Leader dell’opposizione bielorussa arrestata al confine ucraino...Il Vangelo della XXIV Domenica...

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 205 (48.529) Città del Vaticano mercoledì 9 settembre 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!z!}!"!;! la buona notizia Il Vangelo della XXIV Domenica del Tempo ordinario (Matteo 18, 21-35) «Un esercito di perdonati» Continua lo scontro dopo il contestato voto del 9 agosto Leader dell’opposizione bielorussa arrestata al confine ucraino MINSK, 8. La situazione in Bielorus- sia si fa sempre più tesa. Secondo i media locali Maria Kolesnikova, esponente di spicco del Presidium del Consiglio di coordinamento dell’opposizione bielorussa, è stata arrestata questa mattina al confine con l’Ucraina. La dinamica dei fatti è molto complessa. Stando a quanto dichia- rato dalle autorità bielorusse, Kole- snikova non avrebbe attraversato il confine con l’Ucraina perché «spinta fuori» dalla Bmw su cui viaggiava con altri due dissidenti, Ivan Krav- tsov e Anton Rodnenkov, che hanno invece raggiunto il territorio ucraino. Il portavoce del Comitato statale di frontiera, Anton Bychkovsky, ha di- chiarato che, nonostante auto e viag- giatori avessero già superato i con- trolli delle guardie di frontiera bielo- russe, l’auto avrebbe improvvisamen- te accelerato e Kolesnikova si sareb- be «trovata fuori dal veicolo». Il mezzo poi avrebbe superato anche la dogana ucraina con a bordo sol- tanto Kravtsov e Rodnenkov. Bychkovsky ha poi aggiunto che non ci sono minacce alla salute di Kolesnikova, al momento detenuta alla frontiera: «Kolesnikova sta be- ne», ha detto citato dalla Tass. Dei tre dissidenti si era persa ogni traccia nella giornata di ieri. Secon- do alcune testimonianze rilasciate a Interfax da fonti vicine all’opposi- zione sembrerebbe che Kolesnikova ieri sia stata costretta a entrare in un minibus scuro da uomini vestiti in abiti civili neri e a volto coperto. Secondo tali fonti la vicenda po- trebbe essere stata inscenata dai ser- vizi segreti di Minsk per creare ulte- riore tensione. «Né Anton Rodnen- kov, né Ivan Kravtsov, né Maria Ko- lesnikova avevano intenzione di an- dare all’estero. Anzi, erano categori- camente contrari. Sono finiti al con- fine dopo la loro detenzione. Proba- bilmente sono stati portati lì dal centro di detenzione», ha dichiarato una fonte a Interfax. Mosca, intanto, è intervenuta sulla vicenda affermando che «non ci so- no prigionieri politici in Bielorus- sia». Lo ha detto il portavoce del presidente Putin, Dmitri Peskov. Com’è noto, la crisi in Bielorussia è scoppiata dopo la vittoria di Luke- shenko alle elezioni del 9 agosto. Elezioni che sono state contestate dall’opposizione e da gran parte del- la comunità internazionale. Non partono i colloqui tra Grecia e Turchia Tensioni nel Mediterraneo Nato in difficoltà BRUXELLES, 8. Grecia e Turchia, paesi membri della Nato, sono al centro di un’escalation delle tensio- ni sulle risorse energetiche nel Me- diterraneo, con un moltiplicarsi di manifestazioni di forza e incidenti che destano preoccupazione in Eu- ropa. La Turchia sta per dare il via a cinque giorni di esercitazioni mi- litari nella parte turca di Cipro, mentre quaranta carri armati prove- nienti dalla Siria sono stati posizio- nati al confine con la Grecia. È la prima volta che tra due paesi allea- ti della Nato si registra una simile tensione. Come rilevano molti analisti, questa vicenda mette in mostra al- cune debolezze della Nato. Nei giorni scorsi il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stol- tenberg, aveva proposto colloqui indiretti. Purtroppo, a oggi, nono- stante Stoltenberg abbia incontrato i rappresentanti dei due paesi, non sono state avviate negoziazioni e l’escalation sembra continuare. «Da sempre, chi non è riuscito a scon- figgere la Turchia sul piano diplo- matico o militare, si è orientato verso quello economico. Siamo de- terminati a non abbandonare le ric- chezze e le risorse della Turchia a quelli che si nutrono delle crisi e del caos» ha detto ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. La contesa tra Grecia e Turchia non è di facile risoluzione. Per quanto nel Mar Egeo i limiti co- stieri dei due paesi siano ben defi- niti, tutto è reso più difficile dalla presenza di decine di isole apparte- nenti ad Atene, che danno diritto ai greci di considerare ampie por- zioni di mare come appartenenti alla propria zona economica esclu- siva (Zee), che può estendersi fino a 200 miglia nautiche. La Conven- zione Onu sulla legge del mare dà ragione ai greci, ma i turchi la ri- fiutano non avendola mai firmata e sostenendo che ha valore solo per chi vi aderisce. A far scoppiare le recenti tensio- ni è stata la decisione turca di av- viare esplorazioni energetiche. An- kara ha anche annunciato esercita- zioni militari. La Grecia ha rispo- sto inviando navi. Esercitazioni militari turche nel Mediterraneo orientale (Afp) Afrobarometro: bel tempo si spera GIULIO ALBANESE A PAGINA 2 LABORATORIO DOPO LA PANDEMIA Riprendere il rapporto interrotto con la famiglia VINCENZO BASSO A PAGINA 3 Il custode di Terra Santa sulla colletta del 13 settembre Questione di sopravvivenza ROBERTO CETERA A PAGINA 7 Il libro di Carlo Petrini D ialogando con il Papa sull’ecologia integrale MARCO BELLIZI A PAGINA 8 ALLINTERNO Otto condanne per l’assassinio di Khashoggi Il cordoglio del Pontefice per la morte del cardinale Marian Jaworski RIAD, 8. Cinque persone sono state condannate in via definitiva a 20 anni di prigione, mentre le pene per altri tre imputati variano dai 7 ai 10 anni. È quanto ha de- ciso ieri il tribunale di Riad, se- condo quanto riferisce l’emittente Al Arabiya che cita la procura lo- cale, nei confronti degli otto im- putati per l’omicidio del giornali- sta dissidente saudita, Jamal Kha- shoggi, ucciso il 2 ottobre 2018 dopo essersi recato nel consolato del Regno a Istanbul. Dalle Na- zioni Unite, però, la sentenza non viene accolta positivamente: «Questi verdetti non hanno alcu- na legittimità legale o morale», ha commentato la responsabile per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Agnes Cal- lamard, che su Twitter parla di «parodia di giustizia». Le indagi- ni e il processo sono stati portati avanti nonostante i resti di Jamal Khashoggi non siano mai stati ri- trovati. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pasto- rale della Diocesi di Subotica (Serbia), presentata da Sua Eccellenza Monsignor János Pénzes. Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nomina- to Vescovo di Subotica (Ser- bia) il Reverendo Monsigno- re Slavko Večerin, finora Vi- cario Generale di Subotica e Parroco a Sombor. Il Santo Padre ha nomina- to Vescovo dell’Eparchia di Križevci per i fedeli di rito bizantino (Croazia) Monsi- gnor Milan Stipić, finora Amministratore Apostolico sede vacante della medesima circoscrizione. Appresa la notizia della morte del cardinale Marian Jaworski, arcivescovo emerito di Lviv dei Latini (Ucraina) — avvenuta sabato 5 settembre — Papa Francesco ha fatto pervenire all’arcivescovo Marek Jądraszewski, metropolita di Kraków (Polonia), il messaggio di cordoglio che pubblichiamo di seguito nella versione italiana. Con profondo dolore ho appreso la notizia della morte di Sua Em.za Rev.ma, il Cardinale Marian Jawor- ski. Mi unisco a Vostra Eccellenza nella preghiera di suffragio, a tutti i fedeli della Chiesa in Polonia e in Ucraina, in particolare nell’Arcidio- cesi di Cracovia, nella Diocesi di Za- mość-Lubaczów e nell’Arcidiocesi di Lviv. Ringrazio il Signore per la vita e il ministero apostolico di questo fedele testimone del Vangelo. Con gratitudine ricordo il suo im- pegno accademico, come apprezzato uomo di scienza e professore di teo- logia e filosofia agli Atenei di Varsa- via, di Cracovia e di Lviv; come De- cano e primo Rettore della Pontifi- cia Accademia di Teologia di Craco- via. San Giovanni Paolo II spesso poneva l’accento sul suo particolare e prezioso contributo allo sviluppo scientifico. «Mihi vivere Christus est», questo motto episcopale lo ha accompagna- to lungo tutta la vita e ha definito il suo modo di pensare, di valutare, di compiere scelte, di prendere decisio- ni e definire le prospettive di diverse ricerche. È stato il cordiale amico di San Giovanni Paolo II. Lo sosteneva nel- le fatiche del ministero episcopale e papale. Egli anche ha somministrato al Papa morente il sacramento dell’Unzione. Come filosofo e teolo- go ha collaborato strettamente con il Papa Benedetto XVI. Personalmente mi unisce a lui la data del Concisto- ro dell’anno 2001, quando entrambi siamo stati creati cardinali. Nei cuori di coloro che lo hanno conosciuto, è rimasto come uomo estremamente giusto, sincero, corag- gioso che amava la Chiesa. Ha la- sciato una degna testimonianza di zelo sacerdotale, di erudizione, di fe- deltà al Vangelo e di responsabilità per la comunità dei credenti. Gesù Cristo Misericordioso, al quale il Cardinale Marian, di luminosa me- moria, ha dedicato la sua vita, lo ac- colga nella sua gloria. A Vostra Eccellenza, agli Eminen- tissimi Signori Cardinali, presenti alla liturgia esequiale, ai Vescovi, alla Fa- miglia del Defunto, al Popolo di Dio della Chiesa in Polonia e in Ucraina e a tutti i partecipanti a quest’ultimo congedo, di cuore invio la mia bene- dizione: nel nome del Padre, del Fi- glio e dello Spirito Santo. Dal Vaticano, 7 settembre 2020 FRANCESCO di CARLO DE MARCHI «S ignore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18, 21). Dietro questa domanda che Pietro rivolge a Gesù c’è un dubbio che anche ognuno di noi porta nel cuore. Ma è davvero giusto perdonare sem- pre? A volte lo esprimiamo dicendo: “io perdono ma non dimentico”, che mostra quanto ci risulta difficile accettare la rivoluzione cristiana. Vorremmo arginare in qualche modo il comandamento dell’amore e del perdono, vorremmo una giustizia un po’ più rigorosa , che almeno qualche volta esiga di rispondere al male con il male. Il Signore spiega allora a Pietro (e a ognuno di noi) co- me andrebbe a finire se Dio applicasse alla lettera quella “giustizia rigorosa” che ingenuamente auspichiamo. Lo fa raccontando di un re che «volle regolare i conti con i suoi servi» (Mt 18, 23), uno dei quali risulta avere un debito di diecimila talenti (gli esperti spiegano che la somma equi- vale allo stipendio di molti milioni di giornate di lavoro). Il messaggio è chiaro: nessuno di noi è in regola nel suo rapporto con Dio: per dirla con Papa Francesco, «siamo un esercito di perdonati». E neppure la giustizia nelle re- lazioni tra gli uomini è il risultato di un puntuale regola- mento di conti, dal quale in realtà nessuno uscirebbe vivo. Tuttavia il perdono non è un’amnistia generale, un condo- no di tutte le nostre azioni abusive, come se il Signore chiudesse un occhio e si impegnasse a dimenticare . Quello che Dio fa e che chiede a ogni cristiano di fare è proprio il contrario: guardare il male fatto da un altro con occhi buoni, con compassione, con misericordia. Non si tratta di dimenticare il passato, ma di trasfor- marlo. È quanto succede in un’indimenticabile scena de La commedia umana di William Saroyan. Un giovane entra in un locale per rapinarlo, ma l’anziano negoziante, che conosce il ragazzo e sua madre, lo sconcerta porgendogli i soldi contenuti nella cassa: «Prendili e salta su un treno per tornare a casa. Non denuncerò il furto. Li rimetterò io, di tasca mia. Sono circa 75 dollari… Tua madre ti aspetta. Questo denaro è un regalo che faccio a lei. Non sei un ladro se lo prendi. Prendilo, metti via quella rivol- tella e va’ a casa». Perdonare significa regalare a una per- sona quello che mi ha rubato. Questo dono trasforma il furto, cambiando in qualche modo il passato e recuperan- do, anzi redimendo ciò che era perduto. La giustizia evangelica che sconcerta Pietro e ognuno di noi è l’unico modo di trasformare il mondo e le relazioni, che sono quotidianamente minacciate e ferite dal torto, dal sopruso e dalla violenza. «Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono», insegna san Giovanni Paolo II. La giustizia evangelica, che è la via della pace nelle relazioni, è il perdono. Prima di pensare alle grandi ingiustizie sociali vale la pena guardare a quello che succede dentro le mura di casa nostra: «La famiglia è una grande palestra di allenamento al dono e al perdono reciproco, senza il quale nessun amore può durare a lungo» (Papa Francesco). Senza per- dono vicendevole non può durare neanche la famiglia di famiglie che è la Chiesa. Si tratta di imparare a guardare con occhi pazienti e buoni le mie sorelle e i miei fratelli, e ogni famiglia e istituzione della Chiesa, senza stupirmi delle loro debolezze né tantomeno scandalizzarmi degli eventuali sbagli oggettivi: «La santità nella Chiesa comin- cia col sopportare e conduce al sorreggere» (Ratzinger). Guardando con occhi di misericordia si impara a vedere nella debolezza altrui, anche quando genera ingiustizia, una chiamata alla comprensione e alla pazienza. Non limi- tarsi a sopportare più o meno stoicamente ma accorgersi che dietro a ogni sbaglio si nasconde una richiesta di aiu- to. Ognuno di noi ha bisogno di essere sorretto quando fa- tica a stare in piedi e di essere guardato con affetto e com- prensione quando cade, come capita tutti i giorni più d’una volta. «Non ti dico di perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18, 22). In questa ri- chiesta di Gesù c’è anche la rassicurazione che il perdono quotidiano è sempre possibile. Kolesnikova, leader dell’opposizione, durante una manifestazione a Minsk (Ansa)

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POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 205 (48.529) Città del Vaticano mercoledì 9 settembre 2020

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izia Il Vangelo della XXIV Domenica del Tempo ordinario (Matteo 18, 21-35)

«Un esercito di perdonati»

Continua lo scontro dopo il contestato voto del 9 agosto

Leader dell’opposizione bielorussaarrestata al confine ucraino

MINSK, 8. La situazione in Bielorus-sia si fa sempre più tesa. Secondo imedia locali Maria Kolesnikova,esponente di spicco del Presidiumdel Consiglio di coordinamentodell’opposizione bielorussa, è stataarrestata questa mattina al confinecon l’Ucraina.

La dinamica dei fatti è moltocomplessa. Stando a quanto dichia-rato dalle autorità bielorusse, Kole-snikova non avrebbe attraversato ilconfine con l’Ucraina perché «spintafuori» dalla Bmw su cui viaggiava

con altri due dissidenti, Ivan Krav-tsov e Anton Rodnenkov, che hannoinvece raggiunto il territorio ucraino.Il portavoce del Comitato statale difrontiera, Anton Bychkovsky, ha di-chiarato che, nonostante auto e viag-giatori avessero già superato i con-trolli delle guardie di frontiera bielo-

russe, l’auto avrebbe improvvisamen-te accelerato e Kolesnikova si sareb-be «trovata fuori dal veicolo». Ilmezzo poi avrebbe superato anchela dogana ucraina con a bordo sol-tanto Kravtsov e Rodnenkov.Bychkovsky ha poi aggiunto chenon ci sono minacce alla salute di

Kolesnikova, al momento detenutaalla frontiera: «Kolesnikova sta be-ne», ha detto citato dalla Tass.

Dei tre dissidenti si era persa ognitraccia nella giornata di ieri. Secon-do alcune testimonianze rilasciate aInterfax da fonti vicine all’opp osi-zione sembrerebbe che Kolesnikovaieri sia stata costretta a entrare in unminibus scuro da uomini vestiti inabiti civili neri e a volto coperto.

Secondo tali fonti la vicenda po-trebbe essere stata inscenata dai ser-vizi segreti di Minsk per creare ulte-riore tensione. «Né Anton Rodnen-kov, né Ivan Kravtsov, né Maria Ko-lesnikova avevano intenzione di an-dare all’estero. Anzi, erano categori-camente contrari. Sono finiti al con-fine dopo la loro detenzione. Proba-bilmente sono stati portati lì dalcentro di detenzione», ha dichiaratouna fonte a Interfax.

Mosca, intanto, è intervenuta sullavicenda affermando che «non ci so-no prigionieri politici in Bielorus-sia». Lo ha detto il portavoce delpresidente Putin, Dmitri Peskov.

Com’è noto, la crisi in Bielorussiaè scoppiata dopo la vittoria di Luke-shenko alle elezioni del 9 agosto.Elezioni che sono state contestatedall’opposizione e da gran parte del-la comunità internazionale.

Non partono i colloqui tra Grecia e Turchia

Tensioni nel MediterraneoNato in difficoltà

BRUXELLES, 8. Grecia e Turchia,paesi membri della Nato, sono alcentro di un’escalation delle tensio-ni sulle risorse energetiche nel Me-diterraneo, con un moltiplicarsi dimanifestazioni di forza e incidentiche destano preoccupazione in Eu-ropa. La Turchia sta per dare il viaa cinque giorni di esercitazioni mi-litari nella parte turca di Cipro,mentre quaranta carri armati prove-nienti dalla Siria sono stati posizio-nati al confine con la Grecia. È laprima volta che tra due paesi allea-ti della Nato si registra una similetensione.

Come rilevano molti analisti,questa vicenda mette in mostra al-cune debolezze della Nato. Neigiorni scorsi il segretario generaledell’Alleanza atlantica, Jens Stol-tenberg, aveva proposto colloquiindiretti. Purtroppo, a oggi, nono-stante Stoltenberg abbia incontratoi rappresentanti dei due paesi, nonsono state avviate negoziazioni el’escalation sembra continuare. «D asempre, chi non è riuscito a scon-figgere la Turchia sul piano diplo-matico o militare, si è orientatoverso quello economico. Siamo de-terminati a non abbandonare le ric-chezze e le risorse della Turchia aquelli che si nutrono delle crisi edel caos» ha detto ieri il presidenteturco Recep Tayyip Erdoğan.

La contesa tra Grecia e Turchianon è di facile risoluzione. Perquanto nel Mar Egeo i limiti co-stieri dei due paesi siano ben defi-niti, tutto è reso più difficile dallapresenza di decine di isole apparte-nenti ad Atene, che danno dirittoai greci di considerare ampie por-zioni di mare come appartenentialla propria zona economica esclu-siva (Zee), che può estendersi finoa 200 miglia nautiche. La Conven-

zione Onu sulla legge del mare dàragione ai greci, ma i turchi la ri-fiutano non avendola mai firmata esostenendo che ha valore solo perchi vi aderisce.

A far scoppiare le recenti tensio-ni è stata la decisione turca di av-viare esplorazioni energetiche. An-kara ha anche annunciato esercita-zioni militari. La Grecia ha rispo-sto inviando navi.

Esercitazioni militari turche nel Mediterraneo orientale (Afp)

A f ro b a ro m e t ro :bel tempo si spera

GIULIO ALBANESE A PA G I N A 2

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

R i p re n d e reil rapporto interrottocon la famiglia

VINCENZO BASSO A PA G I N A 3

Il custode di Terra Santasulla colletta del 13 settembre

Questionedi sopravvivenza

ROBERTO CETERA A PA G I N A 7

Il libro di Carlo Petrini

D ialogandocon il Papasull’ecologia integrale

MARCO BELLIZI A PA G I N A 8

ALL’INTERNO

O ttocondanne

per l’assassiniodi Khashoggi

Il cordoglio del Pontefice per la mortedel cardinale Marian Jaworski

RIAD, 8. Cinque persone sonostate condannate in via definitivaa 20 anni di prigione, mentre lepene per altri tre imputati varianodai 7 ai 10 anni. È quanto ha de-ciso ieri il tribunale di Riad, se-condo quanto riferisce l’emittenteAl Arabiya che cita la procura lo-cale, nei confronti degli otto im-putati per l’omicidio del giornali-sta dissidente saudita, Jamal Kha-shoggi, ucciso il 2 ottobre 2018dopo essersi recato nel consolatodel Regno a Istanbul. Dalle Na-zioni Unite, però, la sentenza nonviene accolta positivamente:«Questi verdetti non hanno alcu-na legittimità legale o morale»,ha commentato la responsabileper le esecuzioni extragiudiziali,sommarie o arbitrarie, Agnes Cal-lamard, che su Twitter parla di«parodia di giustizia». Le indagi-ni e il processo sono stati portatiavanti nonostante i resti di JamalKhashoggi non siano mai stati ri-t ro v a t i .

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha accettatola rinuncia al governo pasto-rale della Diocesi di Subotica(Serbia), presentata da SuaEccellenza Monsignor JánosPénzes.

Provviste di ChieseIl Santo Padre ha nomina-

to Vescovo di Subotica (Ser-bia) il Reverendo Monsigno-re Slavko Večerin, finora Vi-cario Generale di Subotica eParroco a Sombor.

Il Santo Padre ha nomina-to Vescovo dell’Eparchia diKriževci per i fedeli di ritobizantino (Croazia) Monsi-gnor Milan Stipić, finoraAmministratore Apostolicosede vacante della medesimac i rc o s c r i z i o n e .

Appresa la notizia della mortedel cardinale Marian Jaworski,arcivescovo emerito di Lviv dei Latini(Ucraina) — avvenuta sabato 5settembre — Papa Francesco ha fattopervenire all’arcivescovo MarekJądraszewski, metropolita di Kraków(Polonia), il messaggio di cordoglio chepubblichiamo di seguito nella versioneitaliana.

Con profondo dolore ho appreso lanotizia della morte di Sua Em.zaRev.ma, il Cardinale Marian Jawor-ski. Mi unisco a Vostra Eccellenzanella preghiera di suffragio, a tutti ifedeli della Chiesa in Polonia e inUcraina, in particolare nell’A rc i d i o -cesi di Cracovia, nella Diocesi di Za-mość-Lubaczów e nell’Arcidiocesi diLviv. Ringrazio il Signore per la vitae il ministero apostolico di questofedele testimone del Vangelo.

Con gratitudine ricordo il suo im-pegno accademico, come apprezzatouomo di scienza e professore di teo-logia e filosofia agli Atenei di Varsa-

via, di Cracovia e di Lviv; come De-cano e primo Rettore della Pontifi-cia Accademia di Teologia di Craco-via. San Giovanni Paolo II sp essoponeva l’accento sul suo particolaree prezioso contributo allo svilupposcientifico.

«Mihi vivere Christus est», questomotto episcopale lo ha accompagna-to lungo tutta la vita e ha definito ilsuo modo di pensare, di valutare, dicompiere scelte, di prendere decisio-ni e definire le prospettive di diverser i c e rc h e .

È stato il cordiale amico di SanGiovanni Paolo II. Lo sosteneva nel-le fatiche del ministero episcopale epapale. Egli anche ha somministratoal Papa morente il sacramentodell’Unzione. Come filosofo e teolo-go ha collaborato strettamente con ilPapa Benedetto XVI. Personalmentemi unisce a lui la data del Concisto-ro dell’anno 2001, quando entrambisiamo stati creati cardinali.

Nei cuori di coloro che lo hannoconosciuto, è rimasto come uomoestremamente giusto, sincero, corag-gioso che amava la Chiesa. Ha la-sciato una degna testimonianza dizelo sacerdotale, di erudizione, di fe-deltà al Vangelo e di responsabilitàper la comunità dei credenti. GesùCristo Misericordioso, al quale ilCardinale Marian, di luminosa me-moria, ha dedicato la sua vita, lo ac-colga nella sua gloria.

A Vostra Eccellenza, agli Eminen-tissimi Signori Cardinali, presenti allaliturgia esequiale, ai Vescovi, alla Fa-miglia del Defunto, al Popolo di Diodella Chiesa in Polonia e in Ucrainae a tutti i partecipanti a quest’ultimocongedo, di cuore invio la mia bene-dizione: nel nome del Padre, del Fi-glio e dello Spirito Santo.

Dal Vaticano, 7 settembre 2020

FRANCESCO

di CARLO DE MARCHI

«S ignore, se il mio fratello commette colpe controdi me, quante volte dovrò perdonargli? Fino asette volte?» (Mt 18, 21). Dietro questa domanda

che Pietro rivolge a Gesù c’è un dubbio che anche ognunodi noi porta nel cuore. Ma è davvero giusto perdonare sem-pre? A volte lo esprimiamo dicendo: “io perdono ma nondimentico”, che mostra quanto ci risulta difficile accettare larivoluzione cristiana. Vorremmo arginare in qualche modoil comandamento dell’amore e del perdono, vorremmo unagiustizia un po’ più r i g o ro s a , che almeno qualche volta esigadi rispondere al male con il male.

Il Signore spiega allora a Pietro (e a ognuno di noi) co-me andrebbe a finire se Dio applicasse alla lettera quella“giustizia rigorosa” che ingenuamente auspichiamo. Lo faraccontando di un re che «volle regolare i conti con i suoiservi» (Mt 18, 23), uno dei quali risulta avere un debito didiecimila talenti (gli esperti spiegano che la somma equi-vale allo stipendio di molti milioni di giornate di lavoro).Il messaggio è chiaro: nessuno di noi è in regola nel suorapporto con Dio: per dirla con Papa Francesco, «siamoun esercito di perdonati». E neppure la giustizia nelle re-lazioni tra gli uomini è il risultato di un puntuale re g o l a -mento di conti, dal quale in realtà nessuno uscirebbe vivo.Tuttavia il perdono non è un’amnistia generale, un condo-no di tutte le nostre azioni abusive, come se il Signore

chiudesse un occhio e si impegnasse a d i m e n t i c a re . Quelloche Dio fa e che chiede a ogni cristiano di fare è proprioil contrario: guardare il male fatto da un altro con occhibuoni, con compassione, con misericordia.

Non si tratta di dimenticare il passato, ma di trasfor-marlo. È quanto succede in un’indimenticabile scena deLa commedia umana di William Saroyan. Un giovane entrain un locale per rapinarlo, ma l’anziano negoziante, checonosce il ragazzo e sua madre, lo sconcerta porgendogli isoldi contenuti nella cassa: «Prendili e salta su un trenoper tornare a casa. Non denuncerò il furto. Li rimetteròio, di tasca mia. Sono circa 75 dollari… Tua madre tiaspetta. Questo denaro è un regalo che faccio a lei. Nonsei un ladro se lo prendi. Prendilo, metti via quella rivol-tella e va’ a casa». Perdonare significa regalare a una per-sona quello che mi ha rubato. Questo dono trasforma ilfurto, cambiando in qualche modo il passato e recuperan-do, anzi redimendo ciò che era perduto.

La giustizia evangelica che sconcerta Pietro e ognuno dinoi è l’unico modo di trasformare il mondo e le relazioni,che sono quotidianamente minacciate e ferite dal torto, dalsopruso e dalla violenza. «Non c’è pace senza giustizia,non c’è giustizia senza perdono», insegna san Giovanni

Paolo II. La giustizia evangelica, che è la via della pacenelle relazioni, è il perdono.

Prima di pensare alle grandi ingiustizie sociali vale lapena guardare a quello che succede dentro le mura di casanostra: «La famiglia è una grande palestra di allenamentoal dono e al perdono reciproco, senza il quale nessunamore può durare a lungo» (Papa Francesco). Senza per-dono vicendevole non può durare neanche la famiglia difamiglie che è la Chiesa. Si tratta di imparare a guardarecon occhi pazienti e buoni le mie sorelle e i miei fratelli, eogni famiglia e istituzione della Chiesa, senza stupirmidelle loro debolezze né tantomeno scandalizzarmi deglieventuali sbagli oggettivi: «La santità nella Chiesa comin-cia col sopportare e conduce al sorreggere» (Ratzinger).Guardando con occhi di misericordia si impara a vederenella debolezza altrui, anche quando genera ingiustizia,una chiamata alla comprensione e alla pazienza. Non limi-tarsi a sopportare più o meno stoicamente ma accorgersiche dietro a ogni sbaglio si nasconde una richiesta di aiu-to.

Ognuno di noi ha bisogno di essere sorretto quando fa-tica a stare in piedi e di essere guardato con affetto e com-prensione quando cade, come capita tutti i giorni piùd’una volta. «Non ti dico di perdonare fino a sette volte,ma fino a settanta volte sette» (Mt 18, 22). In questa ri-chiesta di Gesù c’è anche la rassicurazione che il perdonoquotidiano è sempre possibile.

Kolesnikova, leader dell’opposizione, durante una manifestazione a Minsk (Ansa)

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 mercoledì 9 settembre 2020

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Intesa San Paolo

Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

Società Cattolica di Assicurazione

La corsa degli africani lungo i sentieri della libertà e della partecipazione

A f ro b a ro m e t ro :bel tempo si spera

Tre bambini morti in un campo profughi

Ancora violenzenella regione di Idlib

Scontri militari nel Donbass

Militari appartenenti alle forze separatiste nel Donbass (Reuters)

Contein visitaa Beirut

BE I R U T, 8. «La mia presenza quiè la testimonianza della vicinan-za dell’Italia a un popolo amico,a una nazione al centro dei no-stri pensieri, soprattutto dopouna strage che ha devastato tan-te famiglie, la città, questa na-zione. Una grande sofferenza».Queste le parole usate oggi dalpresidente del Consiglio italia-no, Giuseppe Conte, in visita aBeirut. Conte si è recato al por-to della capitale per rendereomaggio alle vittime della terri-bile esplosione che lo scorso 4agosto ha devastato la città.

«Il Libano ha urgente biso-gno di un governo che godadella fiducia della popolazione econ cui la comunità internazio-nale possa lavorare per la rico-struzione. Il mio auspicio è cheil processo in corso per la for-mazione del nuovo esecutivopossa concludersi presto e cheprenda avvio un programma ur-gente di riforme, per risponderealle legittime aspirazioni del po-polo libanese» ha spiegato ilpresidente del Consiglio italia-no.

Com’è noto, l’esplosione del 4agosto ha causato oltre 200 vitti-me, seimila feriti e oltre 300 mi-la sfollati. Oltre al sistema sani-tario, a pagare ancora un prezzomolto alto è il sistema educativoche coinvolge in particolare leistituzioni della Chiesa: almeno163 scuole pubbliche e privatesono state danneggiate, con con-seguenze su 70.000 studenti e7.600 insegnanti.

Sono stati versati in questi annifiumi d’inchiostro riguardo alleprincipali problematiche africa-

ne, tra le quali spiccano, oltre al te-ma della partecipazione alla vita de-mocratica e alla lotta alla povertà, lamobilità umana, la crescita demogra-fica, i cambiamenti climatici, unita-mente alla recente crisi sociosanitariainnescata dal covid-19. Tuttavia, èbene chiarire che spesso la narrazio-ne fornita dai media internazionali

di GIULIO ALBANESE

Viaggio in Libanodel cardinale ParolinIl cardinale Pietro Parolin, in quali-tà di inviato speciale del Santo Pa-dre, accompagnato da mons. IonutPaul Strejac, officiale della Segrete-ria di Stato, è giunto a Beirut nelpomeriggio di giovedì 3 settembrein occasione della Giornata univer-sale di preghiera e digiuno per ilLibano, annunciata da Papa Fran-cesco durante l’Udienza generaledi mercoledì 2 settembre.

Il cardinale è stato ricevutoall’Aeroporto Rafiq Hariri di Bei-rut dal ministro degli Affari Esteridel governo provvisorio, CharbelWehbe, dal nunzio apostolico, Jo-seph Spiteri, dal segretario dellaNunziatura Giuseppe Francone eda altre autorità civili.

Si è subito recato presso la Cat-tedrale maronita di San Giorgio,danneggiata dall’esplosione del 4agosto 2020, dove è stato accoltodall’arcivescovo maronita di Bei-rut, Paul Abdel Sater, dagli altrivescovi cattolici di Beirut (melchi-ta, caldeo, siriaco, armeno e lati-no) e da diversi sacerdoti, religiosie religiose in rappresentanzadell’intera comunità cattolica dellacittà.

Insieme si è pregato per le vitti-me dell’esplosione che ha colpitoil cuore cristiano della capitale.

Successivamente, nel salone del-la Cattedrale, si è tenuto un in-contro interreligioso, in presenzadi vescovi ortodossi e di leader re-ligiosi protestanti, musulmani,sunniti e sciiti e drusi e con la par-tecipazione di alcuni organismiumanitari.

Subito dopo l’inviato specialeha visitato la Grande Moschea Al-Amin, la Cattedrale Greco-Orto-dossa e la Cattedrale Greco-Mel-chita, tutte danneggiate dalla de-flagrazione. In conclusione dellagiornata, il segretario di Stato hapresieduto la Santa Messa al san-tuario di Nostra Signora del Liba-no, a Harissa, partecipata da ungran numero di fedeli in un’a t m o-sfera di preghiera e di profondacomunione. Tutti gli incontri e lacelebrazione eucaristica sono statitrasmessi in diretta da diverse retitelevisive e sui social media.

Venerdì, 4 settembre, il cardina-le Parolin ha incontrato il presi-dente della Repubblica, il generaleMichel Aoun, nel Palazzo presi-denziale di Baabda.

In seguito si è recato al porto diBeirut, dove ha presieduto un mo-mento di preghiera per le vittimedell’esplosione e per i loro familia-ri organizzato da Caritas Libano.

Il programma è proseguito conla visita a tre istituzioni cattolichefortemente colpite: l’O spedaleOur Lady of the Rosary gestitodalle Suore del Rosario, il S a c re dHeart College dei Fratelli De LaSalle (entrambi nel quartiere diGemmaysé) e il Lebanese Hospitaldella Congregazione delle SuoreMaronite della Sacra Famiglia (aGeitaoui). Il cardinale Parolin haespresso la sua ammirazione e lasua solidarietà alle religiose, ai me-dici, agli infermieri e a tutto ilpersonale, che sono rimasti al loroposto tra le macerie e si stannoimpegnando per riparare i gravidanni e riavviare l’attività dei no-so comi.

Nella sede del Patriarcato Maro-nita a Bkerké è stato accolto dal

patriarca maronita, il cardinale Be-chara Boutros Rai, e dai patriarchicattolici presenti in Libano — ilpatriarca armeno Krikor BedrosXX Ghabroyan, il patriarca melchi-ta Youssef Absi e il patriarca siro-cattolico, Ignazio Youssef III Yo u-nan — assieme ad alcuni Vescovidi Curia.

Prima del rientro in Vaticano, ilsegretario di Stato si è fermato nelquartiere popolare di Karantina,adiacente al porto e il più colpitodall’esplosione del 4 agosto. Allastazione dei vigili del fuoco ha re-so omaggio ai 10 vigili morti nelcompimento del loro dovere, poisi è intrattenuto con un gruppo divolontari impegnati nella ricostru-zione delle case del quartiere enell’assistenza ai bisognosi e infinesi è recato al convento dei monacilibanesi maroniti, dove ha incon-trato alcuni superiori maggiori re-ligiosi e religiose, ringraziandoliper la loro dedizione nell’a s s i s t e retutti coloro che sono stati colpitida questa tragedia. Il cardinaleParolin, infine, ha potuto esprime-re personalmente il cordoglio e lavicinanza di Papa Francesco ad al-cuni famigliari delle vittime del-l’esplosione e ad alcuni feriti.

non risponde necessariamente allapercezione che gli africani hanno dise stessi, di quello che essi intendo-no essere e di quanto sta realmenteavvenendo nel contesto geopoliticodel continente.

È sufficiente dare un’occhiata aidati che vengono pubblicati da Afro-barometer (“A f ro b a ro m e t ro ”; ht-tps://www.afrobarometer.org) percomprendere che la situazione socia-le, politica ed economica del conti-nente africano è molto più comples-sa e articolata rispetto a quella che èsolitamente l’intendimento dell’opi-nione pubblica nei Paesi occidentali.Ciò costituisce il problema crucialeper la reale cognizione di una geo-politica che si proponga veramentedi contribuire in modo originale alladefinizione degli interessi e degliobiettivi politici degli Stati africani,anziché essere solo meramente giu-stificativa, cioè strumento di propa-ganda di decisioni assunte pertutt’altri motivi e in ambiti diversi,che manipolano le opinioni pubbli-che al fine di acquisirne il consenso.

Ecco per quale motivo un’istitu-zione come Afrobarometer diventaindispensabile nel perimetro circo-scritto dalle nuove condizioni delmondo e dell’Africa in particolare. Èfondamentale, infatti, che le leader-ship politiche, unitamente al vastoareopago dell’informazione acquisi-scano una ragionevole capacità econsapevolezza di pensare lo spaziotenendo conto delle nuove condizio-ni determinate dal progresso tecno-logico e dalla destrutturazione delsistema bipolare e dalla conseguenteparcellizzazione dell’Africa in areed’interesse. Tutto questo esercita unforte impatto sul modo di pensaredegli africani, anni luce distantedall’immaginario europeo o norda-mericano.

In questa prospettiva, Afrobaro-meter in quanto istituto di ricercapanafricano apartitico, conduce in-dagini, ripetute regolarmente, sul-l’atteggiamento del pubblico afro sudemocrazia, governance, economia esocietà in oltre 30 Paesi del conti-nente (Algeria, Benin, Botswana,Burkina Faso, Burundi, Camerun,Cabo Verde, Costa d’Avorio, Egitto,Etiopia, Gabon, Ghana, Guinea, Ke-nya, Lesotho, Liberia, Madagascar,Malawi, Mali, Mauritius, Marocco,Mozambico, Namibia, Niger, Nige-ria, São Tomé e Principe, Senegal,Sierra Leone, Sud Africa, Sud Su-dan, Sudan, Swaziland, Tanzania,Togo, Tunisia, Uganda, Zambia eZimbabwe). Si tratta della principalefonte mondiale di dati di alta qualitàsu ciò che pensano gli africani.

L’obiettivo di Afrobarometer èquello di fornire agli utenti una vocenel processo decisionale fornendodati sull’opinione pubblica di altaqualità a responsabili politici, soste-nitori delle politiche, organizzazionidella società civile, accademici, mez-zi di informazione, donatori e inve-stitori. Emblematica è la percezioneregistrata in riferimento alla questio-ne migratoria che tanto preoccupa lecancellerie del vecchio continente.Secondo i dati raccolti da Afrobaro-meter, poco più di una persona sutre nel continente africano ha presoin considerazione la possibilità diemigrare. Di questi, solo il 27 percento (circa una su quattro) pensaall’Europa come potenziale meta didestinazione, mentre il 36 per centodichiara di voler restare in Africa.

D’altronde anche nell’ottica di unaumento della mobilità dalla spondaafricana, le stime delle Nazioni Uni-te non supportano l’aspettativa diun aumento esponenziale dei flussimigratori verso le coste europee,contrariamente a quanto spesso sug-gerito nel dibattito pubblico italianoed europeo.

Dunque, lo scopo principale diAfrobarometer, come afferma Emma-nuel Gyimah-Boadi co-fondatore edirettore esecutivo dell’istituto consede in Ghana «è quello di dare vo-ce agli africani comuni» per «per-mettere che la gente abbia voce incapitolo nei processi politici e nei di-battiti politici che ribollono in tuttoil continente». Ma come egli stessorileva far sentire quelle voci richiede«l’abbattimento delle barriere». Isondaggi fanno parte dell’esistenzaquotidiana, anche se i sondaggi diopinione sono ancora relativamentenuovi sulla scena politica africana. Ele élite politiche africane, precisaGyimah-Boadi: «Sono state lente adaccoglierli, spesso perché i risultatidel sondaggio sfidano le affermazio-ni dei leader di “parlare a nome del-la loro gente”».

Attualmente, Afrobarometer, inquanto strumento d’indagine qualifi-cata, copre 21 argomenti di grandeinteresse nel dibattito a livello conti-nentale: conflitto e criminalità, de-mocrazia, elezioni, parità di genere,governance, identità, macroeconomiae mercati, partecipazione politica,povertà, servizi pubblici, capitale so-ciale, tolleranza, accesso alla giusti-zia, cittadinanza, Cina, approvvigio-namento energetico e panafricani-smo/regionalismo. Dunque, la lettu-ra dei dati è estremamente importan-te anche in riferimento all’e m e rg e n z apandemica del covid-19 tuttora incorso.

Da una recentissima indaginepubblicata sul sito online di Afroba-rometer si evince che «a livello con-tinentale, in termini generali, i citta-dini identificano la salute come il se-condo problema nazionale più im-portante che desiderano che i lorogoverni affrontino». Mentre le espe-rienze variano ampiamente da Paesea Paese, tra coloro che hanno avutocontatti con una struttura sanitaria

pubblica nel corso del 2019, dunqueprima che il coronavirus si manife-stasse, «quasi la metà degli intervi-stati ha affermato che è stato diffici-le ottenere cure. Quattro su diecihanno affermato di aver subito lun-ghe attese o di non aver mai ricevu-to assistenza; e circa uno su otto hariferito di aver dovuto pagare una

tangente per ottenere le cure di cuiaveva bisogno».

Si tratta di informazioni impor-tanti che danno la misura di quantola salute, in molti casi, non sia asso-lutamente percepito come diritto e ilwelfare sia per molti cittadini africa-ni una sorta di miraggio.

Afrobarometer è certamenteun’iniziativa perspicace nata nel 1999che ha goduto in questi anni di fi-nanziamenti da numerose organizza-zioni e istituzioni estere, riuscendocomunque a mantenere la propriaindipendenza. Sebbene l’opinionedei cittadini, nella fattispecie quelliafricani, non sia, in senso stretto, ungiudizio fondato su conoscenze ap-profondite, è evidente, studiando idati forniti dall’Afrobarometer, chesta sempre più crescendo il senso dicittadinanza e l’ideale democratico.Basti pensare che da una ricerca del-lo scorso anno risulta che il 78 percento degli intervistati rigetta l’ideadi una dittatura presidenziale, il 74per cento quella del regime fondatosul partito unico e il 72 per centodella dittatura militare.

Nonostante la globalizzazione e ledifficoltà legate ai processi di rifor-ma economica, i leoni africani conti-nuano a correre come gazzelle lungoi sentieri della libertà e della parteci-pazione.

KI E V, 8. Il ministero della Difesadell’Ucraina ha confermato la morte diuno dei due soldati di Kiev che sonostati feriti il 6 settembre in uno scontro afuoco con i separatisti nell’est dell’Ucrai-na. Sarebbe la prima vittima dall’entratain vigore della tregua alla fine dello scor-so mese di luglio.

«In violazione degli accordi raggiuntiil 22 luglio — riferisce in una nota l’uffi-cio stampa del quartier generale dellaJoint Forces Operation nell’area delDonbass — il nemico ha aperto il fuococon armi leggere contro le nostre forzedi difesa nella zona di Prychepylivka»(circa cinquanta chilometri a nord-ovest

di Luhansk). «A seguito dell’attacco —prosegue il documento, ripreso dalleagenzie di stampa internazionali — unmilitare ucraino è stato ucciso». I separa-tisti hanno negato ogni coinvolgimento.

Il nuovo cessate il fuoco, entrato in vi-gore ufficialmente il 27 luglio e visto da-gli analisti politici come un possibile pri-mo passo verso una soluzione politicadel conflitto, è stato in buona parte ri-spettato da entrambe le parti, come haevidenziato un recente rapporto dell’O r-ganizzazione per la Sicurezza e la Coo-perazione in Europa (Osce), che monito-ra il sanguinoso conflitto fra l’e s e rc i t oucraino e i separatisti del Donbass.

L’accordo è considerato uno dei piùstabili tra quelli raggiunti dall’inizio de-gli scontri a fuoco, sei anni fa, quando iseparatisti iniziarono il conflitto nelDonbass. Un conflitto che ad oggi — s e-condo le ultime stime delle NazioniUnite — ha causato oltre 13.000 morti.Il cessate il fuoco avrebbe dovuto esserela prima tappa del processo di imple-mentazione del pacchetto di misurecontenuto negli accordi raggiunti aMinsk, aprendo la strada a ulteriori ne-goziati. Ma fra Kiev e i separatisti con-tinua il dissenso sui passi da seguire permettere in pratica gli accordi stessi.

DA M A S C O, 8. Ancora violenze aIdlib, nella Siria nord-occidentale.Tre bambini sono morti ieri a causadi un incendio divampato in uncampo profughi. Lo riferisconomedia locali che citano fonti medi-che e della protezione civile. I trebambini, appartenenti tutti allastessa famiglia, sono rimasti impri-gionati nella tenda travolta dallefiamme del campo di Kafr Nuran,nella località di Barisha.

Diverse fonti collegano l’incen-dio ai bombardamenti in corso in

tutta la regione, che è fuori dalcontrollo governativo. Sempre ieriun giovane è stato ucciso e altre seipersone sono rimaste ferite in unbombardamento a sud di Ariha, lo-calità a sud di Idlib.

Intanto, il ministro degli esterirusso Serghiei Lavrov è arrivato ie-ri a Damasco. Lavrov ha incontra-to il presidente siriano Bashir AlAssad e il ministro degli esteri si-riano Walid Muallem. Sono statidiscussi progetti di collaborazioneeconomica.

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L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 9 settembre 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’a f f a re ,

ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene» (D. Bonhoeffer)

Il nucleo fondamentale della società e della Chiesa è la base anche per un nuovo futuro

R i p re n d e reil rapporto interrotto con la famiglia

di VINCENZO BASSO

Durante questa crisi sanitaria,tutti noi abbiamo vissuto inmodo totale le nostre fami-

glie, e, per molti, è stato bellissimo.Alla stessa maniera, è stato possibilemeditare e riflettere sul senso del-l’impegno e della funzione dell’asso-ciazioni familiari cattoliche. A que-sto proposito, rileggendo Amoris leti-tia, Laudato si’ e Familiaris consortio,l’invito è sempre lo stesso: la Chiesanon solo non può perdere il contat-to con il “p op olo” ma deve affian-carlo e accompagnarlo.

Partendo proprio da queste lettu-re, come presidente delle associazio-ni famigliari cattoliche in Europa(Fafce), mi sono posto una doman-da: come può cambiare il nostro ser-vizio alle famiglie, dopo una crisisanitaria, che lascia le famiglie stessecon più incertezze sul futuro e, spes-so, nell’indifferenza generale?

Più volte, nel suo insegnamento,Papa Francesco ci invita a essere vi-cini alle famiglie, soprattutto se fra-gili, anche perché nella fragilità èpiù facile incontrare il Signore. Es-sere vicini alle famiglie significamettere concretamente al centro lafamiglia, e ciò perché la famiglia è ilnucleo fondamentale di ogni relazio-ne. Il 1° giugno 2017, ricevendo lanostra federazione, ci incoraggiòmoltissimo in questo senso. Inter-pretando il suo pensiero e quello an-che dei suoi predecessori, forse sipuò mutuare un brocardo latino: ubifamilia, ibi ecclesia et communitas.

Ebbene, questo collegamento, di-retto, tra la famiglia, da una parte, ela Chiesa e la communitas dall’altra,era chiaro e indiscutibile nel periodoprecedente alla rivoluzione indu-striale.

In quel tempo, la famiglia svolge-va una funzione principale al servi-zio della comunità, essendone il nu-cleo economico e produttivo. Eranecessario non solo il lavoro dellafamiglia ma anche la sua capacità diassicurare, in modo autonomo e sus-sidiario, la sopravvivenza dell’interacomunità.

La Chiesa, attraverso i suoi pasto-ri, era al servizio della famiglia, ac-compagnandola e indicando il cam-mino verso Dio. La Chiesa dava

senso alla vita delle persone, nell’an-nuncio della Risurrezione, insegnan-do la speranza e la carità. La con-cretezza di Dio era così vissuta dallefamiglie, che diventavano luogo del-la trasmissione della fede e Chiesaesse stesse. Ma non solo, lo stessorapporto della Chiesa con i sovranisi fondava anche su questo ruolo diservizio della Chiesa nei confrontidella famiglia, tant’è che molti pa-stori svolgevano anche un’imp ortan-te funzione d’interpreti delle esigen-ze delle famiglie nei confronti delsovrano.

Tuttavia, va detto che tra le fami-glie e la Chiesa, oggi come allora,l’aiuto è sempre stato reciproco: lefamiglie offrono le vocazioni allaChiesa, i pastori, grazie all’accompa-gnamento delle famiglie, sono sti-molate a rinnovare, con parole nuo-ve, l’insegnamento della buona no-vella.

Con la rivoluzione industriale, lafamiglia perdeva la sua centralità.Da essere centro produttivo, essa co-minciò a svolgere una funzione stru-mentale. Il centro del sistema pro-duttivo era infatti non tanto nellefamiglie quanto nelle fabbriche, cui

le famiglie fornivano forza lavoro as-sicurando capitale umano di qualità.

La Chiesa, in questo contesto, do-veva gestire il potere sempre più as-soluto dello Stato. Laddove possibi-le, era, infatti, la Chiesa a suggerire,spesso, il buon senso ai governanti,da una parte, e a mantenere unita lacomunità delle famiglie, dall’altra,garantendo in questo modo la paceso ciale.

Nonostante le difficoltà e le con-tingenze, le famiglie rimasero solidee anche la Chiesa non smise mai disvolgere il suo ruolo profetico di lu-ce nel mondo al fianco delle fami-glie, che potevano sempre contaresu pastori santi e capaci di non fardimenticare alle famiglie la presenzadi Dio, consolandole nella speranza.

Nel recente passato, questo ruolodella Chiesa è stato più difficile das v o l g e re .

La ragione è semplice, le famiglienon hanno offerto più solo forza la-voro, e i suoi membri sono diventaticonsumatori, dando così forza nonpiù solo allo Stato ma anche allemultinazionali e al potere finanzia-rio.

In conseguenza di ciò, purtroppo,il “consumismo” ha infettato la no-stra società. Il “consumo” dei beni,come la droga, ha così confuso lepersone, sempre più in difficoltà adare senso alla propria vita. Anchela famiglia non è stata più vissutacome luogo di realizzazione dellapersona, persona che è diventata co-sì più individuo.

Le nostre famiglie, anche quellecattoliche, sono rimaste sempre piùsole e fragili.

Oggi, nell’epoca della globalizza-zione, la situazione è addiritturap eggiorata.

Il capitalismo non cerca più nellefamiglie forza lavoro. Grazie ai pro-cessi di lavorazione meccanizzati, ilsistema produttivo non ha bisognodi quel capitale umano formato soloin famiglia. Si muove e si stabilisce,fin tanto che la mano d’opera è abuon mercato, nei Paesi in via disviluppo. Così facendo, questi Paesisaranno sempre più sfruttati, mentrele famiglie degli altri, mancando disalari dignitosi, ricorrono impruden-temente all’indebitamento, per man-tenere il proprio tenore di vita.

A causa proprio di questo indebi-tamento sempre più alto, in queiPaesi, le famiglie, oggi, non servononeppure per generare i consumatoridel domani.

Non è un caso che l’inverno de-mografico (peggiorato ulteriormentedalla crisi in corso) sta mettendo arepentaglio il futuro della nostra so-cietà, proprio oggi quando la fami-glia, non svolgendo alcun ruolo so-ciale ed economico, è ritenuta nonpiù “utile” al sistema produttivo.

È triste dirlo, ma il capitalismoconsidera oggi la famiglia come unramo secco, un malato terminale.

Oramai, la grande finanza guardaalla famiglia solo perché è interessa-ta al suo risparmio, che in alcunipaesi (come in Italia) è ingente, ed èconsiderato un tesoro di cui appro-priarsi.

Una volta perso (con mezzi più omeno leciti) anche il risparmio, lafamiglia certamente non scomparirà;non le sarà tuttavia permesso disvolgere, in modo autonomo e sussi-

diario, alcuna funzione economica esociale, e sarà trattata come un qual-siasi clandestino, ai margini della so-cietà.

Prima che questo momento arrivi,occorre fermarci e riflettere sul no-stro futuro e su quello delle fami-glie.

Tuttavia, occorre farlo subito. In-fatti, al di là di analisi sociologiche,politiche o economiche, una cosacerta è che, in questo contesto, la fa-miglia soffre, tra le altre cose, so-prattutto di solitudine, e se la fami-glia soffre, soffrono di più gli ultimi,gli emarginati. Nessuna istituzione,infatti, può aiutare, come le fami-glie, i poveri, gli orfani, gli immigra-ti in modo continuativo e non emer-genziale.

Ma non solo, se la famiglia soffre,anche la Chiesa soffre.

Senza famiglia, la Chiesa è senzagregge, e senza Chiesa, la famiglia èsenza pastore.

Questo legame indissolubile si dàtroppe volte per scontato, da partesia delle famiglie sia della Chiesa.La prima ha perso la dimensionespirituale a causa della secolarizza-zione, la seconda forse dimentica avolte l’odore del gregge anche acausa di difficoltà oggettive (comeper es. la scarsità dei sacerdoti o lapoca disponibilità delle famigliestesse), che rendono meno facile ilcontatto con il popolo.

Ecco, proprio per recuperare que-sto legame indissolubile tra le fami-glie e la Chiesa, al termine di questolungo excursus e dopo molte rifles-sioni, in qualità di presidente delleassociazioni familiari cattoliche inEuropa, mi sento di sollevare la que-stione di un nuovo patto tra le fami-glie e i loro pastori.

Nel 2015, a Firenze, il Santo Pa-dre ha parlato chiaramente di cam-biamento d’epoca, incoraggiandotutti noi a guardare al futuro senzapaura, rimanendo uniti come popo-lo e confidando nel Signore che cicondurrà sulle strade del mondo.

Per raggiungere un tale obiettivo,occorre spendere la nostra vita dilaici battezzati, sforzandoci di esserecreativi e missionari, recuperando, inmodo integrale, reciprocità e com-prensione con i nostri pastori.

Penso che le famiglie cattoliche,dopo questo periodo di crisi sanita-ria, abbiano acquisito una coscienzanuova della funzione necessaria e in-sostituibile dei pastori. Senza pasto-ri, senza la loro guida e la loro fisicafrequentazione, perfino l’Eucaristiarischia di diventare un rito, virtuale,svuotato della sua realtà e concretez-za, così come anche Papa Francescoha sottolineato lo scorso 17 aprile.

Tuttavia, i nostri pastori non pos-sono essere lasciati soli in questodifficilissimo servizio, ma dovrannoessere aiutati a curare il disagio dellasolitudine, accompagnando le fami-glie nella vicinanza, nella verità enella speranza.

Per questo le nostre associazionidovranno svolgere un ruolo nuovo,senza aver paura — come dice il pre-sidente del Forum delle associazionifamiliari italiano, Gianluigi De Palo— di “sporcarsi le mani” e di “l a v a rei piedi” delle nostre famiglie, facili-tando altresì il mantenimento diquell’unità indissolubile tra famigliee Chiesa.

Per Mattarella la pandemia allarga il divario sociale e digitale

India secondo Paeseal mondo per contagi

GINEVRA, 8. Mentre sale l’allertacovid-19 in Europa, nel mondo i ca-si hanno superato quota 27 milioni,con quasi 900.000 decessi.

L’India, con contagi in aumentogiorno dopo giorno, ha oltrepassatoil Brasile, diventando il secondoPaese al mondo per numero di casidopo gli Stati Uniti.

E in occasione, oggi, della Gior-nata mondiale dell’Alfab etizzazio-ne, è intervenuto il presidente dellaRepubblica italiana, Sergio Matta-rella. «La pandemia — ha dichiara-to — ha allargato in molti contesti ildivario sociale e digitale, rimarcan-do le difficoltà dei più vulnerabili».«Il tema del divario — ha aggiuntoil presidente Mattarella — non ri-guarda soltanto la scuola, né soltan-to i giovani. L’alfabetizzazione èuna sfida che impegna le diversecomunità nei confronti di tutte legenerazioni. Non c’è pienezza nellalibertà e nell’esercizio dei dirittisenza la capacità di leggere, di scri-vere, di fare calcoli».

«La crisi che stiamo vivendo —ha sostenuto il Capo dello Stato —impone di dedicare attenzione aldivario di conoscenze e di opportu-nità, che rischia di accentuarsi pro-prio a causa dell’impatto della pan-demia globale sui sistemi di istru-

zione e sulle dinamiche socio-eco-nomiche».

Come detto, l’India ha raggiuntoil poco invidiabile record di conta-gi, che crescono di 90.000 unità algiorno. Una progressione che almomento sembra inarrestabile: oltreun milione di casi in 13 giorni.

Ma dopo oltre sei mesi di stoptotale, le autorità hanno comunquedeciso di fare ripartire le linee dellametropolitana a New Delhi e aMumbai, oltre che in altre città, siapure con orari ridotti e forti limita-zioni ai passeggeri.

La paura è comunque ancoratanta. Il quotidiano «The IndianExpress» ha scritto che un trenospeciale delle Ferrovie è tornato aviaggiare ieri con appena due pas-seggeri lungo la linea tra Kamla eShimla, nella regione montuosadell’Himachal Pradesh. La lineaferroviaria era ferma dallo scorso 24marzo, quando in India è entrato invigore il lockdown totale.

Va decisamente meglio nell’a l t rogigante asiatico, la Cina. Pechino,infatti, si prepara a riaprire Xinfadi,il più grande mercato di verduraall’ingrosso della capitale cinese,chiuso a metà giugno per un foco-laio che aveva fatto temere un nuo-vo dilagare della pandemia.

Due morti e quattro dispersi

Il passaggio del tifone Haishennel sud ovest del Giappone

Elezioni legislativein Myanmarl’8 movembre

NAY P I Y D AW, 8. Ha preso il via og-gi in Myanmar la campagna elet-torale per le elezioni legislativedell’8 novembre prossimo.

Il voto è considerato dagli ana-listi politici un test per la pienatransizione democratica del Paeseasiatico, dopo decenni di dominioda parte dei militari.

Prevista una vittoria di AungSan Suu Kyi, premio Nobel perla pace nel 1991 e leader della Le-ga nazionale per la democrazia,ma non con l’ampio margine otte-nuto nel 2015, quando in Myan-mar si è votato nelle prime elezio-ni multipartitiche dopo oltre 50anni di dominio dei generali.

Suu Kyi — che attualmente ri-copre l’incarico di ministro degliEsteri, ministro dell’Ufficio delpresidente e consigliere di Stato —ha perso i consensi delle minoran-ze etniche ed è criticata dalla co-munità internazionale per le vio-lenze dell'esercito contro i musul-mani rohingya. L’intervento mili-tare, considerato dall’Onu comeun «atto di genocidio», ha fattofuggire in Bangladesh quasi unmilione di rohingya. Sul calo deiconsensi incide anche la difficilesituazione economica.

La tornata elettorale si svolgeràin tutti gli Stati del Paese, com-prese le zone di conflitto. In palioci sono 330 seggi alla Camera bas-sa e 168 a quella alta del Parla-mento nazionale. Il 25 per centodei seggi sono riservati ai militari,che sono ancora la forza dominan-te. Altri 644 scranni (più 29 per leminoranze etniche) saranno ingioco per le Assemblee statali.

Sfida apertanegli Swing

States

WASHINGTON, 8. Nel Labor Day,che segna negli Stati Uniti la finedell’estate, è partita la fase finaledella campagna elettorale. Questasi concentrerà in quelli che vengo-no definiti gli Swing States, unamanciata di Stati — Wisconsin,Michigan e Pennsylvania a nord,Florida, North Carolina e Arizonaa sud — in bilico da cui dipenderàla vittoria finale all’Election Day ilprossimo 3 novembre.

Donald Trump ieri ha tenutouna conferenza stampa alla CasaBianca per esaltare la ripresa eco-nomica. «Abbiamo la più grandee veloce ripresa occupazionale eproduttiva nella storia», rilevandoche il tasso di disoccupazione èsceso all’8,4 per cento in agosto,«più giù del previsto», con lacreazione di 1,4 milioni di posti inun mese. E ha promesso, se saràrieletto, «dieci milioni di nuoviposti nei primi 10 mesi del 2021».In settimana l’attuale inquilinodella Casa Bianca visiterà NorthCarolina, Florida, Michigan ePe n n s y l v a n i a .

Biden, che nel Labor Day haincontrato lavoratori e sindacalistiin Pennsylvania, ha replicato che«Trump sarà il primo presidentein 90 anni a lasciare l’incarico conmeno posti di lavoro di quandol’ha assunto» e ha dichiarato sutwitter: «Oggi onoriamo le gene-razioni di lavoratori dei sindacatiche si sono battuti per i diritti, isalari e i benefici che hanno co-struito e sostenuto la middle classamericana». I candidati vice MikePence e Kamala Harris hanno vi-sitato il Wisconsin.

TO KY O, 8. Sono almeno due lepersone morte e quattro quelle almomento ancora disperse sul ver-sante sud occidentale del Giappo-ne per il passaggio del tifone Hai-shen, il decimo dall’inizio del2020. Sono oltre un centinaio lepersone che hanno riportato ferite,la maggior parte delle quali lievi,dovute a vetri rotti o cadute.

Le autorità governative hannoriferito che le maggiori segnalazio-ni sono pervenute dalla regionedell’isola di Kyushu, ma anchedalla prefettura confinante di Ya-maguchi.

L’Agenzia meteorologica nazio-nale ha registrato raffiche fortissi-me di vento in oltre trenta località

durante il passaggio del tifone, conil record di 213,8 chilometri orarinel distretto di Nomozaki, nellaprefettura di Nagasaki, nelle primeore di ieri.

Il tifone ha fatto poi rotta versola Corea del Sud perdendo tutta-via di intensità, tanto da essere de-classata a tempesta tropicale dalservizio meteorologico nazionale.A Seoul comunque sono stati piùdi 300 i voli cancellati da 10 aero-porti e alcuni servizi ferroviari so-no stati sospesi. I forti venti hannocausato interruzioni dell’e n e rg i aelettrica in quasi 5.000 abitazionisulla punta meridionale della peni-sola coreana, inclusa l’isola turisti-ca di Jeju.

Tampone applicato a una bambina nella capitale indiana New Delhi (Ansa)

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 mercoledì 9 settembre 2020

Cuore di tenebra«Sunset Boulevard» e «Psycho» compiono rispettivamente settanta e sessant’anni

di EMILIO RA N Z AT O

Il personaggio principale della sto-ria versa in difficoltà economicheche finiscono per fargli avere pro-blemi con le autorità. In fuga dal-le proprie responsabilità, imbocca

una deviazione con la macchina e finiscein un luogo isolato dominato da unagrande e vecchia casa, dove si possonotrovare cimeli del passato e cose bizzarrecome relitti animali. Qui vive da sola unapersona disturbata che, inaspettatamente,porterà alla morte il protagonista fuggiti-vo. Il film, diretto da uno dei grandi re-gisti europei in trasferta permanente aHollywood, è un capolavoro del suo ge-nere e ne rinnoverà i canoni. Di che filmsi tratta? No, non è Psycho. O meglio,non solo. Esattamente dieci anni primadel capolavoro hitchcockiano, c’era giàstato un film con lo stesso assunto narra-tivo, nonché la stessa carica rivoluziona-ria: Sunset Boulevard di Billy Wilder.

Il film di Wilder e quello di AlfredHitchcock — di cui quest’anno ricorronorispettivamente il settantesimo e il ses-santesimo anniversario — raramente ven-gono affiancati, eppure contengono im-pressionanti analogie. Prima fra tutte, lastrada sbagliata.

La deviazione che porta a scoprire unangolo di vecchia America che sembravasepolto e dimenticato. E che invece, ri-svegliato suo malgrado, si dimostrerànon solo insospettabilmente vitale, maanche aggressivo e letale. Alla base dellalavorazione dei film, anche contesti stori-ci simili emanati dalla Guerra fredda, eche inevitabilmente ne hanno influenzatol’atmosfera. L’imminente guerra di Corea— un conflitto già poco compresodall’opinione pubblica ma accettato invirtù dell’ancora fresca impresa antinazi-sta — nel primo caso, le tensioni crescentinel Sud-est asiatico che porteranno allaguerra del Vietnam nel secondo. Entram-bi gli scenari saranno occasione per degliesami di coscienza collettivi molto pro-

fondi e capaci di investire le basi stessedella vita americana. Negli anni Sessantal’autoanalisi nazionale verrà elaborata inmodo conclamato e porterà a sconvolgi-menti clamorosi, anche se ai tempi diPsycho è ancora sotto forma di presagio,negli anni Cinquanta rimarrà invece sot-totraccia, ma porterà a un primo, silentescollamento fra opinione pubblica e ideo-logia nazionale, cominciando già a conta-minare l’immagine innocente che l’Ame-rica ha di se stessa.

I due film, con le loro realtà orribili etipicamente americane nascoste sotto unvelo di normalità, finiscono dunque peressere una metafora dei loro tempi. Ma

quanto c’è di voluto, anche solo a livelloinconscio?

Sunset Boulevard è un dramma sullosfondo del mondo del cinema che ha alcentro uno dei temi prediletti da Wilder,la prostituzione morale, che porta i suoiprotagonisti — come il personaggio diJack Lemmon in The Apartment — a offri-re una parte della propria vita per inte-ressi economici. Ma il regista di originiaustriache, che nel 1944 aveva già firmatouno dei paradigmi più cristallini del ge-nere con Double Indemnity, inserisce chia-ramente il racconto in una cornice esteti-ca e narrativa da film noir. Il bianco enero pieno di ombre che tagliano diago-nalmente le inquadrature è quello postespressionista del cinema nero, e l’assun-to narrativo rientra nello stesso cliché. Ilracconto parte infatti da un flashback,ovvero l’espediente narrativo per eccel-

lenza del genere in cui tutto è già finito,e i fatti non possono che essere rivissuti aritroso, con il patema del rimorso per ciòche si poteva salvare. Altrettanto tipicidel cinema nero sono poi i due funziona-ri di una ditta di automobili incaricatidel recupero crediti, che all’inizio delfilm entrano addirittura in casa del prota-gonista Joe Gillis per riavere le chiavi delsuo veicolo, visto che questo non è maistato pagato per intero, e poi continue-ranno a braccarlo rimanendo una minac-cia lungo tutto il film.

Il noir, che nel 1950 aveva già conclusola sua fase più vitale, aveva dimostrato diessere un genere fortemente critico nei

confronti dello stile di vita americanoconsolidato. Non a caso, vari sceneggia-tori e registi che vi si erano dedicatiavranno problemi con la commissioneper le attività antiamericane voluta dalsenatore McCarthy. In questo tipo difilm, l’individualismo su cui si basa la so-cietà statunitense viene rappresentato co-me un caotico coacervo di interessi per-sonali che sfocia spesso nella piccola cri-minalità da una parte, e da una forzacoercitiva paraistituzionale e particolar-mente opprimente dall’altra. In questarappresentazione, la tanto idealizzata li-bertà dell’individuo viene infatti contrat-ta in misura significativa da entità privateche si ergono a istituzioni — come lecompagnie assicurative, presenza costantedi tutto il noir prima maniera — o che inforza della loro potenza economica pos-sono mettere in campo misure pesante-mente coattive, ossia quel che succede alnostro Joe Gillis.

Ma una critica alle aberrazioni dell’in-dividualismo e del capitalismo più sfre-nato la troviamo anche nella descrizionedella casa e dello stile di vita della vec-chia star del cinema che il protagonista èdestinato a incontrare. Era dai tempi diCitizen Kane e della Xanadù dell’ep oni-mo protagonista che non si vedeva suglischermi un tale monumento all’avidità ealla megalomania. Non si arriva magari aquel gigantismo, ma l’atmosfera di spre-co e di decadenza barocca ai confini deldelirio è la stessa, a partire dal funeraleper un babbuino a cui Gillis assiste in-credulo. Attraverso il personaggio diNorma Desmond, interpretato dalla verastar del cinema muto Gloria Swanson,Sunset Boulevard risveglia il ricordo noncosì lontano eppure già sorprendente-mente offuscato — anche perché forzata-mente rimosso — della Hollywood-Babi-lonia, ovvero il mondo del cinema ameri-cano che va dai primordi al culmine del-la fine degli anni Venti. Un mondo fattodi lusso sfrenato e di stili di vita impron-tati a volte alla più sfacciata lascivia.Senza entrare nei dettagli di alcune diqueste esistenze moralmente spericolate,è sufficiente dire che il codice di auto-censura Hays nacque alle soglie degli an-ni Trenta proprio per ripulire agli occhi

dell’opinione pubblica un’immagine delcinema che si stava facendo rapidamentesempre più torbida a causa degli stravizie degli abusi delle star, e che soprattuttodopo l’inizio della Grande Depressionenon poteva essere più tollerata.

Anche se Wilder voleva probabilmente

fra bad capitalism e good capitalism è unretaggio della commedia americana anniTrenta, genere in cui Wilder si era fattole ossa come sceneggiatore.

Hitchcock nei presupposti è più ele-mentare, più metafisico, non abbracciamai esplicite considerazioni sociologiche.Eppure Psycho finirà per anticipare tantielementi di un cinema viceversa moltopolitico come sarà l’horror americano distampo realistico per almeno un venten-nio, a partire da piccoli gioielli del lowbudget fra serio e faceto come Two Thou-sand Maniacs (Herschell Gordon Lewis,1964) e Spider Baby (Jack Hill, 1967) finoal cinema di Tobe Hooper e del WesCraven prima maniera. La casa dallo stilegotico che rimanda ai padri fondatori, glianimali impagliati che rievocano la so-praffazione della natura e la violenzagratuita da parte dei pionieri, lo svili-mento del progresso in favore di una wil-derness che si risveglia attraverso l’imma-gine dell’automobile della protagonistache finisce in fondo a uno stagno, e poila casa che svetta sulla collina, simboloantico dell’America delle prime genera-zioni e del suo illuminato isolazionismo.

Negli horror successivi, questo viaggioa ritroso nella storia nazionale rappresen-terà esplicitamente la ricerca di quel pec-cato originale di violenza che avrebbeportato a un presente di pulsioni autodi-struttive. Nel 1960, la discesa agli inferidel Vietnam e degli attentati illustri non

si era ancora concretizzata, eppure Psychointercetta evidentemente gli albori diquesta sofferta quête. Dietro la vicendadel folle Norman Bates, non c’è solo ladescrizione di un caso psicanalitico damanuale, oltreché un riferimento alla ter-ribile storia vera del serial killer di qual-che anno prima Ed Gein, ma — anchequi — l’immagine di un’America vetusta egelosa di un insediamento che difenderàai danni delle nuove generazioni e dellamo dernità.

Da un punto di vista strettamente ci-nematografico, poi, Sunset Boulevard ePsycho finiscono per assomigliarsi in virtùdella morte del protagonista, rappresen-tata in modi clamorosamente provocato-ri. Nel film di Wilder scopriremo solo al-la fine che Gillis era già morto all’iniziodel racconto, nonostante fosse sua la vo-ce narrante lungo tutto il flashback. InPsycho, invece, Hitchcock si sbarazza ad-dirittura della protagonista a metà film.In entrambi i casi, si riconosce una vo-lontà sottile ma incisiva di togliere allospettatore l’identificazione con il puntodi vista del protagonista in favore di unavisuale più esterna, che è quella del regi-sta.

Tentativi, insomma, di far passare an-che presso il grande pubblico un cinemache sia d’autore e legato agli aspetti arti-stici della realizzazione, piuttosto chenon il solito prodotto commerciale hol-lywoodiano, in cui prevalgono emozionipiù facili dovute all’immedesimazionedello spettatore con i personaggi. Unabattaglia che ai tempi di Wilder era an-cora in buona parte prematura, ma checon Hitchcock e il suo Psycho segnerà unpasso decisivo per l’avvento del cinemad’autore anche nel cinema americano.

mantare l’onesta vita borghese dello sce-neggiatore Gillis e della sua nuova fidan-zata e collega Betty, la quale si contrap-pone all’angelo della morte Norma inuna dicotomia femminile di nuovo tipica-mente noir. Mentre la contrapposizione

Le pellicole si assomiglianoanche in virtù della morte del protagonistaNel film di Wilder solo alla fine si scopreche Gilles era già morto all’inizio del raccontomentre in «Psycho» la protagonista muore a metà filmC’è dunque la volontà di togliere allo spettatorel’identificazione con il protagonistain favore di una visuale più esterna, quella del regista

Quando la cinepresa del maestro del brivido scava nei recessi dell’animo umano

Quella finestra (non solo sul cortile)

Anthony Perkins nei panni di Norman Bates

«Sunset Boulevard»

Diretti rispettivamente da Billy Wilder e Alfred Hitchcocki due capolavori raramente vengono affiancatimentre in realtà contengono impressionanti analogiePrima fra tutte la strada sbagliataquella fatale deviazione che porta a scoprire un angolo di vecchia Americache sembrava sepolto e dimenticatoInoltre narrando realtà orribili nascoste sotto un velo di normalitài due film finiscono per diventare metafora dei loro tempi

«Psycho»

fare solo una sorta di tra-gica satira sul mondo delcinema che fu, anticipandotutto il filone dei film chesi occuperanno del latooscuro del mondo dellospettacolo, da What EverHappened to Baby Jane aMulholland Drive, l’imma-gine più forte di SunsetBoulevard è proprio questocuore di tenebra del siste-ma americano che allungale sue ombre fino ad am-

di GABRIELE NICOLÒ

La cinepresa è usata da Alfred Hitchcock comeuna sonda per penetrare nei recessi più remoti einconfessati dell’animo umano, per ghermire i

segreti altrui, guardando senza essere visti, con unasete di conoscenza che oscilla tra il gusto del gossip ela tendenza alla morbosità. In alcuni dei capolavoridel regista inglese riveste un ruolo nevralgico, taloraostentato, talvolta in filigrana, la “finestra”, ovveroquello spazio che permette all’osservatore indiscretodi carpire stralci e lembi del tessuto esistenziale altrui.L’effetto principale e inevitabile, che Hitchcocksortisce e gestisce con maestria, è quello di rendere lospettatore un voyeur, involontario ma al contempoattivo complice dell’attore che spia. Nell’immaginariocollettivo sono incise, in modo indelebile, alcuneimmagini topiche di Psycho: la celeberrima scena delladoccia e la sedia, nel finale, che lentamente gira. Mac’è un fotogramma che rischia di passare inosservatoma che in realtà è molto significativo perchéeloquente riguardo allo stile cinematografico delmaestro del brivido. Verso l’inizio, la cinepresa —seguendo l’avido sguardo del protagonista, NormanBates — si insinua attraverso l’apertura di una finestradel motel per infrangere l’intimità tra una donna,Marion, e il suo amante, Sam. Successivamente,

Norman rimuoverà un quadro nel suo ufficio chenasconde un buco attraverso il quale egli può spirarei movimenti di Marion nella sua camera. All’ep o caalcuni critici inarcarono perplessi il sopracciglio,avanzando riserve in merito a questo modo di farecinema: quasi scandaloso, a loro avviso. In realtàHitchcock ha avuto il coraggio di esibire senza velil’istinto, più o meno pronunciato, che è in ognipersona, ovvero quello di conoscere i “s e g re t i ”dell’altro, a prescindere dall’uso o dall’abuso che diessi il voyuer farà. «Siamo tutti dei voyuer della vitadel prossimo, ma quasi nessuno lo ammette» dichiaròHitchcock. Un pensiero, questo, che ha la suasublimazione ne La finestra sul cortile, in cui Jeff, ilprotagonista, costretto sulla sedia a rotelle dopo unincidente, per passare il tempo spia, appunto, dallasua finestra i movimenti dei vicini: per più di due orelo spettatore è complice di Jeff, e non c’è spettatoreche, in questo atto tanto indiscreto quanto intrigante,non si senta progressivamente stimolato edelettrizzato. Sfidando dunque la critica Hitchcock,attraverso il suo genio, ha avuto l’ardire di mettere anudo una delle debolezze insite nell’animo umano,dando a suo modo ragione a Oscar Wilde che solevasentenziare: «Chi dice la verità prima o poi verràscop erto».

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L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 9 settembre 2020 pagina 5

«Se l’acqua ride», l’ultimo libro di Paolo Malaguti

Sulla barcadi nonno Caronte

«Non diteche siete stanchi»

Liliana Segre compie novant’anni

Lo Statoin quel buio periodo storicoaveva realizzatouna delle peggioripreoccupazioni di AgostinoSi era cioè trasformatoin una«grande banda di briganti»Un assalto sferratoc o n t rola comune casa d’Ab ra m ocondivisa anche dai cristianiE quel che è peggionon era «noctis tempore»come sono soliti farei fuorileggema alla piena luce del sole

È l’estate del 1965 che traghetta Ganbetodal mondo dei piccoli a quello degli adultiÈ inebriato, ma quello che scorre davanti a sé lo vede benenon può fingere che nulla stia accadendoLui che si trova a cavallo tra il vecchio e il nuovoLui, capace di imparare la lezione più complessa di tutte:si cresce solo lasciando indietro qualcosa

Particolare dalla copertina

Liliana Segre con il padre Alberto

Di famiglia laica, scoprì di essereebrea soltanto quando le leggi raz-ziali fasciste del 1938 la escluserodalla scuola. Nei suoi interventipubblici, la Segre non manca maidi ricordare il triste giorno in cuiapprese la notizia dell’espulsione eil giorno ancor più triste in cui suopadre chiese alla sua maestra diandare a casa loro, per darle unp o’ di conforto, per sentirsi dire,con ruvida indifferenza: «Non èmica colpa mia se ci sono le leggirazziali».

L’episodio provocò nel cuore diLiliana l’ossessione del «perché»,cui tuttora non è in grado di farfronte. I briganti, come raccontaPrimo Levi nel celebre episodiodella stalattite (Se questo è un uo-mo), avevano bandito il «warum?»(perché?) dal lessico civile, scio-gliendo la legge da ogni richiestadi senso, in luogo del diktat.

Da allora, nella mente di quellabambina montarono moltissimi«warum»: perché il padre le chiesedi nascondersi da amici di famigliae di cominciare a utilizzare un fin-to nome? Perché dovettero fuggiresulle montagne, vestiti ancora da“borghesi piccoli piccoli”, per rag-giungere la Svizzera in clandestini-tà? Perché furono respinti dall’au-torità del Paese elvetico come deimalviventi, e poco dopo arrestati,da quella italiana, a Selvetta diViggiù? Perché lei, che aveva sem-pre visto San Vittore col papà,sgroppando in bici, con le treccinee il vestitino fresco di bucato sulloslargo di fronte al carcere, all’im-provviso si trovava a guardare lapiazza attraverso una grata?

Di San Vittore la Segre ricordaspesso le lunghe ore in attesa chesuo padre rientrasse in cella dopointerrogatori che tutti sapevano es-

tre settimane prima — racconta laSegre — la macchina le aveva tran-ciato due falangi. Lei ci aveva mes-so uno straccio, ma non servì. Era-vamo nude ed era impossibile na-scondere qualsiasi cosa. Mentre io

Durante ognuna delle sue testi-monianze, quasi sempre agli stu-denti, che lei immagina come “ni-poti ideali”, la Segre non ha maismesso di ripetere: «Non dite chesiete stanchi, non è vero, siete for-tissimi! Non dite “non ce la facciopiù”, non è vero! Noi siamo fortis-simi, ce la fate, ce la facciamo, sevogliamo. Possiamo fare tantissimocon le nostre forze. Io l’ho visto inquella disgraziata Liliana che cam-minava con le altre, una gamba da-vanti all’altra. La vita è una cosaimportantissima, meravigliosa, per-ché, anche attraverso le esperienzepiù negative, ti può arrivare alla fi-ne un bambino che ti dice: ma tu,nonna, sei il mio arcobaleno. Macome, se valeva la pena di fare lamarcia per la vita, una gamba da-vanti all’altra. Liliana era una ra-gazza forte, senza saperlo».

Il 19 gennaio 2018, in occasionedell’ottantesimo anniversario delleleggi razziali fasciste, il presidentedella Repubblica italiana, SergioMattarella, ha deciso di nominarequella ragazza forte senatrice a vi-ta. «Quando ho firmato il decretodi nomina», dirà Mattarella allaSegre, «ho pensato al suo papà».

A questa ragazza forte, che oggicompie 90 anni, a questa nonna in-stancabile, preziosa per la memoriae per l’avvenire dei suoi nipotiideali, vanno i nostri migliori au-guri. Noi tutti, oggi, siamo la suascorta.

di ROBERTO ROSANO

Era l’inverno del 1945, sulfinire del mese di gen-naio. Una ragazza dinome Liliana, sotto lapioggia, o sulla neve, o

nel fango fino alle ginocchia, cam-minava, senza voltarsi mai indietro.E seguitava a camminare, qualsiasicosa accadesse intorno a lei. Fer-marsi significava morire.

Stava per concludersi uno deicapitoli più bui della storia umana.Lo Stato, concretando una dellepeggiori angosce di Agostino, siera trasformato in una «grossabanda di briganti». E ciò che èpeggio è quell’assalto alla comunecasa d’Abramo, il cui tetto anchenoi condividiamo, non era avvenu-to noctis tempore, secondo la prassidei fuorilegge, ma alla piena lucedel sole.

I briganti avevano avuto tutto iltempo di cianfrugliare coi concettidi bene e male, di contraffare il di-ritto e la sua intelligenza, senza es-sere impediti, sinché poterono agi-re contro l’Uomo al chiaro della le-galità diurna. E quando presero ascassinare il portone d’i n g re s s o ,molti di noi, troppi, si sono rifu-giati nelle loro stanze e, serratonel’uscio, hanno finto di non udire ilgrido di dolore dei fratelli maggio-ri, che stavano di là, a subire ilpeggior tormento che si possa im-m a g i n a re .

Durante «l’assalto», Liliana erauna ragazzina orfana di madre, fi-glia della borghesia ebraica milane-se. Viveva con suo padre, Alberto,i nonni paterni, Giuseppe e Olga.

sere autentiche torture: «In quelleore sono diventata vecchia. Si puòinvecchiare anche in un giorno».

E sempre legata a San Vittore èuna delle vicende più commoventidella sua vita. Un episodio dolcis-simo, stravagante per il senso co-mune, ma non per la ra t i o evange-lica: «I pubblicani e le prostitutevi passano avanti nel Regno diDio» (Ma t t e o 21, 31). Prima di es-sere condotti al binario 21, segna-via cruciale per la deportazione,Liliana, suo padre e gli altri prigio-nieri «colpevoli d’essere nati», at-traversarono il corridoio del carceree videro animarsi, fra i detenuti, unaffettuoso e inatteso tumulto: «Do-ve vi portano?», «Voi non avetefatto niente!», «Vi vogliamo be-ne!», «Coraggio!», «Vi vogliamobene!», e a loro lanciarono tozzi dipane e avanzi di portata.

Dal binario 21 — presso cui oggicampeggia, per sua ostinata volon-tà, la scritta «Indifferenza» — Li-liana venne deportata ad Au-schwitz-Birkenau, dopo sette gior-ni di viaggio nel buio d’un trenopiombato. All’arrivo fu subito se-parata da suo padre, che non rive-drà mai più. Alberto Segre, cui ca-pitò la disgrazia di vivere da padrequell’immane tragedia, morirà il 27aprile 1944. Anche i nonni, in unsecondo momento, furono deporta-ti, benché anziani e malati (suononno soffriva di Parkinson) e uc-cisi al loro arrivo, il 30 giugno1944.

Di quella piccola famiglia mila-nese, discreta, timida, si salvò sol-tanto Liliana, per un colpo di “for-tuna”: fu scelta come operaia-schiava presso la fabbrica di muni-zioni Union. Questo significava la-vorare al coperto, lontano dall’in-verno continentale.

Da allora, Liliana divenne la nu-mero 75190 di una anonima man-dria stanziale, costretta a obbediresenza fiatare, in un recinto di fil diferro percorso giorno e notte dacorrente elettrica ad alta tensione e

tendeva la notizia sulla sua sorte,senza sollevare mai lo sguardo.«Arrivavo a essere perfino grata aquesto assassino che, ogni volta,mi risparmiava», racconterà ungiorno.

Durante una di quelle selezioni,sentì che fermavano dietro di leiJanine, una ragazza francese «daicapelli corti e ricciolini, gli occhiazzurri e una dolcissima voce». Li-liana era la sua inserviente; le por-tava dei pesi d’acciaio. Janine li ta-gliava con una macchina per farnebossoli per mitragliatrice. «Due,

za. Nel 2012, l’associazione Rondi-ne di Arezzo, presso cui la Segreaveva tenuto un intervento, decised’indire un concorso intitolato:«Voltati, Janine vive!».

Dopo la morte di Janine, la vitaal campo proseguì indisturbata nelsuo orrore. Liliana trovò subitoun’altra operaia schiava al postodell’amica francese e si ripromisedi non affezionarsi più a nessuno.Sino a quando, il 20 gennaio del1945, non cominciò a sentire il ru-more degli aerei che passavano so-pra la fabbrica. Capì, dal nervosi-smo degli aguzzini, che qualcosastava accadendo lontano dalla gee-na di Hitler.

Stavano arrivando i russi, che,dopo ampi combattimenti, avevanorotto il fronte dell’est e si avvicina-vano ad Auschwitz, a grandi passi.I nazisti fecero saltare con la dina-mite le strutture di morte, i crema-tori, le camere a gas, molte segrete-rie, molti documenti. E cosìcom’erano, in fabbrica, senza avercapito cosa stesse succedendo, iprigionieri furono obbligati tutti auscire e a iniziare quella che lapubblicistica statunitense definì«marcia della morte». E così, Lilia-na sotto la pioggia, o sulla neve, onel fango fino alle ginocchia, met-tendo fiaccamente «una gamba da-vanti all’altra», cominciò a cammi-nare, verso la libertà. Attorno a sé,venivano uccisi, con una fucilataalla testa, tutti quelli che cadevano,perché nessuno poteva rimanere lì,su quelle strade.

E quel mantra, che continuava aripetersi nel silenzio della menteancora lucida, in mezzo a tantimorti senza tomba, «voglio vivere,voglio vivere, voglio vivere», tra-sformò la marcia della morte inuna marcia per la vita.

Di San Vittore Liliana Segre ricorda spesso le lunghe orein attesa che suo padre rientrasse in cella dopo interrogatoriche tutti sapevano essere autentiche torture«In quelle ore sono diventata vecchiaSi può invecchiare anche in un giorno»E sempre legata a San Vittoreè una delle vicende più commoventi della sua vitaUn episodio dolcissimo, stravagante per il senso comunema non per la «ra t i o » evangelica

sotto un’impietosa catena di sorve-glianza, ai cui ordini immorali nonsi poteva mai disobbedire.

Nei suoi quattordici anni, si av-viava, senza sentire nulla e guarda-re nulla, verso le kapò che periodi-camente decidevano con un sì ocon un no chi fosse ancora in gra-do di lavorare e chi, invece, troppomagra, troppo debole, sarebbe sta-ta destinata al gas.

Passò quelle selezioni, tutte levolte, col cuore in gola, ripetendo-si: «Voglio vivere. Voglio vivere.Voglio vivere». Giungeva davantial suo giudice, a testa bassa, e at-

passavo la selezione, nella felicitàdella rinascita, sentii che fermava-no Janine e la mandavano a morte.Ed io fui orribile, vigliacca, spa-ventosa. Fui quella lupa affamata,egoista che ero diventata. Non misono voltata. Non ho fatto come idetenuti di San Vittore. Io non hodetto Janine, ti voglio bene, fatticoraggio. Non l’ho chiamata pernome: Janine!».

Eppure, la Segre non ha mai di-menticato quella ragazza francese,«che non fu donna, né madre, nénonna, per la colpa d’essere nata».La ricorda in ogni sua testimonian-

do che non c’è più, specchio — insie-me — della precarietà dei confini edella sciatteria di una scuola che tut-to confonde. Una scuola che è unaltro mondo rispetto al quotidianodel ragazzino — non solo per glispazi, i suoni, i tempi, ma anche perla lingua. Per quello che essa impo-ne («Si era arrivati al lei, ma a quelpunto ormai l’amara verità era difronte agli occhi di tutti: imparareuna lingua nella quale per dire voi sidice loro e per dire tu si dice lei nonpuò essere una faccenda seria»), eper come si fa rispettare («da oggiin avanti, chiunque tra loro commet-terà errori, dovrà versare, il giornostesso o al più tardi il giorno dopo,20 lire di ammenda per il reato diattentato alla lingua italiana. [...] Unquieto senso di colpa lo pervade difronte all’ineluttabilità del tracolloeconomico cui condurrà la sua fami-glia in pochi mesi»).

Sono i ruggenti anni Sessanta, enon è solo la vita di Ganbeto a esse-re oggetto di mutamenti profondi,repentini e quotidiani. Il “cesso”scompare per lasciare spazio al ba-gno, stanza che fa letteralmente irru-zione nelle case («Il vecchio Giobat-ta, nonno di Scalia e mutilatodell’altra guerra, quando sono arri-vati i murari ha tirato giù santi emadonne dicendo che era un’idea damacachi sporcaccioni quella di met-tersi il cesso attaccato al letto, e cheanche in trincea davanti al Piave [...]avevano avuto il buon senso di sca-vare le latrine lontane dai baracca-menti»). Nelle case arriva la televi-sione in bianco e nero, e con lei arri-vano Carosello e il maestro Manzi,

po; quando si perde per semprequella sensazione di mesi allungatiall’infinito, quando «era già passatoun po’ di tempo dall’inizio dell’esta-te, ma la fine era ancora lontana,un’eternità di vita davanti, primadell’autunno».

Ganbeto è inebriato, ma quelloche scorre davanti a sé lo vede bene.Non può fingere che nulla stia acca-dendo, lui che si trova a cavallo trail vecchio e il nuovo nella sua vita enella vita che lo circonda. Lui, capa-ce di imparare la lezione più com-plessa e dolorosa di tutte: si crescesolo lasciando indietro qualcosa.

Attraverso lo sguardo dell’adole-scente Gambeto in cui la trasforma-zione non è solo questione di altezzao di voce («che dopo un paio dimesi di alti e bassi si è finalmenteattestata su un livello più profon-do»), con delicatezza Paolo Malagu-ti invita a riflettere su cosa davverosia il cambiamento, esito dell’i n t re c -cio tra l’età anagrafica dei singoli, lasocietà mai immobile e la Storia chefa il suo corso.

«Va bene, pensa, è normale: poiarriva l’estate di San Martino e lecose si sistemano secondo i soliti rit-mi. Ma ormai sa che non è vero, lecose cambiano. Anche quelle chesembravano dover durare per semprescompaiono, macinate via da novitàche a loro volta dureranno il tempoche devono durare, e poi sarannospazzate. Arriva il cambiamento, esubito tutti dietro (…) I cambiamen-ti bisogna seguirli. Non solo seguirli,bisogna dominarli, possederli. Altri-menti anche tu vieni macinato via».

di SI LV I A GUSMANO

Che tempi ha l’adolescen-za, periodo unico nellavita in cui le settimanesembrano mesi e i mesidecenni, tanto è il turbi-

nio dei cambiamenti, tanta l’intensi-tà di quello che si vive? E che succe-de poi se, insieme con noi, cambiadefinitivamente il mondo circostan-te? Sono queste alcune delle doman-de al centro del nuovo romanzo diPaolo Malaguti, Se l’acqua ride ( To -rino, Einaudi, 2020, pagine 200, eu-ro 18,50), il cui protagonista è il gio-vane Ganbeto, che vive nella campa-gna del padovano.

La storia si snoda tra l’o t t o b re1965 e l’ottobre 1966, l’anno dellagrande alluvione, tra Ganbeto alun-no e Ganbeto «quasi apprendista»intermezzati da un’estate passata abordo del burchio del nonno Caron-te. Con una prosa poetica ed essen-ziale, condita dall’uso rassicurantedel dialetto, Malaguti accompagna illettore in un racconto capace di esse-re, insieme, unico e paradigmatico.

Il primo ottobre Ganbeto varca lasoglia della scuola tra finestroni, sof-fitto irraggiungibile, lunghi banchidi legno scuro davanti alla cattedra;le uniche note di colore sono le car-tine geografiche alle pareti, costante-mente protese a raccontare un mon-

arrivano abitudini nuove da doverconciliare con le vecchie. Arrivanonuovi lavori che iniziano a incrinarequella tripartizione che da sempreaveva segnato la vita del paese, tra«chi va operaio alla Fabbrica, chi stanei campi, chi parte sui burci».

I burchi, dunque, gli affusolatiburchi dal fondo piatto al timonedei quali da sempre i barcari tra-sportano merci lungo la rete di ac-que che si snoda da Cremona a Trie-ste, da Ferrara a Treviso. Ormai itrasporti però viaggiano sempre piùvia terra, e ai pochi burchi che anco-ra resistono i più hanno messo ilmotore, abbandonando i ritmi lentidelle correnti e delle maree. Moltima non tutti: c’è infatti — ed è il ca-so del nonno Caronte — chi nonvuole cedere. Anche per questo ini-zialmente il mozzo Ganbeto a bordodella Teresina si sente invincibile,scivolando sull’acqua in un’estateepica. È la forza della nuova respon-sabilità, della fame di imparare,dell’esempio del nonno: gli attracchi,le osterie, le burrasche, il mare e lalaguna, le campane di piazza SanMarco, i coloriti modi di dire di Ca-ronte e i suoi cappelli estrosi, le ra-gazze che s’incontrano.

È l’estate che traghetta Ganbetodal mondo dei piccoli a quello degliadulti, quando una delle prime cosea cambiare è la percezione del tem-

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 6 mercoledì 9 settembre 2020

Nell’isola di Mindanao a forte presenza musulmana riapre dopo due anni di restauri la chiesa di San Salvador del Mundo

Luogo di dialogoe di pacifica convivenza

di PAOLO AF FATAT O

La Chiesa a Mindanao, la gran-de isola nel Sud delle Filippi-ne, riflette sul suo essere una

comunità di persone che celebrano,professano e testimoniano la fede inCristo in quel contesto, nel tempopresente. La Chiesa è “popolo diD io” in cammino verso il Regno,pur in mezzo a paure e difficoltà cheriemergono, periodicamente, quandoatti terroristici come quello che ha direcente funestato la vicina isola diJolo generano apprensione, insicu-rezza, senso di precarietà. Con que-sta visione, la riapertura della piùantica chiesa cattolica di Mindanao,la parrocchia di San Salvador delMundo situata a Caraga, nella regio-ne di Davao orientale, restituita alculto dopo due anni di restauri, è unsegno promettente per la comunitàcattolica. L’antico edificio, costruito

nel 1883 e dichiarato sito storico na-zionale nel 2012, è stato restauratograzie alla feconda cooperazionedella Chiesa locale e delle istituzionicivili come la Commissione storicanazionale delle Filippine. La solenneriapertura, avvenuta nelle scorse set-timane, «testimonia la profonda fedecristiana del popolo filippino», hadetto monsignor Abel Cahiles Api-go, vescovo di Mati, durante la ceri-monia. «Questa è la prova della riu-scita collaborazione, materiale e spi-rituale tra la Chiesa e lo Stato», harimarcato il governatore della regio-ne, Nelson Dayanghirang, sottoli-neando il valore del lavoro comunein questo momento storico attraver-sato dalla pandemia di covid-19.

Non è stato l’unico luogo di cultoa riaprire i battenti: anche la chiesaparrocchiale di Sant’Anna a Piddig,nella provincia di Ilocos Norte,chiusa per quasi cinque anni per re-stauro, è stata riconsegnata ai par-rocchiani. E altre quattro chiesedell’area di Bohol riapriranno nel2021: il fermento nella comunità deibattezzati a Mindanao — area dovela Chiesa cattolica conta 21 provinceecclesiastiche (18 diocesi, 2 prelatureterritoriali, una vicariato apostolico)— è tutto proteso verso il crucialeappuntamento del 500° anniversariodell’arrivo del cristianesimo nelle Fi-lippine (1521-2021). Tutta la Chiesanell’arcipelago ha vissuto un periododi preparazione decennale aquell’evento che sarà un momentoessenziale di confessione della fede,di consolidamento pastorale, di im-pegno per l'evangelizzazione.

L’area delle Filippine meridionali,occupata in larghissima partedall’isola di Mindanao, ha caratteri-stiche proprie e un suo specificovolto sociale e culturale: infatti,mentre nel resto dell’arcipelago lapercentuale dei fedeli cattolici supe-ra il 90 per cento, a Mindanao, sucirca 25 milioni di abitanti, i cattoli-ci sono il 57 per cento (dati del cen-simento del 2015) con 14 milioni diaderenti, mentre il 23,5 per centodella popolazione segue la religioneislamica e sono presenti consistentie antiche comunità indigene (i “lu-mads”), legati a culti animisti. Vanotato che i fedeli musulmani (circa6 milioni) sono concentrati nella re-gione autonoma “B a n g s a m o ro ”, do-ve costituiscono il 90 per cento del-la popolazione e dove i cristiani so-

no, invece, un’esigua minoranza.Questa articolazione delle comunitàreligiose ha creato la necessità di av-viare percorsi di dialogo interreligio-so e iniziative per costruire e conso-lidare la pacifica convivenza, ancheperchè da 50 anni l’area è attraversa-ta da conflitti innescati da gruppi ri-belli di matrice islamica, promotoridi autonomia o indipendenza. Suquesti fermenti si sono innestate leprovocazioni di movimenti del ter-rorismo internazionale che hanno avolte attratto e coinvolto gruppi lo-cali come “Abu Sayyaf”, complican-do a volte i rapporti con le istituzio-ni civili e con le comunità cristiane:basti ricordare i due attentati dina-mitardi del 24 agosto scorso a Jolo,nella provincia di Sulu, non lontanodal luogo dove nel 2019, all’internodella cattedrale cattolica di Jolo,una bomba uccise più di 20 perso-ne.

«Il restauro e la riapertura dellechiese di mattoni, oggi, è segno delrinnovamento e del nuovo slanciodella comunità di uomini e donnebattezzati, ferventi nella fede nono-stante le violenze e le minacce subi-te», riferiscono a «L’Osservatore Ro-mano» un sacerdote della diocesi di

Dipolog e una laica cattolica impe-gnati a costruire cappelle per le co-munità rurali, con lo scopo di ali-mentare la fede della popolazione.Padre Joel Agad, parroco e direttoredella pastorale di Dipolog, insieme aChrisma Bangaoil, insegnante uni-versitaria e missionaria laica, hannoiniziato cinque anni fa un program-ma chiamato “Love the Poor”, gra-zie al sostegno di benefattori locali eamici. Il progetto ha goduto di unpremio speciale finanziato dallaPontificia Università della SantaCroce, con sede a Roma, e ha potu-to continuare a edificare cappelle(l’ultima intitolata al Curato d’Ars)per il culto delle comunità indigenenella diocesi di Dipolog e in altriluoghi. «Il Signore benedice ognisforzo per radunare e portare piùpersone a Lui», racconta ChrismaBangaoil, docente di scienze com-portamentali all’Università domeni-

cana di Santo Tomas a Manila. Ladonna riferisce della recente costru-zione di una cappella, in un’area diconfine fra tre barangay (villaggi),che darà alla gente del luogo la pos-sibilità di partecipare alla messa do-menicale. «Abbiamo chiamato quelluogo Ars, affidandolo al patrocinio

di san Giovanni Maria Vianney, eintitolato al santo la cappella. Ab-biamo raccontato la storia del Cura-to e la gente lo ha subito amato»,nota Bangaoil. Intere comunità ditre villaggi hanno collaborato percostruire la chiesa: «Abbiamo vistocuori generosi anche durante la pan-demia», osserva la donna. Secondodon Agad, la costruzione di nuovecappelle e stazioni missionarie rap-presenta uno degli aspetti dell’azio-ne pastorale ed evangelizzatrice:molte diocesi a Mindanao si stannoconcentrando sulla formazione allafede di bambini, giovani, donne, fa-miglie, promuovendo incontri sulladignità umana, sulla giustizia socia-le, sullo sviluppo della famiglia esulla risposta alla povertà, che carat-terizza l’area di Mindano. La Chie-sa, infatti, non può dimenticare chesull’isola, che ospita un quarto dellapopolazione nazionale, oltre il 33per cento degli abitanti — informa laBanca Mondiale — vive al di sottodella soglia di povertà. Il Pil pro ca-pite di Mindanao è di 1.800 dollaril’anno, ovvero la metà della medianazionale, mentre nella regione auto-noma di Bangsamoro la cifra si di-mezza ulteriormente, segno di arre-tratezza e di un basso indice di svi-luppo umano, sociale ed economico:in tale scenario, la sfida politica de-terminante è accelerare l’inclusione ela crescita, migliorare l’o ccupazionee ridurre la povertà.

Proprio con questa consapevolez-za, il programma “Love the Poor” èun’iniziativa pastorale di carattereolistico, pensata per offrire sviluppoe prosperità alle famiglie povere. Fi-nora ha coinvolto oltre mille nuclei eche verrà esteso ad altre parrocchie ediocesi: «Il fine non è quello pura-mente assistenzialistico, ma è opera-re per il bene comune e per il futurodelle comunità», spiega Bangaoil, ri-ferendo l’insegnamento di strumentie tecniche di gestione dell’agricoltu-ra, dell’artigianato e del commercio,che possano accompagnare la cresci-ta nel sostentamento familiare,nell’istruzione, nello sviluppo socialee culturale di intere comunità indi-gene depresse. È un impegno a rag-giungere le “periferie esistenziali”che, spiega la docente, è «propria-mente secondo il cuore le parole diPapa Francesco».

A Mindanao, inoltre, risulta cru-ciale la missione del dialogo e di co-struire una serena convivenza con lacomunità islamica, anche per sottrar-re terreno ai gruppi terroristi che vo-gliono avvelenare il clima sociale re-

ligioso. A tal fine, figura di riferi-mento, oggi riscoperta e riportata inauge, è quella del vescovo Bienveni-do S. Tudtud (1931-1987), della prela-tura apostolica di Marawi, decedutoin un incidente aereo. Oggi la suavisione profetica riemerge grazieall’impegno dell’Università di SantoTomas, alla Commissione episcopaleper il dialogo interreligioso e al mo-vimento per il dialogo islamo-cristia-no “Silsilah”. «Essere amati da Dio— ha scritto il vescovo — e poterloamare è un’esperienza umana tantoreale quanto misteriosa. Questoscambio tra divino e umano è inrealtà l’essenza di ciò che i cristianichiamano “Buona notizia” e di ciòche i musulmani intendono quandosi riferiscono a Dio come misericor-dioso, compassionevole e amorevole.Annunciare e proclamare questoamore è parte integrante della mis-sione del cristianesimo e dell’islam».Dunque «qualsiasi attività umanapuò essere un veicolo per comunica-re la buona notizia sull’amore diDio. L’uomo diventa pienamenteumano quando mette in relazionel’amore di Dio e la vera comunionecon il prossimo: questo è l’autentico

dialogo», rimarcava monsignor Tud-tud.

In una situazione di conflittualità,ostilità e pregiudizio tra credenti, ag-giungeva, «condividere l’esp erienzadell’amore di Dio attraverso il dialo-go diventa ancor più indispensabile.Laddove esistono muri, il dialogo èla via per costruire ponti. Dialogo —prosegue il presule — significa unaricerca costante e genuina di bontà,bellezza e verità. Ogni persona deveessere aperta al fatto che può esserearricchita dalla bontà, dalla bellezzae dalla verità che si trovano nel pros-simo. Ognuno deve essere pronto ascoprire il volto di Dio nell’a l t ro » .Concludeva il vescovo Tudtud: «Ildialogo è soprattutto una comunio-ne, in totale abbandono a Dio, trauomini che perseverano nella spe-ranza di un cambiamento del cuoree partecipano alla costruzione delRegno di Dio, che Lui solo puòportare a compimento». In questeparole sta la road map che, la Chiesadi Mindanao seguirà per rinnovarela sua identità e la sua missione,mentre si avvicina il 2021, anno incui si torna alle sorgenti della fede.

Vicinanza a chi vive ai margini della societàL’appello dell’arcivescovo di Kuala Lumpur in tempo di pandemia

KUA L A LUMPUR, 8. «La forza diuna nazione si vede, non quando lecose vanno bene, ma quando vienecolpita da una crisi. Pertanto, è sta-to confortante vedere le personeunite nel fornire aiuto e sostegnonei momenti di bisogno, indipen-dentemente dalla etnia, dalla reli-gione o dalla propria opinione poli-tica. Siamo grati a Dio per coloroche hanno guidato la lotta contro ilcovid-19, in particolare tutti gli ope-ratori sanitari e le persone in primalinea. La lotta contro la pandemiaha dimostrato che i malesi possonolavorare insieme ed essere uniti co-me fossero una cosa sola, sia neimomenti buoni che in quelli diffici-li»: lo afferma monsignor JulianLeow Beng Kim, arcivescovo diKuala Lumpur, in un messaggiopubblicato in vista della celebrazio-ne del Malaysia Day, il 16 settem-

bre, in cui si ricorda l’istituzionedella Federazione della Malaysia,avvenuta nel 1963. Il tema di que-st’anno, scelto dall’intera nazioneper questa celebrazione, così comeper quella della Giornata nazionale,che ogni 31 agosto commemora l’in-dipendenza dalla Gran Bretagna nel1957, è «Il Paese ha a cuore la suapopolazione»: si tratta di una rifles-sione sullo spirito di patriottismo,unità e amore verso il paese che si èespresso in modo particolarmentepalese nella lotta contro il coronavi-ru s .

In linea con questo tema, affermail presule, «la nuova normalità deveessere quella di una maggior preoc-cupazione e cura per i nostri vicini,specialmente per coloro che sono aimargini della società e hanno persodi più a causa di questa pandemia.Notiamo con preoccupazione che le

diverse comunità di migranti, sianoesse in possesso o prive di docu-menti, hanno subito un forte impat-to perché non godono dello stessosistema di protezione sociale deimalesi». Da qui l’appello rivolto algoverno affinché «ognuno possa,per motivi umanitari, essere soccor-so e integrato nel piano di ripresache mira a condurre la nostra nazio-ne fuori dalla crisi».

Il 2020, ricorda inoltre l’a rc i v e -scovo di Kuala Lumpur, che è an-che presidente della Federazionecristiana della Malaysia — o rg a n i -smo che riunisce i leader cristianidelle diverse confessioni del paeseasiatico — segna il cinquantesimoanniversario della Carta dei RukunNegara (“Principi nazionali”), unadichiarazione sulla filosofia del Pae-se pubblicata nel 1970. Il documen-to costituisce un modello per l’unitànazionale guidato dai seguenti prin-cipi: fede in Dio, lealtà al re e allapatria, supremazia della costituzio-ne, Stato di diritto, mutuo rispettoe moralità.

La dichiarazione, commentamonsignor Leow Beng Kim, «ha loscopo di raggiungere e promuovereuna migliore unità tra i cittadini ditutti i ceti sociali; preservare un mo-do di vivere democratico; creare unasocietà giusta in cui la prosperitàdel Paese possa giovare a tutti inmodo equo e giusto; assicurare unapproccio libero verso le diverse ric-che tradizioni culturali; costruireuna società di progresso che faràuso della scienza e della tecnologiamoderna». Il presule chiede quindial governo «di impegnarsi nuova-mente su questi principi fondamen-

tali, punto di riferimento e lineaguida per tutte le decisioni politichein Malaysia».

«La pandemia ha portato alla ri-balta la nostra fede in Dio, ci fa ca-pire la vulnerabilità delle nostre vitee il nostro comune bisogno diDio», prosegue l’arcivescovo diKuala Lumpur, citando le paroledel Papa Francesco durante l’udien-za generale del 12 agosto: «La pan-demia ha messo in risalto quantosiamo tutti vulnerabili e intercon-nessi». «Se non ci prendiamo cural’uno dell’altro — osservava il Pon-tefice in quella occasione — a parti-re dagli ultimi, da coloro che sonomaggiormente colpiti, incluso ilcreato, non possiamo guarire ilmondo». Ecco perché la nota del

presule invita tutti «a unirsi percombattere questa pandemia e ri-lanciare la nostra economia nazio-nale», abbandonando le divisionitra leader e tra politici. MonsignorLeow Beng Kim conclude con que-sto appello: «Chiediamo a tutti dimettere da parte le differenze e leschermaglie politiche e di essereuniti nel lavorare insieme per il be-ne della nazione. In un momentocome questo, è fondamentale dimo-strare che le nostre differenze noncontano». La Malaysia è un Paesemultietnico, multiculturale e multi-religioso, che conta quasi 32 milionidi persone, oltre il 60 per cento del-le quali musulmane. I cattolici rap-presentano solo il quattro per centodella popolazione.

Lutto nell’episcopatoMonsignor Benedict To Varpin,arcivescovo emerito di Madang,in Papua Nuova Guinea, è mortonella mattina di martedì 8 set-tembre a Rabaul. Nato il 24 lu-glio 1936 a Volavolo, nell’a rc i d i o -cesi di Rabaul, era divenuto sa-cerdote il 24 gennaio 1971. Nomi-nato vescovo di Bereina il 30 ot-tobre 1979, aveva ricevuto l’o rd i -nazione episcopale il 19 marzo1980. Nominato coadiutoredell’arcivescovo di Madang il 26gennaio 1987, gli era succeduto ilsuccessivo 31 dicembre. E il 24luglio 2001 aveva rinunciato algoverno pastorale.

†La Segreteria di Stato comunica condolore che è deceduto

S.E. Monsignore

JOSEPH CHENNOTH

Arcivescovo titolare di Milevi,Nunzio Apostolico in Giappone

Voglia Cristo, Buon Pastore, in cuiil compianto Presule ha creduto ferma-mente nel corso del suo generoso ser-vizio alla Santa Sede e alla Chiesa,concedergli il meritato premio e acco-glierlo accanto a sé nella gioia e nellapace.

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L’OSSERVATORE ROMANOmercoledì 9 settembre 2020 pagina 7

Questione di sopravvivenzaIl custode di Terra Santa sulla colletta del 13 settembre

di ROBERTO CETERA

«L a colletta del venerdì san-to è ogni anno la fonte disostegno principale della

Custodia di Terra Santa, ma que-st’anno rischia di essere anche la so-la», esordisce subito con tono acco-rato padre Francesco Patton, 56 an-ni, da quattro custode dei luoghisanti della redenzione. «Dobbiamosempre ricordare che la nostra Chie-sa è una piccola Chiesa nel contestodel Medio oriente, chiamata però aun compito grande per la Chiesauniversale. Qui i cristiani sono circail 2 per cento della popolazione: èchiaro che da soli, senza l’aiuto dellealtre Chiese, non potremmo mai far-cela».

Da sempre la Chiesa locale (maanche di Giordania, Siria, Libano,Egitto, Cipro e Rodi) vive del sup-porto e della generosità che le Chie-se di occidente non fanno mancareai cristiani che in questa terra tengo-no viva la memoria della storia dellasalvezza. Nel 1974 Papa san Paolo VIistituzionalizzò e regolamentò laColletta del Venerdì santo con

l’esortazione apostolica Nobis in ani-mo. La preoccupazione di padre Pat-ton è tuttavia oggi ben fondata. Co-me è noto, a causa del lockdowncausato dalla pandemia di covid-19 ilSanto Padre ha disposto di spostarela colletta a domenica 13 settembre,il giorno prima della festa liturgicadell’Esaltazione della Santa Croce(che ricorda il ritrovamento dellaCroce di Gesù da parte di sant’Ele-na, e cioè l’inizio del culto pubblicoa Gerusalemme e della costruzionedella prima basilica del Santo Sepol-cro). «Sono ben consapevole — ri-prende il custode — delle difficoltàconnesse a questo spostamento: l’af-fluenza nelle Chiese in occidente ètutt’oggi abbastanza limitata, le atti-vità pastorali a settembre non sonoancora riavviate, molte parrocchie ediocesi versano anch’esse in una si-tuazione economica precaria, e so-prattutto tanti tra i benefattori deglianni passati sono in sofferenza eco-nomica. Ma per la vita dei cristianidi Terra Santa è essenziale che lacolletta di quest’anno sia generosaalmeno come quelle degli anni pre-cedenti. Da questo punto di vista so-

no grato all’Osservatore Romano difarsi eco al nostro appello. Il vostrogiornale è sicuramente il più lettotra i vescovi di tutto il mondo e so-no certo che nella loro sensibilitàper le nostre sorti sapranno sostener-ci come sempre, magari sostituendoil pellegrinaggio in Terra Santa conun pellegrinaggio virtuale e genero-so. Noi qui a Gerusalemme non ve-diamo un pellegrino ormai da seimesi. La città vecchia è deserta. Nel-la basilica del Santo Sepolcro posso-no entrare solo venti persone pervolta e dal venerdì alla domenica ri-mane chiusa».

E i pellegrinaggi, come è noto,«sono l’altra grande fonte di sosten-tamento della Custodia, ma soprat-tutto sono la fonte di reddito esclu-siva per migliaia di famiglie, soprat-tutto cristiane, che lavorano nell’ac-coglienza turistica e nel commer-cio».

Praticamente da sei mesi, spiegaPatton, «i nostri bilanci vedono solouscite e nessuna entrata. Eppure lespese corrono: tutti i lavoratori rice-vono regolarmente lo stipendio, gliinsegnanti delle nostre scuole sono

normalmente remunerati anche semolte famiglie non ce la fanno a pa-gare le pur esigue rette, e poi i ven-ticinque santuari che ricordano la vi-ta di Gesù in questa terra, e che cu-stodiamo, necessitano comunque diuna manutenzione ordinaria anch’es-sa costosa. Ma, vorrei che fosse chia-ro, sostenere la Custodia significasolo marginalmente sostenere la ge-stione dei santuari e la vita dei circatrecento frati. Significa piuttosto aiu-tare a sopravvivere questa piccolama coraggiosa comunità di cristiani.Il 90 per cento dei fondi che racco-gliamo con la colletta sono destinatialle attività pastorali e sociali. Fra lepastorali mi preme soprattutto ricor-dare le parrocchie guidate dai nostriconfratelli in Siria, che stanno ormairaggiungendo la triste boa dei diecianni di guerra civile, e a cui ora siaggiungono gli effetti tragici dellapandemia. Parlavo giusto ieri con ilnostro parroco di Aleppo, che miraccontava della disperazione diffusaper la mancanza di ossigeno nei re-parti di rianimazione. Anche i nostrifrati sono rimasti vittime del covid;l’ultima, solo pochi giorni fa qui aGerusalemme, il padre Feras Heraz-jm».

E poi l’attività pastorale e sociale:«I cristiani di Betlemme che vivonosoprattutto di turismo religioso nonvedono un quattrino da sei mesi.Noi cerchiamo di aiutare tutti, manon è facile. Cerchiamo di dare prio-rità alle famiglie più in difficoltà ealle scuole. Le scuole sono il presup-posto necessario per un futuro dipace nella regione. Sono frequentateanche da tanti giovani musulmani:interpretiamo fino in fondo lo spiri-to espresso da Papa Francesco nelDocumento sulla fratellanza umana.Per la pace mondiale e la convivenzacomune, firmato lo scorso anno adAbu Dhabi insieme al grande imamdi Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb».

Lo stesso disagio vale per i lavora-tori stranieri immigrati in Israele che«con la pandemia hanno perso il la-voro, ma non possono tornare neiloro Paesi. E poi i tanti profughi erifugiati dell’area, in Giordania, Li-bano e Siria. La situazione in Liba-no è disastrosa: il Paese è ormai alla

bancarotta, risalgono le tensioni trale fazioni e l’esplosione al porto diBeirut ha provocato circa 300.000senzatetto. Il nostro convento — ri-corda il custode — è stato semidi-strutto e un frate è stato estratto an-cora vivo dalle macerie. Capite dun-que da questo tanto rapido quantotragico giro d’orizzonte come aiutarela Custodia di Terra Santa con laColletta del Venerdì santo, o megliodel 13 settembre, significhi principal-mente dare una mano a fronteggiaretutte queste difficili situazioni. Sonocerto che i vescovi e le comunità cri-stiane di tutto il mondo anche inquesto anno difficile per tutti nonmancheranno di far sentire la lorogenerosità: Gerusalemme è patrimo-nio di tutti i cristiani».

E i lavori di restauro alla basilicadel Santo Sepolcro che erano statiannunciati già lo scorso autunno?«Purtroppo sono sospesi», rispondecon amarezza padre Patton: «È unvero peccato perché questo temposenza pellegrini sarebbe stato idealeper svolgere i lavori nella basilicasenza creare troppi disagi. Ma comeè noto le frontiere sono chiuse, e itecnici delle università coinvolte nelprogetto non possono raggiungereIsraele». Malgrado la pandemia la

situazione politica in Israele è co-munque in fermento; è di pochigiorni fa la notizia dello storico ac-cordo tra Stato israeliano ed EmiratiArabi Uniti. «Si — riprende il custo-de di Terra Santa — questo è un mo-mento importante; dopo gli accordidi Begin con l’Egitto e Rabin con laGiordania, gli Emirati sono il terzoPaese arabo a pacificarsi con Israele.Può essere l’inizio di un percorsoche forse potrà coinvolgere anche al-tre nazioni. Salutiamo con soddisfa-zione questa intesa, ma ci auguriamoche presto possa realizzarsi un accor-do di pace non solo con i vicini dicasa ma anche con i coinquilini. Iospero tanto che in un futuro nonlontano si possa girare in Mediooriente così come oggi si viaggia trai Paesi dell’Europa, senza restrizionie in libertà. È inutile che le aggiun-ga che aiutare la Custodia significaaiutare un operatore di pace, signifi-ca mettere un piccolo ma non insi-gnificante tassello al processo di dia-logo e comprensione reciproca. Que-sto i vescovi e le comunità cristianedi tutto il mondo lo sanno, perciòsono certo che il 13 settembre sa-pranno essere generosi come sempre,e di più».

L’appello di organizzazioni ecumeniche

Tutti unitiper la ripresa del Libano

GINEVRA, 8. Dopo la tremendaesplosione che ha squarciato il cuo-re di Beirut un mese fa, e mentre ilLibano attraversa un momento as-sai critico della sua storia, la comu-nità internazionale dovrebbe in-staurare «un meccanismo umanita-rio completo di coordinamento ecollaborazione con la società civi-le», è quanto chiedono in una di-chiarazione congiunta il Consiglioecumenico delle Chiese (Wcc), ActAlliance e il Consiglio delle Chiesedel Medio Oriente (Mecc), rinno-vando la loro vicinanza a tutti i li-banesi «che hanno perso i loro ca-ri» e assicurando la loro solidarietà«ai familiari dei defunti, i feriti, glisfollati e i sofferenti».

Riconoscendo e promuovendo«le azioni rapide ed efficaci intra-prese dalla società civile libaneseper rispondere e alleviare le soffe-renze delle persone colpite», le or-ganizzazioni ecumeniche definisco-no questa risposta al disastro come«segno significativo di speranza»,che rafforza la capacità delle perso-ne «di superare questa enorme crisie di ridare fiducia nella società peril futuro della nazione».

Detto ciò, tuttavia, il segretarioad interim del Wcc, il sacerdote or-todosso Ioan Sauca, il segretariogenerale di Act Alliance, il brasilia-no Rudelmar Bueno de Faria, equello del Mecc, Souraya Bechea-lany, ritengono opportuno sottoli-neare «una serie di punti crucialiper una ripresa sostenibile» in Li-bano. Sebbene l’assistenza umani-taria immediata sia «essenziale»,affermano i firmatari della dichiara-zione, «garantire la resilienza alungo termine è fondamentale perla ripresa sostenibile del Libano dashock multipli, riunendo le compo-nenti umanitarie, di sviluppo, dipace e di sicurezza umana in unapproccio sistemico globale».

L’esplosione e le sue conseguenzeaggravano una profonda crisi eco-nomica e sociale preesistente, con ilcinquanta per cento dei libanesiche vive sotto la soglia di povertà e400.000 sfollati, proseguono, riba-dendo la necessità di «un impegnocompleto, dettagliato e sostenutoper garantire un impatto positivoduraturo». Il Wcc, Act Alliance e ilMecc si uniscono poi «per invitaretutti i loro membri e partner a gal-vanizzare le loro risorse — umane,finanziarie, di comunicazione, tec-niche e spirituali — per sostenere ilpopolo libanese nel superare que-sta profonda crisi» e incoraggiare«tutte le iniziative che le organiz-zazioni religiose e le Chiese intra-prendono per rispondere non soloai bisogni umanitari del popolo li-banese, ma anche spirituali». Infi-ne, deve emergere «una reale re-sponsabilità per questo disastro, at-traverso un’indagine indipenden-te». In particolare, la comunità in-ternazionale, attraverso le NazioniUnite, dovrebbe assicurare «unprocesso indipendente e credibile»affinché «i responsabili siano con-segnati alla giustizia e l’impunitàsia evitata».

«Questo è un momento esisten-ziale critico e storico per il Libano— un paradiso per la diversità reli-giosa e sociale in Medio oriente —e come tale, siamo tutti interessatie chiamati a contribuire a garantirela sopravvivenza del Libano», silegge in conclusione della dichiara-zione. Con tutte le tragedie e le sfi-de del suo passato e del presente, ilPaese dei cedri si pone «come se-gno e simbolo della convivenzanella diversità», affermano le treorganizzazioni ecumeniche, riba-dendo che il popolo libanese «me-rita il nostro sostegno per sopravvi-vere, resistere e ritrovare la speran-za per il proprio futuro».

In Egitto la pandemia non ferma i lavori per il Cammino della sacra Famiglia

Dove si respira la fede

Il custode di Terra Santa, padre Francesco Patton

Maria, la madreche ebbe cura

di Gesù, si prende curacon affetto e dolore materno

anche di questo mondo ferito

(@Pontifex_it)

IL CA I R O, 8. Un Paese, l’Egitto, for-temente colpito dalla pandemia dicoronavirus ma non per questo fiac-cato nella speranza di poter usciretutti insieme, autorità politiche e re-ligiose, da un’emergenza infinita.Anche riproponendo iniziative perintensificare i pellegrinaggi lungo ilCammino della sacra Famiglia, itine-rario tra chiese e monasteri su unpercorso che tocca 25 luoghi, distri-buiti in otto governatorati, attraver-sati, secondo tradizioni millenarie,da Maria, Giuseppe e Gesù Bambi-no quando in Egitto trovarono ripa-ro al sicuro dalla violenza di Erode.La partenza è da Betlemme e pas-sando poi dai monasteri nell’area diWadi el Natrun e da quello di Deiral Muharraq, nel governatorato diAssiut, dove la sacra Famiglia, se-condo tradizioni locali, si stabilì perpiù di sei mesi in una grotta poi in-globata nell’antica chiesa della Ver-gine, si ha come punto d’arrivo ilC a i ro .

Anche quest’anno non si fermaquindi una tradizione specchio di unprogetto le cui prime linee furonotracciate circa vent’anni fa ma in so-stanza rilanciato dalle forze governa-tive dopo il viaggio apostolico diPapa Francesco nell’aprile del 2017che ha dato la spinta decisiva; e raf-forzatosi ulteriormente dopo l’incon-tro, nell’ottobre dello stesso anno, altermine dell’udienza generale del

Pontefice, con una delegazione egi-ziana impegnata a promuovere l’ini-ziativa in collaborazione con l’O peraromana pellegrinaggi (Orp).

«Ricordo con affetto — aveva af-fermato il Pontefice — la mia visitaapostolica nella vostra terra buona eal suo popolo generoso; terra sullaquale ha vissuto San Giuseppe, laVergine Maria, il Bambino Gesù etanti profeti; terra benedetta attra-verso i secoli dal prezioso sangue deimartiri e dei giusti; terra di convi-venza e di ospitalità; terra di incon-tro, di storia e di civiltà».

Il rinnovato fermento ha avviatocosì una significativa “reazione a ca-tena” che ha portato all’accordo in-tercorso, nel febbraio 2018, tra il mi-nistro del Turismo egiziano, Raniaal-Mashat, e rappresentanti del-l’Unione nazionale italiana trasportoammalati a Lourdes e santuari inter-nazionali (Unitalsi). In quell’o cca-sione la donna politica egiziana hasottolineato come l’Egitto sia unPaese in cui si incontrano tutte le fe-

di e sempre pronto ad accogliere ipellegrini provenienti da tutto ilmondo e che la figura di Maria, in-torno alla quale ruota il Camminodella sacra Famiglia, rappresenti unesempio di unità, forza e coraggio.

Nelle scorse settimane, inoltre, ilgenerale Osama al Qadi, governato-re della provincia di Minya, ha an-nunciato l’avvio dei lavori per mi-gliorare le vie d’accesso alle aree sto-riche toccate dal Cammino situatenei territori da lui amministrati comel’area in cui si trova la chiesa dellaSanta Vergine a Jabal al-Tayr, consi-derata tra le più belle del Paese e so-prattutto legata, secondo la tradizio-ne, alla permanenza di Gesù, Giu-seppe e Maria in Egitto.

L’amministrazione egiziana hainoltre pubblicato nel 2019 un cata-logo in lingua inglese e araba con il-lustrazioni e mappe topografichedelle varie soste della permanenzadella sacra Famiglia nel paese dei fa-raoni, e promosso una campagna af-finché il Cammino entri nella listadei siti riconosciuti come patrimoniomondiale dall'Unesco.

«Questo viaggio è un dono diDio a tutti gli egiziani», ha dichiara-to a tal proposito il patriarca Tawa-dros II apprezzando gli sforzi com-piuti dal governo per rendere più si-gnificativo e affascinante l’itinerario.L’impegno dell’esecutivo ha portatonegli anni al restauro di importantiedifici di culto: la cosiddetta “chiesasosp esa”, nel quartiere copto dellaCairo vecchia, così chiamata perchécostruita sulla sommità di un’anticafortezza romana, inaugurata nel 2014dopo lavori durati sedici anni; lachiesa della Vergine Maria e delmartire Abanoud al Samanoud, lapiù antica del governatorato diGharbiya, nel delta del Nilo, e quel-la di Abu Serga nel centro storicodel Cairo, risalente al quarto secoloe costruita sopra una grotta che si ri-tiene abbia offerto riparo alla sacraFamiglia durante il soggiorno nellare g i o n e .

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 mercoledì 9 settembre 2020

L’opera di san Pietro Claver per gli schiavi

Dalla parte degli oppressidi MARCO BELLIZI

Onestà, “biodiversità cultura-le”, democrazia e sinodali-tà, agnosticismo. Sono tan-

te le suggestioni che, come di con-sueto, Papa Francesco regala aqualunque suo interlocutore, inparticolare se il confronto lo solle-cita su temi che gli stanno molto acuore. Sotto questo aspetto, in par-ticolare, il libro edito da Giunti-Slow Food Editore per la collanaTerrafutura, Dialoghi con PapaFrancesco sull’ecologia integrale, scrit-to da Carlo Petrini (pagg. 240, eu-ro 16) è uno scrigno ricchissimo.Come suggerito dal titolo, il volu-me raccoglie anzitutto tre colloquiavuti dall’autore, il fondatore diSlow Food, con il Pontefice, nelcorso di altrettanti incontri avuti intempi diversi, prima e durante lapandemia. Le conversazioni, chemanifestano appunto uno stile in-formale, schietto, vengono poi ac-compagnate da alcune riflessionidello stesso Petrini inquadrate nelmagistero petrino grazie alla ripub-blicazione di altrettanti discorsi delPapa, tenuti in diverse occasionipubbliche. Il libro, che gode dellaprefazione del vescovo di Rieti,Domenico Pompili, nasce anchecon l’obiettivo di aiutare le Comu-nità Laudato si’ che ad Amatrice,come noto colpita duramente dalterremoto del 2016, si sono propo-ste di creare un centro studi inter-nazionale dedicato appunto all’eco-logia integrale, la Casa Futuro –Centro Studi Laudato si’: i ricaviderivanti dalla vendita del libro sa-ranno infatti destinati a ristruttura-re un edificio lesionato dal terre-moto al fine di fissarne lì la sede.

Onestà, si diceva: è il primo te-ma che padre Antonio Spadaro, di-rettore di «La Civiltà cattolica», ha

voluto evidenziare, intervenendoquesta mattina a Roma, a PalazzoPio, alla presentazione del libro.Afferma il Papa: «Quante volte cicapita di pensare: “Questa persona,io non la penso come lei, ma èonesta”. Se manca l’onestà non c’èdialogo che valga, non è propriopossibile». «In questo libro — haspiegato Spadaro — io trovo unasfida culturale e sociale fortissimache pone il dialogo come metodoradicale. Oggi si fa sempre più fati-ca a camminare insieme. La nostravita sociale e politica mette al cen-tro l’io virale e megafonico». È untema legato a doppio filo a quellodella “biodiversità culturale”,espressione usata da Petrini a rias-sumere il concetto caro a Francescodi difesa delle differenze che a li-vello culturale da locali diventanoricchezza globale, planetaria. Di-versità che impongono la necessitàdel confronto, anche del disaccor-do. Spiega il Papa nel libro, ri-spondendo a una delle domande diPetrini: «La Chiesa è andata avantigrazie agli strappi, agli slanci inavanti. In certi momenti storici sisono proposti slanci coraggiosi chesparigliavano le carte e generavanoaccese discussioni, ne derivavanoreazioni e in alcuni casi persecuzio-ni, infine si faceva il passo in avan-ti. C’è bisogno di accendere discus-sioni fertili e proficue, c’è bisognodi mettere in circolo energie e idee.Ma questa è solo una mia persona-le teoria». Per far sì che chi si facarico di questi strappi non vengaprogressivamente additato, e poiisolato e denunciato, occorre ap-punto quell’onestà intellettuale cheil Papa ritiene elemento imprescin-dibile di qualsiasi dialogo.D all’onestà come metodo, ha spie-gato ancora Spadaro, nasce un’ideadi società che si basa sulla comuni-

tà, una rete di relazioni dirette daun progetto comune. È un po'quello che il teologo Stefano Man-cuso ha definito “democrazia vege-tale”, un pensiero, spiega ancora ildirettore di «La Civiltà cattolica»,«che invita ad abbandonare il “mo-dello animale”, basato su un cervel-lo che coordina rigidamente tuttele attività dell’organismo, per ab-bracciare appunto quello vegetale,che non è fatto di un centro dire-zionale unico ma nel quale ogniparte dell’organismo è capace digenerare e rigenerarsi, contribuen-do al benessere collettivo senza tut-tavia essere dipendente dal cen-tro». C’è in germe, qui, «una ideadi sinodalità che si applica al vive-re sociale».

Nel confronto con la diversitàun aspetto cruciale per la Chiesa ènaturalmente quello del rapportocon i non credenti. Nel libro Petri-ni scrive: «Lei sa che io sono agno-stico…». E il Papa risponde:«Agnostico pio. Lei ha pietà per lanatura e questo è un atteggiamentonobile». «Vorrei attirare l’attenzio-ne — ha osservato padre Spadaro —sulla differenza radicale tra il dirsi“ateo devoto” ed essere “«agnosticopio”, nella lettura che Francesco fadi questa espressione. La pietas p erFrancesco ha un significato benpreciso e riguarda non la frequen-tazione di temi cattolici o di am-bienti curiali, ma l’atteggiamentonobile nei confronti della natura.Una pietas davvero laica, dunque,ma che implica una apertura natu-rale alla trascendenza».

Se oggi la diversità delle idee èconsiderato un disvalore, ha osser-vato il vescovo Pompili presentan-do il libro, «il fatto è che la terra,su cui “Carlin” ha focalizzato lasua attenzione sin da quando si èinterrogato sul cibo come espres-sione culturale, è pure la dimensio-ne su cui Papa Francesco scommet-te come l’unico spazio a disposizio-ne della fratellanza. La qual cosa,lungi dall’essere realizzata, è ciòche decide in ultima analisi della“casa comune”». Il presule spiegadi aver ricavato tre convinzioni, al-la luce dei dialoghi del Papa conPetrini, ai quali ha assistito: «Laprima è che sia tempo ormai diuscire definitivamente da un saperespecialistico e parcellizzato per an-dare verso una “sapienza”’ capacedi superare la discrasia tra il poten-ziamento dei mezzi e la ricerca deifini». La seconda «è vivere la glo-balizzazione non come una fatalità,ma come una opportunità». La ter-za «è partire dai piccoli gesti diogni giorno per introdurre nel pen-siero e nella prassi elementi in con-trotendenza rispetto alla sempliceistanza dei dati».

Insomma, conclude il vescovoPompili, «Papa Francesco e Petrinilasciano intendere che non tutto ècompromesso. È possibile modifi-care l’insensatezza di un progressoeconomico che brucia gran partedelle risorse naturali e compromet-te l’eco-sistema della terra. Lo svi-luppo, beninteso, è qualcosa di piùdel semplice progresso ed è la“spinta propulsiva” che non si èestinta e fortunatamente resta a di-sposizione del mondo. Anche peraffrontare e superare la pandemiache ha svelato lo stato in cui versala terra».

Nel libro di Carlo Petrini tre conversazioni con il Pontefice

Dialogando con il Papasull’ecologia integrale

A margine della presentazione del volume «Mettersi in gioco»

Per lo sport Francescoè un “coach” e un amico

Online

UN SITO ALLA SETTIMANAa cura di FABIO BO L Z E T TA

Caritas internationalis

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di ARMAND O CECCARELLI

Ogni epoca della nostra storiaporta le conseguenze di unmodo di programmare il suo

tenore di vita e la sua politica. E apagare il prezzo dei soprusi e delleingiustizie è la gran parte della po-polazione più indifesa e più sotto-messa. Ma è pur vero che in ogniepoca ci sono stati e ci sono tuttoradei santi che testimoniano la solida-rietà con gli oppressi fino a dare lavita per sostenere gravi situazioni didisagio. Uno di questi che merita diessere ricordato è san Pietro Claver,un gesuita catalano, partito missiona-rio non ancora sacerdote nelle IndieOccidentali (oggi la Colombia). Ilgaleone su cui viaggiava insieme conaltri gesuiti, arrivò a Cartagena nel1610. A quel porto arrivavano da 12 a14 navi cariche ognuna di circa 700schiavi provenienti dall’Etiopia e daaltri Stati africani, di modo che quel-lo era diventato il principale centrodi smistamento di merci e di schiaviche dalla Colombia erano destinati alMessico, al Venezuela, all’Ecuador eal Perú per ammazzarsi di lavoro nel-le miniere d’oro e d’argento a tuttoprofitto delle potenze europee. Ave-vano creato una rete molto ben con-gegnata con negrieri che intruppava-no vittime, uomini e donne, in Tri-politania, Guinea, Congo e Angola,spingendoli, legati due a due, in ca-rovane verso i mercati del litorale do-ve i bianchi stavano aspettando perimbarcarli verso le Nuove Indie.

Quando Pietro Claver giunse aCartagena si rese conto subito diquesto dramma umano, nel quale eragià coinvolto un altro gesuitaspagnolo, Alfonso Sandoval. Diquest’ultimo abbiamo uno scritto:«Giungono alle nostre spiagge esembrano più scheletri che uomini,vengono condotti in un gran piazza-le, che si riempie immediatamente digente, condottavi parte dall’i n g o rd i -gia, parte dalla curiosità, parte dallacompassione. Tra questi vi sono pa-dri della Compagnia di Gesù, chevengono per soccorrere, confortare obattezzare quelli che stanno per mo-rire». Tra di loro spicca la carità eroi-ca di Pietro Claver.

Pietro non era l’uomo delle de-nunce e recriminazioni. Altri lo ave-vano fatto come il P. Sandoval e altridue cappuccini cubani, Josè de Jacae Epifanio Moirans. Sostenevano conscritti di protesta che la schiavitùafricana era ingiusta. A queste recri-minazioni il Consiglio di Spagna asua volta protestò e i padri cappucci-ni furono scomunicati e fatti tornarein patria; lo stesso P. Sandoval nel1617 si allontanò nel Perú. Pietro Cla-ver si ritrovò subito solo, ma non siperse d’animo. Nel frattempo avevaportato a termine gli studi per essereordinato sacerdote nel 1616. Raccolsegli scritti che P. Sandoval aveva la-sciato sulla “Salvezza dei neri”, neiquali era contenuto un catechismo euna sua pastorale originale, che Cla-ver seguì e praticò alla lettera.

Ma chi era questo campione dellacarità verso gli ultimi?

Pietro Claver era nato nel 1580 neipressi di Barcellona, a Verdú. Era en-trato nel noviziato della Compagniadi Gesù a 22 anni. Subito dopo con-tinuò gli studi a Palma di Maiorca,dove ebbe modo di conoscere e distringere una profonda amicizia spiri-tuale con il fratello portinaio del col-legio, sant’Alfonso Rodriguez, uomodi Dio e insignito di doni straordina-

ri. Questi, ormai anziano, con paroleprofetiche e sguardo luminoso gli ri-peteva: «Sì, Pedro, tu andrai nelleIndie e là farai grandi cose per leanime... Io lo so!». Claver non di-menticò mai queste parole. Il giornodella sua professione religiosa scrissecon il suo sangue alcune parole chesaranno il tema dominante della suavita: «Pietro Claver schiavo deglischiavi neri per sempre». E le ha vis-sute fino in fondo.

Per portare avanti questa sua mis-sione, la sua prima arma era la pre-ghiera e la sua unione con il Cristoche egli amava e serviva in chi erapiù sfortunato e maltrattato. Poi siera creato una rete di volontari, be-nefattori e interpreti. Ogni volta cheun veliero arrivava a Cartagena, ilpadre Claver era avvertito da un ra-gazzo affinché potesse arrivare sulponte prima dei mercanti con la suasquadra di volontari e interpreti egrande quantità di indumenti puliti,denaro e un volto sorridente per ac-cogliere coloro che avevano viaggiatoper settimane in condizioni disuma-ne, legati a gruppi, stivati al buiosenz’aria e con pochissimo cibo. Af-facciato sulla botola della stiva il pa-dre Claver vede tanti occhi languentie abbagliati dalla luce improvvisa, lisaluta con dolcezza, ben sapendo didover vincere il terrore e l’umiliazio-ne che hanno subito. Da subito gliinterpreti si avvicinano ai vari gruppidi provenienza. Il padre stesso, cheha imparato la lingua angolana, pas-sa tra le file nella nave-prigione gra-veolente, si interessa di tutti, speciedei ragazzi e dei più giovani. A tuttiregala qualcosa secondo il bisogno.Li seguirà anche nella loro destina-zione di lavoro, si interesserà dei ma-lati e li istruirà con il catechismo perportarli al Battesimo. Da notare che,avendo visto come questi erano spa-ventati da quelli che chiamavano“Señor”, quando insegnava le pre-ghiere o parlava di Dio, egli evitavala parola “S i g n o re ” o “Señor” p erchéi poveri schiavi non pensassero: “An-che il Signore Dio ci tratterà comecani?”.

Pur nel ritmo tanto pieno delle at-tività, la vita interiore di padre Cla-ver era molto intensa, tanto che sipuò definire «un mistico dinamico».Era guidato da un carisma centrale,quello della dedicazione senza riserveal prossimo, con preferenza, nonesclusiva, ai più miserabili. Alcuneespressioni sue raccolte da testimoni:«Parlar poco con gli uomini e moltocon Dio» — «Vedi Dio in tutti gliuomini e servili come immagine sua»— «Cercare Dio in tutte le cose e lotroveremo sempre al nostro fianco».Da una testimonianza deposta alprocesso di canonizzazione si legge:«Tutto íl tempo libero dalle confes-sioni, catechismo e istruzione ai neri,lo dedicava alla preghiera. Molte oredi preghiera notturna».

Molte volte fu incompreso anchedai suoi confratelli. Provò ore di pro-fondo sconforto a causa dell’incom-prensione di gente di Chiesa verso ilsuo impegno. Ebbe superiori difficili.Lo ritenevano di scarsa prudenza edesagerato nei giudizi, ma poi nonpotevano negare «la sua buona indo-le, il suo ottimo progresso spiritualee i suoi ministeri insigni con gli etio-pi» (da una lettera che annualmenteun superiore invia alla curia generali-zia).

Molto penosi furono gli ultimi an-ni della vita di Pietro Claver. Le sueforze andavano diminuendo e, dopol’epidemia del 1650, contrasse unamalattia che lo paralizzò quasi com-pletamente. Nei quattro anni primadella morte fu confinato in una pic-cola cella, dimenticato da quasi tuttie trattato duramente. Ma sopportòcon vera pazienza e grande forzad’animo ogni prova. Moriva all’albadell’8 settembre 1654, veniva canoniz-zato nel 1888 e nel 1896 Papa LeoneXIII lo dichiarava patrono universaledelle missioni tra i neri.

Troviamo molti punti in comunetra la situazione drammatica deglischiavi neri a cui Pietro Claver si de-dicò completamente e il fenomenodegli emigrati dell’inizio del terzomillennio. Per la Chiesa sono statiuna sfida gli schiavi neri nelle minie-re di oro e argento dell’America delSud e lo è oggi il dramma degli emi-grati in varie zone del mondo. Comelo Spirito Santo ha dato luce e forzaai missionari dei secoli XVI e XVII p eraffrontare la prima sfida, anche oggidia luce e forza per far fronte alla se-conda, quella degli emigrati, più at-tuale, ma ugualmente frutto di piani-ficazioni portate avanti dai potentidella terra.

La situazione della schiavitù deineri deportati in America, così legataal modo di procedere dei conquista-d o re s delle Nuove Indie, è affrontataper la prima volta nel 1537 da PapaPaolo III che scomunicava tutti colo-ro che avessero ridotto in schiavitù

gli indios o li avessero spogliati deiloro beni. Nel 1639 Papa UrbanoVIII, ascoltando le richieste dei gesui-ti delle re d u c c i o n e s del Paraguay, riba-diva la scomunica di Paolo III e ag-giungeva la stessa pena a chi predi-casse che la schiavitù degli indios edei neri era lecita. In tempi più re-centi il dramma dei neri di America èstato affrontato ufficialmente dallaConferenza di Puebla nel 1979. Qual-cosa da allora si è mossa a loro van-taggio, ma non possiamo ancora nonconsiderarli come i più poveri tra ipoveri più dimenticati dal sistemageop olitico.

La sfida che veniva dal mondo de-gli schiavi neri al tempo di PietroClaver e quella che viene dal dram-ma degli emigrati rivestono un carat-tere di necessaria riparazione da par-te di un sistema economico che, co-me ripetutamente ha detto PapaFrancesco, crea situazioni di tale po-vertà che una grande proporzionedell’umanità è resa schiava o è co-stretta a cercare altrove la possibilitàdi sopravvivenza, anche a rischio del-la propria vita. La lista degli inter-venti di Papa Francesco è così lungache non possiamo riportarne qui chealcune espressioni più significative:«Mettiamo ponti ai porti», diceva ri-volgendosi agli europei. Intervistatoin uno dei suoi viaggi e trovandosi difronte al Marocco, disse: «Non entranella mia testa veder affogare la gen-te nel Mediterraneo... Coloro che co-struiscono i muri finiranno prigionie-ri dei muri che hanno costruito».Parlando dei populismi li definisceun inizio delle dittature.

Il grande richiamo di san PietroClaver ci ricorda che la prassi illumi-nata della fede cristiana poggia subasi umane molto chiare su cui lagrazia ha tutto lo spazio di azione. Èimprescindibile la necessità di mette-re al centro l’uomo, nero o emigratoche sia, così come egli si presenta, ericonoscere in lui un autentico sog-getto di diritti e capace di vivere lafraternità e l’integrazione cristiana.

Lo sport italiano — nei suoi verti-ci e nei suoi atleti, campioni,amatori di tutte le età — riconoscenel Papa un riferimento e un ami-co. La presentazione — lunedì 7nel suggestivo scenario dello sta-dio delle Terme di Caracalla —del libro Mettersi in gioco, un’anto-logia dello “sport secondo Fran-cesco” (Libreria Editrice Vaticana,con il patrocinio di Athletica Va-ticana) ha testimoniato che, anchecon il sostegno della parola delPontefice, «si può cambiare lacultura di un popolo, rendendolapiù inclusiva e solidale, anche at-traverso lo sport». Lo ha dettoLuca Pancalli, presidente del Co-mitato italiano paralimpico.

Per Pancalli, «il Papa ci propo-ne lo sport come strumento perabbattere barriere fuori e dentrodi noi. Nei miei incontri con luimi hanno colpito le sue parole ela luce che ha negli occhi. Il Papaè il coach di tutto il mondo spor-tivo italiano, dal momento che ilvero coach è anche una guida». Eproprio da un’idea del Ponteficealle Paralimpiadi di Rio de Janei-ro nel 2016 il Cip ha allestito Ca-sa Italia in una parrocchia di pe-riferia.

Secondo Giovanni Malagò,presidente del Coni, l’insegna-mento di Francesco è «un segnodi ripartenza e di speranza per losport». Del resto, «immaginareuna persona più attenta e sensibi-le del Papa alle istanze del mon-do è impossibile. Francesco parladi sport come sacrificio, esempio,rispetto delle regole, valori, in-somma quell’olimpismo che noicerchiamo di portare avanti». An-che con Athletica Vaticana, dico-no Pancalli e Malagò, che cercadi portare in strada, tra la gente,le indicazioni del Papa.

Non nasconde di trovare forzanella fede e nella testimonianzadiretta di Francesco anche OxanaCorsa, campionessa paralimpica.Adottata piccolissima in un orfa-natrofio di San Pietroburgo, «so-no arrivata in Italia che non cam-minavo e adesso corro: lo sport —che per me è uno solo, senza di-stinzione tra disabili e non — èstata terapia anche per l’anima,perché insegna che rimettersi ingioco non è facile ma non è im-p ossibile».

È toccato a Fabrizio Donato,che punta alla sesta partecipazio-ne olimpica nel salto triplo, rac-contare la sua adesione all’astasolidale We Run Together, soste-nuta dal Papa e affidata ad Athle-tica Vaticana per gli ospedali diBergamo e Brescia: «Con altriatleti abbiamo aperto la porta dicasa, con le nostre famiglie, pre-parando una cena per creare oc-casioni d’incontro tra le persone».Aggiunge: «Mi ha commossoche, sabato scorso, il Papa rice-vendo i rappresentanti di We RunTogether abbia detto che aprire laporta di casa significa aprire ilcuore: vale più di una medagliaolimpica». E «vale più una meda-glia olimpica anche dar vita alMeeting inclusivo — con campio-ni, disabili fisici e mentali, rifu-giati e carcerati — che speriamo dipoter organizzare nel 2021 nelCentro sportivo delle FiammeGialle a Castelporziano».

In primo piano l’emergenza in corso in Libano. Inau-gurato nel 2000 il sito internet di Caritas internationa-lis, pubblicato in tre lingue, è stato riprogettato piùvolte fino a raggiungere oggi in media cinquantamilautenti mensili da oltre 200 Paesi. I maggiori visitatoriprovengono da Stati Uniti, Messico e Spagna. L’ab-braccio della confederazione di 162 organismi caritati-vi, nata nel 1951, di cui è “comp etente” il Dicastero peril servizio dello sviluppo umano integrale, non ha con-fini e si estende ai cinque continenti in una organizza-zione capace, al sorgere di una crisi, di essere tempe-stivamente in campo vicino ai più fragili. Come hasottolineato Papa Francesco nell’udienza del 27 mag-gio 2019 ai partecipanti alla XXI assemblea generale diCaritas internationalis: «Se guardassimo alla carità co-me a una prestazione, la Chiesa diventerebbe un’agen-zia umanitaria e il servizio della carità un suo “re p a r t ologistico”. Ma la Chiesa non è nulla di tutto questo, è

qualcosa di diverso e di molto più grande: è, in Cristo,il segno e lo strumento dell’amore di Dio per l’umani-tà e per tutto il creato, nostra casa comune». Una del-le pagine più visitate di caritas.org è un articolo pub-blicato nel 2016 che contiene dieci domande frequentisulla migrazione. Ed è costantemente fra le tre paginepiù lette sul sito.

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Nomineepiscopali

Le nomine di oggi riguardanoSerbia e Croazia.

Slavko Večerin, vescovodi Subotica (Serbia)

Nato il 6 giugno 1957 a Suboti-ca-Palić, dopo la maturità liceale èentrato nel seminario maggiore diZagabria. Ordinato sacerdote il 14agosto 1983 per il clero di Suboti-ca, è stato vicario nella parrocchiadella Santissima Trinità a Sombor(1983-1985), amministratore dellaparrocchia di San Paolo a Bač, in-caricato anche della cura pastoraledei villaggi di Deronje e Tova-riševo (1985-1991). In seguito, èstato padre spirituale del semina-rio minore diocesano Paulinum earchivista della curia, svolgendoanche l’incarico di amministratoredella parrocchia di San Rocco aSubotica (1991-1994). Dal 1994 al2005 è stato segretario del vescovoed è stato altresì parroco dei SantiPietro e Paolo a Bajmok (1998-2008). Il 28 novembre 2005 è sta-to nominato vicario generale diSubotica, ufficio che ha ricopertofino al presente. Dal 2011 al 2016 èstato anche parroco di Maria Ma-dre della Chiesa a Subotica. Hafatto parte di diversi consigli eCommissioni diocesane e dal 2016era parroco dell’Esaltazione dellaSanta Croce a Sombor.

Milan Stipić, vescovodi Križevci per i fedeli

di rito bizantino (Croazia)Nato a Bosanski Novi, in Bo-

snia ed Erzegovina, il 28 dicembre1978, dopo le elementari è entratonel seminario minore di Zagabriae nel 1997 è passato al maggioregreco-cattolico della capitale croa-ta studiando alla locale facoltà diteologia cattolica. Il 18 ottobre2003 è stato ordinato sacerdoteper l’eparchia di Križevci, ed èstato parroco a Kašt e a Radato-vići. Nel 2007 è divenuto arcipre-te, occupandosi di pastorale per ifedeli greco-cattolici in Dalmazia.Nel 2012 è divenuto parroco a Ja-strebarsko fino a quando il 18marzo 2019 è stato nominato am-ministratore apostolico sede va-cante dell’eparchia, dopo la rinun-cia presentata dal vescovo Kekić.