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L'ESSENZA MAGICA DEL LINGUAGGIO MUSICALE

di Alberto Cesare Ambesi

AbstractIn questo scritto si offrono considerazioni di base sull’atteggiamentointeriore, dal punto di vista della Tradizione, che dovrebbe avere uncompositore. Alcune affermazioni sulla musica post-tonale sono però in contrasto con i recenti studi di Andrea Frova.

La musica è un'avventura dello spirito, le cui conquiste possono di

volta in volta paragonarsi alle tappe dell'ascesi mistica o alle

operazioni «filosofiche» dell'alchimia: così ci viene insegnato dalle più

antiche forme di sapienza tradizionale.

L'atto ideativo del compositore è dunque un prendere coscienza di ciò:

una vera investitura cavalleresca, a seguito della quale e in obbedienza

di un dovere imposto «dall'alto» vi è un viaggio verso il mistero, non già

per conoscerlo razionalmente, «ma per custodirlo come mistero,

assumerlo come tale» (P. Chiodi a proposito del pensiero estetico di

Heidegger). E tutto ciò significa che nell'esperienza di dare una forma

compiuta ed illuminante alla propria invenzione, il musicista deve

evocare in sé un potere analogo a quello che perseguivano i ricercatori

del Graal, quando effettivamente volevano giungere a contemplare «la

ricca visione» ed ottenere così un pieno risveglio interiore. Ma su tale

aspetto dell'arte musicale ritorneremo tra breve e più

dettagliatamente.

Per ora ci preme osservare che questa concezione della musicaè qualcosa di profondamente diverso, nei confronti dellecosiddette «estetiche» musicali, le quali sono state costrette amutamenti di prospettiva, nel corso dei secoli. La conoscenzadella validità sacrale ed iniziatica della musica, invece, non èmai venuta meno ed è stata comunque posseduta - sia pure dapochi - o per completa e diretta esperienza o attraverso qualche

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folgorante intuizione.

Per ora ci preme osservare che questa concezione della musicaè qualcosa di profondamente diverso, nei confronti dellecosiddette «estetiche» musicali, le quali sono state costrette amutamenti di prospettiva, nel corso dei secoli. La conoscenzadella validità sacrale ed iniziatica della musica, invece, non èmai venuta meno ed è stata comunque posseduta - sia pure dapochi - o per completa e diretta esperienza o attraverso qualchefolgorante intuizione.

Le testimonianze, al riguardo, non mancano davvero. Arnold

Schoenberg che affermava di comporre in obbedienza al «Supremo

Comandante» e il teorico indiano del XIII secolo Samagadeva che scrisse

non essere la musica creata «per il piacere», ma «per la liberazione»

confermano, appunto — e con parole diverse — che il linguaggio

compositivo veramente significante, il nucleo stesso del fenomeno

musica non sono e non possono essere considerati come un esercizio

esclusivamente artigianale o edonistico dell'Uomo, bensì appartengono

ad un superiore ordine cosmico, la cui percezione avviene per mezzo di

quella specialissima e lucida estasi, già descritta dai neoplatonici e da

Cornelio Agrippa e che il teosofo Fabre d'Olivet, richiamandosi ad una

celeste cultura, ha così bene sintetizzato nei suoi principi, come si può

constatare nel seguente passo, tratto dalla «Storia della filosofia del

genere umano», scritta nel 1822: «Ora, ciò che faceva della musica una

scienza altamente importante per gli antichi era la facoltà che vi

avevano riconosciuta di poter facilmente servire come mezzo di

passaggio dal fisico all'intellettuale;...

La musica era dunque, nelle loro mani una specie di misura

proporzionale che essi applicavano alle essenze spirituali».

D'altronde, già nel «Memoriale dei Riti» - il «Li Ki» della Cina arcaica -

si può leggere che:

«L'armonia fra Terra, Cielo e l'uomo non è determinata da un'unione

fisica o da un'azione diretta, bensì nasce da un accordo su di una

medesima nota che li pone in vibrazione eguale…

Nell'Universo (dunque) non esistono né il caso né (l'assoluta)

spontaneità; tutto si regge su reciproche influenze e gli accordi

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rispondono agli accordi».

Ma, in pratica, come si realizza il contatto con il «Grande Ordine» che

abbiamo ora delineato? E quali influssi esso ha concretamente

esercitato nell'ambito della storia della musica? Alla prima domanda si

può rispondere - ovviamente - che per giungere a contemplare l'essenza

più riposta del fenomeno musica bisogna avere il coraggio di avviarsi su

di un cammino cosparso di pericoli e di miraggi.

Insomma, occorre che l'artista o l'uomo di pensiero ripercorrano

fedelmente il viaggio interiore evocato da Dante nel suo massimo

poema. Il che è come dire - in termini junghiani - che è necessario

giungere al riconoscimento della propria «ombra», reintegrando

l'equilibrio tra conscio ed inconscio.

A tal fine, il musicista dovrà ritornare a vivere a contatto con la

Natura, non già perseguendo sentimentalistiche e letterarie ispirazioni,

bensì per studiare pazientemente le voci della terra, delle acque e

dell'aria;… sino a quando da esse non scaturirà anche il corrispondente

sonoro dello stato igneo delle cose.

In una versione della saga di Parsifal, l'eroe si desta alla ricerca della

Tavola Rotonda e del Graal quando il canto degli uccelli gli apre la

strada affinché egli obbedisca «alla sua natura e ai suoi desideri più

profondi». A questo proposito, giustamente, J. Evola osserva che

«Paragonata analogicamente l'atmosfera ad una condizione che non è

più quella dell'elemento terra, gli esseri dell'atmosfera, gli uccelli, in

molte tradizioni, compresa quella cristiana, hanno simboleggiato nature

superterrene».

Su questa via si è incamminato il compositore francese Olivier

Messiaen che da tempo studia attentamente il canto dei volatili, sia

sotto il profilo ritmico che melodico; ma - a parer nostro - più che un

lavoro di trascrizione tali canti richiedono - come le altre voci del

Mondo - un'analisi condotta dal di dentro. Cioè si dovranno utilmente

proseguire le ricerche di musica concreta, genialmente avviate da

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Pierre Schaeffer.

Aspetto attualistico - ed anzi avveniristico - che non contraddice la

dimensione sovrastorica e tradizionale che assegniamo all'ideazione

musicale più profonda. E' noto infatti, che Francesco Bacone, nella

incompiuta «Nuova Atlantide» poneva in bocca ad uno degli iniziati le

seguenti frasi, profeticamente anticipatrici delle moderne esperienze di

fonologia musicale: «Abbiamo anche costruito Case dei Suoni dove

facciamo prove e dimostrazioni su tutti i suoni e la loro generazione.

Conosciamo armonie a voi sconosciute con quarti di tono ed intervalli

ancora più piccoli... Imitiamo le voci, le note degli animali e degli

uccelli. Abbiamo anche diversi echi strani ed artificiali che rimandano le

voci più e più volte, quasi riverberandole».

Ma c'è di più. Nel classico «Vakya padiya» induista viene detto che: «Il

suono intesse tutta la conoscenza. Tutto l'universo poggia sulla

risonanza» e secoli dopo sarà Goethe e riprendere idealmente codesti

versetti nel famoso «Prologo in cielo» del Faust, là dove viene detto: «Il

sole risuona, a gara, come d'antico, tra il canto delle fraterne sfere».

Visione che ci riporta al secondo aspetto della via musicale al risveglio

interiore. Intendiamo riferirci, esplicitamente, a quella connessione tra

musica e astronomia che alcuni hanno creduto di poter relegare tra le

idee sbagliate del passato, mentre essa è una realtà ben operante e

perfettamente assimilabile, quando si sia proceduto alle prime

operazioni di esplorazione della natura, sopra accennate. E qui

tocchiamo veramente il nocciolo della questione, come suol dirsi.

Da un lato, infatti, può rilevarsi che la parentela tra l'arte musicale e

le leggi cosmiche si estrinseca in un insieme di fatti mitologici o legati

a cosmogonie tradizionali, per cui sembrerebbe opportuno collegare lo

studio della volta celeste alle ardenti scintille dell'anima del mondo, di

cui hanno parlato - con accenti diversi - gli autentici maestri

dell'alchimia, Sant'Ignazio di Loyola ed ultimamente C. G. Jung; d'altro

canto però, se si esaminano le relazioni matematiche che intercorrono

tra i suoni, si converrà, con il musicologo H. Heimert, che le note

recano in sé una forza oggettiva, per cui la loro organizzazione più

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«naturale» dovrà obbedire non già a ragioni meramente funzionali,

bensì a leggi precise, universali, appunto. [che è quanto dimostra

Andrea Frova – ndr]

Ma procediamo con ordine. Sotto il profilo sapienzale possiamo

sottolineare - prima di tutto - che non a caso un mitologema ellenico

racconta che la prima lira venne fabbricata da Hermes con lo scudo di

una tartaruga; questo animale, infatti, come hanno rilevato R. Egger e

Kerenyi, è sempre stato associato con l'abisso primordiale, come

primariamente dimostrato dal suo stesso nome che, in italiano, deriva

da una denominazione della tarda antichità che ne faceva un «portatore

del Tartaro» (del Caos primordiale). Nelle cosmologie induiste e cinesi

poi, la tartaruga è - rispettivamente - la Madre di tutti gli dèi e una

delle proiezioni di Vishnu, reggitrice del mondo, nel più profondo degli

abissi.

Riprendendo ora in esame il punto di vista matematico, sulla

connessione musica-cosmo, si può constatare che esso dominò la

mentalità medievale e - più recentemente - ha influito sulla

germinazione e lo sviluppo della dodecafonia (sono ben noti gli

entusiasmi di Schoenberg per la moderna astrologia statistica!) sino a

divenire il nucleo essenziale nella «grammatica» dell'architetto

compositore greco Iannis Xenakis, il quale è solito articolare il proprio

pensiero musicale, applicando le seguenti leggi fisico-matematiche: la

formula di Poisson, nel trattamento della densità delle «particole

sonore»; la legge di Maxwell Boltzmann-Gauss, per l'inclinazione dei

glissandi e due schemi di leggi probabilistiche, per le durate e le

intensità dei suoni.

Nessuno creda però, di trovarsi di fronte ad un autore succubo di una

malintesa ideologia scientifica. Xenakis stesso ha avvertito che le

applicazioni di tali leggi non sono il fine dell'invenzione compositiva,

bensì «un meraviglioso strumento.., la cui logica è superiore a quella

binaria di Aristotele». Non solo, ma il Musicista ha anche affermato che

egli riconosce all'arte il compito precipuo di offrire una, «verità

immediata, rara enorme e perfetta», conducendo l'Uomo in regioni dello

spirito non lontane dalla sfera religiosa. Intenti che hanno trovato una

piena realizzazione tanto in opere strumentali («Achorripsis» e

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«Pithoprakta») come nell'ambito dei lavori su nastro magnetico

(«Diamorphoses»).

D'altronde, già Leibnitz aveva avvertito che la pratica compositiva è un

«exercitium mathematicae occultum» ed è quasi superfluo aggiungere

che un'esemplificazione chiara ed eloquente di tale concezione si può

riscontrare in Webern, il cui spirito - si noti bene! - era profondamente

imbevuto di principi goethiani e cioè riteneva che l'arte - in quanto tale

- è essenzialmente un colloquio con il Trascendente, anzi - come dice

oggi il filosofo berlinese W. Weischedel - «autentica esperienza

metafisica». [ci sarebbe da considerare anche sulla “fisica” –

alchemicamente – e sui risultati degli studii di Frova, in sintesie pare altre vie, assonanti - ndr]

Questa è la realtà dei fatti. Una realtà incomoda per i più ottusi

tradizionalisti, ma anche per certi avanguardisti che hanno snaturato le

possibilità magiche insite nelle «grammatiche» concretiste ed

elettroniche o scaturite dall'esperienza «seriale». Tutto il pensiero

alto-medievale come i testi della più arcaica sapienza asiatica, il deista

Beethoven, entusiasta della simbologia egizia e lettore di libri come «I

misteri ebraici e la più antica grammassoneria», il teosofo Scriabin e il

rosacruciano Debussy (si vedano le esplicite e confidenziali dichiarazioni

dell'autore di «Pelleas» in due lettere all'amico e collega Chausson), i

cattolici misticamente impegnati Webern e Messiaen, già citati, e

musicologi del calibro di Schneider e Vlad sono davanti a noi

nell'indicare che la fede nella realtà sovrumana della musica appartiene

egualmente ai secoli più antichi come ai tempi nuovi e che nel suo

segno sono stati ideati i massimi capolavori dell'arte... proprio come si

diceva e come volevasi dimostrare.

Alberto Cesare Ambesi - da I simboli del rito [1989] - Carmagnola, Arktos-Oggero

Editore - per concessione dell'Autore e delle'Editore - novembre 2006.