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l'Ente Regione e le biblioteche degli enti locali La legislazione vigente relativa alle Biblioteche degli Enti locali non è molto ampia: a questo indubbio pratico vantaggio non corrisponde sempre, però, una desiderabile chiarezza: a cominciare proprio dalla obbligatorietà della spesa alla cui «indiscutibilità» si arriva attraverso un dedalo di leggi, di decreti, di circolari (ed anche di buona volontà) non certo ideali per confortare i discorsi di chi vuole convincere il Sindaco di un Comune, deficitario o no, ad affrontare la spesa necessaria ad istituire o ad incrementare una biblioteca per i suoi amministrati. Le Biblioteche Comunali e Provinciali. L'obbligatorietà della spesa per le Biblioteche Comunali e Provinciali dovrebbe emergere dall'obbligatorietà prevista per le «istituzioni comunali» e le «istituzioni provinciali» giusta l'Art. 91 lettera B n. 2 e l'Art. 144 lettera B n. 3 della Legge Comunale e Provinciale del 1934. Articoli che dovrebbero accogliere quegli «istituti e stabilimenti municipali» e quegli «istituti e stabilimenti provinciali» citati all'Art. 5 lettera B n. 2 e all'Art. 7 lettera B n. 3 del Testo Unico per la Finanza Locale del 1931. Questi ultimi articoli saranno abrogati dall'art. 427 della citata Legge Comunale e Provinciale del 1934 ma serviranno a sostenere, per volenterosa analogia, l'obbligatorietà della spesa per le Biblioteche Comunali e Provinciali in quanto il Decreto del Capo del Governo, Ministro dell'Interno e del Ministro delle Finanze 19 settembre 1931, pubblicato nel supplemento ordinario alla «Gazzetta Ufficiale» n. 218 del 21 settembre 1931 e contenente l'approvazione delle norme provvisorie per l'applicazione del Testo Unico per la Finanza Locale, al Titolo II -- spese comunali e 79

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l'Ente Regione e le biblioteche degli enti locali

La legislazione vigente relativa alle Biblioteche degli Enti locali non è

molto ampia: a questo indubbio pratico vantaggio non corrisponde sempre, però, una desiderabile chiarezza: a cominciare proprio dalla obbligatorietà della spesa alla cui «indiscutibilità» si arriva attraverso un dedalo di leggi, di decreti, di circolari (ed anche di buona volontà) non certo ideali per confortare i discorsi di chi vuole convincere il Sindaco di un Comune, deficitario o no, ad affrontare la spesa necessaria ad istituire o ad incrementare una biblioteca per i suoi amministrati.

Le Biblioteche Comunali e Provinciali.

L'obbligatorietà della spesa per le Biblioteche Comunali e Provinciali

dovrebbe emergere dall'obbligatorietà prevista per le «istituzioni comunali» e le «istituzioni provinciali» giusta l'Art. 91 lettera B n. 2 e l'Art. 144 lettera B n. 3 della Legge Comunale e Provinciale del 1934. Articoli che dovrebbero accogliere quegli «istituti e stabilimenti municipali» e quegli «istituti e stabilimenti provinciali» citati all'Art. 5 lettera B n. 2 e all'Art. 7 lettera B n. 3 del Testo Unico per la Finanza Locale del 1931. Questi ultimi articoli saranno abrogati dall'art. 427 della citata Legge Comunale e Provinciale del 1934 ma serviranno a sostenere, per volenterosa analogia, l'obbligatorietà della spesa per le Biblioteche Comunali e Provinciali in quanto il Decreto del Capo del Governo, Ministro dell'Interno e del Ministro delle Finanze 19 settembre 1931, pubblicato nel supplemento ordinario alla «Gazzetta Ufficiale» n. 218 del 21 settembre 1931 e contenente l'approvazione delle norme provvisorie per l'applicazione del Testo Unico per la Finanza Locale, al Titolo II -- spese comunali e

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provinciali -- con una lunga elencazione intesa ad indicare esattamente quali siano gli «istituti e stabilimenti municipali» e gli «istituti e stabilimenti provinciali» cita, appena dopo i bagni e lavatoi pubblici, appunto, le biblioteche.

Sempre in tema di obbligatorietà della spesa, a parte la Legge 24 aprile 1941 n. 393 che tratteremo in seguito, è giusto ricordare la Circolare 9 gennaio 1954, n. 15.400 B/AG/1.030 sulle pubbliche Biblioteche nei Comuni capoluoghi di Provincia a firma del Ministro degli interni e la circolare 15 maggio 1956 n. 22 sulle Biblioteche Comunali a firma del Ministro alla Pubblica Istruzione.

Circolari indubbiamente impegnate e che fanno onore ai Ministri firmatari ma che ci lasciano piuttosto perplessi quando, a sostegno della obbligatorietà della spesa, accanto al noto Art. 91 lettera B n. 2 della Legge Comunale e Provinciale del 11934 viene citato, in ambedue le circolari, si noti bene, l'Art. 144 lettera E n. 2 che riporto integralmente e senza facili commenti:

«Sono obbligatorie le spese concernenti gli oggetti ed i servizi appresso indicati:

(Omissis). 2) Stipendi agli assistenti e al personale di segreteria e di servizio addetto

agli istituti nautici, acquisto e manutenzione delle suppellettili scientifiche e tecniche, biblioteche, ed altre spese attinenti agli istituti stessi:».

Citazione distratta o refuso nella circolare del 1951 e pigrizia palese nell'estensore di quello del 1957? Può darsi, ma non importa, importa il fatto, invece, che la tesi della obbligatorietà -- almeno per le Provincie -- anche in questo caso non ne esce rafforzata.

Come si può constatare, dunque, sono gracili gli appigli che la legge offre in favore della obbligatorietà della spesa, ma i soli che hanno acconsentito, e a tutt'oggi acconsentono, una vita, anche se troppe volte «assai grama e stentata», a tutti quei nostri istituti che svolgono la loro attività in Comuni che non siano capoluoghi di Provincia o dove esista una Biblioteca pubblica Statale.

Per le Biblioteche dei Comuni capoluoghi di Provincia ove non esista una Biblioteca pubblica Statale, la Legge 24 aprile 1941 n. 393 rappresenta invece quanto di più completo e di più accettabile abbia finora espresso il legislatore in materia.

Anche qui una considerazione sul principio generale della obbligatorietà della spesa. L'ambiguità dell'Art. 1 è evidente ed è rilevata con garbo da una noticina a piè pagina in quel volumetto Le Bi-

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blioteche degli Enti Locali nella Legislazione vigente preciso ed intelligenti come del resto, intelligente e preciso è il suo autore, il collega Giuseppe Piersantelli.

II Piersantelli annota: «La disposizione è ambigua perchè, essendo la Biblioteca compresa nelle spese obbligatorie, ogni Comune è tenuto ad aprirla al pubblico, esista o meno nella sua circoscrizione una Biblioteca Statale; perciò, ragionando per assurdo, potrebbe dedursi che i Comuni capoluogo sede di Biblioteca Statale -- e di regola sono i maggiori tra i Comuni stessi -- avrebbero anche la facoltà di sottrarsi all'obbligo».

Comunque, se convenientemente applicata, questa Legge avrebbe potuto determinare la formazione, a livello provinciale, di quella solida organizzazione bibliotecaria che ancora oggi desideriamo.

I tempi della sua emanazione (allora, nel 1941,) anche le biblioteche funzionanti e vive erano in clima di smobilitazione ed i loro responsabili erano naturalmente più preoccupati della salvezza del patrimonio esistente che del suo incremento), il dopoguerra di rovine e di Bilanci pubblici paurosamente dissestati, un'affannosa ricostruzione di case e di industrie e l'assenza di una politica culturale di massa, l'acuta crisi scolastica e lo stesso «boom» economico che sta deformando i valori dell'uomo, stanno forse alla base del mancato successo di questa Legge a noi. tutti nota anche nei particolari.

Sullo specifico soggetto dell'obbligatorietà c'è infine da considerare la proposta di Legge n. 618, annunciata il 18 febbraio 1954 e mai discussa, d'iniziativa dei deputati Bernieri, Sciorilli-Borrelli, Marchesi ed altri e dal titolo «Istituzione delle Biblioteche Comunali».

Nella relazione di premessa alla Proposta di Legge che si dichiara essersi ispirata ai voti formulati all'VIII Congresso dell'Associazione Italiana delle Biblioteche e dall'Associazione Italiana degli Editori, dopo aver spezzato una lancia in favore dell'obbligatorietà della spesa giusta la legislazione vigente, gli onorevoli proponenti affermano, magari con ardita generalizzazione: «Senonchè in maniera sistematica gli organi tutori hanno negato l'approvazione di tali spese, pur obbligatorie, nei Bilanci Comunali, adducendo a motivo il loro carattere straordinario e non ordinario, per il quale esse possono essere consentite soltanto quando abbiano corrispondenti entrate a fronte. Una simile interpretazione non poteva non rendere del tutto imperanti le norme relative alle biblioteche, disposte dalle leggi citate. Sicchè quando mai opportuno appare la presentazione

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di nuove disposizioni che, integrando le precedenti, ne affermino chiaramente e definitivamente il carattere imperativo».

E più avanti: « Del resto la frammentaria e dispersa legislazione sulle Biblioteche di ogni ordine, dalle Statali a quelle degli Enti locali e Scolastiche, che non ha trovato poi un reale correttivo e un'integrazione adeguata nell'indirizzo e nelle iniziative; degli organismi ministeriali ad esse preposti, è lo specchio di una situazione di confusione, di contraddizioni, e anche di dispersione di energia che converrà al Parlamento rivedere in maniera organica».

La relazione citata si conclude con proposte che rendono inequivocabile l'obbligatorietà sia dell'istituzione che del mantenimento della Biblioteca da parte dei Comuni aventi oltre 10.000 abitanti, pur lasciando ai Comuni minori la facoltà di iscrivere in Bilancio le spese relative.

Se accanto alle considerazioni fino ad ora accennate si pone poi la norma di diritto amministrativo che, pur dettando l'obbligatorietà della spesa, lascia nel momento della sua fase esecutiva all'Amministratore, nel nostro caso all'Assessore alla Pubblica Istruzione, una sfera di potestà discrezionale che è stata fino ad oggi fonte di rimandi e di impegni di spesa non assunti, l'excursus sull'argomento sembra sufficientemente completo o, comunque, tale da porre il problema dell'obbligatorietà nell'ambito di un indilazionabile intervento legislativo.

Le Biblioteche Popolari e Scolastiche.

Il Decreto Legge Luogotenenziale del 2 settembre 1917 n. 1521 (sembra

proprio che le tappe fondamentali dell'ordinamento delle Biblioteche debbano essere legate ai momenti più difficili della nostra storia), la Legge Comunale e Provinciale, il Testo Unico per la Finanza Locale ed una serie di Circolari ministeriali regolano l'intervento dei Comuni e delle Province nei confronti delle Biblioteche popolari» e di quelle «scolastiche».

Quantunque i citati testi accomunino sempre i due aggettivi «popolari» e «scolastiche» in omaggio alla comune matrice originaria, la scuola elementare o i corsi popolari, in aderenza ad una realtà che si è verificata dal 1917 ad oggi, qualche cosa mi pare sia pure accaduto da allora, io tratterò distintamente le due istituzioni.

L'obbligatorietà della spesa per le Biblioteche popolari, sia per la loro istituzione (Art. 1 D. L. cit.), sia per il loro arredamento (art. 3 D. L. cit.) sia per il loro mantenimento ed incremento (art. 4 D. L. cit.)

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CHIESA a CUPOLA di SAN LEONARDO LE MATINE

dell'omonima Badia in Siponto (agro di Manfredonia), che fu importante centro scrittorio nell'alto Medio evo. Porta laterale decorata, raro monumento della superstite arte originale garganica del sec. XI.

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sembra indiscutibile per i Comuni. Per quanto riguarda le Province, invece, l'obbligatorietà si riferisce ai soli sussidi per il mantenimento e l'incremento (Art. 4 D. L. cit.).

Questi impegni dovrebbero rimanere confermati, sia pure attraverso una generica «fornitura di mobili e contributi per le Biblioteche popolari scolastiche», dall'Art. 5 lettera F n. 5 del Titolo II (successivamente abrogato) del R. D. 14, settembre 1931 n. 1175 e dall'Art. 91 lettera F n. 5 della Legge Comunale e Provinciale del 1934. Due punti, a mio parere, in questo particolare settore necessiterebbero di un ulteriore chiarimento: il rapporto biblioteca-numero abitanti e la entità del contributo.

Negli intendimenti del legislatore (Art. 1 comma 2 del citato Decreto Legge del 1917) la Biblioteca popolare dovrebbe soddisfare agli interessi culturali a livello elementare -- oggi naturalmente il livello è stato praticamente elevato o, almeno, avrebbe dovuto esserlo, a quello della scuola d'obbligo -- del nucleo di abitanti compreso nell'area assegnata ad una scuola elementare o popolare e pertanto, naturalmente per i Comuni superiori ai 5.000 abitanti, su un ordine numerico che si aggira dai 4 ai 5.000 abitanti.

Se questo principio fosse stato osservato, oggi, nel nostro Paese potremmo disporre di oltre 45.000 biblioteche di questo tipo quante appunto sono le scuole elementari italiane.

L'entità del contributo, indiscutibilmente obbligatorio (Art. 4 comma b) del D. L. cit.) sia per i Comuni, che per le Province, che per lo Stato, non è assolutamente stabilito e pertanto lasciato alla discrezionalità dei singoli Enti, con risultati difformi e non certamente proporzionati alle necessità culturali locali.

Lo stesso D. L. 2 settembre 1917 n. 1521 regola L'ordinamento delle Biblioteche scolastiche o, meglio. delle Biblioteche di classe.

L'obbligatorietà della spesa da parte del Comune è, qui, semplicemente prevista per l'arredamento (Art. 3 D. L. cit.) in quanto l'istituzione, il mantenimento e l'incremento (Art. 2 D. L. cit.) sono affidati agli alunni stessi -che contribuiscono nella misura di «10 centesimi per ogni mese di scuola nei comuni urbani e di 5 centesimi nei comuni rurali». Ignoro se ancora oggi, in qualche scuola, sia in atto questa formula, affatto disprezzabile del resto, magari ad integrazione dea contributo comunale divenuto obbligatorio in ossequio al già citato Art. 91 lettera F n. 5 della Legge Comunale e Provinciale, ma desidero rilevarla perchè è l'unico caso, nella legislazione relativa alle biblioteche, in cui di fronte all'imposizione di una spesa

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si indicano chiaramente i mezzi necessari per fronteggiarla: vuole il destino che i mezzi necessari siano stati proprio richiesti ai figlioli dei combattenti del 1917!

Non ripeterò che anche per le Biblioteche scolastiche, con l'entità del contributo lasciato alla discrezione degli Enti, il servizio risulta non proporzionato alle necessità locali.

A solo titolo di giusto riconoscimento ricorderò qui l'opera meritoria dell'Ente Nazionale Biblioteche Popolari e Scolastiche che in questi settori opera con l'intento di smussare almeno le più vistose insufficienze.

Gli organi di tutela e di controllo.

Il terzo ed ultimo punto della legislazione vigente relativa alle

Biblioteche degli Enti locali che, desidero trattare si riferisce agli organi di tutela e di controllo: Sopraintendenze bibliografiche (D. L. 2 ottobre 1919 n. 2074); Ispettorati bibliografici onorari e Giunte di vigilanza (R. D. 27 settembre 1923 n. 2320); Comitati provinciali di vigilanza (R. D. 13 agosto 1926 n. 1613).

Tutti questi organi sono o statali o di nomina statale. Oggi sono attivi soltanto le Sopraintendenze bibliografiche e gli Ispettorati bibliografici onorari. Sia le Giunte che i Comitati provinciali di vigilanza, l'ufficio dei cui componenti era previsto gratuito, non hanno mai avuto pratica attuazione.

Nei confronti delle Biblioteche degli Enti locali oggi le Sopraintendenze, organi periferici dello Stato, esercitano per conto del Ministero della Pubblica Istruzione - Direzione Generale Accademie e Biblioteche, due compiti ben distinti.

Il primo,previsto dall'Art. 2 nn. 1-9 del citato D. L. istitutivo, riguarda la sorveglianza sull'applicazione delle disposizioni di legge relative alla tutela del patrimonio bibliografico di importante interesse ed il secondo, previsto dallo stesso Art. 2 nn. 10-11 riguarda invece la potestà di proporre «aiuti da concedersi, sul bilancio del Ministero, alle Biblioteche dei Comuni e degli Enti per l'ordinamento e l'incremento delle collezioni» e dare «parere sulle domande di sovvenzione presentate dagli Enti medesimi», di proporre l'istituzione di nuove Biblioteche e di vigilare in generale sul funzionamento delle Biblioteche, riferendo in proposito al Ministero.

Accanto a questi due compiti specifici le Sopraintendenze vigilano sui corsi di preparazione per il personale addetto alle Biblioteche popolari -(R. D. 3 giugno 1935 n. 120) ed assolvono a tutte

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quelle disposizioni che la Legge 24 aprile 1941 n. 393 prevede nei confronti delle Biblioteche dei Comuni capoluoghi di Provincia ove non esista una Biblioteca Statale.

Un solo rilievo: la scarsità di mezzi finanziari che lo Stato mette a disposizione di questi benemeriti dell'organizzazione bibliotecaria italiana limita, quando non mortifica, non dico brillanti iniziative personali, ma addirittura lo svolgimento di quei compiti che le stesse leggi prevedono.

Concludo questa parte ricordando l'opera degli Ispettori bibliografici onorari, validi e generosi cooperatori al conseguimento dei fini assegnati alle Sopraintendenze.

Le Biblioteche degli Enti, locali e l'Art. 117 della Costituzione.

Sia dai lavori preparatori che dalle discussioni avvenute in sede di

approvazione della Costituzione, non possiamo certamente affermare che il problema di attribuire o meno la competenza in materia di biblioteche alla Regione sia stato ampiamente discusso. Le biblioteche compaiono e scompaiono, senza giustificazioni di sorta, dalle numerose proposte esaminate dalla Sottocommissione «Problema della Regione» presieduta dal prof. Arturo Carlo Jemolo. La materia «biblioteche» non compare nemmeno nello «Schema relativo all'istituzione della Regione» presentato dalla citata Sottocommissione all'Assemblea Costituente. Infatti non sembra evidentemente sufficiente il dettato che figura al Titolo III, Attribuzioni della Regione, Art. 25 n. 12 che conferisce, appunto alla Regione, «tutte le attribuzioni che le attuali disposizioni di legge conferiscono alla Provincia».

Anche all'Assemblea Costituente le biblioteche compaiono e scompaiono nei numerosi emendamenti presentati all'Art. 109 del progetto della Costituzione (l'attuale Art. 117) senza una giustificazione specifica se escludiamo un accenno negativo dell'On. Nobile ed uno positivo dell'On. Caronia.

Nella seduta del 4 luglio 1917 l'On. Nobile, lamentando l'affrettata discussione in atto sulle singole «materie» attribuite alla Regione, vorrebbe abolirne gran parte e tra queste le «Biblioteche degli Enti locali». Afferma l'On. Nobile «Anche qui, giudicando da persona che non conosce bene l'argomento, non avevo fatto obiezioni; ma un collega che si intende della questione, l'On. Bellusci mi diceva testualmente l'altro ieri: -- Dare alla Regione la facoltà di legiferare in questa materia sarebbe un'enorme bestialità: non si deve

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farlo --. L'On. Bellusci appartiene, badate bene, a quel Gruppo repubblicano che è il più intransigente assertore dell'ordinamento regionale».

Pure nella stessa seduta l'On. Caronia, commentando un emendamento, a firma anche degli Onorevoli Dominedò, Aldisio, Cappi, Codacci Pisanelli ed altri, tendente a sostituire i commi 7. e 8. con il seguente: «l'Istruzione pubblica di tutti gli ordini e gradi, Accademie e Biblioteche, belle arti, antichità e Musei», afferma: «Sento delle esclamazioni di meraviglia che non credo siano giustificate. Perchè (deve essere vietato alla Regione di legiferare sulle proprie Accademie, sulle Biblioteche, sui propri Musei, sulle belle arti, sulle antichità; Perchè non deve regolare le proprie scuole? Quando abbiamo approvato il 1 comma dell'Art. 109, il quale stabilisce che la Regione può emanare norme legislative entro i principi generali stabiliti dalle leggi dello Stato è più oltre giustificata la preoccupazione dell'indirizzo seguito sui problemi della scuola dalla Regione possa essere in contrasto con quello seguito dallo Stato?».

Infine, nella seduta dell'8 luglio 1947, viene approvato senza commenti specifici l'alinea che ci riguarda: «Musei e Biblioteche di Enti locali» la cui premessa è la seguente: «La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali dalle leggi dello Stato, semprechè le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni».

La storia della fino ad oggi mancata attuazione della Regione. del mancato ossequio ad un dettato costituzionale è storia a tutti nota. Ma pure in questo clima di perplessità, di ondeggiamenti e di rimandi, e che oggi vorrei giudicare più sereno, sono stati tuttavia espressi due documenti. fondamentali: la Legge 10 febbraio 1953 n. 62 sulla «Costituzione e funzionamento degli organi regionali» e la «Relazione» (1961) della «Commissione di studio per l'attuazione delle Regioni a statuto normale» la cosiddetta Commissione Tupini dal nome del suo Presidente. Legge e Relazione che contengono, accanto evidentemente agli articoli del Titolo V della Costituzione, gli elementi di base per la formulazione della Legge istitutiva dell'Ente Regione.

Esaminiamo ora quali saranno nel nostro settore le conseguenze certe di questa riforma veramente fondamentale dell'ordinamento politico e amministrativo del nostro Paese; cercheremo poi di stabilire se. e in quale modo in questa nuova realtà sia possibile formulare un organico piano Perchè le Biblioteche degli Enti Locali possano

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adempiere compiutamente a quel mandato culturale che tutti noi, alle nostre biblioteche, crediamo di dover assegnare.

Primo fatto certo: dopo la costituzione della regione sarà di spettanza del Consiglio Regionale, e non più del Parlamento, emanare le leggi che regolano la vita delle nostre Biblioteche Comunali o Provinciali, Popolari o per tutti, Scolastiche o di Classe. Le Leggi, per evidenti ragioni, dovranno essere emanate «nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» che, con l'attuazione delle Regioni, diverrà così veramente il supremo moderatore della vita nazionale impegnato a correggere gli squilibri esistenti attraverso una politica di programmazioni di sviluppo economico e non attraverso una politica ‹il contributi paternalistici o assistenziali.

Secondo fatto certo: trasferimento alla Regione di quelle funzioni di tutela e di vigilanza, di integrazione finanziaria, di iniziative di sviluppo, di rappresentanza e di controllo, sempre si intende solo nei confronti delle Biblioteche degli Enti Locali, che lo Stato oggi esercita direttamente o attraverso le Sopraintendenze bibliografiche.

Terzo fatto certo: rimarrà all'Ente proprietario il compito di provvedere alla conservazione, al funzionamento e alla gestione delle singole biblioteche.

Cerchiamo di stabilire ora, di fronte a queste nuove realtà, le possibili soluzioni ai nostri problemi.

La potestà legislativa della Regione, e per l'Art. 117 della Costituzione e per la Legge 10 febbraio 1953 n. 63 e per le osservazioni contenute in proposito nella Relazione Tupini, ha carattere integrativo, agisce cioè entro un ambito di principi fondamentali stabiliti (la un'apposita legge della Repubblica, la famosa Legge-quadro, che dovrà essere emanata per ogni materia e senza la quale la Regione non potrà iniziare la sua attività legislativa.

Per la nostra materia invece esige una deroga, prevista dall'Art. 9 della citata Legge del 1953; ma la deroga non esclude la necessità della Legge-quadro, offre semplicemente la possibilità alla Regione di legiferare in materia in quanto si stima che principi fondamentali siano già enunciati sufficientemente nella legislazione vigente.

Mi sembra giusto pensare che i punti fondamentali della Legge-quadro debbano essere i seguenti:

1) Obbligo per ogni Comune di istituire e gestire una Biblioteca capace di soddisfare alle esigenze culturali dei propri ammi-

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nistrati e comunque a livello non inferiore a quelle previste per i licenziati degli istituti scolastici locali.

2) Conferma dei principi contenuti nella Legge 24 aprile 1941 n. 393 relativa ai Comuni capoluoghi di Provincia ove non esista una Biblioteca di Stato.

3) Obbligo, per i Comuni con una popolazione superiore ai 20.000 abitanti, di istituire e gestire, accanto alla Biblioteca Comunale centrale, Biblioteche popolari con rapporto di almeno una ogni 10.000 abitanti.

4) Obbligo per i Comuni di fornire, per ogni classe della scuola d'obbligo almeno 10 volumi per ogni anno scolastico.

5) Attribuzione alla Regione di tutti quei compiti di tutela e di controllo, di integrazione finanziaria e di rappresentanza, nei confronti delle Biblioteche degli Enti Locali, oggi esercitati dallo Stato sia direttamente che attraverso le Sopraintendenze.

Entro questi limiti la Regione potrà legiferare con assoluta autonomia. delegare o attribuire ai Comuni e alle Province compiti e funzioni per realizzare nei modi che riterrà più opportuni, quei fini che la propria politica culturale si sarà fissati.

Ogni Regione potrà adottare quegli schemi programmatici che riterrà più consoni alle caratteristiche culturali della Regione ed è a questo punto che le sezioni regionali dell'A.I.B. potranno intervenire, e questa volta con efficacia senz'altro maggiore di quanto non sia avvenuto presso gli uffici dello Stato. e mettersi a disposizione dell'Assessorato all'Istruzione della Regione perchè ogni iniziativa sia veramente frutto di viva esperienza e di meditate soluzioni.

Numerosi e pregevoli sono stati, in questi anni, gli schemi di sviluppo delle nostre biblioteche presentati dai soci dell'A.I.B. sia in congressi nazionali che in convegni regionali. Bellini e Cecchini, Dalla Pozza e Carini, il compianto Serrazanetti e Piersantelli, Papò ed altri altrettanto egregi soci Hanno scritto cose degne della più alta considerazione; ma qui vorrei segnalare, per i suoi caratteri di adattabilità alle più disparate esigenze locali, lo studio di Bellini, Carrara e Dalla Pozza «Sviluppo delle biblioteche degli Enti Locali e di Servizi provinciali di lettura» presentato al II Convegno dei bibliotecari lombardi tenutosi a Milano nella scorsa primavera. In particolare i rapporti finanziari Comune-Provincia-Stato (sostituiremo lo Stato con l'Ente Regione) sono stati esaminati a fondo e potrebbero davvero assumere, in quasi tutte le Regioni, un carattere di esemplarità.

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E dopo l'aspetto legislativo l'aspetto esecutivo nel nuovo ordinamento regionale.

Abbiamo già detto che tutte le funzioni che oggi svolge il Ministero della Pubblica Istruzione in questa materia passeranno all'assessorato della Pubblica istruzione della Regione. Ma di quali uffici, di quale personale potrà valersi l'Assessorato per esercitare quelle funzioni esecutive che oggi sono proprie delle Sopraintendenze, organo periferico dello Stato? Il problema, nel nostro settore, non è molto semplice.

L'art. 65 della Legge del 1953 afferma: «Le Regioni provvederanno alla prima costituzione dei propri uffici esclusivamente con personale comandato dagli Enti Locali, dagli uffici periferici dell'Amministrazione dello Stato nell'ambito della Regione e, in quanto sia necessario, degli altri uffici statali, centrali o periferici». E l'Art. 70 della stessa Legge afferma: «il trasferimento dallo Stato alla Regione di uffici che attendono a compiti riflettenti le materie di cui all'Art. 117 della Costituzione dovrà venire entro quattro mesi dall'entrata in vigore delle rispettive leggi previste dal 2° comma della disposizione transitoria VIII della Costituzione. Il trasferimento sarà disposto con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente, sentito il Consiglio Regionale interessato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri».

Se le Sopraintendenze svolgessero oggi i loro compiti esclusivamente nel campo degli Enti Locali, dopo un adeguamento numerico e territoriale con le Regioni, potrebbero tranquillamente divenire organi regionali, magari assumendo una denominazione che meno ricordi l'organizzazione amministrativa del secolo scorso. Ma la Costituzione non ha affidato alla Regione quei compiti che le Sopraintendenze svolgono nei confronti di Enti non locali e di privati e pertanto, allo stato dei fatti, il passaggio «tranquillo» non è possibile.

Allora, non considerando la possibilità di creare un ufficio regionale parallelo che finanziariamente sarebbe gravoso e fatalmente determinerebbe degli squilibri nei criteri di valutazione sia nell'opera di tutela che di controllo nell'ambito della stessa Regione, due sembrano le possibili soluzioni, dopo aver comunque attuato l'adeguamento numerico e territoriale delle Sopraintendenze: le funzioni che attualmente svolgono le Sopraintendenze e che non sono previste nei limiti stabiliti dall'Art. 117 della Costituzione oppure che sono comprese, appunto, nei limiti del citato Art. 117.

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I citali Artt. 65 e 70 della Legge del 1953, accanto naturalmente ai comuni II e III dell'Art. 118 della Costituzione, ammettono le due soluzioni: magari con un po' di buona volontà per la seconda, quantunque sia la formula che più si avvicina a quella attualmente adottata dalle Regioni a Statuto speciale.

Personalmente penso che la soluzione della delega (la parte dello Stato alla Regione, e per essere chiaramente prevista dalla Legge e dalla Costituzione e per lo spirito che ha animato la creazione dell'Ente Regione, sia decisamente da preferirsi.

Concludo queste mie modeste considerazioni con l'esame dell'aspetto finanziario della questione.

Aspetto di importanza fondamentale: se si vuole veramente che la Regione nasca viva e vitale, che sia in grado di assolvere con dignità a tutti quei compiti che i Costituenti hanno voluto assegnarle, è necessario che possa agire in modo veramente autonomo pur nei limiti, ancora una volta lo ripeto, dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. E autonomia. vera, di fatto, e che nemmeno lontanamente possa ricordare quella che le leggi attribuiscono ai nostri Comuni e alle nostre Province, nella stragrande maggioranza in perenne attesa del contributo statale per fare in qualche modo quadrare il proprio Bilancio, per far fronte in qualche modo alle responsabilità che all'Amministrazione dei Comuni e delle Province sono pure connesse. E ricordiamo che non c'è autonomia se non c'è responsabilità, non c'è responsabilità se non c'è autonomia finanziaria e non c'è autonomia finanziaria se non c'è autonomia tributaria.

Sul problema dell'autonomia finanziaria della Regione, voluta dall'Art. 119 della Costituzione ed i cui criteri di massima ivi contenuti sono soprattutto opera dell'On. Ruini, ricordo qui gli studi contenuti nella Relazione Tupini e in particolare quelli dovuti all'avv. Ferdinando Carbone, a prof. Celestino Arena e all'Istituto Nazionale per lo Studio della Congiuntura.

Il citato Art. 119 assicura l'autonomia finanziaria della Regione attraverso l'attribuzione di «tributi propri o quote di tributi erariali». Nella Relazione Tupini viene indicata la possibilità di impianto di una finanza regionale autonoma mercè la trasformazione in tributi propri della Regione dei due tributi fondiari: imposta sui terreni e imposta sui fabbricati; e la impostazione di una finanza di partecipazione mercè attribuzioni di quote notevoli su due tra i più importanti tributi erariali: l'imposta generale sull'entrata e l'imposta del consumo sui tabacchi.

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Page 14: l'Ente Regione e le biblioteche degli enti locali · e le biblioteche degli enti locali ... dovrebbe emergere dall'obbligatorietà prevista per le «istituzioni comunali» e le ...

Le conclusioni della Relazione sono note, come pure è nota la metodologia adottata per addivenire al calcolo approssimativo del famoso costo delle Regioni. Costo che contiene sia il trasferimento alle Regioni di spese già di competenza statale, giusta l'Art. 117 della Costituzione, sia quei coefficienti di nuove spese determinati dall'Organizzazione stessa e per l'«insorgere di bisogni latenti, per la sensibilizzazione di bisogni e interessi regionalmente soddisfatti, anche per effetto di irritazione ed emulazione».

Non nascondo la delusione che ebbe a subire la mia curiosità quando andai a ricercare i costi previsti, sia per il trasferimento delle spese già di competenza statale sia per i «bisogni latenti» e «per la sensibilizzazione di bisogni» relativi alla nostra materia.

La nostra materia è assente in quanto, riflettente «spese proprie delle Amministrazioni Locali», non trova «considerazioni nel Bilancio dello Stato». Io penso che i pur modesti 230 milioni a disposizione della Direzione Generale per le Biblioteche non statali avrebbero dovuto figurare. Non importa se il dato non sia stato richiesto o non sia stato comunicato, dobbiamo dire semplicemente che, allo stato dei fatti, la nostra materia è esclusa dai costi previsti per l'attuazione della Regione.

Nella Relazione Tupini la ricerca dei mezzi per garantire l'autonomia finanziaria è stata condotta sulla base dei costi già calcolati: le nostre esigenze sono relativamente modeste e quindi, probabilmente, potranno essere contenute nell'ambito dei tributi fondiari ed erariali previsti. Se questo non fosse possibile suggerirei l'attribuzione alla Regione di una quota di quanto lo Stato percepisce attraverso il gioco del lotto.

Concludo con la certezza che la Regione, se attuata con quello spirito che ha animato i Costituenti che l'hanno voluta, e cioè come mezzo per attuare una più larga partecipazione del popolo alla vita politica e amministrativa del nostro Paese e come più idoneo strumento per l'organizzazione generale dello Stato, sarà un gran bene: e sono certo che gran bene riceveranno anche le nostre Biblioteche se i bibliotecari - ad ogni livello - non si lasceranno sorprendere, come non si stanno lasciando sorprendere gli interessati agli altri settori, da fatti compiuti e magari irrimediabili.

RENATO PAGETTI Vice Direttore della Biblioteca Comunale di Milano

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