Ground Zero, New York - libreriafilosofica.com · L’amore perduto ha in sé qualcosa dell’amore...

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Ground Zero, New York

Qui si tratta del destino e delle fortune del genere umano e di tutta la potenza delle opere. Infatti l’uomo, ministro e interprete della natura, opera e intende solo per quanto, con la pratica e con la teoria, avrà appreso dell’ordine della natura: di più non sa né può. Infatti nessuna forza può sciogliere o spezzare la catena delle cause e alla natura non si comanda se non obbedendo ad essa. Pertanto quelle due gemelle intenzioni umane, la Scienza e la Potenza, mettono capo a una sola e il fallimento delle opere deriva sopra ogni altra cosa dalla ignoranza delle cause. L’essenziale è di non staccare mai gli occhi della mente dalle cose stesse e di ricevere le loro immagini così come esse sono. Dio non ci permetta di offrire i sogni della nostra fantasia al posto di una copia fedele del mondo” (Francis Bacon, Instauratio Magna, Divisione dell’opera, 6)

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Francis Bacon è stato un uomo di potere. Attento lettore di Machiavelli, ne ha pie-namente condiviso le idee e le ha messe in pratica nella sua carriera politica. Sa di che si parla, quando si parla di potere – del coman-

dare e dell’obbedire. Tra la fine dell’epoca elisabettiana in Inghilterra e il successivo regno di Giacomo I, e fino ad un brusca caduta politica avvenuta nel 1621, ha scala-to la piramide del potere politico fino a diventare quello che oggi potremmo definire capo del governo, e non si è fermato di fronte a nessuna remora di carattere morale – come raccomandato da Machiavelli. Al vertice della carriera, nel 1620, presso la sua residenza ufficiale alla York House erano al suo servizio settantadue persone, uno stile di vita che all’epoca aveva l’eguale solo nelle principesche corti italiane del Rinascimento. Da uomo di potere, è uomo di scienza. Lo è nello stesso senso in cui lo è Galilei, quasi suo coetaneo. La natura ha leggi necessarie e inesorabili, è regolata da rapporti tra forze. Si tratta di capire quali sono queste forze, come operano, quali leggi le regolano. Inventarsi una natura diversa da quella che è non conviene a nessuno, perché anche noi siamo natura, e anche noi seguiamo le sue leggi universali. La natura, se si vuole che segua i nostri desideri, chiede obbedienza alle sue leggi. Detta così è una immagine letteraria molto affasci-nante – “Alla natura si comanda obbedendole” –, ma significa semplicemente che se abbiamo una malattia e prendiamo una medicina sbagliata non guariremo. E, se vogliamo tradurre nel nostro tempo, significa che un aereo in volo non viola la legge di gravità e obbedisce a tutte, nessuna esclusa, le leggi di natura. Se ne viola solo una, anche la più piccola, non riesce più a volare. Perché, semplicemente, le leggi di natura sono univer-sali, necessarie e inviolabili. Così ragiona un uomo di scienza del Seicento, così per la politica aveva insegnato Machiavelli. Non ci si sorprenderà del fatto che si parli di politica in termini di scienza: l’uomo e i sistemi di potere che ha creato non sono forse anch’essi parte della natura universale? Perché dovremmo supporre che le leggi che regolano la politica non siano anch’esse universali, necessarie e inviolabili? E la stessa domanda possiamo porre per la vita sociale. Per i social, ad esempio. Una non esatta scienza dell’uomo porta a conseguenze inevitabili. Una esatta scienza dell’uomo porta a con-

Alla natura si comanda

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seguenze altrettanto inevitabili. La necessità naturale governa in ogni caso questo mondo, e non ci sono eccezioni. Se rispetta le leggi natura l’aereo riesce a vo-lare, e a portarci in vacanza o per lavoro ad Amsterdam o a Parigi, o dove vogliamo andare (se abbiamo preso l’aereo di linea giusto). Se non le rispetta…Nel secolo di Bacone ben pochi hanno sostenuto che l’uomo fa eccezione. La natura umana è vista come parte della natura universale. Si tratta semplicemente di capirne nel dettaglio le leggi che la governano. Aveva-no visto giusto?

Machiavelli, avendo enunciato precise leggi che gover-nano la natura umana, ne trae le dovute conseguenze e spiega come si fa a governare gli uomini. Funziona? Basta fare la prova, come per qualsiasi legge della fisica o della chimica. L’esperimento di laboratorio confer-merà o meno, non è il caso di esprimere pareri prima. Così ragiona Bacone. Così ragiona un uomo di scienza del Seicento. Hanno visto giusto?Ci meravigliamo se Twitter, Facebook e i social sono pieni di odio e di falsità. Ma qualcuno ha buone ragio-ni per sostenere che l’odio e la tendenza all’inganno non fanno parte della natura umana? Ci meravigliamo della tendenza dell’uomo ad uccidere non solo il pro-prio nemico, ma chi non c’entra proprio nulla e non è nostro nemico (e a volte è anche della nostra stessa religione, come i musulmani rimasti uccisi sedici anni fa con l’attacco alle Due Torri), come fa il terrorismo. Un uomo di scienza, o un politico, o un imprenditore che investe in tecnologie avanzate e influenza milioni o miliardi di persone non ha il diritto di meravigliarsi. Il cittadino ha il diritto di chiedere: se sapevate, perché lo avete fatto? Se non sapevate, e adesso sapete, potreste per favore dirci cosa sapete esattamente, e che prove avete di quello che sapete? Da questo vostro sapere di-pendono infatti le vostre scelte – e quindi la nostra vita. Sapere è potere, no? O, se preferite, knowledge is power, come ha lasciato scritto Francis Bacon: è così o no?

Considero quindi legittima la seguente, non retorica, domanda: qualcuno ha argomenti per sostenere che Bacone ha torto scrivendo che alla natura si comanda obbedendole? Natura umana compresa. Nel dubbio, da ragazzi, ci insegnavano la regola della prudenza…

obbedendole?

tara, una ferita aperta. «Ma come può una fitta al cuore – canta, d’altronde, Ginevra Di Marco in Elianto – credere di essere pena d’amore?»(1) Se fosse una malattia, l’amore non darebbe scampo a chi ne è affetto. Dalla malattia d’a-more, invece, si guarisce. A “miracolare” il malato d’amore è spesso la causa del male di cui soffre. L’esperienza può infatti insegnare che è spesso l’amore, un nuovo amore o un amore rigenerato, a guarire da un amore che rischia di spegnerci e soffocarci nel rimpianto. Bizzarra omeopatia dell’esperienza amorosa, verrebbe da dire, immaginando gli effetti di un nuovo innamoramento.Proviamo però a seguire Aristotele, secondo il quale ci sarebbe una stretta relazione tra cuore e amore da cui scaturirebbe una ben precisa sintomatologia. «L’amore – ha scritto l’allievo di Platone – è un impulso che ha la sua origine nel cuore; una volta nato, l’amore esce dal cuore e aumenta di intensità finché raggiunge uno stato di piena maturità». L’amore «esce», dichiara Ari-

(1) Gianni Maroccolo, A.C.A.U. La nostra meraviglia (Black Out/Uni-versal 2004).

Leitmotiv*L’amore si dà nel tempo, ma anche si canta e si può pure pensare. Mentre è impossibile fare viceversa, l’amore can-tato può invece essere fatto oggetto di riflessione, farsi, per così dire, “pensato” e prestarsi all’indagine filosofica. L’amore in questione può essere quello che spinge al de-siderio, che accende in un abbraccio i sensi più di altri deputati a valorizzare la voluttà del corpo, che col passare del tempo, insegna Freud, va a perdere inesorabilmente la sua erogeneità, cioè la capacità di provare piacere. Questo amore, fatto oggetto di un’indagine filosofica, può essere anche quello che, sotto forma di dichiarazione, si vuo-le comunicare per avviare una relazione, occasionare un primo incontro, fissare un appuntamento. Può essere però anche l’amore che è oggetto di rimpianti, l’amore soffo-cato nei ricordi più tristi, impossibile da rimuovere e dal quale difficilmente si guarisce, perché, contrariamente a quanto dice Aristotele, e con lui tanti altri filosofi, questo amore non è sempre da intendere come una malattia, una

* Un leitmotiv è una frase, un tema, un frammento, un elemento ricor-rente nel corpo di un brano musicale. Anche la filosofia ha i suoi leitmo-tive, i suoi temi ricorrenti, le sue “ossessioni” tematiche.

Nadar, Ritratto di Baudelaire, fotografia del 1855.

stotele, trabocca, è come un fluido che scalda il corpo, attraversa il cuore e, potente e incontenibile, cerca una direzione in cui incanalarsi ed esaurirsi. Difficilmen-te, quando ne viene colpito, il cuore saprà resistergli. «Questo stato di amore – spiega sempre Aristotele – conduce l’amante a uno stato di cupidigia, e lo spinge a richiedere con insistenza l’oggetto della sua passione; le conseguenze della privazione dell’amore saranno per-ciò dolore inquieto, continua insonnia, passione senza speranza, tristezza, deperimento mentale».(2) Insomma, l’amore asintomatico, l’amore che non fa arrossire, in-tristire o gioire non esiste, e se mai pensassimo di speri-mentarlo, secondo Aristotele, non sarebbe vero amore.I sintomi descritti da Aristotele fanno pensare a quel-la tipologia di esperienze sentimentali che potremmo ricondurre al genere degli amori perduti. “Perduti” perché sono stati comunque posseduti e sono scivolati via dalle mani dell’amante che non è riuscito a tratte-

(2) Cfr. Massimo Ciavolella, La «malattia d’amore» dall’antichità al Me-dioevo, Bulzoni, Roma 1976, p. 20.

nerli. Per un’infinità di ragioni che poco di razionale potrebbero avere, l’amante potrebbe avere allentato di proposito la presa perché l’amore e l’amata/o scivolas-sero via per afferrarli (tentativo vano, a questo punto) sull’orlo del precipizio. È l’amore che vive di rimpianti, volto esclusivamente al passato, che, sbocciato rigoglio-so come una viola, fa presto, come canta De André, ad appassire come una rosa. Di un amore simile possono sopravvivere i petali avvizziti nel colore e senza più una traccia dell’antica fragranza. L’amore perduto ha in sé qualcosa dell’amore tradito e abbandonato alle ingiurie del tempo. «Non ci lasceremo mai, mai e poi mai»,(3) si dicono gli amanti giurando amore eterno, sapendo che arriverà il tempo in cui dell’amore che consumava ogni energia e che faceva strappare i capelli non resterà, un giorno, che «qualche carezza e un po’ di tenerezza».(4)

Giuseppe Pulina

(3) Fabrizio De André, La canzone dell’amore perduto (Karim 1966).

(4) Ibid.

Amori perduti

Charles Baudelaire, Ritratto di Jeanne Duval. Il disegno, sul foglio di una poesia, è in La Falfarlo, Éditions de la Siréne, Paris 1918. Jeanne Duval è stata a lungo amante di Baudelaire e sua ispiratrice, in un rapporto caratterizzato da continue rotture e riprese.

Vago per le stanze dell’ufficio con in mano una lanter-na – in realtà è una lampada al neon – cercando l’uo-mo. Ma dove sarà finito, non ne trovo nemmeno uno. I miei colleghi mi guardano stupefatti pensando che il troppo lavoro m’abbia dato alla testa. Forse hanno ragione, però di esseri umani continuo a non trovarne. Io per primo sento affievolirsi l’umanità che m’è ri-masta nelle vene per fare spazio alle scartoffie che mi rimangono da fare oggi. Eppure pulsa in me come un portento, chiedendomi di tuffarmi nel sole che sbatte feroce sulla mia finestra. Un raggio mi taglia la faccia supplicandomi a sua volta di tornare uomo.

Più che un uomo sono un Sisifo, uno della peggior specie, un Sisifo industrializzato condannato a spingere su per una montagna di lavoro il peso di quest’esistenza senza senso, in eterno. C’è chi dice che almeno così ci si fanno i muscoli, ma io purtroppo su per la montagna ci vado con la mia sedia girevole. Dunque niente muscoli. Come Sisifo vivo in un mito, il mito del lavoro. Sono sempre operativo, dalla mattina alla sera, per appagare il Dio dell’efficienza che non tollera che qualcuno possa trovare la felicità da qualche altra parte. Ma se questa vita non ha senso, siamo noi, logicamente, a dargliene uno. E di sicuro per me non è lavorare tutto il giorno tutti i giorni sbavando nell’attesa dei weekend, unica oasi di piacere, seppur effimero e garanzia di schiavitù.

Entra il Direttore e per la prima volta dopo avermi spolpato per bene mi chiede se ho qualche desiderio che lui, essere poderoso perfettamente incastonato nel mito, può esaudire. Gli dico certo, si sposti gentilmen-te dal sole, che mi fa ombra. Ride, anche lui. Sono proprio divertente. Forse è un bene che mi prendano per bizzarro, altrimenti mi avrebbero già licenziato. Ma sarebbe così brutto? No, o meglio sì, secondo la società in cui vivo. Automi su di giri martoriano una povera

tastiera collegata a un calcolatore a volte più umano di noi. Una volta il mio computer si è spento per prote-sta e non si è più riacceso. Mi chiedo cosa potrebbe pensare Camus vedendomi impazzire dietro a dati e presentazioni PowerPoint, quando gli bastava la visione muta di un uomo al telefono per sprofondare nel sen-timento dell’assurdo.

Tuttavia, non chiedo di fare un crociera gratis – che poi le crociere neanche mi piacciono –, solo di avere la possibilità di tornare uomo. Un uomo che impiega il suo tempo per costruirsi una vita, che si appassiona, che prova gratificazione nella fatica che sceglie libera-mente di far sua. Si sa, guadagnarsi le cose che si desi-derano dà un senso tutto diverso all’esistenza, sembra quasi che vivere valga la pena, e probabilmente è così. Ma cosa desidero io? Niente di quello che faccio in ufficio, se non lo stipendio che mi arriva a fine mese. Ma quello stipendio mi serve soltanto per continuare a scalare la mia montagna di sorrisi ipocriti, arrivare in cima e poi rotolare giù come un bullone che sa di non poter scampare alla sua chiave inglese.

Chissà quanto durerò in questo ufficio: forse quando inizierò a presentarmi con indosso solo un mantello decideranno definitivamente di cacciarmi. Al momen-to mi rifiuto di portare la cravatta, cappio al collo che identifica la nostra condizione di condannati a morte. Non la porto nella speranza di riuscire a tornare uomo prima di morire. Lotto per questo. Ogni mio piccolo gesto di ribellione in questo mondo paralizzato dalla paura di non essere all’altezza della società – arbitraria per definizione – è fatto per questo sogno incredibile. Incredibile perché, per noi animali tanto fieri d’esser razionali, non dovrebbe essere un sogno, ma la pura e semplice realtà.

Stefano Scrima

Nella pagina a fianco: Édouard Manet, Il pifferaio, 1866, Musée d’Orsay, Parigi.

Tentazione

SOMMARIO

2 Editorialedi Mario Trombino

4 Leitmotiv - Amori perdutiGiuseppe Pulina

8 TentazioneStefano Scrima

10 AVERE UN FUTURO

12 Antonio MelchionnaScontri di civiltàCosa può fare la filosofia?

18 Stefano ScrimaGioventù inceneritaSi rinasce dalle proprie ceneri?

22 L’AMORE CREA DIRITTI?

24AAVVVari tipi d’amore L’amore crea diritti?

30 Lara BazzaniLa favola di ErosChi è veramente Eros?

36 FILOSOFIA DELLA MENTE

38 Armando GirottiSulla libertà, dialogo di autore ignotoChi comanda dentro di noi?

45 Nicola SimonettiUn neuro-scienziato tra gli artistiÈ davvero possibile la comprensione scientifica della dimensione estetica?

51 Giulio VeroiFilosofia? Tutta roba da dimenticare! La mente: c’è una coscienza, alle origini?

SOMMARIO

Anno 12, n. 42, maggio 2017

Autorizzazione n. 617 del Tribunale di Pavia, 30/05/2005

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FILOSOFIA DELLA MENTE

56 MORTE DELL’ARTE:MA L’ARTE STA DAVVERO MORENDO?

59 Stefano W. PasquiniIl dilemma di InstagramChi sono oggi gli artisti?

61 Maurizio VillaniL’arte nell’età del consumismoSe l’arte è morta, perché i musei sono pieni?

68 Roberto Del MonteAntropologia del visitatore musealeÈ possibile una fisica dei curiosi?