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BITTERBLUE

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KRISTIN CASHORE

BITTERBLUE

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Titolo originale: BitterblueTraduzione dall’inglese di Claudia Resta

Coordinamento redazionale: Valentina DeianaCoordinamento grafico e copertina: Viviana Cerrato

Coordinamento tecnico: Maria Rosa Puca

Copyright © 2012 Kristin CashoreMappe e illustrazioni © 2012 Ian Schoenherr

Illustrazione di copertina © 2012 Natalie C. SousaGrafica di copertina di Kelly Eismann

Per l’edizione italiana © 2012 De Agostini Libri S.p.A.Redazione: corso della Vittoria, 91 – 28100, Novara

www.deagostini.it

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo, elettronico,

meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate bei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso

previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108,

Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

Stampa: L.E.G.O. S.p.A., Lavis (TN) - 2012

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quellapiccola
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Per Dorothy. Per sempre.

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INDICE

Prologo 11

PARTE PRIMARacconti e bugie 16

PARTE SECONDAEnigmi e pasticci 116

PARTE TERZACodici e chiavi 304

PARTE QUARTAPonti e incroci 436

PARTE QUINTAIl Ministero delle Storie e delle Verità 558

guida ai Personaggi del Mondo sconosciuto 585

illustrazioni 592

ringraziaMenti 605

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Prologo

Quando afferra il polso della Mamma e la strattona verso l’arazzo in quel modo, deve farle male. Lei non grida. Cerca di non

mostrargli il suo dolore, ma appena si gira verso di me, sul suo viso leggo ogni sua emozione. Se Papà se ne accorgesse, le toglierebbe ogni sofferenza, sostituendola con qualcos’altro.

So già quel che le dirà: «Cara, va tutto bene, non fa male, non hai paura», e sul viso di Mamma vedrò apparire il dubbio, un inizio di confusione. Lui allora insisterà: «Guarda che bella la nostra bambina. Guarda quant’è splendida questa stanza! Siamo così felici. Va tutto bene. Vieni, tesoro».

Mamma lo fisserà smarrita, poi – vedendo la sua meravigliosa piccina in una bella stanza – si tranquillizzerà, il suo sguardo si farà vuoto e mi rivolgerà un gran sorriso, pensando a quanto siamo felici.

Anch’io sorriderò, perché la mia mente non è certo più forte della sua, e dirò: «Divertitevi e tornate presto!»

Quindi Papà tirerà fuori le chiavi della porta dietro l’arazzo, Mamma s’infilerà dentro, e Thiel – alto, inquieto e frastornato – le correrà dietro dal centro della stanza, seguito da Papà.

Quando la serratura scatterà alle loro spalle, io rimarrò qui a cerca-re di ricordarmi cosa stessi facendo prima… prima che Thiel, il consi-gliere più fidato di mio padre, entrasse negli appartamenti di Mamma cercando Papà. Prima che Thiel, con i pugni stretti ai fianchi con tale forza da farli tremare, cercasse di dire a Papà qualcosa. La stessa cosa che lo ha reso talmente furioso da farlo scattare in piedi, gettando a terra le carte e il pennino, e urlare: «Thiel, sei uno stupido che non

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riesce a prendere decisioni sensate. Ora vieni con noi, ti mostrerò cosa succede quando fai di testa tua». È stato allora che si è avvicinato al divano e ha stretto il polso di Mamma così forte da spezzarle il fiato e farle cadere il ricamo.

«Tornate presto!» esclamo felice, mentre la porta segreta si chiude dietro di loro.

Resto qui a fissare gli occhi tristi del cavallo blu ritratto sull’arazzo, mentre una raffica di neve entra dalla finestra. Provo a ricordare cosa stessi facendo prima che se ne andassero tutti. Cos’è successo? Perché non riesco a ricordarlo? Perché mi sento così…

I numeri.Mamma dice che quando sono confusa o non riesco a ricordare

qualcosa devo fare appello all’aritmetica, perché i numeri mi anco-rano alla realtà. Mi ha anche preparato delle operazioni, in modo che io possa usarle in queste situazioni. Stanno proprio lì, accanto ai documenti che Papà stava stilando con la sua grafia così buffa e arrotondata.

Quanto fa 1058 diviso 46?Potrei calcolarlo in due secondi se lo scrivessi, ma Mamma mi ha

sempre chiesto di fare i conti a mente. «Svuota la testa da tutto tranne che dai numeri» si raccomanda sempre. «Fai finta di essere sola con i numeri in una stanza vuota.» Mi ha anche insegnato dei trucchi. Per esempio, 46 è quasi 50 e 1058 è poco più di 1000. Il 50 sta nel 1000 esattamente 20 volte. Partendo da qui, posso dedicarmi a quel che resta. Un minuto dopo capisco che 1058 diviso 46 fa 23.

Passo al conto successivo. Duemilaottocentocinquanta diviso 75 fa 38. Ancora. Milleseicento diviso 32 fa 50. Mamma ha scelto proprio dei bei numeri! Stuzzicano la mia memoria e costruiscono

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una storia, perché Papà ha cinquant’anni e Mamma trentadue. Sono sposati da quattordici anni e io ne ho nove e mezzo. Mamma era una principessa di Lienid. Papà è andato in visita sull’isola che ospita quel regno e l’ha scelta quando lei aveva solo diciotto anni. L’ha portata qui, e lei non è più tornata indietro. Le mancano casa sua, suo padre, i suoi fratelli e le sue sorelle, e suo fratello Ror, il re. A volte dice che vorrebbe mandarmi lì, dove sarei al sicuro, e io le tappo la bocca, avvolgo una mano nella sua stola e la tiro vicino a me, perché non la lascerò mai.

Qui non sono al sicuro?I numeri e la storia mi schiariscono la mente, e ho l’impressione

di cadere. Respiro.Papà è il re di Monsea. Nessuno sa che è un Graceling, con gli

occhi di due colori diversi; nessuno lo immagina nemmeno, perché il Dono che nasconde dietro la benda che gli copre l’occhio è terribile: quando parla può annebbiare la mente delle persone e fare in modo che gli credano, sempre. Di solito, le sue sono menzogne. Per questo ora, mentre me ne sto seduta qui, i numeri mi appaiono chiari, ma tutto il resto è appannato. Papà stava mentendo, poco fa.

Ecco perché sono in questa stanza da sola: Papà ha portato Mamma e Thiel nelle sue stanze, dabbasso, e sta facendo a Thiel qualcosa di terribile, per insegnargli a essere obbediente e a non portargli più notizie che lo faranno infuriare. Non so quali notizie fossero, Papà non mi racconta mai quel che fa e Mamma non ricorda mai abbastanza da parlarmene. Mi ha vietato di seguire Papà là sotto e mi ha detto che ogni volta che mi viene in mente di provarci devo distogliere il pensiero e fare altre operazioni. Dice che se le disobbe-disco mi manda a Lienid.

Ci provo, ci provo davvero, ma non sopporto proprio di stare sola

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in una stanza vuota a fare esercizi. Di punto in bianco, inizio a grida-re. Un momento dopo sto gettando le carte di Papà nel fuoco. Corro verso la scrivania, me ne riempio le braccia, inciampo nel tappeto e le butto tra le fiamme, urlando forte mentre osservo la strana calligrafia di Papà sparire. È come se le mie grida le distruggessero. Incespico verso il tombolo di Mamma: un lenzuolo con piccole e deliziose file di stelline ricamate, lune, castelli, fiori colorati e gioiosi, chiavi e can-dele. Odio quel ricamo: Papà ha convinto Mamma che ricamare la fa stare bene, ma non è vero! Lo getto nel focolare.

Quando Papà arriva di corsa, spalancando la porta nascosta, sono ancora lì in piedi che grido, sconvolta, e l’aria è densa e pesante, piena del puzzo della seta bruciata. Sta andando a fuoco anche un pezzo di tappeto, e lui lo spegne pestandolo vigorosamente. Mi prende per le spalle e mi scuote così forte che mi mordo la lingua da sola.

«Bitterblue, sei impazzita?» mi chiede spaventato. «Potevi soffo-care in una stanza come questa!»

«Ti odio!» urlo, e gli sputo il sangue in faccia.Lui fa una cosa stranissima: lo sguardo del suo unico occhio s’illu-

mina e inizia a ridere. «No, mi vuoi bene, e io ne voglio a te.»«Ti odio» ripeto, ma inizio a dubitarne e sono confusa. Mi avvolge in un abbraccio. «Mi vuoi bene. Sei il mio tesoro

meraviglioso e fortissimo, e un giorno sarai regina. Non vuoi diven-tare regina?»

Abbraccio Papà, che se ne sta in ginocchio sul pavimento davanti a me in una stanza piena di fumo, grandissima e accogliente. Papà è caldo, e abbracciarlo è bello, anche se la sua camicia ha uno strano odore, tra il dolce e il putrido. «Regina di tutto il Monsea?» gli chiedo stupita. Fatico a pronunciare le parole, la lingua mi fa male e non ho idea del perché.

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«Un giorno sarai regina» ribadisce lui. «T’insegnerò tutte le cose importanti, perché devi essere pronta. Dovrai impegnarti tanto, mia piccola Bitterblue, perché non sarai avvantaggiata come me. Ma io ti forgerò, non è vero?»

«Sì, Papà.»«E tu non devi mai, mai disobbedirmi. La prossima volta che

distruggerai le mie carte, Bitterblue, taglierò un dito alla tua mamma.»Questo suona strano. «Cosa? Papà, non farlo!»«La volta dopo» continua «ti darò il coltello, e sarai tu a tagliar-

gliene un altro.»Ho di nuovo la sensazione di cadere. Sono sola nel cielo e sento

soltanto le parole di Papà. E, tutt’a un tratto, precipito nella realtà. «No» affermo con sicurezza «non mi obbligherai a farlo.»

«Penso che tu sappia che ne sono capace» risponde, intrappolan-domi fra le braccia e stringendomi le spalle con le mani. «Sei testarda, piccola mia, e sai benissimo cosa posso fare. Che ne dici di fare un patto, tesoro? Promettiamo entrambi di essere onesti l’uno con l’altra, d’ora in poi? Farò di te la più splendente delle regine.»

«Non riuscirai a farmi fare del male a Mamma» rispondo.Papà alza una mano e mi schiaffeggia fortissimo, tanto che mi si

appanna la vista, mi manca il fiato e – se non fosse per lui – cadrei a terra. «Posso costringere chiunque a fare ciò che voglio» dice perfet-tamente calmo.

«Non mi farai fare del male a Mamma» gli grido contro, con il viso dolorante coperto di sangue e muco. «Un giorno sarò grande abbastanza da ucciderti.»

Papà scoppia a ridere di nuovo e mi costringe ad abbracciarlo ancora. «Tesoro mio, sei davvero perfetta, sarai il mio capolavoro.»

Quando Mamma e Thiel varcano la porta nascosta, Papà mi sta

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mormorando qualcosa e io ho la guancia appoggiata sulla sua spalla accogliente, mentre mi tiene al sicuro tra le braccia, e mi chiedo come mai la stanza puzzi di fumo e perché il naso mi faccia tanto male.

«Bitterblue?» Mamma sembra spaventata. Alzo il viso per guar-darla: lei spalanca gli occhi, viene da me e mi strappa dalle braccia di Papà. «Cosa le hai fatto?» gli sibila. «L’hai colpita! Sei un animale, ti ucciderò!»

«Cara, non essere stupida» ribatte lui, rimettendosi in piedi e tor-reggiando così su di noi. Mamma e io siamo molto più basse e minu-te, anche abbracciate, e sono confusa perché Mamma è arrabbiata con Papà. «Non l’ho colpita, l’hai fatto tu» le dice.

«Sai che non è vero.»«Ho provato a fermarti, ma non ci sono riuscito e l’hai colpita.»«Non riuscirai mai a convincermi.» Mamma scandisce bene le

parole, con quella bella voce che le viene dal profondo del petto su cui premo l’orecchio.

«Interessante» risponde lui, dopodiché ci squadra per un attimo, con la testa piegata da un lato, e continua: «Ha un’età adorabile, è ora che lei e io diventiamo più intimi. Da oggi in poi, Bitterblue e io faremo lezioni private».

Mamma si gira, frapponendosi tra me e Papà, e quelle braccia tra me e lui sono tese come sbarre di metallo. «Non lo farai. Vattene. Esci da questa stanza.»

«Davvero affascinante. E se ti dicessi che l’ha colpita Thiel?»«Lo hai fatto tu, e ora vattene.»«Stupendo!» Papà si avvicina a Mamma e, prendendola di sorpre-

sa, le dà un pugno in faccia, facendola cadere a terra. Cado insieme a lei, questa volta per davvero. «Prenditi un po’ di tempo per pulire, se vuoi» le suggerisce Papà mentre incombe su di noi, dandoci un

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colpetto con la punta dello stivale. «Devo pensarci su, continueremo questa discussione più tardi.»

Papà se ne va. Thiel è in ginocchio, si piega verso di noi versando lacrime insanguinate per via dei recenti tagli che, a quanto pare, si è fatto su entrambe le guance. «Ashen… Ashen, mi spiace. Principessa Bitterblue, ti chiedo perdono.»

«Non sei stato tu a colpirla, Thiel» risponde mia madre con voce rauca, rimettendosi in piedi, prendendomi in braccio e cullandomi, mentre mormora al mio orecchio parole dolci. Mi aggrappo a lei. C’è sangue ovunque. «Puoi aiutarla, Thiel?» gli chiede Mamma.

Thiel mi sfiora il naso, le guance e la mandibola con mani ferme e gentili e mi ispeziona il volto con gli occhi lucidi. «Non ha niente di rotto. Lascia che controlli anche te, Ashen. Ti prego davvero di perdonarmi.»

Restiamo lì tutti e tre, sul pavimento, ad abbracciarci e piangere. Sento solo quel che mi mormora Mamma. Quando poi si rivolge di nuovo a Thiel, ha l’aria stanca. «Hai fatto solo ciò che dovevi, Thiel, e non sei stato tu a colpirla. È tutta opera di Leck.» Quindi si volta verso di me: «Bitterblue, ora hai la mente più lucida?»

«Sì, Mamma» sussurro. «Papà mi ha colpito, poi ha picchiato te. Vuole trasformarmi in una regina perfetta.»

«Devi essere forte, mia Bitterblue. Più forte che mai, perché sarà sempre peggio.»

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PARTE PRIMA

Racconti e bugie(Circa nove anni dopo, agosto)

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La regina Bitterblue non aveva mai avuto l’intenzione di mentire così tanto.

Tutto ebbe inizio con il giudizio della Corte Suprema riguardo il pazzo e le angurie. L’uomo in questione, di nome Ivan, viveva lungo il Fiume Valle, nel sobborgo orientale della città, vicino al molo mer-cantile. La sua casa confinava su un lato con la bottega di un artigia-no che intagliava e cesellava pietre tombali, mentre dall’altro c’era il piccolo campo di angurie di un vicino. Una notte, chissà perché, Ivan aveva deciso di sfruttare il buio per rimpiazzare ogni anguria dell’or-to con una lapide e viceversa, dopodiché aveva fatto scivolare sotto l’uscio di ciascun vicino degli indizi abbastanza criptici allo scopo di metterli entrambi alla disperata ricerca degli oggetti scomparsi. Idea abbastanza inutile, in effetti, perché il contadino non sapeva leggere e il tagliapietre riusciva a vedere senza difficoltà le sue lapidi piantate nel campo di angurie a poca distanza dalla soglia di casa. Entrambi avevano capito subito l’identità del colpevole, perché trovate simili erano proprie di Ivan: giusto il mese prima aveva rubato la vacca di un vicino e l’aveva issata sopra il tetto della bottega di un candelaio, dove la povera bestia era rimasta a muggire disperata, finché qualcuno non era salito lassù a mungerla. L’avevano dovuta lasciare là sopra per vari giorni, probabilmente facendo di lei la mucca più importante e

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mistificata del regno, mentre i pochi che sapevano far di conto ten-tavano di decifrare gli schemi astrusi di Ivan riguardo la procedura per costruire la carrucola per tirarla giù. Ivan era davvero un mastro muratore nato.

Anzi, per dirla tutta, Ivan era il mastro muratore che aveva proget-tato i tre ponti della capitale durante il regno di Leck.

Seduta sull’alto scranno della Corte Suprema, Bitterblue era ter-ribilmente infastidita dai suoi consiglieri, il cui compito era decidere quale udienze fossero degne del suo interesse. Le sembrava che non facessero altro: le facevano presiedere i casi più stupidi e poi la rispedi-vano nel suo studio quando spuntava qualcosa d’interessante. «Mi pare sia un caso abbastanza semplice di lamentele per molestie, no?» disse ai quattro uomini alla sua sinistra e agli altri quattro sulla destra, ossia gli otto giudici che la aiutavano quando era presente in tribunale e che giudicavano in sua vece quando non c’era. «Se è così, la lascio a voi.»

«Ossa» disse il giudice Quall alla sua destra. «Cosa?»L’uomo guardò Bitterblue, poi osservò le parti in causa, che atten-

devano la sentenza più in basso. «Chiunque parli di ossa nel corso di questo procedimento sarà multato» affermò piccato. «Non voglio più sentire quella parola. Capito?»

«Lord Quall, di cosa diavolo stai parlando?» chiese Bitterblue, sgranando gli occhi per osservarlo meglio.

«In un recente caso di divorzio, mia regina, il difensore continuava a biascicare qualcosa su delle ossa, apparentemente senza motivo, proprio come questo pazzo, e non voglio che la questione si ripeta: è stato tremendo!»

«Ti occupi spesso di casi di omicidio, quindi dovresti essere avvez-zo a parlare di resti umani.»

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«Sì, ma in questo caso si tratta di angurie, e le angurie sono inver-tebrate!» gridò Quall.

«Sì, certo» fece Bitterblue, passandosi una mano sul viso nel ten-tativo di nascondere l’espressione incredula. «Nessuno parlerà di…»

Quall trasalì.Ossa, finì lei mentalmente. Qui sono tutti matti! «Al di là delle sco-

perte dei miei collaboratori» disse, alzandosi per andarsene, «tutti gli analfabeti che vivono sulla stessa strada di Ivan impareranno a leggere a spese della corte. Sono stata chiara?»

Il suo ordine fu accolto da un silenzio così profondo che la lasciò senza parole; i giudici la fissavano agitati. Ripensò a quello che aveva detto: insegnare a leggere alla gente. Non le sembrava ci fosse nulla di strano.

«È nelle tue facoltà chiedere una cosa simile, mia regina» fece Quall, scandendo ogni sillaba con un tono che suggeriva quanto fosse ridicolo ciò che aveva appena detto.

Perché era così condiscendente? Lei sapeva benissimo che era sua prerogativa fare certe cose, esattamente come poteva rimuovere dall’incarico ogni singolo giudice della Corte. Anche il coltivatore di angurie la fissava con aria confusa. Dietro di lui, alcuni volti divertiti la stavano facendo irritare: sentiva già i muscoli del collo tendersi per il nervoso.

Pare che in questa Corte chiunque possa comportarsi da idiota, come se niente fosse, e poi, appena faccio qualcosa di ragionevole, tutti cercano di convincermi che la pazza sono io.

«Occupatene tu» disse a Quall, prima di girarsi per andarsene. Mentre varcava l’uscita sul fondo della pedana, raddrizzò le spalle e si diede un tono, anche se non si sentiva propriamente orgogliosa di sé.

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Le finestre del suo studio circolare in cima alla torre erano aperte – la luce del giorno stava lasciando spazio alla sera – e i suoi consiglieri non erano affatto contenti.

«Non disponiamo di una quantità illimitata di risorse, mia regina» cominciò a dire Thiel, in piedi davanti alla sua scrivania, gelido, con quegli occhi d’acciaio e i capelli argentati. «Una dichiarazione simile, una volta fatta pubblicamente, è difficile da ritrattare.»

«Perché mai dovremmo ritrattarla, Thiel? L’esistenza di una strada nel sobborgo orientale abitata da analfabeti non dovrebbe allarmarci?»

«In città ci sarà sempre qualche illetterato, mia regina, ma non è certo una faccenda che richiede l’intervento diretto della corona. Ora hai creato un precedente, che implica che la corte si rende disponibile a pagare per l’educazione dei cittadini che lo richiedono!»

«Il mio popolo dovrebbe poterlo fare. Mio padre ha fatto in modo che non ricevessero un’educazione per trentacinque anni: se vivono nell’ignoranza è colpa nostra!»

«Non abbiamo né il tempo né i mezzi per occuparcene singolar-mente, mia regina. Tu non sei una maestra, ma la sovrana di Monsea, e la gente ha bisogno che ti comporti come tale, così da sapere che è in buone mani.»

«Comunque sanno leggere quasi tutti» lo interruppe il consigliere Runnemood, seduto davanti a una delle finestre. «Hai pensato, mae-stà, che magari non tutti vogliono imparare? I vicini di casa di Ivan hanno un lavoro e una famiglia da sfamare, dove troveranno il tempo per studiare?»

«E che ne so?» esclamò lei. «Che ne so di quelle persone e dei loro affari?» A volte si sentiva perduta, dietro quella scrivania al centro della stanza, così grande in confronto a lei, tanto minuta. Poteva

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immaginare ogni parola che i suoi due consiglieri avevano evitato di pronunciare per non ferirla: che si era comportata da stupida, dimo-strando di essere una regina giovane, ingenua e incosciente. E dire che le era sembrata un’idea così geniale, in quel momento. Perché aveva un istinto tanto pessimo?

«Va tutto bene, Bitterblue, possiamo risolvere tutto» fece Thiel, con modi più amabili.

Era gentile da parte sua chiamarla per nome invece di usare il suo titolo: mostrava di voler abbassare i toni. Osservò lo sguardo del suo consigliere più fidato e vide che era in ansia, preoccupato di averla strapazzata troppo. «Non dirò più nulla senza essermi consultata con voi» rispose a voce bassa.

«Bene» disse Thiel sollevato. «Vedi? Questa è una scelta saggia, e la saggezza è degna di una regina, maestà.»

Thiel la tenne prigioniera per quasi un’ora dietro una torre di carte. Runnemood, al contrario, continuò a camminare in cerchio davanti alle finestre, facendo esclamazioni sul tramonto, saltellando sulla punta dei piedi e distraendola con aneddoti su gente analfabeta incre-dibilmente felice, fino a quando, fortunatamente, se ne andò per par-tecipare a un incontro serale con alcuni nobili della città. Runnemood era un bell’uomo e un valido consigliere, il migliore quando si trattava di allontanare ministri e nobili che volevano tartassarla di richieste, lamentele e seccature, perché lui per primo sapeva bene come essere fastidioso, quando parlava. Anche suo fratello minore, Rood, era tra i suoi consiglieri. Quei due, Thiel e il suo segretario Darby, il quarto del gruppo, erano tutti sui sessant’anni, anche se Runnemood non li dimostrava, mentre gli altri sì. Tutti e quattro erano stati, in prece-denza, consiglieri di Leck.

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«Come mai siamo così pochi, oggi?» chiese Bitterblue a Thiel. «Non mi pare di aver visto Rood.»

«Rood sta riposando e Darby non sta bene» rispose lui.«Ah.» Bitterblue lesse tra le righe: Rood aveva avuto una delle sue crisi

nervose, e Darby era ubriaco. Posò per un attimo la fronte sul tavolo, nel timore di scoppiare a ridere: chissà cosa avrebbe pensato di tutto questo suo zio, il sovrano di Lienid. Re Ror aveva scelto personal-mente i membri di quella squadra, ritenendo – sulla base delle loro esperienze precedenti – che fossero i più consapevoli di quel che serviva al regno per riprendersi. Sarebbe rimasto scandalizzato dal loro comportamento, oppure anche lui era abituato ad avere a che fare con consiglieri altrettanto particolari? Forse andava così in tutti e sette i regni.

In effetti, forse non era nemmeno importante. Lei non aveva di che lamentarsi riguardo la loro produttività, salvo forse il fatto che era eccessiva: lo dimostrava la quantità di carta che ogni giorno finiva impilata sulla sua scrivania, ora dopo ora. Tasse, casi giudiziari risolti, proposte d’incarcerazioni, attuazioni di leggi, editti cittadini. Carta, carta… così tanta che anche le dita avevano iniziato a profumare di carta. Le veniva da piangere al solo vederla e qualche volta aveva anche il batticuore per l’ansia. «Angurie» disse Bitterblue con il volto ancora sul tavolo.

«Mia regina?» chiese Thiel.Lei si massaggiò la testa, dove le pesanti trecce si avvolgevano in

una crocchia, poi si raddrizzò. «Non sapevo nemmeno che ci fossero orti di angurie sparsi per la città. Posso andare a vederne uno, la pros-sima volta che esco per il tour d’ispezione annuale?»

«La prossima uscita coinciderà con la visita di tuo zio, questo

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inverno. Non sono esperto di angurie, ma non credo che siano parti-colarmente interessanti in gennaio.»

«Posso andare a fare un giro, adesso?»«Mia regina, siamo in pieno agosto. Quando pensi di avere il

tempo per una cosa simile, in agosto?»Il cielo tutto intorno alla torre era del colore della polpa delle

angurie. L’orologio a pendolo addossato al muro scandiva il passare del tempo con il suo ticchettio e, sopra di lei, la luce diventava pian piano violacea, attraverso il soffitto di vetro. Vide una stella brillare. «Oh, Thiel» sospirò. «Lasciami sola, per favore.»

«Fra poco, mia regina… prima vorrei discutere con te del tuo matrimonio.»

«No.»«Hai diciotto anni e nemmeno un erede. Molti dei sei re hanno

dei figli scapoli, tra i quali anche due dei tuoi cugini…»«Thiel, se attacchi di nuovo con la lista dei principi, giuro che ti

tiro addosso l’inchiostro. E se solo sussurri il nome dei miei cugini…»«Maestà» la interruppe lui imperturbabile «non desidero certo

infastidirti, ma devi prendere atto del problema e fronteggiarlo. Hai stabilito un ottimo rapporto con tuo cugino Skye, durante la sua visi-ta quale ambasciatore. E quando re Ror verrà, il prossimo inverno, probabilmente lo porterà con sé. Prima o poi dovremo discuterne.»

«No, non c’è niente di cui parlare» replicò lei, stringendo forte il pennino.

«Invece sì» fu la risposta secca di Thiel.Se lo guardava abbastanza da vicino, Bitterblue riusciva a scor-

gere sulle guance dell’uomo i segni delle cicatrici. «Io invece vorrei parlare di altro: ti ricordi la volta in cui sei entrato negli apparta-menti di mia madre per parlare con mio padre? Lo hai fatto infu-

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riare e lui ti ha portato giù, attraverso quella porta nascosta. Cosa ti ha fatto?»

Fu come se avesse spento una candela. Thiel rimase lì in piedi, alto, desolato e confuso, poi lo smarrimento scomparve pian piano dal suo viso e con esso anche la luce che aveva negli occhi. Si lisciò la camicia impeccabile e abbassò lo sguardo, continuando a sistemarla come se la pulizia fosse essenziale in quel momento. Infine s’inchinò una sola volta, lentamente, si girò e lasciò la stanza.

Rimasta sola, Bitterblue scorse le carte, firmò alcuni documenti, starnutendo per la polvere… e tentò, inutilmente, di farsi passare l’imbarazzo. Lo aveva fatto apposta: sapeva benissimo che Thiel non avrebbe tollerato quella domanda. Del resto, quasi tutti gli uomini che lavoravano per lei e che erano stati al servizio di Leck – dai consiglieri ai ministri, fino agli scrivani e alla guardia personale – evitavano di riportare alla memoria quel periodo. O lo evitavano o si allontanavano tristi. Era la sua arma preferita quando uno di loro oltrepassava il limite, l’unica che funzionasse davvero: probabilmente non le avrebbero più parlato di matrimonio per un bel pezzo.

Talvolta era realmente stupita dalla cocciutaggine dei suoi con-siglieri. Per questo la spaventava parlare di matrimonio: i discorsi iniziavano come semplici chiacchiere e poi parevano diventare neces-sariamente questioni di Stato, all’improvviso, prima ancora che lei avesse il tempo di capire e farsi un’opinione a riguardo. Era successo con la legge che concedeva l’amnistia a tutti i criminali che avevano compiuto un reato durante il regno di Leck; o con la norma che per-metteva alle città di liberarsi dal giogo dei propri signori e darsi un governo autonomo; e, addirittura, anche quando le avevano suggerito di sigillare per sempre le vecchie stanze di Leck, smontare le gabbie

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dove suo padre teneva rinchiuse le fiere e bruciare tutti i suoi averi.Non che lei fosse necessariamente contraria a quei provvedimenti,

o che avesse negato la sua approvazione una volta compreso il motivo: semplicemente, doveva avere il modo di farsi un’opinione e, per farse-la, le serviva più tempo che a loro. Non sempre riusciva a star dietro ai loro discorsi e trovava frustrante, poi, ripensare al fatto che si fosse lasciata trascinare in qualcosa.

«È giusto così, mia regina» le avevano detto più volte. «È il giusto modo di guardare avanti, fai bene.»

«Ma…»«Mia regina» le aveva detto Thiel con grande cortesia «stiamo

cercando di sollevare il popolo dal giogo di Leck e vogliamo aiutarlo ad andare oltre, lo capite? Altrimenti la gente continuerà a macerarsi nei tristi ricordi. Ne hai mai parlato con tuo zio?»

Sì, lo aveva fatto. Lo zio di Bitterblue, subito dopo la morte di Leck, aveva attraversato mezzo mondo per lei. Re Ror aveva scritto i nuovi statuti di Monsea, formato un consiglio di ministri e i tribunali, e scelto gli amministratori; poi aveva trasferito il governo nelle mani di Bitterblue, che all’epoca aveva dieci anni. Si era occupato di far cremare le spoglie di Leck, aveva pianto per l’omicidio di sua sorella, la madre di Bitterblue, e aveva portato ordine nel caos di Monsea.

«Leck è ancora un pensiero ben radicato nella mente di troppa gente» le aveva detto. «Sua Grazia è una malattia molto resistente, un incubo che devi far dimenticare.»

Ma com’era possibile dimenticare? Sarebbe mai riuscita a dimen-ticare suo padre? Poteva dimenticare che era stato lui ad assassinare sua madre? Poteva dimenticare lo stupro della sua stessa mente?

Bitterblue depose il pennino e si diresse cautamente verso una finestra affacciata a ovest. Mise una mano sullo stipite e appoggiò la

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tempia al vetro, rimanendo a occhi chiusi fino a quando la sensazione di vertigine non la abbandonò. Alla base della torre, il Fiume Valle segnava il confine settentrionale della città. Sollevò le palpebre e ne seguì il corso lungo la direzione sud-est, oltre i tre ponti, dove imma-ginava ci fossero i moli per l’attracco delle navi cariche d’argento e per il legname, il molo ittico e quello mercantile. «Un campo di angurie» sospirò. Ovviamente era troppo lontano e troppo buio per vedere qualcosa di simile.

Il Fiume Valle scorreva lento e si allargava nel punto in cui lam-biva le mura settentrionali del castello. La distesa paludosa sull’altra sponda era incolta e poco battuta, se non da chi viveva nell’estremo nord di Monsea. Nonostante ciò, suo padre aveva fatto costruire tre ponti, ognuno più alto e più bello di quanto un qualsiasi ponte avesse bisogno di essere. Il Ponte Alato – il più vicino – era lastricato con marmo bianco e blu, simile a nuvole. Il Ponte dei Mostri, il più elevato, aveva un camminatoio alto quasi quanto il maggiore dei suoi archi. Il Ponte d’Inverno era fatto di specchi, così che di giorno era difficile distinguerlo dal cielo, e la notte brillava riflettendo la luce delle stelle, dell’acqua e della città. Ora svettavano contro l’orizzonte al tramonto come sagome viola e porpora, irreali e quasi animaleschi. Tre creature immense e slanciate che si allungavano verso nord, oltre le acque chiare, verso una terra arida.

Fu colta da un altro capogiro. Suo padre le aveva raccontato di un’altra città che brillava, anch’essa con un fiume e dei ponti, un grande corso d’acqua che balzava giù da una scogliera, cadeva a stra-piombo nel vuoto e si tuffava nel mare sottostante. Bitterblue aveva riso sentendo quel racconto. Aveva cinque o sei anni, e gli stava seduta in braccio.

Leck, che torturava gli animali, che ha fatto scomparire decine di

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bambine e centinaia di altre persone. Leck, ossessionato da me, che mi ha inseguito all’altro capo del mondo.

Perché mi avvicino a queste finestre, quando so che soffro troppo di vertigini per potermici affacciare? Cosa cerco di vedere?

Quella sera, entrando nel vestibolo dei suoi appartamenti, Bitterblue svoltò a destra, verso il salottino, e trovò Helda che lavorava a maglia sul divano. Fox, la cameriera, stava lavando le finestre.

Helda era la governante di Bitterblue, la sua dama di compagnia e anche il capo delle sue spie. Affondò una mano nella tasca e le porse due lettere. «Ecco, cara. Ti chiamerò per cena» le disse, alzandosi in piedi e sistemandosi i capelli bianchi prima di uscire.

«Oh!» Bitterblue arrossì per la gioia. «Due lettere!» Spezzò i sigilli privi di simboli e sbirciò dentro: erano entrambe cifrate e scritte in una grafia che riconobbe immediatamente. Una era la scrittura caotica di lady Katje di Middluns e l’altra quella accurata e forte del principe Po di Lienid, fratello minore di Skye e, insieme a lui, uno dei figli scapoli di Ror, i tanto temuti possibili mariti di Bitterblue. Tutto questo era insieme comico e tremendo.

Bitterblue si raggomitolò in un angolo del divano e lesse prima la lettera di Po. Il principe aveva perso la vista otto anni prima e, quindi, non riusciva a leggere. La parte del Dono che gli permetteva di percepire il mondo fisico intorno a lui compensava molti dei pro-blemi derivanti dalla sua cecità, ma non gli consentiva agevolmente di riconoscere le differenze sulle superfici lisce, oltre a non lasciargli distinguere i colori. Di conseguenza, scriveva con caratteri molto grandi, incisi con un pezzo di grafite appuntita, perché era più facile da controllare dell’inchiostro, e usava un righello come guida, giac-ché non vedeva ciò che scriveva. Talvolta usava anche un piccolo set

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di lettere di legno amovibili, come promemoria di quello che stava cifrando. Al momento si trovava nel regno settentrionale di Nander per provocare una rivolta.

Bitterblue passò all’altra lettera: Katje, l’impareggiabile guerriera con il Dono della sopravvivenza, divideva il tempo tra i regni di Estill, Sunder e Wester, anche lei alle prese con varie questioni. Entrambi i Graceling facevano tutto di persona, aiutati da un piccolo gruppo di amici: erano a capo di una serie di rivolte su vasta scala – attraverso l’uso della corruzione, atti di coercizione e sabotaggio – il tutto per fermare i re più corrotti del mondo.

Re Drowden di Nander ha imprigionato e ucciso i suoi nobili a caso, solo perché era certo che alcuni – di cui però non conosceva l’identità – non gli fossero leali, scriveva Po. Faremo evadere i superstiti. Giddon e io abbiamo insegnato ai popolani a combattere. Ci sarà una rivolta, cugina.

Entrambe le lettere finivano allo stesso modo. Po e Katje non si vedevano da mesi e nessuno dei due incontrava Bitterblue da più di un anno. Volevano venirla a trovare non appena i loro compiti glielo avessero concesso, e restare il più possibile.

Bitterblue era così felice che si raggomitolò sul divano e abbracciò un cuscino per un intero minuto.

All’altro capo della stanza, Fox era riuscita a salire in cima all’al-tissima finestra, ancorandosi agli infissi con le mani e i piedi, e stro-finava vigorosamente il proprio riflesso, per pulire la superficie fino a farla risplendere. La ragazza indossava un abito di due diversi toni di blu che s’intonava al resto della stanza. Il salotto di Bitterblue infatti era tutto blu, dal tappeto ai muri – azzurri e dorati – fino al soffitto, blu notte con stelle dorate e scarlatte. La corona reale era posata su un cuscino di velluto blu e stava sempre in quella stanza, salvo quando la regina la indossava. La porta segreta che un tempo conduceva agli

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appartamenti di Leck al piano inferiore era coperta da un arazzo con un meraviglioso cavallo del colore del cielo e gli occhi verdi: la scala dietro di essa era stata bloccata tempo prima.

Fox era una Graceling, con un occhio grigio chiaro e l’altro grigio scuro, i capelli rossi e i tratti ben definiti, di una bellezza incredibile, quasi affascinante. Aveva un Dono strano: non temeva nulla, ma non per questo era incosciente. Semplicemente, non provava la spiacevole sensazione della paura, ma era in grado di calcolare con abilità quasi matematica le conseguenze fisiche di ogni gesto, stando a quel che ne capiva Bitterblue. Sapeva perfettamente cosa sarebbe successo se fosse scivolata e caduta giù dalla finestra, ed era proprio questa consapevo-lezza a renderla attenta, più che la paura.

La regina pensava che un Dono simile fosse sprecato per una came-riera, ma dopo la morte di Leck a Monsea i Graceling non erano più di proprietà della corona e potevano lavorare dove meglio credevano. Fox sembrava essere soddisfatta del proprio impiego, anche se Helda – di quando in quando – diceva di voler provare a farne una spia.

«Vivi qui al castello, Fox?» chiese Bitterblue.«No, mia regina, abito nel sobborgo orientale» rispose lei da lassù.«Hai degli strani orari di lavoro, sai?»«Mi vanno bene, maestà. A volte lavoro anche tutta la notte.»«Come fai a entrare e uscire dal castello di notte? I soldati del

Picchetto lienid non ti creano problemi?»«Uscire non è mai un problema… lasciano uscire tutti, mia regina.

Il vero problema è entrare alla sera, ma ai cancelli mostro un bracciale che mi ha dato Helda e faccio la stessa cosa per superare il lienid di guardia alle tue stanze… oltre a fornire la parola d’ordine.»

«C’è una parola d’ordine?»«Cambia ogni giorno, mia regina.»

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«E come fai a conoscerla?»«Helda la nasconde in giro, ogni giorno della settimana in un

posto diverso, mia regina.»«E quella di oggi qual è?»«Pancake al cioccolato.»Bitterblue restò sdraiata a pancia in su sul divano per un po’,

facendo le dovute considerazioni. Ogni mattina Helda le chiedeva di dirle una o più parole che potevano servirle come chiavi per le note cifrate che si passavano durante il giorno. Il giorno prima Bitterblue aveva scelto “pancake al cioccolato”. «Qual era la parola d’ordine di ieri, Fox?»

«Caramello salato.»La chiave che aveva scelto due giorni prima. «Che parole delizio-

se» rispose con aria assente, mentre nella sua mente si faceva strada un’idea.

«Sì, mi mettono sempre l’acquolina in bocca.»Sull’angolo del divano c’era un mantello con cappuccio, dello

stesso blu scuro del sofà. Apparteneva sicuramente a Fox: Bitterblue l’aveva vista indossare indumenti semplici come quello anche in pas-sato. Era molto più anonimo di qualsiasi suo abito.

«Ogni quanto avviene il cambio della guardia davanti alle mie porte?» chiese a Fox.

«Allo scoccare di ogni ora, mia regina.»«Ogni ora! Davvero spesso.»«Sì, maestà. Non credo ci sia molta continuità in quello che vede

ciascuno di loro» rispose mite la servetta.Fox era di nuovo a terra, piegata su un cesto di stracci, e le dava le

spalle. Bitterblue prese il mantello, se lo mise sotto il braccio e scivolò fuori dalla stanza.

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bLa sera prima, Bitterblue aveva osservato le spie che erano entrate nelle sue stanze per fare rapporto a Helda: così incappucciate non le aveva riconosciute, finché non si erano svestite degli abiti di coper-tura. I soldati del Picchetto lienid, un dono ricevuto da re Ror, pro-teggevano l’ingresso principale del castello e quello agli appartamenti privati della sovrana con grande discrezione: non rispondevano del proprio operato a nessuno se non a Bitterblue e a Helda, nemme-no alla Guarnigione di Monsea, che costituiva il corpo armato e di polizia ufficiale, e ciò consentiva alla regina e alle sue spie personali di andare e venire inosservati. Era strano che Ror si premunisse di proteggere la privacy di Bitterblue, ma era organizzato nello stesso modo anche lui, a Lienid.

Il bracciale non era un problema, perché Helda dava alle spie un semplice laccio di cuoio con appesa una replica dell’anello di Ashen. Si trattava di un monile di fattura lienid, oro con piccole pietre inca-stonate di color grigio scuro brillante. Gli anelli indossati dai lienid rappresentavano un particolare membro della famiglia… in quel caso si trattava della vera che Ashen aveva scelto alla nascita di Bitterblue, quindi la giovane regina possedeva l’originale: la conservava nella cassapanca di legno di sua madre, in camera da letto, insieme a tutti gli altri gioielli di Ashen.

Le faceva uno strano effetto legarsi al polso quell’anello: sua madre glielo aveva mostrato tante volte, spiegandole che aveva scelto quel-le pietre perché le ricordavano gli occhi di Bitterblue. La regina si strinse al petto il polso, chiedendosi se sua madre avrebbe approvato quello che stava per fare.

Be’, anche Mamma e io siamo uscite di nascosto dal castello, una vol-ta… anche se non è andata proprio così, visto che ci siamo calate dalla fine-

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stra. Certo, avevamo un buon motivo. Stava cercando di salvarmi da lui.E mi ha salvato, in effetti: mi ha mandato lontano ed è rimasta qui

a morire.Mamma, non so perché lo sto facendo, ma non sembra anche a te che

manchi qualcosa? La mia vita non può ridursi a delle pile di carta che si accumulano giorno dopo giorno sulla mia scrivania. Lo capisci, vero?

Uscire di soppiatto era un po’ come mentire… e lo era anche tra-vestirsi. Poco dopo mezzanotte, Bitterblue scivolò silenziosamente fuori dalle sue stanze, con addosso dei pantaloni scuri e il mantello di Fox, e fece il primo passo verso un mondo di racconti e bugie.

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