LEGGE 27 MAGGIO 2015, N. 69 - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ... · risarcimento del danno». Art. 3...

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Studi Commento alla l. 69/2015 S. Milone, A.M. Piotto www.lalegislazionepenale.eu 1 7.1.2016 LEGGE 27 MAGGIO 2015, N. 69 - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, DI ASSOCIAZIONI DI TIPO MAFIOSO E DI FALSO IN BILANCIO (in GU n.124 del 30.5.2015 ) Art. 1 Modifiche alla disciplina sanzionatoria in materia di delitti contro la pubblica ammi- nistrazione 1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 32-ter, secondo comma, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «cinque»; b) all'articolo 32-quinquies, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «due»; c) all'articolo 35, secondo comma, le parole: «quindici giorni» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi» e le parole: «due anni» sono sostituite dalle seguenti: «tre anni»; d) all'articolo 314, primo comma, le parole: «da quattro a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro anni a dieci anni e sei mesi»; e) all'articolo 318, le parole: «da uno a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a sei anni»; f) all'articolo 319, le parole: «da quattro a otto anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei a dieci anni»; g) all'articolo 319-ter: 1) al primo comma, le parole: «da quattro a dieci anni» sono sostituite dalle se- guenti: «da sei a dodici anni»; 2) al secondo comma, le parole: «da cinque a dodici anni» sono sostituite dalle se- guenti: «da sei a quattordici anni» e le parole: «da sei a venti anni» sono sostituite dalle seguenti: «da otto a venti anni»; h) all'articolo 319-quater, primo comma, le parole: «da tre a otto anni» sono sosti- tuite dalle seguenti: «da sei anni a dieci anni e sei mesi»; i) all'articolo 323-bis: 1) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322- bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individua- zione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasfe- rite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi»; 2) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Circostanze attenuanti». Art. 2 Modifica all'articolo 165 del codice penale, in materia di sospensione condiziona- le della pena 1. Dopo il terzo comma dell'articolo 165 del codice penale è inserito il seguente: «Nei casi di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319- quater, 320 e 322-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordi- nata al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'am- montare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall'incari-

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LEGGE 27 MAGGIO 2015, N. 69 - DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, DI ASSOCIAZIONI DI TIPO MAFIOSO E DI FALSO IN BILANCIO (in GU n.124 del 30.5.2015 )

Art. 1

Modifiche alla disciplina sanzionatoria in materia di delitti contro la pubblica ammi-nistrazione 1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 32-ter, secondo comma, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «cinque»; b) all'articolo 32-quinquies, la parola: «tre» è sostituita dalla seguente: «due»; c) all'articolo 35, secondo comma, le parole: «quindici giorni» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi» e le parole: «due anni» sono sostituite dalle seguenti: «tre anni»; d) all'articolo 314, primo comma, le parole: «da quattro a dieci anni» sono sostituite dalle seguenti: «da quattro anni a dieci anni e sei mesi»; e) all'articolo 318, le parole: «da uno a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «da uno a sei anni»; f) all'articolo 319, le parole: «da quattro a otto anni» sono sostituite dalle seguenti: «da sei a dieci anni»; g) all'articolo 319-ter: 1) al primo comma, le parole: «da quattro a dieci anni» sono sostituite dalle se-guenti: «da sei a dodici anni»; 2) al secondo comma, le parole: «da cinque a dodici anni» sono sostituite dalle se-guenti: «da sei a quattordici anni» e le parole: «da sei a venti anni» sono sostituite dalle seguenti: «da otto a venti anni»; h) all'articolo 319-quater, primo comma, le parole: «da tre a otto anni» sono sosti-tuite dalle seguenti: «da sei anni a dieci anni e sei mesi»; i) all'articolo 323-bis: 1) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individua-zione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasfe-rite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi»; 2) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Circostanze attenuanti».

Art. 2

Modifica all'articolo 165 del codice penale, in materia di sospensione condiziona-le della pena 1. Dopo il terzo comma dell'articolo 165 del codice penale è inserito il seguente: «Nei casi di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis, la sospensione condizionale della pena è comunque subordi-nata al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'am-montare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall'incari-

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cato di un pubblico servizio, a titolo di riparazione pecunaria in favore dell'ammini-strazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all'articolo 319-ter, in favore dell'amministrazione della giustizia, fermo restando il diritto all'ulteriore eventuale risarcimento del danno».

Art. 3 Modifica dell'articolo 317 del codice penale, in materia di concus-sione 1. L'articolo 317 del codice penale è sostituito dal seguente: «Art. 317 (Concussione). - Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promet-tere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni».

Art. 4 Introduzione dell'articolo 322-quater del codice penale, in materia di riparazione pe-cuniaria 1. Dopo l'articolo 322-ter del codice penale è inserito il seguente: «Art. 322-quater (Riparazione pecuniaria). - Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis, è sempre or-dinato il pagamento di una somma pari all'ammontare di quanto indebitamente rice-vuto dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazio-ne pecuniaria in favore dell'amministrazione cui il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all'articolo 319-ter, in fa-vore dell'amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risar-cimento del danno».

Art. 5

Associazioni di tipo mafioso, anche straniere 1. All'articolo 416-bis del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: «da sette a dodici anni» sono sostituite dalle se-guenti: «da dieci a quindici anni»; b) al secondo comma, le parole: «da nove a quattordici anni» sono sostituite dalle se-guenti: «da dodici a diciotto anni»; c) al quarto comma, le parole: «da nove a quindici anni» sono sostituite dalle se-guenti: «da dodici a venti anni» e le parole: «da dodici a ventiquattro anni» sono so-stituite dalle seguenti: «da quindici a ventisei anni».

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GLI INTERVENTI DELLA L N. 69/2015 SUI DELITTI CONTRO LA P.A. E L’ASSOCIAZIONE DI TIPO

MAFIOSO: “MOLTO RUMORE PER NULLA”?

di Sofia Milone e Alessandro Maria Piotto (Perfezionandi nella Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa)

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. L’intervento legislativo sulle pene accessorie –

3. L’intervento legislativo sulle pene principali dei delitti contro la P.A. – 4. La nuova attenuante prevista dall’art. 323-bis c.p. – 5. La reintroduzione della figura dell’incaricato di pubblico servizio nel novero dei soggetti attivi del reato di concussione di cui all’art. 317 Cp – 6. Considerazioni generali sul tentativo di rinvigorire il contra-sto patrimoniale ai delitti contro la P.A. – 7. I nuovi artt. 165 co. 4 e 322-quater Cp – 8. (Segue) Le funzioni dell’obbligo di riparazione pecuniaria – 9. La forza simbolica dell’incremento sanzionatorio nella strategia di lotta alla criminalità organizzata di tipo mafioso – 10. L’ulteriore rafforzamento della trasparenza nelle procedure di af-fidamento degli appalti pubblici

1. A pochi anni dall’entrata in vigore della tanto attesa, quanto dibattuta, riforma dei reati contro la Pubblica Amministrazione1, il legislatore è intervenuto nuovamen-te in materia con la l. 27 maggio, n. 69, recante «Disposizioni in materia di delitti con-tro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio». Il fatto che la legge introduca modifiche alla disciplina normativa relativa tanto alla criminalità dei colletti bianchi, quanto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, può essere ritenuto un simbolico indizio della consapevolezza del legislatore dell’opportunità di elaborare delle strategie comuni nei confronti di tali fenomeni, capaci di coglierne le interazioni, ormai sempre più evidenti anche dal punto di vista criminologico2. In realtà, le modifiche adottate, intervenendo prevalentemente sulle fattispecie incriminatrici di settore, anziché sui contesti normativi che disciplinano le attività intorno alle quali gravitano i fenomeni considerati, risultano coerenti con la tradizionale logica repressiva e parcellizzante della recente politica criminale.

Non a caso, tra gli aspetti comuni alle nuove disposizioni è certamente rinvenibile l’obiettivo declamatorio di rassicurazione nei confronti della collettività, colpita dai numerosi scandali corruttivi dell’ultimo periodo, nonché dalla percezione di una dif-fusa infiltrazione criminale, anche mafiosa, in ambito politico ed economico. Sotto questa angolatura possono essere lette le disposizioni che stabiliscono l’inasprimento delle pene, principali ma anche accessorie, applicabili ai delitti contro la P.A. e al de-litto di associazione per delinquere di tipo mafioso. Un altro filo rosso è costituito

I paragrafi 1 e 6-9 sono a cura di Sofia Milone, i paragrafi 2-5 e 10 sono a cura di Alessandro Maria Piotto. 1 Ci si riferisce ovviamente alla l. 6.11.2012, n. 190. 2 V. le considerazioni di G.M. Flick, Mafia e imprese vent’anni dopo Capaci, via D’Amelio, Mani pulite. Dai progressi nella lotta al crimine organizzato ai passi indietro nel contrasto alla criminalità e alla corruzione, in RS II-III, 2013, 505 ss.

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dall’obiettivo di aumentare l’effettività del contrasto patrimoniale ai delitti di corru-zione e concussione; esso è testimoniato da quelle disposizioni che prevedono che al-la condanna, come effetto automatico o come condizione per poter ottenere deter-minati benefici, segua il pagamento di una somma di denaro corrispondente al prez-zo o al profitto di reato. Altre modifiche segnano, invece, un “ritorno al passato” ri-spetto agli interventi della l. n. 190/2012: ci si riferisce alla reintroduzione dell’incaricato di pubblico servizio come soggetto attivo del delitto di concussione e all’aumento della pena per il delitto di induzione indebita, che determina una mag-giore autonomia della fattispecie rispetto ai delitti di corruzione, neutralizzando l’effetto di sussidiarietà della clausola di riserva. Infine, con l’introduzione della cir-costanza attenuante di cui all’art. 323-bis co. 2 Cp, si introduce un meccanismo, con-solidato in altri settori normativi come quello della criminalità organizzata, finalizza-to ad incentivare la rottura del pactum sceleris; scelta meritoria ma che, come si ve-drà, sconta una certa ambiguità di formulazione che ne condizionerà l’applicazione.

Le modifiche appena illustrate saranno esaminate in modo tale da evidenziarne quei profili che, con ogni probabilità, saranno oggetto del più acceso dibattito nella giurisprudenza; nella consapevolezza, comunque, che il loro impatto rispetto ai fe-nomeni criminali considerati rischia di rivelarsi, in gran parte, meramente simbolico.

2. La legge n. 69/2015 interviene, nell’art. 1, sull’apparato sanzionatorio dei reati di peculato, corruzione, induzione indebita e concussione. Inoltre, l’intervento nor-mativo incide anche su talune pene accessorie. Converrà, dunque, soffermarsi bre-vemente su tali modifiche, evidenziando quali ne saranno i prevedibili effetti anche con riguardo a taluni istituti generali come, ad esempio, la prescrizione e la “neonata” «particolare tenuità del fatto». In primo luogo la nuova disciplina incide, nuovamente,3 sulle pene c.d. “accessorie”: nell’art. 32-ter Cp - «Incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione» -, viene sostituito il termine di durata massima della sanzione accessoria, sino ad ora previsto in tre anni, con quello più elevato di cinque. Altra disposizione interessata dalla ri-forma è quella dell’art. 32-quinquies Cp, che disciplina i casi nei quali alla condanna consegue, come pena accessoria, l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego. In particolare, la nuova previsione riduce da tre a due anni la pena in concreto irrogata necessaria perché possa essere applicata la sanzione accessoria. Infine, l’art. 1 in commento interviene anche sull’art. 35 Cp, che regola la pena accessoria della so-spensione dall’esercizio di una professione o di un’arte, ridisegnando i confini della durata (minima e massima) della misura, che passa da 15 giorni a 3 mesi nel minimo e da 2 a 3 anni nel massimo. Chiara dunque la scelta legislativa di intervenire non soltanto, come si vedrà a breve, sulle pene principali, ma anche sulle sanzioni accessorie che, com’è noto, in materia di reati contro la pubblica amministrazione possono arrivare a rivestire un ruolo de-terrente ancora maggiore rispetto a quello della pena principale, posto che sono su-

3 Infatti, la legge 6 novembre 2012, n. 190 aveva già novellato gli artt. 32-quater Cp e 32-quinquies Cp introducendo nel loro ambito applicativo la nuova ipotesi delittuosa di «Induzione a dare o promette-re utilità» ai sensi dell’art. 319-quater Cp.

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scettibili di incidere sull’assetto dei rapporti economici ed imprenditoriali. Si pensi, ad esempio, alla sanzione accessoria dell’incapacità di contrarre con la pubblica am-ministrazione che, a norma dell’art. 32-quater Cp consegue di diritto nel caso di con-danna per tutta una serie di delitti contro la pubblica amministrazione (ma anche per taluni delitti contro l’ordine pubblico, contro l’incolumità pubblica, contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e contro il patrimonio), se commessi in danno o in vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad es-sa. Risulta evidente, allora, come l’aumento ad anni 5 del termine massimo di durata (in precedenza, come detto, fissato a tre anni) possa rappresentare un efficace deter-rente contro il compimento di tali reati, soprattutto in considerazione del fatto che la pena accessoria in questione potrebbe comportare una significativa compressione dell’attività imprenditoriale, inibendo la possibilità di stipulare contratti con la P.A. sino a cinque anni (si immagini un’impresa che per cinque anni non possa partecipa-re a procedure di evidenza pubblica finalizzate alla stipula di contratti di appalto). Anche nel caso della pena accessoria prevista dall’art. 32-quinquies c.p. – «estinzione del rapporto di lavoro o di impiego» – la novella legislativa ne renderà più agevole l’applicazione. Infatti, se ante riforma era necessario che il giudice pronunciasse una condanna ad una pena non inferiore a tre anni per una serie di reati contro la P.A., ora il limite è stato abbassato a due e questo faciliterà l’applicazione della sanzione accessoria an-che a casi in cui, o per il basso limite edittale previsto dalla fattispecie delittuosa, o per la concessione di circostanze attenuanti, era assai frequente poter addivenire a condanne inferiori ai tre anni. Si pensi al delitto di peculato previsto dall’art. 314, co. 1 Cp, che prevede (anche a seguito della riforma in commento, come si dirà) un mini-mo edittale di quattro anni. E’ chiaro che, precedentemente alla novella dell’art. 32-quinquies Cp, sarebbe stata sufficiente una circostanza attenuante per consentire al giudice di scendere sotto i tre anni, cosa che ora non sarà più possibile, a meno che si tratti di circostanze attenuanti ad effetto speciale. Si pensi, altresì, all’ipotesi prevista dall’art. 318 Cp, vale a dire la corruzione per l’esercizio della funzione, che prevede un minimo edittale (anch’esso non scalfito dalla riforma) di un anno. Ebbene, anche in questo caso potranno aumentare le ipotesi di applicazione della pena accessoria nel caso di condanna non inferiori ad anni due, invece che ad anni 3 come in precedenza.

3. Parallelamente alla riforma dell’apparato sanzionatorio previsto per le pene ac-cessorie, il legislatore è nuovamente intervenuto, in seguito alla legge n. 190/2012 sul-le pene principali per taluni reati contro la pubblica amministrazione.

In particolare, per quanto concerne il peculato (art. 314 Cp) viene elevata la pena massima, che passa da 10 anni a 10 anni e 6 mesi, fermo restando il limite minimo di 4 anni; per il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 Cp) viene elevata la pena massima, che passa da 5 a 6 anni, fermo restando il limite minimo di 1 anno; per il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 Cp) viene ridefinita verso l’alto l’intera cornice edittale, che passa da 4 a 6 anni nel mini-mo e da 8 a 10 anni del massimo; per il delitto di corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter Cp) viene anche in tal caso ridefinita la cornice edittale, sostituendo alla pena prevista «da quattro a dieci anni», quella più alta «da sei a dodici anni» e, se dal fatto

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deriva una condanna alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena minima passa da 6 a 8 anni, fermo restando il limite massimo di 20 anni; infine, per quanto concerne il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater Cp) viene aumentata la pena minima da 3 a 6 anni e la pena massima da 8 a 10 anni e 6 mesi.

Come si noterà, la riforma incide sia sui limiti minimi edittali delle fattispecie elencate, sia, in taluni casi, sui limiti massimi. Gli effetti di tali modifiche sono mol-teplici e meritano di essere sinteticamente apprezzati.

In primo luogo, come si è già avuto modo di rilevare, la riforma delle pene princi-pali renderà più agevole l’applicazione delle pene accessorie prima richiamate nei ca-si in cui, in precedenza, ciò era impedito dalla pronuncia di una sentenza di condan-na a pene che non raggiungevano la soglia minima richiesta; in secondo luogo, diver-rà più semplice applicare anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffi-ci.

Com’è noto, due sono le disposizioni di riferimento: la prima, generale, è quella dell’art. 29 Cp che prevede, da un lato, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici nel caso di condanna all’ergastolo o alla reclusione non inferiore ad anni cinque e, dall’altro, l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque nel caso di condanna alla reclusione non inferiore ad anni tre; la seconda, speciale, è quella dell’art. 317-bis Cp, che stabilisce che la condanna per i reati di peculato, concussione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che grazie all’applicazione di circostanze attenuanti la pena in concreto irrogata risulti inferiore ai tre anni, nel qual caso la condanna comporta l’interdizione temporanea. E’ chiaro, dunque, che l’interdizione perpetua in ogni caso non è applicabile per condanne inferiori ai tre anni, né ai sensi dell’art. 317-bis Cp, né ai sensi dell’art. 29 Cp. L’innalzamento dei li-miti minimi edittali, dunque, contribuirà a rendere maggiormente effettiva la previ-sione di cui all’art. 317-bis Cp, anche se non può tacersi, come rilevato anche dai pri-missimi commenti alla riforma4, che suscita non poche perplessità il fatto di aver escluso dall’ambito applicativo dell’art. 317-bis Cp il delitto di induzione indebita di cui all’art. 319-quater Cp, per il quale la possibilità di irrogare la pena accessoria dell’interdizione perpetua resta ancorata alla previsione generale dell’art. 29 Cp, es-sendo necessario che la pena principale non sia inferiore a cinque anni; in ogni caso, va pur sempre sottolineato come la modifica del limite minimo edittale per il delitto di cui all’art. 319-quater Cp (da tre a sei anni) dovrebbe consentire con maggiore fre-quenza l’applicazione dell’interdizione perpetua per mezzo dell’art. 29 Cp.

Da ultimo, la modifica dei limiti minimi edittali inciderà anche sull’effettività dell’applicazione della sanzione amministrativa dell’incandidabilità e della decadenza a ricoprire cariche elettive introdotta dal ben noto d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, che segue a condanne a pene detentive superiori ai due anni per i delitti previsti dal libro II, titolo II del codice penale.

4 Il riferimento è a F. Cingari, Una prima lettura delle nuove norme penali a contrasto dei fenomeni corruttivi, in DPP 2015, 808 ss.

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La riforma dei limiti edittali massimi, invece, può essere apprezzata con riferimen-to a due istituti in particolare: la prescrizione e la «particolare tenuità del fatto».

Per quanto concerne la prescrizione, è noto che la legge nota come “ex Cirielli” ha dato rilievo, per il calcolo del termine prescrizionale, al massimo edittale della pena. L’art. 157, co. 1 Cp, infatti, stabilisce che «la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria». La riforma operata con l’art. 1 della legge n. 69/2015 ha, come si è sottolineato, ridisegnato verso l’alto i con-fini edittali massimi delle principali fattispecie delittuose contro la pubblica ammini-strazione. Ad eccezione del peculato, la cui modifica della pena massima non risulta così significativa ai fini del calcolo del termine prescrizionale (trattandosi di un au-mento di appena sei mesi), negli altri la rilevanza appare ben maggiore. Si pensi al delitto di cui all’art. 319 Cp, la cui pena massima è stata elevata da 8 a 10 anni. Per ef-fetto di tale modifica, dunque, la prescrizione dovrà essere calcolata proprio in 10 an-ni e, nel caso di atti interruttivi, arriverà a 12 anni e 6 mesi. Ancora, per quanto con-cerne il delitto di cui all’art. 319-ter Cp, la pena massima è passata da 10 a 12 anni ed il termine di prescrizione diviene di 12 anni aumentabili, nel caso di atti interruttivi, si-no a 15 anni.

La scelta del legislatore di innalzare i limiti massimi edittali per superare il rischio dell’intervento prescrittivo non può che suscitare forti perplessità. E’ assolutamente vero che, per come è attualmente concepita la disciplina della prescrizione a seguito della legge 5 dicembre 2005, n. 251 essa rappresenti un forte ostacolo all’effettività della tutela penalistica avverso la commissione di reati contro la Pubblica Ammini-strazione; è altrettanto vero, però, che la soluzione non può essere quella di un indi-scriminato aumento delle pene, dal momento che, come si è giustamente sottolinea-to in dottrina, il rischio è quello di perdere qualsiasi aggancio con il disvalore del fat-to tipico e di alterare il rapporto di necessaria proporzione tra fatto e sanzione.5

Probabilmente, allora, la strada da perseguire è un’altra ed è quella di incidere di-rettamente sull’istituto della prescrizione.

Ora, è noto che il tema della prescrizione è da sempre al centro del dibattito pub-blico ed è tornato nuovamente d’attualità dopo la sentenza della Corte di Cassazione nel processo “Eternit” che ha dichiarato prescritti i reati contestati ai due imputati. Per la verità, la prescrizione è divenuta protagonista insolita della vicenda atteso che il vero punctum dolens, in quel caso, concerneva il momento consumativo dei reati di cui agli articoli 434 Cp e 437 Cp e, solo di conseguenza, anche il calcolo del termine prescrizionale.

Tuttavia, il caso “Eternit” sembra aver avuto il merito di “risvegliare le coscienze” attorno alla impossibilità di rinviare oltre una seria riforma della prescrizione ed è in tal senso che va letta la recente approvazione alla Camera del d.d.l. S.18446 in data 25 marzo 2015 che, da un lato, interviene proprio su taluni reati contro la pubblica am-

5 F. Cingari, op. ult. cit., 809. 6 d.d.l. S. 1844 recante «Modifiche al codice penale in materia di prescrizione del reato». Il testo del d.d.l. è disponibile sul sito www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/45439.htm

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ministrazione (in particolare gli artt. 318 Cp, 319 Cp, 319-ter Cp) aumentando i termi-ni di prescrizione della metà e, dall’altro, introduce un meccanismo di sospensione della prescrizione dopo la condanna di primo grado, mediante la modifica dell’art. 159 Cp.

Insomma, la via della riforma della prescrizione appare l’unica possibile, non es-sendo ragionevolmente concepibile che il sistema penale diventi “ostaggio” della di-sciplina vigente e sia costretto, in palese violazione dei canoni di legalità e tipicità, ad innalzare oltremodo le cornici edittali per evitare la scure del decorso del termine prescrizionale.

Da ultimo, va rilevato che l’innalzamento dei limiti massimi edittali produrrà come effetto quello di escludere anche il reato di cui all’art. 318 Cp dall’ambito applicativo del nuovo istituto della «particolare tenuità del fatto». 7

Com’è noto, infatti, il nuovo art. 131-bis Cp prevede che «nei reati per i quali è previ-sta la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecunia-ria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abitua-le». Pertanto, nessuna delle ipotesi delittuose interessate dalla riforma del 2015 potrà beneficiare del proscioglimento per particolare tenuità, atteso che i massimi edittali sono tutti superiori alla soglia richiesta dall’art. 131-bis Cp dei cinque anni.

Altra questione che merita di essere affrontata è quella del mutato rapporto, a se-guito dell’entrata in vigore della riforma, tra i delitti di induzione indebita di cui all’art. 319-quater Cp e di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 Cp Com’è noto, non è sempre stato agevole ricostruire i confini delle due fattispe-cie, ancor più a seguito del c.d. “spacchettamento” dell’art. 317 c.p., operato con la legge n. 190/2012, che ha assegnato autonoma rilevanza alla concussione per induzio-ne inserendo il nuovo art. 319-quater Cp8

Tale ultima disposizione si apre con una clausola di riserva («Salvo che il fatto co-stituisca più grave reato») che operava, prima della novella del 2015, in favore dell’art. 319 Cp, essendo questo punito con una pena superiore nel minimo (4 anni invece che 3) e pari nel massimo.9E’ chiaro, dunque, che se l’induzione indebita aveva ad oggetto

7 Sulla nuova disciplina della «Particolare tenuità del fatto» la bibliografia è già abbastanza ampia: si veda R. Bartoli, L’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in DPP 2015, 659 ss., F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www.penalecontemporaneo.it, 8.7.2015, C. F. Grosso, La non punibilità per particolare tenuità del fatto, in DPP 2015, 517 ss., S. Milone, La “tenuità del fatto” non arriva per ora alle Sezioni Unite, in DPP 2015, 989 ss., L. Pacifici, La particolare tenuità dell’offesa: questioni di diritto penale sostanziale, in www.penalecontemporaneo.it, 14.7.2015. 8 Si rinvia, per tutti, a R. Bartoli, Le Sezioni unite tracciano i confini tra concussione, induzione e cor-ruzione, in GI 2014, 1208 ss., P. Pisa, Concussione e induzione indebita al vaglio delle Sezioni Unite: una sentenza equilibrata per un problema complesso, in DPP 2014, 568 ss., S. Seminara, Concussione e in-duzione indebita al vaglio delle Sezioni Unite, in DPP 2014, 563 ss. 9 È controverso se la clausola di riserva operasse in favore dell’art. 319 Cp. Per queste considerazioni, in ogni caso, si veda la relazione tenuta dal Prof. Tullio Padovani in occasione della sua audizione presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati in data 7 maggio 2015. Il testo dell’intervento è disponibile sul sito

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il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio scattava l’ipotesi più grave dell’art. 319 Cp ed il pubblico ufficiale rispondeva di corruzione propria. La modifica delle sanzioni principali per entrambi i reati (per l’art. 319 Cp da 6 a 10 anni e per l’art. 319-quater Cp da 6 a 10 anni e 6 mesi) cancella la sussidiarietà dell’induzione in-debita, facendole recuperare un ruolo, per così dire, mediano tra la concussione ex art. 317 Cp e le ipotesi corruttive. Il reato di cui all’art. 319 Cp dovrebbe, dunque, ope-rare in via sussidiaria rispetto a quello previsto dall’art. 319-quater Cp, mentre ciò non accadrà per l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari prevista dall’art. 319-ter Cp, atteso che la nuova cornice edittale prevede una forbice da 6 a 12 anni cosicché la clausola di riserva dell’art. 319-quater Cp finirà per operare a favore della fattispecie di cui all’art. 319-ter Cp e questo non può che generare forti perplessità, stante l’espresso ri-chiamo che l’art. 319-ter, co. 1 Cp fa all’ipotesi di corruzione individuata dall’art. 319 Cp.

4. L’art. 1 della legge n. 69/2015 interviene, da ultimo, sull’art. 323-bis Cp, introdu-

cendo una nuova circostanza attenuante, applicabile ai delitti previsti dagli artico-li 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis Cp, «per chi si sia efficacemen-te adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovve-ro per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite».

Si tratta di una circostanza attenuante ad effetto speciale, che comporta la dimi-nuzione della pena da un terzo a due terzi e che ha come scopo quello di rompere il patto corruttivo e di favorire una collaborazione processuale. Com’è noto, la difficoltà di accertamento processuale di tali fattispecie risiede innanzitutto nel fatto che nes-suno dei due poli dell’accordo corruttivo è ovviamente interessato a denunciare il fat-to, ma, ancor di più, nelle stesse modalità in cui può estrinsecarsi l’esecuzione del patto corruttivo, sempre più complesse e che rendono assai impegnativo il compito dell’autorità procedente, soprattutto in quei casi in cui corrotto e corruttore si avval-gono di intermediari o ancora in altri in cui l’esigenza probatoria di individuazione materiale della tangente non può che passare attraverso una ricostruzione analitica e dettagliata di tutto il volume di affari intercorso tra corrotto e corruttore.

Il legislatore, conscio di tali difficoltà, è quindi intervenuto prevedendo una atte-nuante per il caso in cui il colpevole, successivamente alla commissione del fatto, si sia operato per: a) evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori; b) assicurare le prove dei reati o il sequestro delle somme o delle altre utilità trasferi-te; c) individuare ulteriori soggetti responsabili.

Come rilevato dai primissimi commenti alla disposizione10, tale attenuante si inse-risce nel solco di una tradizione legislativa di tipo premiale che negli ultimi decenni ha trovato largo impiego in settori nevralgici come quello del contrasto a fenomeni terroristici, dei reati di mafia, del contrasto al traffico di sostanze stupefacenti.

http://www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c02_amministrazione&anno=2015&mese=05&giorno=07&idCommissione=02&numero=0002&file=indice_stenografico 10F. Cingari, op. cit., 812 ss.

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Naturalmente, le singole condotte richieste al collaboratore, variano per intensità e modalità: mentre nel caso di sequestro delle somme o utilità trasferite (da finalizzare alla confisca) sarà necessario un mera indicazione necessaria ad individuare la som-ma od utilità trasferita, nel caso in cui il collaboratore voglia adoperarsi per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori non si esige che la condot-ta tenuta abbia effettivamente raggiunto il suo scopo (in caso contrario non avrebbe ragion d’essere il connotato “finalistico” espresso dalla locuzione «per evitare che…»).

Per quanto concerne, poi, l’assicurazione delle prove, invece, è stato rilevato cor-rettamente che si tratta di un’espressione ambigua, dal momento che non viene ulte-riormente specificato in cosa dovrebbe concretamente consistere questo contributo alla raccolta del materiale probatorio. Certamente dovrà trattarsi di un contributo che effettivamente giovi alla prosecuzione delle indagini, non essendo sufficiente che lo stesso vada a rafforzare, ma non innovare, il quadro probatorio già esistente.11

E’ chiaro che, con riferimento all’attività di supporto alla ricerca del materiale pro-batorio, in sintonia con quanto previsto dalla figura generale del ravvedimento attivo prevista dall’art. 56 Cp si richiede che il comportamento collaborativo posto in essere sia volontario e non determinato da motivi esterni; inoltre, dovrà trattarsi – come suggerito dall’utilizzo dell’avverbio «efficacemente» - di un contributo effettivamente idoneo a fornire un supporto alle indagini in corso in termini di proficuità ed utilità; in caso contrario, si aprirebbe la possibilità di atteggiamenti opportunistici ed elusivi, dal momento che l’attenuante in commento troverebbe applicazione anche in casi nei quali l’apporto del colpevole non sia assolutamente determinante per l’autorità (come nel caso, ad esempio, di un correo che decida di collaborare dopo le informa-zioni già rese dall’altro); deve trattarsi, in definitiva, di una collaborazione che abbia consentito all’autorità procedente di aggiungere un tassello sino a quel momento mancante all’indagine svolta.

Questione assai delicata è quella se le condotte richieste al collaboratore per l’applicazione dell’art. 323-bis Cp debbano operare cumulativamente o alternativa-mente. A fronte di un’opinione12 che sposa la tesi dell’alternatività, è forse più ade-rente alla littera legis ritenere che si richiesta la cumulatività: ciò emerge, in effetti, dall’utilizzo della parola «ovvero» che sembra introdurre un elenco di condizioni congiuntamente necessarie. Se così è, però, il rischio è quello di rendere inoperante, di fatto, l’attenuante, dal momento che lo sforzo richiesto al collaboratore travaliche-rà, molto probabilmente, le sue stesse capacità: si intende dire, cioè, che il colpevole al più potrà essere capace di evitare le conseguenze ulteriori, eventualmente di favo-rire l’individuazione degli altri responsabili, ma ben difficilmente potrà avere, in ipo-tesi, anche un ruolo attivo nell’assicurazione delle fonti probatorie.

Non vi è dubbio, per concludere, che la nuova circostanza attenuante prevista dall’art. 323-bis Cp potrà ben funzionare in contesti processuali nei quali l’accertamento ed il disvelamento del c.d. “pactum sceleris” appaiono davvero com-plicati, ancor più in un quadro normativo nel quale le pene principali sono state nuo-

11 C. Benussi, Alcune note sulla nuova attenuante del secondo comma dell’art. 323-bis Cp, in www.penalecontemporaneo.it, 26.6.2015. 12 C. Benussi, op. ult. cit., in www.penalecontemporaneo.it, 26.6.2015.

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vamente ritoccate verso l’alto e quindi la prospettiva di una riduzione, anche consi-stente, della sanzione penale come in cambio di una collaborazione significativa all’indagine possa essere allettante.

5. L’art. 3 della legge n. 69/2015 interviene sul delitto di concussione previsto

dall’art. 317 Cp13 reinserendo tra i soggetti attivi del reato l’incaricato di pubblico ser-vizio che era stato eliminato dalla legge n. 190 del 2012. Si era ritenuto che la struttura oggettiva della fattispecie concussoria mal si conciliasse con l’estensione della sogget-tività attiva anche all’incaricato di pubblico servizio. Infatti, è noto che la modifica più significativa operata dalla novella del 2012 è quella del c.d. “spacchettamento” della concussione in due distinte ipotesi: l’una, caratterizzata dalla costrizione, resta disciplinata dall’art. 317 Cp, mentre l’altra viene a costituire una autonoma ipotesi criminosa, vale a dire l’induzione a dare o promettere utilità, collocata nell’art. 319-quater Cp.

In verità, tale scelta normativa non aveva mancato di sollevare svariate critiche in dottrina: intanto, si era sottolineato come, se da un lato il ritorno alla concussione come reato esclusivo del pubblico ufficiale fosse coerente con l’idea del metus come effetto dell’abuso di alte prerogative, dall’altro la prevaricazione oggetto della con-cussione potesse ben realizzarsi mediante modalità che non coinvolgono prerogative apicali del funzionario.

Inoltre, la dottrina maggioritaria14 aveva evidenziato un palese contrasto del nuovo art. 317 Cp con il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost, dal momento che le medesime condotte, se poste in essere dall’incaricato di pubblico servizio, sarebbe-ro state punibili come estorsione aggravata dall’art. 61, n. 9 Cp.

Quanto all’applicazione della suddetta aggravante all’incaricato di pubblico servi-zio, se da una parte, nel caso di soccombenza o equivalenza con altre attenuanti, sa-rebbe stato possibile ricorrere all’art. 69 Cp, dall’altra, nel caso di prevalenza, essa avrebbe comportato l’irrogazione di una pena in concreto più elevata rispetto a quel-la prevista dal delitto ex art. 317 Cp.

Inoltre, si era giustamente rilevato che la semplice assenza di poteri autoritativi in capo all’incaricato di pubblico servizio non esclude affatto la possibilità che questi ponga in essere condotte costrittive (l’esempio classico è quello di un caposala che ri-chieda la corresponsione di una somma di denaro per consentire il ricovero di un pa-ziente o di un infermiere che richieda la corresponsione di una somma di denaro ai familiari di un paziente per somministrargli un certo farmaco) e la giurisprudenza, in effetti, non pare aver mai dubitato del fatto che anche l’incaricato di pubblico ser-vizio sia in grado di porre in essere atti di costrizione sul privato, sottolineando inol-

13 L’art. 317 Cp ora recita: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, dena-ro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni”. 14 G. Balbi, Alcune osservazioni in tema di riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, in

www.penalecontemporaneo.it, 15.10.2012, 8; E. Dolcini – F. Viganò, Sulla riforma in cantiere dei delitti

di corruzione, in www.penalecontemporaneo.it, 17.4.2012; P. Pisa, Una nuova stagione di “minirifor-me”, in DPP 2012, 1422. Si veda anche la relazione dell’ufficio massimario della Corte di Cassazione a proposito della legge n. 190/2012.

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tre come la scelta di espungere la figura dell’incaricato di pubblico servizio dal nove-ro dei soggetti attivi sarebbe stata foriera di probabili incertezze applicative.15

Del resto, si legge in giurisprudenza che «la legge 26 aprile 1990, n. 86 ha ampliato la nozione di incaricato di pubblico servizio, correlandola all’attività in concreto esple-tata dall’agente, indipendentemente dal suo ruolo giuridico e da un effettivo rapporto di subordinazione con l’ente pubblico»16

Da ultimo, va sottolineato come la concussione, ponendosi dalla parte della vitti-ma, si risolva in una condizione di prevaricazione e questa ben può essere posta in essere anche dall’incaricato di un pubblico servizio che, pur in assenza di poteri auto-ritativi, può in ogni caso attuare, nell’odierna realtà della Pubblica Amministrazione, caratterizzata da un esponenziale sviluppo di servizi pubblici, comportamenti di ca-rattere costrittivo, tali da ingenerare uno stato di totale soggezione

del privato. Per tutte queste ragioni, non si può che salutare positivamente il fatto che il legi-

slatore abbia deciso di tornare sui propri passi, confermando la scelta operata dai ri-formatori del 1990 e reinserendo l’incaricato di pubblico servizio tra i soggetti attivi del reato di concussione ex art. 317 Cp. 6. Come accennato, tra le linee direttrici della riforma, accanto all’inasprimento della repressione tramite l’incremento delle pene e al tentativo di indebolimento del patto corruttivo attraverso il ricorso al tradizionale espediente della valorizzazione, in funzione premiale, della collaborazione processuale, deve considerarsi la volontà di potenziare l’efficacia del contrasto patrimoniale ai delitti contro la P.A., e, in parti-colare, ai delitti di peculato, corruzione e concussione.

La restituzione del maltolto, sotto le forme del prezzo o del profitto del reato, ri-corre nelle nuove disposizioni, sia pur sotto forme non integralmente coincidenti, come condizione per beneficiare della sospensione condizionale della pena e per l’ammissibilità della richiesta di patteggiamento, o come conseguenza indefettibile della condanna, che si aggiunge al risarcimento del danno e alla tradizionale misura di sicurezza della confisca: quest’ultima peraltro prevista dall’art. 322-ter Cp anche nella forma, “punitiva”, della confisca per equivalente.

L’obiettivo che il legislatore si è prefisso è di rafforzare l’efficacia dissuasiva delle disposizioni incriminatrici, veicolando l’idea dell’impossibilità di trarre un arricchi-mento dalla loro violazione; nello specifico, attraverso la previsione, tra le conse-guenze sanzionatorie, di una riparazione pecuniaria parametrata a quanto ingiusta-mente percepito, nonché tramite la subordinazione al pagamento di quest’ultima, o comunque alla restituzione del prezzo o profitto del reato, dell’operatività di istituti che attenuano l’effettività della comminatoria edittale in funzione del soddisfacimen-to di interessi risocializzativi o deflattivi.

Le nuove disposizioni paiono formulate secondo un linguaggio comune che condi-ziona l’ammontare della riparazione pecuniaria a quanto indebitamente percepito

15 Cass. SU, 24.10. 2013, n. 12228 con commento di G. Balbi, Sulla differenza tra i delitti di concussione e di induzione a dare o promettere altre utilità, in DPenCont 2015 (1), 143 ss. 16 Cass. 30.1.1992, n. 396; Cass. 16.11.1992, n. 3657.

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dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio. Ad una prima lettura del dettato normativo, due sono gli aspetti che pare opportuno sottolineare per intra-prendere una prima riflessione sulla sua futura efficacia a realizzare l’obiettivo prima delineato: uno relativo al piano tecnico-normativo, l’altro a quello politico-criminale.

Quanto al primo, deve innanzitutto cogliersi la solo parziale sovrapposizione della formulazione delle disposizioni, la quale sembrerebbe ostacolare una loro “sinergia” applicativa: il nuovo art. 165 co. 4 Cp subordina la sospensione condizionale al paga-mento di “una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio”; il nuovo art. 322-quater Cp, invece, richiama solo il parametro dell’indebita percezione. D’altra parte, il nuovo art. 444 co. 1-ter Cpp, subordina l’ammissibilità della richiesta di patteggiamento alla “restituzione integrale” del prezzo o profitto del reato.

Non sono chiare le ragioni della diversa formulazione delle disposizioni, se la ratio sottostante, come si è spiegato, è la medesima; sono evidenti, però, le conseguenti difficoltà di coordinamento. Si pensi al caso, peraltro frequente, di una richiesta di patteggiamento subordinata alla sospensione condizionale della pena: per ottenerne l’accoglimento, l’imputato dovrebbe limitarsi a restituire il prezzo o il profitto del reato, o dovrebbe pagare un’ulteriore somma, di ammontare sostanzialmente equiva-lente, a titolo di riparazione? Una simile questione può prospettarsi con riguardo ai rapporti tra la riparazione ex art. 165 co. 4 e quella di cui all’art. 322-quater Cp nel ca-so in cui sia stata concessa al condannato la sospensione condizionale della pena: so-lo se il contenuto delle misure previste, come pare logico ritenere, è il medesimo, la condizione posta dall’art. 165 Cp non attiene ad un obbligo autonomo e distinto ri-spetto a quello previsto dall’art. 322-quater, ma rafforza l’effettività di tale disposizio-ne in tutti i casi in cui l’imputato voglia beneficiare della sospensione condizionale della pena. Il medesimo dubbio riguarda i rapporti tra la restituzione ex art. 444 co. 1-ter Cpp e la riparazione ex art. 322-quater Cp quando sia stata avanzata richiesta di applicazione della pena su richiesta.

Sul piano politico-criminale, deve rilevarsi che la scelta di potenziare la strategia di contrasto della corruzione e della concussione attraverso il “prelievo” patrimoniale, riferito al prezzo o al profitto di reato, rivela una percezione del fenomeno corruttivo non particolarmente aderente alla realtà dei fatti: un fenomeno “chirurgicamente” isolabile, costituito da un contratto il cui perfezionamento si esaurisce nell’esecuzione di prestazioni sinallagmatiche facilmente individuabili; generalmente un facere dietro pagamento di una somma di danaro, la classica “mazzetta”. Se, inve-ce, si prende coscienza di una corruzione sistemica17, ben radicata in seno alle istitu-zioni pubbliche, e rispetto alla quale il modello fondato sullo scambio “danaro contro altra prestazione” cede il passo a modelli eterogenei, costituiti da accordi di più am-pia portata, caratterizzati dalla prestazione reciproca di attività, tale strategia mostra delle significative aporie. Da una parte, essa non pare agevolare il raggiungimento di un obiettivo che dovrebbe essere primario nella lotta alla corruzione: l’emersione di un fenomeno sotterraneo, largamente diffuso e tollerato perché vantaggioso per i

17 V. A. Vannucci, Atlante della corruzione, Torino 2012.

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soggetti che vi prendono parte; anzi, rischia di ostacolare la collaborazione proces-suale, in quanto comporta dei costi a carico dell’aspirante collaborante che potrebbe-ro dissuaderlo dal rompere il muro del silenzio. D’altra parte, la sua effettività pare condizionata da inevitabili difficoltà di accertamento ed esatta quantificazione del valore delle prestazioni oggetto dello scambio.

Preso atto dei profili più critici dell’intervento, si passerà ora ad esaminare il con-tenuto specifico delle nuove disposizioni introdotte con gli artt. 2 e 4 l. n. 69/2015.

7. La subordinazione obbligatoria della concessione della sospensione condiziona-

le della pena, nei confronti dei condannati per i delitti contro la P.A. indicati nell'art. 165 Cp, al pagamento della riparazione pecuniaria, costituisce una deroga alla regola generale della concessione della sospensione condizionale della pena senza oneri. In base a quanto risulta dagli artt. 163 ss. Cp, infatti, dinanzi alla decisione di irrogare in concreto una pena pecuniaria o una pena detentiva di breve durata – contenuta nei due anni di reclusione o arresto – e ad un giudizio prognostico positivo rispetto all’assenza del pericolo di recidiva del condannato, le esigenze di prevenzione gene-rale e speciale a fondamento dell’applicazione della pena sono ritenute tali da am-mettere la sospensione dell’applicazione della pena senza che sia necessario gravare il condannato di obblighi da assolvere durante il periodo di sospensione; salva una di-versa valutazione del giudice, e a patto che il condannato non abbia già beneficiato della misura, in quanto, in quest’ultimo caso, rispetto ad un soggetto già recidivo, il soddisfacimento dell’esigenza di prevenzione speciale esige la prescrizione di un qualche onere.

Nell’ipotesi di commissione dei delitti contro la P.A. richiamati si è ritenuto, inve-ce, che il disvalore d’offesa ad essi sotteso non giustifichi, ove pure la pena in concre-to irrogabile rientri nei limiti di cui all’art. 163 Cp e sia stato formulato un giudizio di prognosi positiva nei confronti del condannato, un’attenuazione così forte delle esi-genze preventive.

La quantificazione della riparazione pecuniaria può essere effettuata in via alterna-tiva secondo il parametro del profitto di reato o di “quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio”. La previsione di un’alternativa potrebbe spiegarsi con riguardo ai delitti plurisoggettivi propri di cor-ruzione e di induzione indebita, rispetto ai quali si porrebbe l’esigenza di differenzia-re l’entità della riparazione in relazione al soggetto condannato che richiede il bene-ficio della sospensione condizionale, sembrando opportuno utilizzare come parame-tro quanto sia stato da questi ingiustamente ottenuto tramite la commissione del reato. Tuttavia, dal momento che il nuovo art. 165 co. 4 non richiama la norma di cui all'art. 321 Cp che punisce il privato corruttore, il parametro autonomo del profitto dovrebbe trovare applicazione soltanto nei confronti del privato indotto o corruttore nei casi di corruzione internazionale di cui all'art. 322-bis Cp, dal momento che tanto quest'ultima disposizione, quanto l'art. 319-quater co. 2 Cp, contengono un riferimen-to, la prima per richiamo all'art. 321 Cp, la seconda specifico, alla punibilità del priva-to.

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L’art. 4 l. n. 69/2015 ha introdotto il nuovo art. 322-quater Cp nel Capo I del Titolo dedicato ai delitti contro la P.A., rubricato “Riparazione pecuniaria”. La disposizione prevede un’ulteriore conseguenza sanzionatoria del reato rispetto a quelle più “tradi-zionali” della pena, della confisca e del risarcimento del danno, per il caso di condan-na per certi delitti contro la P.A., gli stessi di cui al nuovo art. 165 co. 4 Cp. Si tratta dell’obbligo di pagamento di una somma pari a quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio nei confronti dell’amministrazione di appartenenza di questi ultimi.

La formulazione della disposizione presenta delle criticità. Innanzitutto, il parame-tro di quantificazione utilizzato appare di problematica applicazione con riguardo al delitto di peculato, rispetto al quale la formula “quanto indebitamente ricevuto”, modellata sul target dei delitti di corruzione e concussione, può dirsi quantomeno impropria, soprattutto nel caso in cui oggetto della condotta di appropriazione o di uso sia una res diversa da una somma di danaro. Ci si può domandare, infatti, se debba utilizzarsi come parametro di riferimento il valore della res, oggetto materiale della condotta, o, come sembra preferibile, il profitto da essa tratto.

Inoltre, qualche incertezza sorge dall’ambiguità dell’espressione considerata: tal-volta indicherebbe il profitto, rispetto ai reati di concussione e, con le difficoltà ap-pena illustrate, di peculato; talaltra il prezzo, rispetto ai reati di corruzione e indu-zione indebita. Tale duplicità di significato contribuisce a rafforzare i dubbi riguar-danti l’individuazione del destinatario dell’obbligo di pagamento: non è specificato, infatti, se il pagamento della riparazione pecuniaria debba essere ordinato esclusiva-mente al pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio o anche al privato corrut-tore o “cooperante” nel delitto di induzione indebita. Con riferimento al privato cor-ruttore, la configurabilità di un obbligo di pagamento della riparazione pecuniaria sembrerebbe preclusa dal dato letterale, mancando, in effetti, un espresso richiamo alla disposizione incriminatrice di cui all’art. 321 Cp. Di conseguenza, come nel caso dell'art. 165 co. 4 Cp18, i soli soggetti privati su cui graverebbe siffatto obbligo dovreb-bero essere il cooperante indotto ai sensi dell’art. 319-quater co. 2 Cp e il corruttore nelle varie forme di corruzione internazionale previste dall’art. 322-bis Cp19. Ad ogni modo, anche rispetto a questi ultimi soggetti, e pur volendo superare il dato letterale con riguardo al privato corruttore in generale, ritenendo comunque implicito il rife-rimento a tale figura e considerando l’assenza del richiamo all’art. 321 Cp una (perdo-nabile) svista del legislatore – con un ragionamento certamente pericoloso in quanto ai limiti dell’analogia in malam partem – la formulazione dell’art. 322-quater Cp por-rebbe dei problemi applicativi: resterebbe inesplicabile, infatti, la ragione di imporre al privato il pagamento di una somma corrispondente al prezzo del reato, da lui in precedenza “sborsato”, anziché al profitto ottenuto.

Infine, deve evidenziarsi la (almeno apparentemente) diversa tecnica di individua-zione del beneficiario della riparazione pecuniaria rispetto all’art. 165 co. 4 Cp: come

18 Peraltro sarebbe certamente irragionevole ritenere applicabile l’obbligo di riparazione pecunia-

ria nei confronti del privato che “dà o promette denaro o altra utilità” ai sensi dell’art. 319-quater co. 2 Cp, in virtù del richiamo integrale all’art. 319-quater, e non nei confronti del corruttore.

19 In questo senso, tra i primi commenti v. F. Cingari, op. cit., 803 ss.

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accennato, il nuovo art. 322-quater Cp fa riferimento all’amministrazione di apparte-nenza del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, anziché all’amministrazione “lesa” dalla condotta di quest’ultimo. In concreto le due espres-sioni utilizzate potrebbero coincidere, potendosi ritenere che, generalmente, la con-dotta del pubblico ufficiale, o dell’incaricato di pubblico servizio, che integri uno dei delitti elencati offenda l’amministrazione di cui il soggetto agente esercita le funzioni ai sensi degli artt. 357 e 358 Cp20. Peraltro, uno sforzo volto all'individuazione del medesimo soggetto come beneficiario della riparazione è certamente auspicabile, al-meno finché restino oscure le ragioni della diversa formulazione degli artt. 165 co. 4 e 322-quater Cp.

Rispetto all’individuazione dell’amministrazione beneficiaria, inoltre, può destare qualche perplessità il caso in cui il pubblico ufficiale non risulti inserito entro un rapporto interorganico, come il notaio, pure dotato di tale qualifica in base all’art. l l. 16.2.1913 n. 89. Con specifico riguardo al delitto di corruzione in atti giudiziari, è inol-tre previsto, tanto dall’art. 165 co. 4 Cp, quanto dall’art. 322-quater Cp, che beneficia-ria della riparazione sia, in ogni caso, l'amministrazione della giustizia. Se tale speci-ficazione può sembrare superflua nel caso in cui autore del reato sia il giudice o il pubblico ministero – dal momento che tali soggetti possono ben ritenersi apparte-nenti alla pubblica amministrazione intesa in senso penalistico, cioè comprensiva delle tre sfere organizzative dello Stato, e quindi anche di quella giudiziaria21 – d’altra parte, essa si rivela dirimente, almeno con riguardo all'art. 322-quater Cp che non fa riferimento all'amministrazione "lesa", per le ipotesi in cui aderiscano al pactum sce-leris il testimone o altri soggetti che non appartengono ad un’amministrazione dello Stato, ma ai quali è possibile attribuire atti in grado di influire sull’esito del procedi-mento giudiziario, rilevanti ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 319-ter Cp22.

8. Tanto il pagamento ai sensi dell’art. 165 co. 4, quanto quello prescritto dall’art. 322-quater Cp sono qualificati come “riparazione pecuniaria”. Tale espressione è uti-lizzata dal legislatore unicamente all’art. 12 l. 8.2.1947 n. 48, per designare la somma

20 Per l’individuazione del bene giuridico tutelato dai reati contro la P.A. – inteso ricomprendere

alla luce della Costituzione, l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa – come anche per una ricognizione degli orientamenti riguardanti la qualifica pubblicistica necessaria ad in-dividuare i soggetti attivi dei reati, si rimanda a M. Catenacci (a cura di), Reati contro la Pubblica Amministrazione e contro l’amministrazione della giustizia, in Trattato teorico pratico di diritto pena-le, a cura di F. Palazzo e C. E. Paliero, Torino 2011.

21 Nel senso di far rientrare nella nozione di P.A. ai fini della legge penale non solo la funzione propriamente amministrativa, ma anche quella legislativa e quella giudiziaria, AA. VV., Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Bologna 2009, 93 s..

22 Cfr. Cass. 7.2.2003 n. 6274, in CEDCass, m. 223566, quanto alla qualifica di p.u. del testimone e Cass. 7.5.2009 n. 19143, Di Maio, ivi m. 243666 quanto alla qualificazione ex art. 319-ter Cp della con-dotta del medico della direzione sanitaria di una casa circondariale che, dietro corrispettivo, rilasci all’imputato detenuto un parere sulle sue condizioni di salute attestando patologie inesistenti; tale atto è ritenuto, infatti, un atto sostanzialmente peritale che si inserisce tra gli atti che influiscono nella loro concatenazione sull’emanazione da parte del giudice del provvedimento di regolamenta-zione del regime detentivo.

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che la persona offesa del reato di diffamazione a mezzo stampa può chiedere in ag-giunta al risarcimento del danno; essa è determinata dal giudice sulla base della gra-vità dell’offesa e della diffusione dello stampato. Siffatta conseguenza giuridica del reato è stata accostata ad una pena privata23, in quanto, da una parte destinata alla persona offesa del reato che la richiede, dall’altra commisurata a dei parametri quali-tativi e quantitativi variabili che designano la gravità del fatto e quindi dotata di un carattere afflittivo.

La riparazione pecuniaria contemplata dalla l. n. 69/2015 presenta dei caratteri suoi propri che la distinguono dal “precedente” appena illustrato. Innanzitutto essa risulta vincolata sia nell’an sia nel quantum, dal momento che l’art. 322-quater Cp ne prevede l’applicazione automatica in seguito alla condanna per uno dei reati elencati e che il suo ammontare è delimitato da quanto illegittimamente ricevuto dal pubbli-co ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio; per cui è sottratto alla discrezionali-tà giudiziale e non si pone in diretto rapporto con la gravità del fatto commesso né del danno cagionato. Inoltre, rispetto alla riparazione pecuniaria di cui all’art. 12 l. n. 47/21948, la misura de qua è necessariamente irrogata all’esito del processo penale ed è rivolta a beneficio di una parte offesa dotata di qualifica pubblicistica.

A prescindere dalla formale qualificazione di sanzione “civile” o “penale”24, deve osservarsi come la natura della misura sembri oscillare tra l’aspetto lato sensu ripara-tore della violazione e special-preventivo, che trova espressione nella restituzione dell’arricchimento ingiusto, e quello punitivo, dal momento che, aggiungendosi con effetto moltiplicatore ai meccanismi restitutori delle conseguenze civili del reato e dell’ablazione patrimoniale a mezzo di confisca, la riparazione pecuniaria non può dirsi immune da una vocazione repressiva. Sotto le vesti di obbligo il cui adempimen-to è funzionale all’ottenimento del beneficio ai sensi dell’art. 165 Cp, essa pare desti-nata a fungere da surrogato della sanzione penale principale; in qualità di obbligo in-dissolubilmente legato alla sentenza di condanna, sembra costituire una sanzione ac-cessoria alla pena principale, chiamata a rafforzare l’efficacia della comminatoria edittale.

9. La riforma in commento ha determinato l’inasprimento della repressione, attra-

verso l’innalzamento dei limiti edittali delle pene, anche nei confronti del delitto di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis Cp. Tale intervento è perfettamente coerente con l’aspetto retorico-declamatorio della riforma, che mira a mostrare all’opinione pubblica la serietà della lotta ingaggiata dalle istituzioni contro le forme di criminalità più gravi e che destano maggiore allarme sociale. Quale linguaggio più efficace, nella sua immediatezza, a trasmettere un simile messaggio, se non quello

23 Così è stata definita nella Relazione della sottocommissione ad hoc, in Documenti, Assemblea

costituente, doc. 15/a, 4-5. Per un approfondimento del dibattito sulle pene private, specialmente nella prospettiva di una loro valorizzazione in favore dell’attribuzione al diritto penale del ruolo di extrema ratio, v. F. Bricola, La riscoperta delle “pene private” nell’ottica del penalista, in FI 1985, 332 ss.

24 Sottolinea il problema della distinzione tra “sanzioni civili” e “sanzioni penali” delle conseguen-ze giuridiche del reato, a seconda della funzione concretamente svolta e del contesto nel quale sono applicate, V. Zeno Zencovic, voce Sanzioni civili conseguenti al reato, in DigDPen, Torino 1997, XIII, 1 ss..

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“aritmetico” delle pene? Non a caso, la pena della reclusione prevista per le ipotesi di reato contenute nell’art. 416-bis Cp ha subito già due incrementi, rispetto alla formu-lazione originaria del 1982, ad opera di interventi legislativi ispirati a logiche securita-rie e di forte impatto mediatico25.

Con l’art. 5 l. n. 69/2015, la nuova cornice edittale della pena prevista per la mera partecipazione diventa da dieci a quindici anni di reclusione, anziché da sette a dodi-ci; quella per l’associato che rivesta le funzioni qualificate di promotore, direttore e organizzatore da dodici a diciotto anni, mentre la precedente oscillava tra i nove e i quindici. L’incremento riguarda anche l’ipotesi di associazione armata di cui all’art. 416-bis co. 3 Cp: in tal caso il semplice associato sarà punito con la reclusione da do-dici a venti anni, mentre colui che riveste un ruolo qualificato ai sensi dell’art. 416-bis co. 2 Cp con la reclusione da quindici a ventisei anni.

Inutile precisare che gli aumenti così congegnati si riverbereranno sul calcolo del tempo necessario alla maturazione della prescrizione, determinandone una certa di-latazione. In altri termini, risulterà ancora più improbabile che il delitto di associa-zione di tipo mafioso, già assoggettato al regime del raddoppio del termine ordinario corrispondente al limite edittale massimo di cui all’art. 157 co. 6 Cp, si estingua per prescrizione.

Aldilà di tale conseguenza “automatica” – certamente voluta da un legislatore an-cora incapace di concepire un intervento organico sull’istituto della prescrizione – pare utile soffermarsi sull’opportunità politico-criminale della modifica e sulla sua eventuale necessità in chiave sistematica. Da una parte, invero, lo spirito draconiano da essa incarnato sembrerebbe soddisfare l’ingenua convinzione secondo cui è suffi-ciente operare un incremento sanzionatorio per aumentare il livello di efficacia della repressione penale. Peraltro, la duplice esigenza, preventiva e repressiva, nei confron-ti della forma più allarmante di criminalità organizzata, almeno per come è concepita nel nostro ordinamento, necessiterebbe di ben altre forme di intervento – cui, in que-sta sede, è possibile solo accennare – a partire da un ripensamento del modello di as-sociazione di cui all’art. 416-bis Cp, e, in particolare, da una “ridescrizione” del c.d. metodo mafioso26, i cui precipui caratteri non sempre sono facilmente adattabili alle nuove mafie o al mutamento degli interessi predatori e del modus operandi della vec-chia mafia 27.

D’altra parte, sul piano sistematico, deve ricordarsi che, nelle proposte di riforma elaborate da una recente Commissione governativa28, l’innalzamento delle pene pre-viste per l’associazione di tipo mafioso sia stato prospettato addirittura come neces-sario, alla stregua del principio di ragionevolezza, per eguagliare il trattamento san-zionatorio applicabile all’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ritenen-

25 Ci si riferisce al primo intervento operato dall’art. 1, co. 2, lett. a, l. 5.12.2005 n. 251 e al secondo

ad opera dell’art. 1, co. 1, lett. b bis, n. 1, d.l. 23.5.2008, n. 92, conv. in l. 24.7.2008, n. 125. 26 F.M. Iacoviello, Il concorso esterno in associazione mafiosa. Opinioni a confronto, in Criminalia

2008, 278 s.. 27 Cfr. C. Visconti, Mafie straniere e ‘ndrangheta al nord. Una sfida alla tenuta dell’art. 416-bis?, in

www.penalecontemporaneo.it, 22.9.2014. 28 Ci si riferisce al rapporto della Commissione Garofoli, Per una moderna politica antimafia, 2014,

124 ss., pubblicato in www.governo.it.

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dosi equiparabile il disvalore sotteso alle due fattispecie associative. All’esito della modifica, le pene contemplate dall’art. 74 T.U.Stup risultano comunque più elevate, dato che il minimo edittale risulta pari o superiore, a seconda che si tratti di parteci-pazione semplice o qualificata, a quello previsto per le corrispondenti condotte di cui all’art. 416-bis Cp, e il limite massimo, non essendo fissato, è in tutte le ipotesi pari a 24 anni di reclusione ex art. 23 Cp. Ad ogni modo, se è vero che, in un’ottica compa-rativa, il reato di cui all’art. 416-bis Cp non dovrebbe essere considerato di gravità in-feriore rispetto a quello di cui all’art. 74 T.U.Stup, può sensatamente dubitarsi dell’opportunità di effettuare una parificazione verso l’alto dei rispettivi trattamenti sanzionatori, soprattutto alla luce della tendenza giurisprudenziale a configurare in modo pressoché automatico il concorso di reati a carico del partecipe ad un’associazione di tipo mafioso che svolga attività di spaccio di stupefacenti, o ad un’associazione dedita al traffico di stupefacenti affiliata ad una “holding” mafiosa29.

Pur nella consapevolezza della limitatezza della modifiche apportate della l. n. 69/2015, non ci si può esimere dal mostrarne talune ripercussioni sul piano applicati-vo. In particolare, l'inasprimento delle pene stride con i tentativi della giurisprudenza di “attualizzare” la fattispecie di cui all’art. 416-bis Cp, attraverso la “massimizzazio-ne” delle sue potenzialità interpretative, per applicarla a forme di criminalità orga-nizzata ancora di incerta definizione e con riguardo alle quali l'utilizzo del metodo mafioso per come tradizionalmente inteso è ancora dibattuto; in primis, quella, re-centemente assurta agli onori della cronaca, risultante dagli intrecci tra le reti della criminalità dei colletti bianchi e la criminalità violenta, propiziati dal comune ricorso alla forza di intimidazione e dalla comune finalità di trarre ingiusti profitti dalla de-predazione delle risorse pubbliche30. L’introduzione dei nuovi limiti edittali, invero, dovrebbe indurre una maggiore cautela rispetto all'estensione dell'ambito applicativo dell'art. 416-bis Cp a tali fenomeni.

L’intervento della l. n. 69/2015 sembra dunque limitarsi agli aspetti “di facciata” della repressione della criminalità di tipo mafioso. Dal punto di vista pratico-applicativo, è probabile che i giudici, nelle onorate vesti di attori impegnati in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, non disdegneranno l’applicazione di pene più elevate, con il risultato di aggravare trattamenti sanziona-tori già draconiani. D’altra parte, non sembra che dalla modifica possa derivare un ef-fettivo rinvigorimento dell’efficacia di prevenzione generale della disposizione, oggi prevalentemente affidata al sistema delle misure patrimoniali.

29 Cfr. E. Mezzetti, Il concorso (formale?) tra fattispecie associative, in Studi in onore di Franco

Coppi, Torino 2011, vol. I, 227 ss., che sottolinea i rischi di violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Tra le pronunce giurisprudenziali più significative v. Cass. 29.1.2008, De Angioletto, in CP 2008, 4295, con nota di G. Amato, Configurabilità del concorso tra associazione finalizzata al traf-fico di stupefacenti e associazione di tipo mafioso; Cass. S. U. 25.9.2008 n. 1149; Cass. 23.10.2009, n. 4651, in CP 2010, 3756; Cass. 21.1.2010, n. 17702, in CP 2011, 581.

30 Sulla recente applicazione dell’art. 416-bis Cp alla mafia romana e, più in generale, alle c.d. nuo-ve mafie v. C. Visconti, A Roma una mafia c’è. E si vede…, e Id., I giudici di legittimità ancora alle prese con la "mafia silente" al nord: dicono di pensarla allo stesso modo, ma non è così, pubblicati in www.penalecontemporaneo.it rispettivamente il 15.6.2015 e il 5.10.2015.

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Altri sembrerebbero gli interventi necessari in questo ambito, a partire dalla razio-nalizzazione del panorama normativo dei reati associativi, ma essi richiederebbero una più ampia riflessione. Nell’attesa della loro elaborazione, non può certo che ma-nifestarsi scarso entusiasmo per dei “surrogati”, astrattamente poco rilevanti in una prospettiva funzionale, ed eppure, a livello applicativo, non del tutto innocui.

10. L’art. 8 della legge n. 69/2015 contiene una serie di modifiche alla legge anticor-ruzione del 2012, la n. 190 del 2012. In primo luogo, si interviene sull’art. 1, co. 2 della legge n. 190/2012 ed in particolare sui compiti attribuiti alla Commissione per la valu-tazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 13 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, che opera quale Autorità nazionale anticorruzione, aggiungendo una lettera f) in base alla quale l’Autorità esercita la vigilanza ed il con-trollo sui contratti previsti dagli artt. 17 ss. del d.lgs. 163/06 (c.d. «Codice degli appalti pubblici»). Il riferimento è, in particolare, ai c.d. «contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza».

Com’è noto, ai sensi dell’art. 17 del Codice degli appalti, le amministrazioni, con atto motivato, possono evitare di indire gare con un bando pubblico e assegnare l’appalto invitando almeno 5 operatori in possesso del N.O.S. (nulla osta di sicurezza) se «la negoziazione con più di un operatore economico sia compatibile con le esigenze di segretezza e sicurezza». In caso contrario, l’assegnazione avviene su base fiduciaria.

Si tratta di una profonda deroga alla regola del bando ad evidenza pubblica, che ha dato logo a numerose inchieste legate ad abusi ed aggiramenti della normativa prin-cipale prevista dal d.lgs. 163/06. Per questo, l’art. 8 in commento assegna all’A.N.A. il compito di vigilare e controllare tali contratti. In questo modo, l’Autorità dovrebbe spingersi sino a controllare non soltanto se il vincolo del segreto sia stato corretta-mente posto, ma altresì le modalità con le quali lo stesso è stato posto.

Del resto, tale modifica si inserisce nel quadro di un impulso riformatore volto ad intervenire drasticamente sull’art. 17 e che è sfociato in un d.d.l. già approvato dalla Camera, nel quale si prevede la sottoposizione di questi contratti al controllo preven-tivo della Corte dei Conti (e non solo successivo, come accade attualmente) e si stabi-liscono criteri più rigidi per la motivazione della secretazione, dal momento che l’amministrazione dovrà dare conto in modo puntuale delle circostanze che hanno reso necessario il ricorso al provvedimento derogatorio, nonché la congruità dei tem-pi, dei costi e delle modalità realizzative degli appalti segretati.

In particolare, il d.d.l. prevede la necessità che l’amministrazione giustifichi in modo dettagliato la scelta di negoziare l’appalto con meno di cinque operatori eco-nomici e soprattutto di negoziarlo con una sola impresa, quando la negoziazione con più di un operatore sia stata ritenuta incompatibile con le esigenze di segretezza e si-curezza.

L’art. 8, co. 2 della legge n. 69/2015 interviene anche sull’art. 1, co. 32 della legge n. 190 del 2012, con una norma in verità di mero completamento, che poco aggiunge dal punto di vista sostanziale, se non un maggiore coordinamento con i poteri della Commissione sopra citata ed i cui poteri sono individuati dall’art. 2 della legge. In particolare, il comma 32 prevede che, nella fase di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, le stazioni appaltanti debbano pubblicare

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sui propri siti web istituzionali «la struttura proponente, l’oggetto del bando, l’elenco degli operatori invitati a presentare offerte, l’aggiudicatario, l’importo di aggiudicazio-ne, i tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura, l’importo delle somme li-quidate».

La novella si preoccupa di aggiungere che tali informazioni, oltre che essere pub-blicate sui siti web delle stazioni appaltanti, debbano essere ulteriormente trasmesse, ogni sei mesi, alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche. Si tratta chiaramente di un rafforzamento ulteriore della trasparenza, così importante nella fase della selezione del contraente, che è quella nella quale il rischio di abusi è certamente più elevato.

L’ultimo comma, infine, stabilisce che nelle controversie concernenti le materie di cui al comma 1, lettera e) del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. «Codice del processo amministrativo») il giudice amministrativo deve trasmettere alla Commissione suin-dicata ogni informazione o notizia rilevante emersa nel corso del giudizio che evi-denzi condotte o atti contrari alla trasparenza .

L’art. 133 del Codice del processo amministrativo elenca le materie attualmente de-volute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, vale a dire quei casi in cui il giudice amministrativo conosce, in relazione a determinate materie indicate, seppure non tassativamente (arg. ex art. 133, co. 1 d.lgs. n. 104/2010), non solamente degli interessi legittimi, ma anche dei diritti soggettivi, la cui tutela sarebbe, sulla ba-se del tradizionale riparto fondato sul criterio della causa petendi, riservata al giudice ordinario.31

In particolare, il comma 1 dell’art. 133, alla lettera e) prevede, tra le materie affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quella delle controversie «re-lative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normati-va comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giuri-sdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annulla-mento dell’aggiudicazione ed alle sanzioni alternative».

La novella in commento, dunque, stabilisce che laddove nel corso del giudizio amministrativo avente ad oggetto tale materia emerga, anche in esito ad una somma-ria valutazione, una condotta o atto non trasparente, il giudice debba trasmettere l’informazione alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche.

Si tratta, anche in questo caso, di un intervento ulteriore volto a rafforzare gli strumenti che l’ordinamento predispone per rendere sempre più trasparente il pro-cedimento di evidenza pubblica finalizzato all’aggiudicazione degli appalti e che se-gue quanto già era stato disposto nel d.l. 24 giugno 2014, n. 90, laddove si era previsto espressamente che dovese essere l'Avvocatura dello Stato a trasmettere eventuali atti, nell'ambito di procedure aventi ad oggetto appalti, dai quali emergessero elementi tali da richiedere un intervento dell'Autorità nazionale anticorruzione.

31 Si veda, per tutti, E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2011, 737 ss.

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E’ chiaro che il giudice amministrativo, nell’affrontare le vicende relative al ricorso amministrativo che gli è sottoposto, ha una cognizione tale da consentirgli di indivi-duare se vi sono eventuali irregolarità che meritino di essere segnalate alla Commis-sione ed in tal modo può attivare lo strumento ora introdotto dalla legge n. 69/2015.