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CAPITOLO PRIMO L’ETÀ DELLA RESTAURAZIONE SOMMARIO: 1. Il ripristino dell’ancien régime. - 2. Il Congresso di Vienna. - 3. La Santa Alleanza e il concerto delle potenze. - 4. Il nuovo assetto dell’Europa. - 5. L’as- setto dell’Italia. - 6. Le nazioni europee nei primi anni della Restaurazione. - 7. La situazione dell’Italia. - 8. Le società segrete. 1. IL RIPRISTINO DELL’ANCIEN RÉGIME Il periodo storico che va dal Congresso di Vienna (1814-15) alla rivolu- zione di luglio in Francia (1830) è detto comunemente età della Restaura- zione. Alcuni storici, tuttavia, prolungano l’età della Restaurazione almeno fino all’epoca delle rivoluzioni del 1848. Dopo l’abdicazione di Napoleone, quasi tutti i sovrani europei che era- no stati spodestati dalle armate francesi, in applicazione del principio di legittimità sancito dal Congresso di Vienna, ritornano sui loro troni. Il rientro degli antichi sovrani non viene contestato dalle popolazioni, già troppo debilitate da oltre un ventennio di guerre. Una rinnovata alleanza fra trono e altare conduce ad abolire le numero- se leggi anticlericali emanate nel periodo rivoluzionario e napoleonico e a ristabilire i tradizionali privilegi di nobili ed ecclesiastici. 2. IL CONGRESSO DI VIENNA Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia e la partenza dell’ex imperatore per l’isola d’Elba, in Francia viene restaurata la monarchia borbonica nella persona dell’anziano e malato Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI. Lo scopo di tutte le potenze vittoriose è quello di ritornare allo status quo ante, aspirazione di cui si fa portavoce il principe Klemens von Met- ternich, ministro dell’imperatore d’Austria, coadiuvato dal plenipotenzia- rio francese Talleyrand. Metternich propone alle quattro potenze che si erano opposte vittoriosa- mente a Napoleone — Austria, Prussia, Russia e Inghilterra — di convocare a Vienna un congresso al quale avrebbero partecipato tutti gli Stati europei,

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CAPITOLO PRIMO

L’ETÀ DELLA RESTAURAZIONE

SOMMARIO: 1. Il ripristino dell’ancien régime. - 2. Il Congresso di Vienna. - 3. LaSanta Alleanza e il concerto delle potenze. - 4. Il nuovo assetto dell’Europa. - 5. L’as-setto dell’Italia. - 6. Le nazioni europee nei primi anni della Restaurazione. - 7. Lasituazione dell’Italia. - 8. Le società segrete.

1. IL RIPRISTINO DELL’ANCIEN RÉGIME

Il periodo storico che va dal Congresso di Vienna (1814-15) alla rivolu-zione di luglio in Francia (1830) è detto comunemente età della Restaura-zione. Alcuni storici, tuttavia, prolungano l’età della Restaurazione almenofino all’epoca delle rivoluzioni del 1848.

Dopo l’abdicazione di Napoleone, quasi tutti i sovrani europei che era-no stati spodestati dalle armate francesi, in applicazione del principio dilegittimità sancito dal Congresso di Vienna, ritornano sui loro troni.

Il rientro degli antichi sovrani non viene contestato dalle popolazioni,già troppo debilitate da oltre un ventennio di guerre.

Una rinnovata alleanza fra trono e altare conduce ad abolire le numero-se leggi anticlericali emanate nel periodo rivoluzionario e napoleonico e aristabilire i tradizionali privilegi di nobili ed ecclesiastici.

2. IL CONGRESSO DI VIENNA

Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia e la partenza dell’ex imperatoreper l’isola d’Elba, in Francia viene restaurata la monarchia borbonica nellapersona dell’anziano e malato Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI.

Lo scopo di tutte le potenze vittoriose è quello di ritornare allo statusquo ante, aspirazione di cui si fa portavoce il principe Klemens von Met-ternich, ministro dell’imperatore d’Austria, coadiuvato dal plenipotenzia-rio francese Talleyrand.

Metternich propone alle quattro potenze che si erano opposte vittoriosa-mente a Napoleone — Austria, Prussia, Russia e Inghilterra — di convocarea Vienna un congresso al quale avrebbero partecipato tutti gli Stati europei,

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al fine di determinare un nuovo e più duraturo assetto del continente, e,attraverso un «concerto» delle grandi potenze, impedire per il futuro l’in-sorgere di conflitti di grande portata come quello insorto a seguito del ciclo-ne napoleonico.

Il Congresso di Vienna si apre il 4 ottobre del 1814 anche se vienetemporaneamente sospeso durante i Cento giorni del ritorno di Napoleone.

Infatti, nel febbraio del 1815 Bonaparte riesce a fuggire dall’isola d’El-ba e in marzo approda in Francia impadronendosi, velocemente e senzacolpo ferire, della capitale. Riesce a riorganizzare l’esercito, e si scontra inun’epica battaglia a Waterloo, dove viene definitivamente sconfitto da in-glesi e prussiani (18 giugno 1815). Successivamente viene esiliato nellalontana isoletta atlantica di S. Elena, dove muore il 5 maggio del 1821.

L’Atto finale del Congresso risale al 9 giugno 1815 e con esso si di-chiara universalmente l’abolizione della tratta degli schiavi.

Ad esso parteciparono tutti gli stati europei, ma le decisioni finali sonoadottate dalle maggiori potenze vincitrici del conflitto contro Napoleone:Inghilterra, Russia, Austria e Prussia.

Un ruolo notevole è svolto anche dalla Francia, che grazie all’abilità del rappresentante diLuigi XVIII, il visconte di Talleyrand, riesce a sfruttare a suo vantaggio i contrasti diploma-tici sorti tra le potenze vincitrici, e a ottenere il ritorno dei Borboni in Francia. Talleyrandriesce a contenere le perdite territoriali del proprio paese e ad impedire che il ruolo di grandepotenza internazionale della Francia scada d’importanza.

I PRINCÌPI SANCITI DAL CONGRESSO

Le decisioni che scaturiscono dai lavori congressuali risultano fonda-mentalmente ispirate a quattro principi:

— il principio di legittimità, sostenuto da Talleyrand, in base al quale sideve tenere anzitutto conto dei diritti dei sovrani legittimi, cioè di queimonarchi che erano stati privati dei loro troni dalle armate rivoluziona-rie o da quelle napoleoniche;

— il principio dei compensi, in base al quale si deve garantire un adeguatocompenso territoriale a quegli Stati che, per motivi politici, sono staticostretti a rinunciare a parti del loro territorio (sotto la pressione di Na-poleone). I compensi non avrebbero dovuto alterare, però, l’equilibrioeuropeo;

— il principio dell’equilibrio politico. Concepito solo per favorire le grandipotenze, mira, in particolare, a creare attorno alla Francia una serie di

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Stati-cuscinetto al fine di frenarne eventuali nuove velleità espansioni-stiche;

— il principio di solidarietà tra le grandi dinastie (esclusa la Gran Breta-gna), in base al quale esse si impegnano a prestarsi reciproco soccorsonel caso di nuovi tentativi di sconvolgimento dell’assetto europeo con-cordato a Vienna.

3. LA SANTA ALLENZA E IL CONCERTO DELLE POTENZE

La Santa Alleanza nasce nel settembre del 1815 per iniziativa dello zarAlessandro I e viene sottoscritta da Austria, Prussia e Russia.

Non vi aderiscono, invece, l’Inghilterra, che considera l’accordo uno strumento messo incampo per accrescere l’influenza russa in Europa e lo Stato Pontificio. Papa Pio VII, infatti,piuttosto diffidente verso lo strano legame istituito tra un sovrano cattolico (l’imperatore au-striaco), uno protestante (il re di Prussia) e uno ortodosso (lo zar), non siglò il documento.

Anche se non ebbe conseguenze rilevanti sul quadro geo-politico, conla Santa Alleanza si affermò per la prima volta il principio di interventoin base al quale gli Stati aderenti si impegnavano a prestarsi vicendevol-mente aiuto e ad intervenire per sedare qualsiasi sommossa che sconvol-gesse l’assetto politico e territoriale stabilito dal Congresso viennese fos-se minacciato.

Maggiore influenza sulle vicende politiche europee di quegli anni ebbe piuttosto la Qua-druplice Alleanza. Sottoscritta da Austria, Gran Bretagna, Russia e Prussia nel novembre del1815, essa prevedeva che le quattro grandi potenze si riunissero regolarmente in congressi perdibattere i vari problemi dell’ordine europeo. Il primo di questi incontri avvenne ad Aquisgra-na nel 1818 per valutare l’adempimento da parte francese delle condizioni imposte dal trattatodi pace.

Per descrivere l’assetto e il clima politico dell’Europa all’indomanidel Congresso di Vienna, spesso si parla di concerto delle potenze, sotto-lineando, così, la consapevolezza maturata dalle maggiori potenze euro-pee della necessità di istituire un sistema di rapporti internazionali in cuile stesse potenze, per conservare lo status quo, potessero intervenire intutta Europa al fine di mantenere l’ordine europeo. Tale condizionamentosi estendeva anche alla politica interna di ciascun paese: la sola adozioneda parte di uno stato di istituzioni liberali, contrastanti con lo spirito con-servatore che aveva animato il Congresso, doveva essere considerata unaminaccia all’ordine restaurato.

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La sistemazione politica europea può essere così sommariamente de-scritta:

— l’Austria controlla tutta l’Europa centro-orientale e parte dell’Italia;— la Russia è saldamente attestata ad Oriente ed aperta all’Occidente con

l’acquisto della Polonia, la Bessarabia e la Finlandia.— l’Inghilterra, priva di interessi territoriali sul continente, è tuttavia inte-

ressata al mantenimento dello status quo, nonché alla difesa dei propriinteressi economici e coloniali oltre oceano;

— la Francia, nonostante il ridimensionamento territoriale, rimane comun-que una forza militare, politica ed economica del nuovo ordine europeo.

4. IL NUOVO ASSETTO DELL’EUROPA

L’Europa che esce dal Congresso di Vienna ricalca la sistemazione poli-tica del continente negli anni precedenti il periodo napoleonico. Non man-cano, però, dei cambiamenti:

— l’Austria riacquista tutti gli antichi possedimenti (ad eccezione degli exPaesi Bassi austriaci — l’attuale Belgio — che vengono ceduti all’Olan-da) e anche il territorio della soppressa Repubblica di Venezia. L’impe-ratore d’Austria, inoltre, si vede attribuire la presidenza della Confede-razione germanica (che, con un’ampia generalizzazione, si può dire cheraccolga la lontana eredità del Sacro Romano Impero dichiarato deca-duto da Napoleone), i cui membri, costituiti dagli Stati tedeschi, vengo-no ridotti da più di trecento a soli 39, attraverso un cospicuo accorpa-mento dei territori;

— l’Inghilterra non avanza rivendicazioni territoriali in Europa, ad esclu-sione di Malta e delle isole Ionie, ma conserva le conquiste colonialiottenute con le guerre napoleoniche (il Sud Africa e Ceylon, ex colonieolandesi);

— la Prussia si ingrandisce a spese della Sassonia e di altri territori sullerive del Reno (nuovo confine con la Francia);

— la Russia ottiene gran parte della Polonia (che costituisce un regno au-tonomo in unione personale sotto lo zar, proclamatosi dinnanzi alla Die-ta di Varsavia sovrano costituzionale del paese), nonché la Finlandia (expossedimento svedese) e la Bessarabia (ex turca);

— la Francia, ricostituita in regno sotto Luigi XVIII, ritorna, pressappoco,ai confini precedenti il 1789;

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— l’Olanda viene incorporata al Belgio e assume il nome di regno deiPaesi Bassi sotto la corona di Guglielmo d’Orange;

— la Svezia perde la Finlandia ottiene in cambio la Norvegia (ex danese);— la Danimarca, il cui re è rimasto troppo a lungo fedele a Napoleone,

perde la Norvegia, ma riceve la Pomerania già possedimento svedese;— la Svizzera viene riorganizzata in confederazione e gli altri Stati si im-

pegnano a garantirne la neutralità.

5. L’ASSETTO DELL’ITALIA

A) Il quadro geografico

L’Italia, dopo il 1815 ritorna, sostanzialmente, sotto le precedenti dinastie:

— il Lombardo-Veneto (con Venezia) torna all’Austria e viene ammini-strato da un viceré;

— il regno di Sardegna è assegnato a Vittorio Emanuele I di Savoia eacquisisce – in funzione anti-francese – i territori dell’ex repubblica diGenova;

— il granducato di Toscana è assegnato a Ferdinando III d’Asburgo-Lo-rena;

— il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla è attribuito in vitalizio allamoglie di Napoleone, Maria Luisa d’Austria;

— il ducato di Modena e Reggio è assegnato a Francesco IV d’Este;— la repubblica di San Marino vede riconosciuta la sua secolare indipen-

denza;— lo Stato Pontificio rimane sotto il controllo del papato (con Pio VII);— il regno delle due Sicilie (ex regno di Napoli) continua a essere retto da

un Borbone, Ferdinando I (già re di Napoli con il nome di FerdinandoIV e re di Sicilia con quello di Ferdinando III).

A proposito di quest’ultimo regno, va ricordato che Gioacchino Murat, pur essendo di-ventato re di Napoli nel 1808 grazie a Napoleone, cinque anni più tardi scelse di non seguirel’imperatore francese nella guerra alla sesta coalizione, stringendo, invece, un accordo conl’Austria per conservare il regno. Tale situazione causò un comprensibile imbarazzo tra lepotenze riunite a Vienna, dal momento che Murat aveva sì tradito Napoleone, ma restava alpotere senza restituire il trono al legittimo sovrano borbone.

A togliere le potenze europee dall’imbarazzo, ci pensò lo stesso Murat quando, nel 1815durante i Cento giorni del Bonaparte, cambiò di nuovo bandiera per riavvicinarsi a Napoleone.La sconfitta dell’imperatore segnò anche la fine politica di Murat che, dopo la sua cattura,venne fucilato.

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B) Conclusioni

Pur essendo gli storici generalmente concordi nel riconoscere il carat-tere conservatore e antiliberale del Congresso di Vienna, soprattutto perquanto riguarda il tentativo di ripristinare l’ancien régime senza tener contoné del nuovo ruolo assunto dalla borghesia con la rivoluzione francese nédelle aspirazioni nazionali dei popoli, le correnti storiografiche più recenti,tendono a rivalutare gli sforzi compiuti nel tentativo di armonizzare i vec-chi ordinamenti con le nuove istanze politiche, sociali e giuridiche.

Questo aspetto è particolarmente evidente nel campo della legislazione civilistica, se sitiene conto del fatto che vennero conservate molte delle disposizioni entrate in vigore sotto ildominio di Napoleone che garantivano la tutela di principi di libertà ed eguaglianza e difende-vano il diritto di proprietà borghese contro l’invadenza dei pubblici poteri.

Bisogna sottolineare, inoltre, che l’assetto europeo stabilito al Congressodi Vienna, fu assai duraturo e determinò un secolo di pace nei rapporti tra gliStati europei. I conflitti che si verificarono nel periodo precedente la prima guerramondiale non assunsero, infatti, portata generale, né provocarono sconvolgi-menti politici, sociali e territoriali così drastici come quelli dell’età napoleonica.

D’altro canto, però, il carattere conservatore delle decisioni presedall’assemblea congressuale e la sostanziale posizione antistorica dellemonarchie restaurate rappresentarono comunque un elemento di note-vole instabilità nei rapporti tra i sovrani e il popolo in quanto, la rivoluzio-ne francese e Napoleone avevano permesso di vivere un’esperienza po-litica molto più avanzata, nell’ambito della quale aveva fatto capolino per-sino il principio democratico della sovranità del popolo e si erano affermatii principi del rispetto della libertà e della dignità di ogni individuo, chemale si conciliavano con il ritorno agli antichi privilegi.

Per tali motivi sarebbero in seguito scoppiati violenti moti rivoluzionarisoprattutto dove più forti erano le rivendicazioni nazionali e le aspirazioni asistemi politici più consoni alle esigenze dei nuovi tempi.

6. LE NAZIONI EUROPEE NEI PRIMI ANNI DELLA RESTAURA-ZIONE

A) L’Europa Centrorientale

In Francia Luigi XVIII svolge un’azione moderatrice: non revoca leconfische rivoluzionarie ai danni della nobiltà e del clero (ma compensa i

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nobili delle confische a suo tempo subite), né abroga il Codice napoleonico.Il re rimane, in teoria, sovrano assoluto e la Carta costituzionale, in quanto«concessa» (octroyée) da lui stesso, resta in linea di principio sempre abro-gata; in pratica, però, viene istituita una Camera rappresentativa, eletta daun corpo elettorale ristretto ai soli ceti borghesi.

Il regime di Luigi XVIII si scontra costantemente con le spinte forte-mente restauratrici dei cosiddetti Ultra che, sostenitori della monarchia piùdel re stesso, in occasione delle elezioni indette dopo la seconda definitivasconfitta di Napoleone, scatenano un’ondata di persecuzioni e di terrore (ilcosiddetto terrore bianco) che consente loro di conquistare un’ampia mag-gioranza in parlamento. Il sovrano, però, per scongiurare altri moti rivolu-zionari, successivamente scioglie le Camere e riesce a far eleggere un parla-mento più moderato.

In Austria la Restaurazione assume le forme della repressione più aspra.Metternich si serve dell’apparato burocratico e poliziesco per ripristinarel’autorità assoluta dell’imperatore e schiacciare ogni velleità autonomisticadelle diverse etnie dell’impero.

Nella Confederazione germanica e in Prussia vengono aboliti tutti gliordinamenti costituzionali introdotti precedentemente sui modelli francesi.

Nello Stato zarista, sebbene il misticismo di Alessandro I alimenti diver-se speranze in una politica di riforme, soprattutto dopo la concessione di unamodesta autonomia alla Polonia, si ritorna in breve ai metodi dispotici. Ales-sandro I, infatti, figura tra i principali sostenitori della politica di interventocontro i successivi moti rivoluzionari scoppiati in Europa.

B) La Gran Bretagna

Tra il 1815 e il 1830 l’Inghilterra è governata dal partito dei tories, distampo conservatore e composto prevalentemente da rappresentanti dell’ari-stocrazia terriera. L’altro maggiore partito, quello dei whigs, aveva in realtàla stessa base sociale, per cui soltanto tradizioni politiche differenti lo ren-devano più aperto ad istanze liberali.

Le esigenze di rinnovamento di una nazione che stava attraversando profondi mutamentisia sociali sia economici erano invece interpretate dai radicali. Essi, però, non avevano, inquesto periodo, una voce forte in parlamento ed erano considerati pericolosi demagoghi daentrambi gli schieramenti maggiori.

Come altri paesi europei, anche l’Inghilterrra è percorsa da una ventatarepressiva, al punto che, per fronteggiare le lotte operaie (inasprite dalla

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grave carestia che colpisce in quegli anni l’Europa), viene sospeso nel 1816l’Habeas corpus Act, l’antica legge anglosassone in base alla quale l’autori-tà di polizia era tenuta, entro breve tempo, a portare dinanzi all’autoritàgiudiziaria le persone arrestate, comunicando i motivi dell’arresto, in mododa scongiurare qualsiasi forma di detenzione arbitraria.

Con l’avvento al potere dei tories, di tendenze più liberali, l’Habeascorpus viene ripristinato e l’Inghilterra prende le distanze dalle politicherepressive degli Stati della Santa Alleanza.

7. LA SITUAZIONE DELL’ITALIA

Dopo i moti del 1820-21, la Restaurazione viene condotta con particola-re severità, non soltanto nei domini austriaci diretti (Lombardo-Veneto, le-gazioni di Ferrara e Ravenna, ducato di Parma e Piacenza), ma anche nelresto della penisola, nella quale alcuni Stati sono governati da dinastie lega-te strettamente all’Austria (il ducato di Modena e Reggio e il più liberalegranducato di Toscana).

Nel regno di Sardegna vengono cancellate le innovazioni introdotte nelperiodo napoleonico ed è ristabilito il potere ecclesiastico.

Lo Stato Pontificio continua ad essere dominato dai principi romani,grandi proprietari di terre, gestite con sistemi di stampo feudale.

Nel Regno delle due Sicilie, ad una feroce persecuzione poliziesca sca-tenata da Ferdinando I segue, dopo qualche anno, una politica più moderatacondotta dal primo ministro, Luigi de’ Medici.

8. LE SOCIETÀ SEGRETE

Nelle monarchie restaurate il sistema repressivo della Santa Alleanzanon permette alcuna forma di dissenso e vieta ogni tipo di organizzazionepolitica in grado di mettere in pericolo l’ordine e l’autorità costituita.

Per tale motivo gli oppositori del regime politico si riuniscono in societàsegrete (o sette).

I motivi ispiratori e gli obiettivi di tali gruppi sono assai vari. Tuttavia, lesocietà segrete sono accomunante dalla particolare importanza attribuitaal problema nazionale e dall’insofferenza nei confronti della dominazionestraniera.

Esse sono, inoltre, espressione di una comune base sociale, quella del-la piccola e media borghesia della campagna e della città, le cui aspirazioni

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di affermazione sociale, mortificate dai regimi restaurati, erano state in par-te realizzate da Napoleone che, tra l’altro, premiando talento e capacità,aveva aperto a tutti i cittadini la possibilità di fare carriera.

Gli affiliati delle sette sono soprattutto giovani borghesi e militari, manon manca qualche nobile più aperto alle nuove problematiche.

La più importante società segreta italiana, diffusa anche in Francia, è laCarboneria, così denominata perché deriva i propri rituali e le cerimonie diiniziazione dal mestiere dei carbonari. Segue la Giovine Italia, fondata daGiuseppe Mazzini che, pur tenendo segreti i nomi degli adepti, proclamaapertamente il suo fine primario: liberare l’Italia dal giogo straniero.

Per garantire la sicurezza dei membri ed evitare così delazioni e arresti di massa, tuttal’organizzazione carbonara è improntata alla massima segretezza. Chi aderisce alla setta nonsoltanto non conosce i nomi dei capi e, spesso, neanche quelli degli altri membri, ma neppurela loro linea di condotta politica. Ciò fa sì che arrivino a confluire nella Carboneria esponenti diopposte fedi politiche.

Le sette segrete hanno un ruolo predominante nello scoppio dei moti del1820-21 e del 1830-31; esse falliscono, tuttavia, il loro obbiettivo, sia per lamancanza di un organico programma politico che per l’inesistenza diun saldo apparato organizzativo. Il fallimento dei moti carbonari segnauna battuta d’arresto nel fenomeno delle associazioni segrete, mentre, con-temporaneamente, si vanno sviluppando nuove forme di attività politica.

GlossarioUltra: nella Francia della restaurazione, fazione ultrareazionaria che intendeva ripristinarele istituzioni monarchiche senza nessuna concessione alle nuove istanze sociali e politicheche andavano emergendo.

Cronologia

1814: Apertura del Congresso di Vienna (4 ottobre).1815: Cento giorni di Napoleone (20 marzo-8 luglio).

Nascita della Santa Alleanza (settembre).Nascita della Quadruplice Alleanza (novembre).

1816: Sospensione dell’Habeas corpus Act in Inghilterra.1821: Morte di Napoleone (5 maggio).

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CAPITOLO DODICESIMO

L’ITALIA NEL VENTENNIO 1919-1939:L’ASCESA DEL FASCISMO

SOMMARIO: 1. Il malcontento italiano all’indomani del primo conflitto mondiale.- 2. Partiti e movimenti di massa in Italia nel primo dopoguerra. - 3. Tensioni sociali egoverni liberali. - 4. L’avvento del fascismo. - 5. La dittatura di Mussolini. - 6. L’Italiafascista.

1. IL MALCONTENTO ITALIANO ALL’INDOMANI DEL PRIMOCONFLITTO MONDIALE

La crisi della classe dirigente liberale e la scarsa cultura democraticaamplificano i problemi che l’Italia deve affrontare nel primo dopoguerra.

In questo mutato clima, fanno il loro ingresso (o acquistano maggioreinfluenza) nuove forze politico-sociali. Si assiste alla formazione del Par-tito popolare (che pone fine all’autoesclusione dei cattolici dalla vita poli-tica del paese), alla crescita del Partito socialista nonché alla fondazionedi gruppi di ex combattenti insoddisfatti del quadro politico e decisi adarsi una rappresentanza autonoma.

Contemporaneamente si diffonde il malcontento per le decisioni dellaConferenza di Parigi e per la mancata attribuzione all’Italia di territori che— secondo la propaganda nazionalista — le sarebbero spettati. Nasce, così,il mito della «vittoria mutilata». In tale contesto neo-patriottico sorge laquestione di Fiume, con la conseguente occupazione della città da parte diGabriele D’Annunzio (Cfr. Cap. 10).

2. PARTITI E MOVIMENTI DI MASSA IN ITALIA NEL PRIMODOPOGUERRA

I cattolici fanno il loro ingresso nella vita politica nel 1919, quando donLuigi Sturzo, un sacerdote siciliano, dà vita al Partito popolare italiano (PPI).Il nuovo schieramento assume subito dimensioni di massa perché si ap-poggia alle organizzazioni sindacaliste della Chiesa, molto diffuse soprat-tutto nelle campagne. In occasione delle prime elezioni del dopoguerra, nel

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1919, il PPI consegue un discreto successo, ottenendo 100 seggi alla Camera.Il partito mostra però delle debolezze dovute alla presenza al suo internodi forze eterogenee: i riformatori sociali a capo delle «leghe bianche»,infatti, siedono a fianco di cattolici moderati e conservatori.

Nell’immediato dopoguerra il Partito Socialista Italiano (PSI) triplicail proprio elettorato e diventa il primo partito d’Italia nelle elezioni del 1919.

Al suo interno si sono formati tre schieramenti:

— il gruppo riformista, facente capo a Filippo Turati, è favorevole alla collaborazione coni governi borghesi e nel 1922 dà vita al Partito socialista unitario;

— il gruppo massimalista, che costituisce la maggioranza, considera la collaborazione coni governi borghesi — indipendentemente dai programmi e dalle intenzioni — un tradi-mento e professa un rivoluzionarismo astratto, cui non corrispondono serie intenzioni dieffettiva presa del potere;

— il gruppo comunista, facente capo ad Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, che nel1921 si distacca dal PSI e fonda a Livorno il Partito comunista d’Italia, aderendo allaTerza Internazionale. Questa scissione rende più debole la sinistra, che, divisa in due, èincapace di assumere iniziative efficaci per superare la crisi sociale.

Le aspirazioni rivoluzionarie del Partito socialista, le divisioni interne aquello cattolico, la debolezza dei governi liberali, danno ampio spazio allanascita e diffusione di organizzazioni di ispirazione nazionalistica fra le qualisi distinguono i Fasci di combattimento, un movimento fondato nel 1919 daBenito Mussolini, cui aderiscono ex combattenti, spesso disoccupati e pro-fondamente scontenti, e alcuni gruppi sbandati di ex socialisti rivoluzionari.

3. TENSIONI SOCIALI E GOVERNI LIBERALI

Terminato il conflitto, l’Italia si trova a dover affrontare una difficilesituazione economica: la smobilitazione dell’esercito e il conseguente ral-lentamento dell’industria pesante, che ha lavorato per l’economia bellica,fanno aumentare la disoccupazione, mentre l’inflazione subisce una consi-derevole accelerazione.

La conseguenza di queste dinamiche fu un’ondata di agitazioni sociali che, nel 1919-1920,attraversa l’Italia: l’aumento del costo della vita scatena una rincorsa tra salari e prezzi al consu-mo, il che determina una serie di scioperi organizzati dai sindacati sia nell’industria sia nelsettore dei servizi pubblici. Nel 1919 si verificano anche occupazioni di terre incolte di proprie-tà di latifondisti: i contadini, organizzati in leghe (rosse a guida socialista e bianche a guidacattolica), chiedono una riforma agraria, che del resto è stata promessa dal governo, all’indo-mani della disfatta di Caporetto, per risollevare il morale delle truppe. Tali agitazioni, però, nonsono organizzate né collegate tra loro, sicché vengono facilmente controllate e sedate.

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L’Italia nel ventennio 1919-1939: l’ascesa del fascismo 139

Le elezioni del 1919 sono le prime ad essere svolte con il sistema di votoproporzionale, fondato sul principio della corrispondenza tra i voti ottenutidai diversi partiti e i seggi ad essi attribuiti. I risultati sono disastrosi per lavecchia classe dirigente e vedono l’affermazione dei socialisti come primopartito, seguiti dai popolari.

Tra il 1919-1922 si alternano vari governi a guida liberale, presieduti dauomini politici di sicuro prestigio: Francesco Saverio Nitti, Ivanoe Bonomi,Luigi Facta. Nonostante ciò, la crisi dei liberali e della struttura democrati-ca dello Stato si fa sempre più acuta ed evidente.

Nel 1920 torna a capo del governo Giolitti, con un programma riformista molto innovativo cheprevede, tra l’altro, per le società c.d. «anonime», la nominatività dei titoli azionari per individuaree tassare i possessori, nonché un’imposta straordinaria sui profitti extra dell’industria bellica.

In politica estera, invece, vengono appianati i contrasti di confine con la Iugoslavia me-diante la stipulazione del Trattato di Rapallo (12 novembre 1920), in virtù del quale vienericonosciuto lo Stato libero di Fiume. L’Italia si vede assegnare parte delle Alpi Giulie e la cittàdi Zara con le isole Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosta, mentre la Iugoslavia ottiene la Dal-mazia. In politica interna, infine, non ha successo il disegno giolittiano finalizzato a ridimen-sionare il PSI attraverso l’eliminazione dell’ala rivoluzionaria del partito e la concessione dialcune riforme ai moderati.

La tensione sociale e politica giunge al culmine nel settembre 1920 quandoi sindacati dei metalmeccanici organizzarono l’occupazione delle fabbriche.

Per un momento sembrò che si potesse dar vita anche in Italia a dei consigli di fabbricasimili ai soviet creati durante la rivoluzione d’ottobre in Russia. In realtà le occupazioni sirisolvono in un fallimento, sia per l’atteggiamento accorto di Giolitti, che — come già avevafatto nel 1904 — rifiuta di fare intervenire la forza pubblica e fa da mediatore difendendo ildiritto degli operai ad un limitato controllo sulle aziende, sia per la tiepida accoglienza che lerichieste degli operai hanno al di fuori degli stabilimenti industriali.

In compenso, lo sciopero rafforza le paure dei ceti medi nei confronti non solo dellaclasse operaia, ma anche delle leghe agricole socialiste che in quei mesi conducevano unalotta parallela specialmente nelle campagne della valle padana.

Tale conclusione accentua le divisioni all’interno del PSI, sicché, duran-te il congresso socialista del 1921, la corrente di sinistra guidata da Gramscie Togliatti si scinde per fondare, come detto, il Partito comunista.

4. L’AVVENTO DEL FASCISMO

Il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fonda il movimento dei Fasci dicombattimento, che inizialmente si schiera a sinistra dichiarandosi repub-

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blicano e chiedendo riforme sociali, nonostante un ostentato nazionalismo euna forte avversione nei confronti del PSI.

L’esaltazione della forza e della violenza è una caratteristica che il nuovo movimentoconserva anche quando si sposta politicamente a destra.

I Fasci di combattimento si strutturano militarmente: i militanti, vestiti di una camicianera, sono inquadrati in squadre di azione.

Ha inizio, così, il fenomeno dello squadrismo: le «camicie nere» cominciano a compierespedizioni punitive contro le organizzazioni socialiste e popolari.

Le azioni di violenza squadrista sono sostenute o coperte dai grandiproprietari terrieri e dagli industriali e godono della complicità di variorgani dello Stato. Molti esponenti della classe dirigente, infatti, vedono nelfascismo un valido strumento per limitare l’influenza dei partiti di massa econtrastare il «pericolo rosso» di una rivoluzione comunista anche in Italia.

In occasione delle elezioni del 1921, Giolitti, per arginare la forza parla-mentare di socialisti e popolari, dà vita ai «blocchi nazionali», nei qualiinclude anche i fascisti, sottovalutando la forza di quel movimento e fidan-do nel fatto che presto sarebbero rientrati nella legalità costituzionale.

Nella consultazione elettorale i fascisti riescono ad ottenere 35 seggi inParlamento e si affrettano a smentire le previsioni del vecchio statista. Nonsolo, infatti, non rinunciano all’uso sistematico della violenza (che anzi au-menta notevolmente), ma si distaccano dalla maggioranza per unirsiall’opposizione.

Nel novembre di quello stesso anno i Fasci di combattimento si trasformano in Partitonazionale fascista (PNF) per meglio inserirsi nel gioco politico ufficiale.

Gli squadristi, approfittando della debolezza dei governi liberali, continuano a rendersi pro-tagonisti di imprese clamorose, tra cui la violenta offensiva contro lo sciopero proclamato dalmovimento operaio il 1° agosto 1922 per sollecitare la difesa delle libertà politiche e sindacali.

In una situazione politica sempre più destabilizzata, durante il congres-so fascista, tenutosi a Napoli in ottobre, si decide che è necessaria una di-mostrazione di forza per costringere il re a nominare Mussolini capo delgoverno. Così nasce l’idea della marcia su Roma che ha luogo il 28 otto-bre.

Il governo Facta dinnanzi a tale minaccia per la sicurezza dello Statodichiara lo stato d’assedio: l’esercito potrebbe facilmente sbarazzarsi dellesquadre fasciste, ma il re Vittorio Emanuele III rifiuta di firmare la procla-mazione dello stato d’assedio e, dopo le dimissioni di Facta, con un’azionepolitica senza precedenti, incarica Mussolini di formare un nuovo governo.

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Il 30 ottobre Mussolini arriva a Roma e la sera stessa il governo è forma-to; pochi capiscono che si tratta del primo passo verso un cambiamentoradicale dell’assetto politico ed istituzionale del paese: la dittatura.

5. LA DITTATURA DI MUSSOLINI

A) La creazione delle basi della dittatura

Giunto al potere, Mussolini istituisce il Gran consiglio del fascismo —principale organo ispiratore delle politiche del governo — e inserisce lesquadre fasciste nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, checostituiscono un vero e proprio braccio armato del partito con il fine direprimere con la violenza ogni forma di opposizione.

Allo stesso tempo, cerca di rassicurare i suoi alleati — i cosiddetti «fian-cheggiatori» — inserendo ministri liberali e popolari nel suo governo e pro-mettendo la «normalizzazione» dello Stato.

Mussolini inoltre, può contare sull’appoggio del potere economico— fortemente agevolato dalle riforme varate in politica interna — e sulsostegno della Chiesa, che riconosce al fascismo il merito di aver fermatol’ondata rivoluzionaria socialista.

La prima vittima dell’avvicinamento tra Chiesa e fascismo, però, è pro-prio il partito dei cattolici: nell’aprile del 1923, infatti, Mussolini impone ledimissioni dei ministri popolari.

Per rafforzare la propria maggioranza parlamentare, il governo Mussoli-ni, in occasione delle elezioni del 1924, cambia la legge elettorale passandoal sistema di voto maggioritario, in base al quale il candidato che ottiene ilmaggior numero di voti si attribuisce il seggio senza tener in alcun conto ivoti ottenuti dagli altri candidati con meccanismi di recupero (sistema pro-porzionale).

Grazie al nuovo meccanismo elettorale, che prevede anche un premioalla lista che consegue la maggioranza relativa (cui sono attrtibuiti i dueterzi dei seggi disponibili), e ad un’abile propaganda, il 65% dei suffragi vacomunque alla lista di Mussolini, il quale ne approfitta per intensificare leaggressioni contro i deputati dell’opposizione.

Il 10 giugno 1924, pochi giorni dopo aver pronunciato in parlamento una dura requisito-ria contro il fascismo denunciando i brogli e le irregolarità commesse durante le ultime elezio-ni, il segretario del Partito socialista unitario, Giacomo Matteotti, esponente della sinistrariformista e moderata, viene rapito a Roma da un gruppo di squadristi e ucciso a pugnalate. Gli

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esecutori materiali vengono arrestati, ma non si scoprono i mandanti. Appaiono tuttavia chiarea tutti le responsabilità politiche e morali di Mussolini e del governo.

L’indignazione generale suscitata dal delitto Matteotti sembrò fare va-cillare il governo. In segno di protesta, i deputati dell’opposizione abbando-nano i lavori parlamentari dando luogo alla cosiddetta secessione dell’Aven-tino. Tale gesto di condanna morale non ha effetti pratici in quanto il re nonprende alcun provvedimento e, d’altra parte, l’appello ad una manifestazio-ne di piazza per provocare la caduta del governo non poteva avere alcunsuccesso perché per la maggioranza della popolazione tale evento avrebbesignificato un ritorno all’instabilità di pochi anni prima.

Mussolini si sente, così, legittimato a riprendere l’iniziativa.

B) L’affermazione e il consolidamento della dittatura

Il 3 gennaio 1925 in un noto discorso tenuto alla Camera, egli dichiara:«Io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quantoè avvenuto […]. Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sonoil capo di questa associazione a delinquere!».

Di fatto con queste parole Mussolini proclama la dittatura.Entro il 1926, il capo del Governo raggiunge il controllo completo della

situazione e decreta la soppressione di ogni libertà attraverso i seguenti prov-vedimenti, denominati leggi fascistissime: «fascistizzazione» della stampa,persecuzione degli antifascisti, rafforzamento dei poteri del capo del Go-verno, reintroduzione della pena di morte, istituzione di un Tribunale spe-ciale per la difesa dello Stato, creazione di una forza di polizia politicasegreta, l’OVRA (Opera di vigilanza e repressione antifascista, oppure Or-ganizzazione volontaria di repressione antifascista), e scioglimento di tuttii partiti, tranne quello fascista.

Su queste basi, si viene costruendo il pieno e incondizionato trionfo di Mussolini, dimostratosiun vero camaleonte in politica, dal momento che per lui i principi e le dottrine, più che comevalori assoluti, valgono come espedienti tattici da impiegare a seconda delle circostanze.Non a caso, egli è riuscito a inserirsi nella difficile situazione dell’Italia del dopoguerra avva-lendosi di tutti i motivi di malcontento e di disorientamento vivi nel paese: dalla preoccupazio-ne dei conservatori per la pressione delle masse popolari che reclamano migliori condizioni divita all’insoddisfazione diffusa dei ceti piccolo-borghesi che risentono degli effetti della diffi-cile situazione economica; dai fermenti nazionalistici alimentati dal mito della «vittoria muti-lata» alla crisi dello Stato liberale.La passività degli organi dello Stato di fronte alla violenza squadrista, il massiccio appoggiofinanziario del grande capitale industriale e agrario, il filofascismo di una larga parte della

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classe dirigente e dell’esercito e la disorganizzazione dei socialisti permettono a Mussolini,uomo dalle grandi abilità demagogiche e dallo spregiudicato opportunismo, di assumere, indefinitiva, il pieno controllo del paese.

6. L’ITALIA FASCISTA

Nella seconda metà degli anni ’20, dunque, l’Italia è soggetta ad un regi-me totalitario dove l’organizzazione dello Stato e quella del partito fascistasi sovrappongono.

È stato rilevato che le «leggi fascistissime» degli anni Venti di fatto non spostarono il centro delpotere sul partito, anche se il partito unico gode di numerose prerogative, ma rafforzarono ilpotere esecutivo a scapito del parlamento, privato di quasi tutte le sue funzioni.A questo proposito, scrive Giampiero Carocci: «Si trattava di uno stato che portava alle ulti-me, rigorose conseguenze le aspirazioni dei conservatori a un regime che deprimesse il parla-mento, esaltasse l’esecutivo, mettesse tutto il potere nelle mani di una minoranza di ottimati[…] A questa azione di accentramento statale […] fece da puntuale riscontro il massicciopotenziamento degli organi repressivi».Sempre Carocci sottolinea che il fascismo presenta elementi di continuità, rispetto allo statoliberale, «a livello delle istituzioni [e] dei rapporti di classe che il fascismo […] non avevamutato, se non accentuando la subordinazione delle classi popolari alla borghesia».D’altra parte un elemento di rottura è rappresentato «dal fatto che la classe dirigente delegavamaggiori competenze di prima all’apparato amministrativo dello stato, sia come strumen-to coercitivo che come strumento creatore di consenso e come strumento di intervento nellavita economica e sociale».

A) Gli obbiettivi del regime

Restano, comunque, ancora due «ostacoli» alla piena attuazione deldisegno totalitario: la Chiesa e la Corona.

Nel 1929, Mussolini firma con la Santa Sede i Patti Lateranensi, cherappresentano per il fascismo, un grande successo politico sancito dal ple-biscito elettorale, e per la Chiesa, l’acquisizione di una posizione privilegia-ta nei rapporti con lo Stato.

I Patti Lateranensi si articolano in tre parti:

— un trattato internazionale con cui la Santa Sede riconosce lo Stato italiano, e il governoitaliano, a sua volta, riconosce lo Stato della Città del Vaticano;

— una convenzione finanziaria con cui l’Italia si impegna a pagare un’indennità per risarcireil Vaticano dei territori persi;

— un Concordato che regola i rapporti tra Regno d’Italia e Chiesa (esonero dal serviziomilitare per i sacerdoti, validità civile del matrimonio religioso, insegnamento della reli-gione nelle scuole pubbliche, libertà di azione per le organizzazioni cattoliche).

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L’altro limite ai propositi totalitari era la presenza del re, cui spettavanoil comando supremo delle forze armate, la scelta dei senatori, la nomina e larevoca del capo del Governo.

In realtà, pur lasciando formalmente in vigore lo Statuto albertino, Mus-solini lo priva di ogni significato. Infatti, mentre il parlamento perde pra-ticamente ogni funzione, il capo del Governo (oramai chiamato duce delfascismo) attribuisce a se stesso poteri tali per cui avrebbe dovuto ri-spondere del proprio operato soltanto al re.

Il potere legislativo viene delegato al governo, mentre assume unavalenza istituzionale il Gran consiglio del fascismo, il cui parere, a par-tire dal 1928, diventa obbligatorio per tutte le questioni di carattereistituzionale.

B) Le riforme e il corporativismo

Durante il ventennio fascista si registra un aumento dell’urbanizzazionee del numero degli occupati nell’industria e nel terziario, tuttavia la societàresta arretrata.

Il fascismo, portavoce dei valori tradizionali, ma tendente a creare, nellostesso tempo, «uomini nuovi», trova i suoi sostenitori tra la borghesia me-dio-piccola e soprattutto tra i giovani, grazie allo stretto controllo esercitatosulla cultura e sulla scuola anche mediante la riforma Gentile (1923), ri-forma scolastica che cerca di accentuare la severità degli studi privilegiandole discipline umanistiche a scapito di quelle tecniche e rafforzando il con-trollo sugli insegnanti, cui viene imposto il giuramento di fedeltà al regime.

Infine, va ricordato che, nel 1931, entra in vigore anche un nuovo codicepenale, il Codice Rocco, col quale, tra le altre cose, viene ripristinata lapena di morte anche per i reati non politici.

Il fascismo si rende fautore di soluzioni nuove per i problemi economi-ci, credendo di individuare nel corporativismo l’alternativa valida al capi-talismo da un lato e al socialismo dall’altro.

I principi generali del corporativismo fascista sono enunciati nel 1927,nella Carta del lavoro e vengono poi istituzionalizzati con la creazionedelle corporazioni (1934), che raggruppano imprenditori e lavoratorinelle diverse categorie, e con la fondazione della Camera dei fasci e dellecorporazioni (1939), che sostituisce la Camera dei deputati.

Il corporativismo è la teoria politica che mira a organizzare la collettività tramite associa-zioni rappresentative degli interessi professionali (corporazioni).

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Richiamandosi all’esperienza medievale dei comuni italiani, in cui le corporazioni eranoabilitate a controllare e ad organizzare i vari mestieri e le attività politico-economiche ad essiconnesse, il corporativismo moderno si è poi articolato in due filoni principali:

— quello cattolico, per il quale le corporazioni dovrebbero rappresentare, potenzialmente,una forma di anti-Stato;

— quello fascista, nel quale, al contrario, le corporazioni agiscono come associazioni profes-sionali strettamente dipendenti dallo Stato, tanto da poter essere utilizzate come suo stru-mento di controllo politico.

Il corporativismo e la Carta del lavoro furono sbandierati dal fascismo come «terza via» neirapporti tra datori di lavoro e operai, in alternativa al capitalismo e al comunismo. L’interessesuperiore della nazione e l’intervento dello stato avrebbero risolto il dissidio tra le classi epacificato la società. Tuttavia, nella sostanza la politica del fascismo appoggiava i grandi cetiindustriali, nonostante l’«interventismo» del governo in economia.La Carta del lavoro, sostiene Renzo De Felice, servì gli scopi politici di Mussolini. «Essa valseinfatti a dare una patina di socialità al nuovo regime, permettendogli di presentarsi come avvia-to su una strada nuova e giusta, con un Mussolini che […] mostrava di essere pronto ad ‘andareal popolo’ e a sfidare anche le oligarchie economiche».

C) La politica economica

Nel 1925, intanto, lo Stato è già passato, dopo aver tentato la via del liberismo,a una linea protezionistica, puntando sulla deflazione, sulla stabilizzazione dellalira e su un maggiore coinvolgimento del governo in campo economico.

Il primo intervento è costituito dalla cosiddetta battaglia del grano, che mira al raggiun-gimento dell’autosufficienza nel settore cerealicolo mediante l’aumento della superficie colti-vata a grano e l’utilizzo di tecniche agricole avanzate. L’obiettivo viene quasi raggiunto, sep-pure a scapito di altri settori.

Altro intervento governativo è quello teso a rivalutare la lira per far tornare la monetanazionale a «quota 90» (ossia riportarla a un tasso di cambio in virtù del quale sarebberooccorse 90 lire per una sterlina), così da restituire al paese la stabilità monetaria, che vieneconseguita grazie anche ai prestiti delle banche americane.

Quando la crisi del 1929 colpisce anche l’Italia, il governo reagisce con una politica di lavoripubblici diffusi che devono servire ad allentare le tensioni sociali dovute alla presenza di un ingentenumero di disoccupati. Tale strategia viene messa in opera soprattutto tra il 1933-1934, quando èbonificato l’agro pontino e vengono edificate due città: Sabaudia e Littoria (l’odierna Latina).

L’intervento statale maggiore si ha, però, in campo industriale e creditizio con la creazio-ne, alle strette dipendenze del governo, dell’Istituto mobiliare italiano (IMI) e dell’Istitutoper la ricostruzione industriale (IRI): il primo ha il compito di sostituire le banche nel soste-gno all’industria; il secondo, valendosi di fondi statali, rileva le partecipazioni industriali dallebanche in crisi, acquisendo il controllo di alcune importanti imprese.

In tal modo, lo Stato arriva a controllare, con tali istituti, una quota dell’apparato industria-le e bancario superiore a quella di qualsiasi altro Stato, così da affermarsi come vero e proprioStato imprenditore.

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Nel 1935, superata la crisi, l’Italia indirizza poi la sua economia prevalente verso la produ-zione bellica, il che accentua l’isolamento economico del paese da parte dei paesi democraticiche già vedono nelle dittature europee un pericolo per la pace.

D) La politica estera

In politica estera la componente nazionalista, connaturata all’ideologiafascista, promuove una propaganda patriottica che rinverdisce le aspirazio-ni coloniali dell’Italia.

Nel 1935 ha inizio l’invasione dell’Etiopia per dare sfogo alle mire espansionistiche fasci-ste e per mobilitare le masse al fine di distogliere l’attenzione dai problemi economico-socialidel paese.

Mussolini pensa di poter sfruttare la tensione diplomatica creata in Europa dallapolitica aggressiva della Germania per far sì che le potenze democratiche guardino al-l’Italia come ad un prezioso alleato. Però l’Etiopia è uno Stato indipendente, aderente allaSocietà delle Nazioni, ed il nostro paese ha agito senza alcuna dichiarazione di guerra. Franciae Gran Bretagna non possono fare altro che condannare l’invasione, mentre la Società delleNazioni decide di adottare sanzioni economiche nei confronti dell’Italia che ha aggredito unpaese neutrale.

In verità, non fu mai data esecuzione a queste misure, il cui unico effetto fu quello diaccrescere la popolarità di Mussolini e di fare stringere l’opinione pubblica italiana intorno aldittatore, nel nome della lotta dell’Italia «proletaria» contro le nazioni plutocratiche, e i loroimmensi imperi coloniali.

Dopo sette mesi di resistenza gli etiopi cedono e il 5 maggio 1936, le truppe italianeentrano in Addis Abeba. La conquista dell’Etiopia non produce risvolti economici positiviper il nostro paese, ma si traduce in un enorme successo politico di Mussolini: sono inmolti, infatti, ad avere la sensazione che l’Italia, grazie a Mussolini, sia entrata a far partedel circolo degli Stati militarmente più forti.

Questa politica aggressiva che tenta di imitare quella nazista inaspri-sce i rapporti con le potenze democratiche e la rottura viene accentuatadall’intervento italiano a sostegno della dittatura di Franco nella guerracivile spagnola e dal progressivo riavvicinamento alla Germania (AsseRoma-Berlino, 1936), che, sebbene sia stato voluto da Mussolini per farepressione su Francia e Gran Bretagna, si risolve poi nella subordinazionedell’Italia alle scelte di Hitler dopo la firma del Patto d’acciaio nel 1939,sottoscritto a distanza di poco tempo dall’annessione coatta dell’Albaniaall’Italia.

L’avvicinamento alla Germania — e la scelta tutta politica di promulga-re leggi antisemite (1938) per rinsaldare i rapporti con i tedeschi — suscita-no preoccupazioni e dissensi nella maggioranza della popolazione.

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Del resto la stessa decisione di perseguire l’autarchia, cioè l’autosufficienza economica,stava di fatto indebolendo l’economia italiana invece di rafforzarla e stava alienando simpatieal regime. Infatti, nata per venire incontro alle esigenze di una politica estera espansionista emilitarista, la ricerca dell’autarchia si tradusse in un potenziamento degli investimenti nell’in-dustria bellica a svantaggio della produzione di beni di consumo. Inoltre, trattandosi di produ-zioni che richiedevano materie prime di cui l’Italia era carente, il loro rafforzamento non face-va che accrescere il disavanzo della bilancia commerciale.

Negli anni della dittatura mussoliniana gli antifascisti sono costretti alsilenzio e all’esilio; solo i comunisti si impegnano — peraltro con scarsosuccesso — nell’agitazione clandestina.

Il regime fa tacere molte voci di opposizione ricorrendo anche all’assassinio: i fratelliCarlo e Nello Rosselli ad esempio, che a Parigi avevano fondato il movimento «Giustizia eLibertà» (1929), cadono sotto i colpi di sicari fascisti nel 1937.

Uomini che sarebbero diventati protagonisti della lotta di liberazione, come i socialisti Pie-tro Nenni, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e il comunista Palmiro Togliatti, sono costretti al-l’esilio; altri scontano lunghi anni di carcere, come accade ad Antonio Gramsci, che perde la vitaa causa delle sofferenze patite durante la prigionia. L’unica voce libera che si alza in patria controil fascismo è quella del filosofo Benedetto Croce, protetto dalla sua notorietà internazionale.

Molti esuli — repubblicani, democratici e socialisti — riunitisi in Francia, nel 1927,nella «concentrazione antifascista», svolgono opera di elaborazione politica in vista di unacaduta del regime che essi non sono stati in grado di provocare direttamente. In effetti, ilvero merito dell’antifascismo sarà quello di aver preparato la classe dirigente della futuraItalia democratica.

GlossarioCorporativismo: modello di organizzazione sociale e del lavoro che prevede, attraverso lacostituzione di corporazioni, la rimozione della conflittualità tra le classi, della concorren-za tra le imprese e la soppressione degli scioperi e di manifestazioni similari organizzatedai lavoratori. La più compiuta realizzazione giuridica economica del modello corporativi-stico fu introdotta in Italia in epoca fascista con l’emanazione della Carta del lavoro nel1926; anche se in effetti il corporativismo fascista non fu mai pienamente operante. L’ordi-namento corporativo fascista fu soppresso nel l944.

Cronologia

1919: Nascita del Partito popolare italianoGoverno NittiCostituzione dei Fasci di combattimento (23 marzo)D’Annunzio occupa Fiume (12 settembre)

1920: Governo GiolittiTrattato di Rapallo e fine dell’occupazione di Fiume (12 novembre)

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Capitolo Dodicesimo148

1921: Nascita del Partito comunista d’ItaliaNascita del Partito nazionale fascista

1922: Marcia su Roma (28 ottobre)Governo MussoliniIstituzione del Gran consiglio del fascismo

1924: Vittoria fascista alle elezioniDelitto MatteottiSecessione dell’Aventino

1926: Leggi fascistissimeArresto di Gramsci

1927: Emanazione della Carta del lavoro1929: Patti lateranensi1934: Istituzione dell’ordinamento corporativo

Patto di unità di azione tra PSI e PCI1935: Invasione dell’Etiopia1936: Asse Roma-Berlino1937: L’Italia aderisce all’antiComintern ed esce dalla Società delle Nazioni1938: Legislazione antisemita1939: Annessione dell’Albania all’Italia

Patto d’acciaio tra Italia e Germania