato in un esperimento fisico. In psichiatria le cose sono più semplici che in fisica perché non v'è bisogno di dispositivi

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speciali per compiere delle osservazioni; eppure sono an- che più complicate poiché le situazioni non possono es- sere giudicate dalle apparenze. Come dovremo giudicarle allora? E' necessario considerare le situazioni non solo per quello che sono ma anche come si sono prodotte, da chi sono state prodotte, e cosa significano per i presenti. Questo, come vedremo più avanti, è particolarmente vero nella situazione analitica.

La tecnica psicoterapeutica e la personalith del terapista

La malattia somatica è qualcosa che il paziente ha, mentre "la malattia mentale" è qualcosa che il paziente è o fa. Se la nevrosi e la psicosi fossero malattie come la polmonite o il cancro, sarebbe possibile a una persona avere una nevrosi e una psicosi e soffrire di entrambi i disturbi simultaneamente. Ma le regole standard del lin- guaggio psichiatrico rendono assurdo il sostenere una dop- pia "diagnosi". In realtà usiamo le parole "nevrotico" e "psicotico" per caratterizzare persone e non per indicare malattie. Quindi non possiamo dire che una persona è nevrotica e psicotica, così come non si può dire che uno è ricco e povero. E' possibile però dire che una persona è nevrotica, povera e inoltre buon poeta, o che una per. sona è psicotica, ricca e politicamente abile.

Sostengo che ciò che è valido per la nevrosi lo è anche per la psicoterapia: in ogni caso, il comportamento Indi- viduale va visto come espressione dell'intera persona e non come un pezzo frammentario del suo comportamento separato e alieno dall'identità dell'attore.

La tecnica psicoterapeutica come caratteristica personale del terapista

La mia tesi è che la pratica della tecnica analitica na- sca dailla personalità dell'analista e non possa mai essere

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distinta da questa. In tal senso, la tecnica dell'analista differisce radicalmente dalle tecniche medico-terapeutiche ed è invece simile a qualità personali come l'onestà e l'educazione.

Alla persona educata riesce difficile essere scortese, la persona onesta trova difficile mentire. Allo stesso modo lo stile o la tecnica dello psicoterapista è una caratteri- stica personale, indicativa del tipo di persona che egli è; non è qualcosa che può prendere o scartare a suo piaci- mento. Lo psicoterapista che preferisce essere eteronomo, sarà più o meno direttivo con tutti i suoi pazienti, indi- pendentemente dai loro desideri o bisogni, mentre lo psi- coterapista che desidera essere autonomo, sarà più o meno analitico e non-direttivo con tutti i suoi clienti.

In altre parole la tecnica psicoterapeutica ha origine dalla personalità del terapeuta e diviene parte di essa. Pertanto il terapista non può essere più flessibile nei suoi confronti di quanto non lo sia riguardo alle altre sue abitudini personali.

Questo punto di vista comporta conseguenze sorpren- denti. Se vero, lo psicoterapista non può sostenere la frequente pretesa che egli sceglie fra varie tecniche psico- terapeutiche a seconda delila particolare diagnosi fatta al paziente. Questa è una semplice applicazione del mo- dello medico alla psicoterapia: per ogni malattia c'è una terapia specifica. Ma se la psicoterapia è quella che io sostengo, allora la pretesa di uno psicoterapista gene- rico è un inganno pretenzioso; egli non può diagnosticare difficoltà umane in poche interviste, né tanto meno può offrirsi come strumento terapeutico polivalente.

Sto io, 'dunque, recisamente negando che alcuni terapi- sti possano essere in grado di adattarsi ai vari "bisogni" dei diversi clienti e offrim-terapie le più varie a pazienti diversi? Non è possibile rispondere a questa domanda con un semplice si o no. Cerchiamo prima di distinguere tra simulazione e autenticità nelle relazioni umane.

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Se un individuo è una persona, può avere solo una personalità. 0, per dirlo diversamente, se una persona è se stessa (come abitualmente ci si esprime) il suo stile di comportamento è più o meno coerente. (Naturalmen- te, questo non vuol dire che la personalità di un indivi- duo non possa cambiare gradualmente o anche hprowi- samente dopo una crisi esistenziale). Tuttavia, sebbene una persona possa essere se stessa in un solo modo, essa può simulare di essere quallcun altro in molti modi. Di conseguenza, se è vero che un uomo può avere solo una individualità autentica (può naturalmente non averne af- fattto), tuttavia può assumerne diverse altre, In effetti, l'in- dividuo eteronomo si fa una virtù di essere una cosa di- versa con ogni persona; egli è una persona diversa per il padre, la madre, la moglie, il figlio, il datore di lavoro e così via.

La rappresentazione di un ruolo psicoterapeutico come imitazione

Lo psicoterapista che pretende di operare in maniera flessibile, adeguando la sua terapia ai bisogni del paziente, assume in tal modo una varietà di ruoli. Con un paziente è l'ipnotizzatore che ipnotizza; con un altro, l'amico soli- dale che rassicura; con un terzo, il medico che prescrive tranquillanti; con un quarto, il classico analista che inter- preta e così via. Mdti psichiatri esercitano in questci modo ed è possibile che aiutino alcuni ,dei loro pazienti. Ma il risultato dell'efficacia terapeutica, misurato secon- do i criteri tradizionali, è del tutto irrilevante ai fini di questa discussione. I1 punto è che lo psicoterapista eclet- tico è, il più sovente, l'interprete di un ruolo; egli indossa una varietà di abiti pxicoterapici ma non ne possiede alcuno e generalmente non si sente a suo agio in nessuno di essi. Anziché essere esperto in una molteplicità di tec- niche terapeutiche, egli soffre di ciò che, con Erikson, possiamo considerare « una diffusione dell'identità pro-

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fessionale D? In conclusione, i'l terapista che cerca di es- sere tante cose per tanta gente diversa, può essere niente per se stesso; egli non è d'accordo con nessun particolare metodo di psicoterapia. Se si imbarca in una psicotera- pia intensiva, è probabile che il suo paziente si accorga di tutto ciò.

L'identità psicoterapeutica autentica

In contrasto col terapista da cui i'dentità professio- nale è "diffusa", esiste il terapista dell'identità ben defi- nita e costante. Ai nostri fini attuali, non importa quale terapica egli pratichi. Ciò che importa è che essa non sia una maschera o una interpretazione, ma un'espressione della sua vera personalità; in altre parole che il suo stile terapeutico e il suo stile personale siano fondamental- mente simili (naturalmente, ciò non significa che non vi siano sostanziali differenze tra i rapporti dello psicoana- lista coi pazienti e quelli coi suoi amici).

E' opportuno ricordare a questo punto che Freud ab- bandonò l'uso delle correnti faradiche deboli nel tratta- mento delle nevrosi, non solo perché non erano efficaci ma perché non poteva sopportare la frode in esse ilmpli- cita. Allo stesso modo scartò l'ipnosi, non solo perché non dava risultati soddisfacenti, ma perché si rese conto che la sua personalità non si adattava ad essa; il ruolo autoritario e intrusivo dell'ipnotizzatore non era fatto per lui. Nello sviluppare il metodo di cura psicoanalitico, Freud segui le proprie esigenze, non quelle dei suoi pa- zienti; egli pretese un metodo psicoterapico che fosse inflessibilmente penetrante e veridico.

Le modifiche apportate da Harry Stack Sullivan alla tecnica analitica riflettono le sue esigenze per un rapporto con i pazienti più personale di quanto non fosse possi- bile in analisi. Cullivan era una persona più solitaria e

3 ERIK H. ERIKSON, The Problem of Ego Zdentity, u Journal of The American Psycoanalytic Association n, IV (1956), 56-12.

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più isolata di Freud; usava i suoi pazienti come compagni ed amici molto più di quanto non facessero Freud o i pri- mi freudiani. Ancora una volta questo non significa che la tecnica usata da Sullivan fosse cattiva o inefficace (pro- babilmente per molti schizafrenici era esattamente il con- trario); significa salo che non era psicoanalitica.

Queste tecniche e poche altre sono il prodotto di au- tentiche identità terapeutiche; esse incarnano una chiara dedizione a particolari valori umani. Al pari di Lutero, psicoterapisti come Freud, Adler e Sullivan, dicono: <C Ec- comi, questo è il mio sistema di lavoro e nessun altro D. In larga misura dunque i metodi psicoterapici sono dati autobiografici relativi ai terapisti che li praticano. Questa dello stile terapeutico è una costatazione così ovvia per quanto riguarda i tre grandi pionieri, Freud, Adler e Jung, che ci si può soltanto chiedere come mai sia stata tra- scurata. Ma forse questo fenomeno non è semplicemente shggito; può essere stato negato per confermare l'idea che i clienti sono persone malate che gli psicoterapisti cercano di curare con diversi metodi di trat tament~.~

A causa del persistente influsso del pensiero medico sulla psicoterapia, definizioni esplicite della prassi psico- terapeutica tendono a essere condannate come un inutile rigi~dith. Tecniche psicoterapeutiche specifiche sono in tal modo spesso svalutate, anche dai loro creatori, perché il loro uso è limitato. Persino Freud fu vittima di questo modo di pensare: credeva che la psicoanalisi fosse utile solo per gli isterici e per alcuni altri nevrotici, ma non per i pazienti affetti da depressione o schizofrenia.

Ma qui non c'è posto per un simile tipo di pensiero

4 A mio awiso, queste consideraziani aiutano a dissipare il mistero dei successi di molti sicoterapisti non analitici. Se auten- tici, anche i terapisti antianahci fanno probabilmente meglio di quegli analisti, formalmente accreditati, che si limitano a imper- sonare i loro ruoli terapeutici. Per un ritratto pungente e sati- rico, ma ben disegnato, dello psicoanalista non autentico, si veda la storia delle tribolazioni del "Dr. Blauberman" di LILLIAN ROSS, Vertical and Horizontal, Simon and Schuster, New York 1963.

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quasi medico. L'evidenza suggerisce che quando le varie forme di psicoterapia sono chiaramente identificate, ognu- na attirerà, e quindi sarà utile, solo a una certa classe di persone. Sono convinto che ciò sarà vero, non solo per la psicoanalisi, ma anche per &tre forme di psicoterapia. L'obiettivo di un particolare metodo psicoterapeutico è limitato non tanto dalla natura della "malattia mentale" del cliente, quanto dalla sua educazione, dai suoi interessi e dalla sua scala di valori. Persone diverse, non malattie mentali diverse, richiedono differenti metodi psichiatrici. Poiché gli psicoterapisti non possono adeguare i loro me- todi alle "esigenze" dei loro clienti, l'unica soluzione ra- zionale sta nell'identificare chiaramente i terapisti. I clien- ti saranno allora in grado di trovare terapisti i cui metodi siano compatibili coi loro interessi e i loro criteri. Senza un tale accordo su regole minime di base, non potrà esser- vi un autentico incontro psicoterapico fra cliente e te- rapista.

Il terapista autonomo di fronte al terapista eteronorno

Ci sono molte identità psicoterapiche che sono auten- tiche, ma ve ne è solo una che è psicoanalitica. Cosa di- stingue questo ruolo come identità terapeutica? Per me- glio rispondere a questa domanda, è forse utile contrap- porre il terapista autonomo alla sua controparte, il tera- pista eteronomo.

I1 terapista autonomo è, prima di tutto, un terapista a guidato dal suo intimo m. Egli assume una particolare posizione professionale e decide cosa farà e cosa non farà nel rapporto coi clienti. Questa decisione dipenderà principalmente non da ciò che il paziente desidera, né tantomeno da ciò che il terapista ritiene necessario al paziente, ma piuttosto da quello che il terapista, in quan- to tale, ritiene un'attività professionale adeguata a se stesso. In un senso assai profondo, un simile terapista

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non lo si assume; non lo si potrà comperare né coi soldi, né coi lamenti e con la sofferenza.

I1 terapista eteronomo è, invece, "guidato da fattori esterni". A questo proposito egli si avvicina di più a ciò che è considerato il ruolo tradizionale dello psichiatra; egli "risponde" aile necessità: del paziente, dei suoi pa- renti, della società, insomma di tutti. Ad esempio, se il paziente lamenta di essere triste, lo psichiatra può rispon- dere prescrivendogli "una cura antidepressiva"; se un ma- rito lamenta che la moglie è depressa e potrebbe uccider- si, lo psichiatra può rispondere facendo ricoverare la moglie.

I1 primo dovere di un terapista autonomo è quello di prendersi cura 'di se stesso; con ciò intendo dire che deve proteggere l'integrità del suo ruolo terapeutico. Se fallisce in questo, non potrà "occuparsi" del paziente al quale promette di essere un particolare tipo di oggetto (contrattualmente attendibile). Come cercherò di prova- re, le aspirazioni (del cliente verso l'autonomia possono essere facilitate dal terapista solo se quest'ultimo si com- porta in maniera autonoma verso il paziente. In questo modo egli tende a guidare, ma non tuttavia a forzare, il paziente a comportarsli in forma autonoma. In breve, lo psicoterapista che 'desidera praticare terapia autonoma, non può cercare di dare un senso alla propria vita attra- verso il soddisfacimento dei bisogni terapeutici addotti da altre persone.

I1 terapista eteranomo affronta il suo paziente, e nel suo "paziente" tutti - dagli individui alle famiglie e ai gruppi fino alla società nel suo insieme, come se dicesse: E< Dimmi di cosa soffri. Io ti c u m ò D. Egli si offre come terapista onnicompetente. Se non sa fare qualcosa, al- meno ci proverà (a differenza di alcuni dei suoi "irrespon- sabili" e "rigidi" colleghi i quali ammettono la propria ignoranza e impotenza).

I1 terapista eteronomo troverà quindi la sua voca-

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zione nel cercare di soddisfare le "necessità" dei pazienti (o di altri). Egli tenderà a trovare il significato della pro- pria vita nelle necessità reali o supposte di quelli che lo circondano.

I1 rischio principale di questo tipo di atteggiamento psicoterapeutico è che il terapista proiettwà le proprie esigenze sui pazienti. Quando dice mi prenderò cura di te D, in realtà vuole dire << spero che tu ti occuperai di me D. Un terapista eteronoano tenderà quindi a praticare una terapia anaclitica e non analitica. I suoi pazienti sono probabilmente "molto malati" ed hanno "un bisogno di- sperato di lui". Apparentemente i suoi clienti si appogge- ranno a lui, nascostamente sarà lui ad appoggiarsi a loro; in realtà si appoggeranno l'uno allfaltro, e come lo zoppo che guida il cieco, si "cureranno" vicendevolmente.

Molto tempo fa Freud osservò che uno psicoanalista non deve avere un desiderio troppo forte di "curare". Questa è saggezza. L'identità professionale dello psico- analista (o psicoterapista autonomo) si distingue per l'as- senza di zelo terapeutico o, forse più esattamente, per una sublimazione dello zelo terapeutico. I1 suo ideale è quello di cambiare i pazienti solo per quel che essi desi- derano cambiare. Per lo psicoterapista autonomo, è più importante che il paziente sia libero di scegliere che non 1 fatto che egli scelga di essere sano, ricco o sapiente.

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IL TRATTAMENTO PSICOANALITICO COME EDUCAZIONE

La sernantica della psicoanalisi e della psicoterapia ci ha abituato a vedere il cliente come un "paziente" e l'esperto che lo aiuta come un "terapista". Tuttavia, l'idea opposta, che il cliente in cerca di questa forma di aiuto non è malato e che colui che lo aiuta non è un 'terapista medico, è vecchia quasi quanto la psicoanalisi. Freud non si stancò mai di opporsi agli sforzi di assimilare la psico- analisi a una psichiatria medica. I1 suo giudizio a questo proposito era condiviso non solo da Adler e Jung, tra i pionieri della psicoanalisi, ma anche da altri eminenti psicoanalmisti che li seguirono (ad esempio, Wilhelm Reich, Theodor Reik, Erich Fromm e Rollo May).

Perciò l'asserzione che la psicoanalisi è un'impresa educativa e non medica, non è nuova. Nel 1919, Freud as- seriva che il dovere dell'analista « era di portare a cono- scenza del paziente gli impulsi repressi e inconsci esi- stenti in lui »;l nel 1928 egli ribadì il suo u desiderio di proteggere l'analisi dai medici » (e dai preti);2 e nel 1938

1 Lines of Advance in Psyco-Annlytic Therapy (1919). The Standard Edition of the Complete Psycho2ogicaf Works of Sigmund Freud, Hogarth Press, London 1955, vol. XVII, p. 159.

2 Psychoanalysis and Faith, The letters o f Sigmund Freud and

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alla sine della sua vita, egli scrilsse: « Noi (analisti) ser- viamo il paziente (...) come un maestro e un educatore ».J

Se la psicoanalisi non è unPimpresa medica bensì edu- cativa, ugualmente lo sono altre forme di psicoterapia (nelle quali il terapista non ha contatti fisici col cliente e non usa medicine). Oggi quest'opinione è caldamente accettata in alcuni ambienti e vigorosamente respinta in altri. Dietro il problema scientifico posto da questa di- stinzione sta il problema della lealtà e del potere istitu- zionali di cui non mi occuperò in questa sede. Basanldoimi sulle prove e sui ragionamenti presentati ne Il Mito della Malattia Mentale e altrove: considererò il trattamento psicoanalitico come una forma di educazione.

La domanda si può ora porre in questi termini: se la psicoanalisi è educazione, quali analogie esistono fra essa e altri tipi $i situazioni educative? In questo capitolo cer- cherò di far luce su questo problema offrendo una nuo- va visione dell'educazione e speoialmente dell'insegnamen- to e dell'apprendimento che caratterizzano vari tipi di psicoterapia. Questa analisi sarà basata sdla complessità strutturale della situazione educativa e sul tipo di in- fluenza che il maestro esercita sull'allievo, e costituirà un esempio di sempre più alti livelli di esperienze edu- cative ("psicoterapiche"). Questa classificazione differirà da quelle attualmente in uso in psichiatria poiché queste ultime si basano o sulle intenzioni del terapista (ad esem- pio, psicoterapie esplorative, ricostmttive, di sostegno, ecc.) o sul materiale esaminato nella situazione terapeu- tica (ad esempio, analisi delllEs, dell'Io, del carattere, eccetera).

Oskar Pfister a cura di Heinrich Meng e Ernest L. Freud, Basic Books, New York 1963, p. 126.

3 An Outline of Psychoanalysis (1938), Norton, New York 1949, p. 77.

4 TOMAS S. SZASZ, Human Nature and Psychoterapy, cr Com- prehensive Psychiatry n, I11 (1%2), pp. 268-283, e Psychoanalysis and Suggestion, ibid., IV (1963), pp. 271, 280.

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Gerarchie di apprendimento

I1 tipo più semplice di situazione educativa si esprime nel dare e ricevere informazioni. Ad esempio, se ci si trova in una città straniera si possono chiedere indica- zioni stradali e riceverle, oppure si potrà domandare co- me si dice in francese "uccello" ed essere informati che si dice l'oiseau.

Le caratteristiche di questo tipo di situazione educa- tiva, che definisco "protoeducazione", sono:

1. L'apprendimento è limitato a un tema specifico. I1 viaggiatore che riceve delle indicazioni stradali non apprende nulla su qualsiasi altra zona della città.

2. L'allievo non ha mezzi effettivi per controllare la validità dell'insegnamento al momento in cui lo riceve. La sua scelta si limita ad accettare o respingere I'infor- mazione. Se l'accetta, può provaTe l'esattezza dell'infor- mazione solo seguendo le istruzioni. Saprà di essere stato ingannato solo dopo aver commesso un errore.

I1 metodo d'insegnamento e apprendimento aumenta di complessità quando l'istruttore insegna e l'allievo im- para qualcosa di più che un'indicazione; e l'allievo, dal- l'informazione acquisita, può ancora dedurre altre infor- mazioni. Questo genere di educazione può definirsi "meta- informazione". Se uno è in viaggio e ha bisogno di una meta-informazione, chiederà una carta: geografica; se sta imparando una lingua, chiederà un dizionario e una gram- matica. Le caratteristiche di questa situazione educativa, che chiamo semplicemente educazione sono:

1. L'apprendimento non è limitato a una questione o tema particolare; al contrario, se l'allievo sa come usare la meta-informazione (ad esempio, come usare una carta geografica Q un dizionario) sarà in grado di ~pprendere molte cose, tutte appartenenti alla stessa classe logica (ad esempio come andare da un certo punto a un altro usando la carta geografica).

2. L'allievo potrà giudicare la validità dell'informa-

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zione così acquisita ~neglio di quanto non possa farlo nella situazione di prota-educazione. Se malgrado il corret- to uso delila mappa non si ottiene un'informazione cor- retta, diffiderà di essa la seconda volta; e se l'errore si ripeterà, sarà ancora più cauto. In breve, la fiducia del- l'allievo nella validità della mappa si svilupperà nel cor- so di un certo lasso di tempo, attraverso un suo uso ripetuto e soddisfacente.

La maggior parte delle situazioni di insegnamento-ap- prendimento che ci sono familiari, ricadono entro que- ste due categorie. In verità, esiste un qualcosa definibile come "metaeducazione"? Ndl'esempio dell'allievo che ri- ceve indicazioni e quindi un dizionario e una grammatica, cosa riceverebbe o imparerebbe nella situazione meta- educativa? La risposta è: un catalogo o una lista di libri con le istruzioni per il loro uso. Qualora l'allievo volesse parlare un'altra lingua o acquisire altre nozioni, non do- vrebbe chiedere consigli né attendere che gli venga dato un dizionario. Saprebbe già cosa fare e come farlo. Capi- rebbe inoltre che, per raggiungere il suo scopo, dovrà usa- re il metodo e l'attrezzatura nel modo dovuto. Cercherò ora di dimostrare che l'apprendimento di come si impara, cioé la metaeducazione, è un importante aspetto della psicoanalisi.

Le caratteristiche di questo tipo di situazione educa- tiva, la "metaeducazione", sono:

1. L'apprendimento non è limitato a una singola clas- se di argomenti. Al contrario, ,il ilmeta~insegnante insegna all'allievo come egli ha imparato e quali conseguenze per- sonali e saciali derivano dal suo stile di apprendimento. Scopo della metaeducazione è insegnare e imparare circa l'insegnamento e l'apprendimento.

2. Poiché lo scopo della metaeducazione non è impar- tire informazioni effettive, la verità o falsità delle comu- nicazioni del maestro non è una questione rilevante. I1 dovere del maestro è aiutare l'allievo ad acquisire una

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prospettiva metaeducativa nei confronti di se stesso. Di conseguenza la sua efficienza va misurata nei termini se l'allievo raggiunge il suo scopo, o più esattamente, sino a che punto.

Resta da notare un importante corollario di queste tre operazioni educative. In ognuna, l'educatore (il tera- pista) comunica a due livelli: esplicitamente, trasmette un contenuto intormativo; implicitamente, insegna un me- todo di apprendimento. Nel caso della protoeducazione, il maestro procura le indicazioni e incoraggia l'allievo a imparare chiedendo una guida; nell'educazione, fornisce un insieme di conoscenze e insegna all'allievo a impara- re attraverso un metodo di fare da sé; infine, nella meta- educazione, fornisce un sistema per organizzare le cono- scenze e incoraggia l'allievo a usare un metodo di ap- prendimento più autonomo e critico.

Apprendimento, psicoterapia e psicoanaiisi

Applichiamo ora i concetti di protoeducazione, educa- zione e metaeducazione ai vari tipi di psicoterapia.

Non sono mai mancati coloro che dicono che tutta la psicoterapia, ivi inclusa la psicoanalisi, è suggestione. Se con questo intendono il dare e l'ottenere indicazioni (o protoeducazione), la loro prospettiva della psicoterapia è assai limitata. Quest'opinione è così semplicistica e ma- nifestamente falsa che non merita alcuna considerazione.

Molti psichiatri e psicologi sostengono che il tratta- mento psicoanalitico è una forma più sofisticata di educa- zione: il paziente non riceve indicazioni, ma gli vengono insegnate alcune cose su se stesso che prima non sapeva (ad esempio sul suo inconscio, sul. suo c~mplesso edipi- col ecc.). Questa era in essenza l'opinione di Freud. Fino dove arriva, è valjida: ma non ci porta molto lontano.

La mia principale obiezione a quest:idea è che essa

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sostiene, ritengo erroneamente, che lo psicoanalista è un maestro più o meno simile agli altri, differendo solo per la materia che insegna. Secondo la psicoanalisi classica, egli insegna al paziente qualcosa della sua primitiva si- tuazione familiare, il complesso di Edipo, la sessualità infantile, i sogni, il transfert e la resistenza, Secondo Sullivan, egli insegna la storia e le vicissitudini dei rappor- ti interpersonali. Se l'analista espletasse soltanto queste funzioni, il suo ruolQ non differirebbe gran che da quello di altri maestri.

Vediamo di mettere a fuoco le differenze piuttosto che le analogie tra lo psicoanalista e gli altri maestri. In ge- nerale, i maestri insegnano le così dette materie come la storia, la geografia, la fisica, eccetera, e ad essere abili nel ballo, nel nuoto, nella guida e così via. L'analista, natu- ralmente, fa entrambe le cose: insegna contenuti, come abbiamo già visto, e non può fare a meno di insegnare anche certe abilità. Ma non è tutto. Ritengo che il con- tributo specifico deld'analista al processo analitico stia, non tanto in ciò che insegna, quanto nel portare ad un nuovo e più alto livello discorsivo e di discernimento, la situazione insegnamento-apprendimento.

Siamo ora pronti a precisare i processi educativi che distinguono la psicoanalisi dalle altre forme di psicote- rapia. Per cominciare, lo psicoanalista evita di dare indi- cazioni. Questo non vuol dire, t~ttav~ia, che l'analizzando non utilizzi un tal genere di apprendimento: di solito ne fa uso. La condotta dell'analista e i suoi valori posso- no servire da modelli che il paziente pub scegliere da imitare; se lo fa, apprende tramite indicazioni. Senza dubbio, questo genere di guida non si esprime con diret- tive verbali o esortazioni, ma con l'esempio.

Benché l'analista non debba dare indicazioni, non può proibire al paziente di usare ciò che conosce del terapi- sta come se fosse una indicazione. Nell'analisi, il solo mezzo adeguato per ridurre al minimo questa fonma di

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apprendimento è di interpretarlo, e interpretarne le basi al paziente.

La maggior parte delle forme di psicoterapia non-ana- litica insegnano mediante indicazioni. Se il terapista ha a che fare con una situazione acuta e se il contatto tera- peutico è breve, questo può essere legittimo, così come è ragionevole dirigere da una stazione all'altra un viag- giatore che caanbia treni in una grande città. Se tuttavia il forestiero decidesse di rimanere per un po', e deside- rasse diventare indipendente senza dover richiedere con- tinue indicazioni, ,la cosa migliore sarebbe dargli una pian- ta e, se necessario, insegnargli ad usarla. Allo stesso modo, aiutando un paziente a imparare mediante l'educazione psicoterapeutica (meta-indicazioni) si elimina il suo biso- gno di ripetuti consigli. Questo è ciò che rende l'educa- zione utile per il paziente che voglia emanciparsi dal rap- porto anaclitico e pericolosa per il terapista che desideri incoraggiare tali rapporti.

Educazione, in questo particolare significato, significa meta-indicazione. Gran parte dell'insegnamento e dell'ap- prendimento in analisi, appartiene a questa classe. Ad esempio, tramite la decodificazione dei suoi sintomi e dei sogni da parte dell'analista, il paziente apprende le proprie preoccupazioni e tendenze non riconosciute ("in- conscie"); e attraverso l'interpretazione dei suoi transfert, ottiene il paziente un inventario delle sue principali stra- tegie interpersonali, delle loro origini e dei loro scopi. Con tutti questi sistemi, il maestro analitico (terapista) dà al suo allievo (paziente) più di quanto non dia il tera- pista che fornisce indicazioni. E tuttavia, in un certo senso, dà anche meno, perché esige all'allievo di crearsi la propria strada dalla meta-indicazione all'indicazione.

L'insight o comprensione analitica può essere adibito a vari usi: la scelta sta al paziente. Ancora una volta è come dare a un turista ?la pianta di una città sconosciuta;

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il viaggiatore analitico può orientarsi con una pianta, ma non accertare dove debba andare.

Un'analisi condotta correttamente, presupponendo cioè un analizzando interessato a questo genere di ap- prendimento e un analista competente nell'analizzare, è una duplice esperienza 'di apprendimento: il paziente ap- prende su se stesso e sull'autoanalisi. Sfortunatamente, questo fatto è trascurato dalla moderna psicoanalisi, in gran parte a causa del progressivo discredito dell'idea dell'auto-analisi. Anche se la situazione analitica e I'espe- rienza analitica del paziente richiedono due persone, un analista e un analizzando, questo non significa che l'auto- analisi sia impossibile. Ad esempio, una persona può analizzare se stessa in relazione a qualcuno che non sia l'analista. Tuttavia non desidero soffemarmi oltre su questo argomento.

Sebbene sia tipico dell'analisi, questo genere di ap- prendimento (mediante educazione o meta-indicazione) non è limitato ad essa. Alcune occupazioni professionali, tradizionalmente considerate come sublimazioni, posso- no offrire opportunità per una tale educazione. Sebbene le ansie e i dubbi sessuali dell'adolescenza possano con- durre all'ipocondria e alla ricerca di consigli su disturbi immaginari, possono anche portare a scegliere come car- riera la medicina. In quest'ultimo caso, lo studente ap- prenderà non solo i fatti sessuali specifici, ma anche il sesso in forma più astratta e complessa attraverso l'an- tropologia, I'endocrinologia, e la psicologia.

Ci ~imangono ora da chiarire gli dementi meta-educa- tivi della psicoanalisi. Secondo la mia opinione, l'opera- zione fondamentale della psicoanalisi è quella di ripartire le informazioni tra i partecipanti. Questo, naturalmente, è vero per tutti i tipi di psicoterapia. Ciò che distingue la psicoanalisi è il fatto di abbracciare tutti e tre i tipi di apprendimento dando speciale rilievo all'apprendimen- to dell'imparare (metaeducazione).

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Altri metodi di psicoterapia abbracciano meno cate- gorie o ne sottolineano solamente una: di solito, l'indi- cazione (protoeducazione). I1 principale metodo di meta- educazione psicoanalitica è l'analisi della 'situazione tera- peutica e di situazioni extra-analitiche nelle quali il pa- ziente svolge un ruolo significativo. Ognuno di questi 11 giochi" deve essere esaminato minuziosamente per met- tere a nudo la sua struttura; in altre parole, per accertare chi impone le regole 'e di che regole si tratta, a chi sono imposte e per quale motivo.

I1 contenuto del trattamento psicoanalitico

Da un punto di vista teorico, la forma del trattamento psicoanalitico è più importante del suo contenuto. Que- sto perché le regole del gioco analitico possono essere stabilite in generale, mentre le singole mosse dei giocatori debbono essere descritte particolareggiatamente. Malgra- do ciò, le regole di questo gioco hanno ricevuto assai mi- nore attenzione ,da parte della letteratura psicoanalitica di quanta ne abbia ricevuta il contenuto del gioco stesso. Viceversa, in questo libro, ho sottolineato maggiormente il comportamento strategico dell'analista e dell'analizzan- do, i loro negoziati e il contratto col quale si impegna- no, piuttosto che le manifestazioni del paziente e le inter- pretazioni dell'analista. Anche se ho relegato in secondo piano il contenuto conoscitivo del rapporto analitico, esso merita tuttavia seria considerazione.

La storia del trattamento psicoanalitico

Come tante altre cose in psicoanalisi, il trattamento psicoanalitico può essere compreso solo da un punto di vista storico. Man mano che il lavoro di Freud procede- va, ci furono cambiamenti nelle sue idee e in quelle degli altri terapisti circa il contenuto della terapia analitica.

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Il risultato fu una grande confusione e un disaccordo su cosa la psicoanalisi "realmente" fosse e cosa meritasse tale nome. In verità, nei primi giorni della psicoanalisi molte divergenze erano centrate su cosa lo psicoanalista dovesse "insegnare" al paziente.

Nel periodo intercorso fra la pubblicazione degli Stu- di sull'isteria e L'interpretazione dei sogni, Freud lavorò sotto l'influenza dell'ipnosi e del metodo catartico. Il suo principale obiettivo terapeutico era scoprire i ricordi 99 traumatici" del paziente e renderli coscienti, vale a dire aiutare il paziente ad accettarli. I1 fondamento razionale di questo metodo sta nella supposizione che la nevrosi del paziente fosse causata da ricordi traumatici inconsci, il cui effetto poteva essere dissolto rendendoli coscienti. Inoltre Freud supponeva, sulla base di buoni indizi, che i ricordi traumatici fossero di natura sessuale. Di quì che durante il periodo iniziale della psicoanalisi (prima del 1900), i ricordi sessuali traumatici del cliente fossero il principale argomento di istruzione.

Questo tema specifico e limitato che l'analista iqse- gnava e l'analizzando imparava, crebbe rapidamente in molte direzioni. Ben presto Freud scoprì che ciò che con- siderava delle esperienze del paziente erano in realtà del- le fantasie. Questo allargò la portata della terapia ana- litica onde includere le fantasie del paziente e i suoi sogni.

Successivaimente ci si rese conto che la cosiddetta ma- lattia nevrotica non era un fenomeno isolato, causato da uno o più eventi traumatici del passato, bensì un aspetto ddl'intera persondità del paziente. Divenne quindi signi- Eicativa la storia di tutta 1l:infanzia e non salo di parti di essa. A questo punto, la ricostruzione della nevrosi infan- tile diventò lo scopo principale $del trattamento. Né que- sto bastò. Ben presto l'attenzione di Freud si rivolse alle dif6icoltà che il paziente, o le sue cosiddette (difese incon- scie, ponevano ai terapista che tentava di capire da ne-

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vrosi infantile ~dell'~a1izzando. In rapporto a ciò Freud stabili che scopo della terapia analitica era quello di su- perare le resistenze interiori del paziente al trattamento. Dalla scoperta iniziale dal metodo psicoanailitico, trascor- sero circa tre decadi prima che l'analisi del transfert di- venisse il tema centrale della situazione analitica.

Questo abbozzo dello sviluppo del pensiero di Freud, riflette i cambiamenti delle materie che l'analista, come maestro, si aspettava che l'analizzando, suo allievo, ap- prendesse. Come faceva l'analista a decidere quale di que- sti argomenti era importante? E quale il più importante, se non erano tutti egualmente significativi?

I1 crescente espandersi dei temi che il maestro-analista si aspettava che l'analizzando-allievo dovesse approfondi- re, portò la psicoanalisi ad evolversi in due direzioni prin- cipali. Una fu il marcato prolungamento del trattamento analitico (oggidi, l'inflazione dell'investimento di tempo richiesto all'analizzando ha oltrepassato ogni limite ra- gionevole, ma da fine non è ancora in vista). L'altra, fu una rigogliosa crescita delle fazioni psicoanalitiche, basata, in gran parte, sulla divergenza di opinioni circa il tema più importante dell'istruzione analitica.

La storia 'di questo frazionismo, che ancora infuria, costituisce un inventario degli argomenti che i vari ana- listi consideravano interessanti, importanti o indispensa- bili per l'analisi. Occorre un atteggiamento prospettico nei confronti di questa controversia, per capire la psico- analisi come impegno educativo.

Una volta sistemati i disaccordi tra Freud, Jung e Adler, l'identità della psicoanalisi come metodo terapeu- tico e come professione sernhrava ben definita. Tuttavia, la grande quantità di argomenti che potevano essere in- clusi n d repeatorio ddl'andista-istruttore pxoldussero una nuova serie di dibattiti e di swssioni.

Per primo ci fu Sandor Ferenczi, con la sua idea di abbandonare l'analisi del transfert e, in realtà, ogni tipo

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di analisi, a vantaggio di un indugiare comprensivo sulle passate delusioni del paziente facendo eroici sforzi per annullarle. Successivamente venne Otto Rank, con la sua nozione del trauma della nascita e le pretese implicazioni terapeutiche; quindi Melanie Klein con le sue opinioni circa il significato degli engrammi preverbali e delle po- sizioni depressive e paranoidi precoci; Harry Stack Sul- livan, con la sua enfasi sul presente piuttosto che sul passato; Sandor Radò, col suo concetto di nevrosi come disadattamento biologico più che come creazione psico- logica: e infine Franz Alexander, con la sua nuova edi- zione ddla teoria traumatica della nevrosi, secondo la quale il paziente soffre di vari atteggiamenti genitoriali che l'analista deve riparare con "esperienze emozionali correttive".

Un modo più tradizionale di suddividere il campo della tematica analitica è per dicotomia. Si ottengono cosi ma- teriali coscienti e inconsci; materiali delllEs e delllIo (e Super-Io) nonché i loro derivati; impulsi e difese; istilnti e influenze sociali, e cosi via. Alcuni analisti pretendono che l'analisi di un membro di queste coppie è più impor- tante che l'analisi dell'altro, o che uno debba essere ana- lizzato prima dell'altro. Il mio punto di vista è che questo enfatizzare ogni cosa serva a distinguere diversi tipi di psicoanalisi, ognuno basato sul tema che il terapista con- sidera particolarmente significativo per una efficace te- rapia.

Qualunque siano le convinzioni teoretilche dell'analista, le fantasie inconscie sdell'analizzando hanno un significato pratico solo in quanto egli le esprime o le comunica. Que- sto può avvenire tramite lamentele, sintomi, sogni, al- Iusioni, transfert, atti non verbali e l'intero stile di vita del paziente. Gran parte del lavoro dell'analista consiste in tentativi di comprendere e decifrare comunicazioni oc- culte del paziente e nell'incoraggiarlo, mediante il contat- to analitico, a rivolgersi all'analista in maniera chiara ed

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esplicita, nel suo linguaggio di ogni giorno, e a decifrare i suoi messaggi occulti.

Nel presentare questo breve panorama storico del trattamento psicoanalitico, il mio scopo non era di con- densare in poche frasi concise l'enorme massa della let- teratura pcicoanalitica accumulatasi neglli ultimi settanta anni. Ho semplicemente cercato 'di porre nella giusta pro- spettiva stori'ca la domanda: « Cosa insegna lo psicoanali- sta? » e le molte risposte che sono state offerte. L'espan- sione della materia del~l'analisi non è di per sé un cattivo segno. Dal 1900 in poi, anche la portata di campi come la fisica e la medicina si è allargata. C'è comunque una diffe- renza. In fisica e in medicina, i nostri valori sono fon- dati su fatti e stabiliti dalla prassi; sappiamo cos'è buono e cos'è cattivo, cos'è progresso e cos'è regresso. Ma nella psichiatria, nella psicoterapia e, purtroppo, anche nella psicoanalisi, manchiamo di riferimenti di questo tipo. E' necessario quindi stabilire previamente criteri ben defini- ti per giudicare la psicoterapia. Finché non lo faremo, non potremo valutare le diverse proposizioni ma continue- remo invece a denigrare i nostri avversari, ingiuriandoli, e a valorizzare la nostra posizione attraverso il prsseli- tismo.

Riassumendo, durante le prime decadi della sua esi- stenza la psicoanalisi consistette solo nell'analisi delle ri- costruzioni. Gradualmente (negli anni venti e, più siste- maticamente, negli anni 30), il trattamento psicoanaliti- co assunse il significato di analisi della nevrosi di tran- sfert. La portata educativa dell'analisi era quindi stata elevata a un più alto livello e includeva, oltre alle produ- zioni del paziente, il rapporto terapeutico stesso. La psico- analisi non ha bilsogno, né può, i,n verità, fermarsi qui. Un'ulteriore estensione del suo ambito educativo è impli- cito nei suoi disegni, principi e nel suo spirito. L'indagine analitica deve ripiegarsi su se stessa; "la terapia" deve includere pertanto l'analisi della situazione analitica. So- lo in questo modo è possibile raggiungere l'obiettivo clas-

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sico della psicoanalisi: la completa emancipazione del pa- ziente dalle forze che lo legano alla persona dell'analista.

Lo psicoanalista come esperto nel "rimosso"

Anche se il precedente studio storico può aver chiari- to in qualche modo la natura del dialogo psicoanalitico, persiste l'interrogativo: « Quale dovrebbe essere il conte- nuto delle camunicazioni tra analizzando e analista? ».

La risposta a tale domanda non è agevole. La cosa mi- gliore è analizzare il problema che essa comporta.

Desidero ancora una volta sottolineare che il contenu- to della transazione terapeutica deve essere in maggior parte stabilito da1 paziente. Ciò è vero particolarmente all'inizio del rapporto. I1 cliente 'deve sentirsi libero di esplicitare le ragioni per le quali ha consultato il terapi- sta e le modalità con le quali si aspetta che il terapista lo aiuti. Anche quando il trattamento prosegue, il tera- pista deve evitare ({nei limiti dal $possibile), di imporre al paziente i suoi interessi e ile sue teorie, e deve lasciarlo li- bero di seguire la propria rotta.

Ciò non significa sostenere una tecnica non direttiva. Il terapista autonomo non è un'eco silenziosa dal pazien- te; né tantomeno, è un analista "passivo" che risponde soprattutto con « Hmm ... » « Sì , capisco ... » « Sì , vada avanti ... D, o col silenzio. L'analista, così come io conce- pisco il suo compito, partecipa attivamente e in maniera significativa a un particolare tipo di dialogo. Dopo che il paziente ha stabilito il tema, l'analista, anche se meno attivo dell'analizzando, non è in alcun modo inattivo. Co- me contribuisce allora al dialogo?

A questo punto, incontriamo un altro aspetto familiare della funzione dell'analista come maestro. Mi riferisco al- l'analista specialista in fatto di repressioni o di "incon- scio". I1 paziente, ad esempio, può avere delle preoccu- pazioni circa i suoi rapporti con la madre e col padre. Egli descrive l'attuale situazione con loro e comincia quin-

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di a ricordare la propria infanzia e il ruolo che i geni- tori vi hanno avuto. Per definizione, questa è la versione cosciente che il paziente ha dei suoi rapporti coi genitori; questo è tutto ciò che può dire, tutto ciò che sa.

I1 compito dell'analista è ascoltare; ma che cosa? Ascol- tare le incongruenze tra ciò che il paziente dice e come agisce; i sentimenti e i pensieri non conosciuti; il rac- conto dei rapporti del paziente con altre persone che non siano i genitori; e cogliere iil suo comportamento verso l'analista, il transfert. In tutti questi modi (e in altri su cui sorvcrlo), l'analista cerca di trascendere l'espo- sizione cosciente della situazione così come la presenta il paziente e di costruire un'altra versione meno fittizia. I1 terapista può realizzare ciò osservando per lunghi pe- riodi e in tutti i dettagli i giochi reali che il1 paziente tende a giocare, piuttosto che accettare le spiegazioni che egli ne da.

Quello che descrivo è naturalmente ciò che in psico- analisi di solito è definito "rendere cosciente l'inconscio" vale a dire sostituire le costruzioni coscienti (ma "false") del paziente della propria realth, con le versioni inconscie (ma "vere") della stessa. Per quanto mi riguarda sono d'accordo con l'idea di base di questa formulazione, ma non con le impressioni che probabilmente essa crea.

I concetti psicoanalitici tradizionali, concepiti in ter- mini di Es, Io, Super-Io, inconscio e .così via, creano l'im- pressione che tutte le informazioni necessarie per una completa analisi siano riposte nel paziente. I1 dovere del- l'analista è di "liberare" (le informazioni in modo che l'ana~lizzando possa comunicarle all'analista. Colmo che sostengono questa opinione suppongono che, in aggiunta alle idee coscienti \di avvenimenti, persone e rapporti, la gente possegga inoltre (risposte non si sa dove) un'al- tra serie o forse diverse altre serie di concetti degli "stes- si" avvenimenti, persone e rapporti. Come un archeologo che scopra una città sepolta sotto un'altra, l'analista -

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esperto in "terapia che svela" - scopre i ricordi e gli affetti inconsci del paziente che erano sepolti sotto le sue 1, razionalizzazioni" coscienti.

In realtà, la situazione è di'versa. Come tutti, il pa- ziente vive iln base a ciò che sinceramente ritiene essere la verità (per semplificare l'esposizione prescinderò dal paziente che mente). Egli vive secondo una visione più o meno fiitti-cia lde1lla realità. Ma è ciò che tutti facciamo. Per molti aspetti della vita, il paziente che viene in ana- lisi è probabilmente non meno onesto, non meno sin- cero né meno realista della maggior parte della gente e fmse lo è anche di più.

I1 punto è che entrambi, paziente e analista, sono o dovrebbero essere interessati a quegli aspetti della vita del paziente che rivelano (discrepanze. Queste ultime si manifestano in svariati modi: con disturbi e sintomi e con l'adattamento del paziente ad essi; con contraddizio- ni fra quanto affermato dal paziente in momenti di- versi; con incoerenze tra fatti e parale e così via. E' in questi momenti che l'analista deve intervenire nel dia- logo; egli contesta le spiegazioni fornite dal paziente; fa domande; suggerisce ipotesi alternatilve per spiegare la condotta del paziente. Se questi interventi sono appro- priati e se il cliente è in grado di vedere se stesso in una nuova Iuce, allora, pian piano, si opereranno dei cambiamenti nella sua personalità. Egli si vedrà con oc- chi nuovi (forse, all'inizio, presi in parte lin prestito dal- l'analista); osserverà nuovi aspetti; cambierà e vedrà se stesso e gli altri in maniera diversa. La sua nuova visio- ne !delle cose è ciò che abbiamo chiamato il suo « incon- scio D. Come per la maggior parte delle parole, sarà un termine adeguato solo ce lo intenderemo a dovere e lo useremo con attenzione.

Cosa intendo dire affermando che l'analista è uno specialista che i,nsegna al paziente "il rimosso", "l'incon-

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scio", "il non accettato" e "il non esplido"? I1 termine denota una classe inconsueta? Essa differisce

da altri tipi di materie come l'algebra, la storia antica o il latino. La personalità ~dell'allievo non altera queste materie, anche se la personalità ddl'insegnante può in- trodurre in esse delle variazioni. Praticamente, tuttavia, queste materie oonsistono in gran parte, in informazioni esterne alla personalità sia dell'allievo che del maestro.

Ma nella classe di fatti denominati "rimozioni", il contenuto varia in funzione della personalità dell'allievo. La materia specifica non solo varia da un paziente al- l'altro, ma anche tra pazienti di diverse estrazioni cultu- rali e sociali. Dobbiamo ricordare che la rimozione è qualcosa che ognuno fa per se stesso. Tuttavia, i temi che il paziente deve reprimere sono 'determinati in gran par- te #dalla sua famiglia e dalla sua cultura. Neilla Vienna dell'età vittoriana, dove Freud fece le sue prime osser- vazioni, era la sessualità linfantile e, fino a un certo punto, anche la cessualità adulta ad essere repressa; da una persona di una certa levatura ci si aspettavano le opportune finzioni, dietro le quali nascondere tali scon- venienze. Ma altri argomenti delicati, che venivano trat- tati con slealtà altrove, non erano soggetti alla repessio- ne nella Vienna di allora: ad esempio i raggiri finan- ziari negli alti circoli governativi o i conflitti socialbi tra gruppi di minoranze nazionali o religiose.

La repressione è dunque una particolare forma di ob- bedienza e, pertanto, il risultato di una protoeducazione. E' facile osservare che la persona alla quale è stato insegnato questo genere di obbedienza (il così detto isterico), può agev~l~mente essere istruita a obbedire al comando di un'altra autorità (le indicazioni del tera-

5 Vedere SIGMUND FREUD, Repression (1915), The Standard Edition, vol. XIV, pp. 141-158; The Unconscious (1915), ibid., pp. 159-215.

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pista suggestivo). In un certo senso, l'ipnosi è la "lo- gica" terapia dell'isterismo.

Queste considerazioni aiutano a spiegare perché la psicoanalisi iniziò come un'irnpresa socialmente "sower- siva » e perché, per restare fedele al suo mandato sto- rico e intellettuale, deve rimanere tale. I1 suo compito era, e rimane, quello di "demistiiicare" le finzioni so- ciali e persanali. Freud, naturalmente, cercò di distrug- gere i miti vittoriani della famiglia e del sesso predo- minanti ai suoi tempi. Oggi, negli Stati Uniti, non so- no questi i settori principalmente awolti nelle repressioni sociali e personali; di conseguenza, l'attenzione dell'ma- lista non può essere diretta soltanto e neppure preva- lentemente a questi temi.

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4 IL TRATTAMENTO PSICOANALITICO COME GIOCO

I1 gioco come modello nelle scienze sociali

I1 gioco è per la moderna scienza sociale quello che il sistema solare è stato per i primi fisici atomici. Nei due casi, un avvenimento o un sistema che ci sono fa- miliari vengono usati come modello per aiutarci a visua- lizzare, comprendere e trattare un avvenimento o un si- stema meno noto.

I concetti di "gioco", "ruolo", "regola" e "strategia" sano noti e di provata utilità allo studioso di scienze sociali, sia egli economista, stratega militare o socio- lago. Sin ora questi concetti sono stati usati molto più moderatamente dallo psichiatra e dallo psicoterapista, anche se il modello del giocare una partita sembra par- ticolarmente approprialto per chiarire il rapporto tra io specialista psichiatra ed il suo clliente. Ne Il mito della malattia mentale avanzai una teoria del comporta- mento personale basata sul suddetto modello, contem- plando specialmente la cosiddetta condotta anormale. Desidero fare altrettanto in questo libro per il tratta- mento psicoanalitico.

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Prima di procedere a una discussione sulle qualità formali dei giochi e del giocare, cerchiamo di chiarire gli usi tecnici di queste parole. Naturalmente non uso le parole "gioco" e "giocare" nel loro significato quoti- diano, che denota attività ricreative, frivole o divertenti. Ciò che importa non è se una particolare attività sia penosa o piacevole, ma se implica un comportamento che segua delle regole. Poiché, virtualmente, ogni compor- tamento umano, dalle occupazioni solitarie come lbrni- tologia alle attività di massa come la guerra, comporta il seguire delle regole per raggiungere delle mete, pos- siamo interpretare quasi tutto quello che la gente fa co- me una forma di partita-da-giocare.

In questo modo il matrimonio, gli affari, la guerra e il trattamento psichiatrico, possono essere tutti con- siderati dei giochi. Indubbiamente, questo allarga il con- cetto #di "gioco", proprio come il considerare la de- pressione, l'esaltazione, la solitudine e il suicidio come malattie allarga 31 concetto di "malattia". La domanda che dobbiamo porci in qualità di studiosi di psicoanalisi e di psicoterapia è la seguente: « Cosa ci aiuterà di più a capire il rapporto analitico: la semantica della malat- tia e del trattamento o la sernantica del giocare-una-par- tita? Abbiamo provato con la prima; forse ora dovrem- mo provare la seconda P.

Tuttavia non potremo farlo se condanniamo senza ri- serve il linguaggio della teoria del gioco. C'è una ten- denza in questo senso non solo in psichiatria, ma an- che in altri rami della sociologia. Così il moderno stu- dioso di strategia militare viene a volte criticato non per quello che fa, ma per il linguaggio che usa. La seman- tica dell'analisi del gioco, secondo quest'opinione, impli- ca un atteggiamento insensibile nei confronti della vio- lenza e della sofferenza e in tal modo favorisce il con- flitto internazionale.

La logica di questo argomento è davvero curiosa:

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sostiene che, se ci riferiamo alla guerra in termini di I, ma~ello" e "strage" ce ne saranno di meno; ma che ci saranno più guerre se ci riferiamo ad esse in termini di "giochi bellici" e "strategie minimax". I1 fatto è che la guerra è stata chiamata con molti nomi sgradevoli, nes- suno dei quali ha dissuaso la gente dall'intraprendere nuovi conflitti. Anche se assurda, questa argomenta- zione è pericolosa a causa del suo appello ai senti- menti. Il richiamo emotivo delle parole usate per de- scrivere ciò che fa la gente è particolarmente pericoloso nelle così dette professioni assistenziali e in nessuna più che in psichiatria.

Nel caso della psicoanalisi (e della psicoterapia) ab- biamo le seguenti situazioni: un cliente, insoddisfatto per l'ilncapacità a far fronte ai propri problemi, cerca aiuto da un esperto preparato ad assistere le persone che desiderano un tale tipo di aiuto. Come dovremmo chiamare il cliente e l'esperto? Li chiameremo, rispetti-

,> vamente, paziente" e "terapista" (o "medico"); o li chiameremo invece "cliente" e "analista del gioco" (o "analista delle comunicazioni")?

La semantica della medicina copre immediatamente il rapporto fra l'esperto e il cliente con uno scudo pro- tettivo: il ruolo di terapista è un ruolo dal quale l'esper- to può trarre autostima, mentre quello di paziente è un ruolo dal quale il cliente può trarre fiducia. Così il linguaggio della medi'cina trasmette all'analisi scientifica della psicoterapia un vocabolario che sostiene le aspi- razioni dello psicoterapista e del suo cliente. Se vo- gliamo esplorare le possibilità delIa teoria del gioco in psicoterapia, occorre essere pronti a rinunciare a questo sostegno semantico.

A causa dell'importante significato connotativo delle parole che usiamo per descrivere il rapporto analitico, si può pensare che il mio uso del vocabolario della teo- ria del gioco implichi un atteggiamento frivolo, disuma-

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nizzato e non terapeutico di fronte al serio problema della cosidetta "(malattia mentale". Respingo questa accusa. Le parole non costano nulla. Chiunque può affermare che si preoccupa di coloro che sofirono e desidera aiutarli. Tuttavia, se vogliamo capire cosa fanno i "(guaritori di malattie mentali" anziché starcene davanti a loro in timore reverenzjiale, \dobbiamo giudicare il lavoro dello psichiatra e dello psicoterapista così come giudichiamo il lavoro di chiunque altro: per quello che fanno e non per quello che dicono di fare.

Siamo ora pronti ad accostarci al rapporto psicoana- litico dal punto di vista della teoria del gioco. In questo capita10 cercherò di stabilire li fondamenti teorici di questo approccilo, esaminando la natura dei giochi in generale e del "gioco" del trattamento psicoanalitico in particolare e descrivendo brevemente due tipi di persone come giocatori della partita analitica.

La natura dei giochi e del giocare

Le caratteristiche formali dei giochi e del giocare pos- sono essere riassunte come segue:

1. Giocare è un'attività libera e volontaria. Un gio- catore è libero di cominciare a giocare o di smettere. Un gioco al quale si è obbligati a partecipare non sareb- be "un gioco" (anche se potrebbe sempre essere de- scritto come un genere speciale di "gioco").

2. Giocare è unoocupazione separata, isolata dal resto della vita. C'è un tempo e un luogo speciale ap- positamente per il gioco; ad esempio il sabato pome- riggio per il gioco del calcio nelle scuole, Las Vegas e Reno per i giochi d'azzardo.

3. Giocare è un'attivitA che ha un'andamento e un risultato incerti. Quando lo svolgimento del gioco ed il suo rilsultato sano predete~minati, si dice che è stato I > truccato".

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4. Giocare è improduttivo: non crea beni né altri prodotti: permette solo uno scambio di qualità fra i gio- catori.

5. I1 gioco è governato da regole applicabili solo a quel gioco, diverse dalle regole di altri giochi e dalle regole della vita reale.

6. I1 gioco è finzione: il giocatore è cosciente di una seconda realtà che separa l'esperienza del gioco dalla realtà delle esperienze della vita reale?

Queste caratteristiche sono puraanente formali. Non ci dicono nulla sul contenuto (del gioco. Per questo, è ne- cessario un resoconto delle regole del gioco e della con- dotta dei giocatori. Le parti I1 e I11 {di questo volume in- tendono fornire tale resoconto del gioco analitico. Come abbiamo già notato, analista e analizzando non hanno ruoli simmetrici in questo gioco; i due non sono "gio- catori" nel medesimo senso. In cosa differiscono i loro ruoli formali come giocatori?

Un'analisi del modello di gioco della psicoterapia autonoma

L'analizzando "gioca" - l'analista "lavora".

L'analisi di un modello di gioco di psicoterapia auto- noma mostra le differenze fra l'attività del paziente e quella del terapista. La psicoanalisi è un gioco (nel senso suindicato) solo per il pazi'ente; per il terapista è un'oc- cupazione. Così dovrebbe essere. Tuttavia, c'è un rischio in questa disuguaglianza delle parti: il terapista può ri- sentirsi che il paziente goda di una posizione meno vin- colata e può tentare di privarlo di alcune sue libertà.

1 Vedere ROGER CALLOIS, Man, Play, and Games, The Frcc Press of Glencoe, New York 1961, pp. 5-10; GEORGE H. MEAI), Mente, Sé e Società, Universitaria, Firenze 1966; JEAN PIACET, Play, Dreams and Zmitation in Childhood, Heineman, Loildra 1951; T. S . S z ~ s z , I l mito della malattia mentale, cit., parte V .

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Questa è probabilmente la ragione per cui della grande quantistà di psicoterapia che si pratica, ce n'è così poca di autonoma.

Nella psicoterapia autonoma, i ruoli del paziente e dell'andista differiscmo come segue:

1. Solo il paziente è Mxro di giocare o di non gio- care. Una volta che il terapista è d'accordo sul contratto, deve rimanere a disposizione del paziente. Anche in un senso più lato il paziente gode di un maggior grado di libertà. Egli può decidere di fare o di non fare un'analisi; può preferire qualche altro genere di aiuto, oppure non volerne alcuno. L'analista, invece, può rinunciare all'ana- lisi solo cambiando la sua occupazione (o, forse, dando una nuova definizione della "psicoanali~si"): la sua po- sizione è paragonabile a quella del croupier al tavolo della rodette: egli lavora "giocando alla roulette", men- tre il cliente gioca alla roulette.

2. La psicoanalisi è un'attività separata dalla vita reale solo per il paziente, non per l'analista. L'analizzan- do impiega all'incirca quattro ore alla settimana per fa- re l'analisi, l'analista quaranta o più. Lo studio del tera- pista è separato dallo spazio di vita reale del paziente, ma non da quello suo: infatti il terapista può trascor- rere nello studio più tempo che in qualsiasi altro luogo.

3. I1 risultato del gioco analitilco è più incerto per il paziente che non per l'analista. L'analizzando cerca di raggiungere una trasformazione personale; l'analista di guadagnarsi da vivere.

4. La situazione analitica ha una qualità fittizia salo per il paziente. Come ho già ricordato, questo accade per- che i1 paziente "gioca" mentre l'analista "davora".

5. L'analista è compensato di tutto dalla componente economica della situazione: il denaro fluttua solo in una direzione, dal paziente al terapista. Diversamente dai giochi comuni, la psicoanalisi iion è solo economicamente improduttiva per il paziente, ma effettivamente costosa;

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per il terapista è i,nvece una sorgente di proventi profes- sionali.

Le "modifiche" tipiche della psicoanalisi.

L'aver paragonato il trattamento psicoanalitico a un gioco ci consente di vedere come l'analisi sia stata carn- biata e deformata. Alcune di queste modifiche wstitui- scono il nucleo di nuove scuole di psicoterapia; altre, anche se mleno professionalizzate e sistematizzate, sono nondimeno importanti.

1. La libertà del paziente nel gioco terapeutico può essere ristretta o abolita. Egli può essere forzato a ini- ziare o a continuare la terapia in vari modi, nei casi estremi mediante un'ordinanza del giudice. Come il gioco obbligatorio cessa di essere gioco, così la psicoterapia forzata cessa di essere autonoma e analitica.

2. La separazione tra la psicoterapia del paziente e la sua vita extraterapeutica può sfumare sino ad esseile annullata. Ciò di solito accade per l'intrusione del tera- pista nella vita extraterapeutica del paziente. E' respon- sabilità dello psicaterapista autanomo mantenere un muro impenetrabile tra situazione terapeutica e vita reale del paziente. In questo muro si può aprire una breccia in molti modi; di solito visitando il paziente in ospedale o a casa; parlando coi parenti; dando sue no- tizie al datore di lavoro, a un amico o ad altri coi quali abbia rapporti significativi; prestandogli o facendosi pre- stare del denaro o altri oggetti, e così via. Nella misura in cui per il paziente la linea di demarcazione tra psi- coterapia e vita reale è incerta, la sua terapia cessa di essere autonoma ed analitica.

3. I1 risultato della psicoterapia, come del resto quello dei giochi ordinari, è incerto. Nei giochi, l'incertezza del risultato è un corollario della libertà ,&l giocatore; è possibile eliminare I'incertezza solo controllando il com- portamento dei giocatori. Allo stesso modo il risultato

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della psicoanalisi, come avventura di autotrasformazione personale del cliente, è destinato a essere incerto per en- trambi, pazilente e terapista. Se il paziente non può sopportare questa situazione, chiederà al terapista di ras- sicurarlo e di guidarlo. Qualora il terapista acconsenta e cerchi di diminuire l'ansietà del paziente relativa a tale incertezza, eserciterà un'influenza antitetica agli scopi della psicoterapia autonoma. Una simile rassicurazione può essere acquistata solo al prezzo 'di restringere la scelta e la responsabilità personale; il paziente che ri- corre alla psicoterapia autonoma non deve pagare un prezzo del genere per -quello che desidera e lo psicote- rapista autonouno non deve vendergli questo genere di aiuto. Spesso il terapista non può sopportare le incer- tezze inerenti alla psicoterapia autonoma. Potrebbe quin- di imporre certe regole di condotta al paziente. Tuttavia, nella misura in cui il terapeuta acquista un controllo sul comportamento del paziente e rende la sua condotta più prevedi~bile, l'incontro ~terapeutim cessa di essere autonomo e analitico.

4. La separazione tra gioco e vita reale si rispecchia nella duplice esperienza di realtà: la realtà primaria della vita di ogni giorno e la realtà secondaria del gioco. La separazione tra le due realtà può cessare, ad esempio, quando una persona diventa "dedita" al gioco d'azzardo e investe in esso tutto il suo interesse, il suo tempo e il suo denaro. Per un individuo di questo genere, la realtà secondaria del gioco diviene da realtà primaria della sua vita. Esiste una separazione analoga tra l'esperienza terapeutica del paziente e la sua vita extra-analitica. La psicoanalisi ha, ed entro certi limiti deve avere, una qua- lità fittizia o irreale per il paziente. Questo è connesso al fatto che le regole di condotta nello studio dell'analista differiscono da quelle al di fuori di esso. Come ho già detto, questa separazione qualche volta può essere an- nullata. Se ciò accade, l'esperienza terapeutica pade per

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il paziente la sua qualità di realtà secondaria. I1 rapporto terapeutico diventa allora più interessante e importante di qualunque altra cosa della vita extraterapeutica. I fini della psicoterapia autonoma vengono così frustrati. Senza dubbio questa terapia può "aiutare il paziente", ma non è né autonoma né analitica.

5. Questo riesame delle varie ':modi~fiche" alla psi- coanalisi, mette in luce il significato della transazione pecuniaria in questo tipo di terapia. Se l'analista si com- porta autonomamente e si astiene dal violare la libertà del paziente ael gioco terapeutico, si priverà delle prin- cipali ricompense psicologiche di "coloro che aiutano", vale a dire del diritto e del potere di controllare i suoi "pupilli". E' in questo modo che lo psiwterapista auto- nomo fornisce al suo cliente la libertà di esplorare e do- minare i problemi della sua vita. I1 paziente deve pa- gare l'analista per questo. Anche se l'anal

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sta trae una certa soddisfazione non economica dal lavoro analitico: è difficile vedere come la psicoterapia autonoma possa essere condotta senza che il paziente paghi l'analista per le sue prestazioni professionali.

Che tipo di gioco è la psicoanalisi?

La proposta di considerare la psicoanalisi come un gioco è più simile al fare una promessa che non al man- tenerla effettivamente. Ci sono molti tipi di giochi; che genere di gioco è la psicoanalisi?

I teorici del gioco generalmente ne distilnguono tre tipi fondamentali: giochi d'azzardo, giochi di abilità e giochi di strategia. Ciascuno 'di essi può esistere in for- ma pura o essere mescolato a elementi di un altro tipo.

2 THOMAS S . SZASZ, On the Experiences of the Analyst in the Psychoanalitic Situation, u Journal of the American Psychoana- lytic Association », 4 (1956), pp. 197-223.

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Ad esempio, il giocare a testa o croce si basa solo sulla fortuna. Giochi di carte complessi come il bridge, com- binano elementi di fortuna e di strategia. Le gare atletiche sono esempi di giochi d'abilità, ma raramente avven- gono in forma pura. L'esempio classico 'di un gioco di pura strategia sono gli scacchi.

Gli scacchi, considerati il "gioco principe" da tutto il mondo civile, sono serviti da paradigma ai teorici del gioco. Tuttavia, si tratta di un genere particolare di im- presa umana: due persone si cimentano in ciò che può essere definito un "conflitto puro": ciò che è bene per un giocatore è male per l'altro, uno vince e l'altro perde. Così, gli scacchi sono un esempio di gioco così detto di somma-zero. Questo significa che la somma dei "rendi- conti" dei due giocatori & zero. Indubbiamente l'elegan- za degli scacchi e la sua attrabtiva li'ntellettuale stanno in queste qualità. La fortuna non ha alcun ruolo in que- sto gioco; ogni mossa è decisiva e inequivocabile; nulla, esclusa la strategia di ciascun giocatore, è incerto. Anche il risultato è decisivo: vincita, perdilta o patta.

Tuttavia, per quanto bello, il gioco degldi scacchi non è un buon modello per molte interazioni umane. Come hanno rilevato i moderni studiosi della contrattazione, la maggior parte dellle situazioni sociali che cerchiamo di capire con l'aiuto della teoria del gioco non sono gio- chi di puro conflitto. I1 datore di lavoro e l'impiegato, il marito e la moglie, il medico e il paziente, l'analista e l'analiz~and~o non hanno scopi antitetici come due gio- catori di scacchi. Di conseguemza, oltre ai giochi di puro ~onf~liftto, dobbiamo considerare e studiare anche i giochi di collaborazione pura, e quelli di motivi misti?

In un gioco di collaborazione pura, i giocatori han-

3 Vedere THOMAS C . SCHELLING, The Strategy of Conflict, Har- vard University Press, Cambridge Mass 1960, specialmente cap. IV.

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no identiche propensioni cima il risultato. Essi vincono insieme e perdono insieme; questo è un gioco di somma non zero. Nel bridge, ad esempio, i due compagni gio- cano indivi~dualmente, cl'uno con l'altro, un gioco di in- teresse comune di somma non zero; come squadra, in- vece, essi giocano contro i loro avversari un gioco dli puro conflitto, di somma-zero. In tal senso, le persone che giocano giochi di coordinazione (o collaborazione o di interesse comune) sono qualificate come "partners ", quelle che giocano giochi di conflitto, come "avversari".

Ora che il gioco degli scacchi risulta non essere più il nostro gioco tipo, ci troviamo a disposizione un reper- torio più ricco di concetti relativi ai giochi. Cerchiamo di applicare alcune di queste idee alla situazione psi- coanalitica.

La prima che ci sembra opportuno notare è che può essere cingannevole parlare di una situazione psicoanali- tica o di un gioco psicoanalitico, come se si trattasse di un incontro umano ben definito. E' caratterisbico del rapporto psicoanalitico il non essere un qualcosa di dato, ma piuttosto un qualcosa che evolve; non una situa- zione unica, ma tante.

Inizialmente il gioco può benissimo essere un gioco di conflitto puro. I1 paziente può desiderare una cura magica, libera da spese e da responsabilità, mentre l'ana- lista può voler condurre un dialogo razionale, con un cliente autoresponsabile. In realtà questa situazione non presenta problemi. I giocatori possono scoprire rapida- mente che i loro interessi sono antaganisbici; e, a meno che il paziente o il terapista non vadano iin cerca di guai, debbono o rivebre e rinegoziare i loro interessi o se- pararsi.

Più tardi, 61 gioco può essere un gioco di (quasi) pura collaborazione; il paziente desidera ricevere e l'analista vuole offrire un aiuto analitico. In realtà questa situa-

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rione può rendersi sempre più stretta, sempre che l'ana- lista e l'analizzando abbiano successo nel negoziare le rispettive richieste e promesse."

I1 paziente psicoanalitico come risolutore di problemi

I1 modo di considerare gli individui che cercano (o "hanno bisogno") di psicoterapia, ha conseguenze di gran- de portata sul nostro concetto di cliente. Se pensiamo a questi individui come. pazienti sofferenti ldi una ma- lattia che non sono iln grado di controllare (e che può seriamente compromettere la loro capacità di giudizio su ciò che è meglio per loro stessi), procurarsi i1 tratta- mento giusto diventa allora una questione di fortuna. Se invece li consideriamo come persone assediate da pro- blemi di vita che essi desiderano padroneggiare, avremo in tal caso un'idea diversa del cliente. Questi diventa un indivilduo più o meno auto-determinante 4l quale, per quanto inabile o sofferente, ha scelto di comportarsi in determinati modi; di conseguenza, il suo ricercare o me- no la psicoterapia (o qualunque altra forma di intervento psichiatrico) va considerato come una mossa strategica nel gioco della sua vita.

Ilnvece di veaiire alle prese coi problemi della diagnosi e della analizzabilità, ci troviamo di fronte al compito di distinguere tra una diversità di persone intese come risolutrici di problemi. In un gxppo di individui che oercano una psicoterapia, saranno tutti egualmente ido- nei e capaci per il gioco analitico? Certamente no. Le persone variano nel loro interesse di cambiare la propria vita attraverso la psicoterapia e nella loro attitudine alla introspezione, alla comunicazione, all'assunzione di re- sponsabilità e così via. Sebbene significative, nessuna di

4 Vedere capitoli V, VI, X e XI, infra.

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queste qualità è idonea per classificare i pazienti ana- litici.

C'è, comunque, una distinzione fra due tipi di perso- nalità risolutrici di problemii che considero significativa al riguardo. Espongo ora quest'analisi perché la riten- go utile alla comprensione del rapporto psicortnalitico.

Due categorie di persone: colui che cerca e colui che evita.

Messa di fronte a un conflitto, una persona può ri- spondere i due modi: arcando ciò che gli piace o evi- tando quello che gli è sgradevole. Sebbene questa sia un'astrazione ideale, la gente si distingue per la sua te.n- denza a seguire un certo tipo di condotta piuttosto che un altro.

Colui che cerca persegue ciò che desidera. Se non può ottenerlo, cercherà uno scopo sussidiario che gli consenta di raggiungere in un secondo momento lo sco- po primario; ad esempio, egli risparmierà per rendere possibile un successivo acquisto. Una personalità di que- sto genere è quella dd1'"uomo economico" \della teo- ria pditicoeconomica classica, il quale cerca sempre di raggiungere il massimo grado di utilità ( m o scopo posi- t i v ~ ) . ~

D'altra parte, colui che evita tende ad appartarsi da ciò che non vuole. I'nvece di cercare di elevare al massi- mo grado l'utilità. egli tenta di nidurre al minimo gli inconvenienti (uno scopo negativo). Ad esempio, se un uomo è costretto a lavorare, cercherà di lavorare il me- no possibile. Colui che cerca è mosso dalla speranza del guadagno; cdui che evita dalla paura della perdita.

Benché, forse, inconsapevole di questa polarità, Freud elesse a suo paziente ideale colui che cerca e non co- lui che evita. Egli suppose che i1 suo paziente, ad esem-

5 Vedere K. E. BOULDING, Conflict and Defense. A Gcneral Theory, Harper and Brothers, New York 1962, in part. cap. V.

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pio una donna isterica, perseguisse uno scopo posi- tivo: un soddisfacimento istintuale (sessuale). Di cmse- guenza il lavoro del terapista consisteva nel chiarire lo scopo e rimuovere le inibizioni ch~e le impedivano di rag- giungerlo. Tuttavia l'impresa si fondava sulla premessa che il paziente fosse più interessato a ottenere dei sod- dilsfa~im~enti piuttosto che ad evitare problemi e m- piti penosi. Gran parte della teoria e della pratica psi- coanalitica si fondano su questo punto di vista.

Colui che cerca e colui che evita pongono l'analista di fronte a due diversi problemi. Descriverò ognuno di essi, forse in forma alquanto esagerata, perché i pa- zienti sono spesso motivati da un instabile equilibrio di fini positivi e negativi. Ciò nonostante, i seguenti com- menlti si attengono strettamente alla mia esperienza di psicoterapista e sono basati su di essa.

Colui che cerca

Colui che cerca considera l'impresa analitica come un mezzo per raggiungere un fine particolare, ad esem- pio, un miglior auto-controllo, una maggiore capacità la- vorativa, un matrimonio più felice o un divorzio. Egli ha un impegno assunto prima di iniziare l'analisi, nei confronti di certi valori, e cerca i modi di realizzare le sue aspirazioni.

L'analista e il processo analitico possono o meno aiutare questo tipo di individuo. Indipendentemente dal risultato, né l'analista né I'analizzando si troveranno mai in quella situazione difficile che "colui che evita" e il suo terapista incontreranno spesso. Cosi, l'analista non dovrà affrontare il problema di trovarsi 'di fronte a una persona che in realtà non vuole nulla, eccetto pace e tranquilliltà, salvezza e sicurezza; e I'analizzando, se è il tipo di persona che cerca, non si sentirà obb

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igato a continuare con un analista che non sembra aiutarlo. Per la sua personalità, colui che cerca tenderà a persistere

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nei suoi sforzi per raggiungere i suoi obiettivi, ma non necessariamente con un si'ngolo metodo; se un metodo fallissce ne proverà un altro. Se un determinato ana- lista fallisce con lui, ne proverà un altro; e se l'analisi di per sé sembra poco promettente, cercherà altri modi per risolvere i suoi problemi.

Siccome è libero di awalersi di altri mezzi di auto- realizzazione, colui che cerca non u ha bisogno » di aiuto analitico tanto quanto ne ha invece bisogno colui che evi- ta. Paradossalmente, tuttavia, è (più 'probabile che sia il primo a sollecitare l'aiuto analitico, non perché ne ab- bia più bisogno di colui che tende a eviftare, ma perché è un "cercatore". Infine, e per le stesse ragioni, sarà pro- babilmente lui e non colui che evita a beneficiare di più dell'analisi o a "guarire" dalla sua "nevrosi" senza al- cun aiuto terapeutico formale. L'analista desideroso di successi terapeutici farà bene a limitare la sua clien- tela ai "cercatori". Così selezionati, i suoi pazienti non saranno però soggetti adeguati a delle analisi protratte, economicamente lucrative, come invece spesso lo sono i soggetti appartenenti alla categoria di coloro che evi- tano.

Colui che evita.

I1 cercatore è come un uomo d'affari o un impren- ditore i cui scopi sono i massimi profitti; colui che evita è come l'impiegato e l'operaio i cui fini sono il minimo sforzo. A causa della natura dei così detti sintomi psi- chiatrici, molti pazienti che ricevono la psicoterapia e molti di quelli che non la vorrebbero ma vi sono co- stretti sono in gran parte motivati dal desiderio di evitare i problemi piuttosto che di superarli. Ad e-- pio, l'isterico cerca di evitare le tentazioni; il fobico, il confronto c m l'autorità; lo schizoide, le persone che b controlleranno e così via.

Ne cmstegue dunque che, sebbene sia colui che evita

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quello che "realmente ha bisogno" dell'analisi, egli pro- babilmente dimostrerà verso l'analisi lo stesso atteggia- mento che dimostra verso le altre cose, vale a dire la eviterà. Giò nonostante, spinte )dalla loro scrffereaiza, mal- te persone con stili #di vita onientati nel senso di evi- t a ~ sollecitano l'aiuto psicoterapeutico. Questo tipo di paziente e il suo terapista supporranno probabilmente che una modificazione della sofferenza del paziente, at- traverso itl lavoro analitico, sia un traguardo merite- vole. In realtà potxbbe non esserlo (da qui il bisogno di un periodo di prova adeguatamente condotto).

Lasciatemi aggiungere che personalmente considero coloro che evitano tanto <C analizzabili D quanto i cosi- detti cercatori P. Il problema non è che essi non sia- no analizzabili, quantb che sperano di ottenere qualcosa con niente o, per dirla più tecinicamente, sperano di usare la psicoterapia autonoma per migliorare lla loro tm- denza a vivere in maniera eteronoma. Questo apparsn- temente paradosso nasce dall'arnbiguità implicita nelle parole "cercatore" ed "evitatore"; ognuna può essere &- scritta nei termini dell'ahra. Così il cercatore tenta di evitare la frustrazione, l'ignoranza e la mancanza di pa- dronanza; l'evitatore cerca di raggiungere la pace, l'ar- monia e la sicurezza. Pertanto coloro che evitano hanno tanta ragione di cerca= l'aiuto analitico per il conse- guimento dei loro fini, quanta ne hanno i "cercatori" per raggiungere i loro.

E' necessario che l'analista riconosca questo proble- ma e, se è il caso, me discuta col cliente. I1 paziente deve allora affrontare il suo problema e risolverlo in ma- niera soddisfacente.

Ma qual'è esattamente il problema? Ecco10 in breve: se il paziente è libero di utilizzare l'analisi nel modo che ritiene conveniente, potrà usarla per evitare con- flitti e problemi, non per risolverli; per sottomettere se stesso all'analista e non per liberarsi dagli oppressori

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interni; per minimizzare il dolore e gli sforzi, e non per aumentare al massimo il piacere e la creatività; in breve, può usare l'analisi per diventare ancora più eteronomo in- vece che autonomo.

Pazienti di questo genere sono stati una continua spi- na nel fianco degli psicoanalisti. Ma non è necessario che lo siano. Non è compito dello psicoanallsta cambiare la gente. Freud lo ,disse spesso, ma spesso sembrò dimenti- carlo. Quando i pazienti usano l'analisi per evitare pro- blemi, sono spesso classificati come "resistenti"; quando evitano il dolore a costo di danneggiarsi, come "maso- chisti"; e quando evitano la vita stessa perché troppo dura, "passivi". Per quanto ctoaurate possano essere que- ste classificazioni, esse non diminuiscono il problema né per il pazi'ente né per l'analista.

Come regola, occorre un lungo periodo di lavoro ana- litico prima che l'analista e il paziente possano comple- tamente afferrare il significato di evitamento delle abi- tuali (nevroltiche) strategie di vita dal paziente. Quan- do l'hanno colto, sorgono diverse questioni: Qual è per il paziente la maniera migliore per raggiungere il suo scopo di evitare: attraverso i suoi sintomi e il suo stile di vita o attraverso l'analisi e il cambiamento della sua personalità? I1 cliente deve integrare i suoi fini ne- gativi con alcuni positivi? Deve tentare di abbandonare alcuni dei suoi soopi cnegativi?

Per $1 terapista lautmamo, il piaz!ileinitz che evita pre- mtia un problema molto più diffiaille di colui che cerca. Anche il compito del paziente è più diffilcil~e; tutbavia, egli ha più da g m d a p r e che noi12 il cercatone. Questo per- ché, una volta che Je stnategie IdaN'evitanento slmo beai stabilite, è dnffiailie che loambino ':spntaneamente". Que- sti stai di viba sono notevohente stabnlli. Così, a m m chle il soggetto che evita (non (abbia &a fortuna di iacon- trare un analista competente e il buon senso #di far uso dlelil'analilsi, è iqrubabiile che muti ih sua persaniailiittt.

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D'altra parte i11 cercatore ha molte opportunità per una auto-tra~~form~aziane personale al di fluori ~deljlla psico- malisi.

Qual .è il cornp4to dellawlista quando è (messo di fronte a un invi3te~ato evitatore? Certumente il suo la- voro non è quello di ltemtare di c a m b h le persoaie che evitarno in persane che ~ c a r a o , più di quanto Imn lo sia 11'1invarso. Tuttavia, il tierapista ldovmbbe riccmnoscerie e ~i~ncoraggiiam il paziente ia Iiiconosoere che d'analisi si fonda più su una filosofia !di ricexa che non su m a filoso- fia di fuga. Essi dovrebbero 'inoltre mndersi conto che sle questa preferenza d'i valo~ie $è ~moessa~ia per l'analisb, ncxn 10 è per il1 paziente. L'arnaiEizzando deve essene libero di scegliere #tra vari scopi e valori. In breve, salo ~lbndista deve dane hparbanza all~awtonomia. Sarebbe pmfkibile che anche i1 pazimte Jo $messe, ma $non glielo ~ può esigere.

I1 rapporto tra analtislta e paziente è paragonabile a quialba tra governo e cittadino, in un idaale società aprtia. In una simile società, 4'hldividuo devi: essere li- b~zm !di abiurare lla la'iktà; se non 110 fosse non ambbe la libertà di abiwane. I1 governo, Invece, non deve. essere libero di sceg1kx-e i l dispotismo, indipendentemonte da quanti dei cuoi aifitiadini lo chiodano. In breve, l'indivi- duo può agire come whiavo, ma iil governo non deve agire aome un tiranno. Allo stesso m& d'analizzando può aginz come uno che evita, ma d'mdilsta deve agire come run e~iaatuire. Non occorre dire che sarebbe p!- feribile ~rildu~ine al minimo tali conflitti di valori. Di- versamente il alttadino eteronmo sowertirà .la società aprta e i11 paziente etermomo tenderà a forzare il suo terapista in un m 1 0 complementare diirettivoqpres- sivo. L'analista &ve nesistere ia questa ~ ~ o n e , $10 stesso che ad altre, senza né costningexe il paziente né dirnet tedo (dalila tera~ia.

Iln idina di pnin~ipi~o, la psicoterapia autonoma potreb-

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be iaiubare una persona a e.vi%alie i pmblemi della vita meglio di quanto non v i niuscitsse prima. Se il suo scopo priaciplts .è di ':giocare sul sicm", egli può usatre il Talrporto analitico per migliforare \la sua abilità a vivere senza un sfenio impegno verso le persone o i valori. E' anche possibile che l'analisi possa minare questa abilità. Iin partiooliaire il paziente può rendersi conto, e questo p ò costiltuine p a lui ulno shock, che malgrado i1 pieno suooasso della fuga ciai nischi e dalle difficoltà sociali, le sue strategie, I& un punto di vista esistenziale, 110 las~iia- no a mani vuote. Per di più, !la partecipazione al gioco ana- litico può rm'diere una ltale persiarila sempre più h a - dabta a 6unzionam pim-te l h quei giochi eteronomi e burocratici nei quali prima eccelleva. Prilma o poi m tale soggetto o 1hscm-à la barapia o si ltrovierà !di fronte dla domanda: di che u~il~ità è lia conaaiplevulezza deBe scelte. per una persona che non vuole delle scelte?

Questa è la diffilcile situazioniz &amai alti quale si trovò Ado1,f Eichman quando la Germania fu sconfitta, nel maggio del 1945. Ecm quanto egli si disse, secondo Hannah Amndt:

Presentivo che. avrei dovuto oondurre una diff ilcile vita indi~viduale, senza ailouna guida; non avrai ricevuto diret- tive da n12ssium, non mi sarebbero più stati dati ordini o comandi, non vi sarebbero stati più adeguati regola- menti da cmsuiltare; in breve, mi, stava 'davanti una vita mai conosciuta

Questo pensiero sintetizza 111 ~dilemm~a d~oll'uomo ete- rolnouno nel ooniternpltax! la possibislità di un'esis~timza au tmma. Lo psicaml!i'sta ncm può n é ha bisogno di ri- colviere questo problema per il1 paziente, ma deve lasciado libero di ciarane altre guisde o di Ruitrqrienhre il com- pi'to, lento e ,penoso, di imparare a reggersi da solo.

6 Eichmann in Jerusalem. A report on the Banality of Evil, Viking, New York 1963, p. 28.

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PARTE SECONDA

LA TEORIA DELLA PSICOTERAPIA AUTONOMA

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IL CONTRATTO INIZIALE TRA PAZIENTE E TERAPISTA

111 rapporto tra paziente e analista può essere diviso in quattm fasi: 1) le interviste iniziali; 2) ti1 periodo di prova; 3) la fase contrattuale; 4) il periodo finale. Nella prima fase il cliente e il terapista si hcoaitra~io e si valutano reaiprocamente, il paziente. indica ciò che vuole comperare le il terapista ciò che offre in mdiita. Le due parti hanno così ll'crpportunità di decidere se de- siderano o meno intraprendiex ciò che viene definito tradizionalmente il prooesso analitico. Se dwidooio affer- mativamente, ha inizio il periodo di prova. I1 rapporto tarapeutico può Estarie in questa fiase (quaIche volta per un lungo periodo di tempo), proseguire d l i a fase con- trattuale o terminare. Se l'analisi p~ogriedkce e arriva al contratto, la sua conclusione deve seguire detemi- nate nzgole.

In questo ~apitoilo descniverò, im termini teorici, la prima fase del trattamento psicamdi~co.

I1 gioco come trattamento e i1 gioco come educazione

L'applicazione alla psicoanalisi 'del modello di riferi- mento medico-terapeuti crea continue difficoltà duran-

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te il rapporto analitico. In psi~cranaliisi, quanldo cliente e specialiiiista si inomtrano per la prima volta, ci riferiamo al primo generalmente come al "lpzimte" e al second~o mm~e al "twapis~b". Come per ialbri kmpisti, ai si atten- de che l'analista faccia una diagnosi, consigli una tera- pia e, in alcuni casi, esegua il trattamento. E' quindi generalmenbe accettato che compito iniziale del terapista sia quello di vdutare la "psicodinamica" del pazienlte e decidere se è "anailizzabile". Ritengo, viceversa, che inm sia questo il compiito dellbnailista.

Per compnmdsne le ragioni per a i li pazienti per la psicoterapia autonoma non possono essere selezionati come, diciamo, ii pazienti chirugioi, (dobbiamo parago- nare iil molo &l (paziente al ruolo ~dall'allievo. Questo ci aiuterà a capire la diffenmza tra il giudizio medico di selezione d'e1 paziente e il giludizio eduoativo di selezione del~l'l'allievo (che (in realtà non è affatto un processo di ssleziom).

11 molo del paziente e 11 molo dello studente

Ua mailato è un profano. k & o da un medico, quan. do è ammalato, ci si aslpetta che si comporti come tx non sapesse chre cosa gli *succede. In al m&, la per- sona rnab'fia, essenzialmente ignorante per quanto ni- guarda la Iralttuila della malattia, ci ricca medico. Il medico, con la sua conoscenza e le sue capacità specifiche, $a una 'diagnosi ed esegue la cum nleoessania. Il ruolo dal paziente è di solito limitato al diritto di accettare o di rifiutare la cupa che gld vime prescritta.

Se l'a1il!ievo è un adulto ilndirpandente (o se gli si per- mette d i agire 8autmomamente), è lui stesso (e non q-1- cuin'ztltro, per quanto esperto) che stabilisce la "dia- gnosi", v d z a dime $1 problema da risolvere. I problemi educativi, non meno problemi medici, variano assai.

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Ad esempio, ~l'allnevo può manoaire di conoscenze medi- che o di diimestichezza con il russo; se desidera diventa% medico o impamnz il russo, studierà queste materie. Al- lo stesso modo m a persona può difetta= di canoscenza di se stessa e di capacità inimpersonali; la sua condotta o quella d e a altri può confonderla e causla~le insddi- shzioine: al fine 'di miglhra~e il suo beness~c: personale, può decidere di saperne $di più su se stesso e sui suoi rapporti con gli altri. Una tale persona può cercare d'aiu- to di un analista.

Esiste un 'd t~a differenza tra h situazione dzl pa- ziente medico e (&l10 studente auto-msponsabile; essa è relativa ai fini intrinseci ai ruoli di paniente e di 4- l!ievo.

I1 pazitmtie è malato e aspira a guarire. 111 suo medico ha, <di regala, lo stesso scopo. Questo perché la malat- tia e h salute d d corpo umano sono problemi sui quali c'è un ampio accendo tra le persane dal mondo occiden- tale. Iinhe, la persona malata ha di solito un'ideritità per- son

a

le in aggiunta al \suo sbto di rpwsana mail lata le da esso imdipndente. Essa va dal medioo non in cem di una nuova identità, ma par modi f im certe condizioni che intmfa-isccnno con 110 svolgimento dal suo abituale ruolo sociale e quindi col vissuto dalla sua abituale idmbità.

Al ooinbra~io, ~l'alllevo non è ammalato; egli è (parlo in senso descnittnvo e non peggiorativo) ignorante o inca- pace (non $del butto, naturalmente, pexhé in r d t à nes- sun adulto può esssseirilu). La s m ignoranza o scarsa abi- lità riguarda soltanto certe alttività o ozrk matmie. Uno studente di fisica è Ugnomnte in questa scienza nel senso che desidera lhpara.: di più; uno studente di medicina è {ignorante nello stesso senso per quanto riguarda la medicina. Ma mentre il1 malato è cms~iderato t& e si trova nal molo di paziente perché le funzioni del suo cmpo deviano dalla norma, lo stludente è cmsriderato

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ignorante ed ha il1 ruolo di studente, non perché devii dalle norme educative sodailmente awettate, ma perché vuole soddisfare un'aspirazione percomale.

Iinultne noin vi sono norme educative paragonabi~li al- la norma largamente condivisa della salute fisica. Per uno studente di greco l'edumziorle è una cosa; per uno storico d;arte, un'altra; per un fisico, un'altna annoora; per un atleta, m a quarta e via dioendo. Gi sono mallte for- me di sapene e di capacità, e ognuno cli noi può essere in- talligente o apece In alcune di esse, ma non in tutte. I1 fatto è che selezionare se stessi per il ruolo di studente h una materia particolare, è anzitutto una scelta esisten- ziale. Quieslta iln partv è un giudizio su se stesso, in parte un impegno (di autotrasfmmazilone.

Di conseguenza, se \la psiootenapia è un processo di ap- pmlcl!iunato Canziché un processo di recupero della sa- lute perduta), e se iimplica una trasformazione del sé (anziché unlalt:nazilone deLla struttura o della funzione del corpo, dobbiamo essere molto chiari riguardo a chi decide e che cosa si decide circa I'autotrasformazione di qualcuno. Come ii paYzilotti e i giudici, gli psichiatni su- no speslso chiamati da persone e organismi sociali che desiderano che la pizirsonaliità di un'altro individuo venga trasformata. Anche se il termine "psichiatra" è applicato slh al110 psichiatria che accetta questo genene di ilavoro sia al suo aoll~ega psiooanalilsta, essi conlo impegnati in imprese dimetrailmente opposte. I1 pnimu cuna pazienti la trasfo1mazione della cui personalità è desiderata da altri; il s~eccrndo !deve invece limitare i suoi oolntatti a co- 1om che desidmano la propnia a~totras~formaaione.

Secondo la mia opinione, 1;analista acm ha il diritto di agine come se il suo compito fosse quello di stabilire, e tanto meno di imporre, se una persana debba o meno diventane un paziente andlihioo. I1 suo cfiritto si limita a non accettare chiunque legli non desideri trattane. Egli noai dovrebbe perciò \dine alla persona che aerca aiuto

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analitico che per lui sarebbe $u adatto un altro tipo di cura. Se l'analiista rispetta la dignità umana e la autodetermi~nmione, non è quesm che deve fare.

Insomma, il berapista che desihra praticare la psdco- terapia autonoma deve rinuncia= al m010 di p s i d i a - gnosta perché ciò degrada il pazilente. Questo non signi- fica che il terapista debba amzttare chiunque vieuiga da lui e chieda di essere anializzato. Significa solo che il processo sel~ettivo !deve essere reciproco anziché unida- terale; autonano piuttosto che oaerciibivo per entrambi i partecipanti.

Chi seleziona e chi viene selezionato

Questo fa sorgere i81 problema del1,a selezione dei pa- zienbi par d'analisi. NeillTapproccio tradiai~mk, l'amllista cerca di stabilire se il paziente è anialtizzabile; me t t a quei pazienti che 10 s~mo e respinge quelli che non lo sono (va- le a dim che fa loro altre raccomandazioni). QZIRS~Q punto di vista è incompatibile con i pnincipi della psicoterapia autonoana.

I1 aliente chz cerca l'aiuto di un analista ha sicura- mente dei dubbi. Cos'è che (non va in lui? Può essere aiutato? Se si, .è l'analista il genere di aiuto di cui ha bisogno o che des+dera? L'analista oonosce ciil suo me- stiere? La procedura analitica standard, sul modello del rapporto medicodpaziente, tende a collocare questi dubbi in un certo stampo; è quindi probabi~le che il paziente espninm i suai timori sotto forma di due domande (che di fatto fa): Sono un buon paziente? » e « Posso es- s8eE analizzato? » A questi dubbi spesso (ne wrrispoa- danu laltri analoghi adlla m a t e delll~andis$a, che in- fatti può chiedersi: « Sarà un paziente facile o diffiicile? lo e « E' un paziente anailizzabile? D. S'e la risposta alla se- conda domanda è no, wiò spesso comporta che entrambi, pazi~ente e ,terapista, debbano aooontentarsi di una fora

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ma (di Wrapia infenio~. E' questo un legame psidogico che va assollutamente evitato. In d t à queste doanande sono ~tdmente hndamentdi per l'hamtilo analitico che richiedono m dtenia~ approfondimento e chiarimento.

I1 tempista è unautorità rhnosciuta che iil paziente trova, paga per i suai servizi e mrca di accontentare (e di scontentare). Di qui il problema della necessità per il paziente di essere mndisomdenbe con ti1 tierapista. Ciò è diametrailmente ornosto allo scopo dell'analisi che è di liberare liil paziente dal~l 'opssione intrapersanale, in- berpersonale e sociale. Sono cose (note. Freud formulò questo problema parlando del tramfiart del paziente sul terapista e deill'abblip delil'analista di lanalizzax, @t- tosto che sfmttare, questlo @o di (legame umano.

Sebbene sii tmltti di una fomulaaione valida, non dob- biamo dimlenlticare che la situazione psiimainalitica gioca un ruolo oruaialie nel d e ~ e r m h r e che tipo di rapporto si svilupperà tra queste !due parsone e cosa si potrà o me- no fare con esso. Quindi, se la situazione analitica è op- pressiva per il paziente, se 110 costininge a sottomettersi a trattamenti indegni e ad umiliazioni (non nleoessarie al fine di mantenere il rapporto col Iterapislta, allora non v i sarà "analisi di tiransfe~t" approfondita quanto si voglia che possa liberane il paziente. Infatti una situazione di questo genere si presenta al paziente come un doppio le- game: d'analista che da un lato opprime il paziente, im- pegnandalo im una situazione beiraipeutica autari~tario~coer- citiva, mantre daill'dtro "interpmta" i suoi atteggiamenti infantliili, dipendenti o sottomessi nei c m ~ f m t i di laltre parsone.

La domanida « Sono un buon paziente? D, è una trap- pola sia per i1 paziente che per f terapista. Se l'analista suggerisce una risposta affermativa, essa significa « si, sei un bravo figliolo (studienite, penitente, etc.) D, e che il terapista awetta per sé un ruolo supariore in modo da poter @u&cane la condotta del cliente mal suo ruolo di

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paziente. Se Ja ~isposta è no, i2 ~{gnificarto è ,1u stesso, ma (la condanna è piG ipsainte. In emtrambi i casi, il rapporto terapista-paziente sR stmttuira secondo una po- larità supenio~-inferitore. Credo chv ,molti incontri psi- cotwapeutici sii hfrangaino ,su 'questo scog]no: più 41 clien- k si sfiorza di essere « un buon paziente analitico D, più è destinato a falmlitre, a premindere da11 £atto che x-izsca o meno ad acconltmtare il terapista.

In questo generie di situazioni c',è ,solo una via d'uscii- ba: assumere una metaqmsizione anditii'ca o logica ri- spetto al problema. La trappola ~dmz essere esaminata e superata. Qui! è 'di ,nuovo +mportante l'uso appropriato d d peniodo cdi prova e ,di contratto. Non appena si chiari- sce cosa vogtiono li81 terapista e il cliente, è passibile per ognmo di Ilero dleci,dere se liimpegnarsi o meno iiin un Tap- parto aniciliticm m d!alltro. Ciò significa che 1l'mali:sta non ha bisogno di preoocupar.si se i1 paziente è un "m- vrotioo", un "boirdenline" o se è '!analizzabile".

I1 prabl1em.a che quesbe astraziiani cercano di Tiisolvere d'eve essere formulato in lbrmiini operativi più pratici, come: « I1 ,paziente capisce aiò che I'analtista si aspetta 'a lui? E' ~ipnntimssato a partecipare al gioco maili~tioo? Può, in ,effetti, parteciparvi? D. A queste (do=& si può dare una rapida risposta facendo 'gradualmente co- noscere al paziente le regole richieste dwlvlda sit'uazione ana&tioa. Se l d berapista \sii comporta in questo modo, +l problemia di selezionai ire ii ~pazimbi per Il'mali,si 'diventa più smplioe. Invece di dover fare profonde congetture circa 1,a « psimdinxnica D wcuiltta del paziente, è la sua sbesca .cand,otta ~durmtz 1e ininia]n a si,stemare la questione. Se il paziente non vuole un'~mlis4 o noli può tollerare le con&zbni che gli vengono imposte, de- ciiderà di 'non acquisttase aiò che d'analis~ta ven'de. Cosl è come 6unziori.a in gmerde il processo di selezione per quanto mi riguarda. In irealtà non s,mo iio a seiIeziomre I pazienti: sono l'oro che mi xe11gono o mi 'rifiutlaiio.

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I1 significato dell'auto-selezione del paziente

Se un giovane scegliie oome carriera la medicina, il sacerdozio, la fisica o la politica, è giustificato considerare questa sozlta come espressione di aiò che agli è e di cosa desidera diventm; allo stesso modo, se una persona è assillata da problemi vibaM e sceglie di diinsultare un oerto tipo ldi g u a r i t e piuttosto ohe un altro, questo è espressione di ciò che egli è e di cosa desidera es- e r e . Lo psicoterapista non può eludere questo proble- ma. Eglli ha davanti a sé tre possibillità. P$fimo, può ac- cettare la scelta dal paziente come la più oonvoniimte per lui. Secondo, può stimare il paziente lincapace di conoscere aiò di a l i ha bisogno e, di conseguenza, pre- scrivergli (il tipo di terapia da s~eguire. Tlerzo, può com- pletane Ile informazioni del paziente circa iil tipo di aiuto disponibiiile e lasciare che si basi su di esse per ulteriori decisioni. I1 punto è che il tierapiista non può k idenu il tipo di terapia che il pazilmte deve seguire (anche se il paziente potrebbe volerlo) e quindi pn~figgersi di analiz- zarlo.

Lo psiimterapista autonomo deve evitare questo tipo di interventi etleronmni poiché non c'è modo di giudicare sle una d'eterminata persona con dai problemi vitali debba essere "trattata" con psicoanalisi, consigli religiosi, medi- cine, elettroshock, o una qdunque (delle molte proce- dure esistenti. L'analista è tenuto a considznare le deci- s~oni del paziente, inclusa la sua soelta ,terapeutica, come atti di auto-rivelazione e quindi come fcnntii dli infama- &ne sul paziente da "ilnterpretargli », piuttosto che co-

me

errori da "correggersi" autoritariamente da parte dal terapista.

Un esempio iillus~trerà ciò che liintendo. Una giovane colta, è iinfklice n d suo matrimonio e si annoia nel suo ruolo di madre e di donna di casa. Questa donna può consultare uno psichiatra organicista e vedersi prescri-

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vens una serie di shock; può £$arsi visitare da un me- dico generico ed essere a r a t a con 'tranquililanbi; può decidere di rivolgersi a ,un sacerdote per uin aiuto spi- nituale, a un analista per una psicoterapia, a un amico per una nelazione amorosa oppure a un avvocato px un di- vorzio.

Se ci accostiamo al problema di questa giovane da un punto d i vista medico-psichiatrico, ammetteremo che è ammalata. Di conseguenza dobbiamo accertare la na- tura e la gravità della sua malattia. Se si tratta di una seria depressiaone "psicotica" dovrebbe =ere tratta~ta con elettroshock; se è una idepressione "psicogena" può es- slere indicata la psicoanalisi; sle linveae è salo una rea- zione a un problema "lli~eve" e "trans~itorio", può essere accettabile 9 ltrattamenlto del medico generico o del sa- cerdote. Sebbene quosto tipo di concettualizzaaione pos- sa apparire utile e seducente, in realtà è ingannevole e di nessun valore. I criteri estrinseci alle esperienze 12 allo stile di vita del paziente non debbono portare il tera- pista a decidere se una dzterminata persona con pro- blemi vitali debba essere "arata" con la psicoterapia, l'assistenza religiosa, I'elettroshock o con altri "mezzi" non formalmentle "terapeutici" (ad esempio il divorzio, il cambianz lavoro, etc.).

Senza dubbio una persona può cercare un tipo di soluai~ne per i suoi problemi piuttosto che un altro per mancata conoscenza dalla gamma completa di possibilità disponibili; ma ques t 'argomento non coglie 11:essenziale: un'ignoranza di questo tipo è parte integranhe dalla per sonalità delil'indidduo o del suo io.

Diagnosi o dialogo?

Anoona una volta l'analogia tra il problema del pa- ziente che cerca ~ u t o per k sue diffi~oith vitali e il

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problema dell'sllievo, speahlmante di chi si trovi ad af- 5rontanz {la scalata di una carriera, è ii~luminante. Uno può entrare nell'azlimda paterna, un altro studiare musica, un terzo diventare scienziato, un quarto, muratore. Ognu- no fa una scelta, &n bene o in male. E' quindi possiknile che uno studente che abbandona la scuola superione e hvora diligentemente +n uniiniziativa per lui ricca di significato concluda, negli anni dellla maturità, di aver agito saggiamente in giovatu; mentre un altro, che con- $inua gli sbudi allluniversità e si Zaunea, può sperimen- tare una seria misi di identità sui quairanrtiaxmi, quando si renida conto che mai avrebbe cEomto diventare, ad esempio, un avvocato. Non esliste modo "obiettivo" di giudicare la saggezza di talti scelte professionali.

Queste cans i i~azbn i convalidano I'atteggiammto dd- lo psicoterapiista autonomo veilso P suo cliente. La sua oondotta deve aiutare e non ostawlarr una scelta c m - sapevole riguardo all'eventuale tempia che 3 paziente dovrebbe ozrcaine per i !suoi probilemii vitali. 111 terapista p ò farlo tenendo presente che i1 suo dovere è: pxho, a non fare diagnosi al paziente, ma impegnarlo i n un dialogo denso di significato D; senido, non cercare di rac- ooglicre dati dal pazlieabe, ma fo~nirgli informaaimi ap- propriate.

Spesso il terapista cerca di raocogi1Rere h breve tem- po quante più idomazion~i possibili sul paziente. AP'as- aistente &le sii insegna come condurre mura te e si- stamatiche interviste prelimiinani; al giovane psicologo come manovrare batterie. di « test diagnosbici »; e al giovane psichiatra come condurre "linb:miste diagnosti- che n per sttabi4b-e la "psi~crdina~ca" del paziente. Trop- po spesso gli ainalisbi hanno seguito ih medesima sbrate- gia; ma per essi è una trappola. Quale è lo scopo di queste infmmaaioni? E' chiaro che iil medico, lo psi- cologo, d'assisbmte sociale e così via, hanno bisogno di questi dabi perché qudlo che ci si attende da 1om è

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una decisione, sotto la veste di una diagnosi p s i q a - tologica. Ad esempio, uno psichiatra o s p d i e r o può in- viare uln paziente allo psicologo aspettandosi che qus st'dtlmo ~&oi&, sulila bass di determinati test proiet- tivi, se il paziente soffre di "schlizufPeniaia>' o di "iistenia". Ognuna di queste diagnosi #implica determinate azioni. In breve, a uno speciiailista cmcorruino cmte informa- zioni se desidwa giungens a un gi'uidizio razionale e quih- di dieoidere una Iiinea l& condotta. Ed è giusto che sia così. Ma è questa la posizione dallo psicoandis~ta di fron- te a un paaimlte che cerca l'analisi?

Nella maggior pante dei casi i alienti dle1,l'analista scmno preselezbnati h quanto vengono scelti, da loro stessi o da altri, cane persone che desiderano o han- no bisogno di analisi. Ciò nonostante, iil prob11en-m della sekzioine dal pakn te Wme spesso discusso come se il terapkta e un vasto gruppo ekmgeneo pensone "men- talmente mail&" 'dovessero reciprocamente aff,rmtarsi. In che modo essi anrivbo a {trovarsi di fronte è rana- mente speoificato. Secondo questo modo & vedere, il primo empito dell'andista è dividere 4.1 gruppo in due parti: quelli che possono essere analizzati e quelli che non lo possono. In realtà non è questo il compito del- l'analista. Cenza (dubbio può esserci un aildotto numero di persone, tra quelle che 110 cmsultano, che non sanno né quello chr ~llanalista fa né qualilo che Ioro stessi vo- gliono. Ma esse noin p n p o seri problemi allo ve- cidista in psiicoanallsi.

Dobbiamo suppor= che d'analista prabi~hi sollo 'ana- lisi ({se usa sltni metodi, per di più di carattere t o d - menqe diverso, la selezione dei pazienti potrh m s m dif- ficile; ma non mi <xxruperò ora di questo problema). I1 terapista che offre al paziente d o un certo tipo di ':aiutoH deve perciò .spiegarlo ai pazienti che lo igno- rano. Una vdta i n fomt i , la maggior parte di coloro che desiderano un aiuto non analitico, se ne andrh subito.

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Di conseguenza, il così detto problema della selezione del paziente comincia realmante solo dopo che l'anali- sta incontra uun den te ohe sa cosa gli si offre e lo vuole acquistare. Questa situazione è 'totalmente paragonabile a quella dii un cliente informato che cerca di procurarsi a'assistenza di un esperto.

Idealmtmte, le persone che desilderano accrescere le loro cmoscenze o migliorare la loro capacità si autose- lexionano per il molo di allievo o lapprenldista. Quizsto è di solito il caso dello studente che chiede di essere am- messo alla Facoltà di Medicina, di Legge o a un Isti- tuto Tecnico e del cliente che cerca i servizi di un inse- gnante di pianof'orte o di un maestro di tmnis. 1'1 pa- ziente che cerca l'assistenza di un analista si trova (in una posizione simile. Egli è un soggetto autonomo che si autoseleziona per il molo di analizzando, in quanto desidzra intraprendene un processo di apprendimento analitica. E' presuntuoso da parte di chiunque discu- @ere il diritto di autoselezione. I1 postulante, special- mente se paga di persona ~l'onorario dello specialista i>

l'insegnamento della scuola ha tii diritto di soegli~are ciò che mole studiare e, pertanto, cosa vuole diventare. Quin- di (la responsabilità iniziale dall'esperto, della scuola o del110 psicanalista k di fornire informazioni in modo che i1 cliente o studente possa operare una scelta consa- pevole.

Oggigimo, ml~la pratioa privata della psicoterapia, specialmente ndle grandi città, chi seleziona inizialmen- te è, di regola, il cliente, non U terapista. Se l'analista è conosciuto per il tipo di lavoro che svolgiz, molti pazienti si recheranno da lui perché desiderano procurarsi il. genere di servizio che egli offre. Se avessero voluto una cura organica o il miic0va-o in ospedale, avrebbzro cercato degli psichiatri conosciuti perché dispensano questo ge- nere di rimedi.

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La presa di contatto iniziale tra il paziente e il terapista autonomo

Nella situaailone iniziale della psicotenapia autonoma ci sono due persone: un ollientz che cerca aiuto e un esperto che offre i suoi servizi. Lo scopo di entrambi è di ampliare le soelte del cliente nella condotta della sua vita. Se l'analista wguz la strada tradizionale del te- rapista medico, pone il paziemte in una situazione para- dossale. Ci si aspetta che 11 paziente apprenda a miiglsio- rare (la sua capacità nel prendere delle decisioni ma, pzr far ciò, lo si priva dell'oppolrtuniità di deoidene se vuole diventare questo tipo di a4lkvo (analizzando). Que- sto si verifìcherà ogni qual voJta il maestro (analisita) si amogherà (il compito di sdezionme il cliente lper il suolo di allievo. D'altra parte, se la decisione nzsta al paziente, è quest'u~ltimo e non l'analista che deve pos- sedere le informazioni pertinenti.

Neilh misura h cui le intervisti2 iniziali servono allo scopo di raccogliere dati, le informazioni debbono es- sere raccolte non solo per e dall'analista, ma anche per e dal paziente. Il chiarimento iniziale del gioco analitico e il conseguente periodo divprova, aiutano il paziente a capire cosa sia l'analisi. Una volta informato, il paziente po- trà decidere razionalmente e riesponsabhente se sot- toporsi o meno all'analis~i.

Fin qui ho sottoiineato come non sia il terapista ma il paziente a deoidere il da farsi. Quzsto contrasta col tradizionale rapporto medico, dove è lo specialista a de- cidere per i11 cliente. Nella psicoterapia autonoma è il cliente a prendene tutte (le decisioni che riguardano in modo fondamentale !la sua vita. N m lwlo è libero di decidere ma deve decidere se vuole o meno essere ana- lizzato e, se lo vuole, da chi. Questo naturalmente non significa che il pazienlte deoide al posto dal terapista. Co- me il paziente, il terapista è libero di deci'dere - e in effetti deve decidere - se desidera prestare la sua

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opera a un parlicalare cliente che lo wnsdta. Anche se ciò può sembrare ovvio, le sue implicazioni sono signi- ficative.

Lasciatemi nipetsre ah= d'analista decide solo deltla propria condotta. Senza dubbio questo avrà conseguenze per 3l pazienfte. Tutta* l'analista non stabilisce se i1 paziente è analizzabile ma salo se egli desidera aiutarlo come terapista.

Per prendere questa decilsione non occorre che il terapista faccia una diagnosi. Dal momento che non ac- cetta né respinge 131 paziente cu~lla base? di una diagnosi, perché fanne una? Un paziente può esslere considerato isterico, depresso, ossessivo o schizofrenico. Tutto ciò non fa alauna differenza per il terapista autonomo ai fini della sua dmisione di accettare o respingere il paziente. Perfino da s t ~ r i a del paziente, sebbene importante per la terapia, è itnrilevante ai fini di questa decisione. In real- tà, la decisione del terapista d i accebtare o meno un pa- ziente h analisi s i fonda, e deve fondarsi, su argomenti wme l'interesse del pazi~iiznte ad essere analizzato, la sua a.ttiltudime all'auto-osservaxione e all'automiflessione, la sua disposizione ad osservare le regale Ul'analisi, e i suoi mezzi per pagare i servizi ddl'analista. Un paziente può e s s m analizzabile secondo i miei criteri e può ricevere da parte degli pcicopatoilogi qualunque dia- gnosi, dalla normalità alla schizofrenia. In verità, per- fino le così dette personalità psicoptiche possono in- traprendere con successo da psicoterapia autonoma se non vmgmo loro fatte delle concessioni nel trattare i termini dal periodo di prova e del contratto.

Insomlma, salo se il aliznte e il terapista sono en- trambi li'beri di decidere ciò che voglimo e sono pronti a farlo, possono trattare le condizioni per la collabora- zione teraputica. Questa inegoziai?ime consapevole è la base del contiratto analitico.

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IL PERIODO DI PROVA

La psicoanalisi come gioco: il modello degli scacchi

Agli inizi della stonia dizlila psicoanalisi, Freud pa- ragonò il trattamento analitico al gioco deglli scacchi. Tuttavia, egli usò questa analogia per richiamare I'atten- aione non sul carattere 'contrattuale del rappollto te- rapeutico ma su alcuni altri aspetti. Ad esempio &- fermò che ~lo psicoandista che desidera insegnare a un medico non anali'sta a prahicare l'analisi si trova in una polsiziope paragonabile a queli14a 'dello scacchista esperto che oerca di iinsegnare il gioco degli eawhi a un princlipiante. In entrambi i casi, argomentava Freud, s+i possono pwisare sol,o le mosse miniaiali e quelle fi- wEi della partita; non s i possano fare invece delle affer- mazioni teoriche di oarattere generale circa le mosse che il mezzo della partii-; queste vanno imparate c m la pratica.

Freud utilizzò l'analogia con gli scacchi per pariare dei rapporti tma R giocatoni. Sebbene i duz giocatoni cdabo~riao nel giocare a scacchi, il illoro reoiiproco rap-

1 Papers on Technique (1911-1915), The Standard Edition, vol. XII, pp. 83-173.

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porto nel gioco è antagonistico. Anal~ogammte, sebbene l'analista e l'analizzando collaborino nel mantenere la si- tuazione analitica, il loro reaiprocm (rapporto è, secondo Freud, antagomistico. Qwsto perché il paziente reprime idee e sentimenti che l'analista cerca invece di scopri- re; il paziente "resiste" agli sforzi inteqretativi del terapista e così via. Sebbcne suggestive, queste idee non centrano il bersaglio.

Esclusi questi brevi iriferimenti d'analogia con gli scacchi, nel senso usato da Freud, i teonici della psi- coanalisi non hanno fatto ulteriore uso del gioco come modello per l'incontro teraplautico. In un saggio scritto appmssimabivamente una diecina d'anni da, usai l'idea del gioco per sottolineare la natura contrattuale deill'h- presa psic~analitica.~ I1 mio principale punto di Msta era che, come le persone che parteoipano a un gioco si impe- gnano a obbedire alle sue regole, allo stesso modo l'anali- sta e l'analizzando si impegnano a seguire le regole d d gioco analitico. A diifferenza dal trattamento medico ordi- nario, la psicoanalisi è governata da regole di contratto e non da regole 'di sta tu^.^ La tecnica analitica tradizionale è stata recentemente discussa in termini di mgole di stm- tegia dal viincm di Stlephen Potter. Secondo lo scrittoe Jay Haley, il giooo analitico è caratterizzato da una senie di tortuosi attacchi da parte deillpana1Esta il1 cui soopo 6 quello (di wttometltere il paziente; a sua volta, il paziente deve imparare che, qualunque cosa faccia, rimarrà sempre rildotto al si ledo; quando è abbastanzn svelto da ~ ~ ~ i o ~ ~ l o , la terapia è ma1usa-l

Purtroppo, la teoria satilrica della psicoanalisi di Hdy è confermata da alcune moderne opzne s~ul~la !tecnica ma- litica. Ma il rapporto di Haley non è equiilibmto, im

2 On the Theory of Psychoanalytic Treatment, a International Journal of Psychoanalysis D, 38 (1957), pp. 166-182.

3 Vedere cap. VII. 4 Strategies of Psychoterapy, Gmne & Stratton, New York

1963, specialmente il cap. IV e l'epilogo

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quanto il1 suo h t m caso si basa su uniesagerazione de- gli ,aspetti autoiritani e costrittivi della psicoanalisi; al tempo stesso sono completamente negletti i suoi aspebti egualitari, contrattuali e non costrittivì.

Per vedere la satira di Haley nalh giusta prospettiva, dobbiamo tracciare un paralldo tra psicoadisi e pali- tica. Neglii ultimi 20 secoli si è operata una mctamor- fasi in molte società: R govelilll un tempo automatici, che reggevano le così dette società chiluse, sulno diven- tati più aperti e democratici. Qwsto non siigaifica che ogni società contemporanea sia completamente aperta o l ibra. Proprio come gli Stati Uniti hanno ereditato d d loro passato iil problema dei negri, così la ps~imanslisi ereditia molti problemi dalla sua storia medica. Mculni dlifetti sociali in una società relativamente aperta non ne fanno una soaietà chiusa, né poche regole eteronome mndono da psicoanalisi un gioco puramente coercitivo dell'arte di sottomettere I'awersanio. A dir il vero que- sti difetti sono indesilderabili e, se lasciati senza corre- zione, possono ben distxwggere la società o la terapia. I1 nostro scopo dovmbbe quindi essere quallo di cox- reggere i difetbi. Fnmd creò uno strumento "unico" per e s p l o r a la condizione umana e per allargare la li- bertà permaal~e. Ciò che egli creò non era perfetto: sta a noi rnigliomrlo.

Che tipo di gioco è il periodo di prova?

Cane ho sot~tolineato, il rapporto psimanaliiitico non è ulna situazione, ma molte insieme. Consi'derando qur- sto rapporto come un gioco, ci sarà utile distinguere /le due parti ohe lo compongono: il pmiodo di prova e la fase contrattuale.

Il periodo di p m a è necessario perché paziente e ana- lista, pur conoscendosi appena, ceroano tuttavia un qual- che tipo di associazione. Nessuno dei due colnosce !le con-

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dizioni che $l'altro desidera stabiliilie. I1 periodo di prova è una specie di situazione di contrattazione. Come tutte le ~ituazioni 'di oonih-attazione, si tratta di un gioco di strategia )di tipo a motivazioni miste: i giocatori hanno alcuni interessi in comune ed altri che contrastano. A questo punto della terapia, paziente e terapista non so- no né c o n p a p i h un'impresa comune né awasaz-i ia un oonfl~itto; piuttosto 'suno membri di una associazio- ne precaria. I1 destino di tale associazione è sconosciuto: in effetti non si può conoere . In praticm p dipende dalle specifiche mosse e cmltromosse di entrambi i parteoi- pianti. Alcuni esempi chiairirmo quesbe note.

11 alimite vm~~zbbe essere accettato m e paziente dal- l'analista, ma non p ò conoscere i temimi dell'analilsta fiinché egli steslso non farà ailune mosse. Ad esempio, il paziente pub non s a p e i ~ che linea seguire per ottvnere ciò che desidera dall'anahsta. Domà dmmmatizzare i suai s4ntomi per provare che tagli iè piQ "\malato" e quindi s t i m d m l'obbligo morale ,dal terapista ad aiubanlo? O dovrà hs~ingarlo, per convincerlo, che forse è I'uniico tera- pista 'in g d o ddi aiutarlo? O ancora, dovrà lasciar ca- dere dellle fmsdi allusive per assicurare ~l'analista che il denaro non ha ,im1pcmtanza pvr Jui e stimolarne %in tal modo liiintmmsise ~pounia~io per iiil sruo caso?

Reciprocamente, l1adEsta ldesiidera un paziente ana- litico per praticare Ja sua professione e guadagmarsi da vivere. Ma egli non sa srr il paziente potrà pagare l'ono- rario o è d i i s p t ~ la paganlo; oppure se, anziché d'analisi, il p h n t e si aspetta omsligli, rassicurazioni, tranquil- lanti o medicine (per dormire.

Imsomrna, d'associazime tra &mbe e andista è pre- caria pier entrambe ,k parbi. E in effetti cosi deve esseire; ml~tanto allora sarà una genuina contrattazione. In qua- lunque momento ognuno dei due può perdeile l'altro. Ef- -

5 Vedere a questo proposito anche la discussione sulla pratica della psicoterapia autonoma, specialmente ai capp. X e XI.

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fettivamente, ritengo che iil pericolo )della perdita sia spesso maggime per ,il terapista che non per il paziente, ma il paziente i10 ignora. E1 paziente può chiadare, ad esempio, che iil terapista ~inkrverga presso la moglie. L'analista p ò araspingere questa richiesta senza ptrò terminare il riapporto. Ma finché non lo avrà messo alla prova il paziente non potrà com'unque saperilo. D'altra p a m l'analista ldeve pliepararsi ad essere infilessib'illr su determinate posizioni; dtri'menti perderà d'opportunità di svolgere il suo compito di amazilsta. 111 probdema è questo: wme mantsnensi fermo senza sentirsi eccessivamente minmx+ato dalla passiilb.de perdita del pazlienbe? Ailo stes- so tempo il terapista !deve guardarsi dal commettere J'er- rare mtrar io: non ,deve. essure -p0 esigente. La do- manda allora .è questa: come può mantenersi fermo le negoziane h modo si~gni~ficativo senza esigere troppo dal paziente?

Anzitutto i'andista potrà fare questo solo se 112 sue mdizioni saranno minime.. C m ciò voglio dire che il terapista chiederà al paziente di fare o di astenersi d d fare solo le colse. indispensabili per lpreservanz l'integri- th del gioco analitico. Se queste condizioni sembreranno mrinime al paziitnte, dipenderà dalla sua personalità; esat- tammte come i1 fatto che l'onorario gli sembri ailto o basso dipenderà dalla sua mndi(2:ione economica. h secondo ,luogo, l'an&sta, come &l paziente, non

sarà in grado di giocane li1 gioco analitico a mieno che non possa contrattare. )da una pasizime di una certa forza. Con questo voglio dine che egli non deve essere troppo bramoso di denaro o ~pzianti; altrimenti è pm- babile che arrivi a un compromesso e vada incontro a qualche richiesta del paziente anche se ciò può viziare le condizioni mecessavie per l'analisi. E' miia hnpims~sioaie che i terapisti, ~peoi~drnente giovani, spesso rovinino il gimo anatiitico in quesito modo. Di solito non lo m. mettono (o non ne sono cmsapevolii) e si lamentano di

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esswe mtretbi a pratilcan; una psicoterapia di soste- gno perché nessuno dei loro pazienti è analizzabile. E' ciò che spesso mi dicono giovani oolleghi, sia nella mia veste di arnia che in qualla )di loro analista. Quando in- dago sulle circostanze del loro contatto iniziale m1 pa- ziente, molto spesso scopra che hanno ceduto di fronte ad alcune delle prime richtieste del paziente (richieste che avrebbero potuto respingare senza pmdenlo) e che tro- vano poi impossibille ritguadagnare il terreno perduto.

Terzo, solo se Il'analista apprezza l'autonomia e ca- pisce li1 giwo mailiticm sarà in grado di oontmttare &- caoemente; ~m ciò non voglio sifenilrmi a un onorario alto, ma all'integrità dalla situazione analitica, alla pro- pria autonomia e a quella dal pazieinte. Se agisce in tal modo, allora, medico o no, con o senza un training ana- litico formale, potrà con la pratica divenire un abille esperto della psicoterapia autonoma.

La tesiiche una pzrsona non può efficacemente cm- trattare da una posizione di debolezza, è ugualmente ap- dicabile al paziente. Quando un individuo ha perso il potere di aiutarsi, quando crede di non aver nulla da of- frire a un altro, in breve quando è veramente indifeso, allora qual- altro deve assumersi la responsabilità per lui. Se nessuno lo fa, quest'individuo perisce.

Comunque, una persona che sia riealmmlte wsì de- bdz, vale a {dire la cui mancanza di risorse non sia, almeno ,h parte, di carattere strategico, non arriverà mai allo studio dell'analista; sarà elimiinato dal gioco grazie al metodo dall'analista di prendere appuntamenti: CQ- me minimo, il paziente dell'analista sarà sufiioientemate fiduciolso in se stesso da fissare da solo d'appuntamento e mantenerlo. Anchle se allora affronterà iil terapista c m una quasi completa mancanza di risorse, )l'analista può ancora comportarsi autonomamente; la sua mossa indi- cherà al paziente che egli offre un certo genere cli ser-

6 Vedere cap. X.

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viai e che la natura di questi servizi noin è influenzata dal disperato bisogno o dallla completa debolezza del paziente. Quest'atteggiamento può sembrare duro; non credo che lo sia, è semplicemtsnte onesto. La condizio- ne del paziente, per quanto ~pnosa, non obbliga il tera- pista, $in quanto andista, ad aiutar10.~

Messo di fronte a questa massa iiniziale, il paziente d m à scegliere tra il wrcam uln altro terapista che ri- sponda diversameinte alla sua diebolezza e l'assumersi maggiori responsabilità verso se sksso. (Per alcuni pa- zienti, la ferma presa di posizione. iniziale dal terapista può costituine il momento dwisiivo n e l l ' i n ~ ~ t r o tem- peukico). Se il paziente preferiwe andarsene dev'esuzre libero di farlo e non dovrebbe eccere "sedotto" alla te- rapia dailllJanalista. Se il paziente sceglie di restare, la c~ntrattazi~one fria lui e P lterapista cirntilnua.

Conflitto e collaborazione nelle situazioni assistenziali

Paragonliamo questo modello di contrattazione del peniod'o di prova (della terapia analitica al criterio me- dico tradizionale ,e a quello freudiano classico. Secondo il pensiero rn,edilm ordinario, la ~ laz ione .tra paziente e dottore o tra analizzando e analista è un semplice gio- cm di pura collaborazi~ne; il paziente è ammalato e vuole guarire; i1 medico è un abile proEessioinista che vuole 'restiltuire al pmimtr la salute. Quindi tutti gli in-

7 Questo è un giudizio personale. Coloro che credono che le condizioni del paziente obblighino il terapista ad aiutarlo, né si interessano alla psicoterapia autonoma né desiderano praticarla. Io credo fermamente che il terapista sia e debba essere prima di tutto un essere umano e poi un analista. In molte situazioni umane, dentro e al di fuori del suo studio, il terapista sarà e dovrà essere di aiuto al suo prossimo. Ma insisto che egli, e quelli come lui che intendono essere analisti, debbano avere chia- ro in mente quando il terapista fimziona come aanlista e quan- do non.

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teilessi del paziente e del medico coincidono; non vi è conflitto.

Qual grande ainico che fu George Biemard Shaw de- dicò la maggior parte 'de111a sua vita a esporre analoghe ipocrite descrizilmi della oollaborazime umana. NeLl'o- pena Il dilemma del medico, ritrasforma il gioco medico da pura m1ilaborazicme in puro anbagonismo. Secondo Shaw, solo 'il paziente è interessato a miacquistare la pro- pria salute. Al medito nulla p o t ~ b b e importargl' '1 meno. Egli è interessato al denaro, alla posizione sociale, e considera la malattia come un lprobllema stimolante ma astratto; malato come un corpo istmtbivo; e, nella wm- media, la moglie del paziente come un oggietto sessuale. Bemché ~l'&daa che il dottore e ii1 malato (partecipino a una associazione armoniosa e condividano Sdentici scopi sia pura fiinzione, l'opposta raffigurazione di Shaw, di com- pleto antagonismo, è una feroce irisagemzlione. Se fosse vera, la priofessianie del medico isarebbe finilta da lungo tempo. Come Shaw, Freud fu più inpressionato dagli elementi antagonistiai del gioco analitico (medico) che non da (quelli di dl~abolrazionir; di 'qui la sua analogia tra psicoaniailiisù e sacchi. Possiamo anohe dire che Ft-eud sottolineò lwxessivarnenbv le "resistenze" del paziente ad essere analizzato; a volte egli dà d'hpressione che solo lianalista sia interessato a che il paziente si analizzi mentre il paziente sanzbbe solo interessato a non essere analizzato. Altre volte, paragonla ~l'amlista a un leone feroce che "balza un volta e una soltanto" sul paziente- agnello ppresumibilmente indifeso? Ciò che F m d intm- deva era che d'anallista deve mantenere le sue promesse, indiusa lia promessa cmiinaccia) di k m i n a m la terapia.

Ndl'insieme, credo che l'accento esagerato posto da Freud sugli edlementi antagoniistbi del rapporto me- dico-pazienbe fosse necessario e sdautsre; era un anti-

8 Analysis Terminable and Znterminable (1937), Collected Pa- pers, Basic Books, New York 1959, V, pp. 316-357.

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doto che Freud opponeva alla falsa ipocrisia non solo dei rapporti sessuali ma di molti altri aspetti della vita sociale. Come Shaw, Freud fu un critico dalla società. E si1 rischio professimale del critico sociale è appunto qurjllo di esagmre il conflitto a spese della collabora- zione. Riioolrdiamoci però che il suo scopo non fu di stimolare i1 conflitto, ma al contrario ldi +incoraggiare una più autentica colilaborazione tra gli uomini.

La cosa fondaunentale di tutto ciò, per noli studiosi Clell'uomo, è che entrambi ,i nitmtti della medicina e dal- la psimand~isi sono parziatlmente ved; entrambli v m o tenuti presenti in m a adeguata analisi d d problema se- condo la tearia del gioco. In altre pmde la psicoanalisi è un gioco complesso, di motivazioni miste, che com- bina dementi ttpiai di due generi di gioco; quelli di in- teresse comune e qudli di contrasto. I\l d ~ m m a psico- logico che s i d i incontri umani pongono è acutamente espresso 'da #un afo~isma coniato dal grande scrittore ungherese Firilgyes Korinthy. Commentando 4a triste sii- tuazioine Idei rapporti fra i duz sessi, ossia tira persone che, (in modo significativo, vengono chiamate "amanti", cugganiva ohe il m d v o di tale sitnimiloine stesse nel fatto che ognunia delle due parti voleva qualcosa di diverso: l'uomo la donna e la donna l'uomo.

14 rapporto tra anaillista e analizzando, specialmente durante (il perioh di prova, n m è dissimile dalcl'etemo problema fra i sessi. 111 paziente vuole un'anallisi; desidm essere un individuo autenbico, autonomo, libem, ma v m rebbe raggiungere questo ~riisultato nella maniera più economica possi~lile, psicologicamente e finmzianiamen- te. Aiutare (il pazimte a raggiungere questo scopo deve anche s lsere uno &i fini che d'anailista si propone. Ma, evidentemente, è destinato ad essere uno dei fini sus- sidiari. E' possibile che ll'andista abbia desideri più pres- santi e pmmmli di quello di aiutare il paziente. In par- ticolare, come analista, il tmapeuta desidara ~ n ' a p p o ~ u -

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nità per esercitare i11 suo talento nella professione pre- scellta; gli piacerebbe poter opzrare come andlkta e per far ciò ha bisogno di un andizzm(do idoneo. Inoltre id terapista desiihra d d danaro e vorrebbe guadagnarlo one- stamente ne+ll'autmtico esercizio dall~a sua vita lavo- rativa.

Questo modo di riconsiderare le aspirazioni dell'ana- lizuando le dcdl'andista ci dice che Karinthy aveva ra- gione; virtualmente tutti i rapporti umani significativi, siano essi tra ardista e analizzando, tlra marito e mogli=, tra datore di lavoro e impiegato, sono pieni dei pari- coli inerati a quei giochi che combinano, in un deli- cato equilibrilo, elementi di wntrasto e di mllaboraziune. In tutti questi tipi di rapporti ci troviamo di fronte al oompito di mantenere quect'equilibrio. Se ci spostiamo verso l'eccessiva cooperazione, affondiamo ndla noia ste~ile e ,nella medi'ocrità; se ci spostiamo verso I'ecos sivo confliiltto, rischiamo di rovinare i nostni obiettivi e i nostri giochi.

Quando termina il periodo di prova?

Fi~n dall'inizio della terapia il paziente sarà coinsape- vole che 91 terapista sta negoziando un certo gmere di contratto. Tuttavia, i dettagli e le implicazioni dal cm- tratto stesao non saranno del tutto espliciti sino alla fase contrattuale dalh terapia. L'analista non dovrebbe terminare il periodo di prova 12 iniziare la fase contrat- tuale, finché il paziente non sa cosa offre il terapista e finché i1 terapista non è sicuro che il paziente sarà sod- disfatto di acquistare solo quel prodotto. Se non si crt- tempera a questa esigenza, è probabile che il paziente faccia precipitare ddle situazioni che renderanno dlffi- oile al terapista aderire ai propri termini del contratto; il tenapista sarà allora costretto o a rompere il con-

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tratto (spesso sotto forma di "modifiche" M a tecnica) o a terminare la teirapia.

Supponendo che il periodo di prova sia stato ben cmdotto e che il paziente sia intenssato a proseguire il suo compito di autoesplorazlione, -o giunto i1 mo- mento per definire il wntmtto, vale a dire per assestare l'impmsa analitica. Per l'analista questo significa, pri- mo, che ha acoattsto il cliente come ianaltiuando; se- condo, che vedrà il paziente ad appuntamenti regolar- mente fissati, a meno che. non si renda inevitabile di- sdirli; e, terzo, ohe. agilrà come analista del paziente finché il paaimte stesiso sentirà bisogno di questo tipo di aiuto.

E' chiaro che l'analista inoltne promette, implicita- m~ente, di fare del suo meglio come terapista: aliuterà il paziente a chiarire la sua storia, la sua situazione at- tuale, le sue aspiirazioni; analizzerà le swr produzioni ver- bali e non verbali, i suoi sogni, i suoi "sintomi", la sua D , lnewsi", e, ultimo ma ncm meno 'importante, li suoi transfert.

I1 contratto analitico i~nsomma obbliga l'analista a pre- stare determinati servizi al paziente; obbligo, comunque, limitato solamente a ciò che ha promesso, vale a dire ad analizzare. I1 contratto analitico quindi differisce radi- calmente dal consueto rapporto msdico-paziente; que- st'ultimo infatti non è regolato da un contratto muitua- menbe accettato, ma piuttosto dalle cosiddette necessità mledichr o psicologiche del paziente e dai tradizionali obblighi terapeutici del medico.

Ne11'acwttare il1 contratto, l'analizzando si obbliga a fare mltanto una cosa: pagare gli onorari dell'analista (e pagarli m n d o li termini amrdati). Sebbeme ci sia un (tacito accordo tlra analista e analizzando che il cliente acquista l'aptra lddl'analista per uno scopo par- ticdare (vale a dire per essere analizzato), J'amalizzando deve essem libero di decidere in che modo vuole usare

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l'aiuto ~d~~l~l'amlfsta. Ciò può essere garanblta solo se gli viene richiesto di osservare un'unica regola: paga= gli onorarii. Così ril paziente è autorizzato a resisitere agli sfarzi ddl'analista (per quanto sottiili) per cambiare la sua personalità. In nessun altro modo possiiamo &te- nere una condizione di autentica iautotilasformazione. Ogni altra riohieyta renderà il paziente soggetto dl'infiluenza eteronmna dal terapista che sarà ~ i c o m p s a t o con LUI cambiamento di 1ppizrsmBità Eomto e non autentico.

Questo stato di cose è conforme al carattere com- merciale dell'impriesa analitica; dlanalislta o& quailcosa e il paziente l'acquista. Come per ogni w m p t o r e , co- sa l'aaalizzando farà c m ciò che acquista è affar suo. L'analista ncnn può dire al paziente: E< Se usemli I'anaLisi in questo o in quect'altro modo, dovirò rnodkficare i ter- mh i del nostro accordo ». Anuor meno può dire « Se desideri fam un certo uso dalil'analisi, ncnn (ti adizumò D,

e quiinidi por fine ail trattamento. (In alcuni casi l'amalista può addliven1re a tale colnclusione, ma dovrebbe farlo durante il periodo di prova. Una volta cmduso tale periodo, dovrà rinuncia= a questa mossa nel corso ddla partita).

Credo neoessanio questo tipo di accordo affinché il pa- ziente possa sentire, come 'dovrebbe, che la terapia è co- sa sua e può faxi ciò che gli aggrada. Questa fu d'idea etica fondaman& di F m d rigualido (la psiiioainalisi; e- sa fu intesa come un metodo per mendere la gmte libera di vivere la proprila vita come lo ri'teneva opportuno, n m come lo ritenevano opportuno le famiglie, 'la società o il ta-apista. Questo fine non può essere raggiunto se iil terapista lo enuncia semplicemente, ma poi lo tratta co-

m

e un ideale irraggiungibile. La sua coindobt~a rivelerà se ci crede o meno. Se ci

crede, cinfiluenzerà il paziente salo n d senso dell'auto- n m i a e della Lilbertà così da !renderlo capace di imwa- prendere i comportamenti che desidera praticare e dì

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astenxsi da quelli che $desidera evitare. Se non ci crede, Inf1,uenzerà iil paaiante nel senso di determinati tipi di comportamento (ad esempio, ~l'omosessuale nel senso del- l'eterosessualità, il ~l,eptom~aruz nel senso del non ,rubare, il fobico nel senso di affrontare (la situazione fobica e così via). Se questo genme di sforzi per comba+tere "i sintomi" può essere '~terapzuticamente legitti~mo", essi non hanno dilvitto di .cittadinama iifn psicanai1;iisi. Freud riconobbe ciò, anche se ,lo mntmddisse ,nella tecnica te- rapeutica che propose per 'il fobim e per ~'assassivo?

9 Lines of Advance in Psycho Analytic Therapy (!919), The Standard Edition, vol. XVIII, pp. 165-166.

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LA FASE CONTRATTUALE: I. I CONCETTI DI CONTRATTO E DI STATUS

Prima di pendere in considcraione la natulra del contratto analitico, esaminiamo da natura dei coli- tratti iin genemle. Questo chliarirà la differenza tra l'uso che io famio del termine contratto e l'uso che ne fanno gli altri psicanalisti.

Che cosa è un contratto?

Nel linguaggio ldi ogni giorno, da parola "cmtratto" sjta a desilgnare un aocmdo tra due o pii3 pepsone per fare o per astenersi dal fare qualcosa. Un contratto è un accordo, un patto, una convemione. La situazione umana indioata #da queste voci - e gli atti chz ne oonise- ~ L I O I ~ O , desuritti con verbi come "pattuire" e "contratta- re" - sono parti~darmente rilevanti nel Diritto. Ndla teoria legale, il "-trattoJ' viene {definito come una pro- messa, o un B n h e di promesse, protette con la legge dalla inladiempienza. In questo modo la stesisa definizione legale di contratto ricanosce che si può addivenire a una rottura del medesimo.

A oominnaiare da Freud, gli psilcoanalisti hanno trat-

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tato l'accordo tra analista e analizzante come se fosse un contratto. Essi hanno comunque usato il termine in modo vago, per ri~fatirci a ogni genere di w x l o o in- tesa fra cliente e terapista circa ciò che ognuno dei due farà o m n farà. In nessuna parte della letteratura sdla psicoterapia ho trovato ulna $isamuaia delle promizsse specifiche che paziente e (terapista si fanno miproca- mente, né ddle p e d i t à inelle quali s i incorre in caso di inadempienza. Come nei miei precedenti scritti s d trattamento psiooanalitioo, continuerò a usare da pa- rala "contratto" nel seinso più stretto dal temine. Cosa intendo dunque Wr contratto mal4itiw?

I1 conbratto anditi8co è iskile ai normali contratti (le- galmente impegnativi) 'tra venditori e compratori. Es3m- pi di questi smo gli accondi tra una pevsona che sot- toscrive una polizza assicurativa s d a vita e la società chle 'assicura il rischio; (tra cdui che compera immobili, azioni od obbli~gauimi e Q venditore: tra 11'~iUi~dividzio che si assicura le prestazioni di qualcuno per impranz la danza o il pattinaggio e la persona che promette di com- piere la prest~aziom.

I~noltre, $1 contratto anditlico, come il contratto legaie, ai propone la chianezza piuttosto che l'incertezza 12 ve- cifica P possibili rimedi nel caislo che una delle parti wntraenti dovesse mancare d ~ l e promesse. Tuttavia pre- sentano anche delle differenze in quanto *i consuleti con- tratti sono scritti, mentre i contratti analitici sono ver- bali; ad ancora, i partecipanti a questi ultimi sanno ohe non esistano sanzioni, né )legali né sociali, per punire la parte inadempiente.

Finora il gioco analitko è stato definito, $nel migliore dzi casi, h modo 6rammentario. Non sono sltate speoi- ficate le (mosse che un giocatore può fare se il partner manca alle promesse fiatte: eppuw le penalità per in- frazione alle fregale sono parbz ,integrante di ogni gioco; senza di esse, nessun gioco può essere definito in ma-

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niaa adeguata. La mia esposizione del gioco analitico, e in particolare del contratto, includerà quindi pn=oise specificazioni e cuserzimi, non sdo oirca le mutue pro- messe tra analista e analizzando, ma miche riguardo alle aziani che uno dai padnms può intraprendere se l'altro bara, commrtte un errore o si dimostra incapace a giocare \la partita.

L'organizzazione dei rapporti sociali

Vi sono due principi fonidamentali che regolano i rap- porti umaini: lo status e il conbatto. I rapporti regolati dallo status sano più semplioi - \legalmente, psicdogica- mmbe e socicillmente - di quelli regolati dal contrartto. Qmstpi1dea fu sviluppata più di un sacalo fà da Sir Hmry Adaine nal suo lalassico studio sul diritto antico. Egli osservò che nelle a moderne società vi è una "gradde dissoluzione della dipendenza famigliare e, al suo po- sto, un aumento degli obblighi individuali"; e concluuz che « i1 movimento delle società che p r o g r e d i ~ ~ n o è stato fin qui m movi~mento dello Status d Contratto ».l

Esamineremo dapprima questi concetti e li useremo poi per chiarire il rapporto tra madico e paziente, psicote- rapista e cliente.

Lo status e la famiglia

La famiglia è 13 nostro più importante rapporto di status. Da bambini vi occupiamo i moli di figlio, fra- tello, nipote e cost via. Da adulti, se formiamo delle famiglie per conto nostro, stabiliamo una seI4e comple- mentare di rapporti di status. Dato il significato che la psi

coanalisi e altm bzorie della personalaità attribui-

scono alle esperienze deI,l'hfanzia, è evidente l'hportan-

1 Ancient Low (1861), J. M. Dent & Sons, London s.d., pp. 99-100.

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za ohe assume, per 'la vita umana, li1 rappcwto di status. Per dirla in modo diverso, come giocatori iniziamo la nositra vita apprendendo le regoli2 d~eil gioco di status che ci vengano tilnsegnate. Non potrebbe essere altrimenti per- ché, dati i loro h i t i biidagiai e psicologici, i bambini piccoli non possono fare dei giochi di contratto.

I1 moddlo della famiglia e >le nvgale di status che ne pvwnaino i (rapporti sono facilmente estensibili a più larghi gruppi sociali e alla comunità politica. La società prh~iitiva è una vasta famiglia lwgolata da obbli- ghi e pivilagi di status. Allo stesso modo, la società pre- democratilca è una replilca deila fam~iglia automatica. A mpo di essa vi è il sovrano, considerato spesso come divino o dotato di poteri sovrannaturdti; sotto di lui in varie poslizioni stanno li sudditi, iinidattninati in modo da conoscere (og~mno il1 suo posto. In una isocietà del genere, i rapporti tra le persone sono predeterminati dalle 'regole ddla ssiieità; ciò che una pmsona può o non può fare, è parte dlal suo status (ed Iè ciò che, ap- punto, indichilamo con esso).

Tutte (le soaietà erano un tempo regolate da questi pnin~ipi. In efidti, spesso si ass~erisce che gmppi (comi- tati, organizzazioni e perfino intere società) si comporta- no in maniera più "prilmitirva" o meno comienziosa di quanto non facciano gli individui. E <iiniiatti così sembra. Tuttavia, priilma o poi anohe le società e 11e nazioni cre- slccrno. Al pari dei bambini, lo fanno ripudiando i xap- porti di status e imegllendo di essme govmate da cm- tratti. Atbb~iamo osservato ciò nel corso della storia e lo vediamo accadere oggi, da noi e all'estero. V d precisare quello che intendo di=.

I1 negro am~ericano si IJbl~la p e ~ h é mole ripudiare, una volta per tuae, il suo status. Egli chiede di essere trattato cane una persona, non come un negro. In dltre parole, vuole essere accettato come individuo che sti- pula contratti, llibem di contratta* come un qualunque

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altro uomo, e non colme. individuo uhe occupa uno ~spe- ciale status ideriom. Ogni tipo di disoriminauione, sulla base !di cniteri sia religiosi che razziail o psichilatrici, fa uso di rapporti di ~status; ognuna mira a privare la vit- tima del suo diritto al mntratto, e a ,trasb~marla iin occupante di uno status.

Nd mondo assistiamo ai fmmenti di pilurteslta di quzii popoli fino a pochi ainni fa o tuttora colonizzati: tut- ti chiedono la libertà dali ceppi dallo status coloniale e il diriltto ad essere nazioni che si autogovernano, vale a ,diire iiln grado di contrattare liberamente. L'attrattiva delliideologia comunista sulle. masse '&i cosilddetti paesi sottolsv3luppati non !dovrebbe solrprendax. A gente la cui vitla è stata rilstrebta negli angus'ti c m h i di miseri sta- tus, preclusa ogni via di scampo, il sistama politico co- munista offre un certo grado di diibertà male. Li libera da un gioco socjale governato da =gole di status sosti- tuendolo w n uno governato da mgole contmttudi. San- za dubbio il gioco comunista non offre all'individuo (al giocatore comune) tante mosse ((tanta Jibzrtà plliti~ca), quante ne godono i cibtadiini di una moderna democrazia mcidentale..

Non diimanticbimo, comunque, che Lnglesti e Ameri- cani sono stati goverinati sulla base del contratto da centinaia di anni. Il loro tideal~z era un acoordo nel quatle si i~mpegnavano tlibra~mente sia i governanti che i sudditi; i1 priilnicipio cioè del 'Jcolnsmso di chi è gover- nato". Viloeversa, i Russi e molti altri p q d i vivevano ancora sotto la tirannide autocratica di un monarca o di un capo quasi divino. Non esisteva contratto s~icuro con- tro I'a~bitrio )di quest'ultimo. In efiettti, 21 termine "so- vrano assoluto" si ri~ferisce a un $capo 'di stato dotato di poteri illimitati, litbero dai vincoli di qualunque con- tratto.

L'essenza d d conbratto, allmeno ,in questo contesto,

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è la limitazione di potere. Perché un contratto abbia senso, debbono es~istenr effettivi prowedi,menti per la sua realiizzazione.

Il contratto e la società moderna.

I1 contratto è nello stesso tempo un fenmeno an- tico e redativamente moderno. Gli antichi Ebrei fso2ro un patto con Jehovah; promisero ,di osservare deter- minate pratiche tmlgigiose in cambio della sua p m e s s a di trattarli m e popolo predihstto. Su una base più in- formale, Greci e Romani faero dei patti coi loro dei. Naturdmente questi popoili antichi stipularano accordi impegnativi anche tra di loro.

Tutto ciciò ncmn meravigl~ia, poiché fare e mancare alle promesse è f m l t à squisitamiente umana. Nietzsche, che tanto infilwenzò Fmud, giunse a suggerire che « adlevare un animale capace di fare promesse (...) è nil compito che la natura si è prefissa 1'1 ~i'sul'tato è G1luomo. Per quanto ne sappiamo nessun altro animale ha qiu-sta ca- pacità. Sebbene ~l'inbubione di Nietxsche fosse hillante, dobbiamo vederla ne1 suo contesto. 1'1 fatto che l'uomo faccia promesse è una conseguenza di altre su3 capacità, vale a dire c m a ~ e usare simboli, stabiline regole, for- mare lingue e organizzare giochi. Di conseguenza, giocare un gioco di linguaggio, chz è capacità umana fonda- mentale, vuol dire impegnarsi in un esercizio che mm- prende obblighi e promesse; gli inkrlocutori si impe- gnano a usare segni e regole relative ai segni, recipro- camente accettate. (Non sorprende quindi che si consi- deri lo schizofmnico, che manca appunto a questa pro- messa, come un essere umano inferiore).

Sebbene sia una q u ~ ~ i t 8 umana fondamentale, an- tica nelle sue sadici, la contrattazione ha raggiunto solo

2 Riportato da HAROLD C. HAVIHURST, The Nature of Private Contract, Northwestern Universitary Press, Evaston, 111. 1961, p. 12.

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necentemmte un compiuto significato sociale nella vita quotidiana. Forse perché un contratto è, generalmente parlando, un'intesa fra pari che mspinge la cos~trizicme e favorisce la dilbertà. Sebbene presenti {in qualche for- ma mzle civiltà antiche o primitive, questz idee e quat i fenomeni sono fioriti solo lini Occidente e dal Rinasci- mento in pai. Anteriormente (le (intese sooiali si fon- davano su rapporti tra persone di ineguale condizioni=: tra il forte e il debole, l'uomo 1,ibero e lo sohiavo, iil sovrano e il suddito. Samili rapporti erano costrittivi, basati sul comando, anziché cooperativi, fondati sul con- tratto; lessi favorivano (la sdildarietà di gruppo e la cm- sione sociale, piuttosto che 1'~hdividualismo e la filzii- dità S ~ .

In tutte le soaietà contemporanee, l'impo~~tanza dai rapporti di status sta diminuendo mentre va aumentan- do quella dei rapponti colntrattual~i. Esistano varie ragioni per questo. Un p r e s s o di livellamanto sda l e , attivo sia neliltr democrazie che nalle nazioni mmuni~ste, sta sradicando le grandi disuguaglianze di classe sociale e di ricohezza, tipiche ddle swiletà feudali plieindus~trialìi. L\in£luenza delh famiglia e ddla Chiiesa, le due istitu- zioni governatr dalilo status anziché dal contratto, sta din-huen~do continuaanente. Al tempo stesso sta guada- gnando importanza, malgrado le controvers~ie su "l'uomo di massa" e su "l'uomo organizzazione", l'[individuo co- me unità della struttura sociale. B risultato è stato il rapido aumento tdella neaessità e del sign&calto del con- tratto come metodo per regalare i rapporti socidi.

Effettivamente, quando (degli ilndividui responsabili desi~derano htnaprenckre uin'~hpresa che ldchiede gli sforzi di più di un uomo, non c'è che un sistema per creare la co~laborazione tra di essi: il contratto. La dif- ferenza fra oontrabto e cumando si fa ancora più net- ta. I1 primo si appalla agli incentivi, il secondo alle san- zioni. L'uomo che comanda minaccia Idei danni al suo

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simile; quello uhe contratta gli (promette aiuto. I1 co- mando è sadomasochistico, il contratto, reciprocamente edsoniistico; e fome, cosa più importante ai fini del no- stro interesse (per Sa psicoterapia autonoma, il comando implica schiavitù, mentre il contratto implica libertà. La persona che viene comandata può scegliere tra obbe- dire ed essere punita, la !persona alla quale viene of- ferto un contratto, può scegl~iere tra ~l'acettarlo, il re- spilngerio o il conbiinuare a negoziane.

Contratti e promesse \tendono quindi ad allargare la sfera 8deill'azi~ne indipmldente; ordki e status, a restrin- gerla. Gqli studiiosi del contratto, sono arrivati ad asse- rire che « il contratto è libertà In -realtà, i due con- cettli sono così strettamente dlegabi fra loro che possiamo anche sostenere cbz dibertà è (libertà di contrattare. In- fine, il contratto rafforza la posizione morale dell'uomo, limitandlo (le sue possibilità di muocere a un a l m uomo. L'opportunità di danneggiare, rubare ed ucoidere, come disse ,il giudice Hom12s a ,è aperta alS1imtero mondo dei senza scrupoli »? La legge può punire iil furfante, ma ciò è di scarso aiuto alla vittima. E1 oonltratto limita le pos- sibilità di essere (danneggiati da coloro coi qualli si è stabilito (di trattare. Anche se esiste una quantità di per- sone disposte a inifrangex i contratti, siamo liberi di non contrattare con (loro. Quindi, con una prudente se- lezione, è possibile limitare 21 circolo di coloro che pos- sono nuooere non mantenendo le promesse fatte.

Come ho già suggerito, i contratti sono sbrategie al servizio di un edonismo illuminato; essi mrcano d~i de- vare d massimo le giloie e d3 ridurre al minimo le pene. Quindi i contratti ohe regolano rapporti che si estandmo per lunghi ~pzriudi di tempo debbono p d e r e e prowe- d e ~ e 'alle h~ture contingenze. Molti contratti lo fanno. Le ~cmtroversie tra le parti contraenti possono quindi

3 Zbid., p. 35. 4 Zbid., p. 69.

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essenz sistemate ancor prima che sorgano. Anche il con- tratto md'itico deve regolarsi analogamente; analista e analizzando debbono prevedere le possibili difficcnltà e preparare #in anticipo l'adeguata sduzione: ad esempio, come oomportarsi se l'una o (l'altra (parte disdice un ap- punbanento, va in ferie e casi via.

Lo status, il contratto e il rapporto medico-paziente

Gli attuali rapporti tra medici e pazienti sono cam- pilessi. Alcuni sono negolati da norme di statnis, altri da mn&aoti, (la maggioranza da una cm~biinanione dei due metodi: Cosa 'dà origine a queste diverse situazioni me- diche? In generale, il maddlo adottato dipende dalla po- sizione sociale dei partecipanti. Nelcl~interazione fra due persone (o fra !due gruppi), se una delle parti è più sofisticata e socialmente più potente, tenderà a domi- nare l'altra. Se invece, entlrambe le parti smo uguali o quasi, è probabile che venga adottato un rapporto con- trattuale di mutua collaiboraziione. Così, non sdo i(1 me- diIm può dominanz il paziente, ma viomrsa.

Se il pazienlte k povero o si !sente indifeso a causa della malattia, il medico può sfruttare Ja situazione assu- mendo una posizione di superiorità; pziò esigere che il paziente s\i sottometta ai suoi ordini o che su

bi

sca le conseguenze. Le pena1,ità per il tentativo di ripudiare il malo !inferiore N& paziente, variano. Iil paaimte può per- dere d'assistenza dal medico o essere sottoposto a pro- cedimenti ldiagnostici e terapt ic i , raaionalizzati e giu- stificati da un punto di vista medico, ma dolorosi e non necessari. (Nei primi anni di professione medica, ho ve- duto spesso praticare punture lombari non necessarie a pazienti che nan collaboravano; sli trattava, naturalmente, di casi di assistenza pubblica). Oppure Ila persona può

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essere punita mediante sanzioni llegali o sociali: ad esem- pio, l'internamento in un ospedal~e psichiatrico.

Se è ,il paziente, invece, ad essere più potente, il me- dico può eslsere posto in una colndizione di inferiorità. Ciò sii verifica meno spesso che non il contrario, ma non è oerto impsuibille. Nelle soaietà i~n cui prevalgono notmal~i disuguaglhze sociali ed economiche, è faciile che il medico sia relativamente povero e swialmante p m impartante; egli può quindi trovarsi alla meroè di personle e famiglie lnicche e politicamente influenti. Sarà d o r a il paziente a comandam e il medilm ad obbe- dire. I tentativi del medioo per ripudiare il suo sltatus di inferiorità possano ess~erie puniti oon sanzioni che vanno dalle privazioni sconomiche alla perdita della vi- ta. IJ medico che ,divanta l'agente di una potente listitu- zime è simmile al suo collega, il dipendente xhtitavo di una potente famiglia feudale; egli abbandona la sua indipen- denza che affondava le radici nell'uguaglianza con una maltepliicità di clienti indivi'duali che erano al tempo stesso la sua fonte di guadagno.

Questi sono alcuni degli aspetti ooonmici e politici del rapporto medico-paziente che possono renderlo non equilibrato. La mancanza di equilibrio può anche essere dovuta a ragioni mediche e psicologiche. La situazione me- dica, della quale la situazione analitica è stata tradizional- mente considerata una sottospecie, è di solito una replica della situazione familiare. Come i genitori si prendono cu- ra del bambino, così i dottori si prendono cura del pa- ziente. 111 nido di medico e analista, come guaritore e oome figura paterna responsabile, è fortemente radicata nel pensiero psi~oanalitico. (Alcuni psicanalisti credono fe~mamente che persone "paterne" e "materne" siano ana- listi particolarmente efficienti). Questa concezione della si- tuazione analitica ha conseguenze di notevole portata.

Se il rapporto tra analista e paziente è analogo a quello tra pa'dre e figlio, allora, per definizione, esso è contrario

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agli scopi dell'analisi. Come può l'analista aiutare il suo cliente ad essere autonomo e libero nella propria condot- ta di vita se il rapporto tra di essi è basato sullo status, con il paziente relegato ad un ruolo inferiore, ed ancor più, se l'analista assoggetta il paziente a un'influenza &e- ronoma, basata cull'autorità e sul comando?

L'errata analogia tra analista e genitore, o tra analista e guaritore medico, è ingannevole in un altro senso. Que- stJatteggitamento tradizionalmente "terapeutico" implica una devozione virtualmente senza limiti da parte dell'ac- lmista verso l'analizzando. Molti medici e psicoterapisti col- tivano questo atjteggiamento. Così, il cosiddetto psico- terapista di sostegno, credendo che il suo "prendemi cu- ra" del paziente siia di per sé terapeutico, incoraggia la credulità del paziente circa la sollecitudine del terapista nei suvi confronti. Anche gli psicoterapisti esistenziali, se dobbiamo giudicare ,da una recente rassegna del loro la- voro? incoraggiano l'idea che il terapista debba votarsi, con dedizione illimistata, al benessere del suo paziente. Se il paziente diventa psicotico, il terapista lo assisterà; se non può alimentarsi, sarà il terapista a nutrirlo; e co- sì via.

Questo atteggiamento è fittizio. Come il genitore o il medico, anche il terapista ha i suoi dimiti, oltre i quali non può o non vuole interessarsi al paziente. Impegnato ad essere assolutamente onesto col paziente, l'analista de- ve riconoscere i suoi limiti e informarne il paziente. Se agisce altrimenti, farebbe delle promesse che non potreb- be mlantenere. Nessuno, e certamente nessun psicoterapi- sta, può impegnarsi a prendersi completa cura di un'altra persona. Se il paziente dovesse diventare psicotico, richie- desse il ricovero in ospedale e costanti attenzioni come un bimbo malato, come potrebbe il terapista mantenere la sua promessa di prendersi illimitata cura di lui, senza

5 MEDARD BOSS, Psychoanalysis and Daseinsanalysis, Basic Books, New York 1963.

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venir meno alla promessa fatta ad un altro paziente? Co- me potrebbe mantenere le promesse fatte ad altri (moglie, figli, amici)? Il terapista che crea l'impressione che la sua devozione e il suo dovere verso il paziente siano illi- mitati è un impostore, poiché lo scopo della sua strate- gia è di farsi grande e di rendere il paziente dipendente, grato e colpevole.

Freud si rese conto che ,la situazione analitica differi- sce da quella medica in maniera significativa. Di conse- guenza, esaminò la situazione medica e la atdattò alle esi- genze dell'analisi. Ma, a mio avviso, il suo fu solo un inizio. Il gioco analitico che egli costruì, e che i suoi se- guaci istituzionalizzarono, presenta numerose lacune. In particolare conserva troppi aspetti del gioco medico ba- sato sdlo status; vale a dire, non è sufficientemente con- trattuale. I1 mio scopo è quello di continuare il lavoro ini- ziato da Freud e trasformare 'la psicoanalisi in un tipo di psicoterapia pienamente contrattuale. Spero che que- sto libro chiarisca ulteriormente il significato delle mie intenzioni.

I1 contratto come comunicazione

Esaminiamo ora il contratto oome un particolare tipo di comunicazione. L'analista è principalmente un esperto nel decifrare i messaggi nascosti del paziente. Sebbene importante, questa funzione del terapista deviò l'atten- zione dall'esame attento delle sue comunicazioni con il paziente. In passato si è pensato alle comunicazioni &I- l'analista principalmente come a delle chiarificazioni, in- terpretazioni, traduzioni e domande. In altre parole, l'ana- lista traduce dal 'linguaggio del paziente al linguaggio del- l'analisi. Ma questo non è tutto.

L'analista fa anche delle promesse. Pro'messe o con- tratti formano una speciale classe di comunicazioni. Esse

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non sono asserzioni su fatti, né tantomeno chiarifiicazioni, interpretazioni, traduzioni o 'domande. Le promesse sono asserzioini sul futuro comportamento di chi parla, sono comunicazioni circa le sue intenzioni di seguire detenni- nate regole. Non tutte le affermazioni sul futuro compor- tamento 'di qualcuno sono wmunque vere promesse. Qui sta una delle differenze tra tl'assumere un molo di status e fare un contratto.

Ad esempio, se un terapista dice o da ad intendere che cercherà di curare la nevrosi di un paziente, questa non è una promessa. Non è chiaro che genere di condotta è richiesta al terapista per mantenere o venire meno a tale promessa. Alcuni interpreterebbero l'affermazione come un obbligo ad analizzare i1 paziente; altri a praticargli un trattamento di elettroshock; altri ancora a rassicurarlo e così via.

I contratti o le promesse sono significativi in propor- zione alla loro esattezza. Se Tizio e Caio decidano di in- contrarsi all'angolo di via del Corso e via Frattina, alle 5 di martedì, questo è un contratto; se sono 'd'accordo nel vedersi dopo (il lavom, non lo è più. L'essenza di una promessa sta nella costrizione che impone al futuro com- portmanto di chi promette. Stabilendo quello che sarà il proprio futuro comportamento, si rinuncia a un certo grado 63 dibertà. La persona che dice ad un'altra « ti vedrò alle 5 del pomeriggio », è fisicamente libera di agire in maniera diversa. Tuttavia è moralmente obbligata a man- tenere la promessa agendo in conformità all'accordo.

Pertanto, se la psicoterapia autonoma deve essere con- trattualle, il terapista non può fare al paziente vaghe pro- messe come, ad esempio, « mi prenderò cura di te », « pro- teggerò -i tuoi interessi » o anche « ti analizzerò »; deve invece promettere di fare e di evitare determinate cose. Ecco parché sobtolineo i dettagli apparentemente poco im- portanti come l'obbligo dell'analista a non prescrivere

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medicine, a non comunicare con terzi e così via. Un con- tratto significativo può essere formulato solo in termini di atti così concreti. Inoltre, una volta stabilito un con- tratto adeguato e confacente a entrambe le parti, è fa- cile individuare il comportamento che viola i termini del- l'accordo. Ad esempio, alcuni pazienti manifestano preoc- cupazioni circa la partecipazione dell'analista alla loro vita. Riguardo al suicidio, essi potrebbero volere che l'ana- lista li salvi ed anche che li lasci morire tranquilli; oppure potrebbero desiderare che l'analista li ricoveri con la forza in ospedale ed anche che si fidi della loro padronanza di sé stessi.

Se l'analista promette semplicemente di adempiere ai suoi obblighi come medico o psicoterapista, egli non pre- cisa la condotta che ciò comporterà. In verità può facil- mente fare questo genere di promesse in quanto rimane libero di agire oome vuole. Ma l'essenza di una promessa è che limita la libertà d'azione di chi promette; altrimenti ncm è una vera promessa. Di conseguenza, molte sono le attività dalle quali l'analista (deve impegnarsi ad astenersi: fra queste, il prendere decisioni "terapeutiche" circa i1 ricovero in ospedale del paziente e il proteggerlo (con ma- novre extra-analiitiche.) dal commettere un suicidio. Que- sta è una promessa che l'analista può mantenere, oltre ad essere coerente con le altre promesse fatte all'analiz- zando.

Una volta stabilito il contratto, l'analista non è più libero di porsi la domanda: debbo far ricoverare il sig. Rossi per prevenire un suicid'io? » Egli ha rinun- ciato alla sua libertà di agire al riguardo. Naturalmente può far ricoverare il Sig. Rossi; ma lo fa a costo del suo impegno morale verso il paziente. Né la cosa si ferma qui: la violazione del contratto da parte del terapista è proba- bile che diventi di dominio comune. e influmzi i suoi rap- porti con altri pazienti e coi cir1,leghi.

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Libertà di contrattare

La libertà è un elemento essenziale del contratto. In verità, non ha significato parlare di un contratto tra persone che non sono libere. Ques,to fatto è importante in psichiatria e in psicanalis~i dato che frequentemente gli psicoterapisti stabiliscono rappo~ti con pazienti in circo- stanze nelle quali uno o entrambi non sono liberi di con- trattare. I1 risultato è che la grande maggioranza degli incontri tra psichiatri e pazienti, e perfino molti tra analisti e i loro clienti, non possono essere contra,t~tuali e pertanto sono non analitici.

Ad esempio, il paziente può essere un bambino, un de- tenuto, una persona ricoverata in manimio . Nessuno di loro può stipulare liil tipo di contratto bipersonale nieces- sario per un lavoro analitico; e tantomeno lo può il po- vero che non è in grado di pagare l'analista per i suoi servizi. Per cui, anche se una persona è analizzabile (nel senso tradizionale) l'analisi può nondimeno essere inat- tuabile. Alla prigione e all'ospedale psichiatrico possiamo aggiungere il servizio militare e le società totalitarie, si- tuazioni sociali in cui il contratto analitico non può es- sere realizzato per le limitazioni imposte ad una o a en- trambe le parti. Nella m,isura in cui sia il lkrapista che il paziente non sono liberi (in particolare non liberi rispetto al modo di condurre i reciproci rapporti) sorge un limite esterno, situazionale alla psicoanalisi. Questo limite è in- sormontabile, quali che siano le doti professionali del tempista e la preparazione psicologica del paziente.

L'idea che l'analizzando debba essere una persona in- dipendente e socialmente libera non è nuova. Freud disse che oercava di seguire la regola u di nan prendere in cura un paziente che non (fosse sui juris, non dipendente da altri nei rapporti essenzial'i della sua vita ».6 Ma, detto

6 Zntroductory Lectures on Psychoanalysis (1915-1917), The Standard Edition, voll. XV-XVI, p. 460.

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ciò, egli ed altri analisti procedettero senza curarsi delle oonseguenze di questa affermazione e parlarono di "ana- lisi" di bambini, detenuti, psicortici ricoverati in ospedale e (privati di tutti i diritti umani, e così va. Coloro che panlano in questo modo dimenticano che non è possibile usare il verbo "analizzare" transitivamente e intendere la psilcanalisi come psicoterapia autonoma. L'uso transitivo implica un'attività da parte di un soggetto nei confronti di un oggetto, come quando un chimico "analizza" una sostanza sconosciuta. Ma niente di ciò accade in psicoana- lisi. In questo contesto "analizzare" significa, fra le altre cose, contrattare o m qualcuno; se il partner del terapista non è in condizioni di mnltrattare, è assurdo parlare di analisi.

Per la stessa ragione, non ai può essere analisi se l'ana- lista non è in posizione per contrattare. Questa pos- sibilità, sebbene reale e frequente, è di solito igno- rata (forse non è soltantlo trascurata, ma negata). Quanld'è che l'analista non è libero di contrattare per un'ana- lisi? Ciò accade, il più sovente, quando il terapista è il datore di lavoro o un dipendente del paziente oppure un suo superiore in un sistema di training autoritario e coercitivo.

Ald esempio, lI'analista può essere il direttore di un re- parto di psichiatria e il paziente un suo medico interno o un membro del suo staff. Viceversa, il paziente può essere un professore universitario, mentre l'analista può occu- pare una posizione inferiore in seno all'Istituto di M d - ci,na. A volte il terapista è impiegato dall'università per analizzare i medici interni o i membri giovani dello staff (ed è pagato parzialmente o interamente dall'istituzione e non dai (pazienti). Oppure il paziente può essere profes- sionalmente importante o eccezionalmente ricco, in gra- do quindi di beneficiare l'analista in forme diverse dal semplice pagamento dell'onorario. In ognuno di questi casi c'è un contlitto di ilnterestsi, attuale o potenziale, tra

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il ruolo del terapeuta come analiista e come beneficiario della generosità del paziente, o tra il ruolo del paziente oome analizzando e come beneficiario della generosità del- l'analista. Alcuni oodlitti di interesse ldi questo tipo pos- sono essere riconosciuti in anticipo e prevenuti. Se si rie- sce a preservare l'integrità della situazione analitica (e questo può dipendere parzialmente dalla personalità dei due individui), allora è possibile negoziare un contratto analitico e svolgere un lavoro analitico. Se invece i con- flitti di interesse restano misconosciuti, o peggio vengono ignorati ed è loro concessa unésistenza extra-analitica non analizzata, allora l'analisi sarà un'iunpostura.

Questo è il caso dell'attuale analisi dildattica. L'analista didatta non è libero di contrattare; la sua libertà essen- ziale nei confronti dell'analizzando è li~mitata daille regole e dai regolamenti del sistema di (training psicoanalitico. Quando si urtano gli interessi del paziente e quelli dell'or- ganizzazione didattica, sono questi ultimi a prevalere.

La posizione dell'analilsta didatta di fronte al candidato è paragonabiile a quella dello psichiatra dell'ospedale sta- tale di fronte al paziente internato (o viceversa). Nel mani- comio statale né lo staff psichiatrico né il paziente inter- nato sono 'liberi; lo psichiatra è obbligato a "prendersi cura" del paziente e il paziente è costretto ad assumere i1 ruolo di malato. I dlue non possono contrattare poiché ognuno è privato $della libertà di agire responsabilmente verso il partner. Così al paziente internato non è consen- tito di assumere o congedare do psichiatra, di disporre dei propri fondi, 'di regolare i propri movimenti nello spazio e nel tempo e così via. Analogamente, all'analista didatta non è consentito il salvaguardare le confidenze del suo candidato-pazienlte, di stabilire l'onorario, di pernettere al paziente l'autonomia nella sua condotta di vita, e così via.

Possono esservi ancora altre restrizioni, sia per il can- didato che per il1 didatta, alla libertà di contrattare reci- procamente. L'assegnazione dell'analista didatta al can-

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didato e del candidato al didatta, la frequenza delle se- dute, llla lunghezza minima delil'analisi, la posizione del pa- ziente sul divano: tutto questo può essere determinato da terzi. In breve, il contratto fra l'analista didatta e l'istituto psicoanalitico e quello fra il candidato e l'isti- tuto, lasciano poco spazio a un rapporto contraetuale fra candidato e analista didatta. Questo è stato uno dei tra- gici errori della psicoanalisi come professione. Ed è pro- babilmente il motivo principale per cui gli aspetti auto- nomi e contrattuali della psicoanalisi sono rimasti così a lungo in forma mbrionale. Come un feto deformato da un campo di radiazioni ionizzanti, la psicoanalisi è stata deformata dal campo sociale che coloro che la pra- ticano hanno dovuto attraversare.

I1 sistema di training analitico è contrario ai valori fondamentali del trattamento psicoanalitico come terapia autonoma. La primitiva promessa della psicoanalisi come psicoterapia contrattuale si è così dissolta nel nulla. Al suo posto abbiamo assistito alla nascita e alla crescita di questo mostro psicoterapeutico contemporaneo che è la psicoanalisi istituzionalizzata, medicalizzata. Questa psi- coanalisi è una disciplina professionale coesiva, un in- fluente movimento sociale e una potente ideologia. Ma co- me forma di assistenza umana, è una mistificazwne. Non è una terapia medica hna-fide, non una psichiatria organi- cista direttiva, non la ps~icoanalisi freudiana; al contrario è un imprevedibile miscuglio di questi tre elementi.

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LA FASE CONTRATTUALE: 11. IL BRIDGE CONTRATTO E LA PSICOTERAPIA CONTRATTUALE

Dal periodo di prova al contratto

E' utile, sia per cc4ncettualizzare l'incontro terapeutico che per condurre l'analisi, considerare il periodo di prova e la fase contrattuale come due fasi distinte ,della te- rapia. Al tempo stesso è necessario avere un'idea chiara circa la connessione fra queste due fasi del trattamento.

In termini di teoria del gioco, il periodo di prova è un gioco a motivazioni miste, mentre il periodo contrat- tuale è un gioco di interesse comune. Durante il periodo di prova alcuni degli scopi dei giocatori coincidono mentre altri sano in contrasto; durante la fase contrattuale i lo- ro interessi convergono progressivamente. Sebbene que- sta possa essere considerata una situazione Ideale, nella pratica è spesso possibile avvicinarsi ad essa.

Qual è la connessione tra la fase di prova e la fase contrattuale? Benché le abbia descritte come due diversi tipi di giooo, sono in realtà due fasi dallo stesso gioco. La fase di prova e la fase contrabtuale della psicoterapia autonoma, sano connesse funzionailmente: la prima è uno stadio iatroduttivo o preliminare che può o meno con-

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durre a un sucoessivo stadio di lavoro. Un rapporto si- mile esiste tra il fidanzamento e il matrimonio nel gioco famigliare; fra la trattativa e l'aocordo (e il lavoro) nel gioco degli affari; e tra ?la dichiarazione e il giocare una mano in una p a ~ i t a di bridge.

In ognuno di questi casi osserviamo una sequenza di rapporti umani a due fasi: un periodo di associazione pre- caria seguito da un altro di associazione stabile. Così il gioco del matrimonio, se giocato autonomamente, presup- pone che i partecipanti cerchino di conoscersi mutuamente e coordino i loro fini e le loro speranze in vista della loro unione potenziale. Se non hanno "gli stessi interessi" per il matrimcmio, vale a dire se non si propongano di giocare un gioco di interesse comune m e marito e mo- glie, il loro rapporto crollerà in un conflitto.

E' chiaro dunque che se vogliamo trovare un modello di gioco per il rapporto analitico, questo .dovrà essere il bridge e non gli scacchi. In effetti, analizzando da strut- tura di questo gioco, otteniamo un utile spunto per la comprensione della psicoanalisi.

I1 brfdge e la psicoanalisi

I1 bridge è un gioco compksso, in parte di fortuna e in parte di strategia. Inoltre, seppure ogni coppia ingaggia con l'altra un gioco di puro conflitto, i partners giocano fra loro un gioco di collaborazione pura. Infine è un gio- co bifasico: un periodo di dichiarazione precede il gioco di una mno . Comunque, se vogliamo usare il bridge come rndeJlo per la psicoanalisi, dobbiamo concentrarci su quegli aspetti del gioco che sono rilevanti ai nostri fini. Salteremo quindi la distribuzione dalle carte e, pertanto, il fattore fortuna nel gioco; dobbiamo anche ignorare il rapporto campetitivo fra le due squadre. Ciò che rimane sano i due giocatori, i partners di una coppia, ognuno con 13 carte in mano.

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Una somiglianza di fondo tra il bridge (auction o con- tratto) e la psicoterapia contrattuale è che entrambi sono giochi bifasici: ognuno comidncia con una posizione ini- ziale caratterizzata dalla reciproca esplorazione e da un impegno di prova per una futura callaborazione. Entrambi evolvono verso una di queste due situazioni suocessive. !Se è possibile giungere a un accordo ci sarà un contratto e quilndi un reciproco impegno per un gioco di comune in- teresse; se non si potrà giungere a un accoudo, non vi sarà contratto. Nel caso del bridge questo può significare o una nuova distribuzione di carte oppure che la squadra in di- fesa collaborerà non già nel giocare una mano o nel man- tenere un contratto ma nel tentare di sconfiggere gli av- versari. Nel caso del paziente e del terapista, ciò signifi- cherà la possibilità di separarsi oppure la decisione di continuare un rapporto di prova senza promesse di impe- gno contrattuale più duraturo. E' come un fidanzamento prolungato che può finire in una separazione o in un ma- trimonio. A volte i pazienti preferiscono non entrare in una situazione di impegno di aloun genere; ne può quindi derivare un periodo di prova prolungato. Se può essere mantenuta una reciproca, adeguata autonomia, non c'è alcuna ragitone valida $perché l'analista non accetti questo genere di sistemazione provvisoria. In verità, per alcuni pazienti, la maggior parte della terapia può svolgersi in quello che l'analista considererebbe la fase di prova.

Auction bridge e bridge contratto * Le fdifferenze tra l'auction bridge e il bridge contratto

sono più istruttive. ddle analogie. Come i termini stessi indicano, d'auction-bridge (bridge asta) rassomiglia a un procedimento di asta, mentre il bridge contratto a un pro- cesso fdi contrattazione. I termini sano adeguati e si pos-

* Ritengo preferibile lasciare in inglese la dizione auction bridge, e tradurre invece "contract bridge" con bridge-contratto, secondo la terminologia di uso corrente (n.d.t.1.

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sono prendere abbastanza alla lettera. Come in un'asta, la dichiarazione nel~l'auction-bridge tende ad essere illi- mitata perché, per giocare una mano, ogni squadra deve rilanciare sull'altra. Inoltre, le penalità per la dichia- razione in eccesso e per il mancato rispetto del proprio contratto sano leggere. Di conseguenza, le regole del gioco dell'auctiuln-bridge incoraggiano la dichiarazione non me- ditata nella speranza che, con un po' di fortuna, il gioca- tore sia in grado 'di realizzare la dichiarazione. E' infine sknificativo che, seppure è necessario che due partners comunichino fra loro (ad esempio lper stabilire i.1 seme da giocare), questa necessità non è molto grande. Piutto- sto ogni giocatore è propenso a giocare in maniera egoi- stica, ad essere più interessato alle proprie carte e a ciò che può fare con esse, che non a stabilire una solilda associazione con il compagno.

Il bridge contratto, benché somigliante all'auctiom- bridge per quello che sono le apparenze esterne, come ad esempio le carte usate e le regole per giocare una mano, è un genere di gioco radicalmente diverso. Le re- gole del bridge contratto non premiano unicamente chi gioca la mano; al cantrario, la difesa può essere più conveniente. Di consegueinza, il livello della dichiarazione non è quello di un'asta: quanto più alto, tanto me- glio. Non si può aoquistare nulla ad un'asta facendo delle offerte basse, anche se in questo modo si risparmia de- naro. Analogamente, non si può vincere giocanldo l'auction brildge c m una dichiarazione limitata e costantemente prudente.

Ne1 bridge contratto, d'altra parte, la dichiarazione ser- ve a ciascun giocatare per infarmare il compagno della forza o debolezza del proprio gioco, in modo da poter giungere a un contratto che possa essere rispettato. A lungo andare (con giocatori di eguale bravura), vincerà quella coppia che abitualmente né si mantiene bassa, né eccede nelle dichiarazioni. La coppia che dichiara al di

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sotto delle sue possibilità non raggi'mge il punteggio che avrebbe potuto fare; può anche lasciar giocare e vincere la coppia awersaria, pur avendo avuto la possibilità di fare una ,dichiarazione migliore di quella degli avversa~i. La coppia che eccede nella dichiarazione viene penalizzata severamente per da sua inadempienza al contratto.

Il bridge contratto e la psicoterapia contrattuale.

C'è uno stretto parallelismo fra il bridge contratto e la psicoterapia contrattuale. I giocatori di bridge si co- noscono attraverso la dichiarazione; il paziente e il tera- pista giungono a conoscersi effettuando 'determinate mosse durante il periodo di prova. In entrambi i giochi, ciascun giocatore adeve cercare di accertare ciò che il compagno possiede o 'di cosa è privo; deve inoltre itnfomare il com- pagno su ciò che lui stesso ha o non ha. All'inizio, l'asso- ciazione è precaria. Nessuno dei due partecipanti sa cosa ne verrà fuori; ognuno basa i propri piani, per d'azione suocessiva, sull'informazione &e riceve dal compagno. Quindi, nel brimdge contratto, un giocatore 'dichiara sulla base di aiò che il suo partner ha dichiarato (e su ciò che hanno (dichiarato i suoi awersari; ma per il momento possiamo lasciar da parte quest:aspetto) ed anche sulla base delle carte che ha in mano.

Se una persona si impegna a giocare questa mano e non un'altra, sarà influenzata dalle masse del compa- gno, ma solo entro certi limiti; non farà, ad esempio, una mossa incompatibile con le carte che ha. In breve, un buon giocatore {di bridge non Iferà promesse che non è in grado di mantenere (a meno che non faccia delibera- tamente un contratto che sa di non poter rispettare, per frustrare i suoi aweirsari - altra situazione del bridge che dobbiamo accantonare).

I1 periodo di prova che precede la fase contrattuale della psicoanalisi è paragonabile alla )dichiarazione nel bridge-contratto. In entrambi i casi i giocatori sono inte-

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ressati o a cambiare un gioco a motivazioni miste in uno ampiamente cooperativo, oppure a respingere un'assmia- ziane reciprocamente vincolante. Nel brigde i colmpagni cercano di arrivare a un contratto che siano itn grado di ri- spettare; se dalla (dichiarazione emerge che ciò non è pos- sibile, si accendano per non contrattare. Allo stesso mo- do diente e analista cercano di stabilire un contratto reci- procamente soddisfacente; ma se non possono farlo, deci- deranno di non vincolarsi in un rapporto terapeutico.

In una situazione di gioco di questo tipo, i giocatori possono raggiungere i loro scopi solo comunicandosi reci- procamente la verità circa il proprio compmtamento e le proprie aspettative. Ho già sottolineato come paziente e analista debbano comunicarsi onestamente ciò che ognuno offre all'altro. Se i giocatori non sono sinceri si inganne- ranno l'un l'altro e renderanno difficile, se non impossi- bile, ogni ulteriore collaborazione. In particalare, il tera- pista che promette, con parole o atti (ad esempio con certe mosse nella fase iniziale della terapia), di fare per il pa- ziente cose che in seguito non vorrà o non potrà realiz- zare, agisce come un giocatore di bridge che dichiari in eccesso; quando mostrerà al compagno il proprio gioco, quest'ultimo si renderà conto di essere stato ingannato. Al pari dei giocatori di bridge che si ingannano v i m . devolmente, i pazienti e i terapisti che agiscono in questo modo vanno incontro ad una comune sconfitta.

Due tipi di bridge - Due tipi di psicoterapia

Le ,differenze tra I'auction-bridge e il bridge contratto aiutano a spiegare le differenze tra le psicoterapie organiz- zate in modo elastico (caotico), sulla base di una "com- prensione psicodinamica", e la psicoanalisi (contrattuale).

Sebbene le differenze possano sembrare piccole o sot- tili, l'auction bridge e il bridge contratto sono due giochi radicalmente diversi. Le analogie si riferiscono ad elementi

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non essenziali, come le carte e la struttura del gioco. T1 giocatore di bridge ilnesperto ritmarrà impressionato dalla somiglianza tra questi due tipi di brisdge; l'esperto re- sterà invece stupito dalle differenze, sino al punto di poter considerare l'auction-bridge come il contrario del bridge contratto o come una sua deformazione. (In real- tà fu l'auction bridge ad essere ilnventato per primo; in seguito fu perfezionato nel bridge contratto).

Si possono fare, e sovente si fanno, identiche conside- razioni su due tipi di gioco psicoterapeutico, vale a dire sulla cosiddetta psicoterapia a orientamento psicoanali- tic0 (che d'ora in avanti indicherb come "terapia psicodi- namica" o "terapia armonica") e la psicoanalisi. Le sorni- glianze tra esse sono superficiali, le differenze fodamen- tali. Senza dubbio entrambe le imprese consistono soprat- tutto in uno scambio reciproco di comunicazioni ver- balfi e non verbali tra un paziente e un terapista che si incontrano in un ambiente professionale, di solito lo stu- dio del terapista. Tuttavia, esse differiscono radicalmente negli scopi della terapia e nel comportamento dei parteci- panti. In verità, all'esperto del gioco terapeutico possono perfino apparire antitetiche. Naturalmente, la polarità che spesso è tracciata fra la terapia armonica e la psicoanalisi rappresenta un giudizio, e come tale rivela qualcosa, non solo dell'oggetto, ma anche della persona che giudica e dei suoi particolari interessi. Per un individuo che conosce poco il gioco delle carte, le analogie tra l'auction-bridge e il bridge contratto supereranno di gran lunga le diffe- renze mentre, per un esperto bridgista, l'auction bridge è un sacrilegio che non merita il nome di bridge.

La situazione è la stessa in psicoterapia. Per I'interni- sta o i4 chirurgo, o anche per lo psichiatra organicista, le somiglianze fra terapie psicodinamiche e analisi sono notevoli, le differenze insignificanti. Tuttavia per lo psi- coanalista, per il smiologo e per 'molte persone che cer- cano una psicoterapia, le differenze fra terapie armoniche

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e psicoanalisi spesso sono, e certamente devono essere, molto più significative che non le analogie. Esaminiamo le differenze utilizzando il contrasto fra I'auctim-bridge e il bri,dge contratto.

La dichiarazione - Il periodo di prova

I1 bridge e la psicoanalitsi sono giochi a due fasi. In ogni fase i giocatori hanno una meta prossima ed una lon- tana; la prima non è che un mezzo per raggiungere l'al- tra. In entrambi, il carattere del primo periodo del gio- co (dichiarazione nel bridge e periodo di prova in psico- terapia), dipenderà dal fatto che si tra*tti di auction bridge o di bridge contratto e (di psicoterapia psicodinamim op- pure autonoma. Qual è lo scopo della fase iniziale in cia- scuno di questi giochi? NeEllauction b~idge, essendo la difesa una strategia meno i~nteressante e rmunerativa del- l'attacco, i partners saranno più portati a creare un'attiva associazione che non a darsi l'un il'altro delle corrette in- formazioni sulle carte in loro possesso. Di qui la proba- bilità che ogni giocatore faccia al compagno "promesse" che rischia di non poter mantenere, facenldo 'dichiarazioni in eccesso o dando informazioni errate.

Più precisamente, nell'auction-bridge la dichiarazione ha lo scopo di scegliere il seme che diventerà "atout" o di giocare "senz'atout". Non vi sono pendità pa- la dichia- razione in difetto. Indipendentemente da quanto sia bas- sa la dichiarazione, il giocatore e il compagno segneranno tutte le mani vincsnlti; in altre parale, i contratti possono essere rispettati in eccesso, ottenendo un profitto. Inol- tre, le penalità per le *dichiarazioni in eccesso e per il mancato rispetto dal proprio contratto sono lievi. Questo rende la dichiarazione nell'auction bri,dge molto meno impegnativa che ne1 bridge contratto.

La pratica generale della psichiatria, e specialmente della psicoterapia non analitica e non contrattuale, è fon- data sugli stessi principi nell'auction bridge. Il periodo

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iniziale è al servizio di un particolare scopo: e cioè che ogni partecipante faccia del suo meglio per andare d'ac- cordo con l'altro in modo che si possa sviluppare un 11 rapporto terapeutico". Quindi paziente e terapista non utilizzano questo periodo per scambiarsi delle informa- zioni sulle reciproche aspettative; al contrario il1 tera- pista eocede nella dichiarazione, offrendo al paziente qua- lunque cosa ritiene che quest'ultimo necessiti o desideri; il suo obiettivo principale è ,di ~onti~nuare col paziente ab- bastanza a lungo da interessarlo "alla terapia". E' proba- bile che il paziente giochi un gioco complementare; che faccia, cioè, del suo meglio per essere un "buon paziente" e per evitare di essere respinto dal terapitsta, perdendo così l'opportunità di essere curato.

Come i giocatori dell'auction bridge, il terapista e il paziente che agiscono in questo modo, sprecano la prima fase del loro incontro. Essi 'non approfittano 'di quest'op- portunità per prepararsi a una più amoniosa, futura col- laborazione. Al contrario, ingannano se stessi e il com- pagno credendo 'di doversi preoccupare solo di una cosa alla volta. Si comportano seguendo il principio di pren- dere ciò che si può, secondo il detto « meglio l'uovo oggi che la gallina domani m. Così, i giocatori dell'auction bridge sono soddisfatti se possono accordarsi su un contratto ~motamente plausibile che gli permetta di giocare; si preoccuperanno pai di rispettarlo.

Allo stesso modo, il terapista psicodinamico e il pa- ziente sono soddisfatti se possono stabilire un rapporto te- rapeutico remotamente plausibile che dia al terapista una opportunità per sottoporre il paziente al genere di trat- tamento che i1 terapista stesso ritiene necessario, e che dia al paziente l'opportunità di assoggettarsi al tipo di influenza terapeutica che crede lo possa aiutare; solo più tardi si preoccuperanno del fatto che "la terapia" sia terapeutica o nociva. E come dovranno preoccuparsene! In t d i condizioni, d'associazione è male impostata e non

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potrà funzionare in modo onesto ed efficiente una volta che ne esista la possibilità. Solo allora i compagni di squa- dra ccop~iran~no di essersi fuorviati a vicenda e di aver raggiunto non una situazione di pura colilaborazione ma, in effetti, di conflitto non riconosciuto. Ciò che inizia come psicoterapia non contrattuale, presto diviene una psicoterapia caotica. Né il terapista né il paziente sanno cosa l'altro intende fare; invece di collaborare in uno sforzo Oounune, ognuno è occupato a proteggersi dalle in- trusioni dell'altro.

Nel bridge contratto, i giocatori cercano di a~rivare a un contratto che siano in grado di rispettare. Se ciò ap- pare impossibile, proveranno a far fallirire il contratto che i loro avversari hanno stabilito e che a loro volta tente- ranno di rispettare. La dichiarazione in eccesso è severa- mente penalizzata ed è, pertanto, evitata; anche una di- chiarazione in difetto costa cara. (Una caratteristica di- stintiva del bridge contratto è che una coppia non può segnare per la partita i punti fatti, relativi a quelle mani che non si era impegnata a realizzare; ciò invece è possi- bile nell'auction britdge).

La dichiarazione è una parte molto più importante nel bridge contratto che non nell'auction bridge. E' relativa. mente facile imparare a giocare correttamente le pro- prie carte; è molto più difficile, e richiede coolrdinazione c d compagno, imparare a fare una buona dichiarazione. La vera abilità nel bridge contratto consiste soprattutto nel fare una dichiarazione accurata e tuttavia piena d'im- maginazione. Ogni giocatore deve arrivare ad una precisa intesa col compagno yu quello che, come coppia, possono e debbono fare, ed anche su quello che non possono e non debbono fare. Se il contratto è frutto di un buon negoziato, vale a dire se la dichiarazione è stata esatta, un buon giocatore \di solito è in grado di rispettarlo. Le regale di gioco del bridge contratto ricompensano inoltre una buona dichiarazione. Guadagnare il privilegio di giocare

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una mano non è di alcun vantaggio; la squadra che si di- fende può segnare dei punti altrettanto efficacemente.

I1 periodo di prova ha per la psicanalisi lo stesso si- gnificato che la dichiarazione ha per il bridge contratto. Primo, il terapista e il paziente debbono informarsi sul genere di cose che vogliono e che possono offrirsi l'un l'altro. Se ccmo in grado di farlo, arriveranno a un con- tratto (per giocare la psicoanalisi); ma non si impegne- ranno in questo contratto se non saranno sicuri di po- terlo rispettare. Coime la dichiarazione nel bridge con- tratto, il periodo di prova è situato in un contesto che scoraggia il semplice accordo tra i giocatori, basato su vane speranze e false promesse. Paziente e terapista pro- cedono con l'intendimento di doversi prima conoscere; so- lo allora prenderanno in considerazione se unirsi in una associazione impegnata in un compito ben definito. Inol- tre comprendono, e sono d'accordo, che è meglio non for- mare una associazione piuttosto che fomarne una che non possa far fronte ai propri obblighi.

I1 peri'odo di prova nella psicoterapia contrattuale è quindi un'impresa altamente responsabile per entrambi i partecipanti. A differenza 'di quelli che si imbarcano in una psicoterapia caotica, il terapista autonomo e il suo paziente mantengono un'asscrciazione precaria, vale a dire prolungano il periodo (di prova finché o si dissolve o si trasfonma in una solida unione. Al contrario do psicotera- pista caotico e il suo paziente non si rendono generalmente conto di quanto sia precaria la loro associazione, se non dopo essersi convinti ,della sua stabilità.

Giocare le proprie carte - rispettare il contratto terapeutico

A causa 'della sua struttura, ndl'auction-bridg i gio- catori non hanno alcun Incentivo a fare una dichiarazio- ne accurata o a farne. una più alta do1 necessario (se non

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per togliere ,+l gioco ai loro avversari). Fintanto che il seme dell'atout è scelto correttamente, ai fini di segnare punti durante la partita una dichiarazione bassa è vdida quanto una alta; e naturalm~ente è più sicura, iln quanto protegge dall'andare sotto. Ciascun giocatore cercherà di fare quindi il proprio gioco o di aiutare il compagno a fare il suo; ogni giocatore ozrcherà inoltre di scegliere l'atout correttamente e di dichiarare il meno passibile. I1 risultato è che i punti segnati (durante ad gioco rara- mente saranno qualli annunciati nella dichiarazione. I1 gioco è pertanto non contrattuale, o cmtra.ttuale soltanto in smso molto generico.

Nel bnidge contratto, bisogna diohiarare con esattezza ill massimo punteggio realizzabile poiché non vengono accreditati (come punti partita) i punti non dichiarati. Ciascun giocatore cercherà pertanto di fare una dichiara- zione informativa e precisa; cercherà inoltre o di dichia- rare il massimo che ritiene di poter realizzare (fino al livello di manche o di slam), oppure di sconfiggere i suoi avversari. Come risultato, il numero di prese segnate durante il gioco è spesso identico a quello annunciato nella dichiarazione finale. I1 gioco è squisitamente con- trattuale.

I1 modo di condurre le terapie psicodinamiche è pa- ragonabile a una partita di auction-bridge. I partners fanno solo le più vaghe offerte di accordo: nel bridge si accordano solamente sul seme; nella psicoterapia unica. mente sul tipo di rapporto (psicologico anziché, diciamo, chirurgico o dermatalogico). Ma entro questi ampi limi- ti, non è chiaro in anticipo come. sarà il rapporto. Difat- ti il terapista spesso progetta di realizzare le proprie idee sulla terapia solo dopo che il paziente si è àmpe- gnato nel rapporto; e questo accade abbasltanza spesso anche per il paziente. In tal modo, da fase attiva della terapia presto diviene non un contratto franco, ma un conflitto caotico in m i ogni partecipante cerca di in-

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durre l'altro a giocare secondo le proprie regole e a per- seguire i propri 'scopi.

Davanti a una situazione di questo (tipo è probabile che il terapistia faccia ricorso a una costante rrvvisione dal rapporto e ,delll "intesa" tra lui ed il paziente. Ad esem- pio, il terapista può cominciare con un rapporto b i p s o - nale confidenziale, usando salo la conversazione. Presto il paziente può diventare depresso e incapace di dormire; il terapista può rispondere prescrivendo delle medicine (revisione numero uno). La depressione può farsi più profonda e il terapista preoccuparsi che il paziente possa suicifdarsi; può a1,lora consigliare il ricovero e la cura ospedaliiera del paziente (revisione numero due). E così via.

Altrii cambilamenti possono servire più direttamente altle necessità del terapista. Ad esempio, se il terapista desidera aumentare i1 suo onorario, può ridurre la fre- quenza degli appuntamenti col paziente e aumentarne il prezzo; se sente il lisogno di un periodo di riposo, può prescrivere al paziente una "intermxione"; oppure, se si stanca di un paziente, può terminare il trattamiznto.

La caratte~iistica distintiva della psicoanalisi è il con- tratto. Esso limita il terrapista in quello che può fare nei confronti dal pazi)ente. Egli ha un contratto col paziente ed è impegnato moralmente (per ora non degaImente) a ri- spettarne i temini. Né, tantomeno, d terapista può alte- rare il1 contratto perché lo richiede il paziente. Al contra- rio, una (tale richiesta è un portare acqua al mulino ana- litico.

C'è un'importante diff erranza fria il contratto anabiltico e il "contratto" sul qude si accordano i partners nel bridge, e cioè il potere di ciascun gi~wtore nei confronti del compagno. Ne1 bnidge, i partnens sano su1,lo stesso piano: ognuno di essi può aiutare o n u m z al compa- gno, tanto quanto quest'dtimo può aiutare o nuocere a lui. Ma questo non è vero nel caso della psicoanalisi;

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l'analista può aiutare o nuocere al paziente molto di più che non viceversa. 11 o k b r è (in una posizione più de- bcnle dell'analista. I1 contratto analitico serve *in parte a ridurre questa diseguaglimza e a proteggere il paziente dal p.tere dall'analista.

A questo proposito, possiamo prendere Costituzicr ne degli Stati Uniti come modello del contratto analitico. Anche qui si tratta di un accordo fra due pavti moral- mente uguali, ma &i fatto (socialmente) diseguali: i ~go- vernanti e coloro che sono 'governati. Cosa specifica la Costituzione? In modo significativo, richiede poco a ohi è governato; implicitamente, ovvio, esige che s i obbe- disca alle leggi. Principalmente, comunque, la Costitu- zione (ed altri documenti analoghi) pwciisa deteminate cose che coloro che sono al potere debbono e non debbo- no fare. In effetti, è una promessa da parte dei gova-nanti a limitare i1 proprio poteriz. Nel!l'adempimento delle fun- zioni di governo essi a un ci ano all'autorità arbitraria e d'azione discrezionale a vantaggio di misure speciifiche, ad esempio, di regollaxi! processi.

Così come io lo concepisco, )il contratto analitico si propone da stessa cosa. Nell'eseraizio della tradizionalle Eunzi~ne curativa, il terapista rinuncia al potere a'rbi- trario e ai giudizi l&screzionali, con cui di regola si gimEti- fica, a favore di speaifìche ilimitazioni.

Naturalmente, questo atteggiamento può essenr mante- nuto solo verso q d paziente che si assume la responsa- bilità (dolila propria condotta e delle sue conseguenze so- ciali.

Libertà, costrizione e rapporto psicoanalitico

Il terapista tradizionale stabilisce d a n e regole per Y paziente e b giustifica appellandosi agli interessi drlla >> terapia". Questo è m argomento specioso del quale fa- cilmente si abusa; per cui dovremo essere cauti al rimar-

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do. In d t à non esiste una tale cosa chiamata "terapia"; c'è solo un determinato lteplsta, un determinato pazien- te e le loro comunicazioni, in particolare k loro recipro- che promesse. In ~teonia, ile "necessità ddl'andi~si" richie- dono e giustificano l'idea che terapista e paziente se- guano certe regole. In pratica, comunquz, "la terapia" non ha necessità; solo il \terapista e il paziente ne hanlno.

Non è quindi suffiaiente per l'analista proclamare la sua adesione all'etica dd'autonomia; deve anzitutto ri- veda. Se l'etica dell'autonomia è fondamentale per la psicoanalisi, la sua prassi deve iniziare dal di dentro, nella situazione analitica. Questa è da ragione principale per m i l'analista non deve imporre ai pazienti vari tipi di regole che n m siano quelle minime e accordate, ne- cessarie p x la psicoterapia autonoma.

Queste cmsiderazioni convergono in una singola pro- posizione: per preservare l'autonomia del paxiemte nella situazione terapeutica, l'analista deve ~ ~ i r t a r e ogni co- strizione non necessaria. Poiché l'unica cosa della quale l'analista ha realmente bisogno (o dovrebbe averne) è il denaro, l'unica sua legittima richiesta al pazknte è il denaro. Di fatti, che altre esigenze può avere l'analilsta nella sua qualità ,di terapista autonomo? Certamente non può chiedere al pazienbt di sdraiarsi sul divano o di as- sociare liberamente, di astenersi dal comportamento ses- suale sbagliato o delliinfrangere la legge, o nessuna delle miriadi di cose che i terapisti richiedono ai loro pa- zienti.

Come chiunque altro, i1 terapista è una persona reale ed ha pertanto necessità reali. Ma nel corso dell'analisi può aspettarsi che il paziente uno solo dei suoi bisogni, e ~ioè la sua nacessiità di denaro. Praticare l'ana- lisi è una prafessione; è il modo con cui l'anailis~ta si guadagna da vivere. Ecco perché è "realistico", psiwlo- gicamente e socialmente, ohe il paziente paghi l'analista.

!3e l'analista si aspetta che il paziente soddisfi altnr

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necessità, rovina ~l'mdisi. Ad esempio, il terapista può sentire il bisogno di essere un buon genitore, di essere amato te ammirato, di essere perdonato, di soccorrere il debole, di fare segrete alleanze coi pazienti contro il mondo esterno, di fare il medico, di ricostruire persma- lità e così via. Ma perché aspettarsi che sia l'~am1izzando a soddisfare questi bisogni? Secondo me, non c'è mortivo che il paziente soddisfi uno di questi (o altr,i) bisogni più di quanto non dovrebbe soddisfare, ad esempio, i desideri sessuali dell'analista. I1 (terapista deve appaga- re le sue aspimrazioni e le sue necessità mediante oggetti che non siano il paziente. Riipeto, I'ainalizzando deve al- l'analista solo del denaro. E' ovvio che la propria tra- sformazione costerà al paziente più che non il solo de- naro, ma il costo extra non va pagato all'andista.

L'intesa che I'ainalizzando sia privato di certe oppor- tunità di soddisfanz i bisognii dell'analista, può anche essere fonte di difFicoltà; .è 'necessario rendersi conto di ciò e guardarsene. Ad esempio, dJana+1lista può essere p r - tato a credere di "dare" molto al paziiente e di non "ri- cevere" nulla in cambio; ciò farà sentiire ,il terapista gene- roso e magnanimo, e, i'n via reattiva, forse altrettanto esigente. La situazione è paragonabile a certi rapporti tra figlio e genitore o tra marito e moglie dove ognuno si sente sfruttato dal pa~tner o co1pevo;le nei suoi confronti. Come possiamo evitare tutto ciò?

La miglior salvaguardia k la base economica del rap- porto anaslitico. L'analista di solito ha bisogno del dena- ro che li1 paziente gli paga. Per il terapista, ,l'onorario è l'evidenza tangibile che egli "riceve" qualcosa dal pazien- te; è quindi probaM1e che si slenta meno dnuttato (spe- cialmente se considera l'onorario abbastanza &O). CO- munque, affinché la transazione pecuniaria abbia il si- gnifica.to che le att~ibuisco in questo oaso, l'malistla deve sentirsi a suo agio a questo riguardo. Se egli nega o miniimlzza ciò che il denaro significa per Jui, priverà il

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paziente della possibilità di pagarlo col solo denaro e lo graverà dell'aspettativa di altre forme di "pagamento". Se, d'altra parte, l'analista sopravvduta ,il denaro, com- metterà altri errori. Timoroso di perdere il paziente, sta- bilirà parcelle troppo basse e se ne risentirà. Avido di guadagnare quanto più possibile, stabiliirà parcelle trop- po d t e e allora sarà d pazienbì: a nitsentiirsene. Oppure l'anal5st.a abbandonerà del tutto l'analisi e offrirà al pa- ziente qualunque cosa qttest'ultimo mostri di voler acqui- stare.

Se il contratto analitico è stato negoziato corretta- mente, l'onorario dovrebbe soddisfare entrambe le parti. L'analista si deve sentire ben pagato per le sue presta- zioni, e l'analizzando dovrebbe sentire che dzve ail'ana- lista solo del denaro e solo nelslla misura in cui può per- metterselo. Di nuovo, ciò comporta determinate conse- guenze pratiche. Il cuntmatto per l'onorario o, più generi- camente, per l'importo che il paziente deve all'analista, spesso non viene rispettato in due modi. Primo, I'andiz. zando può rifiutarsi di pagare o essere in ritardo nal pa- gamznto; se l 'adista non sospende 1 trattam'ento, ma riduce gli onorari o dascia che il paziente accumuli un debito, avrà terminato il rapporto analitico e creato in sua vece una situazione psicoterapeutica che non è né analitica né autonoma. Secondo, in risposta alle aspetta- tive dell'andista o per ragimi SUE personali, l'analizzan- do può voler fare per l'analista qualcasa di più che non pagare l'onorario (ad esempio finanziarne le ricerche, far- gli regali di valore e cosi via); se l'analista consente al paziente di adempiere in eocesso i11 contratto, ciò che avrà ottenuto è la distruzione del rapporto ana~liti~o.~

Le condizioni che ho delineato sono quelle di un'anali- si ben niuscita; esse creano un'atmosfera nella quale il1 paziente si rende canto che la terapia è sua e di nessun altro. D'altra parte, se il terapista prescrive varie rego-

1 Ved. cap. XIII.

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le (come qudla che il paziente si sdrai sul lettino, faccia libere associazicmi, racconti i suai sogni), cneerà inevi- tabilmente una situazione nella quale SI paziente potrà coJlaborare o meno, potrà essere un buon paziente o un cattivo paziente e così via.

Tutte qwste possibilità e le complicazioni che ne de- nivano si evitano se l'analista rinuncia al ruolo tradizio- nale di medico o di terapista che cerca di svolgere un lavoro sul paziente o sulla sua malattia. Al contrario, adot- tando il ruolo dellésperto che offre i suoi servizi e diven- ta contrattualmznte obbliga to !nei confronti del dente, il terapista manterrà abbastanza potere per realizzare il suo compito che è quello di svolgere il ruolo #di analista. Al terapista non occorre altro potere a,l!l?.nfuori di questo, perché )non ha bisogno di giudicare se il oliente è un buon paziente o un cattivo paziente, cdi ~interveni~re come autorità nella vita extra-analitica dal cliente; anzi, il pos- sesso di tale potere con lo svolgimento del compito analitico.

L'integrità del rapporto analitico

Le regole del gioco analitico servono a un unico sco- po fondamentale; preservare 1;inte~ità dal rapporto ana- litico. E' i~mpossibile giocare il bbnidge contratto se ad uno dei giocatori è consentito di barare perché si lamenta di un mal di testa. Un contratto non è tale nella misura i'n cui può essere rotto. Questa, è soltanto questa, è la ra- gion'e per cui l'analista #deve evitare i rudi di medico e di psichiatra. Questi sono 'moli di status, non ruoli di contratto; essi danno a chi li riveste il diritto, e di fatto la responsabilità, di prendere la Yitualiime nelle sue mani e, se necessario, di "salvare il paziente contro Ilui stesso".

Ma se l ' d i s t a vuole salvanz un paziente contro lui stesso, non può analizzare quel paziente. Altrimenti è una beffa parlare del paziente come di un agente auto-

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nomo. Moit.issimle persone sono capaci e desiderose di comportarsi come pazienti analitici autoresponsabili, ma il terapista non potrà mai scoprire chi esse siano se egli stesso non agisce autonomamente, vale a ditre contrattual- menti:.

Il' terapista che si trova a suo agio nel ruolo da me indicato, troverà mdti pazienti che nan solo accettano quest'assetto ma lo preferiscano. Questo bisogno non ci sorprende. I pazienti che consultano gli analisti lspesso vo- gliono l'analisi e non qualcos'altro. Di consaguenza, sono contenti di trovare un analista che offre b r o dlan&si e non qualcosa di diverso. Molti pazienti non desiderano che lo psicoterapista faccia altre cose diverse dallla psi- coterapia. Comunque, essi diventano confusi quando il berapista appare dkposto, anzi desideroso di svolgere anche altre attività. Complicazioni in psicoterapia, sorgo- no quindi non tanto dalla richiesta di interventi n m psico- logici da parte del paziente, quanto dailla smania del tesapista di svolgere un ruolo di !medico.

E' possibile senza dubbio che alcuni pazienti non de- siderino acquistare un prodotto puramente psicoterapeu- tic0 o analitico. L'obbligo del terapista è di chiarire ciò che offre. Se il paziente desidera qualche altro tipo di prodotto terapeutico, presto smetterà di vedere l'analista e, forse, ne cercherà un altro. Se comunque l'assetto gli sembrerà soddisfacente, lo sarà senza false rappresenta- zioni da parte dell'analista.

I1 terapista autonomo offre in vendita solo le sue ca- pacità come analista. Se il paziente è malato, dovrà c m sultanz un medico; se desidera ottenere medicine, dovrà cercare di procurarsele da q d c u n o che non sia l'analista e così via. Alcuni analisti in verità si comportano in que- sto modo. Molti altri, invece, no: prescrivono medicinali ed usano perfìno la terapia convulsivarite mentre "andiz- zano" il1 paziente. Essi giustifiwo qwst'annacquamento del ruolo anditico asserendo che il paaimte "ha bisogno"

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di tali terapie coaciiuvanti e dichiarando che essi sono, dopotutto, medici e debbono pertanto offrire al paziente Irz loro capacità mediche. Questa è un'assurdità. .

Indubbiamente, il terapista ha tubti i dirimi di eser- citare in questo modo. Se i suoi pazienti ne traggono be- neficio, la ricompensa del terapista sarà una professione lucrosa. Ciò nonostante, la precedente argomentazione è un assurdo o amhe peggio, poiché mina alle basi il cm- tratto analitico e quindi distrugge la psicoanalisi come psicoterapia autonoma. Possiamo conoedere che i11 pa- ziente in arialisi possa mer bisogno di mediahali come pure di molte altre cose. I1 mio punto di vista è il seguen- ,te: se il terapista intende svolgere il suo lavoro come analista in maniera corretta ed eSlciente, non può offrire altri servizi. Né tantomeno ha bisogno di farlo; il paziente è lib~tro di procurarseli da altri.

L'argomento aggiuntivo che l'analista è un medico e quindi è debitore ail paziente della gamma completa dd- k sue conoscenze e delle sue capacità, è assurdo. I1 tera- pista dirve al paziente niente di pi,u e, certamente, niente di meno di quanto abbila stabiilito per contratto: se pro- mette al paziente solo della psicoterapia, gli deve unica- mente della psicoterapia. Inoltre, il fatto che iil oterapista sia un medico è, in gran parte, storicam~ènte accidentale; la sua preparazione medica e il suo titulo lo aiuteranno assai poco, se pure Ilo aiuteranno, nal suo compito d~i psicoterapista.

E' possibile che il terapista possieda capacità addizio- nali e totalmente estran3e a quelle di analista e di me- dico. Ad esempio il terapista può essere m esperto @o- catore di bridge, un perfetto musicista, o un consumato giocatore di borsa. Supponiamo che l'analizzando desi- deri trarnz vantaggi da una di queste abilità; forse che l'analista insegnerà al paziente come gioca're a bridge, suonare i1 piano o guadagnare giocando in barsa? Se pre- sta d paziente (le sue capacità mediche, perché nun pre-

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stargli br altre? Accenno a questa 'linea di ragionamento non solo per ahiarire questo problema, ma anche per sug- gerire una spiegazione che possa aiutare (alcuni pazienti a capire perché l'analista si rifiuta di aiutarli in altro modo che non sia l'analisi. La limitazime del ruolo di analista può deiluden: il paziente. Ma è solo !la disillu- sione non dissipata da queste realistiche spiegazioni che può essere sottoposta a m fecondo esame analitico.

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9 IL PERIODO FINALE

La concezione analitica tradizionale della fine analisi

Rivedilamo, sulla base della teoria psicoanalitica co- dificata, i principi che regolano la conclusione della psico- terapia autonoma. Per quanto la terapia psicoanalitica possa differire da altre forme di trattamento psiichiatrico, il concetto che l'analista ha del proprilo ruolo di terapi- sta assomiig,lia alla tradizionale opinione medica del ruolo di dottore. In tal modo, l'analista ha accettato le pnzmes- se di base del modello malattia-guarigione: li1 paziente è malato; il terapista fa una diagnosi, realizza un tratta- mento, decide quando il paziente sta bene e lo congeda terminando così la terapia.

Con minoI4 ~ariax~ioni, questo tema è stato (applicato alla situazione analitica da parte dei teorici della psico- analisi: I'analizzando si presenlta dl'analista con un di- sturbo psichitcho; l'analista diagnostica il disturbo e, s~e si tratta di una nevrosi appropriata (vale a dire se i1 pa- ziente è anallizzabile), intraprende l'analisi. I1 paziente sviluppa una nevrosi di transfert, che è sottqosta a una analisi sistematica; quando la nevrosi (di transfert .è ade-

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guatamente analizzata, il rapporto terapeutico vime cm- cluso da~ll'analista.

C'è malto di valido in questa schematica visione del processo analitico, ma lo spirito che 'l'ispira è falco. Esso suggerisce che l'anaiisi è un processo di ri~stabi~irnento da una malattia anziché un'impresa educativa e di auto- trasformazione e che, così come la guarigione del pazien- te medico da una malattia è giudicata dal medico, allo stesso modo la guanigione dalla nevrosi del paziente ama- Iiitico viene giudicata dal terapista. Per cui l'analista do- vrebbe avere il ruolo principale nel decidere quando la terapia dovrebbe terminare. Gli analisti di regola si com- portano in questo modo, anche se ciò è apertamente in contrasto con quello che è 110 scopo e lo spirito dell'ana- lisi come terapia autonoma.

Poiché i teorici de1l1analisi basano i loro ragionamenti sul modello medico, essi cercano dei criteri psicopatologi- ci quasi medici per la 110ro decisione di terminare la cura. Questo è un dilemma che gli analisti non sono stati mai capaci di solv vere adeguatamente. Per parte mia, sostengo che l'analista non ha il diritto di terminare l'analisi. Questo non è suo comp

i

to; è compito del pa- ziente. Non ci sorprende allora che la voluminosa lettera- tura sul così detto problema dalla fine analisi abbia solo creato una grande confusione.

Lo sforzo per stabilire i criteni p~i~codinarnici di fine analisi è paragonabile allo sforzo per stabilire dei criteri di analizmbiJità. I1 terapista ohe 'desidera accertare sz un paziente è analizzabile sta ah effetti cercando di predire il futuro comportamento del paziente. Ma non ci sono buone ragioni per aginz in tal modo. Invece di cercare di scoprire se il paziente è analizzabile, il terapista ha bisogno unicamente di determinare se il paziente vuole o meno comperare i suoi servizi. Se il paziente non è ana- lizzabile, entrambi, terapista e paziente, lo scopriranno non appena si conosceranno meglio. Ripeto, quindi, che

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non c'è alcuna valida ragione perché I'anahista cerchi di predire il comportamento &l paziente. Al contrario è suo dovere informare il1 paziente del proprio comportamanto futuro, regolato dalle norme delil'analisi.

Se il terapi'sta accebta la responsabilità di terminare la terapia (come fa per l'inirnio, quando cerca di stabilire lanalizzabilltà del paziente), deve avere delle basi razio- nali lper decidere quando terminarla. Inoltre l'analista non è libero ldi ricercare una base adeguata per questa deci- sione, in quanto il suo tradizionale moddlo concettuale lo spinge a fondare il suo giudizio sulla condizione psi- chica dell'analizzando. Da questo punto di vista, pertan. to, &a decisione ldel paziente di termi.nare non è una ra- gione adeguata per Ifarlo. Dal mio punto di vista, sì.

Come sappiamo, è difficile vdutare lo "stato mentale" di un'altra persona. Ciò nonostante l'analista si mette nella sibtuazhe di supporre che alcuni stati mentali sono delle indicazioni a cessare l'analisi, mentre altri no; e i*n tail modo accetta da responsabilità di fare tali valuta- zioni "diagnostiche" e agire di conseguenza.

I risultati sono disastrosi. Teonicamak smo stati suggeriti una quantità di criteri di fine anallisi. Pratica- mente, (il metodo di (teminare il'analisli &. stato avvolto nel mistero. Corge il sospetto che 4 criteri psicoanalitici di fine ana1,isi e la conclusione reale d;lllanalis;i siano salo remotamente connessi. Iatdubbimente, spesso si afferma ahe i criteri analitici di kminazime descdvono condizioni ideali alle quaili si spxa che il paziente si av- vicini ma che raramente può raggiungere. Ma questo è un evadere iil problema. Resta il fatto che sono stati o r a - ti degli standards 'di fine analisi e che gli analisti coli- f m t a n o con essi il c<rmportamk.wto dei loro pazienti. Ma dobbiamo porai la questione della legittimità e della va- lidità delqle valutaziani diagnostiche che I'analista ha fatto sdl'analizzando.

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Quali sono i criteri di fine analisi? Ecco a continua- zione quelli suggeriti da eminenti analisti:

1. raggiungimento da parte 'dal paziente della fase ge- nitale nello sviluppo psicosessuale;

2. sviluppo del paziente fino alla maturità emotiva; 3. adeguata analisi e nisoluzime dalla nevrosi di

transfert; 4. adeguata analisi delle "posizioni depnrssive e schi-

zoidi" del paziente; 5. "cambi~mento s~trutturale" nella personalità del

paziente. (Gli analisti neo-freudiani hanno aggiunto altni criteri).

Alcuni di quesgti cco~letti cono più significativi e utili di dtrii. In particolanr, l'analisi della nevrosi di transfert è un concetto prezioso; ma in che cansilste un'analici > t adegulata" della medesima, è un'altra faccenda. Eppure, per quanto significative o assurde possano essere queste condizioni (e gli analisti divergono al riguardo), il loro valonz per il genere di decisione da prendere che stiamo consitderando è limitato.

I ruoli del passato e del futuro nelle decisioni terapeutiche da prendere

Ci occuperemo ora delle segumti questioni: come fa il medico ad accertare la natura della malattia dal pazien- te e la cura da applicare? Come si assume lo psicoanaii- sta una n~sponsabilità come quella di decidere quando iniziare e quando t'erminare un'andisi?

I1 medico usa tre metodi per fa^ una diagnosi: rac- coglie la storia dalla malattia del paziente, esamina il corpo dal paziente, ne esamina 'le funzioni somatiche c m varie procedure speciali. I1 primo di questi metodi (che per s e d i fu la principale tecnica del medilco per accertanz la natura della malattia del paziente) si basa

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interamente su avvenimenti del passato; gli altri due va- lutano avvsniimenti attuali.

Si suppone spesso che la decisione sulla terapia me- dica derivi logicamente dalla diagnosi miedica. A volte le cose stanno così. Comunque questa supposizione offusca Uimportante molo della previsione degli awenhemti fu- funi nelle decisioni relative al trattamento. Il mizdico co- scienzioso e il malato intelligente vorranno sapere non solo casa fa soffrire il paziente ma anche cosa gli gioverà o cosa potrà danneggiarlo. Quitndi, nel decidere cima la terapia, essi prendono in considerazione anche Q futuro.

In generale, (il medico guarda principalmente al passa- to se il suo compito è diagnostico, al futuro se. è lterapeu- tico. Così, quando una persona è malata e consulta un m~adico si preoccuperà spesso della natum della sua ma- lattia: & che si tratta? E' omtagiosa? Ereditaria? Seria? D'altra parte, quando uno sciatore con una caviglia rot- ta consulta un ortopedico si preoccuperà della 'natura e delle prospettive dellla terapia: Per quanto bemp la ca- viglia rimarrà ingessata? Quando potrò anoora sciare? D. Poiché la diagnosi è ovvia ini casi c m z questo, la deci- sii7ane da prendere è centrata sulle prospettive della te- rapia.

Come regala, i1 probabile paziente analitico è simile a questo tipo di paziente medico; 'la "diagnosi" è ovvia e quindi non è un problema. In un senso malto profondo, la persona che cerca l'aiuto psicoanaliitiico fa la sua propnia diagnosi: soffre di ansie ipocondriache, ha una situazio- ne coniugale infelice e non sa come venirne fuori; è omosizssuale e così via. Iil paziente sa cosa lo fa soffritre; infatti egli si definisce "malato" nel senso che ha bisogno di aiuto psicoterapeutiico. Di conseguenza, la prima prem- cupazione dal paziente non riguarda la natura delle sue difiicoltà ma piuttosto la possibilità di superarle: la psi- coanalisi è in grado 'di aiutarlo? Quanto tumpo occorre- rà? Quanto gli costerà?

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I1 probabde analizzando concentra quindi la sua at- tenzione sul futuro. L'analista che segue gli orientamenti tradizionali, sentendosi obbligato ad accertare se (il pa- ziente è analizzabile o meno, metbrà a fuoco il passato. I1 paziente vuol sapere cosa gli accadrà (in aiialisi) men- tre l'analista vuol sapere cosa gli è accaduto (nell'infan- zia). Per cui è facile che gli (interessi ddlPan@lista e del- l'analizzando entrino in conflitto poco dopo ill loro in- contro. Inaltre, come ho già notato, la storia del pa- ziente, per quanto accuratamente raccolta, )fornisce pro- ve insufficienti per questo genere di decisioni da pren- dere.

A differenza dell'analista tradizionale, lo psicoterapi- sta autonomo tratlta il problema dell'analizzabilità lascian- do ohe i1 paziente assuma la responsabil~ità di decidere se desidera o meno essere analizzato; egli basa quindi i suoi giudizi, necessari per stabilire se accettare o meno il paziente come analizzando, non sui dati anaimestici del paziente ma piuttosto sul suo comportamento attua- le durante la fase di prova della terapia.

La soluzione del problema di come terminare l'ana- lisi può essere vista allo stesso modo. Ritengo che il te- rapista non abbia bisogno, e in veriità non debba, assu- mersi la responsabibtà di concludere la terapia. Sebbe- ne la decisione di terminare l'analisi appartenga al pazien- te, ciò non significa che l'analista non possa esprimere Je sue opinioni al riguardo. Su quali criteri s,i basano que- ste opinioni?

Ancora una volta i?. necessario un cambimento nella nostra wnsueta prospettiva temporale al riguardo. Ml'ini- zio del trattamento, il terapista non deve concentrare 'la sua attenzione sul passato ma, al contrario, lasciare pas- sato e futuro ai margini della sua attenzimz e porne al centro il presente. Al prendere in considerazione la fine, il terapista non deve mettere a fuoco il passato o icl pre- sente, bensì il futuro. A questo punto le domande impor

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tanti non sono a cosa è stato fatto? n o a è stato questo o quel problema sufficientemente analizzato n, ma piutto- sto a che altro o cosa ancora il paziente vuole ricevere dal trattamento? n, oppure a l'analista crede di poter m- tinuare ad lesseire utile al paziente? ..

Le mie opinioni sugli aspetti pratici della conclusione della psicoterapia anitonoima sono esposti (nel capitolo XV. A continuazione si riportano alcune ulteriori osservazio- ni sui priancipi che sattendmo la fine del trattamento.

I principi per terminare l'analisi in maniera autonoma

Scopo fondamentale ddl'analisi è qwhlo di aumentare la capacità del paaiente a prendere decisioni. Di conse- guenza l'analista deve scrupolosamente evitare di inter- feri're o usurpare la ncsponsabilità del paziente a sce- gliere tra diverse linee di comportamento. Le decisioni s d trattamento stesso, vale a &re se comi,ncbre l'analisi, continuarla o terminarla, smo tra Ile decisimi più im- portanti che I'ana'kzando deve prendere. Se il terapista le prendesse in sua vece, l'idea stessa della terapia auto- noma sarizbbe una befla. Una situazione terapeutica di questo genere sarebbe paragonabile a un rapporto tra padre e figlio iiel quale ii padre asserisse ohe il figlio è libero di spendere i suoi nisparmi come più gli piaoz ma in realtà interferisse ogni qualvalta non è d'accordo.

Richiamiamo alla mente uno degli aspetti più signi- ficativi del contratto terapeutico sottoscritto da~l~l'anaiiz- zando e ddl'analista alla fine del perwdo di prova: il te- rapista rinuncia al tradizionale diritto del medico di con- cludere la terapia dal paziente (eccetto che per il man- cato pagamento dell'onorario). Di conseguenza l'analista non ha nessun bisogno pressante di stabilire quando il paziente è "curato" e pronto per essere dimesso &l trat-

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tamento. In realtà, il suo contratto con l'analizzando gliie- lo proibisce esplicitamente.

Ci potrebbe obi$ettare che tutto ciò non è né medico né "terapeutico". Lo è, invece, e per una buona ragione. L'analista negozia un contratto col paziente 'e deve atte- nersi ai suai termini. Non deve né mancare alle sue promesse né adempiere a obblighi che non ha contratto. L'analista non promette di cura= il paziente, di formu- lare per dui dellle norme per una adeguata salute mentale, o di deci'dere quando la terapia debba terminare. Di con- segutnza l'analista non ha bisogno di, e in effetbi non deve, prendere su di sé il problema di termi,naire l'analisi. Questo è un problema del paziente. Come potrebbe esser lo di qualcun'altl;~ ? Che Iizgittimo (interesse può avere l'analista nel continuare o terminare la cura?

Il gioco medico e le regole che ne stabiliscono il temine.

Ancora una volta dobbiamo considerare mziltutto la situazione medica. Per il medico sarebbe una pratica discutibile continuare a curare un paziente e accettamt per tale motivo il denaro al di là del periodo in cui si renda necessaria l'assistenza medica. I m parte, quindi, si tratta di un problema di etica medica; ma !non è tutto.

I1 medico mdto occupato ama impiegare il suo tempo in maniera utile. Questo desiderio gli offre un incentivo personale, indipendente da quello finanziario, a dmedicanr il suo tempo e le sue energie a pazienti malati, forse sol- tanto ad essi. E' qui dove il gioco medilco dhenta più complicato. Iml rnizdico "particolarmente occupato" può diventare come. *la madre di una numerosa famiglia che deve sottrarre le proprie cure ai figli più grandi per dedicarsi ai più piccoli. Comunque, se il medico è libero di stabiliire che il paaiinte A, guarito o quasi, ha meno bisogno di lui del paziente B che è ammalato, cosa gli impedirà di dichiarare che il paziente C è incurabile e quindi meno bisognoso della sua attenzione dal pazien-

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te D cbv è solo leggermante ammalato ma ha probabilità di guarire? E cosa accade quando compare un nuovo paziente che offre di pagare più di tutti gli altri pazienti del medico? Non avrà il medico la tentazione di consi- derare quest'ultimo come un caso, per lo mtno, parti- colarmente ,interessante e meritevole? Chiaramente vli è tutta una gamma di possibili azioni arbitrarie (e venali) da parte di medici ohe giocano secondo queste regole del gioco medico.

Il gioco analitico e le regole che ne stabiliscono il termine.

Richiamiamo alla mente le tre regole fondamentdli del gioco anali$ico. Primo, l'analista, a differenza del me- dico, non è impegnato nel compito di guarire maktltie; secondo, il suo rapporto col paziente è regolato da un contratto, non dalle necessità vere o presunte d d pazien- te; terzo, l'analista non congeda il paziente quando è guarito. S e conservasse questa opzione, tendzreb;be a viziare (l'intero sforzo "terapeutico". Curiosamente que- ct'ultimo fenomeno è completamente sfuggito all'atten- zione degli psichiatni e degli psicoanalisti.

Perché l'analista deve rinunciare all'opzhne di inter- rompere il rapporto terapeutico? Parima di poter rispon- dere a questa domanda dobbiamo ricostruire brevemen- te gli aspatti essenziali della situazione analitica. Se pa- ziente e analista passano alla fase contrattuale p o s s ~ o supporre che ognuno considera ~l'altro persona degna di fiducia. I1 paziente si fiderà dell'analista e gli confiderà i suai imbarazzanti segreti. E' neozssario e conveniente che il paziente 10 faccila, poiché questa è la strada per la scoperta di sé e per un'aumentata auto-responsabilità. Di conseguenza, l'analislta deve incoraggiare quelle condi- zioni che facilitano al paziente &la franca scoperta di se stesso e metterlo i'n guardia contro quelle che tendono a inibirla. Nulla ha maggiori effetti nell'inibire la fran- chezza di una persona del timore che le sue confidenuz

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vengano usate contro di lui. Pertanto ,l'analista garanti- sce al paziente che ogni sua comunicazione, e non solo i segreti, sarà considerata assalutammte privata. Ma ci sono altri rischi connessi a questo auto-svelarsi.

A causa della natura del rapporto analitico la terapia diventa importsante per i,l paziente in proporzione dl'im- pegno che vi mette. Ciò finisce per connettersi al timore di perdere il rapporto analitico. Gome può i1 paziente perdere ques t 'importante "oggetto"?

Anzitutto l'analista può ammalarsi, morire, o trasfe- rimi in un'altra cisttl. Né l'analista né il pazientz possono fare granché in questi casi. (Comunque, se un terapista pensa di dover lasoiare b città o di non poter essere, per qualunque altra ragione, disponibile per ti11 paziente se non per un limitato periodo di tempo, non dovrebbe ac- cettare pazienti per psicoterapie a lungo termine).

In secondo luogo l'analista può decidere di modifica- re, interrompere o terminare la terapia. Perohé dovrebbe fare una di queste cose? Come d medico generico anche l'analista può pmferilre di curare solo "persone malate", possibiilimente solo "persone molto malate". Se così è, il suo analizzando sarà minacciato da ogni progresso com- piuto in analisi in quanto il "premio" per tale progresso sarà l'abbandono da parte del~l'adista a vantaggio di un paziente psicologicamente più invalido. Oppure l'anali- sta può desidera= 'di guadagnare di più e un paziente grado di pagare un onorario più alto può aver richiesto una terapila. Se l'agenda del+l1arm1ista è completa, come può trwargli posto? Giungendo alla conclusime che uno dei suoi andzzandi è migliorato s~icientemente da po- ter terminare. Oppure l'analista può essersi stancato di un paziente. Non sarà forse tentato di concludere che l'analizzando incurabile o che, per lo meno, non è ulteriormente analizzabile (da lui e liberarsi così d' li un paziente d,ifficille?

Ci sono malte dtre possibilità. Una importante è che

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l'miitlista, a causa delle auto-rivelazioni del paziente, pos- sa sentirsi mal &posto nei suoi confronti, per lo meno durante certsi periodi. I pazienti, quasi invariabilm,rite, temiono che i4 doro auto-tradirsi finisca per alienargli l'analista e parti alla fine del trattamanto.

Questi rischi sono ,inerenti al rapporto psicoterapeu- tico. Per il terapista autonomo non c'è ohe un solo ri- medio pm essi: porre pienamente tla terapi'a nelle mani del paziente perché ne faccia ciò che ritiene opportuno (entro i limiti dal contratto). Ciò significa che ~l'aina~lista (e fino ad un certo punto il paaiente) deve ~hunciare alla facoltà di alterare il trattamento: non può rildurre le ore, aumentare l'onorario, interrompere o sospendere il trattamento e così via.

Ognuna di queste mosse potenziali nel gioco psicote- rapeutico può servire da potente arma nelle mani del terapeuta. Quindi, se il terapista vuole asslicurare delle condizioni favomvol~i al paziente afFinché questi appren- da su se stesso e sui suoi rapporti con gli altri e svi- luppi la sua autonomia, dovrà rinunoilare a quelle chv, in effetti, sono a m i contro il paziente. Solo quamdo il te- rapista rinuncerà a'i tradizionali privilegi del miedico, il1 paziente sarà genuinamente libero di usam il trattamen- to per il suo proprio sviluppo p~rconale. In verità, quan- do l'analisi è così strutturata l'analizzando non potrà usarla per nessun altro scopo.

Sulla conclusione dei giochi: implicazioni del modello del bridge.

Ho usato 21 modello del bridge contratto per gettar luce sulja natura della collaborazione terapeubica tra anahista e andizza'ndo. I1 periodo di prova è simili2 alla dichiarazione: li giocatori negoziano un contratto. La fa- se contrattuale & come giocare le proprie carte: chi dichiara più alto fa lill lavoro necessafio per ils spettare il1

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contratto. Questo modello aumenta la nostra compren- sione dzl problema della conclusione del trattamento analitico? Ritengo di si.

I1 gioco del bridge contratto si compone di unità: un singolo contratto, una manche e una parti!ta (rubber). In questo modo la partita è ll~i.nsieme, i contratti e le manches sono parti dell'hsieme. La discussione, la chia- rificazione e l'intiarpretazione di (determinati argomenti, problemi o fenomeni di tra~nsfert sono come giocare una o piiù manti e portare a termine manches e partite. Con ognuna di esse, i11 gioco progredisce. Ma m m c'è nulla nelle regole sia dal bridge che della psicoanalisi che pos- sa dirci quando l'associazione di due giocatori di bridge o dell'analista e dell'analizzando dovrebbe terminare. So- no decisioni queste prese dai partecipanti. Indubbia- mente alcune situazioni rendono la sospensione più ra- gionevole di altre. Ma questa ragionevolezza del punto di linterruzione è una deciscione umana, e i partecipanti a un gioco, o l'analista e il paziente, possono essere d'ac- cordo o meno.

Nel caso del bridge, i gisocatori possano aver deciso all'ginizio di completare una o più partite prima di smet- tere. Corhunque, quando la partilta è informa'le B gioco può 'hterrompersi in qualunque momento. Nella psi- coterapia autonoma i partecipanti si accordano previa- mente circa la durata del trattamento; a patto che la condotta del paziente sia corretta, il terapista deve ri- manere nel gioco $indefinitamente! In questo, l'obbligo dell'analista è paragonabile a quel~lo del Banco di Monte Carlo (o di altre impreslz di gioco d'azzardo onestamente gestite); il cliente può iniziare o cessare di giocare, a suo piacere; il banco deve giocare. Esolusi i giorni di festa e certe ore del giorno quando è chiuso, il casinò deve restare aperto per affari. Non può smettere di accettare scommesse quando sta perdendo molto, men- tre il cliente può andarsene dopo aver vinto una gros-

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sa cilfra. Ma anche con queste concessioni, alla lunga il Bmco è [in posizione più favorevole per vincizre di quanto non lo siano i clienti. Queste considerazioni aiuta- no atnche a spiegare perché la roulette è un gioco solo per coloro che scommettono, mentre è un affare per il croupilrr e per il proprietario dell'impresa.

La stessa cliistinzione è applicabile all'analizzando e all'analista. Per Q primo d'analisi è unattività parziale, non del tutto r d e , attentamente separata dal resto della sua vita. Per il secondo è un'oocupazione total- mente lreal~z, una parte notevole e integrante della sua vita. Così l'analizzando può abbandonare il ruolo di pa- ziente e conbinuare a vivere la sua vita reaile, extra-ana- litica; I'analista non può abbandonaire il m10 di tera- peuta a meno che. non cambi professione. La realtà o carattere pratico del gioco analitico per l'analista com- porta conseguenze di vasta portata per la sua vita. Que ste, comunque, non sano connesse con la presente di- scussione.

Dobbiamo renderci cmlto chiaramente che, discuten- do delpla fine, poniamo delle ques,ti.oni non sul gioco ma sul periodo di tempo durante il quale i giocatori do- vrebbero continuare a giocare. La struttura dei giochi ge- neralmente non forCnkce una risposta a queste domande. I1 numfero di partite chz due giocatori di bridge giocano dipende non dal gioco ma da loro stessi. Alcune squadre di bridge mantengono un'attfiwa assoaiazione per anni e decadi, altre durano solo per una serata o per meno di un'ora. Chi, se non i giocatori stessi, dovrebbe stabi- lire per quanto tempo essi dovranno giocare insieme? Ci sono sempre nuove malni da distribuire, nuovi contratti da dichiarare e ,da rispektare. In linea di principio, l'as- sociazione del bridgz è di durata indefinita. In pratica, la durata del gioco (+in questo senso più vasto) dipende dalla decisione dei due partnms di continuare o meno

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l'associazione; B gioco termina quando quest'ultima fi- nisce.

Ri'tengo che per il rapporto analitico dovntmmo ave- re dei punti di vista analoghi. Nel bridge c'è sempre un'altra mano da giocare. In analisi c'è sempre qual- cos'altro da dire suiltinEanzia del paziente, sulla situa- zione analitica e, ultimo ma non meno importante, sulla situazione attuali: del paziente; come ogni nuova distri- buzione itn un gioco di carte, quest'ultima è una sor- gente senza fine di nuovi "problemi di realtà". Chi potrà dire quando argomenti e problemi saranno esauiti e il gioco sarà quindi terminato? Non c'è e non ci può essere nulla n1311e regole del gioco analitico che imponga ai giocatori di smettere di giocare. I1 momento di porre termine all'ilmpresa deve essem deciso dai giocatori, se- paratamente o di comuntr accordo. Per i motivi giA menzionati, è necessario che l'analista prometta di non porre fine al gioco fintanto che i1 paziente desideri gio- care. Questo non significa che l'analista non possa sol- levare il problema della finir e suggerisre le ragioni pro e contro una tale decisione. Né tantomeno significa che, sebbene la decisione finale stia nelle mani del paziente, analista ed analizzando non possano milaborant nel cer- care di raggiungere una decisione. Idealmente, 'l'ana- lisi dovrebbe terminare, come per altni giochi o im- prese di collaborazione, con il reciproco consenso dei parrtoaipanti.

Autonomia, liberth e psicoterapia

Questi principi su come terminare una psicoterapia autonoma sono logicamente coerenti, psicologicamente solidi e fedeli all'etica ~da181'autonomia. Nessun paziente può esseri? consifderato autcrnamo ,se ciò che rivela di se stesso minaccia il rapporto terapeutico. Una persona è libera solo quando conosce le circostanze per (le quali

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verrà penalizzata: essa può mantenere la sua libertà non ilmpegnandosi in atti che sono proibiti. I1 contratto ana- litico non deve promette= ndla di meno. In verità, perché lo dovrebbe? Perché l'analista dovrebbe desi- derare di mantenere il privijlegio di p r m termine al- l'analisi, in particolare con da motivazione di agire nel miglior interesse del paziente?

Quando l'analista è sul punto di impegnarsi in un rapporto cont'rattuale deve porsi questa domanda: « Chs genere di rapporto voglio avere col paziente? » Game ana- lista, il terapista deve =re m1 paziente un impegno di durata indefinita. Sr non si cura di agire così con un determinato paziente, sarebbe più saggio non accet- tarlo in anali'si; e se non vuole agire così in assoluto, non dovrebbe diventare analksta. In parte $1 problema si centra, ancora una volta, sulla personalità e sugli in- tvressi del terapisfta. Se è interessato dl'analisi e gli pia- ce questo genere di lavoro non desidererà di essere ooer- aitivo. In effetti si renderà conto che, per l'analista, eser- oitare un potzre sul paziente, sia per dare ordini che per terminare il tratta>menito, è un ostacoio e non un aiuto.

Nelle cose umane, potere e coanprensione sono anti- tetici fra bro. Lo pslcoteì-apista deve scegliem fra con- t r o l l a ~ il1 paziente e condividere con lui le informazioni. Se opta per il controllo avrà poco bisogno di compren- dere (anche se può des~i~derare di rivesltire le sue tattiche costrittive con razionalizzairicrni pseudoscientifiche). (h- me lla storia ci mostra, per cmtrollare la gmfte dob- biamo renderla schiava e, per mantenere il controllo, dob- biamo impedirle l'accesso alle linformazioni.

Malgrado il rapporto inverso tra desliedenio del.l'lucmio di controllare il suo simile e desiderio di comprenderlo, gli psicoterapisti sembra abbiano voluto il meglio di due mondi incompatibili. Essi hanno provato a combi- nare la cmpwnsione del paziente con il suo controllo

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( cm la pnctesa che fosse nel suo miglior interesse). Gli analisti hanno così cercato di controllare d'uomo sulla base di una pretesa comprensione scientifica del suo oomportamento. Ma questo è un assurdo perché, come ho indicato, quanto più vogliamo controllare i1 comporta- mento di una persona tanto meno abbiamo bisogno di capi(r1a.

Infine, i11 rapporto inverso tra potere ,C comprensione spiega 31 perché quanto più intimamente capiamo una persona tanto più è diEoile controllarla; B nostro auten- tico m m p ~ n d e r e ci impedisce di influenzarla con la forza. In verità, possia~mo capire un'altra persona solo nella misura in cui siamo disposti ad astcneroi dal do- minarla o dal sottometterei ad essa. Viceversa, se vo- gliamo dominare gli altri (individui o gruppi), ciò sarà più facile se possiamo dichiararli diversi o infraumani o, più brevemente, al di là dei limiti della nostra com- prensione, Questo è l'atteggiamento tipico di coloro che desiderano controllare ed opprimere i membri di razze diverse, pazienti mentali o nemici politici.

Riassumendo, se il terapista desiictara veramente libe- rare il paziente e aiutanlo a diventare personalmente li- bero, deve stabilire una situazione terapeutica dove tale libertà possa svilupparsi e fiorire. In ciò il suo molo è paragonabile a quello del legislatore. I padri fondatori desiderarono creare una società di uomini liiberi. Volen- do dare a un popolo la possibilità di essere politicamente libero, cercarono di creare una situazione politica in cui tale libertà potesse svilupparsi % fiorim. La Costituaione degli Stati Uniti è un contratto tra il popolo americano ed i suoi governanti per assicurare la libertà politica. A questo scopo, il governo è #d'accordo nel rinunciare a cm- ti tradizionali diritti di chi esercita i1 potere come tortu- rare i sudditi, farili processare in segreto e dai loro av- versari, perquisire arbitrariamente le loro abitazioni e persane, chiedengli di incniminarsi o di soffrinz le conse-

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guenze, ed altfi metodi per garantire l'ordilne sociale. Personalmente concepisco il contratto analitico in ter-

mini simi'li. Esso garantisce al paziente alcuni diritti assenti m1 tradizionale apporto medico-paziente. Come risultato, il paziente acquisisce un'opportumità di di- ventare personalmente 13kro e contrae l'obbligo di com- portarsi resp~nsabi~lrnente.

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PARTE TERZA

IL METODO DELLA PSICOTERAPIA AUTONOMA

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10 IL CONTRATTO INIZIALE TRA PAZIENTE E TERAPISTA

I1 principio dell'autonomia e il metodo psicoanalitico

Gaio, il famoso giunsta romano, diiceva che la parte principale di ogni cosa è l'inizio. Questo è pa~ticolar- mantz vero per il rapporto psicanalitico.

Le prime fasi dell'i~ncontro terapeutico sono cruciali; piccoli errori da parte del terapista possono distruggere lo sviluppo del rapporto analitico o ilmpedirgli di diven- tare veramente analitico e autonomo. Pertanto, il modo in cui paziente e pslcoterafista si incontrano per la pri- ma volta e la natura delle loro reciproche comunica- zioni iniziali, smo eccezionalmente impartantii.

E' la condotta iniziale del terapista e non quella del paziente che wstituisw la mossa d'apertura significa- tiva nel gioco terapeutico. Una volta stabilitosi un certo clima terapeutico, può essere difficile o impossibile alte- ~ar lo . Difatti sorge subito una domanda: C Perché si do- vrebbe prima stabilire un gioco, solo per modificarlo più tardi? m Di conseguenza, se il terapista intenctz praticare la psicoterapia autonoma, i'l momento di iniziarla è quan- do ha il pnimo contatto col paziente.

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La condotta dello psicanalista deve scaturire (diretta- mente dal suo impegno {nei confronti mdell'etica dell'auto- nomlia. Sebbene mai chiaramente articolata in teoria, quest'idea non è del tutto wova nella pratica analitica. Ad esempio, fa parte del fcvlclore della tsnica psicoana- litica che l'analista pretenda che sia il paziente s ~ s o a fissare (l'appuntamento iniziale. !Se qualcuin'altro si mette h contatto con l'analista, gli si chiederà di invitare il1 pazien%e a chitamare lui stesso. E' questo un consiglio saggio, anche se sovente giustificato con motivi !falsi le ingannevoli, ad esempio o m e un buon metodo per di- minare pazikmti scarsamente motivati. Se la sua alttua- aiene può aiutare a ottenere ciò, non è questa la prin- cipale ragione d'ossere. A mio avviso, la 'sola giusti- fiicazione adeguata per queutia regala (e per molte altre in analisi) è che essa mantitene o aumenrta l'autonomia dei partecipanti d rapporto.

Non c'è posto in analiisii per il terapista che si com- piace a rappresentare il classico ruolo M professionista importante e occupatissimo, che delega quanto più la- voro può alle segretarie e agli altri assistenti. Così l'ana- lista non pub 4ncaricare altri di stabilire e riscuotere l'onorario; egli deve discuterne e stabilirlo di persona col paziente e accettare. iinoltre il pagamento direttamente da lui. Ritengo che questa prassi sia quella abitualmente seguita. Ma, ancora una volta, $la ragione che la dere-r- mina non sta solo nel fatto che la transazione peouniad tra analista e anziizzando è parte integrante dell'analisi, ma piuttosto che l'intervento di temi in questa trm- saziione sminuirebbe, senza necessità alcuna, la posizione autonoma dei partecipanti.

Le stesse considerazioni valgono per fissare gli appun- tarneriti. I1 terapista autonomo deve farlo di persona. Non occorre che questa sia una regola rigida; si tratta piuttosto di un principio metodologico, fermamente ba- sato sulla teoria. StabU'liire gli appuntamenti è una fac-

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oenda privata tra paziente e terapista. Per proteggere l'autonomia dei partecipanti e la "p.nvacyl' della situa- zione, deve essere escluso ogni di *terzi. E' as- surdo, quindi, che d terapista insista che il potenziale paziente fissi da sé l'appuntamento i~niziale, e deleghli poi una parte dell'accordo alla propria segretaria. An- cora più assurdo è che l'analista deleghi alla segretaria il compito di discutere gli appuntamenti con un paziente che sia in (trattamento.

Insomma, l'obbligo dell'analista di agire autonoma- mente è di vasta portata, lmentnz mquello del~l'analizzando è limitato.

Come si diventa pazienti in psicoterapia

I servizi degli psicoterapisti sono generalmente sol- lecita$i in uno dei seguenti modi. Primo, il probabile cliente telefona per un appuntamento. Seccmdo, può te- lefonare un parente o un amico del paziente. Terzo, il paziente è (inviato da un collega professimista (medico, psicologo, professore, etc.) che telefonerà pensolialmente, o tramite la segretaria, per un appuntamento. Quarto, persone che rivestono un'autonità sociale, come awocati, giudici, sorveglianti di condannati (in libertà vigidata, a s sistenti scolastici o assistenti sociali, possono mettersi in contatto con il terapista apparenkmente a nome del paziente e col proposito di fissare un appuntamento per lui.

A prescindere da chi si mette in contatto col tera- pista (o col suo studio), l'analista deve parlare di per- sona con chi 'lo imnterpella o, se o~oupato, ~richiamsrlo non appana possibile. A chiunque non sia i1 paziente l'analiista spiegherà che sarà felice di parlare col pa- ziente per f i s s e un appuntamento. Se llinterJocutore vuole spiegare perché ciò #è impossibile il terapista de- viz ascoltare educatamente ma rimanere fermo; se lo

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desidera può comunque controbattere i propri argo- menti. Ad esempio, l'interlwutore può asserire che +l paziente è "troppo nervoso" o "troppo inquieto" e che pertanto ha chiesto alla moglite (padre, etc.) di telefo- nare al suo posto; il terapista può far notare che i1 pa- ziente dovrà parlare con $lui durante un'intervista, e chie- dere perché mai se ne voglia fissare una se il paziente non può nemmeno conversare per telefono. In questo mo- do i\l terapista illustrerà all'interlwutore anche qud- cosa &al proprio lavoro.

Questo tipo di chiarificazione iniziale può prevenire un insieme di malintesi che è probabile che sorgano se il terapista ilascia che il paziente, o chiunque chiami per lui, mantenga le proprie idee personali sul terapista e s d lavoro che svolge. Se i1 terapista stabilisce alcune re- gole inizifali fin dal principio, eliminerà come pazienti co- loro che desiderano fare dai giochi ai quali il terapista non vuole partxipare.

Questi principi si applkalno anche se ad inviare il paiente sono altri medici. Timorosi di perdere i pa- rienbi inviatigli in questa forma e di subire quindi un danno economico, gli psicoterapisti spesso commettono un errore in qwsto tipo di situazione. Ad esempio, il me- dico che invia un paziente può incaricare la propcia se- gretaria di fissargli un appuntamento. Ma lo psicoanali- sta non può seguire questa routine medica e praticare poi la terapia autonoma col paziente che gli è stato così inviato. Al contranio, deve spiegare ai colleghi medici le ragioni delle Inorme su come fissane gli appuntamenti e il loro carattere confidenziale. Allora, se il medico che invia il paziente desidera raccomandargli il consulto con uno psicanalista, anziiohé, diaiamlo, con m o psichiatra che usa principalmentz medicinali e trattamenti di shock o che prabica psicoterapia di gruppo e famigliare, non avrà nulla da obiettare che sia il paziente a fissare il proprio appuntamento.

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Se, d'altra parte, il m,edico che indirizza il paziente è sprezzante di quzste norme, è probabile che cerchi di controllane quei pazienti che potrebbero beneficiare del- (l'analisi e utilizzi l'invio allo psichiatra principalmente come mezzo per punire il paziente. E' chiaro chz, io cir- costanze di questo genere, lo psicoterapista autonomo non può avere un rapporto di collaborazione col collega medico.

Infine, un rappresentante di un organismo o istiltu- zilcnniz sociale può telefonare per fissare un appuntamen- to per qualcuno che viene definito come paziente. Anche in questo caso i81 terapista può deci~da-e di spiegare le proprie regole all'interlmutonz. Oppure, se è chiaro che chi chiama non sta cercando uno psichiatra che possa fare qualcosa per il paziente ma piuttosto uno che fac- cia qualcosa al paziente, sarà meglio che l'analista spie- ghi che non è questo il genere di psichiatria chz pratiica e faccia abortire il1 rapporto ancora prima che i$nizi.

Chiarificazioni prima dell'intervista iniziale

I1 primo contatto fra cliente e terapista è abitual- mente una conversazione telefonica. I1 paziente può dare il suo nome e chiedere un appuntamento. Deve i1 tera- pista rispondere con l'indicazione di un'ora per l'appun- tamento h modo che lui e il paziente possano program- mare il loro primo iinwnlt~o? Anche se ciò può sembrare dettato dal bum senso, il farlo potrebbe rivelarsi un errore. Persino pnima che i1 rapporto terapeubico sia stabilito dobbiamo aocettare e utilizzare uno dei prin- cipi basilari della psicoterapia autonoma; il tesapista non deve mai ingannare il paziente. Uno dai mezzi più efficaci per il terapista per adempitzre a quest'obbligo è chiarire la propria posizione per qualnto può riguardare i11 paziente. In pratica questo significa varie cose.

Ad esempio, la lista del terapista può essere cmpJ~eta.

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Egli può quindi non essere in grado di accettare un nuo- vo paziente in analisi; potrebbe tuttavia vedeire il pa- ziente pzr una valutazione, per chiani~e dei problemi, per indirizzarlo a dei col~leghii o per mettedo nella sua lista d'attesa. Una persona che telefona ha diritto a queste informazioni. Se ciò gli viene rifiutato e gli si concede un appuntamento, (il paziente può avere l'impressione di aver fatto il pnimo passo verso l'inizio di un'ana1is.i quan- do, in effetti, non lo ha fatto.

Se l'analista non può accebtare un nuovo paziente in terapia intensiva dovrebbe ,accertare wsa vuole il pa- ziente nel chieda2 un appuntamento. Se Ila risposta è un'analisi (o termini analoghi) il tera@sta deve spie- gare che la sua lista di Qavoro analitico è completa. Que- sto scambio telefonico eviterà al paziente e al~l'analista molti inconvanienti. Distinguerà ilnoltre coloro che cer- cano aiuto dall'analisi (o da altre forme di pslicoterapiia) da quelli che cercano aiuto da un particolare analista.

Perché tutte queste complica~ioni? 1'1 paziente ha chie- sto un appuntamento, non un'analisi: perché non dargli semplicemente un appuntamento? LE ragioni (e ne ho già indicate alcune) sono ovvie. Tuttavia, poiché la prassi di informare il paziente de1l:effettiva si~tuazione e dai me- todi del terapista non è genizralmente cbccettata, que- ste domande meritano deljle risposte esplicite.

I1 paziente può non avere le idee chiare ciirca i me- todi di (lavoso dd~l'analiista; 12 anche se le avesse, potrebbe essere reticente nel fare all'analiista delle domande pri- ma di incontrarlo. In ogni caso, se il paziente attiene un appluntammto, visita il terapista e calo allora gli viene detto che i11 terapista non ha tempo per accettare nuovi pazienti, (h sua prima esperienza con la psicoterapia sarà stata noaiva, non terapeutica. Un tale paziente. ritzrrà, a ragione, che avrebbe dovuto essere inhnmato per tele- fono e non nello studio dell'analista; gli avreibbero fatto risparmiare tixr~po, angoscia e denaro.

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Peggio ancora, il paziente può concludere che il1 te- rapista mente dicendo di non aver tempo. I (terapisti spesso allegano questo motivo per non accattare una pa- ziente %n terapia quaindo 4Ui realtà non è questa la ra- gione. I1 paziente. può credere di non essere aooettato in trattamento perché non è analizzabile, o perché è psi- mtim o q

ua

lcosa del genere: e non può es'scre biasilmato di trame tali conolusi~ni per £alse che passano essere. La mancanza di tempo terapeutico può essere una ragio- ne acodtabile per "respingere" uiiì paziente solo se que- sti ne è informato prima che il terapista gli dia anche un solo sguardo. Una volta che i due si sono incontrati#, non ci si può aspettare che il paziente creda che la de- cisione del terapista non sia basata, almeno in parte, sul'ltz impressioni che quest'uEtimo ha riportato su di llui.

A volte un paziente vede diversi terapisti, dicendo a ciascuno qualcosa di sé, solo per venire Pn~formato che il terapista non ha tempo disponibile per accettalrlo co- me paziente. Dopo una o più esperienze di questo genere, è probabile ahe i1 paziente chieda all'analista, mentre gli telefona, tsc ha tempo per la terapia. Ma nel frat- tempo molto danno può essere stato fatto; il paziente ha giià iimparato ad aspettami che l'analista gli nasconda dei fatti che lo riguardano in maniera vitale, come !forse fecero i suoi genitori qundo era bambino. Riassumendo, sostengo che se il terapista noin può accettare nuovi pa- zienti in terapia ha tutte le ragioni per dirlo ai probabili pazienti e nessuna valida per tacerlo.

Se l'analista ha tempo libero e il paziente chiede sem- plicemente un appuntamento, la situazione può non ri- chiedere ulteriori diiscussioni. Comunque, se l'analista ha motivo di credere cihe Q paziente voglia essere analiz- zato o il paziente lo informa di ciò, un ulteriore chiani- mento della situazione può di numo evitare successive difficoltà e malintesi. Di solito dico al paziente che ho tempo per un nuovo paziente (se ce l'ho e se la domancda

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è in &~scussione), ma che non posso decidere dii intra- prendere un'analisi senza aver prima avuto &versi con- tattti con lui. % il paziente è ancora interessato, suggeri- sco di fissare un appuntamento per discutere (h cosa di persona.

Ci sono molte domande che i pazienti possmo fare al telefono prima di fissare la loro pri4ma intervilsta. A quanto ammonta l'onorario dell'analista? Qual è la sua religione? Quanto durerà l'analisi? L'analista pratica l'ipnosi? L'analisi sarà di giovamento? L'ana!lis.ta la con- siglia? E così via. Come deve comportarsi il1 terapista di fronte a tali domande? Su che base o pfiincipio deai- derà se rispondere o meno alle domande, ed ewentual- mente a quali?

Molti analistn evitano di rispondere a tutte qu;es~te domande. Ritengo che ciò sia un errore. Altri), usando l'intuizione colme standard di giudizio, rispoindoino ad alcune ma non ad altre. Già è un po' meglio ma non abbastanza. Esiste un criterio per decidere quale &l'le domande del paziente menita una risposta onesta e (rea- listica? I1 nostro criterio deve esszre l'attinenza della domanda alla situazione terapeutica. Le dmanide perti- nenti dovrebbero avere una ri'sposta, le altre no.

Se il paziente si informa sull'onarario, non vi è giu- stificazione alcuna pzr eludere o rifiutare una risposta. Se fa domande sulla religione dell'analilsta, k sue ori- gini nazionali o l'appartenenza ad una o un'sltra orga- nizzazione professionale, ritengo che il terapista debba ancora dare risposte xmqdiici e obbiettive; queste doma- de mirano a informazioni che possono aiutare il poten- ziale cliente a 'decidere se intraprendere o meno il trat- tatamieinto coln #lui. Se lo scopo dzlla psicoanalisi è di aiutare il paziente ad ampliare al massimo !le sue scelte nel condurre la propria vita, come possiamo noi, rifiutan- do delle informazioni, intderire con la sua possibilità di prendere decisioni auto-~wsponsabili? 0, per dirlo in

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maniera diversa, come passiamo aspettarci che B pa- ziente si comporti in maniera autonoma quando, pro- prio all'iinizio del nostro rapporto con lliri, gli midiamo impossibile il compmtatrsli in quel modo nei nostri m- fronti?

Naturalmente c'è un altro genem 'di domande, quali « L'analisi mi sarà di aiuto D, che non nispondono al ori- mio. Domande come questa non dovrebbero ricevere una risposta. Comunque, anche in questi casi, l'analista non deve essenz evasivo, ma dire francamente: « Non so D, oppure, « non posso rispondere a questa domanda D.

Infine, c'è un terzo (tipo di domande come: « E' spo- sato? » o « ha dei bambini? m. Queste appartengono a oiò che l'analista, ma non necessariamente 41 paniente, può considerare affari personali non connessi allla situa- zione terapeutica. Credo che la risposta dovrebbe e s s e qualcosa came: « Pr&risco non rispondere D. Indubbia- mente ci sono discrepanze Era i terapisti riguardo a certe d'omande: alcuni ritengono che le domande si niferisca- no a cose riguardanti la posizione « reali~stica » del pa- ziente nella situazione terapeutica; altri, che esse rap- presentino semplici "curiosità" sul~l'malilsta. A lungo a- dare tali differenze non sono importanti. Giò che importa è che l'analista abbia delle idee chiaile su questi pro- blemi e inoltre che indichi al paziiente, rispondendo since- ramente ad alcune domande ma non ad altre, che egli ha diritto:

a. a chiedere qualunque cosa; b. a ricevere risposte franche e ndistiiche a dmnan-

de che lo riguardano nel suo ruolo di analizzando, ma non a quelle che cercano di soddisfare la sua curiosità nei confronti dell'ana~lista.

I p~incipi met~dololgici ohe ho tracciato si adafttano non solo alla prima conversazione tel~efmica tra paziente e terapista ma anche alla siituazione krapeutica che può svilupparsi in seguito.

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Le interviste iniziali

Lo scopo delle interviste ilniziali o preliminari è quello di fornire al cliente e al terapista l'opportunità di cono- scersi. In altre parole, il terapista autonomo deve sco- prire cosa il cliente desidera acquistare e informare il cliente di ciò che egli offre in vendita. Rivediamo alcune delle azioni specifiche di questa fase iniziale della te- rapia.

Dopo essere entrato nello studio del terapista il clien- te .è invitato a sedersi su una sedia o su un divano con schienale. I1 terapista siede in faccia al diente, non trop- po lontano da luii. Più di due metri oirca fra i parteci- panti creano un'atmasfera di "distanza". Altrettanto fa una scrivania o un altro mobile collocato fra il terapista e il cliente.

I1 modo di comportarsi del terapista, così con12 I'ar- redamento dello studio, dovrebbe essere un qualcosa tra una severa riservatezza e unle:cciessiva cordialità. L'occa- sione richiede una combinazione $1 gsntilezza e di obiet- tività professimale. Dopo aver messo il paziente a suo agio il terapista dovrebbe mostrare che tutta la sua at- tenzione è rivolta al paziente e ai suoi problemi.

Io trovo utile esordilne con una domanda come: « Per quale ragione è venuto? », oppure « Cosa poslso fare per lei? n. F a d o una pausa e lascio che sia il paziente a parlare. Senza domande o sollecitazioni molti pazienti fanno un resoconto dettagliato e significativo dalile cir- costanzi~ per le quali cevcano sollievo. Altri rispondono brevemente alla mia prima domanda nominando soJo dcuni siintocmii o problemi acuti e aspettano quindi da me una più attiva partecipazione.

Che fare o01 paziente al quale riesce difficile inco- minciare? Credo che sia imperdonabile per il terapista sede= silenziosamente durante la prima o la seconda intervista e attandere che sia il pazinte a dire qualcosa. All'inizio del rapporto ci1 paziente non sa che tipo di

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partita ci si spetta che giochi. Cortesila e tatto, al pari dei principi analitici, richiedano che sia il terapilsta a scoprire perché il paziente non può andare &re l'enun- aiazimz del disturbo iniziale.

Inizialmente, qualche ulteriore spiegazione sulla nad tura della situazione terapeutica può essere adeguata. I1 paziente può eslsere angustiato da certi equivoci, ad esem- pio che deve dire al terapista tutto ciò che gli viene in mente o che non deve rilfiiutargili nessuna inb~mazione, c può stare cericando di resistere a una simile costri- zione. Oppure può non sapere ciò che il terapista de- sidera ascoltare ed eslsere quindi h attesa d'i una guiida più specifica. In una situazione del genere, spiego al paalrnte che posso lavorare solo sulla base delle infor- mazioni che egli mi fornirà, che può dirmi qualunque msa ritenga importante, che non ha bi,sogno di dirmi niente che non voglia svelare e che il rapporto tra di noi è assolutamente confidenziale.

Questo genenr di chiarimento (naturahlente non oc- corre dire tutto in una sola volta) spesso rompe il silen- zio. Se ciò dovesse fallire, si può chiedere al paziente perché gli riesca difficile esprimtersi. In nessun caso, comunque, il terapilsta deve lasciarsi forzare dal silen- zio del paziente o dalle sue richieste di fargli delle do- mande. Se il berapista praticare la psicoterapia autonoma deve avere un paziente capace e desideroso di auta-esprimersi nei limiti che egli stesso sceglierà. Que- sta richiesta non deve salo essere spiegata al paziente verbalmente, ma deve essere messa in atto sin dal pri'n- cipio. Se il terapista comincia, nella prima ora, a ch~ie- dere al paziente di parlarglli della madre, dell'iaifanzia o di qualunque altra cosa, dandogli così dalle direttive af- finché si comporti in un certo modo, il paziente può aspettami che il terapista perseveri in questo tipo di comportammlto direttivo. Di conseguenza (il terapista de- ve, i1 più pmsto possibile, mostrare chz si aspetta che

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il paziente si assuma la responsabilità di comunicare o meno con ;lui.

Se il paziente è interessato alla propnia auto-esplora- xione e il terapista è abile e m o r t o e non assume una posizione difensiva nei confronti della natura e del va- lore d i ciò che sta facendo, si svilupperà tra essi un dia- logo ricco di significato. Nel ccxrso di questo il paziente andrà progmssivamente aprendosi e il terapista, corri- ~pmdentemente, gli spiegherà il metodo del suo sforzo psicoterapeutioo. Nella misura in cui ciascuna parte ver- rà meno al proprio contributo a quest'impresa, la tera- pia vacillerà. Ripeto ohe, a mio avviso, la prima respon- sabilità dsl terapista, olltre ad ascoltare con attenzione, intelligenza ed inunaginazione ciò che i1 paziente gli di- ce, è di rendere edotto il1 paziente della posizione del tera- pista ndla situazione. Questo può, iz in verità d'me, es- sere fatto in vari modi. Possiamo qui citare solo alcuni esempi.

Ad esempio, parlando della moglie, il paziente può suggerire che il terapiista parli oorr Sei. Non sli può pas- sar sopra a una simile osservazionz. Né, tantomeno, sfi p ò rispondere come un analfista !da fumetti, dicenido stu- pidamente « perché desidera che lo faocia? D. I1 suggeri- mento del paziente richiede ,una spiegaaion: semlplice ma chiara dalla linea di condotta dell'analista di non comunicare c m nessun altro che non sia il paziente. So- lo in tal modo può diventare una realtà viva per il paziente (e del resto anche per l'analista) il f a ~ o che da: terapia che sta per intraprendere è per lui, non per qual- cun altro. Se il (paziente desidera coiinvolgere la moglie nella (terapia, k libero naturalrnentme di farlo, ma non è libero di coinvolgerci anche l'analista.

Questimi che spesso diventano difficili problami di terapia possono essere evitate o, per lo meno, dipanate se il turapista ha unYdea chiara del gioco iterapeutico disposto ad mcettare. Egli deve chiarire al cliente le re-

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gole di questo gioco e deve rispettarle lui stes~so. Uno studente di un colllege, ad esempio, $può chiedere una te- rapia per di@Icodtà nello studio e oonflitti sulla scelta della carriera. Al termine della prima ora, nota casual- mente di non aver mantenuto una media adeguata e di lessen2 stato invitato dal preside a lasciare la scuola o a fare qualche terapia; e chiede: u Mi farebbe il favore di chiamare 'la scuola e dire che sono in cura da lei? D. Se il terapista teMona alla scuola, P suo ruolo d i ana- lista secondo mc è finito. Questo perché, acconsentendo, pernette al paziente di coinvolgerlo nei suoi accordi con l'ammin%strazione scolasbica ohe lascia continuare aJ pa- ziente la scuola senza un adeguato rendimento. Inoltre d terapkta, partecipando alla vita extra-analitica did paziente, stabilisce un precedente. Se d'analista agisce così una volta, perché non in seguito?

Ci sono naturalmente molti modi di trattare una si- tuazione del genere, ma solo uno è autonomo e psicoana- litico. La linea di condotta più semplice è quella di soddi- sfare le richieste del paziente: ciò può essere partico~lar- mente allettante per il terapista economicamente insicu- ro, che pluò presentire di perdere il paziente se non agi- rà in tal modo. Un'altra soluzione è interpretare al pa- ziente che sta tentando di "usare" la terapia come sosti- tutto del consaguimento di un grado accademico e non- dimeno lasciarglielo fare. Questa doppiezza pseudoana- litica rassicura il terapista; avendo messo la posto la pro- pria coscienza c m l'inteiipretazione, s% (sente libero di co- municare con lle autorità ~xalastiche. L'analista deve ri- pudiare simili soluzioni del problema. Non può agire in modo collusivo; deve agire autonomamente. Questo si- gmifioa che non deve in almn modo interferire col libero uso da parte del paziente del rapporto terapeutico. Ciò ,che i1 paziente ci fa sono affari suoi. Al tempo stesso il terapista non deve permettersi di partecipare alla vita ex- tra analitica del paziente.

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Di conseguenza deve spiegare al pazient'e che l'accordo di usare (la terapia come un requilsito della scuola è sta- to combinato dallo studente e dalle autorità scolastiche, non dall'analista; %n verità, egli non può essere d'accordo su ciò e non vi prenderà parte. Chle accadrà in seguito? Se le autorità scolastiche hanno agito in buona fede e hanno voluto unioamente garantire una psicoterapia allo studente, accetteranno probabilmente la sua affermazione che la sta facendo o, se (desiderano una p r m , potran- no avere il conto mensile del terapista o ~l'rasssgno an- nullato del paziente. Comunque, se ciò non soddisfa le autorità scolastiche ed esse insistono per comunicare con il terapista circa i "progressi" dello studente nella te- rapila, allora, ancora una volta, cesseranno di esistere le condizioni per ~l'malisi. E' preferibile appurare ciò quan- to prima.

Desidero sottolineare ancora una volta come, in una situazione del genere, il terapista autonomo non decide che non può analizzare il paziente. Farlo sarebbe scor- retto e improprio. Supponendo che il paziente sia inte- ressato all'analisi e sia per il resto accettabile all'anaili- sta, il compito del terapeuta è di rifiutare di essere tra- scinato in un accordo fra soudente e scuola. Qualunque cosa in più sarebbe un infrangere la libertà !di scelta del paziente. Ad esempio, lo studente [può decidere di conti- nuare l'analisi e lasciare che le autorità scolastiche deci- dano se permettergli o meno di continuare la scuola. Questo significa che al paziente deve essere concessa c m - pleta libertà nelle sue trattative con le autonità scolasti- che. Quindi l'analista non può interpretare come "acdng- out" inaccettabi~le l'uso &e lo studente fa delil'analisi co- me giustificazione per il rendimento accademico, anche se, naturalmente, deve mostrare allo studente che ge- nere di gioco sia. Reciprocamente, do studente deve ren- dersi conto dell'intenzione dell'analista di non restare coinvolto. Se lo studente ritiene di non poter trattare da

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solo con la scuola, di aver bisogno di un alileato che -negozierà in sua vece, allora o non è un soggetto adatto alil'mdisi (in quel particolare momento), oppure le sue complicazioni con la scuola debbono essere ulteriomen- te chliarite prima di poter linllaiare I'anallisi.

Prima che l'intervista iniziale sia conolusa, il terapi- sta deve collevare dw argomenti se il cliente non lo ha ancora fatto. Uno è l'anorario, l'altro l'orario e la frequen- za dei successivi appuntamenti.

L'accordo finanziario fra terapista e cliente deve es- sere chiaiiamente inteso e strettamente mantenuto. Io di- scuto col paziente dell'onorario e spiego la mia abitudine di presentare da parcella ogni fine mese. Una volta fiissa- to, ll'oncuranio (non deve essere cambiato: esso è parte del contratto impegnativo fra il terapista ed il paziente.

Se il terapista ha motivo di credere che il paziente può difficilmente permettersi il costo d'ella terapia, deve disoute~e questo problema c d paziente stesso. Io aon ac- cetto clienti per i quali il costo dell'analisi rappresenta un sacrificio economico notevole. Situazioni economiche forzate non forniscono una atmoslfera psicologica adatta a un lavoro terapeutico di questo tipo. In verità, la situa- zione genera un giustificato antagonismo nei confronti del terapista e tende a produrre un atteggiamento rnaso- chis tilco nell'analizzando.

Può apparire chiaro alla fine della prima intervista che il paziente desidera proseguire a un uleriore chiari- mento della sua situazione col terapista, oppure ciò può 6arsi midente solo ~d-o diverse interviste esplorative. A questo punto il terapista dleve decidere ce desidera la- vorare col pazimte poiché, quante più sedute fa al pa- ziente, tanto più è obbligato, ia mio avviso, a continuare a vededo. Personalmente, questo non mi è parso un gros- so problema li4n quanto miesco a mantenere un bucm inte- resse terapeutico verso la maggioranza (di coloro che vo- gliono lavorare con me. Forse C'& una s p i e di selezione naturale durante le prime interviste che conduce d la fu-

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sione in un'iunica categoria I& due (gruppi distinti di pexso- ne: quelle che io preferisco non tratta= e quelle che prefe- rirebbero non essere curate da me. In ogni caso, se il tera- pista ha motivo di credere che non desidera curare una determinata persona dovrebbe evitare di indagare pro- fondamente nella storia della sua vita. Ua tale cliente, quanto prima lo si congeda o lo si & M a ad un collega, tanto meglio è.

Se tanto il paziente che il terapista desiderano con- tinuare, con che frequenza debbano incontrarsi per crea- re la conltinziità e da profondità nmssaria all'amdisi? I1 minimo mspicabile sono tre sedute settimanali; quattro starebbero preferibili. Al giorno d'oggi raramente vado pazienti cinque o più volte lla settimana, anche se l'ho fatto in passato. Occa~ional~ente, vedo un p~aziente due volte la settimana.

La 6requenza e I'htemallo lidede tra gli appuntamenti dicpende sia dal pazilente che dall'malista. Terapisti giova- ni e inesperti dovrebbero <vedere li loro pazienti relativa- mente spesso; diversamente non saranno in grado di com- prenderli. Terapisti abiLi e con espenienza, [d'altra parte, possono essere in grado di fare un lavoro analitico con sedute leggermente più disc~nti~nue. Iln ogni caso consi- dero due ore setbimanali il minimo assoluto; quest'asset- to funziona solo se il terapista è abile. e il paziente ben datato e motivato per un'autoeslpluraaione. (Somunque, alcuni terapisti trovano che tre appuntamenti alla setti- mana sano generalmente insufficienti e perfino i1 più sa- gace analista può aver bisogno di un maggior contatto con alcuni pazienti 1cliStficili da capire.

Con questi principi in mente, il (terapista \qmò sugge- rire al paziente di intraprendere un periodo di prova con un certo numero di sedute settimanali a un determina- to onoranio per seduta. Ogni seduta deve duralre 50 mi- nuti. Tentativi di sedute più brevi sano deqdorgvoli. Se il paziente è ~d'accondo )m questa proposta, inizia iil pe- riodo di prova.

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11 IL PERIODO DI PROVA

Perché è necessario i1 periodo di prova? I i i!

E' difficile per il terapista fonmarsi un'adeguata im- pressione della personalità del pazilente in una o due in- terviste. Mesci & fronte a questo p,roblema, mdti tera- pisti fanno assegnamento su procedure tecniche per otte- nere informazioni ':diagnostiche9' ulteriori; il paziente è sottopasto a un ,interrogatorio lhtmsivo la sua sto- ria, a "interviste stressanti" e "interpretazioni di prova", a richieste di sogni e di fantasie e, ultimo ma non meno importante, a tests psicologici (particolarmente il Ror- schach e il Thematisc Appenception Test).

Nmsuno di questi p r o ~ ~ i a n e n t i è compatibile c m la pratica delila psicoterapia autonoma poiché il loro scopo è quello di far si che il paziente riveli su se stesso più idormazioni di quanto non (desideri. Iinoltre, tali meto- di #di raggilro psicologico non sono (né sicuri né molto egicaci. E se raggiungono il loro scopo, sono peggio che hutili per l'analiista poiché creano precisameinte quel tipo di rapporto psicologico tra diente e tempista che entrambi debbano per~istentemen~te cercare di evitare. Nella prima o seconda intervista, né ,il terapista n é il pa- ziente possono decidere se proseguire o meno la terapia.

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Comunque è auspicabile ohe il pazilente abbia un'oppor- tunità di conoscere in che consiste la terapia. E' meglio quindi che paziente e terapista comincino con l'ammet- tere onestamente la necessità di conoscersi meglio pri- ma di poter decide^. sul {loro futuro rapporto. Se dopo le prime interviste vogliono continuare, la Case succes- siva dovrebbe essere di conseguenza definita come "pe- riodo di prova".

Durante il periodo di prova, il terapistia p ò giudi- care il paziente e il paziente il terapista. Al terapista queste sedute for-niscono l'opportunità di conoscere me- glio il paziente, la sua storia, la sua attuale situazione, le sue aspirazionì e così via; al paziente esse forniscono l'olpportunità di fmiliarizzarsi con lo stile terapeutico dall'analista; cosa fa e cosa non fa, quando parla e quan- do resta i31 siilenzio, cosa si a s t a e pretende e così via. Non vi sono scorciatoie in questo processo. Nessun pro- tocollo del Rorschach può adeguatamente far co)noscere un paziente e un analista, così come nessuna presenta- zione professionale del terapista può farlo conoscere a un paziente nella giusta maniera. Quando discuto #dal pe- riodo di prova, abitualmente difco al paziente che il suo scopo è non salo di dare a ciascuno di noi l'oppcrrtunith di osservarci, ma di laintarlo a capire, attraverso questa semplice esperienza, cosa sta per intraprendere.

111 periodo di prova assolve altrettanto bene m'altra funzione. Fornisce l'opportunità di negoziare e definire il > t contratto te~apeutico". (I1 temine "contratto terapeuti- co" si riferisce alle regole mediante lle quali il terapista e il paziente si propongono di giocare "il gioco ,dalla tera- pia"). Inizialmente il paziente non conosce le regole del gioco analitico. I1 terapista non sa se il paziente è in gra- do di giooare secondo tali regole e, qualora ne sia capa- ce, se è interessato al gioco. La (maniera migliore per il terapista di spiegare le regole !del gioco e per il pazien- te di capirle, prima di decidere di partecipare al gioco,

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è che entrambi si impegnino in un ~ i o c o di prova. Que- sto è t10 s~copo Emdiammbale del periodo di prova.

Senza dubbio il terapista inculca al paziente le rego- le !del ,@o00 analitico ]in {modo ~idormale e indiretto dal momento del loro primo contatto, ad esempio, insisten- do ch,e sia il paziente stesso a fissare il primo appunta- mento. Durante i11 periodo di prova le regole diventano sempre più esplicite; esse costituiscono anche un tema di discussione e, entro certi dimiti, di contrattazione fra le due parti. Rivediamo le principali regde che debbono essere discusse e chiarite prima che paziente e terapista possano dar inizio alla fase contrattuale del trattamento.

Definizione preliminare del gioco analitico

All'inizio del periodo di prova, può darsi che il pa- ziente conosca soltanto due regole: che deve pagare un dato onorario e che l'analista noin gli suggerirà come comportarsi né nella seduta analiti'ca né fuori di essa.

Frequenza delle sedute.

Ben presto nel periodo di prova, o a volte anche pni- ma di questo, analista e paziente debbono discutere la frequenza #delle sedute. Personalmente preferisco imiziia- re fissando tre o quattro sedute la settimana. I1 numero che suggerisco per il mom~mto (diversamente che in se- guito, prima di iniziare la fase contrattuale) dipende da- gli impegni di entrambi e qualche volta anche dalla si- tuazione finanziaria [del paziente. Spiego al pauiente che queste considerazioni hanno un peso in tale decisione e, se necessario, che c'è bisogno di una continuità nel trattamento. Infine faccio spesso presente che possiamo riconsiderare il problema della frequenza )delle sedute man mano che procediamo col periodo di prova.

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Il divano.

Metodologicamente, il periodo di prova !differisce dal- le fasi successive del trattamento in un unico punto importante: non è stato stabilito fra terapista e paziein- te nessun contratto impegnativo. E' quindi necessario considerare se il paziente debba sedere o sdraiarsi. Nel mio sbudio, il paziente usa un divano con schienale ugual- mente confortevale per sedersi e sdraiarsi. Invito i11 pa- ziente ad assumem la posizione che pl-eferisce. Se il pa- aiente chiede quial è la posizione che io pr&risco, mispon- do che per me questo fa ben poca differenza, ma che se per .lui non è un problema preferirai che si sdraiasse. Credo che, se il terapista si limita a consigliare senza insistere per l'una o l'altra posizione, la situazione tera- peutica rimane sufficientemente libera. Comunque, la cmvilnzione &l terapista che l'analisi possa essere ef- fettuata solo quando i11 paziente è sdraiato può essere fonte di serie difficaltà.

La libera associazione e la regola fondamentale.

Freud esigeva che il paziente "assooiasse iiberamen- te", vale a dilre che non censurasse coscientemente i suoi pensieri e qche riportasse francamente le sue "libere asso- ciazioni" all'analista. Ritengo ohe questa regola sia trop- po coercitiva in quanto dà al 'paziente l'impressione di dover fare (qualcosa che, secondo la mia >definizione delle regale ldal gioco, non occorre che faccia. In maniera spe- cifica, Freud esigeva una completa franchezza da parte dell'analiizzando. In cambio gli prometteva "la più asso- luta discrezione". Questo patto, egli d ima , costiuisce la situazione analitica.'

Pur avendo lo stesso obbiettivo di Freud, preferisco procedere in maniera leggermente diversa. Spiego al pa-

1 An Outline of Psychoanaiysis (1938), Norton, New York 1940, p. 63.

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ziente (se già non lo sa) che posso lavorare salo con le informazioni che egli mi fornisce. Lo incoraggio a parla- re su qualunque cosa desideri; posso anche fargli notare che è libero di trattenere delle informazioni, ma aggiun- go che posso sapere solo ciò che mi dirà. Da parte mia, prometto una totale riservatezza.

Questo modo di procedere, in luogo di richiedere al paziente di aswiare liberamente o di svelarsi quanto più è possibile, definisce 11a situazione {in termini più fun- zionali. L'analizzando si fmiliarizza col procedimento e si responsabilizza per ciò che comunica.

I sogni.

A meno che il paziente non accenni alil'argomento, io non menziono i sogini al~l'inizio del ,periodo di prova. Anche se penso che i sogni s~iano comunimzid dense di signifii'cato e ne faccia uso in terapia, non ritengo che siano la via regia per l'inconscio. Se l'analista crede che lo siano è probabile che incoraggi il paziente a riportare i sogni: questo distorce il procedimento anal'itico. In ter- mini di m~etodo psicoanalitico, comunque, ciò esemplifica un pirobilema più gemerale ldda questione dei sogai.

Sostengo che l'analista non deve considerare nessun particolare tema (sogni, sessualità, avvenimenti del'l'iln- fanzia, problemi attuali, trmsfert o che so io) più im- portante o più interessante di un altro. Un tale ordine di argomenti impone una struttura formale alla situazime anaJthica e quindi pi?iva Jl paziente ddla libertà di de- finire lui stesso la situazione. Esso rifilette inoltre i pre- giudizi teoretici ~&lJ'malista sulla terapia. Al tempo stes- so serve a rinforzare quei pregiudizi, come accade per le profezie che si autdeteminano. Invitando il paziente a comunicare su un particolare argomento (ad esempio, la sessualità) o in termini di un particolare linguaggio (ad esempio sogni, sintomi) l'analista ricaderma i suoi

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pregiudizi sulle difficoltà del paziente e sul cambiamento di personalità necessario per correggerle.

L'analista può e in realtà dovrebbe avere solo due pre- ferenze circa la condotta del paziente: preferire la co- municaaime verbale a quella non verbale e la comunica- zione idiretba ia quella h~dii~retta. Nessun'd~t~a preferenza è compatibile con l'etica dell'autonornia.

Procedure mediche

Molti dei pazi'enti che mi consultano non si sentono fisicamente malati e non pensano di aver bisogno di as- sistenza medica, né io ho motivo di credere altrimenti. Raramente si aspettano che li esamini fisicamente o che partecipi in qualche altro modo atlla cura della loro sa- lute.

Supponiamo, comunque, che la salute fisica del pa- ziente è Wcerta e che egli si aspetti una qualche sorta di aiuto medilco dal terapista. Cosa dovrebbe fare l'ana- lista? Dovrebbe ?spiegare che, sebbene medlico (se lo è), egli non svolge un lavoro ordinariamente considerato me- dico. Questo rilguarda non solo la questione Idell'esame fisico, ma anche il problema dei medicinali e di ogni te- rapia organilca. Così il terapista definisce il proprio lawo- ro col paziente come esclusivm~ente psicologico o educa- tivo. Se nessar io , il terapista può specificare che, come analista, egli ascolta e parla, cerca di chiarire problemi e situazioni, discute linee di condotta alternative e altri tipi di scelta e cerca di decodifioare !messaggi dissimula- ti. Per dare maggiore incisività può aggiungere che non fa niente di più. E' irriilevante che il terapista sia qualifi- cato ad aiutare il paziente in altri modi, ad esempio pre- scrivendo se

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ativi o dando consigli. I1 terapista rihgge da altri interventi non perché non sia in grado di realiz- zarli adeguatamente, ma perché lo distraggono dal compi- to che analista e analizzando si sono proposti.

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Comunicazioni con terzi.

Perisonalmente mantengo una rigorosa linea di candot- ta: nessun coinvolgimento con chiunque non sia il pa- ziente. Una valta che la questione è stata discussa, mi aspetto che il paziente scoraggi altre persone dal comu- nicare con me per quanto riguarda lui e la sua analisi. Al tempo stesso, poiché non pongo alcuna restrizione al paziente, egli è libero di fare ~dell'analisi l'uso che più gli piace. Può vantarsene in giro o tenerla nascosta; può cercare di usarla a proprio vantaggio a scuola o sul la- voro, oppure la sua carriera può soffrirne; può usare la nota *mensile ddl'analicta cmne prcwa in trribunde e nei procedimenti fiscali, o può scegliere di non farlo; e così via.

Consideriamo un esempio tipico. L'analizzando può richiedere lettere o dichiarazioni per 1la commissione di leva, scuole e altri orgainismi. Si dice spesso che il tera- pista dovrebbe stare attento in tali casi <per tema di nuo- cere al paziente; egli dovrebbe cilasciare informazioni so- lo con l'approvazione e il consenso del paziente. Ma pro- cedere in questo modo equivale a perdere interamente la qualità essenziale clell'analisi.

Nella terapia autonoma è un fatto privo di imiportsn- za se, comunicando con terzi, l'analista "aiuta" o "dan- neggia" il paziente. (La distinzione è sterile in parte per- ché spesso è impossibile sapere in anticipo le conseguen- ze reali di tali azioni). In verità, nella misura in cui il pa- ziente riesce ad assicurarsi l'aiuto extra-analistico dall'a- nalista, riesce anche a rendere i'anidisi un'unfluenza noaiva e non terapeutica su di lui. I1 paziente è ad esempio uno studente mediocre per il quale l'analista raccomanda im- dulgenza alle autorità scolastiche, dato che è "in terapia" e "stta andando bme". Nel far ciò il terapista si innalza a una posizione di potere che non ,dovrebbe avere, e ridu- ce il paziente a quella posizione etemoma e irresponsa- biile dalla quale l'analisi avrebbe dovuto nilscattarlo.

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Questo non vuol dire ohe l'analista debba essere fred- do e d

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sinteressato nei confronti di tali qu'estimi. Anzi- tutto esse sono farina per il mulino analitico. In secon- do luogo, l'analista deve, camle semlpre, essere d'aiuto nel discutere le aspirazioni del paziente e i metodi coi quali progetta di perseguirle. Rimanendo femo n,ella sua deteminazione di mantenere l'autonomia analitica, i1 te- rapilsta dovrebbe essere il più possibile dli aiuto per li- berare il paziente e renderlo capace 'di perseguire i suoi fini, con qualunque metodo decida. Ecco un esempio. Anche se l'analista non praticherebbe un aborto a una paziente che lo des%deri, egli dovrebbe essere così libero nel discutere la "situazione di realtà" relativa agli aborti nel suo paese e atl~l'estero, come lo è, diciamo, per "da situazione di realtà" del l~avoro dalla paziente. Lo stesso genere di considerazioni vale per qualunque cosa il pa- ziente voglia fare al di fuori dell'analisi e per la quale chieda l'aiuto dell'analista.

Ricovero in ospedale psichiatrico e suicidio.

Alcuni pazienti attraversano una lunga analisi senza far mai riferimento alla possibilità di suicidarsi. Altri ri- portano idee (di suicidio o esprimono il timore di potersi uccidere fin dall'inizio della terapia. Analogamente, alcu- ni pazienti possmo non sol~lmare mai la questione del ricovero in ospdrale psichiatrico, mentre altri possono di- scuterne fin dal primo incontro col tepapista. In effetti, alcuni pazienti ch'e consultano [l'analista possmo essere stati rilcowerati in precedenza; altri passano aver tentato il suicidio. Riuniwo qui 'questi due fenomeni perché la minaccia di suicidio è spesso una ragione per consiglia- re al paziente il ricovero in ospedale psichiatrico (o, se rifiuta, per rinchiuderlo), e anohe perché la posizione del terapista autonomo è identica su {entrambi i problemi.

Durante il iperiodo di prova, se il paziente non solle- va la questione dal ricovero in ospedale psichiatrico, e

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io non ho motivo di ritenere che ciò possa diventare un problema in seguito, neppure io ne faccio ceano. Mja, co- me ho sottolineato, \faccio tutto ciò che posso per spie- gare al paziente che prometto solo di analizzarlo e che tutti i contatti si terranno nel mio studio.

Se !la questione ddla necessità per il paziente di un ricovero in ospedale psichiatfico sorige agli inizi della te- rapia, l'analista deve spiegare al paziente che agli noai esercita la psichiatria ospedsliera. Se il paziente ritiene di aver bisogno di essere rinchiuso in ospedale per la pro- pria o l'altrui protezione, deve richiederlo, come ogni cosa non analitica, a qualc\un altro che non sia l'anali- sta. L'analista può offrirci per raccomandare delle istal- lazioni ospedaliere, così come può raccomandare un h- ternista o un chinzi~go a im paziente che nichiedesse tali informazioni, ma non deve andare oltre. Questa posizione è necessaria; essa protegge l'integrità ddla situazione ana- litica e assicura il ~aziente che l'analista ha rinunciato al ruolo psichiatrico abituale che (gli consente di far ricoverare "malati mentali", con o smza il loro con- senso.

In breve, l'analista deve rinunciare per sempre al gio- co dell'ospadale psichiatrico e l'analizzando deve esserne sicuro. E' curioso con quanta facilità gli analisti abbiano accettato la regola di non dover visitare dal punto di vi- sta fisico i loro pazimti, ma non quella di non dover neppure partecipare al loro ricovero in ospedale psichia- trico. Quindi l'analista non s d o deve rinunciare ald'abi- tuale ruolo di medico, ma mche a quello di psiohiatra.

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site mediche o le !medicine, così il pa- ziente deve essere libero di prendere )le sue decisimi sul ricovero in ospedale psichiatrico; allo stesso tempo, fin quando il paziente si attiene alle regale del gioco anali- tico, l'analista deve essere disposto ad analizzarlo.

La iposizione dell'analista è la medesima per quanto riguarda la mi~naccia di suicidio; egli non può permettere

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che questa !diventi un motivo !per madi%hre il contratto. Quest'intendimento è vantaggioso sia per il paziente che per il terapista. Per alcune persone, l'autodistmzime è una possibilith maggiore che per altre. II compito del- l'analista Iè di analizzare (questo ciesiideI40 o timore, come farebbe per q w h q u e altro. Agi~e in caso di pericolo di sui~idio idel paziente (casa ben diversa dal ~diwutere, h a le alttre possibili linee di condobta, l'eventuale ricovero del paziente), per I'andista equivale a Tiinuncime al mandato anaili'hico e compiere un "acting out".

Iln verità, solo se il paziente è profondamente convin- to che l'analista rispetta la sua autonamia, incluso il suo diritto di togliersi la vita, può impegnarsi effettivamente nellésplorazione analitica e n'ella padronanza 'delle sue idee di suicidio. Con questaccordo fra paziente e terapi- sta, le comunicaziloni dell'analizzando circa il suicidio ri- mangono il linguaggio dell'autodistruzi~me che è compi- to dall'analista analizzare; senza $di esso, le comunicazio- ni dell'analizzando diventano messaggi coercitivi intesi a influenzare la condotta del terapista.

Come termina il periodo di prova?

La durata del periodo di prova varia. Dipende anzi- tutto (dail paziente, (da che genere (& problemi porta d te- rapista e da che tipo di soluzioine cerca per essi. In se- mndo luogo dipende dal terapista, da quando si sente pronto a intraprendere la psicoterapia autonoma col paziente. Secondo la mia esperienza, il periodo di prova può essere breve (una settimana o due) così come pro- lungarsi per (diversi mesi e non cmvmtksi mai in un al- tro tipo di accordo.

Il p e n d o di prova tende ad essere minimo cm quei pazienti che sono ben informati sulle questioni analitiche e che vogliono essere analizzati. Molti dai )miei pazienti,

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e altrettanto vale per i pazienti analitici in genere, sono dei professionisti, uomini e donne. Alcuni hanno avuto precedenti esperienze di psicoterapia. Rapidamente im- parano ciò che mi aspetto da loro. In tali casi posso spes- so decidere in una mezza dozzina di sedute o meno se posso lavorare col paziente. Se non ho motivi di dubi- tare che i1 paziente possa aderire alle regole del gioco ana- litico e possiamo mr i t l au lc i iszill'onmario e su un reci- proco, conveniente orario di appuntamenti, allora quasi sempre accetto il paziente in trattamento.

All'altm estremo, il rperiodo di prova può durare di- versi mesi. Ad esempio, il paziente può lamentarsi di problemi così complessi e così vaghi da richiedere un notevole lavoro per chiarire perché è venuto e cosa vuo- le: o può aver avuto una precedente esperienza di ana- lisi o di psicoterapia e può essere esitante a imbarcarsi in un altro periodo di terapia; o può trattarsi di uno studente indeciso tra il continuare gli studi o lasciarli, oppure tra il risiedere nella città !dove vive l'analista o trastfeniirsf altrove per gli studi. In queste e analoghe situa- zioni il paziente generalmente preferisce continuare la terapia per un lungo iperiodo, ma su una base in qualche modo provvisoria.

Su tali persone non è conveniente esercitare pressio- ni, sia perché 'entrino in analisi" (vale a dire, si impegni- no ad avere appuntamenti regolari per molti mesi) sia perché la lascino perdere. Viceversa, io accetto i termini d d paziente se egli può accettare i miei. Di conseguenza cib che segue è wn {lungo peniodo di prova. Gli appunta- menti vengono fissati di settimana in settimana. Anzi- ché promettere al paziente che sarò #disponibile per lui fino a quando vorrà venire, mi impegno unicamente a ve- derlo fino a che il suo problema sarà chiarito, sarà in- dirizzato a un altro terapista, stabiliremo un regolare accordo terapeutico o, infine, finché non deciderà di in- terrompere. In alcuni casi l'intero decorso della terapia

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consiste in tale « periodo di prova »; qumdo è finito, il paziente decide che questo era proprio tutto ciò di cui aveva bisogno o che voleva.

A volte il paziente, che appare in una situazione cao- tica e niente affatto pronto a mettersi nella routine analitica, male terminare il periodo di prova e iniziare "l'analisi regolare". Di solito ciò è dovuto al timore che il terapista possa cessare la terapia e quhdci "rifiutarlo". I1 paziente può cercare di proteggersi contro questa mi- naccia facendo quel genere di promesse che ritiene che il terapista si aspetti da lui. Io mi rifiuto di aderire a ta- le richiesta e spiego al pazi,ente le ragioni del mio com- portamento. Posso accennare a vasti settori della vita del paziente che non capisco o a problemi che mi aspetto interferiscano con l'analisi. In alcuni di questi casi an- diamo avanti con l'analisi. In altri, un ulteriore periodo di terapia rende chiaro che il paziente effettivamente è poco disposto a aderire alle regole ldell'analisi; il pazien- te in realtà si aspettava che il terapista cedesse alle sue abteae e, quando si rende conto che non agirà in tal sen- so, interrompe.

Può anche accadere che il paziente, timoroso di es- sare abbandonato dal terapista, utilizzi la sperimentalità del periodo di prova per le sue necessità emotive. Questa circostanza, naturalmente, deve essere analizzata; 'h stes- sa situazione sarebbe insorta se il paziente e il terapilsta si fossero accordati nel procedere più presto a una tera- pia intensiva. Ci sono molte altre aspettative, necessità e problemi che pazienti e terapisti portano nella situazio- ne terapeutica e ch'e colori~scono per ognuno il significa- to del ,periodo di prova. Niente p ò sostituire i1 cercare di comprendere quanto più possibile quello che accade in terapia e formularlo chiaramente. I1 paziente deve es- sere impegnato in questa avventura, perché senza di lui non potrà riuscire.

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LA FASE CONTRATTUALE: I. L'ADEMPIMENTO DEL CONTRATTO

La differenza principa1,e tra il periodo di prova e la fase contrattuale della terapia sta nel genere di impegno che ~ l ' an~ i s t a pxnde col paziente. Nel primo, il suo impe- gno è temporaneo e con riserva, ne1 secondo, duraturo e incondizionato. Prima di entrare nellta fase cantrattua- le, l'analista e l'analizzando debbono addivenire a un'in- tesa circa il tipo di impegno che il terapista si accinge a prendere; egli offre al pazilente i suoi servizi come ama- lista per tutto i1 tempo che il pazifente deslidera e durante il quale è disposto ad adempiere i suoi impegni verso l'analista.

L'adempimento del contratto analiatico dipende in notevole misura dal fatto che l'analista compia o meno i passi necessari a reaidmlo effettivo. Non è sufficiente che l'analista dichiari un contratto; quando arriva il1 mcmen- to egli deve agire. Non basta preannunciare il genere di mosse che si faranno in un gioco; al momento opportu- no occorre muovere. Non solo le parole ma anche le mosse forniscano informazioni; in analisi i partecipanti si scambiano entrambi i tipi di informazione.

Se l'anallista fa al paziente tutte le interpretazioni giu-

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ste ma non le sostiene con le mosse corrette, i suoi sforzi analitici saranno anullati.

Rendere effettivo il contratto analitico

Le mosse mediante le quali il terapista definisce il gioco sono state già i,ndicate trattando del periodo di prova. Nd18a fase contrattuale $1 terapista sarà chiamato a definire e intmpretare ulteriormente molte regole del gio- co. La sola nuova regda, che diventa effettiva in questo momento (ma che già sarà stata discussa durante il pe- r

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odo (di prova), è da promessa del ~tempiista di continua- re il trattamento finché i1 paziente desidererà interrom- perlo e il relativo corallario: il suo rifiuto a prendaere la decisione di terminare. Durante la fase contrattuale è probabile che il paziente metta alla prova questa regola in vari modi. Comunque, la sua ultima conseguenza, vale a dire che il pazilente stesso deve decidere. quando termi- nare il trattamento, viene messa a fuoco solo durante il periodo terminale.

Sebbene di ~ p r sé significativo, 10 seopo principale del contratto è di creare una situazione propizia all'ap- prendimento psicoanalitico. Così, gran parte del lavoro terspeutico durante la fase contrattuale consiste nell'a- nalizzare i problemi del paziente in modi più o meno tradizionali. Non dirò molto su quest'aspetto della tec- nica analitica. Per indicazioni sul tipo di cose da cerca- re e da fare e su certi altri aspetti dell'malisi (come ad esempio, difese, tnm~sfmt, e cosi via) rimandituno il l&- tore ai classici scritti di Fenichel, Freud, Glover ed altri maestri della psicoanalisi.

Da (parte aosltra passiamo quindi procedere a un d- teriore esame della fase contrattuale della psicoterapia autonoma, prestando speciale attenzione alle misure usa- te per rendere effettivo il contratto.

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Come fissare gli appuntamenti

L'analista non ha prodotti da vendere; non può curare una malattia, prescrivere una medicina per alleviare l'an- sia del paziente o fornire una giustificazione medilca per un impegno del paziente. Egli 'può unicamente contratta- re la vendita di t empo e di servizi.

E' implicito nel contratto, e spesso deve essere reso esplicito, che si garantisce la prestazione dei servizi in un certo modo. In altri termini, il terapista deve essere puntuale; deve cminciare e fiimh-e ;la seduta secondo l'ac- corda prestabilito. Dato che gli analisti generalmente ade- riscono a questa regola, non mi dilungherò oltre. Tuttavia molti terapisti si aspettano che anche i loro pazienti sia- no puntuali. A mio mviso, questo illustra un equivoco di fondo del rapporto analista-analizzando.

I1 terapista e 311 paziente non seguono le stesse regale. I l m ruoli sono camplementari, non intercambiabili. Entrambi sono uguali in quanto ognuno deve rispettare l'autonomia ddl'altro e iln quanto il potere è distribuito in modo (quasi) sguale tra loro. In termini di regole da seguire, tuttavia, il rapporto tra analista e analizzando è un rapporto di ~~c~pe raz ime , paragonabile a quello tra due compagni nel doppio a tennis. Per la durata di un 11 game", un giocatore c e w mentre l'altro è a rete; sebbe- ne entrambi giochino a tennis, ognuno gioca secondo un insiame di regole alquanto diverse.

Nella psicoterapia autanoma, la mlaggior parte deile restrizioni ricadono sull'analista; il paziente ha 'una gran- de libertà di azione. Ad esempio, egli non è soggetto al- l'obbli*go dì essere puntuale nei suoi appuntamenti con il terapista. Deve essere puntuale solo nel pagamento dell'onorario. Ricordiamoci che i1 paziente sì awicina al- l'analista col desiderio di wmperare i suoi servizi. Pos- siamo quindi supporre che abbia un incentivo ad accet- tare la consegna (della mercanzia che desidera acquistare. In effetti la maggior parte dei pazienti sono puntuali.

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Com~unque, hanno diinitto a non esserlo. Quando ritarda- no abitualment~e, compito defl'analista è ricercare le ra- gioni di questo comportamento e, se lo comprende, in- terpretarlo. Se l'analista punisce il paziente per i ritardi o lo influenzasse ad essere più puntuale, uscirebbe dal suo molo di analista.

La disdetta dsglli appuntamenti crea un problema simile. Di tante h ~tamto d'analista, come del resto il pa- ziente, avranno necessità di annullare dagli appuntamen- ti. In generale i motivi saranno interessi o doveri profes- sionali, necessità o progetti personali, oppure malattie. Gli analisti hanno tradizionalmente seguito una politica a senso unico; essi potevano annullare l'appuntmento ma i11 paziente no (o, se lo faceva, doveva pagarlo ugual- mente). Seguendo questa regola si pone un fardello pesante e del tutto innecessario sul mpporto analitico. La regola è chiaramente discri~minatoria ai danjni del pa- ziente. Essa viola i principi del contratto analitico. L'ana- lista promette di prestare al paziente un servizio regula- re e puntuale; eppure, per rispettare le proprie perso- nali necessità, mantiene il privilegio di interrompere la prestazione. Se il terapista può avere questo privilegio (e naturalmente dovrebbe averlo), perché non può averlo anche il paziente?

La spiegazione abituale del fatto che il paziente debba pagare per gli appuntamenti annullati (indhpendente- mente dalla causa) è che l'analista ha perso un'ora del suo tempo e che il paziente ne è responsabile. Ma que- sto argomento è contraddetto dal comportamento dell'a- nalista: egli dice di avere affittato un'ora ma rimane libe- ro di assentarsi dall'appuntamento. Se realmente affit- tasse del "tempo", sarebbe obbligato a compensare il pa- ziente. Questa è una prassi comune nella vita commercia- le; ad esempio, un imfpresario è responsabile dei danni economici per la ritardata costruzione di un edificio. L'analista che si prende due mesi di vacanza in Europa,

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ritarda la "consegna" dell'analisi del suo paziente. Non sto suggerendo di non farlo, ma sottolineando che lo si fa senza indennizzare i11 cliente per l'inconveniente.

Di conseguenza, se il terapista desitdera rendere il rapporto fra lui e il suo paziente il più egualitario possì- bile, deve dare al paziente gli stessi privilegi ,di disdetta di cui egli stesso gode. Perciò al paziente deve essere concesso di annullare gli appuntiamenti, se vuole assiste- re a una riunione professionale o recarsi in Europa, sen- za dover pagare le sedute ianndate. (E' meno probabiie che ciò costituisca un problema per il terapista che gode di buone entrate, che non per quello che non ne ha).

A questo punto è pertinente una breve osservazione su un altro tipo di annullamento. I1 contratto analitico implica il seguente scambio: l'analista vende i suoi ser- vizi; il paziente compera questi servizi e (ed ecco il pun- to) deve prenderli iin consegna nello stludio dell'analista. Cosa a ~ a d e se 31 paziente altera la propria situazione (o la siltuazione divan.ta diwrsa non par "errori" o ilnterveniti attivi da pa~tie sua) in modo tale da non ,potersi recare nello studio dell'analista? Questo può accaldere ad esem- pio se il paziente è arrestato per un delitto, ricoverato per psicosi, o reso inabiJe (per più giorni) da qualche malattia. In tali circostanze la responsabilità deillllanali- sta verso il paziente cessa, almeno per quel periodo (I'ana- lista non può andare dal paziente e prestargli i suoi ser- vizi, diciamo, a casa sua o all'ospedale).

Una simile interruai~n~e può essere trattata in due modi, a seconda deIle preferenze del paziente e degli ac- cordi previ che analista e analizzando hanno preso cir- ca questa eventualità. Se il paziente desidera riprendere le sedute presso l'analista non appena possibile, deve pagare per l'assenza. D'altra parte, se preferisce non pa- gare le "visite" non effettuate durante quello che potreb- be essere un lungo periodo, può scegliere di non pagare ma di dover attendere non solo fino a che sarà di nuovo

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in condizioni di andare dall'analista, ma finché il norma- le programma ddl'analista consentirà di riprendere i1 rapporto. L'analista deve, naturalmente, riprendere il pa- ziente e non penalizzarlo per l'interruzione. Solo in que- sto modo la frequenza dell'analizzando presso lo studio dell'analista diventa un impegno e una iresponsabilità di c d il paziente risponde a se stesso e non all'andista; il terapista non lo premia né lo punisce per il mancato in- contro.

Nella mia pratica concedo ai pazienti gli stessi privi- legi di disdire le sedute che concedo a me stesso. Le loro assenze raramente diventano un problema. Tuttavia a volte, specialmente con pazienti ipocondriaci, ciò accade. In questo caso offro al !paziente la sal ta tra pagare per gli appuntamenti disdetti per "malattia" o smettere da terapia.

Complicazioni per procedure non analitiche.

L'autonomia {del terapeuta come analista e del pa- ziente come analizzando può essere minata, in qualunque momento del trattamento, da una varietà di esigenze che ognuno dei due partecipanti può desiderare di soddisfa- re. I1 pericolo maggiore per un rapporto pienamente con- trattuale e reciprocamente autonomo sta nel bisogno di ciasouno di costringere l'altro. Questo rischio è in par- te psicdlogh, proveniente cdalle aispirazjoni delle due parti contrattanti, e in parte situazionale, derivante dalle aspettaitive sociali implicite nei ruoli di chi sdfire e di chi aiuta. Quindi, come terapeuta, l'analista può faoil- mente assumere una posizione preminente; pertanto de- ve stare costantemente in guardia contro ciò. Dall'altra parte il paziemte può prontamente assumere m a posizione di infericmità e far ricorso al grande potere di una con- dizione dii debolezza, usando cioè la sofferenza per co- stringere il partner. Quindi il terapista deve anche par-

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darsi dalla strategia ,del paziente di ottenere la mperio- rità mediante la paradossale manovra di impadronirsi di ciò che appare come un ruolo inferiore.

Dare consigli e prescrivere medicinali sono cause fre- quenti di squilibrio nel rapporto analitico. In questi mo- di il terapista comunica al cliente di essere pronto a adottare misure di controllo sugli impulsi, necessità o probllemi del paziente. Se lo fa, chi sarà a decidere il grado che il contrahlo del terapista dovrebbe assumere? E come verrà deciso?

Queste domande non hanno arisposta. In pratica il pa- ziente tenterà spesso di indurre lo psichiatra ad assu- mere un sempre maggiore contrallo su di lui. Lo farà agendo come se stesse progressivamente perdendo il con- trollo di se stesso. Quanti più consigli darà il terapista e quanti più medicinali prescriverà, tanto più il paziente sembrerà deteriorarsi; diventerà sempre più depresso e "impotente" ed avrà sempre maggior bisogno di se- dativi.

Corriupondentemente aumenterà la pressione sullo psichiatra perché "faccia qualcosa". Ben presto il terapi- sta comincerà a preoccuparsi che il paziente possa c m - mettere un suicidio. Cercherà allora di aumentare il con- trollo sul paziente ricoverandolo in ospedale, trattando- lo con elettroshwk, e così via. In questo circolo vizioso, il paziente può essere in grado di provare che è padrone di se stesso solo uccidendosi. Naturalmente una voilta che incomincia a scendere la china, il terapista ha rinuncia- to, o dovrebbe aver rinunciato, a ogni speranza di analiz- zare il paziente.

L'analista competente non dovrebbe aver bisogno di fare similii cose. Dovrebbe limitarsi ad essere un analista. A questo punto è forse opportuna qualche osservazione, dato che il terapista potrebbe trovare l'atteggiamento analitico difficile da mantenere.

Se il paziente può essere definito dipendente, indifeso

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e malato, il terapista è giustificato nell'adottare una mi- sura di controillo nei suoi confronti. Dato che simili per- sane richiedono piro~tezime, 11 imdo & "prot~trtore" di- venta legibtimo. D'altra parte, IW i1 terapislta considera il paziente autonomo ed autoresponsabile, la protezione non è legittima. Se tale persona è ciononostante "pro- tetta", possiamo giustamente panlare di degradazione, sfruttamento e oppressione. Un esempio di oiò è il rap- porto tra segregazioniisti e negri.

E' chiaro il perché fornire protezione è seducente per il protettore: gli dà $1 contr01ilo idel rapporto. Qui sta la croce del problema per il terapista che trova dif- ficile l'atteggiamento di alutonomia; rinunciando al "do- vere" di proteggere il paziente, !deve anche ninunciiare al >P privilegio" di control~larlo. I1 terapista autonomo vir- tualmente non ha controllo sul suo paziente; di qui la paura di perderlo. Ne consegue allora che, nella misura in cui il terapista ha paura della perdita dell'oggetto, cer- cherà un tipo di rapporto eteronomo coi cuoi pazienti. Gli psicoterapisti spesso hanno bisogno dei loro pazien- ti più di quanto i pazienti non abbiano bisogno dei loro psicoterapisti (non salo ecommicamente ma anche psi- cologicamente). Per superare quindi uno dei liimiti della pratica ddla psicoterapia autonoma, il terapista deve essere largamente libero dalla paura )di perdere il pazien- te e, quindi, dal desiderio di controllarlo.

Un altro genere di complicazione non analitica che il terapista deve evitam è panlare del paziente con temi. Del tutto erroneamente, si ritiene spesso che l'utilità di que- sta pratica consista nel proteggere le confidenze del pa- ziente. Senza dubbio queste ultime richiedono protezio- ne assoluta; e se l'analista non disoute dal paziente con altri, le confidenze del paziente sono, ipso facto, perfet- tamente protette. Così dovrebbe essere. Tuttavia restrim- gere il rapporto dell'analista sdtanto al praprio paziente

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serve anche a un altro slcapo. Per vederlo chiaramente, consideriamo un caso tutt'altro che insolito in psico- terapia.

Supponiamo che il paziente voglia liberare il terapi- sta daill'obbligo di mantenere confidenziali le sue comu- nicazioni, e che iinoltre richieda al terapislta di colmunica- re con altri, ad esempio, 'di dare una diagnosi al rettore di un collegio o tal direttore del persanale di una socie- tà. Cosa dovrebbe fare l'analista?

Non ho bisogno di insistere sul fatto che l'analista non gioca un consueto gioco medico. I1 "materiale" che l'analizzando comunica all'andista non è come il cam- pione di sangue che il (paziente medico dà al suo dotto- re. In quest'ultimo caso, il pazilente "possiede" il sangue e di conseguenza anche ~l'informazime che il dottore può vicavarne. Quindi il paziente può dare istruzioni al me- dico di trasmettere quest'informazione a terzi e, nel normale andamento delle cose, questo è quanto il dot- tore farà. Non ha motivo alcuno par ncm farlo.

E' sciocco tuttavia cercare di seguire (le stesse regole in analisi dato che non c'è nulla che il'snalista possa co- municare ad altri che anche i11 pazilente non conosca o non abibla diritto a conoscere. P k h é lo scopo dall'analisi è ampliare al massimo grado l'autcmamia del paziente, l'analista non ha maggiori ragioni di informare una ter- za persona della "diagnosi" del paziente di quante ne avrebbe di dire alla moglie del paziente che il marito la odia, o aill'agente di borsa del pazimte che il suo clknte vuole comperare un centinaio d'azioni della Genera1 Mo- tors a 92. Qualunque cosa il paziente voglia far sapere alle diverse persone della sua vita può (dirgliele lui stes- so; ,di fatto deve dirgliele, dato che l'analista non lo farà in sua vece. Se l'analista svolgesse questa sorta di ruo- lo, parteciperebbe attivamente alla vita extra-analitica del paziente viziando così l'intero sfarzo analitico.

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"Frustrare" e "soddisfare" il paziente

I1 problema di quanto l'analista dovrebbe soddisfare o frustrare 41 paziente ha tormentato a ilungo ilti psicoana- bisi. Le opinioni di Freud d riguardo non hanno aiutato a risolvere il problema. Messo di fronte a pazienti fobici e ossessivi i quali, malgrado un i(ntenso lavoro analitico, erano restii a rinunciare ai loro sintomi, Freud suggerì che il terapista adottasse certe forme di "attività" per esercitare una pressione sul paziente affinché cambiasse. Il "principio" fondamentale che propose fu:

I1 trattamento analitico deve essere portato avanti, per quanto possibile, in condizioni di pl;ivazione, in uno stato dli astinenza S.'

Questo dettame si è rivelato una ricca sorgente di confusione. Senza dubbio per "astinenza" Freud non in- tendeva l'astinenza sessuale. Ferenczi e altri, tuttavia, conciglimavano ai pazienti di non masturbarsi o di non avere rapporti sessuali. Ma i suggeriimenti di Freud ri- guardo ail'astinenza erano colo leggermenfte meno in- felici:

(. . .) Per crudele che possa sembrare, dobbiamo fare in modo che )la sofferenza del paziente, a un livello che sia in qualche modo effettivo, non termini prmatura- mente ... Per quanto ri~guarda i suai rapporti col medico, il paziente deve essere lascilato con molti desideri insod- disfatti. E' conveniente inegargli precisamente quelle sod- disfaziuni che desidera con maggiore intensità ed espni- me con più insistenza D . ~

Ved,iamo qui Freud sostenere la manipolazione e la coercizione del paziente, apparentemente nell'interesse dell'analisi. Ciò è assurdo. Tali manovre sono antianali-

1 Lines of Advance in Psycho-Analytic Therapy (1919), The Stundurd Edition, vol. XVII, p. 162.

2 Zbid., pp.. 165-164.

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tiche e non trovano posto nella psicoterapia autonoma. I problemi che indussero Freud a ricorrere a tali inter- venti 'httiM" si chiariscono faciilmente conscideriando la psicoandiisi come rapiparto contrattuale: su ciò è oppor- tuno dire ora qualcosa.

Ritengo che Freud abbia formulato la regola deill'asti- nenza per contrapporsi alla "naturale" tendenza del tera- pista a confortare il paziente. Egli ritenne quindi neces- sario sottolineare che l'analista non deve adeguarsi ai desideri del paziente se essi ostacolano il lavoro dell'ana- lisi. Ad esempio, se il paziente desiderasse l'affetto del terapista, l'analista non dovrebbe concederlo se

m

plice- mente per farlo "sentire meglio". Lo scopo della terapia non è di raggiungere la "felicità" e neppure il "benesse- re", ma di apprendere su se stessi e sviluppare I'auton~- mia personale. Per me, la regola dell'astinenza significa esattamente questo e niente di più recondito.

Comunque, per un insieme di ragioni che non ci ri- guardano, nella psicoanalisi divenne papalare l'idea che la condizione psicologica più adatta iper un paziente che intraprende l'analisi fosse uno stato di frustrazione. Mol- ti analisti, quindi, ritengano che il paziente debba sen- tirsi ansioso, fare sacri5ici finanziari per i11 trattamento e così via; perché, altrimenti, l'analisi cesserà di essere ef- ficace. Secondo me quest'opinione è wrnpletmente falsa?

L'analista non ha maggiore diritto di "frustrare" il pa- ziente di quanto ne abbia di "soddisfarlo". Per di più, cosa intendiamo per "frustrazione" e "gratificazione"?

Considerare il rapporto analitico come contrattuale semplifica le case. L'analista si impegna col paziente a fa- re alcune cose per )lui. Strettamente parlando, quindi, se l'analista rispetta il suo contratto non "premia" il pa- ziente; si comporta semplicemente come una persona

3 Vedere THOMAS S. SZASZ, The Meaning of Suffering in Therapy, a American Journai of Psychoanaiysis o, 21 (1961), pp. 12-17.

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onesta che fa il suo lmoro e mantiene le sue promesse. Viceversa, se d'analista cessa di rispettare il contratto, egli non "frustra" il paziente (anche se, indubbiamente, il pazient'e può sentirsi frustrato); si comporta semplice- mente come una persona disonesta che non fa il suo la- voro e infirange le sue promesse.

Naturalmente, in pratica, le cose non sono così sem- plici. Ma consi'deriamo il problema class'ico che dà ori- gine alla nozi'one di « astinenza » e rhrrnul~iamo~o in termini di autonomia e contratto. I1 paziente è una gio- vane attraente il cui marito è (impotente. Va dall'analista e si innamora di lui. Dovrebbe quest'ultimo soddisfare i desideri sessuali della paziente? Se non lo farà, lei si sentisrà "frustrata' e pertanto nello stato di astinenza adatto per essere analizzata. Per (me, questo è uno stra- no modo di considerare il problema.

Anche se la paziente può desiderare dli intraprendere una relazione sessuale col terapista, non è questo il gene- re di attività che il terapilsta ha promesso di vendere. Di conseguenza, questa situazione richiede prima di ogni al- tra cosa una chiarificazione e quanto prima tanto meglio. In gran parte, forse, p e ~ h é una situazione di questo ge- nere non fru adeguatamente chiarita nei primi tempi dell' analisi, ed anche perché i medici occasionalmente intra- prendono un'attività sessuale con le loro pazienti, non era dei1 tutto Inlgiustlif3cato per il paziente aspettarsi che il terapista agisse i,n un simile modo. La nozwne allora prevalente, che la giusta prescrizione per la malatbia "~htmiia" fosse Penis novmalis, dosim: repetatur, non po- teva essere di aiuto. Se questo era un "ttrattamento", perché i medici non avrebbero dovuto "solmiministrar- lo"? Cerchiamo di non ingannami al ,riguardo; non si tratta di un semplice gioco di parole. Solo in questa l'uce possiamo capire perché glsi analisti pensarono che negare ai pazienti certe cose è lo stesso che frustrarli. Questo naturalmente è vero per coloro che sono inddfe-

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si, specialmente i bambi,ni e (le persone fisicamente inva- lide. Se un bambino è affamato la madre nan può dirgli di cercare del cibo e nutrirsi da solo. Ma 6 questo il modello adeguato al paziente analitico?

Per torna= al nostro ipotetico caso della giovane isterica che ha bisogno di "sesso", il compito dell'analista non è di preoccuparsii del suo stato di "astinenza" ma di accertare perché, se vuole un amante, non lo cerca al di fuori della situazione analitica. Anche se, naturalmente, dal punto di vista della esperienza questo genere di sitlua- zione è erotica, (e, se la paziente è attraente, l'analista può sentirsi tentato), teoricamente non è di natura spe- cificatamente sessuale. Supponiamo che il marito della paziente abbia perso tutto ibl suo denaro e che essa da i - der'i che sia l'analista a manbenerla. Considererà egli un "frustrare" la paziente il propri40 rifiuto di aiutarla econo- micamente? 111 tener presente la natura contrattuale della psicoterapia autonoma aiuterà sia l'analista che l'ana- lizzando ad evirtare ,di confondere ed equiparare l'ade- sione ai1 contratto con la "frustrazione" dal paziente.

Un altro aspetto di questo problema menita un bre- ve cenno. Dai (miei contatti con giovani terapisti ho trat- to l'imipressione che molti credono che vi sia qualcosa di impliciltamente e misteriosamente "buono" o "analiti- camente corretto" nel rifiutare di rispondere a una 'do- manda del paziente, semplicemente perché egli l'ha po- sta. I1 terapista stava forse sul punto (di spiegare qualco- sa ma, come reazione alla domanda diretta del paziente, si gela e rimane in silenzio. (Si tratta di solito ddlo stesso terapista che, paradossalmente ma coimprensibil- mente, sbaglierà altresì contalminando la situazione ana- litica col "fare tropipo" per il paziente; vale a dire, facen- do cose non contemplate nel contratto). Un simile terapi- sta è troippo timoroso di essere controllato d d paziente e controreagisce cercando di controllare il paziente.

La mia opinione è che il paziente ha diritto al genere

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di aiuto che l'analista ha promesso di dargli. Sebbene aloune delle domande del paziente possano rilmanere sen- za risposta (ed è auspicabile che egli ne comprenda la necessità), molte altre meritano una risposta senia. In sintesi, l'andista non deve desiderare di "frustrare" il paziente, e quindi diutarsi di rispondere a deUe doman- de, e nemmeno 'desiderare di "gratifìcanlo" e quindi ri- spondere a domande che mirano alla rassicurazione piut- tosto che all'informazione.

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LA FASE CONTRATTUALE: I. ANALISI DELLA SITUAZIONE ANALITICA

I concetti di autonomia e contratto sono decisivi per la psicoanailki. Colaro che pmtùmno questo tipo di tera- pia non debbono quindi soprendersi di trovare alcuni dei loro problemi strutturati in tannini di autonomia con- trapposta all'eteronomia e di mantenimento di promes- se in contrapposizione all'inadempienza. Molti problemi tradizionali della psichiatria e della psicoterapia assumo- no una veste nuova e più trattabile se awicinati da que- sto punto di vista.

Generalmente li1 paziente va dal terapitsa in cerca di aiuto per i suoi disturbi. Non va a negoziare un contrat- to. Tuttavia questa specie di dissonanza tra compratore e venditore non è inconsueta. Ad esempio, una persona che vuole aslsicurare la propnia vita consulta un agente assicurativo che gli spiega i m t r a t t i offerti dalle varie compagnie di assicurazione sulla vita. $1 cliente deve de- cidere se vuole acquistare una polizza, ed eventualmen- te di che tipo.

Analogamente, anche se il paziente può venire con l'in- tenzione di acquistare della "terapia", l'analista deve an- zitutto spiegare cosa ha da vendere. Se il paziente non ne

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è informato, l'analista deve anche spiegare quali altri ti- pi di terapia psichiatrica sono in vendita. A meno che il paziente non abbia una scelta tra una varietà di terapie e di terapisti, non potrà negoziare efficacemente c m l'amalista. Se può ottenere aiuto solo sottomettendosi al- le cmdizicmi dell'analista, allora, in effetti, egli è co- stretto dal suo stesso bicsoigno ad acquistare qualunque cosa l'analista venda.

Alcuni si avvicinano al terapista esattamente con questo spirito; asseriscono di aver bisogno di un aiuto terapeutico che salo l'analista che hanno consultato può fornire; di conseguenza debbono sottomettersi, e h verità lo saranno di buon grado, alle cmdbioni ~dell'analista. L'analista non dove accettare questa definizione dd!a si- tuazione ma 'deve slfiidarla e cercare di chiarida. Senza dubbio il cliente può s h m r m e n k credere che un detw- minato terapista isia l'unico a poterio aiutare. I1 che, -a- sionalmente, potrebbe esseire vero. Tubtavia è impoa-tante t'enere presente che 131 paziente che cerca aiuto analitico ha delclle scelte. La pratilca della psiicoandisi Iè possilni~lce solo in una società capitalistica, com~petibiva e pluralistica; una simile società offre una varietà di terapie alle persone h dubbio. Sottolineo questo {punto perché, anche se il1 paziente può sentire che una certa forma (di trattamen- to .è la sola "giusta per lui", in effetti è lui che l'ha scelta preferendola a malte altre.

Analisi della situazione analitica

In gran parte, l'analisi della situazione analitica1 è l'analiisi del contratto. Un accordo contrattuale, per la sua stessa natura, può essere rotto in due modi: per ina- dempienza o per eccessivo rispetto degli obblighi. Questi due tipi di violazione ,del contratto corrispondono ap-

1 Ved. cap. 111.

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prossimativamente agli atteggiamenti caratterologici del- la persona che sfirutta e di q u d h che si lascia sfruttare. Fino a un certo punto, da prima è tipica del cmì debto indirviduo esigente orale o avido, o del sadico; la seconda, della così detta persona matura o generosa, o del maso- chista.

La persona che abitualmente non rispetta i contratti.

Un bucm esempio della persona che w c a di evitare i suoi obblighi contrattuali è il paziente che abitualmente recita il ruolo dal mailato. Egli non vede nulla nella vita se non i propri malanni, bisogni, problemi e soferen- ze; si aspetta siegretamente di dover essare (e in qual- che modo lo sarà) ricompensato ("aiutato") per i suoi disturbi. Questo paziente in effetti dice: u Non voglio ne- goziare. Ciò che vaglio è lare le cose a modo mio. Per- ché non mi date ~queillo di cui ho tanto bisogno? ».

Questi pazienti sipesco esibiscono, per lo (meno inizial- mente, sintomi ]di ooniversiolne isterica; o possono sdhi - re delle cosiddette malattie psicosomati&e, oppure sono dei nevrastenici » che si lamentano di ansietà cronica, stanchezza e depressione. All'inizio sembrano interessati e ben disposti a partecipare al gioco analitico. Ma non appena si definisce ,più nettamente il contratto, si ribel- lano contro di asso. Non passerà molto che si lamentman- no maramlente )&l tempo e dei solidi che debbono inve- stijre nel trattamento. Subito dopo metteranno alla prova il terapista; disdiranno gli appuntamenti e rirnande- ranno il pagamento del'onorario. Siunili pazienti hanno spesso avuto lunghe e fortunate carriere usando tali tat- tiche coi parenti e a volte anche con altri terapisti. Han- no quindi imparato che non debbono mantenere le pro- messe e che possono rompere i contratti (o non farne affatto); i loro sintomi e loro sofferenze vengono accet- tate come valide scuse.

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In una situazione di questo tipo, l'analisi del contrat- to e dell'atteggiarnento del paziente nei suoi confronti, e inoltre una posizione inflessibile del terapista veriso il contratto, sono indispensabili per una efficace terapia ana- litica. Se P terapista modifica td centrato, fornendo ad esempio al paziente sedativi o giustificazioni mediche per questo o quell'altro scopo, oppure riducendo l'ono- rario o hsuiando che il paziente accumuli un debito, al- lora, invece di analizzare la condotta del paziente, il te- rapilsta gli avrà consentito '& agire nuovamente, nella si- tuazione terapeutica, ifl suo abituale modo di cmpor- tarsi.

E' come se il paziente dicesse: Non posso 8risp&tare i termini del contratto perché sono troppo malato (o troppo esausto, o con troppe preoccupazioni economiche, e così via) D. I1 paziente parla perciò il linguaggio del "Non posso" o ddle giustificazioni. I1 terapista o accetta quest'idioma o lo rifiuta. In generale, il terapista non analitico (specialmente il così detto terapista di soste- gno) si comporta nel primo modo; il terapista analitico nel secondo.

Compito del~l'analista è tradurre dal linguaggio del >> non posso" al linguaggio del "non voglio", o dal lijn- guaggio deltle scuse al Linguaggio dalla raponsiabibità. Gran parte d'e1 ilavoro quotidiano dell'analisi consiste nel fare questa sarta di traduzione per ihl paziente e di insegnar- gliela a fare per conto suo.

I1 terapiista che manca di contestare 1''dioma del pa- ziente lo accetta come persona irresponsabile. Lo psico- analista non deve falilo. Egli \d'eve essere capace d' '1 corni- prendere il linguaggio del paziente ma deve rifiutarsi di adottarlo per l'incontro terapeutico. Al contrario, deve trattare il pazicente come persona autonoma e responsa- bile. Questo si può raggiungere solo assegnandogli delle responsabilità e aspettandosi che le assuma. A questo proposito, la terapia è tutt'altro che moralmente neutra-

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le. I1 (paziente deve assumersi la responsabilità di riupet- tare il contratto coi1 terapista. Se non lo fa, il contratto avrà fine.

Questo, posso aggiungere, è l'unico sistema con cui l'analista può cosbmingere il cliente. I1 terapista autonomo non può e non (deve influenzare direttamente il paziente perché si comporti responsabilmente c m gli altri: que- sto è un problema daro, nocn del terapista. Ciò n m signi- &a, naturalmente, che iil terapista non possa fare com- menti sulla condotta del paziente consistente nel rompere i contatti con quelli che lo circondano.

La persona che abitualmente eccede nell'adempimento del contratto.

In contrasto con coloro che abitualmente ingannano o cercano di ottenere qualcosa per nulla, ci sono quelli che credono di (dover pagare nella vita un prezzo per qualunque cosa; più desiderano una cosa, più alto è il prezzo. Qui il terapista è di fronte alla persona oppres- sa da un senso di cdpevolezza cronico, timorosa di sfruttare il partner e di essere biasimata per questo. Una simile persona non solo onora il contratto ma tende a eccedere nel rispettarlo; è iper-responsabile. Così il pa- ziente è eocessivmente premuroso verso l'analista e le sue necessità; si comporta come se l'analista tosse debole e il paziente forte; paga prontamente le sue parceille e non si lamenta mai del costo dell'analisi; si offre di fa- re dei lavori all'analista e cerca di portargli dei doni, e così via. Questi pazienti sono spesso disposti ia fare un contratto per l'analisi a delle condizioni economiche e d'altro genere possibilmente troppo onerose per loro.

Di regola, uno o entrambi i genitoni di queste perso- ne definivano i loro moli in termini di grande sacrificio personale per i11 bambino. Come risultato il bambino è cresciuto sentendosi intollerabilmente colpevo~e per gli sforzi dei genitori a suo favore, e cerca di mitigare la

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sua coilpevolezza "ripagando" ampiamente il genitore e, di conseguenza, chiunque possa fare qualcosa per lui. Queste (persone spesso diventano pazienti analitici perché la loro tendenza a eccedere ne~l'adempiimento dei contrat- ti incoraggia i datori di lavoro, gli amici, i coniugi e i fi- gli a sfruttarli. Ma presto o tardi finiscono per avere dei risentimenti.

Anche queste persane parlano il linguagggio dei bi- sogni. Al contrario dello sfruttatore che è in sintmia unicamente con le proprie necessità, lo sfruttato è in sintonia solo con ,le necessità degli altrii con esclusione delle proprie. Più esattamente, per queste persone k vi- tale percepire acourataimente i bisogni degli altri e, se possibile, sodd~iisfarli. Di qui 9 iloro eccedere nel r i ~ spetto dei contrattii e il loro soddilsfare eccessivamente le richieste del partner per evitare sentimenti di colpa per aver mancato ai loro obblighi.

Sia lo sfruttatore che lo sfrutbato presentano deter- minati problemi all'analista che cerca 'di stabilitre un rap- porto contrattuale col paziente. Lo sfruttatore si opipo- ne al contratto perché il suo atteggiamento C Sono troppo debale e indifeso per negoziare un contratto: lei deve accettarmi come cono fino a che non diventerò più forte; allora sarò ben felice di agire più responsabilmen- te P. Naturalmente questa è una pramessa destinata a non essare rnantenuba. Una vdta che d texapista I'accet- tal l'analisi è finita.

Anche lo sfruttato si oppone al contratto, ma lo fa più sottilmente. 111 terapista incauto può facilmenlte per- dere il senso del comportamento e dei sentimenti dal paziente. L1 suo atteggiamento può essere parafmato co- me segue: « Non posso negoziare con te perché sei trop- po debole; anche se medi che stiamo trattando ti sbagli in quanto mi sento obbligato a accettare i tuai .termini per evitare di ferirti e quindi sentirmene responsabile ».

Qui la terapia è minacciata dalla colpevoSezza, dal ma-

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sochismo e dal diniego di dipendenza del paziente. Se il terapista ignora questa possibilità (il che può accadere specialmente se ha bisogno [di pazienti e di denaro), può stipulare un accordo terapeutico c m un paziente per $1 quale il dispendio di tempo, di denaro e di fatica richie- sti sano eccessivi. Così quello che 'può smbrare un con- tratto diventerà un ripetersi dell'abituale stile di vita ma- sochistico dlel paziente.

Scambio di doni e di favori

Dare e 'ricevere doni è, almeno nella nostra oultura, una transazione fondamentale nella vita famigliare, for- temente carica di significato emotivo. Forse, meglio di ogni altra cosa, il dono premuroso simboleggia amore, affetto e specialmente gratitudine. Di conseguenza, il "1iinguaggio" dei (doni offire al paziente un mezzo pronto di comunicazione col terapista. Nella pratica psichiatrica medica e non analitilca, è parte "normale1' e ammessa del rapporto terapeutico che il paziente, grato, offra al medico un regalo come segno di apprezzamento per il suo aiuto. Se il paziente è rioco, il dono può essere so- stanzioso, eccedente di gran lunga il più esorbitante ono- rario dal medico per il partilcalare servizio prestato.

Poiché fare e ricevere doni è una componente così normale della vita famigliare e anche di molti rapporti cliente-specialista, l'analizzando sarà di solito incline, a un certo momento 'della terapia o alla sua conclusione, a offrire all'anailista un dono. E si aspetterà anche di ri- ceverne favori. I1 terapista, d'altra parte, può essere ten- tato di accettare regali dal paziente e $di mncedergli dei favori. In questa situazione, coime in molte altre, I 1' ana- lista non può semplicemente adagiarsi sulle convenzioni sociali, per quanto convenienti a volte possano essere.

Appunto perché scambiarsi doni e favori possiede un

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notevole significato emotivo per il paziente (e possibil- mente anche per il terapista) e poiché è un'attività cm- venzionale, tale transazione offre all'anal~izzando un vei- colo socialmente aocettabile par esprimere e dissimulare i suoi transfert cull'analista. I1 camipito dell'analista è chiaro: deve analizzare tale condotta, non parteciparvi. Come può e deve l'analista far ciò?

L'analista deve, naturalmente, rinunciare al desiderio di ricevere doni dai ipazienti o di accordar loro dei fa- fori. Qui, ancora una volta, un onorario adeguato gioca un suo rualo; se l'analista i? pagato per i suoi servizi, il suo desiderio di "percepire" dal paziente in forme extra- monetarie è ridotto. I1 idesfiderio del terapista [di fare dei favori al paziente .è, per malti versi, una fonte di diffi- coltà più complessa per il lavoro analitico; certamente l'analista che desidera aiutare ii suoi alienti aittraverso la psicobrapia autonoma deve domimare quest'inclina- zione.

Camunque, anche se l'analista può esserie libero da ogni desiderio di cmunicare col paziente per mezzo di doni e favori, 61 paziente può non lesseillo. Pentanto ogni te- rapista analitico deve essare preparato a trattare questo problema con tatto ed efficacemente.

A differenza delle regole sull'onorario o sulla fre- quenza idle sedute, le. regdlle sdlo saambio di doni non dovrebbero essere stabilite all'inizio del trattamento. Far- lo sarebbe inopportuno e ilndiscreto; all'inizio del suo rapporto col terapista il paziente è generalmente occu- pato coi suoi problemi personali e forse con la paura della terapia, non col problema dei doni al terapista. Quindi, se i11 terapista introducesse l'argomento, stabilù- rebbe una proibizione. In alcuni pazienti ciò può servi- re a stimol~are un desiderio di realizzare il comporta- mento proibito; in altri, può bloccare il successivo svi- luppo di 'un desiderio di scambiare dei doni. In ogni ca- so, l'eccessiva e prematura intrusione dell'analista nella

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situazione terapeutica renderebbe l'analisi della tenden- za del paziente a comunicare attraverso il 7inguaggio" dei doni più difficoltosa o impossibile.

Per queste ragioni, trovo che la cosa migliore sia trattare il problema dei doni e dei favorii solo quando s i presenta nella situazione terapeutica.

Personalmente non accordo favori ai pazienti, ma ac- cetto da essi piccoli doni (di poco valore venale) una o, occasionailmente, due volte. Mi camponto in questo modo perché credo che, oltre ai suoi aspetti affettivi, dare e ricevere doni sia un potente mezzo $per definire la strut- tura di un incontro umano. La situazione pamdigmatica nella quale irn )dono & generas sa mente offerto e avidamente accettato è il rapporto tra genitore e figlio. Ne conse- gue che il donatore tende a sentirsi superiore o "uno al di sopra" del ricevente. Da qui il detto: « E' più facille dare che ricevere m.

Quando, nel corso del rapporto terapeutico, il pazien- te mi porta un piccolo dono, eglii agisce in maniera so- cialmente appropriata; per cui rifiutare il dono, anche se il rifiuto è acwmpagnato da (spiegazioni, significa met- terlo "sotto".

In effetti è come dire al cliente che, poiché egli è un paziente, è troppo puco ilmiportante per fare un regalo al terapista. Tuttavia, se il paziente è gih al corrente (come in effetti può esserlo se è un professionista o una persona ben informata sulila psicoanalisi) che gli analisti di re- gola non accettano doni, dlora è opportuno rifiutare an- che il pnimo regalo. Inoltre, se il dono è di valore, vale a dire costa più che una frazione dell'onorario di una seduta, l'analista non deve accettarlo.

L'accettazione di un tale dono farebbe parte del reale, economico eccesso di adempimento del contratto anali- tico da parte del paziente; l'analista accetterebbe una ricompensa economica maggiore dell'onorario sul quale si era accordato col paziente.

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Un tale atteggiamento può richiedere seri sacrifici al- l'analista. Nel nostro attuale clima morale 'dove ogni cosa facciano gli psichiatri è tamto facilmente razionaliz- zata come necessaria agli scopi "terapeutici", una così stoica auto-disciplina è tanto rara quanto fuori moda. Ma dato che gli analisti abitualmente non accettano doni dai loro pazienti, perché sottolineo così fortemente questo punto? A causa di un compromesso che dà 1:impressione che l'analista si astenga da questa pratica mentre, in ef- fetti, vi partecipa sottilmente. Mi riferisco a quei casi nei quali, alla conclusione della terapia, un analizzando ricco dona una sostanziosa somma di denaro per soste- nere la ricerca, l'istituto o l'organizzazione dell'analista. Anche se il denaro non viene dato direttamente al tera- pista e neppure durante la terapia, è nondimeno donato all'analista ed è $n lrealtà una parite ~de'l rapporto analitico.

Questi lasciti sono naturalmente simili a quelli che ricchi ex~pazienti spesso fanno ad ospedali e a Istituti di ricerca. Tuttavia, un regalo di questo tipo fatto da un antico paziente analitico non può essere paragonato a quello di un antico paziente medico. Dovrebbe piuttosto paragonarsi al suo corrispettivo nella condotta dell'ana- lista. Come sarebbe a dire? Consilsterebbe nella fi dona- zione » da parte dell'analista al paziente dell'onorario re- lativo agli ultimi mesi di terapia, vale a dire nel tratta- mento gratuito al paziente durante il periodo terminale o forse nell'offerta di una grossa somma di denaro dopo la fine. Ciò sarebbe generalmente considerato una grave vialazione del rapporto analibico. Affermo che accettare la generosità finanziaria di exanalizzandi è un'analoga vio- lazione del rapporto analitico.

Richieste di favori da parte del paziente, come ad esem- pio la richiesta di un (libro dell'analista in prestito, devo- no essere respi'nte. Primo, debbono essere rifiutate per- ché cmcedere dei favori tende a mettere il paziente in una posizione di inferiorità. Secondo e ben più importan-

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te, l'accettare confonderebbe il paziente circa il ruolo del terapista che è quello di analizzare le comunicazioni dal pazienite. L'analista deve evitare in maniera partico- lare di intraprendere azioni che diminuiscono l'autono- mia del paziente o le motivazioni vmco l'auto-raponsa- bilità.

Da questo punto di vista, non fa granché differenza ciò che il paziente chiede all'analista; fintanto si tratti di qualcosa di distinto dall'analizzare, l'analista deve rifiu- tarsi di esaudlire tutte e $qualunque richiesta del genere. In verità, richieste di consigli, di pillole per dormire, di interventi presso parenti sconvolti e perfino di grati- ficazioni sessuali, ricadono tutte nella stessa categoria. Ognuna è un desiderio ragionevole che il paziente può avere, e l'analista non deve certo scoraggiare il paziente dail soddislfare uno qualunque di questi desideri; ma non deve essere lui a soddisfarli! Accordare uno qualun- que di tali favori è un "acting out" da parte dell'anali- sta perché, così facendo, esce dal suo ruolo di analizzare e intraprende invece in parte una transazione di "vita reale" col paziente.

Ricapitolando, se il paziente offre dei doni e il tera- pista li accetta, i'l risultato sarà un eccessivo rispetto del contratto. I1 paziente può rispondere con degli sforzi per compensare questo squilibrio, ad esempio volendo ridurre l'onorario o cercando di "ottenere" di più dal te- raipista. I1 terapista può rispondere, a sua volta, con alcuni atteg@amenti impropri (non analitici) per miti- gare la colpa di "prendere" troppo dal paziente, ad esem- pio prolungando le sedute.

D'altra parte, se il paziente richiede dei favori e il te- rapista li esaudisce, come risultato il contratto non sarà rispettato, per difetto. Sia il paziente che li1 terapista possono allora rispondere con degli sforzi per compensare questo squilibrio. In aggiunta a questi problemi, adem- pimento in eccesso o in difetto del contratto, la parte-

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cìpazione a simili attività extra-analitiche col paziente confonde 91 rapporto analitico, introducendovi transa- zioni di "vita reale" tra paziente e analista non analiz- zate (e spesso non analizzabili).

Se l'analista si comporta come terapista autonomo, eviterà di dettare delle proibizioni al paziente. E' essen- ziale, naturalmente, che l'analista non assuma mai il ruolo di un'autorità che vieta. Un simile atteggiamento andrebbe contro lo scopo fondalmentale della psicotera- pia autonoma. Terapista e paziente non debbono cercare di controllare il reciproco comportamento; al contrario, ognuno deve influenzare l'altro controllando la propria condotta.

Questi pnincipi sono esemplificati dal modo con cui l'analista tratta il desiderio del paziente di offri(re doni e richiedere favori. I1 terapista non proibisce al paziente di fare regali, ma non li accetta e ne spiega il motivo. Allo stesso modo non proibisce al paziente di chiedere favori, ma non li esaudisce e ne spiega la ragione.

Le condizioni necessarie per contrattare

Come abbiamo visto, la cunitrattmio~le può failtire se una delle due parti ritiene di essere più debole o più for- te dell'altra. Come i giochi, i contratti richiedono due partecipanti approssimativamente uguali. Nei giochi or- dinari i giocatoI5 debbono essere ben accoppiati in quan- to a abilità (anche se non necesslariamente per altri aspet- ti). Qual è il corrispettivo di cib nella psicoterapia autono- ma (contrattuale)?

Non ci si deve aspettare e neppure è necessario che paziente e terapista abbiano un'eguale conoscenza di psi- cologia e un'uguale abilità nel condurre la psicoterapia. Quello che ci si aspetta è che essi siano approssimativa- mente uguali nella loro volontà e capacità di assumersi la responsabilità di sé stessi e nei confronti dell'altro. Ciò significa che ciascun partecipante deve credere di

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aver qualcosa da dare al partner e di potergli fare, in cambio, delle legittime richieste. Non si può parlare di negoziati e contratti se non si hanno due parti ognuna delle quali ha bisogno di qualcosa e ha qualcosa da of- frire. 11 paziente, da parte sua, ha bisogno e desidera un aiuto psicoterapeutico; in cambio offre al terapista denaro e una respon~abi~le collaborazione nella terapia. I1 terapista, d'altra parte, vude e ha bisogno di denaro e di opportunità per svolgere il lavoro che ha scelto; in cambio egli offre al paziente la sua conoscenza e capa- cità analitica. Su questa base essi possono negoziare e contrattare tra loro in maniera significativa. I1 negoziato è impossibile o tende a fallire ogniqualvolta c'è un ecces- sivo squillibrio tra la posizione di contrattazione del pa- ziente e quella del terapista. La persona che sfrutta può ritenere di non avere molto da dare o che il terapista ha abbastanza o troppo e pertanto non ha bisogno o non merita nulla da lui. Colui che è sfruttato può avere la sensazione che il terapista sia bisognoso e quindi debba avere qualunque cosa chieda, o che egli stesso abbia poche necessità e possa pertanto dare agli altri quasi tutto ciò che desiderano. In entrambi i casi i negoziati vacilleranno. Queste considerazioni mettono in luce la necessità per il paziente e per il terapista di riconoscere francamente sia quello di cui hanno bisogno, sia quello che si offrono scambievolmente.

Trovo quindi difficile immaginare come la terapia con- trattuale possa funzionare senza che il paziente paghi l'onorario alil'analista, in quanto è il pagare l'analista che più di ogni altra cosa mette il paziente in condizioni di essere parte negoziante responsabile in un contratto con lui. Analogamente, la situazione sarebbe più compli- cata se il terapista non avesse bisogno del 'denaro del paziente. Cosa potrebbe dare i$ paziente a questo terapi- sta? Naturalmente è possibile fare della psicoterapia e "aiutare" un paziente senza che questi paghi l'analista

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per i suoi servizi: ma una tale terapia non sarebbe né contrattuale né, secondo i nostri termini, analitica.

Come in ogni situazione contrattuale, il contratto tra paziente e terapista e il rispetto dei termini del mede- simo può avere uno di questi tre risultati: può essere re- ciprocam'ente vantaggioso e ugudmente giusto per en- trambi; il paziente può sfruttare il terapista; il terapi- sta 'può ishuttare i f l paziente. I1 terapista autonomo deve mirare onestamente e sinceramente a contratti che siano non salo reciprocamente v'incolanti, ma altresì recipxoca- mente equi e soddisfacenti. Egli può far ciò, da una parte esercitando i propri sforzi in questa direzione, e dall'al- tra informando il paziente (nel contesto appropriato) dei pmiic0l.i {dello ~sfrubtarn~to iunikìkde e aumentando 'h sua vigilanza contro questo rischio.

L'analisi dei giochi di linguaggio

In termini psicoanalitici tradizionali, l'obbiettivo di gran parte del lavoro analitico è di aiutare il paziente a guadagnare l'accesso al proprio ~hcanscio. In altre parole, analista e analizzando collaborano nel rendere cosciente l'inconscio (del paziente).

Formulare l'impresa analitica in termini di comu- ni'cazioni, regole da seguire e partite da giocare, ci con- sente (di descrivere il processo analitico in maoliera di- versa e, credo, più accurata. Ho già indicato parte del lavoro che l'analista deve fare, ad esempio nel tradurre i messaggi del paziente dal ilinguaggio Idei bisogni a quello delle promesse. Vorrei ora sviluppare questo tema mostrando cosa implica l'analisi dei giochi di ilinguaggio.

In parte, il problema del paziente .è che $le sue aspi- razioni e strategie interyersonali sono camuffate non solo per gli altri, ma anche per se stesso. Egli si esprime in- direttamente, attraverso sofferenze, sintomi, sogni, allu- sioni e così via. Compito dell'analista è di aiutare il pa-

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ziente a rendere esplicito ciò che è implicito, a comuni- care direttamente anziché indirettamente. Per fare que- sto, gran parte del lavoro terapeutico deve essere dedi- cato all'analisi dei giochi di linguaggio. Anche se i gio- chi praticati da diverse persone vaniano ampiamente, possiamo distinguere alcune categorie di giochi di lin- guaggio (ad esempio il linguaggio dei sintomi somatici, dei rapporti personali infelici, delle persecuzioni). Di fatto, abbiamo qui un metodo per trasformare la nosolo- gia psichiatrica tradizionale in una tipologia del com- portamento personale, aperaitivamente dgniif:imti,va, se- condo il linguaggio predominante usato dal paziente per esprimere i suoi problemi esistenziali.

Il linguaggio delle scuse e il linguaggio della responsabilità

Tra i molti giochi di linguaggio che la gente fa, ne sceglierò due che sono particolarmente pertinenti al la- voro dello psicoterapista contemporaneo. Gran parte della cosiddetta psicapatologia che il terapista cerca di capire, decodlficare e tradurre in un altro idioma, si in- centra sui tentativi del paziente di evadere l i responsa- bilità delle sue aspirazioni, desideri, sentimenti, pensieri e azioni. « Interpretando B (vale a dire indicando) le evasioni idd paziente dall'auto-msponsabiilità e dii'u~tan~do- si di assumere 'delle responsabilità al suo posto, l'analista incoraggia e insegna al paziente ad accettare e sviluppare un atteggiamento più fiducioso in se stesso. E' chiaro, allora, che la psicoanalisi è un esercizio morale o, se si preferisce, una terapia morale. Dal m e n t o che tratta della natura e del valore di !diversi stili di condotta per- sonale, non potrebbe essere altro che questo.

Nel caso che stiamo considerando, paziente e tera- pista hanno a che fare con due linguaggi, quello delle sause e quello della responsabilità. Questi corrispondono approssimativamente all'esperienza di sé della persona

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come di un qualcuno indifeso e dipendente da altri (eteronomia), di fronte a una esperienza di sé come di un qualcuno capace e indipendente (autonomia). La prima è caratterizzata dalle espressioni chiave "non posso", "debbo", "dovevo", "non potevo evitarlo" e "mi era stato ordinato"; la seconda dalle espressioni "voglio", "ho deciso", "ho scelto" ed "è stata colpa mia". Mcuni esempi possono illustrare il ruolo dell'analisi del gioco di linguaggio nella psicoterapia autonoma.

Cominciamo dal caso di un giovane studente, obbli- gato dal padre a intraprendere la carriera di medico, che si lamenta di una inibizione nel lavoro. Egli dice: « Non posso studiare, che (devo fare? P. Ha paura & dire a1 padre e a se stesso (non occorre che ci interessiamo qui della natura precisa dei suoi conflitti intrapersonali o interpersonali): « Non voglio studiare medicina B, C Non voglio ricevere ordini da te D. Al contrario, si fa valere mediante il linguaggio delle giustificazioni; egli raggiunge così alcuni dei suoi scopi, pur evitando la responsabilità delle conseguenze dei suoi atti (0 di alcune di essi). Que- sto spiega perché il cosiddetto comportamento nevroti- co è, in un senso ben preciso, ''normale" e utile, perso- nalmente e socialmente, e perché non può e non do- vrebbe essere cambiato da nessuno che non sia il pa- ziente stesso. 111 paziente, commqu~e, lo cambierà solo se potrà agire in maniera più soddisfacente per lui stesso.

Ecco un altro esempio. Una giovane, madre e donna di casa, è insoddisfatta della sua vita. Si innamora di un altro uomo, ha una relazione con lui e pensa di divorzia- re. Cerca aiuto da uno psicoterapista al quale fa affer- mazioni di quesito genere: « Per #quanto mi sforzi, noai niesco ad amare mio marito. Non posso continuare a vi- vere con lui ». I1 terapista la incoraggerà ad accettare una maggiore responsabilità di fronte a se stessa e alla propria situazione di vita. Ella dovrebbe essere in grado

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di dire (a se stessa e ad altri quali l'analista e il marito) fino a che punto non vuole amare il mafito (che potrebbe non meritare il suo amore) e non vuol continuare a vi- vere con lui. L'analista suppone che con una più chiara comprensione dei propri desideri, sia di conthuare che di interrompere la vita matrimoniale, la paziente sarà in una posizione migliore per decidere la linea di con- dotta che desidera seguire.

La natura contrattuale del rapporto analitico fa di esso una situazione ideale per effettuare la traduzione dal linguaggio delle scuse al linguaggio della responsa- bilità. E' necessario quindi che l'analista assuma la re- sponsabilità per la propria parte di condotta dell'analisi e non nasconda i suoi atti e i suoi motivi dietro una cortina -di silenzio o di giustificazioni psicoanalitiche. Al tempo stesso, l'analista deve sfidare, con tatto ma persi- stentemente, le scuse del paziente. Man mano che la te- rapia procede, molte di queste verranno indirizzate ver- so l'analista. I1 seguente esempio è illustrativo.

Un giovane, in analisi per omosessualità, è richiamato per il servizio militare. Egli dice all'analista: << I1 consi- glio di leva vuole che mi proauri una sua dichiarazione su ciò che non va in me ». Si noti la forma linguistica della richiesta; è l'ufficio di leva e non il paziente a ri- chiedere l'opinione dello specialista. I1 compito analitico è di discutere chi vuole e che cosa vuole e per quale mo- tivo, e chi è disposto a fare e che cosa e per chi. In altre parole, il paziente vuole dawero che l'analista gli rilasci una dichiarazione? Se così è , quali sono le possibili im- plicazioni e conseguenze di questo atto per il paziente e per l'analista? Qual è la decisione ddl'analista e su quali basi la prende? Quali sono le alternative del paziente?

Ecco un altro esempio. Un paziente, ipocondriaco e nevrastenico cronico, disdice le sue sedute analitiche perchC è malato. Qui il compito è tradurre il a non po- tevo venire » in a non volevo venire ». Ciò si può ottenere

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solo se la situazione analitica è dissimile dalla maggior parte delle ordinarie situazioni dove la malattia è una legittima scusa (può essa10 anche in a d s i , ma non per gli individui che giocano abitualmente il gioco della malattia). L'analista non deve né punire né premiare il paziente per il fatto che è malato. Può evitare di farlo spiegando al paziente che non è obbligato a rispettare i suoi appuntamenti analitici se si sente incapacitato. Al tempo stesso l'analista deve ricordare al paziente che il contratto analitico richiede il pagamento di un onora- rio per ogni seduta, stimolando i suggerimenti del pa- ziente su come trattare la questione dell'onorario degli appuntamenti mancati. Questo genere di dialogo rende edotto il paziente che la sua malattia, per quanto spiace- vole, è sotto la sua responsabilità e non sotto quella dell'analis ta.

E' poi necessario esaminare le conseguenze di varie possibilità, tanto (per il paziente che per l'analista.

1. Se il paziente non paga, risparmia denari e priva l'analista 'di un onorario che avrebbe potuto guadagnare c m un paziente non ipocondriaco.

2. Se il paziente presume che l'analista accetti le sue scuse come valide, mette il terapista nella posizione di fiidarsi o non fidarsi di lui; ma $1 compito del terapista è di analizzare i,l paziente, non di giudicare l'autenticità delle sue giustificazioni.

3. Se il paziente si rimette al giudizio dell'analista per quanto riguarda la gravità dei suoi disturbi, e di con- seguenza la validità delle sue scuse, mette il terapista nella posizione di giudice della capacità del paziente a partecipare alla seduta analitica; ma questa non è un'in- combenza del terapista, e se questi la considera tale, non sarà più in grado di analizzare il paziente.

4. Se il paziente paga l'onorario, che si rechi o meno alla seduta analitica, la sua autonomia nei confronti del terapista rimane intatta e il terapista può concentrarsi sul compito di analizzarlo.

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Riassumendo, le camunicazioni dell'analizzando com. poste nel linguaggio delle scuse debbono essere sistema- ticamente esplorate e decodificate, ed egli deve essere invitato a rifomulare i suoi messaggi nel linguaggio della responsabilità. Quindi, oltre ad analizzare la nevrosi di transfert è necessario che il terapista faccia fronte ai ten- tativi del paziente di non rispettare il contratto. Gli si deve mostrare come lo fa, interpretando i suoi sforzi per eludere o modificare il contratto. Ma non è sufficiente. Dato che l'analista è l'altra parte contrattante, egli deve effettivamente assoggettare il paziente ai termini dell'ac- cardo. I1 terapista che interpreta le evasioni dal contratto del paziente, ma che al tampo stesso consente che acca- dano, diventa precisamente un'altra persona con cui il paziente intraprende nuovamente le sue abituali strate- gie di gioco.

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14 IL PERIODO CONCLUSIVO

Come termina il rapporto analitico?

Cominciamo col genere di asserzione relativa alla con- clusione dell'analisi e col genere di procedure per rag- giungerla, che io consildero inaccettabili. Si afferma spes- so che 1 trattamento psicoanalitico può o deve essere ilnterrotto quando la nevrosi di transfert del paziente. è risolta. Ciò è paragonabile all'affennazione che un medi- co può cessare di curare un paziente quando la sua ma- lattia è guarita. Entrambe le affermazioni sono tautolo- giche: esse asseriscono semplicemente che la malattia richiede una terapia e la salute invece no.

La procedura tipica, ma scorretta, di terminare l'ana- lisi è strettamente legata a questo modello concettuale di terapia medica. Secondo questa procedura è responsa- bilità del terapista stimare il progresso del paziente in analisi e decidere quando si deve metter fine alla terapia. Ma, come ho già detto, nell'accordarsi sul contratto anali- tico I'amlista autonomo liinunaia al potere e al diritto di esercitare questa opzione (salvo per il mancato paga- mento ddl'morario o forse, come una so- di disperata autodifesa contro la diretta aggressione del paziente). Quindi, la ~~ecisione di lintmrompere o di swpendere Vana-

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lisi di un paziente rientra nella stessa categoria d d a deci- sione di dargli tranquillanti o trattamenti di elettroshock: sono mosse non permesse allo psicoterapista autonomo.

Questi sono dunque i modi in oui l'analisi non può e non dovrebbe concludersi. Come fare allora? Poiché è il paziente a dover prendere la decisione, la risposta di- pende in gran parte dalla personalità del paziente e dal suo rapporto con l'analista. In verità è probabile che la fase terminale della psicoterapia autonoma riveli le stra- tegie di gioco tipiche dell'analizzando e sia quindi utille al lavoro analitico. Se tuttavia l'analista impone al pa- ziente le sue idee sulla fine dell'analisi, ad esempio pro- vando "a svezzare" i così detti pazienti dipendenti o stabilendo una data per il termine, egli oscurerà il con- tributo del paziente a questo aspetto dell'incontro. Agen- do così il terapista, non solo infrange l'autonomia del cliente, ma sacrifica altresì importanti occasioni di la- voro analitico. In verità, esattamente come il periodo di prova può essere la parte più significativa dell'incontro analitico per alouni pazicenti, per altri può esserlo il pe- riodo terminale.

Da questo punto di vista e in base a questo metodo, ne consegue che il contributo dell'analista al periodo termi,nale non dov'rebbe variare molto da paziente a pa- ziente, mentre quello dell'analizzando è destinato a va- riare in rapporto alla sua personalità e ai problemi che sta cercando di risolvere. E' quindi possibile fare delle generalizzazioni sulla condotta del,l1analista nella fase terminale, ma non su quella del paziente; il contributo dell'analizzando può essere unicamente accennato con esempi illlus~trativi.

I1 ruolo dell'analista nella conclusione dell'analisi

In un certo senso, la preparazione alla fine dell'analisi comincia ad principio della psicoterapia autonoma. Di

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regola i pazienti fanno domande sulla durata e conclu- sione del'l'analisi quasi fin dal momento in cui incontrano il terapista. Si camprende come i possibili pazienti si preoccupino non soltanto di quello in cui stanno per imbarcarsi, ma anche di come ne verranno fuori. Quindi il periodo finale deve essere visto nel contesto della re- lazione che lo precede: (le interviste inizialti, il periodo di prova e la fase contrattuale.

I1 terapista che segue la tecnica analitica tradizionale, stabilendo regole che il paziente dovrà seguire, desidere- rà anche applicare determilnate regole per dirigere il pe- riodo conclusivo. Al momento in cui analista e analizzan- do avranno percorso tale distanza, il paziente si aspet- terà di essere istruito sulle regole per terminare e sarà ben felice di seguirle. D'altra parte, se 'l'analista indica di voler preservare e allargare la sfera d'azione personale del cliente e insiste che tutte le decisioni, ilncluso l'ini- zio, la continuazione e la fine dell'analisi, sono di respon- sabilità del paziente, la situazione cabmbierà radicalmente. I1 cliente non si aspetterà che sia l'analista a dirgli quando o come terminare l'analisi, ma al contrario pen- serà di deciderlo in larga misura per conto proprio.

Non si tmratta unicamente di una situazione ideale; è anche un dato di fatto. Esso deriva logicamente dal me- todo psicoterapeutico. Man mano che il rapporto pro- gredisce, il paziente della psicoterapia autonoma si rende conto che il rapporto è soltanto suo e può farne ciò che vuole. Se desidera continuare o terminare in qualunque momento, può farlo, a prescindere dall'opinione dell'ana- lista.

Naturalmente, se un paziente domanda la mia opinio- ne sul termilne dell'analisi e io ne ho una, gliela comu- nico, così come farei per qualunque altro argomento che do #riguardasse; se invece non ne ho cilouna, ugualmen- te gli comunico questo pensiero. Fra me e i miei pa- zienti esiste quindi un'intesa sul periodo finale dell'ana-

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lista molto prima che si arrivi a questo punto. Quando vi giungiamo, essa viene sottoposta allo stesso esame di qualunque altra cosa nella relazione terapeutica. Come ho già detto, il modo di terminare spesso rivela una quan- tità di dati sui tipici giochi sociali e sulle strategie in- terpersonali del paziente. L'analisi della fase terminale serve quindi da riassunto di gran parte del lavoro anali- tico che l'ha pre~ed~uta. In molti casi, il paziente stesso è in grado di capire e di analizzare il gioco conclusivo.

Esempi di fine analisi

Nella psicoterapia autonoma, il periodo terminale può riflettere il problema esistenziale più importante dell'ana- lizzando e il suo modo abituale o preferito di cercare di risolverlo.

I seguenti esempi, nei quali ho contraffatto le infor- mazioni che potrebbero permettere un'identificazione, il- lustrano alquanto questi temi.

Esempio n. 1: I l desiderio di evitare di prendere decisioni responsabili.

Un internista stava completando la sua analisi verso la fine del terzo anno. Ci accordam~mo su una data di conclusione che cadeva poche settimane prima della par- tenza del paziente per un'altra città, per lavoro. Circa due settimane prima del nostro ukimo incontro, riportò il seguente sogno:

« Lei stava partendo per una vacanza, e mi indirizzava al dottor X. Io dicevo: ' Ma questo non ci lascerà assolu- tamente tempo per finire". Lei rispondeva "No, ma dobbiamo ccu1cludere in ogni caso" B.

Nel sogno, 11 paziente era sorpreso ma non sconvolto che lo mandassi via così bruscamente. I1 Dr. X era uno

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psichiatra-organicista e direttivo che il paziente conside- rava "l'ultima persona" alla quale si sarebbe rivolto per aiuto. Suggerì che il sogno potesse significare che egli sperava ancora che lo avrei "mandato via a calci", cosa che il padre non aveva mai fatto. Lo avrebbe preferito se io, anziché lui, avessi preso la decisione di terminare.

I1 padre del paziente era molto legato all'unico figlio, in verità troppo legato per il benessere del figlio. I1 padre gli era sempre intorno, pronto e desideroso di aiutare il figlio. In realtà era "senvizievole" anche quando il figlio non aveva alcun bisogno di aiuto e avrebbe preferito essere lasciato solo. I1 paziente dweva quindi emanciparsi della protezione del padre interamente attraverso i suoi propri sforzi. Si lamentava che il padre non 10 avesse mai incoraggiato ad essere indipendente e fiducioso in se stesso.

I1 contratto analitico permise di ricreare simbolica- mente quella che era una situazione in parte oppressiva, ma tuttavia confortevole per il paziente. Essendo perpe- tuamente disponibile, l'analista si comportava in gran parte mme il padre del paziente. I1 problema non è inso- lito: la situazione analitica spesso assomiglia ad alcuni aspetti del rapporto che l'analizzando ha coi genitori. L'unico sistema corretto di trattare ciò è discuterne e "analizzarlo". Ed è appunto quello che facemmo. Tuttavia il paziente continuò a sperare che mi "dimostrassi" di- verso da suo padre "mandandolo via a calci". Se avessi deciso io di teminare l'analisi, avrei soddisfatto il suo desiderio. Paradossalmente, tuttavia, io avrei solo dimo- strato che ero similce al padre. Inoltre, avremmo perduto l'occasione di usare la fase terminale, come ogni altra parte #dalla tenapia, per l'analisi.

Esempio n. 2: 11 desiderio di evitare di essere abbandonato Un giovane si preparava a concludere l'analisi, dopo

circa un anno. Temeva qualunque relazione protratta o

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ilmpegno significativo; di conseguenza anche l'analisi gli faceva p a r a . A causa del divorzio dei genitori, quando era bambino, i suoi primi rapporti significativi erano ter- minati sempre in modo sorprendente e di solito per lui spiacevole. Non appena progettò di terminare d'analisi, divenne chiaro che voleva sorprendermi. Fece vari pro- getti di prova per terminare, cambiandoli poi improvvi- samente e decidendo ogni volta di continuare la terapia per qualche altro mese.

Visto che io $10 seguivo nei suoi incerti piani, comin- ciò a chiedersi se non mi danneggiasse mettendomi in una posizione così imprevedibile. Da parte mia ritenevo di dover accettare questi termini dato che prima della fase contrattuale non avevo impedicato che avrei dovuto essere informato in modo certo e definitivo della conclu- sione dell'analisi. Al contrario, il nastro accordo era, come al solito, che il paziente poteva venire fin quando voleva.

Così la fase terminale, che occupò una parte conside- revole dell'analisi, fu la più importante dell'intero incon- tro terapeutico. In essa il paziente ricreò molte delle si- tuazioni nelle quali era stato trattato male dai genitori, ma questa volta invertendo i ruoli; egli era il genitore capriccioso, e io ill bambino che lui era stato.

Esempio n. 3: I1 desiderio di perfezione e di permanenza

La paziente era una giovane, figlia unica. I1 supremo interesse vitale di sua madre era di rendere la vita alla figlia solida e sicura D. Qualunque cosa e chiunque, specialmente il padre della paziente, erano usati prima dalla madre e poi dalla paziente stessa a questo scopo. I1 risultato fu che la paziente non si emancipò mai dalla madre, anche se pretendeva di averlo fatto; [questa sua pretesa la faceva sentire adeguata e l'aiutava a rnante- nere la finzione di avere e una buona madre N. In realtà non aveva mai esaminato, né rivisto, e neppure portato a

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un mesto e significativo confronto, il suo rapporto wn la madre. Qualunque cosa facesse e qualunque rapporto intraprendesse, rimanevano analogamente incompleti e irrimlti. La paziente razionalizzava tutto ciò attraverso una strategia di perfezionismo. Tutto doveva essere cc esat- tamente così D; ~onti~nuava a occuparsi dei suoi rapporti significativi con la pretesa speranza di migliorarli, ma in realtà lasciandoli immutati.

I1 suo rapporto con me divenne per la paziente « una cosa stupenda » che lei era riluttante a concludere. I1 problema della fine non venne nemmeno sfiorato nei pri- mi quattro anni di terapia, che si protrasse per molti anni ancora. La sua durata rifletteva la profonda convin- zione ddla donna di non essere mai completamente pron- ta a passare a una nuova attività, a un nuovo rapporto, a una nuova fase di vita. In verità, il cambiamento la spaventava. E' significativo che avesse cominciato la te- rapia con la stessa riluttanza. Ci aveva pensato sopra per più di dieci anni, e aveva atteso finché il suo modello stabile di vita non aveva minacciato di disintegrarsi.

Durata dell'analisi

Come regola, il rapporto analitico continua per di- versi anni. Molti psichiatri e psicoanalisti, incluso Freud, deplorarono questo fatto ed espressero la speranza che, a tempo debito, venisse ideato un più "efficiente" e rapi- do procedimento analitico. Come molte altre idee sba- gliate culla psicoanalisi, anche questa poggia sulla nozio- ne che l'analisi sia una forma di trattamento per la ne- vrosi paragonabile, diciamo, al trattamento medico per la tubercolosi polmonare. Se così fosse, sarebbe possibile migliorare l'analisi, esattamente come si perfezionano altri 'trattamenti medici, rendendola più rapida ed efficace nella sua azione e inoltre più economica e quindi alla portata di più persone. Tuttavia aspettarsi che la psico-

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analisi "si perfezioni" in questo senso significa frainten- dere la natura dell'impresa analitica.

La psicoanalisi non è una cura medica bensì un'educa- zione. Non è come essere guariti da una malattia, ma piuttosto come arrivare a conoscere un'altra persona o a imparare una lingua straniera o un nuovo gioco.

Quanto tempo occorre per ognuna di queste cose? E' a questo genere di esperienze umane che bisogna para- gonare l'analisi. Si può così capire perché l'impresa anali- tica, per da sua stessa natum, escl~uda la rapidità. Quesito non significa comunque che, per essere utile, ogni analisi debba djurare tre, quattro o più anni.

C'è un altro equivoco fondamentale nell'aspettativa che, con una maggiore conoscenza e capacità, gli analisti debbano essere in grado di aumentare la rapidità delle analisi. L'equivoco sta nel non rendersi conto che la durata di una particolare analisi non dipende né dalla natura della "malattia mentale" dd paziente, né dall'effi- cifenza o daill'i~neff~iaienza del "trabtamento" usato (anche sse ciò ha la sua riampoattanza), ma piuttosto dalla necessità e dal desilderio ded paziente di continuare a ricevere una "educazione anailiitica".

Studenti che prendono sempre nuove lauree, non di- ventano (necessariamente i migliori scienziati, né sempre i peggiori. Viceversa, studenti che abbandonano presto gli studi o che completano rapidamente la loro educa- zione, pos,sono fare molto o poco con ciò che hanno ap- preso; alcuni possono seguitare un processo di autoedu- cazione mentre altri possono dimenticare rapidamente tutto quello che hanno imparato. La situazione è analoga in psicoanalisi. Alcune analisi durano a lungo, e devono durare a lungo, a causa del tipo di persona che il pa- ziente è; altre sono e debbono essere relativamente brevi. E' un grave errore collegare l'efficacia dell'analisi con la sua durata. Di fatto, 'le due cose quasi non sono in rela- zione fra loro. Alcuni imparano più rapidamente di al-

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tri, sia a xuala che in d i s i . Lo s t ~ s o accade per gli analisti: alcuni lavorano più rapidamente di altri.

Riassumendo, la durata di una determinata analisi ri- flette due cose: la necessità del paziente e gli stili perso- nali dell'analista e dell'analizzando come giocatori anali- tici. E' questo che dobbiamo aspettarci senza sovrapporre all'analisi concetti e valori alieni da essa. Soltanto a queste condizioni il trattamento psicoanalitico può essere un incontro autentico e autonomo fra analista e analiz- zando.

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EPILOGO

CONSIGLI AI TERAPISTI

Imparare a praticare la psicoanalisi

Ho sostenuto che il rapporto analitico è come un gioco con l'analista e l'analizzando quali giocatori. Questa vi- sione del procedimen'to analitico ha delle conseguenze non solo per quanto riguanda la teoria e la prassi della psicoanalisi ma anche per il suo ilnsegnamento e il suo ap- prendimento.

Come impariamo a giocare i giochi di abilit8 e di stra- tegia? E' timportante essere chiari nel rispondere a que- sta domanda, perché ciò che è vero per i giochi di que- sto genere lo è anche per la psicoanalisi. Vi sono alcune cose sui giochi che si possono insegnare e apprendere attraverso la parola stampata e l'istruzione didattica; ve ne sono altre invece &e non possono essere trasmesse per questa via e che debbono essere acquisite con la pratica.

Ciò che può essere insegnato e appreso formalmente sono le regole del gioco e i principi che sottendono gli scopi e la struttura del gioco. Ho cercato di mettere a nudo questi due aspetti della psicoanalisi. Quello che non può essere insegnato e appreso formalmente è come giocare un determinato gioco: in questo caso, come e* sere un analista o un arializzando. In verità, dovrebbe

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essere owio che esistono serie limitazioni a qualunque impresa del genere. Dopotutto non si può dire ai gioca- tori come giocare un gioco; questo è affar loro. La vera essenza dei giochi è che i giocatori sono liberi di giocare o meno e, a;ll!intemo idelie regole Edal gioco, 'di @cacare co- me ritengano opportuno. Se una persona è costretta o a giocare contro il suo volere o a giocare in un certo modo, cessa di essere un giocatore (nel senso comune); anche se può apparire agli altri come se stes'se giocando un gioco, in realtà sta lavorando e non "giocando".

Con questo non si intende negare che alcun'i modi di giocare siano pih efficaci di altri. Desidero semplice- mente richiamare l'attenzione sul ruolo cruciale della li- bertà nel gioco; una persona le cui- mosse in un gioco sono regolate da altri, è considerata una marionetta o un robot. Generalmente ci si aspetta che i giocatori siano in- teramente liberi, entro le regole deI gioco. Attenendosi a ciò, quasi in ogni gioco un buon giocatore svilupperà il suo stile particolare. Come si applica questo alla situa- zione analitica?

E', chiaro che sia l'analista che l'analizzando debbono essere lacciiati liberi .di comportarsi come ritengono op- portuno, fi'ntanto che osservino le regok 'del gioco anali- tico. L'analista competente svilupperà così suo stile di'stintivo di analizzare; è probabile che questo stile vari alquanto da paziente a paziente e che possa anche cam- biare, a misura che l'analista invecchia ed è sottoposto a svariate esperienze. I1 paziente, naturalmente, deve es- sere libero di svolgere come ritiene opportuno il ruolo dell'analizzando più di q w t o non 10 sia il terapista nel- lo svolgere il suo molo di analista. Dopotutto, lo scopo della terapia è di osservare e analizzare le strategie di gioco del paziente: se l'analista gli dice come compor- tarsi, cosa resta da analizzare? I1 valore della situazione psicoanalittica sta nel costringere il paziente solo legger- mente e in senso generale, vale a dire unicamente secondo

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certe regole di gioco, piuttosto che con richieste di atti specifici di acquiescenza.

Oltre ad imparare le regole e i principi della psilcote- rapia autonoma, il terapista che desideri diventare com- petente in questa attività deve praticarla. I1 terapista alle prime armi può trarre profitto dalla "supervisione" del suo lavoro se la relazione tra lui e il supervisore è an- ch'essa autonoma, vale a dire se il supervisore è agente del terapista.

Cosa dire dell'analisi personale del terapista? Lo aiuta a imparare ad essere analista? Ho di proposito tralascia- to la discussione di questo tema nelle parti anteriori di questo libro e non mi dilungherò molto al riguardo nean- che adesso.

Ritengo che sia general'mente utille per il terapista avere una analisi personale, ma lasciatemi aggiungere qualche pecisanione. Personalmente, ho dalle serie ri- seme cilrca il vallore (delle "analisi did datti che" obbligatorie, praticate in cmfomità alle richieste delle varie organiz- zazioni psicoanali~tiche. Sebbene una simile "analisi" pos- sa aiutare il terapista a guadagnare credito, è improbabile che lo aiuti a liberarsi dalle sue intime costrizioni. Analisi personali intraprese al di fuori della giurisdizione di un sistema di training organizzato, è più probabile che siano personalmente utili al terapista. Ma anche qui dobbiamo essere sensati in ciò che ci aspettiamo. Avere una "buona analisi" non lo rende a uno un buon analista, né cono- scere i propri "punti ciechi" lo assioura contro l'inettitu- dine analitica.

In altre parole, non considero un'analisi personale in- dispensabile per una competenza ad analizzare. Infatti, se l'analisi del terapista è autonoma può avere un solo effetto: di lasciarlo personalmente libero di fare ciò che vuole. Alcuni analisti analizzati vorranno praticare la psicoterapia autonoma; altri preferiranno una pratica dif- ferente. L'idea che l'analisi personale dello psicoterapista

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è destinata a far di lui un analista migliore di quanto sarebbe stato senza di essa è illogica e probabilmente non vera.

Ciò che più di ogni altra cosa occorre all'analista è un genuino interesse per il lavoro analitico e una buona disponibilità ad entrare in rapporto col cliente sulla base di principi ben meditati piuttosto che con un in.tento te- rapeutico amorfo. Se questa persona ha poi ricevuto an- che un periodo di lavoro analitico ed è percib pratico del gioco analitico dal punto di vista dell'analizzando, tanto meglio.

Esiste un altro tipo di istruzione che può risultare utile ai probabili giocatori; vale a dire consigli su alcuni aspetti del gioco (nel nostro caso, su alcuni tipi di situa- zioni analitiche ricorrenti). A conclusione, offrirò alcuni suggerimenti di questo tipo a coloro che sono interessati a praticare la psicoterapia autonoma.

Indicazioni ai terapisti

Dimenticate di essere medici

Se siete psichiatri, non lasciate che la vostra prepara- zione medica vi intralci (la istraida. Se non siete preparati dal punto di vista smitario, non aspirate segretamente ad essere un medico. Se il servizio che vi proponete di vendere è l'analisi, il vostro dovere nei confronti dei clien- ti e di voi stessi C di essere un'analista competente. La competenza .in un'altra disciplina (ad esempio in me- dicina) non è una giustificazione per l'incompetenza nella teoria e nella prassi della psicoanalisi.

Sarete "utili" e "terapeutici" se rispetterete il vostro contratto

Non pensate di dover soddisfare richieste del paziente per servizi non analitici. Non siete responsabili della sa-

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lute fisica del paziente: è lui ad esserlo. Non occorre che di~mostriate di essere umani, che vi interessate a lui, o che siete degni di fiducia in qua~nto vi preocaupate della sua salute fisica, del suo matrimonio o dei suoi affari economici. La vostra unica responsabilità verso il pazien- te è di analizzarlo. Se lo fate in modo competente, sarete l, umani" e "terapeutici"; se non lo fate, avrete mancato con lui, a prescindere da quanto possiate essere umanitari per altri aspetti.

Dovete conoscere il vostro paziente

Dovete vedere il paziente abbastanza spesso e per un periodo sufficientemente lungo per conoscerlo bene. Deve esserci continuità nel vostro rapporto. Per capire e pa- droneggiare un movo gioco, alcuni giocatori richiedono più tempo di altri. Se siete terapisti principianti, farete bene a chiedere meno e a vedere il vostro paziente più spesso di quanto avreste potuto altrimenti. Con i vostri primi pazienti abbiate almeno quattro sedute settimanali e, se possibile, anche ainque o sei. Se vedete i vostri pa- zienti salo tre volte la settimana, ;patreste avere d d e d2f- Eiccnltà neil seguire k mosse (del gioco; e se salo due volte la tseatimana, b vasire possibilità di ~divenltare un abile p s i c o t ~ i s b a autonomo sono scarse.

Non lasciatevi costringere da "situazioni di emergenza"

Se vi siete comportato in maniera autonoma all'inizio del t'rattamento e avete progredito soddisfacentemente fino alla fase contrattuale del rapporto, una delle mag- giori minacce per la terapia è una situazione di emergen- za. Ricordate il vostro contratto e non sentitevi costretto ad abbandonarlo a causa di un'emergenza. Non è im- portante che l'emergenza sia reale o che \i4l paziente stia mettendovi alla prova per vedere se manterrete il vostro ruolo analitico (in ogni caso non potrete accertarlo se

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non lo manterrete). Ecco un esempio. I1 paziente, omoses- suale, viene arrestato dalla polizia. Interverrete? No, que sto è un problema che riguarda il paziente e il suo av- vocato.

Se intervenite in una situazione di emergenza, coin- volgete il paziente in un altro gioco e sciupate la vostra utilità come analista. Ad esempio, il vostro paziente è de- presso; forse potete volerlo ricoverare in ospedale e trat- tarlo con elettroshock. Secondo il mio punto di vista, questo equivale a interrompere una partita di bridge per consigliare il partner su come dirigere i suoi affari o come ottenere il divorzio. 1'1 consiglio può essere buono, cattivo o indilferente, ma non fa parte di una partita di bridge.

Una volta che siete usciti dal gioco analitico, potreste trovare difficile, se non i~mpolssibile, rientrarvi. E' questa un'importante caratteristica della psicoterapia cantrat- tuale e sia voi che il vostro paziente dovete ~iconuscerla.

Non fraintendete le idee e i sentimenti del paziente nei vostri confronti

[Ciò che il paziente pensa e sente su di voi è tanto "reale", quanto quello che potrebbe sentire e pensare chiunque altro. Sebbene possa essere ragionevole catalo- gare alcuni dei suoi sentimenti e pensieri come "tran- sfert", srioordate che, così facendo, il comportamento viene giudicato e non descritto. Supponiamo, come ipotesi di lavoro, che nella misura in oui il paziente si preoccupa di voi coane persona e come fante di approvazione e affetto, egli sta evitando la responsabilità di decidere ciò che vuol fare con se stesso. Egli cerca così di risol- .vere il problema di dover dare un significato alla sua vita attaccandosi al significato che voi avete dato alla vostra. Incoraggiandolo a wmpartmsi in questo modo, voi lo tradite.

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La vostra vita e la vostra situazione di lavoro debbono essere compatibili con la pratica della psicoterapia autonoma

Se praticate la psicoterapia autonoma dovrete mo- strare un atteggiamento di "vivi e lascia vivere" con i vostri pazienti. Sarebbe difficile farlo se foste coartati o tomentati da altri, o se al di fiuori della pratitca analitica svolgeste delle attività che vi obbligassero a coartare e tor

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entare gli altri. Ad esempio, !se siete interni in un ospedale di stato o candidati in un istituto psicoanalitico, come potrete lasciare tranquilli i vostri pazienti se i vostri superiori a loro volta non vi lasciano tranquilli? Sarete in grado di lasciare che i vostri pazienti diven,ti- no più liberi di quanto voi stessi non siate?

Forse concluderete che l'unico modo per essere padro- ni di voi stessi è quello di dedicarvi alla pratica privata a tempo pieno. Ci sarebbe molto da dire a suo favore. Sfortunatamente, comunque, è difficile trascorrere tutto il proprio tempo praticando l'analisi. Se vedete otto o dieci pazienti, giorno dopo giorno, c'è la probabilità che il livello della vostra attività non sia compatibilmente alto. Una buona soluzione a questo dilemma è di combina- re il lavoro analitico con altre attività compatibili con esso: ad esempio l'insegnamento, la rioerca e lo scrivere.

Non prendete appunti

I1 rapporto psicoanalitico è un incontro personale. Voi non fate nulla al paziente, o almeno non più di quanto egli non faccia a voi. Voi non siete l'osservatore ed egli colui che è osservato. Entrambi giocate un dupli- ce ruolo come partecipanti a un rapporto e osservatori del medesimo. Che effetto avrebbe sui vostri rapporti con vostra madre, con vostra maglie e con gli amici il prendere appunti? Non siate quindi dimentichi delle con- seguenze metacomunicative per il paziente del vostro atto di prendere appunti.

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Isn ogni caso chiedetevi perché vdete prendere appun- ti. h r aiutarvi a ~ricardare ciò che 9 paziente v i dice? Non vi servirà più che se non li prendete. Per registrare la storia di un caso? Per farne che cosa? Per raccogliere del materiale a scopo di ricerche? Potete prendere degli appunti su ciò che ritenete vi possa essere utile dopo l'intervillsta o &dia fine della giornata. Se siete dubbiosi sul genere di cose che vi occorrono, gli appunti non vi ser- viranno a nulla; un'esposizione dettagliata delle "produ- zioni" del paziente è un documento inutile.

Voi siete responsabili della vostra condotta, non di quella del paziente

Questo è il principio fondamentale della psicoterapia autonoma. Voi non siete responsabile del paziente, della sua salute (mentale o fisica) o della sua condotta: di tutto ciò ne è responsabile il paziente stesso. Voi siete invece responsabili della vostra condotta. Dovete essere veritiero: non ingannare o disorientare mai il paziente informandolo male o rifiutandogli le informazioni di cui ha bisogno. Non parlate di lui con terzi, sia che abbiate o no il suo consenso a farlo. Fate ogni sforzo per capire il paziente cercando di sentire e pensare come lui. Infi- ne, siate onesto con voi stesso e critico nei confronti del- le vostre proprie norme di comportamento e di quelle del- la vostra società.

In una parola, dovete essere un analista.

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INDICE ANALITICO E DEI NOMI

Abbandono desiderio di evitare l'-, 269

Abitudine sintomo e -, 38

Acting out, 216 Adler, Alfred, 70, 75, 85 Adler, Mortimer, 42 Alexander, Franz, 340, 86 Allievo

paziente o analizzando come -, 116-l:?, 127

Anaclitica - terapia, 73

Analisi conclusione dellP-, 183-199, 265- 273; definizione del1'-, 158; ori- gini storiche del4'-, 6061; sce oo dell'. 39: vedi anche ~sicoa- , . nalisi

Analista - u attivo » e u passivo m, 88; do- manda del paziente sul1'-, 209- 211; comportamento strat ico dell', 83; indioazioni al1'-,975- 282; l ' nella fine analisi, 183- 199; 1'- come maestro, 80-81; 1'- come terapista, 95, 116; ne drir- neiilintervista, messe del1'-, 154156; vedi an- che psicoanalista, terapista

Analista didatta mancanza di libertà nel m- tratto con l'-, !59-160

Analista - paziente, relazioni, 105-1 11 vedi anche paziente-terapista, relazioni

Analizzando - come paziente o allievo, 85-86, 116-119. 127

Ansia, 49, 82, 241

Appuntamenti disdetta di -, 233-236; richiesta di - , 207-208; fissare gli -, 204, 207-209, 229

Appunti prendere -, 281-282

Apprendimento gerarchie di -, 77-79; psicoanalisi e -, 79-83; vedi anche educazione

Arendt, Hannah, 111 Assistenziale, vedi stato assi-

stenziale Astinenza, 240-243 Autoanalisi, 82 Autoasserzione, 260 Autonomia

concetto di -, 245; - come con- cetto positivo, 46-49; conserva- zione del1'-, 29; ideologie e -, 43; libertà e -, 196-199; principio di -, 203-205

Autoresponsabilità, 104, 117, 191, 210, 238 vedi anche libertà. resoonsa- bilità

Autoselezione, 125-126 Autotrasformazione, 118, 176

Boss, Medard, 153 Boulding, Kenneth, 105 Brain Watchers, The (Gross),

36, 63 Breuer, Josef, 34, 61 Bridge - come modello di contratto, 162-174, 193- 196

Callois, Roger, 27 Camus, Albert, 25

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Capacità scienza e -, 59-60

Catartico (Metodo), 61 Charcot, Jean Martin, 50 Cliente - come paziente, 75, 95; - ana-

lista, relazioni; si veda paziente, terapista, relazioni

Cochrane, Hortence S., 45 Coercizione, 236, 240

libertà e -, 174-178 Collettivismo, 23, 46 Colpa, 39, 249-250 Comando - e contratto, 149

Comprensione potere e -, 198; - in psicoanalisi, 82

Comunicazione la condotta come forma di -, 38; il contratto come -, 154156; - con terzi, 214-216, 225-226

Comunista ideologia -, 147

Comunità - e individuo, 51-53 Conclusivo

ved. terminale Condotta - come comunicazione, 38 Conflitto

collaborazione e -, 135-138 Contatto iniziale - nella psicoterapia autonoma, 115-128, 203-218

Contrattazione - tra analista e paziente, 128, 131-138; 170-171, 247-251, 257-258; vedi anche contratto

Contratto analitico, 138, 140, 143, 181, 231, 263 concetto di -, 245; condizioni ne- cessarie per il -, 256-258; il - c e me comunicazione, 154-156; a- dempimento del -, 232-239; con- clusione del -, 183-199, 265-273; definizione del -, 143-145; dura- ta del -, 271, 273; il - come limi- tazione del potere, 148, 174, 198; - non nspettato o nspettato in eccesso, 247-251

Contrattuale, psicoterapia, 28- 29. 154 vedi anche psico terapia aute noma

Decisioni da prendere i ruoli del passato e del futuro nelle -, 186-189; desideri di evi- tare -, 268-271; veci. anche scelta

Denaro -. -

pagamento di - 176-177, 200, 217, 233, 253-254, 25f

Denney, Reuel, 46 Dmressione. 122-123. 173. 237 , , Diagnosi .

la - in psicoterapia autonoma, 124-126

~ i d a t g ved. analista didatta

Divano analitico, 60-61, 65, 222 Dector's Dilemma, The (Shaw), 136

~ G a n d e , 209-21 1 Doni e favori, 251-256

Ebrei libertà di gruppo per -, 44-45

Edipo complesso di -, 72

Educazione il trattamento psicoanalitico co- me -, 75-92

Eichman, Adolf, 111 Elettroshock terapia, 123, 237 Emergenza

costrizione da situazioni di -, 279-280

Emerson, Ralph Waldo, 25 Erikson, Erik M., 69 Es, 86, 89 Esistenziale - scelta, 118

Esperto - come terapista, 75, 116

Eteronomia, 22, 30, 46, 108, 252

Famiglia status e -, 145-147

Famiglia, autoritaria, 38 Fase contrattuale, 205, 231-263 Fenichel, Otto, 27, 232 Ferenczi, Sàandor, 240 Friedman, Milton, 47 Freud, Ernest L., 75 Freud, Sigmund, 23, 25, 39,

44-46, 48-52, 58-62, 69-70, 73, 75, 79, 84-85, 92, 109, 129, 131, 136, 143, 154, 157, 232, 240-241

Fromm, Erich, 75

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Futuro Ipnoanalisi, 63 ruolo del - nella scelta decisi* Ipnosi, 92 nale, 186-189 Ipocondria, 37-38, 82, 204, 261

Isteria, 88, 92, 243 Genitore - figlio

rapporto -, 47, 152-153 Giocare

i giochi e il -, 9697 Gioco

l'analisi come -, 25; il bridge come modello di -, 162-174; i1 concetto di -, 93-96; il - come associazione, 131-132; definizione

reliminare del - in analisi, %l-228; conclusione del -, 190- 196; natura del -, 96-97; gli scac- chi come modello di -, 102, 129- 131; penodo di prova nel -, 161; 2 di lin a io, 258-263; tipi di -, 101, iEif8 - terapeutico e - educativo, 115-116; il .- come mo- dello, 93-96; - analitico, 25, 26

Gioco medico conclusione del -, 190-191

Glazer, Nathan, 46 Glover, Eward, 232 Gross Martin L., 63

Haley, Jay, 130 Havighurst, Harold C., 148 Hoffman, Banesch, 63 Holmes, Oliver Wendell, 150

Illuminismo età del1'-, 41

Impegno - e - .esa erato 37-38

Inconscio, 95, 81: 88-91 Incontri umani, 64-65 Indicazioni - ai teravisti, 275-282: educazio- ne come--, 81

Individualismo, 24, 44-46 vedi anche autonomia

Influenza del psicoterapista, 21 Insegnamento - apprendimento

processo di -, 77-79 Insight - psicoanalitico, 81

Interpretazione dei sogni (Freud) I'-, 84

Intervista iniziale, 212-218 Invio del paziente, 205-207 Io, 86, 89

analisi delll-, 40

Jefferson, Thomas, 41 Jung, Carl, 75, 85

Karinthy, Frigyes, 137 Klein, Melanie, 86

Laissez-f aire liberalismo del -, 44

Libera associazione, 60-61, 65, 222

Libertà autonomia e -, 194199; coercizio- ne e -, 42, 174-178; - collettivi- stica 42, 174-178; concetto di -, 4i-43; - individualistica, 41; - di gruppo, 44-45; - olitica, 198; - di contr?ttare, 18-160; - e contratto sociale, 146-147; psi- coanalisi e -, 39-41, 140; restrizio- ne della -, 35-39

Lincoln, Abraham, 42 Listen, Little Man (Reich), 40 Luther Martin, 70

Maestro lo psicoanalista come -, 79-81

Maine, Sir Henry, 145 Malattia mentale e malattia so-

matica, 66 mito della -, 5156

Manipolazione - del paziente o cliente, 64, 240

Marx, Karl, 42 May, Rollo, 75 Mead, George H., 97 Medica

semantica -, 25 Medicalismo IX, 23 Medica1 Value of Psychoana-

lysis, the ~(Alexander), 34 Mediche

procedure -, 224 Medico

modello -, 55-57, 190-191; con- tratto col -, 151-154

Medicina specializzazione in -, 55-56

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Medicine prescrizione di -, 155-156, 237

Meng, Heinrich, 75 Metaeducazione, 78, 82-83 Metaindicazione, 81-82 Mills, C. Wright, 51 Mises, Ludwig von, 47 Mito della malattia mentale, il

(Szasz), 25, 76, 93 Morale

libertà - e colpa, 39; mandato - della psicoanalisi, 49; perdita del mandato -, 50; terapia -, 259

Negoziazione ved. contrattazione

Nevrosi la - come malattia, 66; psicoa- nalisi e -, 34, 40, 84

Nietzsohe, Friedrich, 148 Normalità, 40

Omosessualità. 261 Onorario - dell'analista, 210, 217, 233, 253 254, 257

Oppressione, 45 ved. anche tirannide

Paternalismo, 44 Paziente - « analizzabile P, 119-121, 128, 209, 219-216; - come ucliente~, 75, 95, 116, 119 ; frustrare e sod- disfate il -, 240-244; necess$à di conoscere il -, 279; - indifeso, 133-135, 237.238, 247-248; ruolo iniziale del -, 205-206; il - wme aprofano», 116; manipolazione del -, 64, 240; i1 - come risolu- tore di roblemi, 104.105; invio di -, 20x207; autos+aione del -, 122-123; il ruolo di a malato m del -, 248; - come allievo, 112- 116 127 - - -, -- .

Paziente-terapista, relazione - e contratto analitico, 138-139, 143-144; libertà e costrizione nel- la - 174-175; doni e favori nella -, 251-256; contratto iniziale nel- la -, 115-128, 203-218; a amentb di denaro nella -, 1%-fj7: 217, 233, 253-254, 257; a selezione m nella -, 119-123; rappoai sqsua- li nella -, 242-244, regole di sta- tus e -, 151-154; vedi anche gioco del bridge, contratto

Perfezione desiderio di -, 270-271

Periodo di prova, 129-141, 161- 162. 228-230 - come gioco o associazione, 131- 135; necessità del -, 219-221

Personalità del terapista, 66-73 Piaget, Jean, 97 Potere

limitazione del -, 148, 151156, 174, 198; - e com rensione, 197

Potter Ste~hen. 130 A ,

Privacy - deila situazione analitica, 205; ved. anche Riservatezza

Procedure non analitiche, 80-81, 182-185, 236-239

Protoeducazione, 77-79, 83, 91 Prova

ved. periodo di prova Pseudostrumentalismo, 61-64 Psicoanalisi

scopo deila -, 39; gioco del brid- e come modello della - 162- f74; denotazione deila -, 33-34; la - come educazione, 75-92, 272; frazionismo nella -, 85; l'idea etica di Freud sulla -, 140; - pienamente contrattuale, 154

P s i ~ l i ~ s i - come gioco, 93-111, 129-131, 162-174; storia della -, 83-88; - nella storia delle idee, 34; ap- prendimento della pratica della - 275-278; - come psichiatria me- dica, 75; metaeducazione nella - 80-83; modificazioni della -, 9b; il mandato morale della - 49-53; pseudostrurnentalismo nel: la -, 61-64; chi cerca e chi evi- ta in -, 105-111; uso del termi- ne :, 29-30; vedi anche psicote- rapia autonoma, trattamento psicoanalitico

Psimlndista - come esperto nel a rimosso P, 88-92; ved. anche analista, te- rapista

Psichiatra capacità dello -, 55, 65; vedi an- che analista, terapista

Psichiatria individuo e comunità in -, 51-53; specializzazione in -, 55-57

Psichiatria comunitaria, 22, 53 Psicoterapia

assenza di norme in -, 87; per- sonalità dell'analista e -, 66-73;

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il gioco del brid e come m e dello di -, 162-17g il concetto di -, 21; - contrattuale, ved. con- tratto analitico; - famigliare o di gruppo, 51-53; - come roces- so di apprendimento, 79-f3, 117- 118; modello medico della -, 55- 58; natura della - 28; - non analitica, 80, 2 ~ 9 ' ; sicoanaii- si come forma di -, &; rappre- sentazione di un ruolo in -, 68; studio scientifico della -, 33- 111; - come azione sociale, 21- 24, 93-96, 145-151; conclusione della -, 183-199, 2652i3

Psicoterapia autonoma, 29-30, 41. 65 indicazioni al terapista nella -, 275-282; contratto analitico nel- la -, 138-139, 143181, 183-199, 256, 258, 265, 273; conflitto e col- laborazione nella - 135-138; fa- se contrattuale nelfa -, 143-181; diagnosi in - 123-126; frequenza delle sedute nella -, 218-221; ana- lisi del modello di gioco della -, 97-101; contatto iniziale nella -, 115-128, 203-218; metodi. della -, 203-273; rapporto fra chi cerca e chi evita in -, 105-111; periodo terminale nella -, 183-199, 265-273; teoria della -, 115199' nodo di prova nella -, 129-f4r 219-230; ved. anche psicoanalisi, tratta- mento psicoanalitico

Psicoterapista concetto di -, 21; finalità dello -, 22; si veda anche terapista

Radò, Sandor, 86 Rank, Otto, 86 Rapporto psicoanalitico

natura contrattuale del -, 48; etica del -, 48; motivi per stu- diare il -,, 3435; - come proble- ma scientifico, 33-53

Registrazioni vedi appunti

Reich, Wilhelm, 39, 75 Reik, Theodor, 75 Rapporti sociali

organizzazione dei -, 145-151 Responsabilità, 48-49, 136, 174,

199, 214, 223, 282 linguaggio della -, 259-263; ved. anche autoresponsabilità

Resistenza, 50 Ricordi traumatici, 39 Ricovero in ospedale psichia-

trico, 226-228

Riesman, David, 46 Rimozione, 88-92 Riservatezza, 191-192, 205, 206,

'212; 222, 225-226, 239 Risolutore di problemi, 104 Ritardo - del paziente, 233-234 Rivoluzione Negra, 146 Rorschach Test, 63, 219 Rousseau, Jean-Jacques, 42 Ruolo da rappresentare, 68 Ryle, Gilbert, 56

Saint-Simon, Claude Henry, Comte de. 42

Scacchi gli - come modello psicoanaliti- CO, 101-102, 129-131

Scelta, 23, 28, 104, 111, 124-126, 216. 246 - kistenziale, 118; ved. anche li- bertà

Schelling, Thomas, 102 Schweitzer, Albert, 38 Scienza, significato del termi-

ne 58-59 Scienza sociale - modello nella -, 93-96

Seidenberg, Robert, 45 Semantica della medicina, 95 Sfruttamento nel rapporto

analitico, 43, 176, 249-251 Shaw, George Bernard, 136 Silenzio, 212-213 Sintomo

iudizio e -, 35; - psichiatrico, g5-39

Situazione analitica analisi della -, 245-258; natura della -, 64-66; riservatezza della -, 205; ved. anche analisi

Società il contratto nella -, 148-151

Società aperta (open), 23, 110 Sogni

analisi dei -, 223-224 Specialista non tecnologico,

58-66 Specializzazione, 55-56 Stato Assistenziale, 53 Status

relazioni di -, 145-154 Strategia del vincere, 130 Studi sull'isteria (Freud), 84

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Suicidio, 156, 226-228, 237 Sullivan, Harry Stack, 69-70,

80, 86 Szazs, Thomas, 43, 65, 101, 241

Tecnica scienza e -, 58-60

Tecniche non direttive. 88 Terapia

ved. psicoterapia autonoma, psi- coterapia

Terapia famigliare, 51-53 Tempia di Grupcpo, 51-53 Terapia che svela, 90 Terapista

consigli ai - 275-282; - come analista, 95, i16; - autonomo e - eteronomo, 71-73, 88; - come medico -, 95; - come esperto, 75, 116; condotta iniziale del -, 203; - guidato dal suo intimo e - guidato da fattori esterni, 71-72; - iperzelante, 73; personalità del -, 66-73; identità professionale del -, 55-73; rappresentazione di un ruolo o imitazione nel -, 68; - come scienziato, 58; - come specialista, 57-58; ved. anche a- nalista, psichiatra

Terminale periodo - nel contratto analiti- CO, 183-199, 265-273

comunicazione con -, 214-217, 225-227

Tests psicologici, 61-64, 219 Thematic Apperception Test,

63, 219 Tirannide

veci. anche oppressione, 41-42, 110

Training ved. aiche analisi didattica, 5(r 51, 159-160

Transfert, 50, 120-139 nevrosi di -, 26; inconscio e -, 89

Trattamento psicoanalitico contenuto del -, 83-92; - come educazione, 75-92; libertà e - 39-41; - come «gioco s, 93-111: 129-131; contatto iniziale nel -, 115-128; teoria del -, 25-28; ved. anche psicoterapia autonoma

Uomo l'-, come persona, 25

Uomo organizzazione, 149

Vacanze, 234-235 Valori

promozione di -, 22 Volfiaire, F r a n ~ i s Marie Arouet,

41

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Presentazione

Prefazione

Introduzione Psicoanalisi o psicoterapia autonoma?

PARTE PRIMA: LO STUDIO SCIENTIFICO DEL- LA PSICOTERAPIA

1. La relazione psicoanalitica come problema scientifico Perché studiare il rapporto analitico? L'individuo, il gruppo ed il problema della libertà (I1 sintomo psi- chiatrico come limitazione della libertà. L'idea di li- bertà e il trattamento psicoanalitico. Libertà per chi? Freud, il paziente e la società. Perché l'autonomia?) I1 mandato morale della psicoanalisi (Psichiatria per l'individuo o per la comunità?) 33

2. L'identità professionale dello psicoterapista Che genere di esperto è lo psicoterapista? (I1 modello medico della psicoterapia. Lo psicoterapista come spe- cialista in una tecnica). I1 dilemma dell'esperto non tec- nologo (Lo psicoterapista è uno scienziato? La scienza come possesso di capacità strumentali. Le origini stori- che del setting analitico. Pseudostrumentalismo in psi- coanalisi. Lo studio corretto degli incontri umani). La tecnica psicoterapeuiica e la personalità del terapista (La tecnica psicoterapeutica come caratteristica perso- nale del terapista. La rappresentazione di un ruolo psi- coterapeutico come imitazione. L'identità psicoterapeu-

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tica autentica. I1 terapista autonomo di fronte al tera- pista eteronomo) 55

3. Il trattamento psicoanalitico come educazione Gerarchie di apprendimento. Apprendimento, psicote- rapia e psicoanalisi. I1 contenuto del trattamento ps!- coanalitico. (Lo psicoanalista come esperto del a n- mosso ») 75

4 . Il trattamento psicoanalitico come gioco I1 gioco come modello nelle scienze sociali. La natura dei giochi e del giocare. Un'analisi del modello di gioco della psicoterapia autonoma (L'analizzando u gioca » - l'analista « lavora ». Le « modifiche » tipiche della psi- coanalisi). Che tipo di gioco è la psicoanalisi? I1 pa- ziente psicoanalitico come risolutore di problemi. (Due categorie di persone: colui che cerca e colui che evita. Colui che cerca. Colui che evita) 93

PARTE SECONDA: LA TEORIA DELLA PSICOTE- RAPIA AUTONOMA

5 . I1 contratto iniziale tra paziente e terapista I1 gioco come trattamento e il gioco come educazione. I1 ruolo del paziente e il ruolo dello studente. Chi sele- ziona e chi viene selezionato. I1 significato dell'autose- lezione del paziente. Diagnosi o dialogo? La presa di contatto iniziale tra il paziente e il terapista autonomo 115

6 . Il periodo di prova La psicoanalisi come gioco: il modello degli scacchi. Che tipo di gioco è il periodo di prova? Conflitto e collaborazione nelle situazioni assistenziali. Quando termina il pefiodo di prova? 129

7 . La fase contrattuale: I. I concetti di contratto e di status Che cosa è un contratto? L'organizzazione dei rapporti sociali (I1 contratto e la società moderna). Lo status, il contratto e il rapporto medico-paziente. I1 contratto come comunicazione. Libertà di contrattare 143

8. La fase contrattuale: II. Il bridge contratto e la psicoterapia contrattuale

Dal periodo di prova al contratto. I1 bridge e la psi- coanalisi (Auction bridge e bridge contratto. I1 bridge contratto e la psicoterapia contrattuale). Due tipi di bridge - due tipi di psicoterapia. (La dichiarazione - I1 periodo di prova. Giocare le proprie carte - rispettare

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il contratto terapeutico). Libertà, costrizione e rapporto psicoanalitico. L'integrità del rapporto analitico 161

9. I1 periodo finale La concezione analitica tradizionale della fine analisi. I ruoli del passato e del futuro nelle decisioni terapeuti- che da prendere. I principi per terminare l'analisi in maniera autonoma. (I1 gioco medico e le regole che ne stabiliscono il termine. I1 gioco analitico e le regole che ne stabiliscono il termine. Sulla conclusione dei giochi: implicazioni del modello del bridge). Autonomia, libertà e psicoterapia 183

PARTE TERZA: IL METODO DELLA PSICOTERA- PIA AUTONOMA

10. Il contratto iniziale tra paziente e terapista I1 principio dell'autonomia e il metodo psicoanalitico. Come si diventa pazienti in psicoterapia. Chiarifica- zioni prima dell'intervista iniziale. Le interviste iniziali 203

11. Il periodo di prova Perché è necessario il periodo di prova. Definizione pre- liminare del gioco analitico. (Frequenza delle sedute. I1 divano. La libera associazione e la regola fondamen- tale. I sogni. Procedure mediche. Comunicazioni con terzi. Ricovero in ospedale psichiatrico e suicidio). Co- me termina il periodo di prova? 219

12. La fase contrattuale: I . L'adempimento del con- tratto Rendere effettivo il contratto analitico (Come fissare gli appuntamenti. Complicazioni per procedure non analitiche). a Frustrare » e « soddisfare » il paziente 231

13. La fase contrattuale: II. Analisi della situazione analitica Analisi della situazione analitica (La persona che abi- tualmente non rispetta i contratti. La persona che abi- tualmente eccede nell'adempimento del contratto. Scambio di doni e di favori. Le condizioni necessarie per contrattare). L'analisi dei giochi di linguaggio (I1 linguaggio delle scuse e il linguaggio della respon- sabilità). 245

14. I1 periodo conclusivo Come termina il rapporto analitico? I1 ruolo dell'anali- sta nella conclusione dell'analisi. Esempi di fine analisi (Esempio n. 1: I1 desiderio di evitare di prendere

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decisioni responsabili. Esempio n. 2: I1 desiderio di evi- tare di essere abbandonato. Esempio n. 3: I1 desiderio di perfezione e di permanenza). Durata dell'analisi 265

15. Epilogo: Consigli ai terapisti Imparare a praticare la psicoanalisi. Indicazioni ai te- rapisti (Dimenticate di essere medici. Sarete u utili » e « terapeutici » se rispetterete il vostro contratto. Do- vete conoscere il vostro paziente. Non lasciatevi costrin- gere da « situazioni di emergenza ». Non fraintendete le idee e i sentimenti del paziente nei vostri confronti. La vostra vita e la vostra situazione di lavoro debbono essere compatibili con la pratica della psicoterapia au- tonoma. Non prendete appunti. Voi siete responsabili della vostra condotta, non di quella del paziente 275

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E. H . Erikson, Infanzia e società trad. di A. Armando, 19736, L. 3.000.

E. H . Erikson, Introspezione e responsabilità trad. di M . Falorni. intr. di L. Ancona, 1968, pp. 256, L. 1.800.

E. H. Erikson, Gioventù e crisi d'identità trad. di G. Raccà, pp. 380. L. 5.000.

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