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63 3.1 Il ruolo della Chiesa Al movimento cattolico non era sfuggita l’importanza dell’emigra- zione e, inizialmente, i parroci sconsigliavano di emigrare, mettendo in primo piano il ruolo dell’unità familiare. L’interesse per l’emigrazione scaturiva non solo dalla istanza religiosa tradizionale ma anche dal desi- derio di rinnovamento della fede. La volontà degli uomini di chiesa era mossa dal desiderio di proteggere ed espandere la religione cattolica nei paesi protestanti e animati da idee sovversive. Fu sotto il pontificato di Leone XIII e, precisamente, attraverso l’ini- ziativa del vescovo piacentino Giovan Battista Scalabrini, che la Chiesa cercò di assumere un ruolo attivo per controllare quelle che erano chia- mate “idee sovversive”, socialiste e persino [] anarchiche. 1 Appoggiato e autorizzato dal Papa, il vescovo Scalabrini promos- se l’assistenza morale, materiale e sociale agli emigranti dell’America Latina, distinguendo l’emigrazione spontanea e quindi buona perché “valvola di sicurezza sociale”, perché “apre i sentieri della speranza”, e “reca la luce della civiltà cristiana fra barbari e idolatri”, da quella “sti- molata”, quindi “cattiva”, perché al “vero bisogno sostituisce la rabbia dei subiti guadagni” 2 CAPITOLO III L’emigrazione italiana. La voce della Chiesa. 1 Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, “Lettera pastorale di Mons. Bonomelli di Cremona al Clero e al popolo della sua diocesi, Cremona 1896”, in Z. Ciuffoletti - M. Degl’Innocenti, L’emigrazione…, cit., vol. I, pag. 286. 2 Idem, vol. I, pag. 262.

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3.1 Il ruolo della Chiesa

Al movimento cattolico non era sfuggita l’importanza dell’emigra-zione e, inizialmente, i parroci sconsigliavano di emigrare, mettendo in primo piano il ruolo dell’unità familiare. L’interesse per l’emigrazione scaturiva non solo dalla istanza religiosa tradizionale ma anche dal desi-derio di rinnovamento della fede. La volontà degli uomini di chiesa era mossa dal desiderio di proteggere ed espandere la religione cattolica nei paesi protestanti e animati da idee sovversive.

Fu sotto il pontificato di Leone XIII e, precisamente, attraverso l’ini-ziativa del vescovo piacentino Giovan Battista Scalabrini, che la Chiesa cercò di assumere un ruolo attivo per controllare quelle che erano chia-mate “idee sovversive”, socialiste e persino […] anarchiche.1

Appoggiato e autorizzato dal Papa, il vescovo Scalabrini promos-se l’assistenza morale, materiale e sociale agli emigranti dell’America Latina, distinguendo l’emigrazione spontanea e quindi buona perché “valvola di sicurezza sociale”, perché “apre i sentieri della speranza”, e “reca la luce della civiltà cristiana fra barbari e idolatri”, da quella “sti-molata”, quindi “cattiva”, perché al “vero bisogno sostituisce la rabbia dei subiti guadagni”2

CAPITOLO III

L’emigrazione italiana.La voce della Chiesa.

1 Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, “Lettera pastorale di Mons. Bonomelli di Cremona al Clero e al popolo della sua diocesi, Cremona 1896”, in Z. Ciuffoletti - M. Degl’Innocenti, L’emigrazione…, cit., vol. I, pag. 286.2 Idem, vol. I, pag. 262.

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Affinché l’assistenza religiosa agisse con più efficienza sugli emi-granti durante i viaggi in America, la Chiesa fondò nel 1887 la società di San Raffaele e nel 1892 la congregazione dei “Missionari di San Carlo Borromeo”, con il compito di lavorare con gli emigranti che andavano nelle Americhe.3 Scalabrini era sbalordito che lo Stato italiano faces-se così poco per tutelare i suoi emigranti e, come altri religiosi del suo tempo, diffidava di qualsiasi iniziativa intrapresa da uno Stato che si era staccato dalla Chiesa e dai principi religiosi.

Leone XIII aveva già notato la scarsa opera missionaria dei vescovi cat-tolici americani tra gli italiani, i neri e gli indiani, e nel 1888 rivolse un’en-ciclica ai vescovi americani per informarli dell’iniziativa di Scalabrini.

Scalabrini aprì una casa madre a Piacenza, dandole il nome di Cristoforo Colombo e mandò i suoi primi missionari in Brasile e negli Stati Uniti.4

I missionari scalabriniani si impegnarono sempre più in favore delle classi povere e lavoratrici, promuovendo la nascita del cattolicesimo sociale e, negli anni 80 dell’Ottocento, il programma scalabriniano si riprometteva di rafforzare sia la fede che la patria: una forma di nazio-nalismo cattolico attivista e populista. Tuttavia come notano Ciuffoletti e Degl’Innocenti, lo scopo del vescovo era molto più interessato ad altri fini che ad una apparente protezione dell’emigrante. L’istituto della con-gregazione, che doveva favorire un altruismo a sfondo cristiano, aveva l’ambizione di unire insieme mondo laico e cattolico, con il sostegno della borghesia industriale e degli economisti cattolici.

L’opera filantropica del vescovo piacentino diede lo spunto nel 1900 al vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli, amico e collaboratore di Scalabrini e fondatore della Società per l’assistenza ai lavoratori italiani in Europa e nel Levante.

Come il predecessore, anche Bonomelli tendeva a conciliare religione e patria, Stato e Chiesa. Nell’Opera Bonomelli, con sede a Milano, lavo-ravano religiosi e sostenitori laici e egli, preoccupato, fondò la sua Opera per fare concorrenza con la Società Umanitaria di Milano, di stampo

3 Enciclopedia Europea, vol. X, pag. 224.4 F. Assante, “Movimento migratorio italiano”, in Donna R. Gabaccia, Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo a oggi, cit., pag. 201.

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socialista, con il preciso intento di proteggere la civiltà cattolica tra gli emigranti, ovunque essi fossero.

La paura di Bonomelli non era tanto rivolta alle religioni protestanti quanto al socialismo, una nuova “fede” che si insediava a poco a poco nel cuore semplice del contadino e dell’operaio.5

Entrambe le associazioni cercarono di aiutare gli emigranti entrando spesso in concorrenza. Dopo molti anni di accese polemiche, entrambe riuscirono ad ottenere i finanziamenti dal governo per le loro opere.

3.2 LE CONDIZIONI DELL’EMIGRANTE

Nei porti d’imbarco per l’America, giornalisti e scrittori intervista-vano gli emigranti, tentando di conoscere le loro condizioni e le loro aspettative. Molti erano analfabeti e, se pure in possesso di biglietto, non conoscevano la loro destinazione. Altri, invece, avevano biglietti prepa-gati in America attraverso il sistema dei richiami e costituivano le cosid-dette “catene migratorie”. I mestieri che esercitavano erano riassumibili in contadini, braccianti, muratori, scalpellini e artigiani.6

Molti di loro erano al corrente del lavoro duro e dei guadagni non facili, ma partivano con la speranza in fondo al cuore. Già erano partiti 14 milioni di italiani verso i paesi più sperduti: nelle lettere inviate ai parenti in Italia descrivevano la terra promessa, facendo luccicare gli occhi di chi accarezzava l’idea di partire, ma in molte altre raccontavano del viaggio spaventoso e interminabile. A bordo delle navi che solcavano l’Atlantico i medici denunciavano il frequente decesso di passeggeri per la mancanza di aria, acqua e per le malsane condizioni igieniche.

I decessi erano dovuti allo spazio limitato destinato ai viaggiatori di terza classe che si stringevano sulle navi illegalmente sovraffollate. Era “usuale” leggere giornali sanitari di bordo come quello compilato per il viaggio del piroscafo “Città di Torino” da Genova a New York alla fine del 1905: “A oggi su 600 imbarcati ci sono stati 45 decessi dei quali 20

5 Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, L’emigrazione…, cit.,vol. I, pag. 258.6 E. Sori, L’Emigrazione italiana…, cit., pag. 35.

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per febbre tifoide, 10 per malattie broncopolmonari, 7 per morbillo, 5 per influenza, 3 per incidenti in coperta”.7

Gli emigranti, in attesa dei piroscafi, venivano abbordati dagli agenti delle Compagnie che li accompagnavano in locande sporche e ivi dormi-vano ammassati per terra. Gli agenti lucravano intorno al traffico degli emigranti e trascuravano le epidemie che scoppiavano a causa delle pes-sime condizioni igieniche. A bordo delle navi sporcizia, pidocchi e pulci si moltiplicavano e si diffondevano tra le urla di disperazione.

Gli interventi della Commissione incaricata del controllo si risolve-vano sempre più solo nelle intenzioni che nei fatti. I controlli a bordo dei piroscafi furono scarsi e deboli e la Commissione, pur riscontrando la mancanza dei requisiti dal Regolamento, concedeva il permesso di prolungare il servizio di trasporto degli emigranti a patto che al ritorno si fossero ritirati dal servizio.

Durante i viaggi compiuti nel 1910 dai vari piroscafi per il Sud America, su un totale di 40 morti, 19 avevano meno di 10 anni. Essi erano le prime vittime del fenomeno migratorio: morivano per bronchite, polmonite e meningite. Non avevano uno spazio dedicato a loro e usando le parole di De Amicis, venivano “ammonticchiati là come giumenti / sulla gelida prua mossa dai venti”.

Tutto un mondo era sordo verso i fanciulli, lo testimonia il fatto che dopo l’Unità le tre leggi sulla tutela dei bambini vennero bloccate in Parlamento dalla durissima opposizione delle lobby imprenditoriali. Ma la sordità non riguardava solo la classe imprenditoriale, era sorda anche la cultura ottocentesca a non porsi i problemi legati allo sfruttamento minorile.

Emblematico è il fatto che le prime regole contro lo sfruttamento dei bambini saranno emanate solo l’11 febbraio 1886: ridicole se si pensa che fissavano l’età minima di 9 anni e un orario massimo di 8 ore giorna-liere per i fanciulli sotto i 12 anni.8 Erano così frequenti i casi di sfrutta-mento e sevizie ai bambini da parte dei loro padroni che numerose furo-no le denunce che pervennero ai vari consolati.

7 G. A. Stella, Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, RCS Quotidiani, Milano 2004, pag. 62.8 Idem, pag. 100.

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Come ricordava Nitti in un suo libro “L’emigrazione e i suoi avversa-ri” del 1888, i padri agevolavano lo sfruttamento della loro prole ai fini di lucro: “ogni anno i padri, con regolari contratti, cedevano a persone ignote i bambini che non potevano mantenere, e che andavano a Parigi, a Vienna o in America a disonorare il nome italiano”. A “Nuova York” bambini girovaghi, lustrascarpe, spazzacamini, minatori, strilloni di gior-nali, venivano venduti giornalmente, scrive Nitti, ad un prezzo compreso tra i “100 e 200 dollari” per i maschi, mentre per le femmine, special-mente quando erano graziose, da 100 a 500.9

Ben venti anni prima, nel 1868, durante la famosa interpellanza di Ercole Lualdi sull’emigrazione in sede parlamentare, intervenne il depu-tato Giovanni Arrivabene che non si espresse a favore o contro l’esodo, ma delineò, all’interno del fenomeno, “un fatto del nostro paese molto più doloroso, […] avvegnanchè grande è il disonore che ne ridonda alla nazione. Intendo parlare della tratta dei bianchi: così appellato dalla stampa estera il commercio che si fa in America e in Inghilterra di quei poveri e infelici fanciulli […]”. Il deputato Arrivabene proseguì il suo discorso facendo notare quanto i magistrati “di quei paesi” si meravi-gliassero dell’Italia che, governata con sistema liberale, “non prenda delle misure onde svellere dalle radici questo male”, mentre constatava-no “che la compra di quegl’infelici” si concludeva nello Stato italiano.10

In terra americana, il rapporto tra consoli ed emigranti era tutt’altro che aperto e basato sulla fiducia; i vari funzionari consolari tendevano a snobbare gli emigrati di modeste condizioni economiche perché ignoran-ti e, in quanto tali, offensivi per la patria. Preferivano mantenere i con-tatti con i connazionali d’alta imprenditoria, con i notabili delle società mutualistiche, banchieri, pubblicisti e giornalisti. In simili condizioni non poteva mutare la polemica antistatale, specie tra i contadini che continua-vano a gridare, come in Italia, “viva l’America e a morte i signori.11”

L’immigrazione negli Stati Uniti determinava la piaga dell’analfabe-tismo, che fu oggetto di diversi tentativi di tamponamento da parte della

9 P. Cresci, Il pane dalle sette croste, cento anni di emigrazione, M. Pacini Fazzi, Lucca 1986, pagg. 96-97.10 Z. Ciuffoletti, M. Degl’Innocenti, L’Emigrazione …, cit., vol. I, pagg. 10-11.11 E. Franzina, Gli italiani al Nuovo Mondo, cit. pagg. 188-189.

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Federazione Americana del Lavoro tra la fine dell’Ottocento e il 1913. Venne così predisposto un esame letterario a cui venivano sottoposti gli emigrati e che, nelle intenzioni, avrebbe diminuito l’emigrazione di massa. I vari tentativi nel 1897, 1902, 1907 e 1913 di bloccare l’emigra-zione furono scongiurati dall’opposizione delle forze imprenditoriali fino al 1917, anno cruciale della guerra, in cui entrò in vigore il “famigerato Literacy Test”, un esame contro l’analfabetismo che ostacolava l’accesso al paese a chi non sapeva né leggere e né scrivere12.

Nell’immenso fenomeno dell’emigrazione l’aspetto della clandesti-nità non può essere tralasciato. Infatti nonostante le numerose circolari vietassero o limitassero l’emigrazione transoceanica, la gente emigrava comunque e se non poteva farlo attraverso i porti nazionali di Napoli e Genova, si imbarcava da Marsiglia o addirittura da Le Havre.

Spesso alcuni emigravano temporaneamente in un paese europeo chie-dendo il passaporto per quella destinazione e poi, non trovando lavoro, emigravano definitivamente oltreoceano, falsando i dati relativi sia alla emigrazione temporanea che a quella permanente.

12 Idem, cit., pag. 181.