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Page 1: L’emigrazione nel secondo dopoguerra · PDF fileNel secondo dopoguerra se poco v’era da rico- ... campagne maggiore che nel resto dell’Italia. Par-te dei giovani e delle ragazze

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Progetto Integrato Cultura del Medio Friuli

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Di movimento migratorio in Friuli si può iniziare a parlare dalla seconda metà del ‘500 e riguarda se-gnatamente la Carnia. Più allargato, il fenomeno si ripresenta nella seconda metà del ‘700, quan-do le mete si rivolgono a paesi più lontani (zone dell’Austria-Ungheria). Tuttavia la data soglia può essere considerata il 1870: all’indomani dell’Unità d’Italia, la disastrosa situazione economica co-strinse una moltitudine di Italiani, ma maggior-mente i Friulani, a lasciare i loro paesi alla ricerca di una vita migliore. Qui ogni paese aveva svilup-pato le sue preferenze: le mete fissate dai primi a partire orientarono le ondate che si successero. Le scelte potevano avvenire in base anche ad una diversità temporale di permanenza nei paesi pre-scelti. Le regioni dell’impero austro-ungarico era-no scelte per una emigrazione di più lunga durata (una decina d’anni) con in mezzo, però, le pause di rientro invernali; la scelta delle Americhe aveva il carattere di una durata più breve ma continua-tiva. Non ultimo, veniva preso in considerazione il fattore economico più remunerativo che faceva propendere per una lontananza prolungata. Il pri-mo conflitto mondiale sospese per qualche anno il flusso emigratorio, che riprese alla sua cessazione con spostamenti più marcatamente continentali rispetto al periodo prebellico. Nel secondo dopoguerra se poco v’era da rico-struire, tante erano le bocche da sfamare ed ir-risorie erano le entrate a cui attingere per soddi-sfare una dignitosa vita familiare. L’emigrazione tornò ad essere un fenomeno molto sofferto dalle nostre comunità. La terra non era in grado di dare più un reddito sicuro e vi fu un abbandono delle campagne maggiore che nel resto dell’Italia. Par-te dei giovani e delle ragazze si avviarono verso le città industrializzate del Nord, altri sceglieva-no mete europee, altri si volsero verso le Ameri-che. La media di questi spostamenti, definitivi o stagionali, si attestò intorno alle 15. 000 unità annue. I nostri lavoratori furono in gran parte richiamati verso Paesi dove si doveva far fronte alle necessità della ricostruzione (Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania) o ad un alto ritmo di sviluppo economico (Svizzera). E i contratti loro offerti erano abbastanza vantaggiosi, in partico-lare per i lavoratori specializzati. Negli anni ‘50-’60 ogni paese friulano, con picchi più accentuati nella fascia pedemontana, festeggiava durante le feste natalizie la Giornata dell’Emigrante, a ripro-va di quanto era diffuso il fenomeno. La produ-zione di capitale estero portò benefici economici anche ai paesi d’origine degli emigrati ove la gran parte riuscì a realizzare il sogno di una casa pro-pria. Il fenomeno migratorio ebbe a cessare alla fine degli anni Sessanta quando si aprirono nuove prospettive occupazionali locali. E un nuovo flusso ebbe a originarsi in senso opposto, quando verso la fine del secondo millennio, emersero sacche di

L’emigrazione nel secondo dopoguerraa cura di Gottardo Mitri

scarsità di manodopera anche in Friuli e si avviò un processo immigratorio che è ancora in corso. Le problematiche collegate alla vita “fuori casa”, culturali, ambientali, linguistiche, patite prima dai nostri emigranti, riemersero tra questi immigrati. Nell’ultima parte del secolo scorso, i flussi immi-gratori si configurarono come un prodotto dell’in-dustrializzazione e della conseguente decadenza dell’agricoltura tradizionale. Il distacco dal mondo agricolo avvenne per gradi: prima per effetto del-l’emigrazione stagionale che mirava a fornire un reddito addizionale a quello assai magro dell’atti-vità agricola; poi, l’attrazione centripeta prodotta dai nuovi modelli sociali di vita provocò il defini-tivo abbandono della campagna. La società friu-lana si trova oggi a fronteggiare scenari del tutto nuovi e diversamente articolati relativamente al pluralismo linguistico, culturale e religioso con

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Fig. 2 - Emigranti di San Lorenzo di Sedegliano in Africa.

Fig. 1 - Emigranti di Gradisca di Sedegliano in Svizzera.

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conseguente coinvolgimento problematico del-l’istruzione di questi immigrati. Le esperienze dei nostri emigranti della prima generazione dovrebbe aiutare a riflettere. Sono noti il vagare da strac-cioni alla ricerca di lavoro in paesi sconosciuti, sono note le tristi vendite di bambini a sfruttatori che li relegavano a pulire latrine e stretti camini, è noto il traffico di nostre donne giovani destina-te alle case di piacere di Algeri, Marsiglia, il Cairo e Tripoli. Arrivati a destinazione i nostri emigrati venivano accalcati come bestie in fetide case-ba-racche. Ecco che allora l’attuale situazione degli immigrati di oggi presenta delle tristi analogie con la nostra prima emigrazione. Ogni piccolo comu-ne annovera fra i suoi residenti persone di diversa nazionalità. Pur in presenza di un approccio aperto e solidale, una vera integrazione trova ancora dif-ficoltà a realizzarsi.

Bibliografia• G. C. Menis, La storie dal Friûl, SFF, Udine, 1995• L. Zanini, Friuli migrante, La Panarie, Udine, 1937• B. M. Pagani, L’emigrazione friulana dalla metà del XIX secolo al 1940, Arti Grafiche Friulane, Udine, 1968• G. Petter, Capitolo: La dinamica della nostra vita mentale, in La valigetta delle sorprese, Firenze,La Nuova Italia

Scheda n° 4. 10. 4

Per ricercare e approfondire• Nell’emigrazione, oltre all’aspetto economico, vi è un aspetto culturale: secondo te, in che cosa consiste?• Gli spostamenti di persone sono facilitati oggi?• C’è qualcuno in famiglia (zii, nonni, parenti) che ha fatto l’emigrante: fatti raccontare la sua esperienza.

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Fig. 3 - Gradisca di Sedegliano, fine Anni ‘50.

Fig. 4 - Emigranti di Sedegliano in Australia.