L'enigma della nostra vita

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In questo testo, l’autrice cerca di risolvere un enigma che da sempre fa parte della vita di tutti noi: “se ciascuno di noi è sempre unico e irripetibile non solo nei confronti degli altri, ma anche di se stesso perché ogni esperienza ci cambia, com’è possibile orientarci in modo valido nella complessa maglia dei rapporti interpersonali?”

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Maja Ricci Andreini

L’Enigma della nostra vitaOrientarsi nei rapporti interpersonali

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Prima Edizione: 2013

ISBN 9788898037292

© 2013 Edizioni Psiconline - Francavilla al MarePsiconline® Srl66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/ATel. 085 817699 - Fax 085 9432764Sito web: www.edizioni-psiconline.ite-mail: [email protected]

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Finito di stampare nel mese di Novembre 2013 in Italia da Atena.net srl - Grisi-gnano (VI) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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INDICE

P I A.F.N.I.B.

Cap. I - Premessa Cap. II - Il modello A.F.N.I.B

P L

Cap. III - Il barbaro Cap. IV - Il folletto Cap. V - Il nobile Cap. VI - L’inquisitore Cap. VII - L’alchimista A TestRisultati

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PARTE PRIMAIl modello A.F.N.I.B.

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CAPITOLO I

Premessa

L’impronta di un destino è già tangibile molto prima che ci rendiamo conto che

quel destino ci appartiene.

Qualcuno ha affermato che, per essere sereni, dobbiamo avere una “buona lettura” di noi stessi, del nostro prossimo e della relazione con lui, dell’Ordine delle Cose.

Tralasciamo ogni discussione relativa all’Ordine delle Cose perché porterebbe solo a un dibattito privo di solu-zione. Concentriamoci, invece, sulla lettura di noi stessi, del nostro prossimo e della relazione con lui. Non è affatto semplice avere una “buona” lettura di questi aspetti fonda-mentali della nostra vita! Ogni individuo, infatti, è unico e irripetibile non solo nei confronti degli altri, ma anche nei confronti di se stesso e della sua storia.

Cosa intendo dire? Intendo dire che ciascuno di noi è diverso ogni attimo della propria esistenza perché ogni esperienza, inevitabilmente, ci cambia. Rimaniamo noi stessi, ma non siamo mai gli stessi.

A tutti è capitato di sentirsi dire: «sei diverso», «non sei la persona che credevo», «sei cambiato», «non ti rico-

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nosco». A tutti è capitato di dire queste frasi. E meno male che è successo! Se non fossimo perennemente in movi-mento interiore e mutamento, saremmo solo degli automi! Dei computers che ripetono all’infi nito i programmi per cui sono stati programmati!

Dato per scontato che tutti siamo unici e diversi nel nostro essere noi stessi nel tempo, come possiamo avere una “buona” lettura di noi stessi e di chi ci sta innanzi senza “perderci” nei nostri e altrui cambiamenti? Come possiamo prevedere le “mosse” del nostro prossimo o comprenderne sino in fondo le emozioni e sentimenti? Le domande che ci poniamo sui nostri rapporti e relazioni sono tantissime e, spesso, ci mettono in crisi perché non siamo capaci di dare loro risposte che ci convincano sino in fondo. «Mi ama o non mi ama?», «perché si comporta così?», ecc. sono domande che tutti ci siamo posti e a cui tutti, spesso, non abbiamo saputo fornire una risposta effi -cace.

La mia esperienza, insieme ai miei studi, afferma che la realtà interpersonale e i giochi relazionali che comporta possano essere “sintetizzati” in un modello pratico molto semplice da attuare e che io ho chiamato A.F.N.I.B.

Il modello A.F.N.I.B. non mira a essere “completo” o “perfetto”; non vuole essere la “bussola” che indica il nord consentendo di uscire da una foresta intricata. Mira semplicemente a essere il muschio che, nei nostri boschi, cresce, spesso, sul lato nord degli alberi. A noi saperlo vedere e riconoscerlo. Scegliere se seguire la via che ci indica o meno.

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Il mio modello parte dal concetto che noi e il nostro prossimo – incluse le relazioni che ne originano – siamo “classifi cabili” con un minimo margine di errore solamente nell’hic et nunc, nel qui e ora, nell’attimo in esame. In rela-zione, però, alla nostra “classifi cazione” nel qui e ora, ten-deremo, con un buon margine di probabilità, a essere clas-sifi cabili, domani, in determinati modi collegati alla prima “classifi cazione”. Questo perché per essere noi stessi nel qui e ora usiamo sempre, almeno in parte, processi men-tali, consapevoli e inconsapevoli, automatizzati. Processi mentali consapevoli e inconsapevoli che ci consentono di rimanere noi stessi nel nostro continuo cambiare. Processi mentali, consapevoli e inconsapevoli che, se troppo rigidi, possono privarci della facoltà di scegliere realmente chi essere, chi avere accanto, che relazioni instaurare.

A cosa mi riferisco con “processi mentali consapevoli e inconsapevoli automatizzati”? Mi riferisco semplicemente ai sogni a occhi aperti e alle conclusioni automatiche che ci portano a reazioni e comportamenti altrettanto automa-tici. Così accade che, senza esserne pienamente coscienti, spesso adottiamo, nei vari contesti sociali, modalità rela-zionali che fanno scattare nel nostro prossimo, sempre in automatico, emozioni, sogni, conclusioni, reazioni e comportamenti che spesso non vorremmo. Quando ciò avviene i rapporti e le relazioni acquistano, per molti versi, “vita propria” e ci sfuggono di mano. Siamo come presi in un vortice di cui non comprendiamo l’origine. Il nostro destino, in gran parte, se vogliamo, è scritto da meccanismi mentali e sociali automatici di cui, spesso,

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non siamo consapevoli. Il mio modello parte da un altro concetto: per sapersi

orientare bene nella foresta delle relazioni affettive con il nostro prossimo, essere liberi di fare reali scelte e dare ai rapporti l’impronta che desideriamo, dobbiamo imparare, per prima cosa, a “pensare” veramente. Sembra semplice dire “pensare”. Non è così semplice nel signifi cato che do io al termine. Il termine “pensare” deriva dal latino pen-dere = soppesare. Soppesare su due piatti della bilancia. È differente dal termine “ragionare” che si rifa, invece, alla ratio, alla ragione, e dal termine “rifl ettere” dal latino refl ectere = guardare indietro. Pensare... soppesare... sop-pesare su due piatti della bilancia.

Soppesare cosa? La Ratio e il Sensus. I dati cognitivi e i dati emotivi. I dati provenienti dai nostri processi razionali e i dati provenienti dalle nostre sensazioni e istinto.

Soppesare cosa? Noi e l’altro. Le nostre esigenze e le esigenze altrui. Le nostre prospettive e le prospettive altrui. Il nostro prossimo può dare a uno stesso evento, o contesto, o esperienza, una lettura completamente diversa dalla nostra senza per questo che uno dei due stia sba-gliando. Stiamo solo cogliendo sfumature diverse. Questo, non mi stancherò mai di ripeterlo, perché ciascuno di noi è sempre unico e irripetibile nel suo essere e cambiare con la conseguenza che ha sempre prospettive di osservazione e concettualizzazione1 della realtà uniche e irripetibili.

1 Con concettualizzazione intendo il processo di organizzazione del proprio sapere in con-cetti, idee, convinzioni. Ciascuno di noi concettualizza continuamente tutta la realtà che lo circonda per dare a essa un ordine. La concettualizzazione è un processo che inizia da bambini. Se non concettualizzassimo la realtà circostante vivremmo nel Caos. Di fondo, non potremmo nemmeno parlare dato che, per parlare, abbiamo bisogno di associare a ogni

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Imparare a pensarci nel passato, nel presente e nel futuro è, in relazione al mio modello, l’unico vero modo per avere una “buona” lettura di noi stessi, del nostro pros-simo e della nostra relazione.

Il mio modello parte da un ultimo concetto. Seppure ciascuno di noi sia sempre unico e irripetibile sia nei con-fronti degli altri che della propria storia, è possibile tro-vare somiglianze tra le varie prospettive di osservazione e concettualizzazione della realtà circostante e dei rap-porti. Com’è possibile trovare somiglianze tra i comporta-menti causati da queste prospettive. Sono proprio queste somiglianze che mi hanno portato a formalizzare il mio modello. Modello che è relazionale e che mira a indivi-duare “modalità relazionali” con noi stessi, con il nostro prossimo e con la realtà circostante.

Mi sembra di aver accennato, in questa premessa, tutto quanto necessario a comprendere il modello che seguirà e le sue implicazioni. A questo punto invito ogni mio let-tore, prima di procedere alla lettura del testo, a fare il test riportato in appendice I così da potersi confrontare meglio con il modello stesso sulla base delle risposte fornite.

Invito, inoltre, ogni mio lettore a non considerare “asso-luto” il test. Né il suo risultato. Non è un test “tecnico” o “specialistico”. Mira solo a individuare il gruppo cui appartiene la nostra modalità relazionale “predominante” ovvero quella che tendiamo ad attuare con maggiore fre-quenza. Per questo è importante fornire “risposte imme-diate” e non troppo ragionate. Le risposte troppo ragionate

parola un concetto o signifi cato.

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non conducono a individuare chi tendiamo a essere, ma chi vorremmo essere. Il lettore ha a disposizione tutto il tempo della lettura del libro per confrontarsi con le caratteristiche dei gruppi di modalità relazionali che gli sono meno fami-liari e scegliere quali aspetti dell’una o dell’altra “fare suoi”. Il modello A.F.N.I.B. non è inserito in una logica “giusto/sbagliato” e parte dal presupposto che l’individuo abbia il più completo margine di cambiamento su se stesso e, di conseguenza, sulle sue relazioni. Per portare a ter-mine ogni cambiamento desiderato su di noi, però, dob-biamo essere, prima di tutto, ben consapevoli di chi siamo e di come tendiamo a impostare le nostre relazioni. Spesso senza rendercene conto. Per questo motivo è importante “individuare” il gruppo cui appartiene la nostra “modalità relazionale predominante” ovvero la modalità relazionale che tendiamo a “usare” di più.

Ciò non toglie che, nel risultato del test, noi possiamo trovare, oltre al gruppo cui appartiene la nostra moda-lità relazionale predominante, anche la presenza di altri gruppi. O trovarci “in bilico” tra due o più gruppi. Questo non è un fatto “negativo” o un “errore” del test. Siamo sempre in movimento interiore e le modalità relazionali che andiamo ad agire nella nostra vita tantissime. Ogni evento o incontro ci cambia. E, nel nostro cambiare rima-nendo noi stessi, impariamo sempre nuove modalità rela-zionali. Conoscere gli aspetti di più gruppi di modalità relazionali, presentare “aspetti contradditori”, rielaborare queste contraddizioni è l’unica vera via per imparare ad attuare un vero processo di “pensiero” sul mondo che ci

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circonda. Invito, infi ne, il mio lettore a non avere fretta di vedere

i “dettagli” del risultato del test andando subito ai capitoli in cui ne parlo e tralasciando il cap. II. Solo dopo la let-tura del cap. II, capitolo in cui viene spiegato il modello A.F.N.I.B., può comprendere tutte le implicazioni del risultato del test e “adattare” i risultati a se stesso nel modo più appropriato.

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CAPITOLOLO II

Il Modello “A.F.N.I.B.”

Tutto è più semplice di quanto si possa pensare e, allo stesso tempo più complicato di quanto si

possa capire. Johann Wolfgang Goethe

Il modello “A.F.N.I.B.” si basa su un piano cartesiano2. Il nome origina dalle iniziali dei nomi con cui ho classifi -cato i principali gruppi di “modalità relazionali”: “alchi-mista”, “folletto”, “nobile”, “inquisitore”, “barbaro”. Ogni gruppo è identifi cato da un quadrante eccezion fatta per l’alchimista che si trova nel punto O, all’incrocio degli assi (fi gura 1). Nei fatti, le modalità relazionali sono infi nite, come infi niti sono i punti del piano cartesiano di riferimento. La natura umana, come ho detto nella pre-messa, è estremamente complessa e non può e non deve essere mai “ridotta”. Tra modalità relazionali appartenenti allo stesso gruppo ci possono essere anche profonde dif-ferenze. Soprattutto, se posizionate rispettivamente sugli

2 Si defi nisce “piano cartesiano” un sistema formato da due rette ortogonali orientate inci-denti nel punto O (origine del sistema coincidente con lo zero) e che dividono il piano in quattro sezioni dette quadranti. La sua funzione è l’individuazione di punti nel piano. Le rette si dicono assi: la retta orizzontale è detta asse delle X o delle ascisse, la retta verticale asse delle Y o delle ordinate.

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assi differenti che individuano il quadrante del gruppo di riferimento. Così in un barbaro posizionato sull’asse di confi ne con il folletto molti aspetti tipici del barbaro saranno “smorzati” verso la modalità relazionale “fol-letto”. Questo barbaro sarà profondamente diverso da un barbaro posizionato sull’asse di confi ne con l’inquisitore.

Ciò non toglie che, sulla base delle somiglianze pre-senti, le varie modalità relazionali possano essere raggrup-pate nei 5 gruppi che ho detto lasciando agli assi cartesiani e alla posizione nel piano la defi nizione precisa di ogni modalità relazionale.

Sugli assi del piano cartesiano sono riportate due varia-bili: sull’asse delle X la modalità di “centratura”; sull’asse delle Y la modalità di “lettura della realtà”. Così l’asse delle X individua quanto una persona sia centrato su di sé o sull’altro nella sua relazione con se stesso e il prossimo; l’asse delle Y quanto si fondi su una lettura emotiva o una lettura cognitiva dei dati che provengono dal suo ambiente circostante (fi gura 2).

Figura 1. I principali gruppi di modalità relazionali.

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Figura 2. Assi di riferimento.

Dall’incontro di questi 2 assi – che non individuano una variabile indipendente e una dipendente, ma due variabili correlate l’una all’altra – origina un piano dai punti infi niti in cui è possibile collocare ogni individuo nel suo divenire storico e relazionale.

Più nel dettaglio... L’asse “lettura cognitiva/lettura emotiva” indica se nei

nostri processi mentali tendiamo a privilegiare i dati che provengono dalla Ratio e dai processi di ragionamento (quadranti in basso) o i dati che provengono dal Sensus e dai processi di percezione sensoriale/emotiva (quadranti in alto). È l’asse che determina anche la capacità di rego-

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lare il proprio tono dell’umore innanzi agli eventi e per-sone con cui ci scontriamo.

Se privilegiamo la Ratio e i processi di ragionamento, tendiamo a rifl ettere, a rallentare i nostri tempi vitali, a concentrarci sul passato, ad avere più o meno diffi coltà a proiettarci nel futuro e a immaginarcelo in un sogno e pro-getto di vita. Tenderemo, non sapendo sognare, a vedere tutto nero. Saremo più o meno pessimisti, sentiremo la fatica fi sica e avremo un tono dell’umore basso sino alla depressione.

Se privilegiamo il Sensus e i processi di percezione sen-soriale/emotiva, invece, tendiamo ad accelerare i nostri tempi vitali, a sognare a occhi aperti, a concentrarci sul futuro, ad avere diffi coltà a elaborare sequenzialmente il nostro passato imparando da esso e a saperne parlare in modo compiuto. Saremo più o meno ottimisti, pieni di energia e avremo un tono dell’umore alto sino alla mania-calità.

Nel primo caso, i processi di ragionamento condizione-ranno il nostro sentire; avremo, di fondo, un Sé Cerebrale che mirerà a controllare tutte le nostre emozioni. Saremo razionali. Se molto spostati sull’asse verso il basso, potremo avere diffi coltà a leggere il nostro corpo e tutte le sensazioni e percezioni che da lui provengono. Avremo diffi coltà a “lasciarci andare” (classiche le disfunzioni ses-suali, l’anorgasmia nella donna, l’eiaculazione ritardata nell’uomo). All’estremo dell’asse potremo giungere alla totale anaffettività e anedonia.

Nel secondo caso, il nostro sentire condizionerà i

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nostri processi di ragionamento; avremo un Sé Senso-riale. Saremo emotivi. Agiremo sulla base dell’impulso momentaneo. Funzioneremo molto secondo il principio piacere/malessere. Se molto spostati sull’asse verso l’alto, non sapremo associare le sensazioni e percezioni che pro-vengono dal nostro corpo con specifi ci eventi e tenderemo all’ansia perché questi appariranno ingestibili. All’e-stremo dell’asse, giungeremo a stati deliroidi o deliri veri e propri: confonderemo la realtà quotidiana con la realtà imposta dai nostri “sogni a occhi aperti” sino a poterci perdere, del tutto, in una “realtà onirica” caratterizzata dallo stato di veglia.

In teoria, l’asse delle X, rappresenta il punto perfetto del processo di “pensiero” sull’asse lettura emotiva/lettura cognitiva: il “bilanciamento perfetto” di Ratio e Sensus ed è proprio del barbaro/inquisitore e del folletto/nobile. Queste modalità saranno bravissime nella gestione dei loro toni dell’umore anche innanzi a eventi stressanti e nel sapersi concedere tutta la gamma di tempi vitali ed “emozioni negative” senza arrivare mai a stati dell’umore “esasperati”.

Nessuno di noi è statico lungo questo asse. Eventi e incontri possono condurci a essere più o meno istintivi/rifl essivi. Dimostrazione estrema ne sono quei disturbi dell’umore in cui dalla depressione e una visione delle cose estremamente razionale e pessimistica possiamo pas-sare alla maniacalità e a una visione delle cose istintiva ed eccessivamente ottimistica saltando tutta la gamma intermedia. È cosa risaputa, però, che ci sono persone più

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rifl essive e pessimiste e persone più istintive e ottimiste. Che le prime possono “perdere il treno” prese dai loro ragionamenti e rifl essioni. Che le seconde possono “sba-gliare treno” perché hanno preso il primo arrivato senza guardare dove si dirigesse convinte fosse quello giusto. Da dire che una persona che è pentita per “aver perso il treno”, la volta successiva, per paura di riperderlo, può prendere il primo treno che arriva senza ragionare se quello giusto. Da dire che una persona pentita per “aver preso il treno sbagliato”, la volta successiva, per paura di sbagliare ancora treno, può perderlo presa da ragionamenti e rifl es-sioni. Ciascuno di noi è perennemente in movimento nel piano cartesiano e potrà anche fare movimenti estremi in determinati periodi della sua vita in risposta al contesto in cui si trova.

L’asse “centratura su di Sé/centratura sull’altro” si rife-risce a quanto tendiamo a centrarci su di noi (quadranti a sinistra) o sull’altro (quadranti a destra) quando siamo in relazione, ovvero a quanto siamo disposti a metterci in discussione innanzi a modi di essere e sistemi di idee/con-vinzioni diversi dal nostro.

Quando siamo centrati su di noi (quadranti a sinistra), tendiamo a prendere poco in considerazione l’antitesi al nostro modo di essere fornita dall’altro, riteniamo il nostro sistema di convinzioni/idee il migliore in assoluto e, sep-pure con modalità differenti, imponiamo all’altro di ade-guarsi a noi. Riteniamo l’altro, nella maggioranza dei casi, un mezzo per il nostro benessere. Un mezzo sostituibile con facilità “se non fa quello che diciamo noi”. Sino all’e-

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stremo di diventare “sadici”. Quando siamo centrati sull’altro, invece, tendiamo

a metterci in discussione innanzi a chiunque ci fornisca un’antitesi al nostro modo di essere e sistema di convin-zioni/idee. Riteniamo l’altro essenziale al nostro benessere perché con la sua approvazione/disapprovazione è in grado di farci sentire amabili/non amabili, ecc. Ci adeguiamo in tutto a lui. Se all’estremo destro dell’asse, potremo avere quella che chiamo “identità in negativo” ovvero una let-tura di noi stessi basata completamente sulla lettura che l’altro ci dà di noi. Sino all’estremo di annullarci nell’altro e diventare “masochistici”.

In teoria, l’asse delle Y, rappresenta il punto perfetto del processo di “pensiero” sull’asse centratura su di sé/centra-tura sull’altro ed è proprio del barbaro/folletto e dell’in-quisitore/nobile.

Queste modalità saranno abilissime a cogliere tutte le implicazioni che una situazione ha su tutti i partecipanti, ma interpreteranno queste implicazioni in termini emotivi o cognitivi a seconda della loro posizione sull’asse delle X.

Anche su questo asse nessuno di noi è statico. In gene-rale, possiamo affermare che i processi d’innamoramento/amore e i sentimenti di affetto profondo tendono a spostare ciascuno di noi sul versante destro (centratura sull’altro). Come possiamo affermare che le delusioni ricevute ten-dono, in linea di massima, a spostarci sul versante sinistro (centratura su di sé). Anche su quest’asse sono possibili movimenti estremi. Basti pensare ai sadomasochisti che

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