Lembi di Ciliegio

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Raccolta di Poesie inerenti al gdr online Extremelot

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Mia Signora, ho udito da un uccellino totalmente disinteressato e di passaggio che la tua disattenzione ha avuto la meglio anche stavolta. Avresti dunque perso tutte le mie sudatissime opere? Povera la mia poesia. Ma non temere, io sono una persona... gelosa della propria arte: trascrivo tutto in duplice, se non in triplice copia. Per non parlare dell’immantinente caos dei miei versi sparsi, cose che si trovano trascritte anche sulle vecchie etichette di bottiglie di Rhum (ormai vuote, non ci sperare troppo). Vengo al dunque, sì. Voglio regalarti la raccolta delle originali, creata con un poderoso “taglia e cuci” da diversi fogli e libercoli. Apprezzala per quel che è: nient’altro che il tuo ritratto, trapelato con toni accesi e pastelli tenui, vergato dall’alba al tramonto, molto spesso dietro la tua morbida schiena quando t’abbandoni assopita. E io ti rimiro silente.

Cilya. Ps. Fai attenzione, Nàmie. Qualche inedito potrebbe nascondersi dietro la prossima pagina.

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Rosso Tempesta, Anno 14° Mese 8° - Giorno 9°

Lo schizzo di liquido inchiostro sul ciglio dello strascico cade :

vestita di parole, un rostro la lingua s'incaglia, stride.

Agguanta la lucciola, un dito

sfinisce la cucitura delle ali finché s'apre da ogni lato

con l'ultimo respiro. Lo esali.

Tutto di te si scioglie, ignoto, come un fiume in piena lasci quello spettatore defraudato

a crogiolar in frammenti lisci.

Viviamo di quel fuoco che brucia

le carni. Noi siamo gl'ossessi. Che quel dolore

ci cucia.

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La Distrazione, Anno 14°- Mese 9° - Giorno 22°

C'è ancora memoria

nello sciogliersi adesso

nel perdersi sul ciglio

e lo scalino è lì

sempre lo stesso.

La fiamma impreca

e ancora danza dietro

a quel vetro di teca

con la gonna da gitana

sollevata.

Lo stelo trema

come la pelle

e sotto non scema

ma scuote

s'adorna imbelle

di corolla dorata.

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Non lo sentiresti nemmeno

credimi

non lo sentiresti

se ti toccassi.

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Incidenze di carne, Anno 14°- Mese 9° - Giorno 30°

Pulviscoli all'alba rischiarano fiato e non più altro

scialba all'occhio la vita.

Le vertebre giocano

tra le mie dita sonagli gioiosi in gabbia

e se la ferita è d'oro il resto diviene.

Tale, ma mai uguale

quell'ombra di balcone proteso

il vuoto sotto e tanto, molto tempo

speso. Vespro

e mai più oggi. Domani, forse, il mistero

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di come nasciamo in un deserto d'oasi: ad ognuna un gusto

fuoco in vena siero sotto-pelle.

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Anno 14°- Mese 10° - Giorno 19°

Domino il pensiero, muto e audace in viso, mente vorace

come il morso ad un frutto proibito e tutto al mio volere soggiace

tranne marea, edace che ruba ogni filo, ogni dito.

Penso a come una sopita brace

si rimesta e giace tiepida in uno specchio brunito

a come il mare sia fallace una gabbia incapace

di trattenermi non gli è riuscito.

Onda tremula di fiamma, addenso fumo in rivolo d'incenso

lì, sul ciglio d'un sorriso lunare e stelle come lampare

a illuminare un muto assenso.

Il rombo, sibilo d'un alveare

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parte d'eco d'un altare non mi spiega ancora quel vago senso

formicolante, intenso dormendo sotto un cielo di desinare.

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In Bilico, Anno 14° - Mese 11° - Giorno 14°

In bilico. Funambola già ti vedo sul ciglio di Vertigine

la gonna tesa e un filo di raso, tra le dita.

Arianna di rosso vestita

sangue rappreso e la mia vena è sgualcita

sotto al muscolo, teso.

Come le tue dita, solerti a macchiare, m'hai acceso.

Una scintilla

ed è come l'uscita agognata la scelta sovente

che non hai preso ancora sul ciglio, repente.

Volare, basta infin poco

staccare le mani e gli occhi

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aprir le ali e poi gioco di segugio, odori, tocchi.

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Anno 14°- Mese 11° - Giorno 16°

Parlano le dita lievi

come tenui gocce di pioggia fresca.

Sussurrano tensioni

emozionali stati d'inverno: “A quando, Primavera?”

Non chiederlo. “Non chiedermi

quando il bocciolo aperto s'adagerà sul pelo

d'acqua.”

E.

Io vagavo nel buio vicolo sopita

la testa piena e pesante, e pensante

in strette catene, rostri. (O eran spine?)

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E fuor dal buio, luce.

Com'è ovvio e conseguenza inciampando, le ali presero

quell'amato volo sul cielo ceruleo

d'autunno passato.

E.

Tento ancora di imprimere sulla creta

che di te fè fianco – Dei…- e mente, la mia orma.

Anche la terra ti somiglia con il suo sorriso

steso, con la sua pelle calda.

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Anno 14° Mese 12° - Giorno 9° Com'è lento questo tempo. Anche le nubi accosciate sulla valle non paiono muoversi, ribollendo di pioggia sotto un cielo stellato. Da quassù Luri illumina e ride, ipnotizzando i suoi figli tra le coltri di nebbie che addormono le foreste. So che sei con loro a ululare preghiere al cielo e spero solo che il gelo laggiù non sia pari a quello in cima. Ho faticato a muovermi, lo ammetto. Pur non soffrendo il freddo delle membra, districarmi dal bandolo e dai pensieri è stato arduo. Ci ho messo del tempo, la cui misura mi è ignota : assomiglia al roboare di un brontolìo affamato e al desiderio di vittoria; molce, come bile sanguigna gli interstizi. E un po' inganna anche me questo chiaro di Luna, confondendomi ali e idee sul medesimo sentiero; per poco più di un istante, poi ecco il cordolo della matassa. L'apice e la fine, il nodo disciolto. Sai, dal Bivio, ho trovato la via. Ma dimmi. C'è ancora quel solco sulla tua schiena, quel rivolo solingo che mi dà da pensare? E indugi ancora con la lingua sulla curva del labbro, quando il desiderio è tale che non v'è liquido che aiuti? Vorrei contare quanti stralci d'oro si trovano nei tuoi prati iridei. Apri pure quella lettera scartocciata che ho nascosto sotto al tuo giaciglio e che avrà cigolato alla prima pressione. Ci ho lasciato un

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lembo della mia pelle su quel foglio, tanto che non mi dispiacerebbe marcarmelo addosso. Ecco. Questo è quanto mi accolto quando ho sollevato le palpebre sul mondo. E stranamente pareva un mondo nuovo. So di essere sveglia, quest'oggi Buongiorno Nàmie. Ti cercherò al limitare del plenilunio.

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Come un cielo stanco, Anno 14°- Mese 12° - Giorno 9°

Come un cielo stanco ai tuoi fianchi

m'adorna pensieri di ripidi interstizi.

Circolo. E lì indugio.

Dita. Occhi. Dita. Mi rivelano gl'infiniti

in una carezza. Lì indugio.

Con le tue labbra- respirano le mie-

decori Luna tutt'intorno e ti disegno

intevallo di seta ingombro in argilla che seduce. Seduci.

Alla fine non scorre, retrocede

passi incastrati di corpi sfusi.

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Finezze, Anno 14° - Mese 12° - Giorno 14°

“Cantami, chè voglio esser quel donde che interseca la spuma con le onde.”

Ohimena. Lo scritto infine non mente impresso a marchi stretti, discinti

m'interpone punto. E virgola, repente. Sarà che gl'occhi ormai son stati vinti?

“Canta, o Diva, l'intervallo austero

che non separò la donna dal suo cero.” disse quel diario fitto e negletto

d'un certo Vate atto alla castrazione del puro piacere e pur del diletto ch'ogni mortale fè di sua azione.

“Canto l'arma in punta di pennino

scalza costola e pungola in trino” Sibilla dannata, costringi le mani in catene d'arguzia. Fato funesto intingi nelle mie viscere il domani che a guardar sola l'alba, i' resto.

E muta in punta di piedi, scrivo:

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Cantami

luce, arguta finezza col lembo rappreso

d'incisi lemmi tremo.

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Anno 14° - Mese 12° - Giorno 25°

Suona cristallo infranto

tra i mille e più colori

l'occhio tuo intanto s'adombra cupo.

Ardori che bruciano il sangue

come gentil dirupo.

Mi fonderei goccia alle tue labbra

assorbendo piccole tristezze

rinsaldando roccia, ancor più di tante carezze.

Canto stupido

per rimar intrepido. Ti tocco.

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Simulacro, Anno 15° - Mese 1° - Giorno 8°

Farfalla, poggi soave quell'etra lieve

fai delle mie labbra schiave, mescita in vino di neve.

Mi trafora la pelle

quella Luna impudente m'accende

m'incalza ribelle tradendo i respiri.

Sei quel campo disteso

ricurvo, arreso stampo a collina.

Fai di me l'enclave fiore in inverno.

Mi sorride greve

l'altare dei miei lombi quando si consacra

al mare, stride

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marea (s)fatta risacca.

Simulacra, tu Dea dalle vesti

di carne. Lambiscimi sgualcita

sulla tua bocca.

Dove vuoi. Quando vuoi. Come vuoi.

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Etra del Mattino, Anno 15°- Mese 1° - Giorno 8°

Mi richiami alba, defunta incanto incatena i polsi l'ultimo lembo di viola aulente sul tetro manto

prosa di nembo:

bussa, soffice, indigesta pietra quella che ruzzola nel greto lieve tintinna arcaica, aroma di cetra

profuma greve.

Il segreto lo sussurro in discesa sulla tua bocca che speme chiama e ti tocca quando ormai è arresa

la bestia grama...

Chè un pensiero risale nefasto? T'intride, nelle vene corrode denso male straniero colloide d'impasto

trova quel senso

che t'ingombra la mente risale infausto

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ti sprona, t'arrende t'inchioda olocausto

sull'altare mi prende.

E poi ti chiama “Vita” quando all'alba

i nostri occhi sono ancora nostri.

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Ade, Anno 15° - Mese 1° - Giorno 11° Questa terra è opprimente. Non c'è il fulgore della Primavera, tutto ulula richieste d'aiuto, dalle sterpaglie alle acque, talmente quiete da risultare insidiose. E' un luogo che deprime, fisicamente, dritto sul petto, compressi anche quei pochi turaccioli di respiro che uno riesce ad esprimere. Non c'è soluzione in un paesaggio così statico, imbalsamato e permeato da quel medesimo odore dolciastro, di Loto umido. Non c'è rinascita. Solo la tenue melodia dei Morti che richiama le nostre anime ad un luogo d'Oltre. C'è il perpetrarsi solingo delle medesime cose all'infinito, sopra l'occhio Mortale; perfettamente mantenute, ma mai mutate (guardando il mondo con occhi Antichi, una stella che si profonde col resto, esaurendosi). E poi... Poi. Poi contro tutto questo, c'è Lei. “Chi?” Mi ha sedotto. Inerme, mi ritrovo stesa nella sua rena desolata a scrutare quegli occhi di cielo e non trovare risposta. Chi. “Chi?” ringhierai tuonando già al primo punto.

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E' stata Lei. Colpa sua. Mnemosine e la landa dei suoi ricordi. E io la serbo dentro di me come il più prezioso dei poemi. Vive e mastica nelle mie vene, si ciba delle mie viscere e me le sparge intorno, come una corolla fiorita. Narra del tepore di Anor sul ciglio d'un braccio, mentre disegno ombre giocose su uno schermo di pelle, scaldandomi nel suo intreccio. Ci sono fiamme arrovellate in boccoli a far da sipario e un elegante volatile che rimane immoto nel suo volo - anche quello è statico, ma pare vivo. Respira. Si gonfia e plana al ritmo della cassa toracica che nasconde. - Se mi avvicino, l'odore di erba assorbe il mio pensiero quasi fosse un lago ristagnante in una giornata ventosa; e quei lievi pori s'increspano e mi catalizzano neanche fossero corrente marina... in realtà sono sabbia. Calda, paiono zenit furente. Se ci appoggio la mano, posso tracciare fiumi di linee impresse che non spariranno alla prima risacca. Se ci appoggio la bocca, invece, si ritrae, pulsante dello stesso battito di Gaia, in perenne metamorfosi, plastica nube spogliata dai miei occhi nel suo Candore. Mi ha sedotto quella Mnemosine maledetta. Mi ha incastrato tra i suoi artigli e si è infilata nella mia carne; così, ogni volta che chiudo gli occhi, mi ha, ottenebrandomi con il suo dolce nonsenso di labbra, a quell'ombra che mi stringe e mi sussurra “Cilya. Cilya. Cilya”. Non riposo bene perché al risveglio trovo sempre quell'insolito gelo e

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l'aulente colore grigio di una Baia morta. Oggi vorrei solo chiudere gli occhi e umanamente perdermi nella Valle del Sonno.

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Beltane, Anno 15° - Mese 1° - Giorno 23°

Le trovo parole tra dita tese

gioiose, sagaci lemmi e distese d'idee procaci.

Percola stella

piange e si rattrista cadendo dolce

tracciando la pista nel cielo una pulce

che ride, che salta

illumina qual desco ch'azzurro ribalta gli occhi, ti pesco indomita carpa

suona e dibatti

quello specchio reso soffice anfratti

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dei tempi speso il_lùmino ritrovo.

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Il Canto di Persefone, Anno 15° - Mese 2° - Giorno 15° Rintocchi Primavera. Mi rintocchi dentro, in quell'antro nascosto sotto al ventricolo sinistro. Esiste ancora, contro ogni aspettativa. Contro ogni lacrima seccata, sabbia rimestata d'un deserto. Ti odio, Primavera. Quel tuo Vento che medesimo sbatte in faccia presuntuoso granelli, quasi fossero tempo desolato. E porta infingardo aromi nuovi. Freschi, conosciuti. Natali. Mi deride, per giunta, guardando le mie membra rannicchiate macilente sulle rive delle Stige, desiderose di vedere la loro laida menzogna di Vita. Io non sono così. Io non [I]ero[/I] così. Ma, a dire il vero, non mi troveresti mai sulle Rive di un fiume decadente. Io languo nelle Ombre : alberi, fronde, anche foglie soltanto. Che la loro linfa sia le mie orecchie, che i miei occhi siano quel cerbiatto spaesato. Eccolo. Eccola l'attesa di tutta una vita, quel guizzo che freme nelle zampe sottili. Scappi? Uccidimi. Lo sei.

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Uccidimi.

Mi tace, sono parole sulla bocca sono voci mai raggiunte

edace s'erge aureo, così fiocca come lacrime consunte

vorace divora tutto ciò che tocca come immagini defunte.

Sei un lapillo immaginario

un sospiro silente dita che non t'ebbero

bramano l'aria intorno.

Ardente

scocco ritto che brama gioca con il cuore leso, infetta

e sente quell'urlo che gola m'infuoca

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rogo che dilaga in fretta suandente

è una carezza afosa, fioca volontà non mi dà retta:

Ombra avvolta

s'incatena ai miei polsi croci sugli occhi

corde invertebrate giochi mi sei tutto

e mai niente.

Giace tutto giace, senza destino intreccio di filo, parvenza e piano m'inclino. Capace

così vicino quel suono è Assenza.

E quella bocca... io tuono Ma tace.

Muoio ogni istante che passa. Quando lapillo si muove sinuosa, felina, tra gli arbusti ancora

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germoglianti. Si volta e sorride. Ecco l'attimo esatto : esplode una piccola luce su quell'angolo delle labbra e io muoio. Per me è Averno, fuori e dentro il Regno, per me sono sibili intensi ogni volta che una parola non nasce ma si eclissa, come un giorno morente sulle labbra. Posso solo respirarti, guardarTi con gli occhi del cervo morente tra le tue spire e godere solo del Tuo tocco quando inferisci l'ultimo colpo alla vittima. Eppure. Eppure se potessi, anche solo una volta, anche solo un istante, vorrei essere l'esalazione sulla tua bocca e osservare quegli occhi spegnersi. Io sono i tuoi occhi. Anche quando l'Inverno avvolge queste terre. E ti scrivo solo per rammentarmi di essere ancora tua, la stagione successiva. Artemide Emènia. Persefone.

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Nuvola Bianca, Anno 15°- Mese 3° - Giorno 7°

C'è dell'oro nella pioggia. Tanti piccoli granelli, riflessi di cielo.

C'è del sale nella terra che non è lacrima, non è rugiada

è gratifica, nutrimento verde. E verde sorriso.

Ed è strano capire

che la pella ha memoria che dimentica in fretta

dilava cicatrici, come foglie l'autunno alle porte.

Non c'è stagione di nuvole bianche

non c'è ragione d'ali stanche remiganti pensieri lontani

mi torcono le mani

imbastardiscono la rima.

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S'inclina e neanche il tempo

è tutto uguale come un viaggio inverso

mi rintonano le cicale quando neve è più di prima.

Freddo, gelo caldo estivo

un po' mi perdo in questo labirinto

mi privo.

Vorrei sapere qual vento ti sospinge se ancora ti dipinge, Nuvola bianca.

Qual è la tua forma? Quale il tuo sogno? Il cielo è così mortalmente terso. Torna da me, Nuvola Bianca.

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Sestina Lirica, Anno 15°- Mese 4° - Giorno 17°

Piove. E se piove su questa vita non v'è traccia di cielo sotto l'ali

eppur volando frammento quel gelo che desidera incidermi le mani

e m'intrica le gambe come gli occhi ormai che tutto posso e niente temo.

Rubo fiamme, ci disegno astri, temo

tutto quel che con lucciola è vita delicata forma eterea agl'occhi e mi freme come vento nelle ali, assicuro, mi tremano le mani

quando mi guarda, e non v'è più gelo.

O forse no. Forse se soffia 'l gelo ancor m'avvolge. Sì io la temo come si temono violente mani

quando esposto è tutto, cuore, vita e sai che un cenno può spezzare l'ali

un solo sguardo può togliere gl'occhi.

Eppure sono proprio quei suoi occhi

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che spazzano via ogne mio gelo e anco la reticenza è sull'ali

e ratto la debolezza non temo se m'apre il petto mentre pulsa vita, se lo vuole e lo stringe tra le mani.

S'intrigano medesime le mani

quando nostre parlan come quegl'occhi profani che muti sanno di vita e si rincorrono quando mi gelo,

s'alternano coi “voglio” e coi “temo” se non so qual vento sostiene l'ali.

Dispiegarmi io posso, e pur le ali m'apro ai cieli. Son le tue mani solo le tue, nascondono i “temo”

e non potrei viver sanza i tuoi occhi solo i tuoi, che riscaldano ogni gelo

quel fiato baciato che rendi vita.

Sei solo occhi, granello tra le mani solo un volo d'ali quand'anche temo

l'ebbrezza della vita e il suo gelo.

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Estasi, Anno XV - Mese 4° - Giorno 24°,28°

Giorno 1° : Gl'occhi

Cerco i tuoi occhi come un'assetata la sua oasi di stelle; oh edace,

sì, la tua luce non muore, fiata dona respiro a me: sii fugace.

Come quell'alba che ti spira dentro come i tuoi occhi, dell'anima centro.

E ricordo oro

oro irideo a far contorno sazio del mio piacere ammaliarmi la gola

e ghermirmi il respiro.

Ricordo i tuoi occhi

quando ti posi in me dentro.

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Estasi, Giorno 2° : La bocca

E quella tua bocca leva il fiato branca petali e la neve discioglie si stende, si stira in riso sul prato

quel suono che fa tremar pur le foglie.

Come rosa è il mio tormento come spine, vibra : io la sento.

Guardami poi

se si sveglia se fa tana di sospiri

ed è ladra della mia pelle.

Ha il mio sapore e il tuo

in questa eclissi di respiri.

Non la dimentico

se ape sugge ogni mio fiore.

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(Un baffo di polline su quei petali che son labbra

che son io, quando ti bacio.)

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Estasi, Giorno 3° : Le mani

E forse mi sfiori l'inter(n)a corda quando quelle tue mani d'inchiostro

palpitano su di me. Io sorda mi tocchi e del tuo cuor m'apri chiostro .

Come un respiro che non hai reso come un dito, su di me, indifeso.

Quasi ombra, le tue nocche

avvolte d'oro divelto di_sciolte

o disciolta son Io quando arrocchi

cori d'unghie sul mio sangue-

oh i tuoi artigli

ancora- e le vorrei nella testa

le tue mani e le pretendo addosso, plasmami.

Plasmami

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dove non ho forma.

Altrove incidono sussurri

detersi segreti e piove.

Un tocco. Piove.

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Estasi, Giorno 4°: La pelle

Che sia uno stralcio, la mia scaglia

che sia un'alba muta e nascente un bacio che sulla pelle s'intaglia quell'alcova che diviene fremente

dove ogni desìo infine s'arrende

dove anche morire non m'offende.

Se non un fiato cos'è questa tua pelle?

Le ossa, le vedo scoperte

tra i miei denti e ogni tuo fremito è

lì, proprio lì sull'apice della mia lingua.

La tua calda pelle

non è che un vento estivo, profuma-

lo sento-

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di ciliegi in fiore. E' cera

quell'ultimo lume disciolto

tra di Noi. Cercami,

con quelle mani trovami

sulla tua pelle- e lo dirò ancora

quel suono morbido,

pelle pelle pelle- come pioggia fresca

come diluvio di pensieri. Baciami

è la tua pelle.

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Il Silenzio, Anno 15° - Mese 5° - Giorno 2°

Ti trovo e il silenzio è un argine

sulla tua bocca la lacrima di un pensiero

l'ultimo solcare quel mare incauto

indomabile mobile ad ogni maniera.

E le tue carezze oh

carezze d'occhi d'uditi. Parli ma c'è silenzio

una coperta agiata irrespirabile.

Parli e non trovo parole

quando più me le levi e non mi consoli.

Ma tu parla parla ancora

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vorrei solo essere quell'unica stilla

calante, come la Luna brillante, e sapere

che ad ogni speranza m'attende la morte

nel tuo sorriso.

Sorridi, Nàmie

è questa la coscienza del tuo corpo.

A me la lacrima. Mia. Tua.

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Anno 15°- Mese 7° - Giorno 28°

Come l’acqua

in uno specchio

riflesso che cerca aria

espandersi

dallo stagno impresso

e s’affossa

ogni mia sete nella pioggia.

Ma non sono roggia

sono stagno

immoto, non scorre

non smuove

non dilaga.

Smangia

fianco a fianco

sapendo che la sete

l’avrà vinta

sì, vinta

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sui suoi sogni.

Così brado.

Brancolo allo stato

buio, m’allontano.

Per un po’ .

Per qualche giorno.

Io vado, sì.

Ma giuro,

torno.

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Nervi, Anno 15° - Mese 9° - Giorno 4°

Nudi

i miei occhi sulle tue dita

morbide ledono

ogni confine tra noi.

Nudi

gl’inquieti respiri, mormorano

bocca a bocca

parole che non comprendo.

Nude

anche le sinapsi, vive

mostri sibilanti di pensieri

a ritroso sui nervi.

Brivido

ogni cosa di te

occhi che confondi

gesti che mitighi

in legacci d’ossa

in involucri di pelle.

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Congiunte e dissonanti

punti

della medesima linea.

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De Secretis, Anno XV - Mese 9° - Giorno 6°

Dei segreti

non dirmene uno:

chiuso nella tua bocca

lo ruberò

respiro a respiro

con i denti o con la lingua.

O forse lo scaverò

nei tuoi occhi elisi

lo stringerò tra le dita

soffuso

come quel fil di fumo

che ceneri addensa

d’una sera in casa,

Nostra.

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Anno 15°- Mese 9° - Giorno 15°

Ti sussurrerò un segreto

quando sul labbro non la trovi

l’arsa risposta: è un veto

una stilla, stigma tra i rovi

salvifico fiore tra i boschi,

lanternino nei dì più foschi.

Non sia Lacrima

non sia rostro

quella goccia d’inchiostro

che sia semmai anima

che sia semmai mosto

acido acino

incolto vino.

Sulla tua bocca divino.

E se melanconia sia

melanconia sarà.

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Esule, Anno 15° - Mese 10° - Giorno 7°

Non ho natali

se non quella terra che t’adorna

le ossa. I colli delle tue dolci curve

anse per i fiumi

dei miei pensieri. E il grano

quel dorato frumento

s’intarsia ai fili d’erba

come mari mossi

nei tuoi occhi. Sono specchi

laghi

le mie fonti, come pozzi

le tue pupille.

Non ho natali

se non la patria del tuo cuore

allegra, dove ogni giorno

può dirsi festa

al ritmo delle nostra dita

tambureggianti,

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dove danzano gitane dalla gonna rossa

in una distesa di marosi mai quieti

sulla valle del ventre.

Sono il canto del tuo sangue

come fiamme e coltelli

rilucono selvagge nell’aura del tramonto.

Siamo noi stesse

Amore mio

quando l’alba ci coglie impreparate

con lucenti sorrisi.

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Anno XV - Mese 10° - Giorno 30° Preda. Voglio sentirmi preda tra le tue fauci vogliose, col respiro sul collo, sotto

ai rantoli del tuo piacere. Preda, quando mi leghi le mani, con le tue

dita, e stringi la tua bocca al mio seno: succhi e gemi, rovisti tra i nostri

scampoli come un abile sarto, per cucire i nostri corpi nel medesimo

movimento, un lungo strusciarsi, una ricerca infinita dei vuoti da

riempire tra le nostre pelli sudate. Preda, anche, quando la carezza dei

tuoi lunghi capelli mossi ( e rossi) si sciolgono come fiumi di lava sulle

mie membra; adoro sentirli aggrappati ai miei fianchi se la tua lingua

più in basso si perde – e, oh Dio, come si perde – quando rauca godo

del tuo dilaniante incendio. Fai di me una preda, sì, non meno ferita di

quella che ritrovi sotto i tuoi artigli, al Plenilunio.

Miccia. Voglio essere la miccia, quella che ti riscalda il ventre, quando sovente

mi accendi –un bacio, una carezza, un solo sguardo – e più non resisto

ad intrigare le mie mani tra le tue vesti, a sollevarti le gonne e cercarne

gli abissi. Quella stessa miccia che divampa quando cadiamo l’una

nell’altra, bocca su bocca, graffiandoci con le maschere dimenticate

alla nostra cinta: tale è la fretta di sentirci vicine, tale è la necessità di

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riempirci i confini. Voglio essere quella miccia senza percorso, che

naviga indecisa da un seno ad una coscia, senza sapere a quale polvere

dar ascolto, qual ordigno di piacere far brillare. Quella che ti marchia,

con la lingua e con i denti, sul collo teso, trasformandoti in un cerbiatto

recalcitrante, quando meno te lo aspetti e più, sottilmente, lo desideri.

Voglio essere quella Donna che ti titilla con le parole senza saziarti,

senza concederti di assolvere alle tue brame, anche in solitudine, perché

non è giusto: i tuoi rantoli sono miei. Sarò quella stessa donna che

rivedrai sull’altare e seguirai sbavante per l’intera serata, fin quando,

Moglie, ti aprirà la coscia e tu penserai che sia per una divina

benevolenza. E non saprai mai qual dono tacerà sulle labbra,

risvegliandosi al tuo fianco, ancora madida, ancora pronta, Tua, il

giorno dopo.

Non sarò così cattiva da lasciarti partire senza dei palliativi, però.

Qualche dolcezza per il tuo Compleanno, qualche lettura per la tua

noia. No, il libro non lo conosci e te lo avrei dovuto consegnare tra

qualche giorno… ma ho come l’impressione che ti piacerà.

Con Amore,

Cilya

Page 56: Lembi di Ciliegio

Anno XV - Mese 11° - Giorno 1°

Come devono essere state belle quelle ombre scure, un cosmetico

naturale che risalta il verde acceso dei tuoi occhi, limpidi quali il mare

su cui cavalchi silenziosa.

Perché lo sei, picchiettando le dita sul parapetto del ponte,

arrovellandoti accesa su quell’unico punto. Scommetto che, labile,

tormenti il labbro, lasciandoti arrossare dal Sole diurno. E, per

Simeht, quella luce la stai rimirando, non potendoti chiudere nell’ozio

della tua cabina, costretta a sgobbare fin dalle prime ore del mattino.

Oh, certo: dev’essere una vera tortura per te, questa vita da Marinaio.

Condita da infiniti confini, murmuri di sirene e inchiostri d’acqua.

Mi fai pensare alla Pioggia.

Quella stessa che ti scorre addosso quando, indomita, non ti curi

dell’inzuppo primaverile. Quella medesima che ti lapperei dalla spalla,

per poi scivolare lungo la scapola, saggiandola assieme alla tua tensione

fino all’apice del coccige. Conosco bene la tua anatomia, soprattutto

quando inarchi la fenice, metafora di quell’incendio che dilaga tra noi.

Ai primi fiori, dovremo proprio far l’amore sotto la pioggia,

schiacciandoci contro un albero in bilico, cadendo dopo tra le sue radici

e ridendo, quando avremo più felci che capelli, in testa. Magari

Page 57: Lembi di Ciliegio

proprio sotto a un ciliegio o a quel Ciliegio; penso sarebbe un bel dono

farsi trovare così dai Samurai. Anche se forse le nostre teste…

L’avremmo fatto tra la neve, se tu non fossi così freddolosa, pur con la

promessa di mille pelli addosso e piccoli, mirabili inserti di pelle

scoperta riscaldati dal mio fiato. Pensa, non in bilico su una fune, ma

sulla superficie ghiacciata di un lago, senza sapere quale spinta avrebbe

infranto miseramente il nostro appoggio o quale passante avrebbe

potuto riscaldarsi con i nostri amori. O se questi ci avrebbero sciolto il

giaciglio.

Ho ancora miriadi di… parole incendiarie per fomentarti, le vuoi?

Sia mai che la tua sferza risulti troppo leggera all’assoluzione della

promessa. O i tuoi lacci troppo laschi.

Sai, Nàmie, avevo quasi il timore che con la salsedine nel cervello

avresti dimenticato tutto questo nel giro di un giorno. Non v’è fiamma

che si spegne, se si sa smuoverla col giusto ceppo.

Memento urere, Amor. Cum parvae blanditiae hoc face.

con crudele Amore,

la Tua.

Page 58: Lembi di Ciliegio

Anno XV - Mese 11° - Giorno 4°

Come flessi steli s’aprono candide alle mie dita

le tue gentili cosce di forza tornite

qual bestia di cristallo che stretta m’afferra e fragile si spezza.

E dimmi che non è mare quel lucore sul tuo ventre

con più profondo affanno quanto è lento l’assaggio;

eppure la risacca t’inarca le reni, mi stringe i capelli

e più morbida comanda “Frustami”

in un sussurro stentato ringhiato, da bestia ferita.

L’orgoglio ti sanguina quando cucio la mia bocca

ai più quieti silenzi sibilati tra fili rossi

intessuti nell’unico abbraccio dei nostri pensieri. Siamo stelle, noi?

Page 59: Lembi di Ciliegio

Muse, forse? Quand’anche lo scaffale cede

e scricchiola dietro a quel peso allacciato

schizzato di bumba, avvolto dalle nostre vesti.

Cosa siamo, Noi. Aurore? Un’unica alba?

Lasciami, allora, sfiorare l’orizzonte quando il fianco diventa letto e il tuo respiro si fa carezza

un lento e sibilato verso ultima brace della mattina.

Ecco. Si spegne,

e tu parimenti apri gli occhi quell’insidioso verde crepuscolare.

Stringi appena le dita un capello o due, nelle tue prigioni di falangi.

E cosa rimane di Noi, albe, aurore, stelle, perfino Muse,

se non quell’unico rintocco che, senza paura, tuona

muto.

Page 60: Lembi di Ciliegio

“T’amo”. Direbbe. “T’amo.”

E lo dice davvero.

Page 61: Lembi di Ciliegio

Anno XV - Mese 11° - Giorno 6°

Vorrei vedertelo indosso come una carezza di tramonto

seta ingabbiata sulla tua pelle nuda e i miei occhi

i miei soli occhi a sciogliere il fermaglio.

Vorrei comandarti accosciata ai miei piedi

guidandoti incontro alle tue paure. Ti lascio la scelta, la libertà

con una tua promessa: sotto, abbi solo la te stessa.

Page 62: Lembi di Ciliegio

Anno XV - Mese 11° - Giorno 17° Non dimenticare come vibra il tonante rubino che portiamo in volto, come trema e s’arena sui medesimi pensieri, sorridendo sotto gli stessi cieli piangenti di stelle. Come a due dita seguirà un intreccio e come a due labbra un tenero bacio. Non dimenticare l’arteria e il suo sangue che ci irrora tempestose, la melodia delle tue vertebre, la piega del ginocchio e il tuo splendido riso avvolto da ciocche sparse, smosse in un unico Levante. Il levare del Sole sulla tua pelle di marmo e quel tiepido calore che fa la carne primavera e sboccia fiori, stana canti in amore e caccia le nostre piume impudiche. Eppure dimentica il numero dei passi calcati, la via di casa e quel vestito sparso in terra. Dimentica anche gli occhi e i suoi sospiri, gli sguardi e quei dolci tocchi, le albe passate assieme e quelle percorse con altri. Non tacere, ma non parlare, non sfiorare ma non mordere. Non respirare, non farlo, no, dimentica qual funzione ha il cuore, perché batte e rimbomba, perché ci annulla. Dimentica per imparare, dimentica per insegnare.

Page 63: Lembi di Ciliegio

E a questi giochi prosaici da bambini

io dico: ancora

e ancora; e ancora

non smettere d’inciampare

su questa fame di pergamene

Come sull’abito abbandonato

e le briciole sparse sul legno

il bicchiere rovesciato

e in te dormiente

nel letto fresco di notte

sfatto dalle mattine.

Dolce presente del mio presente,

Cilya

Page 64: Lembi di Ciliegio

Anno XV - Mese 12° - Giorno 1°

Quando ancor mi dici quell’Amo, lieve e sferzi il tuo greve

fiato sul mio collo adunco, lesto geme sciolta come l’estiva sua neve

in catene. E’ breve sol l’attimo in cui perdere la speme.

Qual brama dal tuo labbro si beve

con le mie coeve; è bacio, è sussurro che arto preme

tal fiorisce dal gelo il bucaneve in parole longeve

che primavera nasce solo insieme.

Giunco, inchinati alle mie spoglie cadi autunnali foglie

in questo letto di spine e lapilli in cui soave brilli

come cinghie d’un destino fatale.

E più t’incalzo, adorata Moglie negati in lente doglie,

Page 65: Lembi di Ciliegio

più ancora pungolami con spilli mentre così oscilli

carnale, senza mai farmi alcun male.

Page 66: Lembi di Ciliegio

Anno XV - Mese 12° - Giorno 6°

Condividi con me la larghezza di un sogno. Tastane i confini, attendi con pazienza,

quella che non possiedi, che il velo ti sia tolto.

Attendi, sul limitare della porta che ti mostro

non correre e non scatenarti. Smettila di andartene da un lato all’altro

come una saetta impazzita e Respira.

Quell’attimo nuovo e nascituro Respira

il crepuscolo sulle tue dita. Con me, nella mia mano

canta la distanza delle stelle e percorrila al mio fianco, lo stesso stanco

e consumato che scortichi ad ogni bacio. Taccio

c’è un’altra sorpresa dietro l’angolo non so neanche se ti piacerà

ma condividila con me - con me donna -

Page 67: Lembi di Ciliegio

dove ogni “strano”diventa comune e i tuoi istinti hanno la meglio.

Page 68: Lembi di Ciliegio

Anno XV - Mese 12° - Giorno 11°

Arso, mio, deserto godi delle lacrime

avare stillate da una risata. Erosa, fin nelle ossa

squartata di refuso piacere

divorato nelle carni a fondo

sempre più a fondo nella sazietà delle bestie.

- Pozzi e laghi

amene verdastre polle è forse oro

nascosto nel limaccio?-

Suoni duri per urgenze morbide

graffi come baci gentili

li senti, li vedi, ma non li rubi.

Page 69: Lembi di Ciliegio

Perché questo Amore

sa essere crudele e frettoloso, scomposto in un androne di scale.

Perché questo Amore

sa essere crudele, frettoloso e eternamente lento

consunto sulla medesima stuoia.

Page 70: Lembi di Ciliegio

Ibidem Ricordo, sai… [ Incipit cancellato ] Non sono cer… [ cancellato anche questo ] Cara… [ oh, andiamo… cancellato! ] Sei l’unica che riesce a impelagarmi le parole in punta di pennino; a farmi arrossire di fronte un pensiero colto lontano dai tuoi occhi. Anche ad intenerirmi senza udire il suono della tua voce, la piega morbida e fuseggiante che prendi quando i tuoi occhi chiedono qualcosa. Ormai potrei starti cieca di fronte e riconoscere le tue espressioni dal solo respiro. Eppure… Desy. Amore. Quanto, e dico QUANTO, mi hai fatto penare. Ho passato Lune ad intuire che, sotto quello strato di cenere densa, c’era ancora un nucleo pulsante. Un ritorno di fiamma, per così dire, convinta ormai che ogni brace si fosse estinta. E’ lì che è cominciato il travaglio, guidandoti sul tuo filo equilibrista intessuto davanti ai tuoi piedi. Non era che l’apice di un muretto basso e largo, ma a te sembrava un rasoio teso sopra ad un dirupo. Io, sorridente, ogni tanto ti sfioravo la mano reggendoti, ma tu fuggivi, intimorita e io non potevo che correre dall’altro lato a sostenerti ancora, mentre caparbia ti ostinavi a proseguire con determinazione. Per fortuna, oserei dire.

Page 71: Lembi di Ciliegio

Trascinandomi allo stremo, fuori dalla mia stessa pelle, prima di permettermi di raccogliere la mela tanto adorata da Saffo. E’ forse questa la chiave? Attendere con lente carezze che il ramo si pieghi verso di te? E’ stato bello riscaldarti le dita sotto al porticato, rubarti un bacio contro la Quercia, ingabbiata e incatenandoti a me e, sì, anche vederti fuggire in preda allo smarrimento. O ascoltare la tua risata imbarazzata nel tenermi la mano fra mille persone e un mulo ridanciano. O, ancora, farmi sciogliere dal piacere duramente ottenuto, sotto la tua famelica bocca di bestia. La prima volta. I primi timorosi cinque granelli di tempo, in cui hai avuto il tentennamento di una adolescente. E poi… E poi, basta. Più di qualsiasi cosa, comunque, è stata quell’alba ad essere determinante. Quando, dopo averti concesso addirittura il tormento di pungolarmi con la sola poesia e avere nient’altro che quella, hai preteso che giacessi tra le tue braccia, nuda e quieta. Nuda e quieta. A lasciarmi toccare, annusare e solleticare senza muovere un muscolo. Penso che oggi, più di quel giorno, tu possa comprendere meglio quale miracolo ti abbia concesso. E se il profumo del ciliegio dovrebbe rimandarmi a tanti ricordi, la prima cosa che vedo, chiudendo gli occhi e percependolo, è la linea delle tue spalle, scoperta; il tuo imbarazzo quando, più che delle vesti, ti spogliasti della Maschera; la splendida fenice che ti cinge il fianco; il tuo respiro tremante, disarmato da tanta insolita intimità. E così

Page 72: Lembi di Ciliegio

anche la tua mano non riusciva a stare ferma, percorrendomi la colonna vertebrale lentamente, fingendo un movimento pigro. Era terrore, Desy, e non lo nascondere, perché non te lo biasimo. Lo sentivo nella rigidità dei tuoi muscoli che scorrevo con dita giocose, il tuo ulteriormente marmorizzarti di fronte a un bacio, casto, sulla spalla. Ricordo che mi impedisti di scendere sotto il mento con la bocca; no, non a gesti, ma a muti e impliciti segnali. E io imparavo. Ogni ciglia dei tuoi occhi, ogni lieve ruga della tua pelle e ti sussurravo misture dolci di parole, per tranquillizzarti. C’era un solo attimo in cui tornavi te stessa: passando con le dita sopra la cicatrice del cilicio. Lì emettevi un sospiro, uno sbuffo netto, scontento. Così, per evitarmi ogni volta quel rimprovero privo di parole, rammento di averti scavalcato per comprimere quella dannata gamba contro la stuoia, più lontana da te; tu mi seguivi col corpo, neanche fossi il tuo sole, splendida come un papavero rosso dai petali scomposti. E rammento anche di aver tentato di riappoggiarmi più vicino a te, in netto contatto con la tua pelle. Rido, perché in quel momento mi accolse un tuo ringhio involontario, di cui poi ti scusasti. Ora, invece, brontoli se lascio aria tra i nostri corpi, distendendomi vicino a te. Sono stati due giorni terribili, Nàmie. Tu uscivi vestita dalla nostra stanza profumata di ciliegio e legno straniero e, quando rientravi, ti spogliavi ancora e ancora ti stendevi vicino a me, costringendomi ai tuoi minuziosi esami, visivi e non. Grazie a quella buona donna di

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Simeht, non hai mai tentato di superare il limite castigato della pudicizia o non so proprio cosa non ti avrebbe fatto questa povera Elfa. Il meglio è venuto nel tuo addio quando, baciandomi la cicatrice, mi lasciasti andare tra promesse e rivelazioni. Due giorni crudeli e terribili. Stupendi, Desy. Anche se non mento: la prima cosa che ho fatto, salendo lungo la montagna, è stato trovare una polla gelida e starci a mollo un paio di clessidre, circa, e uscirci solo quando il mio corpo aveva perso totalmente la sensibilità. Bastava un attimo, uno soltanto ancora, e sarei arsa nel mio stesso desiderio. O meglio, la mia meditazione avrebbe fatto arrossire l’intera foresta ai miei piedi. E’ passato molto tempo da allora; ormai sono io che gioco a lasciarti insoddisfatta solo per vederti strapparmi i vestiti di dosso, o peggio. E lo so. Se questa lettera deve festeggiare la ricorrenza di quel fatidico “Sì” - per non contare i “T’amo”, la proposta e il matrimonio e tutti i contorni possibili - dovrebbe essere una delle mie solite prose, fulgenti incendi di poesia a divorarmi. In fondo il nostro Amore è Poesia e Pelle. E io avevo anche preparato una piccola poesia in ricordo di quei due giorni. Ma sai cos’è? E’ che tu per me sei di più. Nàmie, io ti sono più devota che a Calliope. Se domani i Bardi si estinguessero e perdessi la mia Maschera da Maestro delle Arti Oscure, ma tu rimanessi al mio fianco, a me non importerebbe di altro.

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Desyderia, sei Tu la mia Maschera prediletta. E penso di non dover aggiungere altro. Tua.

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Anno XV - Mese 12° - Giorno 27°

Negletto, reietto il sapore tuo procace, audace

sulla lingua scontrosa, tra i denti insidiosi, sulle coste di rupe e nelle gole profonde.

Ogni virgola, ogni traccia è un sentiero ascoso in ascesa

di dita, mani forti, i tuoi polsi i tuoi seni, le tue reni. Impazzire è morire

quando ti richiudi a gabbia e mi prendi, sì, mi prendi con rabbia

perché sono crudele perché ti dono solo la fiele dell’attesa e mai la resa

sono la sferza senza la presa.

Non è colpa mia, Amore, se la follia mi distilla un sogno e se quel sogno ne crea un altro

e così avanti, ancora e ancora, come l’errare delle tue mani, dei tuoi occhi.

La lingua ti schiocca sul palato, un afflato

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un bacio rubato tra le foglie, nelle nicchie.

Devo continuare?

Mi manchi nell’appoggio dei fianchi

nell’impudenza delle vertebre e nelle membra

che vuoti concedono e richiedono spazi, ancor più minimi

ancora più stoici. Eroici, i miei sforzi.

Ma ora torna a casa, varca la soglia, Desy,

e tu non voglia che io mi conceda

a essere infine solo una preda. Tua,

è ovvio.

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Fine (?)

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