Le strutture extraospedaliere residenziali e di lungodegenza per...

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Capitolo 1 Le strutture extraospedaliere residenziali e di lungodegenza per anziani Parlare di "Case di Riposo a Roma" non può non implicare un rapido excursus su ciò che attualmente è presente nel mondo delle strutture extraospedaliere di lungodegenza per anziani che, comunemente, vengono identificate come "Case di Riposo". Poiché, come suggerisce il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, il processo di invecchiamento della popolazione è destinato a protrarsi nel prossimo futuro con un aumento, in termini relativi, soprattutto dei "grandi vecchi" (con età superiore agli 80 anni), l’esigenza di avere una buona informazione sugli attuali modelli assistenziali assume un ruolo determinante nella gestione delle diverse politiche di long-term care. I dati relativi allo stato di applicazione del Progetto Obiettivo Anziani del 1992 evidenziano come, accanto a linee teoriche precise, si sia ancora lontani, nella realtà, dall’attivazione di quella rete integrata di servizi capace di fornire pacchetti di prestazioni, definiti sulla base delle effettive necessità, e in grado di garantire quella continuità assistenziale che è fattore fondamentale della qualità delle cure particolarmente nei confronti di pazienti "fragili" quali sono gli anziani e, soprattutto, i "grandi anziani". Pertanto, l’attivazione dei servizi territoriali "tout-court" rivolti all’anziano e l’adeguatezza assistenziale degli stessi è tanto più urgente, oggi, alla luce del nuovo sistema di finanziamento degli ospedali che, se da una parte contribuisce ad aumentare l’efficienza, dall’altra, per la tendenza alle dimissioni sempre più brevi rispetto al passato, comporta il rischio di lasciare il paziente in fase di convalescenza, pericolosamente scoperto dal punto di vista assistenziale 1 . La chiarezza, nel puro senso lessicale, della dizione "Case di Riposo" è d’uopo, vista l’enorme difficoltà di linguaggio orbitante su questo tema: così, ad esempio, la denominazione "residenza sanitaria assistenziale" sottende, nelle diverse Regioni e Province autonome italiane, realtà alquanto diversificate che soltanto un più approfondito esame potrà caratterizzare. D’altra parte, si rileva come, in alcune aree, accanto a strutture con nuclei, istituzionalmente assimilabili a Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.), seppure a volte identificate con denominazioni diverse, sia presente una certa quota di posti letto, afferente ad altri comparti assistenziali (es. Case di Riposo, Alloggi Protetti e così via) ma funzionalmente simile, per tipologia di pazienti e per offerta di prestazioni, a quella in R.S.A.. Del resto, la sempre maggiore regionalizzazione della Sanità in Italia comporterà una tipizzazione delle strutture di lungodegenza ognuna con peculiarità proprie, tali da non poter prescindere dal contesto territoriale in cui sono inserite.

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Capitolo 1

Le strutture extraospedaliere residenziali e di lungodegenza per anziani

Parlare di "Case di Riposo a Roma" non può non implicare un rapido excursus su ciò che attualmente è presente nel mondo delle strutture extraospedaliere di lungodegenza per anziani che, comunemente, vengono identificate come "Case di Riposo".

Poiché, come suggerisce il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, il processo di invecchiamento della popolazione è destinato a protrarsi nel prossimo futuro con un aumento, in termini relativi, soprattutto dei "grandi vecchi" (con età superiore agli 80 anni), l’esigenza di avere una buona informazione sugli attuali modelli assistenziali assume un ruolo determinante nella gestione delle diverse politiche di long-term care.

I dati relativi allo stato di applicazione del Progetto Obiettivo Anziani del 1992 evidenziano come, accanto a linee teoriche precise, si sia ancora lontani, nella realtà, dall’attivazione di quella rete integrata di servizi capace di fornire pacchetti di prestazioni, definiti sulla base delle effettive necessità, e in grado di garantire quella continuità assistenziale che è fattore fondamentale della qualità delle cure particolarmente nei confronti di pazienti "fragili" quali sono gli anziani e, soprattutto, i "grandi anziani".

Pertanto, l’attivazione dei servizi territoriali "tout-court" rivolti all’anziano e l’adeguatezza assistenziale degli stessi è tanto più urgente, oggi, alla luce del nuovo sistema di finanziamento degli ospedali che, se da una parte contribuisce ad aumentare l’efficienza, dall’altra, per la tendenza alle dimissioni sempre più brevi rispetto al passato, comporta il rischio di lasciare il paziente in fase di convalescenza, pericolosamente scoperto dal punto di vista assistenziale1.

La chiarezza, nel puro senso lessicale, della dizione "Case di Riposo" è d’uopo, vista l’enorme difficoltà di linguaggio orbitante su questo tema: così, ad esempio, la denominazione "residenza sanitaria assistenziale" sottende, nelle diverse Regioni e Province autonome italiane, realtà alquanto diversificate che soltanto un più approfondito esame potrà caratterizzare. D’altra parte, si rileva come, in alcune aree, accanto a strutture con nuclei, istituzionalmente assimilabili a Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.), seppure a volte identificate con denominazioni diverse, sia presente una certa quota di posti letto, afferente ad altri comparti assistenziali (es. Case di Riposo, Alloggi Protetti e così via) ma funzionalmente simile, per tipologia di pazienti e per offerta di prestazioni, a quella in R.S.A..

Del resto, la sempre maggiore regionalizzazione della Sanità in Italia comporterà una tipizzazione delle strutture di lungodegenza ognuna con peculiarità proprie, tali da non poter prescindere dal contesto territoriale in cui sono inserite.

Si rende, quindi, necessario un breve escursus sull’evoluzione della normativa della Regione Lazio, per quanto concerne la questione residenziale per anziani, fino ad arrivare alla realtà romana con problematiche classiche delle grande metropoli.

1 . 1 I diversi modelli di struttura residenziale per anziani

Se entriamo nel merito delle tipologie dei servizi per anziani, emerge che questi variano molto, sia in relazione all’utenza, sia in relazione alle capacità di strutturazione della realtà territoriale. L’assistenza residenziale extraospedaliera che interessa gli anziani, si concretizza in una gamma di residenze, alcune di tipo prevalentemente sanitario (Residenze Sanitarie), altre di tipo prevalentemente socio-assistenziale (Residenze Assistenziali).

1 . 1 Residenze Sanitarie

Le Residenze Sanitarie sono rappresentate principalmente dalle Residenze Sanitarie Assistenziali e dai Presidi di Riabilitazione, le cui finalità e tipologie di utenti sono differenziate tra loro (cfr. Tav. 1).

Tav. 1 - Tipologie e caratteristiche delle Residenze Sanitarie extraospedaliere

TIPOLOGIA DEFINIZIONE FINALITÀ UTENTI Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.)

Strutture chiamate a realizzare un livello medio di assistenza sanitaria (medica, infermieristica e riabilitativa) integrato da un alto livello di assistenza tutelare ed alberghiera

Assistenza sanitaria e riabilitazione di mantenimento

Soggetti non autosufficienti, anziani e non, con esiti stabilizzanti di patologie fisiche, psichiche, sensoriali o miste

Presidi di Riabilitazione

Strutture deputate a garantire un alto livello di tutela sanitaria attraverso prestazioni diagnostiche e terapeutico-riabilitative

Recupero degli esiti derivanti da episodi acuti o di funzioni lese o menomate

Soggetti portatori di disabilità fisiche, psichiche e sensoriali o miste

Fonte: D.P.R. 14.1.1997

Le Residenze Sanitarie Assistenziali (R.S.A.) sono presidi sanitari appartenenti al Servizio Attività Distrettuali che forniscono prestazioni sanitarie assistenziali, di recupero funzionale e sociale a soggetti non autosufficienti, non curabili a domicilio o provenienti dall’ospedale dopo una fase acuta o un episodio di riacutizzazione di malattia, affetti da patologie multiple, chiaramente diagnosticate e documentate, richiedenti trattamenti sanitari continuativi non erogabili a domicilio.

Schematizzando, le R.S.A. sono attualmente destinate a tre tipi di utenti:

1. soggetti che dopo un evento acuto necessitano di un ciclo di riabilitazione;

2. soggetti che necessitano di osservazione medico-infermieristica in attesa di poter tornare al proprio domicilio;

3. soggetti non altrimenti assistibili, con una continua necessità di assistenza e cura, oppure pazienti terminali, per i quali non è ipotizzabile nessuna ulteriore terapia o accertamento diagnostico. Questi ultimi sono impropriamente assistiti, in attesa del definitivo inserimento dell’Hospice nella Sistema Sanitario nazionale e regionale.

Una simile stratificazione assicura, da una parte, un consistente ricambio dei pazienti assistiti, in quanto i primi due gruppi devono avere una degenza media non superiore ai novanta giorni; dall’altra, permette alla R.S.A. di funzionare da "ponte" tra i servizi del territorio e l’ospedale per acuti, riportando quest’ultimo nella sua reale funzione istituzionale.

Come possiamo constatare dalla sopracitata descrizione della tipologia di utenti ospiti nelle R.S.A., l’aspetto sanitario è più importante dell’aspetto sociale ed è quello per cui la legge ha dato la funzione di sgravare il servizio ospedaliero di una serie di compiti impropri individuando nella RSA il punto di svolta tra l’assistenza domiciliare e il ricovero.

Nel marzo 1997 il CIPE stava finanziando circa 24.151 posti letto in 407 strutture sparse su tutto il territorio nazionale. Tale cifra rappresenta il 17,2% di quanto previsto dalla legge 67/88 che afferma la necessità di avere 140.000 posti letto allocati presso le Residenze Sanitarie Assistenziali

L’Italia, con i suoi 29,5 posti letto per ogni 1000 abitanti ultrasessantacinquenni è ancora ben distante dagli standard dei più avanzati paesi europei come la Gran Bretagna e la Germania che vantano rispettivamente 42 e 62 posti letto.

Tale carenza naturalmente si ripercuote sia a monte (non diminuisce il tasso di opedalizzazione) che a valle (aumentano sempre di più gli accessi impropri presso strutture, come le Case di Riposo, prima destinate soltanto a soggetti autosufficienti) dell’intero sistema socio-sanitario.

La giusta localizzazione della R.S.A. assume un ruolo chiave all’interno di un percorso programmatorio dell’intera assistenza extraospedaliera. Si riscontrano, infatti, due principali scuole di pensiero: da un lato, chi preferisce sottolineare l’aspetto dell’igiene ambientale e quindi privilegia le scelte extraurbane o quantomeno periferiche; dall’altro, chi, invece, sottolinea la necessità di non aumentare l’estraneamento che comunque si crea nell’anziano sradicato dai suoi riferimenti sociali e privilegia quindi localizzazioni fortemente urbanizzate il più simile possibile a quella che l’ospite aveva nella sua vita lavorativa.

Secondo le linee guida del Ministero della Sanità del 31/03/19942 le R.S.A. realizzano un livello medio di assistenza sanitaria (medica, infermieristica e riabilitativa) integrata da un livello alto di assistenza tutelare ed alberghiera.

Si differenziano dalle strutture riabilitative per la minore intensità delle cure sanitarie e per i tempi prolungati di permanenza degli assistiti, che in relazione al loro stato psico-fisico possono trovare nella stessa anche ospitalità permanente.

Le prestazioni erogate sono quindi di tipo sanitario, di riattivazione funzionale e assistenziale. L’inserimento in R.S.A. è generalmente preceduto da una valutazione da parte dell’U.V.D. (Unità di Valutazione Distrettuale) che, utilizzando strumenti propri della Geriatria moderna, provvede anche a elaborare un programma di assistenza con obiettivi a breve e medio termine. Nel programma dovrebbe anche essere indicato il periodo di permanenza nella struttura, poiché nella maggioranza dei casi l’ospite verrà dimesso al proprio domicilio o in residenze protette.

L’organizzazione delle attività assistenziali, riabilitative e di recupero richiede un assetto strutturale e gestionale ben diverso dall’ospedale, soprattutto ove siano previste specifiche unità funzionali come ad esempio le "stroke unit" e le "dementia unit" e, comunque, l’unità di base è rappresentata dal modulo o nucleo, composto di 20-25 posti letto per anziani non autosufficienti e di 10-15 posti (secondo la gravità dei pazienti) per disabili fisici, psichici e sensoriali utilizzando in maniera flessibile gli stessi spazi edilizi.

Per i soggetti anziani non autosufficienti hanno sistemi di più nuclei che non andranno, di norma, oltre gli 80 posti letto residenziali e che possono arrivare (garantendo una idonea separazione tra i nuclei) fino ad un massimo di 120 posti in zone ad alta densità abitativa ed urbana Tali strutture devono essere dotate di servizi sanitari e sociali secondo la composizione degli ospiti e devono avere le adeguate connessioni con i

servizi sanitari e sociali esistenti sul territorio. Il nucleo riservato alle demenze deve essere garantito presso quelle R.S.A. dotate di almeno 4 nuclei.

Oltre a garantire la migliore assistenza degli anziani, anche sotto un profilo gestionale, l’organizzazione per nuclei modulari e dotati di servizi autonomi, sembra essere la più idonea per un razionale impiego di personale e per l’utilizzazione delle risorse.

Le caratteristiche architettoniche e gestionali non possono però essere gli unici criteri per poter accedere ad una qualsiasi forma di accreditamento, né può essere sufficiente la semplice quantificazione del rapporto personale/ospiti.

Un criterio di base deve essere ricercato nell’impiego costante e generalizzato di uno strumento di valutazione multidimensionale globale, che consenta di identificare esiti sfavorevoli e problemi alleviabili (malnutrizione, lesioni da decubito, incontinenza etc…). Se infatti in geriatria il traguardo della "guarigione" è spesso irraggiungibile, deve essere costantemente garantito quello della maggior qualità di vita possibile

Un accenno meritano anche i Presidi Residenziali di riabilitazione che fino a pochi anni fa si chiamavano "Istituti di riabilitazione ex art. 26 l. 833/78" (terminologia questa ormai obsoleta. Sono "strutture sanitarie residenziali che erogano prestazioni a ciclo diurno o continuativo provvedendo al recupero funzionale e sociale di soggetti portatori di disabilità fisiche, psichiche, sensoriali o miste dipendenti da qualunque causa".

All’interno di quest’ultime strutture la presenza di soggetti anziani e tutt’altro che trascurabile. In passato, quando le degenze ospedaliere erano di media e lunga durata, la fase acuta della malattia e la successiva riabilitazione facevano parte di un unico "evento ricovero": si citano ad esempio i ricoveri per ictus celebrale o per infarto miocardio in cui al trattamento acuto seguiva quello in post-acuzie o di una prima riabilitazione, tale da rendere il paziente alla dimissione in grado di rientrare al proprio domicilio. Negli ultimi anni invece, sia per l’introduzione del sistema a D.R.G., sia per l’accentuarsi del gap economico e tecnologico, tra i letti ad alta e quelli a bassa/media complessità, all’evento-ricovero acuto è spesso seguito un ricovero in riabilitazione.

Le linee guida nazionali per le attività di riabilitazione del 7 Maggio 1998 hanno identificato le seguenti strutture residenziali che erogano prestazioni riabilitative:

1. presidi di riabilitazione intensiva extra-ospedalieri a ciclo diurno e/o continuativo;

2. 2. presidi di riabilitazione estensiva extra-ospedalieri a ciclo diurno e/o continuativo;

3. 3. R.S.A. disabili.

I presidi residenziali di riabilitazione intensiva a ciclo diurno e/o continuativo sono destinati alla presa in carico multicomprensiva di individui di tutte le età per il recupero funzionale di menomazioni e disabilità che richiedono interventi riabilitativi indifferibili, di tipo valutativo e terapeutico intensivo (almeno tre ore di trattamento riabilitativo specifico giornaliero), di tutela medica e di nursing dedicato, realizzabili in ambiente non ospedaliero articolati nell’arco delle ore diurne della giornata o delle 24 ore (continuativo), in base al grado di non autosufficienza e di necessità di interventi assistenziali di base degli utenti.

Nei presidi residenziali di riabilitazione intensiva il ciclo riabilitativo, di norma, è contenuto entro i 120 giorni.

I presidi residenziali di riabilitazione estensiva erogano prestazioni a ciclo diurno e/o continuativo per il recupero funzionale e sociale di soggetti portatori di disabilità fisiche, psichiche, sensoriali o miste dipendenti da qualunque causa. Intervengono nella fase immediatamente post-acuta (anche dopo la dimissione ospedaliera) attraverso l’offerta di tutela sanitaria finalizzata al recupero degli esiti derivanti da episodi acuti o di funzioni lese o menomate attraverso prestazioni residenziali a ciclo diurno o continuativo.

Nei presidi residenziali di riabilitazione estensiva le attività terapeutiche sono valutabili tra una e tre ore giornaliere mentre il ciclo riabilitativo, di norma, è contenuto entro i 240 giorni, fatte alcune eccezioni.

Le residenze sanitarie assistenziali per disabili sono presidi che offrono a soggetti disabili fisici, psichici, sensoriali, o a lento recupero, nonché a soggetti non autosufficienti affetti da grave disabilità, non assistibili a domicilio, un medio livello di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, accompagnata da un livello "alto" di tutela assistenziale e alberghiera generica sulla base dei modelli assistenziali adottati dalle Regioni e Province autonome. In relazione alla tipologia dei soggetti assistiti nelle residenze sanitarie assistenziali, la durata del trattamento può essere anche "permanente".

In Italia, nel 1995 la durata media della degenza in queste strutture è stata di 107 giorni; mediamente un terzo delle giornate di degenza erano relative a ricoveri con degenza inferiore ai 120 giorni, un terzo ai 240 giorni e l’ultimo terzo relativo a degenze pressoché permanenti. Gli stessi presidi di riabilitazione, nel 1995, hanno registrato un tasso di utilizzazione dell’86% nei letti a degenza continua.

Dal censimento delle strutture di riabilitazione realizzato nel marzo del 1996 dal Ministero della Sanità (Dipartimento della programmazione), possiamo trarre ulteriori

dati per capire la tipologia delle attività di riabilitazione svolte nei presidi di riabilitazione.

L’analisi non è semplice a causa dell’incompletezza dei dati e dell’ insoddisfacente classificazione per tipologia dei letti che deriva da terminologie disomogenee e diversificate Regione per Regione. Se confrontiamo, comunque, i dati relativi alla durata della degenza media con quelli riguardanti le dotazioni di personale, emergono le tre tipologie di strutture residenziali individuate dalle linee-guida nazionali del 1998.

La tab. 1 relativa al rapporto tra dipendenti e posti letto nei presidi residenziali di riabilitazione, rende evidente il fatto che al crescere della durata della degenza

media decresce l'utilizzo del personale e quindi, presumibilmente, l'intensità delle cure sanitarie.

Tab. 1 - Rapporto dipendenti/posti letto nei presidi residenziali di riabilitazione - anno 1 995.

Strutture con degenza media

Dipendenti/p. l.

Di cui medici Di cui infermieri

Inferiore a 121 giornate 1,640 0,113 0,348

Fra 121 e 300 giornate 1,037 0,041 0,314

Superiore a 300 giornate 1,143 0,030 0,253

TOTALE 1,301 0,065 0,307

Fonte: elaborazione su dati del ministero della Sanità, SISTAN, USL, 1997.

Nelle strutture con una degenza media inferiore ai 120 giorni sono, dunque, impiegati 1,640 dipendenti per ogni posto letto (di cui 0,113 medici e 0,348 infermieri3). Un dato apparentemente contraddittorio è quello relativo alle strutture con degenza media tra 121 e 300 giorni. Queste registrano, infatti, il rapporto dipendenti/posti letto più basso (1,037), ma analizzando i dati sul personale dedicato all'assistenza sanitaria per ogni posto letto tali strutture finiscono con il collocarsi in una posizione intermedia con una quantità di personale medico pari a 0,041 e infermieristico pari a 0,314. Il terzo gruppo di strutture (degenza media superiore a 300 giorni) ha il rapporto dipendenti/posti letto pari a 1,143; fra questi gli operatori esplicitamente dedicati alle cure sanitarie registrano una presenza minore rispetto alle altre strutture (0,030 medici/posti letto e 0,253 infermieri / posti letto).

In sostanza, possiamo dunque classificare le strutture residenziali sulla base della durata della degenza media e della intensità assistenziale desumibile dalle

caratteristiche qualitative-quantitative del personale impiegato, assimilabili a quelle identificate nelle Linee Guida per le attività di riabilitazione del 7 Maggio 1998. Infatti, nel primo gruppo di presidi, dove la durata media della degenza oscilla fra uno e tre mesi e si riscontra un maggior utilizzo di personale, viene erogato un intervento assistenziale che possiamo definire "intensivo". Nel secondo gruppo, in cui abbiamo una degenza media compresa fra i 5 e i 9 mesi, ci troviamo di fronte ad una attività riabilitativa "estensiva". Il terzo gruppo di strutture, dove i ricoveri sono tendenzialmente permanenti e gli standard assistenziali corrispondentemente più bassi (al crescere della degenza media si riduce la quantità di personale assistenziale impiegato) risultano assimilabili alle Residenze Sanitarie Assistenziali.

1 . 2 Residenze Assistenziali

Le Residenze Assistenziali sono destinate a persone prevalentemente autosufficienti o parzialmente non autosufficienti e offrono una gamma di servizi di tipo comunitario, di competenza prevalentemente non sanitaria. Anche in questo settore la situazione si è evoluta tanto da non riuscire più a determinare un confine netto e distinto tra ciò che può essere considerata struttura a pura valenza sanitaria e ciò che può essere invece struttura a pura valenza socio-assistenziale.

Tuttavia, in linea di principio, possiamo identificare quattro modelli di organizzazione residenziale per anziani ove il mix sanitario-sociale oscilla ora da una parte ora dall’altra a seconda delle tipologie di utenti ospiti nelle strutture:

a) Gli Alloggi Protetti

Si tratta di alloggi progettati e strutturati sulle caratteristiche degli ospiti e forniti, perciò, di particolari accorgimenti per offrire le massime condizioni di sicurezza in due direzioni. Da un lato come sicurezza passiva, cioè con il massimo grado di affidabilità nel prevenire gli infortuni, attraverso l’eliminazione di ostacoli, l’impiego di arredi e di attrezzature di facile uso e di scarsa o nulla pericolosità, l’impiego di sistemi per il rilevamento di gas, fumo e così via; dall’altro come sicurezza attiva e quindi con un collegamento agevole ed immediato con un sistema di assistenza con reperibilità immediata per problemi sia di natura medica che di natura psicologica, che, infine, domestica. Sarebbe bene, in linea del tutto generale, che tali alloggi fossero inseriti in normali contesti abitativi al fine di agevolare l’integrazione dell’anziano e di facilitare l’aiuto in caso di emergenza.

b) Le Comunità di Alloggio

Sono alloggi opportunatamente strutturati per poter ospitare da 6 a 10 anziani autosufficienti in camere proprie. Sono retti in modo collaborativo da una persona e

gestiti da un ridottissimo numero di persone esterne per i lavori pesanti. Il pregio del piccolo gruppo è legato alla possibilità, per gli ospiti, di stabilire rapporti personali; ha, tuttavia, anche alcuni limiti: con l’avanzare dell’età degli ospiti si pone il problema dell’assistenza ai non autosufficienti; ogni decesso mette in crisi il gruppo; ogni nuovo ospite entra in un gruppo già costituito, con le sue regole, i suoi comportamenti, situazione non sempre facile da gestire sul piano psicologico per un anziano.

c) La Casa Alloggio

Destinato alle persone in condizioni di autosufficienza che rimangono sole o anche in coppia, fornisce agli ospiti servizi di tipo alberghiero. La capacità, generalmente, oscilla da un minimo di 30 a un massimo di 80 posti letto, con alloggi autonomi di ridotte dimensioni e servizi comuni strutturali.

d) La Casa di Riposo

E’ la struttura più conosciuta ma, allo stesso tempo, la più difficile da definire univocamente.

Con il suo nome generalmente si intendono tutte le strutture residenziali per anziani senza distinguere né la tipologia di anziano ospitato, né specifiche caratteristiche strutturali.

La Casa di Riposo, originariamente, svolgeva la funzione di ospitare esclusivamente soggetti anziani autosufficienti o semi autosufficienti, dotandosi di conseguenza di personale adatto più per un’assistenza di tipo alberghiero che di tipo infermieristico.

Con il passare degli anni, e il continuo invecchiamento della popolazione, ma, soprattutto, con l’aumento della domanda di assistenza da parte di anziani non autosufficienti, le strutture per anziani non hanno mutato le loro connotazioni architettoniche (sono rimaste più o meno meri "alberghi") ma hanno iniziato a soddisfare le richieste andando ad ospitare prevalentemente anziani con uno scarso grado di autosufficienza, pur non avendo un personale in organico tale da far fronte alle complesse problematiche che l’assistenza a soggetti con polipatologie comporta.

Alcune informazioni significative sulle strutture di Casa di Riposo derivano, probabilmente, dalle indagini che, periodicamente, vengono condotte sul territorio.

E’ il caso, ad esempio, di una recente indagine I.N.R.C.A. svolta sul territorio marchigiano ed avente per oggetto le caratteristiche delle Case di Riposo come campo di applicazione della telemedicina4.

La ricerca, svolta durante l’estate 1999, aveva l’obiettivo di verificare la condizione strutturale delle Case di Riposo delle Marche attualmente raggiunte dal servizio di

Telemedicina erogato dall’Ente. Ciò allo scopo di potenziare il servizio con interventi mirati, e di fornire indicazioni circa gli interventi strutturali indispensabili al fine di migliorare la qualità del servizio fornito5.

I risultati ottenuti nell’elaborazione offrono innanzitutto una visione della Casa di Riposo marchigiana come un’istituzione prevalentemente a carattere pubblico6.

La dimensione delle Case di Riposo, calcolata in base al numero dei posti letto disponibili7 è spesso "piccola" (49%), a seguire "medio-piccola" (28%), "medio-grande" (6%) e "grande" (17%).

In relazione alla tipologia di utenti, si evidenzia che la maggioranza degli Istituti marchigiani è accessibile sia a soggetti autosufficienti che non autosufficienti (58%), il 25% è riservata a ospiti autosufficienti, e il 17% è per anziani non autosufficienti.

Per quanto riguarda le diverse categorie professionali presenti nelle Case di Riposo, la figura dell’operatore socio-assistenziale è la più diffusa, infatti arriva a rappresentare il 51% circa di tutto il personale. Degno di nota risulta essere il ruolo ricoperto, all’interno di queste strutture, dagli obiettori di coscienza. Questi sono infatti presenti in ben il 77% delle Case di riposo, spesso in quantità pari – e, in alcuni casi, addirittura superiore – a quella del personale infermieristico (in alcuni Istituti il loro numero arriva a superare le 10 unità). Va sottolineato che queste figure finiscono sovente con lo svolgere attività che, a rigore, sarebbero di competenza di personale adeguatamente formato; ciò si traduce, per queste strutture, in un notevole risparmio sui costi del personale, risparmio che in un prossimo futuro verrà probabilmente meno con la prevista abolizione della ferma di leva obbligatoria (di cui l’obiezione di coscienza rappresenta l’alternativa).

Anche i servizi offerti generalmente agli ospiti comprendono di solito la presenza di aree verdi e mense interne, mentre tende ad abbassarsi sensibilmente la presenza di attrezzature sanitarie. Ciò vale non tanto per la disponibilità di un ambulatorio medico interno, presente in quasi tutte le strutture, quanto piuttosto rispetto alla dotazione di apparecchiature elettromedicali, come ad esempio un elettrocardiografo – ed ancor più per la presenza di aree destinate ad attività riabilitative, rinvenibili solo in percentuale assai scarsa.

Da un’ulteriore indagine8 condotta, questa volta, sui parenti che forniscono assistenza agli ad anziani attualmente residenti a domicilio, nei Comuni di Ancona, Senigallia e Ferrara, emerge che la gran parte degli intervistati (74%) si dichiara contraria all’idea di ricoverare in Casa di Riposo il proprio familiare anziano disabile; il 14% accetterebbe, ma non ritiene la cosa fattibile per diversi motivi quali la distanza, i costi ma soprattutto per la presunta scarsa qualità dell’assistenza; un familiare su dieci, pur esprimendosi negativamente, considera tale soluzione inevitabile, date le

difficoltà a gestire a domicilio l’anziano. Il 3% degli intervistati ha risposto, invece, di essere favorevole al ricovero e ritiene che, data la situazione, ne farà ricorso in tempi brevi.

Questi risultati non devono necessariamente essere interpretati come una "bocciatura" assoluta alla soluzione "Casa di Riposo"; sembrano piuttosto riflettere un forte desiderio dei famigliari di occuparsi in prima persona dell’anziano in condizioni di bisogno, facendo appello alla rete di sostegno familiare.

L’approccio a questa istituzione cambia invece notevolmente quando si proponga ai familiari degli anziani disabili un ricovero temporaneo di questi ultimi in Casa di Riposo. La percentuale dei parenti contrari si abbassa, infatti, notevolmente, passando da 74% al 47%, mentre, per contro, cresce in modo significativo quella dei familiari favorevoli, che dal 3% raggiunge il 41%, lasciando un 12% di indecisi. Con lo scopo di approfondire l’argomento è stato chiesto ai parenti anche di indicare quale periodo di ricovero ritenessero più utile e la gran parte degli intervistati si è detto interessato a un ricovero di qualche settima (32%) o di qualche giorno (29%). Meno numerosi coloro che ritengono più utile un ricovero di alcune ore al giorno (20%) – una modalità di servizio che sottintende più il Centro Diurno, che non una struttura residenziale – il week-end (11%) oppure qualche mese (8%).

La disponibilità dei posti letto da destinare al ricovero temporaneo rimanda, del resto, all’esigenza di differenziare le strutture di ricovero in base a sistemi di classificazione dei pazienti che tengano conto dell’effettivo assorbimento di risorse che l’assistenza di questi ultimi comporta.

Il potenziamento dei servizi di assistenza sanitaria disponibili all’interno delle Case di Riposo sta diventando, di fatto, un’esigenza impellente. Può essere, infatti, considerato insoddisfacente – soprattutto di un contesto nazionale in cui le Residenze Sanitarie Assistenziali previste dall’attuale legislazione italiana tardano a decollare9 - che buona parte di questi Istituti risulti carente di aree attrezzate per attività riabilitative, nonché di apparecchiature elettromedicali come ad esempio l’elettrocardiografo, indispensabili per l’attivazione di servizi di monitoraggio medico telematico.

Anche l’urgente bisogno di incrementare il numero di posti letto da destinare a soggetti non autosufficienti acquisisce un ruolo cardine nell’assistenza extraospedaliera per anziani10. Se si tiene conto del fatto che, attualmente, il 18% dei posti letto esistenti, tutti destinati a utenti autosufficienti, risulta per metà non occupato e per l’altra metà occupato impropriamente da anziani non autosufficienti, si comprenderà come la situazione denoti, in realtà, una certa mancanza di programmazione. Sono, pertanto, auspicabili provvedimenti di riorganizzazione

dell’offerta, onde evitare il persistere di una situazione non congeniale, in termini di personale e attrezzature, rispetto ai bisogni assistenziali emergenti.

1 . 2 Le diverse tipologie di utenti presenti nelle strutture residenziali per anziani

La organizzazione di una nuova rete dei servizi per il "long term-care" presuppone una revisione generale delle sue modalità di finanziamento. Il riparto del FSN degli ultimi tre anni ha fatto registrare un progressivo incremento dei fondi destinati all’attività "Distrettuale" e nell’ambito di essa ai servizi di assistenza domiciliare e residenziale.

La proposta di riparto 1999 destina al livello Distrettuale il 48,5% del fondo, di cui circa il 5% (5.158 miliardi) all’assistenza agli anziani.

Il capitolo di spesa non esaurisce l’intero capitolo della spesa per il "long term care" che grava in parte ancora sul livello ospedaliero e in altra parte sui servizi distrettuali (medici di medicina generale, assistenza integrativa e così via). Costituisce, tuttavia, un importante indicatore della volontà ministeriale di dare seguito agli indirizzi di programmazione sanitaria che prevedono un progressivo spostamento della spesa dall’area ospedaliera a quella extra-ospedaliera.

Una quota consistente della spesa grava tuttavia sugli utenti, che sono chiamati a partecipare alla spesa per tutti i servizi extra-ospedalieri, per quote che variano dal 20% al 70% dei costi. Allo stato attuale non esistono studi che consentano di definire con certezza la spesa privata per long-term care in Italia; è possibile, tuttavia, stimarne la dimensione utilizzando i nostri dati socio-demografici incrociati con quelli di Paesi a costi monitorati. Da qualche tempo numerosi Stati, anche europei, stanno sperimentando forme assicurative o mutualistiche per la copertura dei costi di assistenza a lungo termine. Queste formule, che trovano una loro praticabilità solo ampliando la raccolta contributiva a soggetti giovani e a basso rischio di disabilità, possono essere favorite da proposte legislative sui fondi integrativi come quelle contenute nelle bozze di decreti ministeriali di revisione del DL 502/92 presentati in esecuzione legge delega (L. 419/98).

Oltre quello delle risorse finanziarie per il sistema, un altro problema di fondamentale importanza è quello della loro distribuzione alle strutture erogatrici in relazione alla qualità e specializzazione dell’assistenza fornita.

Fino ad oggi il sistema italiano ha previsto forme di pagamento a retta giornaliera, con importi a forfait ed indipendenti dal case-mix, o da precisi criteri di accreditamento delle strutture.

La determinazione del livello di non autosufficienza viene di solito lasciata alla discrezione dei responsabili medici delle Case di Riposo.

Per ottenere un risultato più obiettivo della effettiva condizione degli anziani ospiti in tali strutture, bisogna rifarsi ad una recentissima ricerca finalizzata del Ministero della Sanità (RF 96) e condotta dall’I.N.R.C.A. di Ancona in collaborazione con la cattedra di Geriatria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, riguardante la validazione del sistema RUG III in Italia.

Il sistema RUGs (Resource Utilization Groups) è uno strumento di definizione del case-mix assistenziale delle strutture residenziali che opera attraverso la classificazione dei pazienti in gruppi a diverso assorbimento di risorse. E’ stato sviluppato negli USA su mandato della Health Care Financing Administration (Fries 1985, Cooney 1985)11 ed è stato costruito sulla base informatica del Resident Assessment Instrument (RAI), strumento di valutazione multidimensionale che attreverso il Minimum Data Set (MDS) indaga le principali aree problematiche dei pazienti inseriti in programmi di assistenza a lungo termine (Morris 1997)12.

L’architettura del RUG, nella sua terza versione, prevede 44 gruppi raccolti a loro volta in 7 raggruppamenti principali che sono:

1 Special Rehabilitation;

2 Extensive Care;

3 Special Care;

4 Clinically Complex;

5 Impaired Cognition;

6 Behaviour Problems;

7 Reduced Physical Functions.

I raggruppamenti definiscono una successone logico-problematica, a costo assistenziale decrescente, ma le singole classi non seguono una scala gerarchica continua poiché la prima classe di un raggruppamento è caratterizzata da un peso assistenziale superiore a quello dell’ultima classe del raggruppamento precedente.

Lo studio, che è attualmente in fase di pubblicazione sul Bollettino Nazionale delle Ricerche del Ministero della Sanità (Ferrucci, in press)13, ha l’obiettivo di valutare se il sistema di classificazione Rug III sia adeguato al panorama assistenziale italiano, consentendo di "spiegare" la varianza registrata nell’assorbimento di risorse

assistenziali dai diversi gruppi. Lo studio ha dimostrato una spiegazione della varianza superiore al 60%, che costituisce un parametro molto buono e superiore a quello registrato in altri Paesi.

L’auspicio è che dallo sviluppo di queste ricerche, possa affermarsi anche in Italia una cultura del case-mix assistenziale e della verifica degli standard di qualità che consenta di affrontare con nuove professionalità l’inarrestabile crescita dell’assistenza a lungo termine.

1 . 3 Una Panoramica internazionale

Secondo le ultime proiezioni Ocse, nel 2030 gli anziani rappresenteranno il 32,7% dell’intera popolazione. Basta questo dato per mettere in rilievo l’internazionalità della gestione e dell’organizzazione dell’assistenza di lungo periodo.

Lo studio conferma come la pressione demografica sia una delle grandi sfide che dovranno essere raccolte nei prossimi anni dai Paesi più industrializzati. Una sfida che avrà importanti implicazioni sulle finanze pubbliche, sui sistemi pensionistici e anche sulle politiche assistenziali e sanitarie che dovranno subire radicali processi di riforma.

L’Ocse14 indica la futura strada da percorrere puntando sull’efficienza dei servizi attraverso una "deistituzionalizzazione" dell’assistenza agli anziani e sulla creazione di cure mirate. Strada quest’ultima già intrapresa da alcuni Paesi – con il potenziamento dell’assistenza domiciliare – e che diventerà un percorso quasi obbligato per molti altri se si vorrà garantire una "vecchiaia serena" all’esercito di anziani senza allargare troppo i cordoni della spesa.

Cresce la spesa per l’assistenza degli anziani ma diminuisce il numero dei disabili tra gli ultra65enni. Le previsioni messe a punto dall’Ocse prevedono, sempre per il 2030, un graduale e complessivo miglioramento della condizione di salute degli anziani: saranno sempre di più quelli che potranno fare a meno dell’ospedalizzazione e puntare su una vita autonoma. Alla base di questo trend ci sono fondamentalmente il miglioramento dello stile di vita - che allunga l’aspettativa di vita e ne migliora la qualità -, ma anche l’impatto delle tecnologie e della medicina. L’aumento della percentuale di anziani nella maggior parte dei Paesi industrializzati, incrementa sensibilmente la domanda di salute e di cure mirate per anziani. Cure che, comunque, avranno un peso sempre maggiore sui budget che già oggi destinano non poche risorse per l’assistenza degli ultra65enni.

In conclusione l’Ocse indica due linee di intervento principali: da un lato il potenziamento delle cure nelle strutture per i più anziani (destinati a vivere sempre di

più); dall’altro un sostegno all’assistenza domiciliare per tutti gli altri ultra65enni che potranno garantirsi una vita autonoma fuori dalle corsie.

Nel futuro gli investimenti in strutture che erogano le cure ad hoc per gli anziani avranno, in diverse Nazioni, la distribuzione rispetto al Pil indicata nella Tab. 2.

Tab. 2 - Futuro della spesa pubblica per strutture di residenziali per anziani (%Pil). Anni 2000, 201 0 e 2020.

Nazione 2000 2010 2020

Australia 0,70 0,88 1,12

Canada 0,54 0,66 0,81

Francia 0,41 0,52 0,66

Germania 0,40 0,45 0,55

Giappone 0,76 1,12 1,54

Olanda 1,23 1,42 1,82

Svezia 1,53 1,58 1,93

Regno Unito 0,72 0,75 0,86

Stati Uniti 0,44 0,46 0,42

Fonte: elaborazione INRCA su dati Ocse 2000

istituzionalizzazione degli anziani sono proprio quelli, come Stati Uniti e Germania, in cui le politiche di assistenza domiciliare hanno iniziato a dare i primi risultati andando ad incidere sulla percentuale di cure erogate presso strutture di lungodegenza, abbassandone il tasso di utilizzo e quindi anche di finanziamento.

Nonostante la dizione "Case di Riposo" assuma, in ogni Nazione, caratteristiche e peculiarità spesso assai diverse, la percentuale di anziani che vivono in istituzioni finalizzate alla long-term care, si aggira tra il 4 e il 5%. Tale dato è stato evidenziato da un’indagine effettuata confrontando le "Nursing Home" di cinque nazioni industrializzate come Australia, Stati Uniti, Canada, Olanda e Norvegia15.

Tra queste cinque nazioni è la Norvegia a detenere il tasso di istituzionalizzazione più basso (3%).

Negli Stati Uniti le strutture si differenziano, per legge, in base al livello di prestazioni erogate oscillando, quindi, tra strutture simili alle nostre R.S.A., assai medicalizzate, fino ad arrivare alla Residenze Assistenziali (R.A.), costituite nel tentativo di controllare l’uso e il costo delle R.S.A.. Anche qui, come in Italia, questo tipo di istituzione è conosciuto con una incredibile varietà di nomi (più di trenta per l’esattezza). Quello che è comunque importante è che a fronte delle 13.500 RSA con 1.300.000 residenti vi sono 34.000 Residenze Assistenziali con 600.000 residenti.

Differente è la situazione che si presenta nel Regno Unito. Qui l’obiettivo dell’ultima riforma fu (1994) quello di rimuovere i perversi incentivi che prevedevano finanziamenti per lo sviluppo dell’assistenza in istituzione, ma non prevedevano risorse per lo sviluppo dell’assistenza sul territorio. Per rimuovere questo problema il finanziamento pubblico è andato maggiormente nelle mani del Dipartimento dei servizi Sociali che privilegiano per definizione l’assistenza sul territorio. Tuttavia questo non si è affatto tradotto in un aumento di spesa per l’assistenza continuativa. Tradizionalmente infatti, una parte sostanziale della spesa per l’assistenza continuativa era riversata dalle autorità sanitarie su letti di lungodegenza, e visto che questi letti sono stati ridotti e nessuno dei fondi che servivano per mantenerli è stato trasferito ai servizi sociali, l’effetto netto è stato di diminuzione delle risorse disponibili per l’assistenza continuativa. In più, i manager della Sanità con le nuove riforme sono incentivati a trasferire le risorse prima indirizzate all’assistenza continuativa nel settore della cura per acuti.

Il rimborso per gli anziani allocati nelle R.A. e nelle R.S.A. non è determinato a livello centrale ma è fatto attraverso contatti ed accordi locali tra ogni Dipartimento di Servizi Sociali e le varie residenze. Quindi non c’è un metodo standard per determinare la relazione tra il livello di disabilità e di bisogno assistenziale ed il corrispondente rimborso. Questi due problemi stanno attualmente assumendo una grande importanza a livello del governo centrale.

In Francia il sistema di assistenza all’anziano trova le sue origini nel 1962, basandosi essenzialmente sull’implementazione dei servizi di assistenza domiciliare per l’anziano. Tale tendenza ha portato ad avere oltre il 94% degli ultrasessantacinquenni e l’80% degli ultraottantenni, anche se non autosufficienti, residenti presso il loro domicilio. Oggi il problema principale da risolvere è il coordinamento dei servizi per quegli anziani le cui condizioni di salute richiedono continuità assistenziale.

Infatti la politica sanitaria, orientata prevalentemente verso l’assistenza domiciliare, ha determinato un aumento dell’età media di istituzionalizzazione (gli anziani stanno più lungo a casa) ed a peggiorato lo stato di salute di coloro che vivono in Residenze Assistenziali, assimilabili ormai ai residenti di R.S.A.. I servizi sociali e quelli sanitari sono finanziati in maniera differente: lo Stato finanzia l’assistenza sanitaria ed un apposito Dipartimento per l’assistenza sociale. Il decentramento ha peggiorato la

situazione. Ad esempio le R.S.A. sono finanziate dallo Stato mentre l’aiuto domestico è finanziato dal Comune, attraverso il Dipartimento, a seconda del reddito. Così le spese assistenziali sono coperte in gran parte attraverso il rimborso all’assistito dall’assicurazione contro la malattia, ed il resto viene coperto da una compartecipazione alle spese variabile da servizio a servizio, mentre le spese per l’aiuto domestico o i pasti a casa sono pagate in modo variabile dal Dipartimento Sociale. L’80% della popolazione è coperta da assicurazioni supplementari personali.

A questa diversità di finanziamenti corrispondono svariati fornitori di assistenza: liberi professionisti (medici ed infermieri) pagati a prestazione, comunità locali, organizzazione profit e non-profit.

Il problema del coordinamento dei servizi sta diventando sempre più grave, visto l’aumento della popolazione target, la diminuzione delle risorse a seguito dell’aumento della disoccupazione e l’aumento degli oneri finanziari per altri servizi a livello della comunità locale. Cresce di conseguenza la necessità, ai fini di una programmazione più accurata e pertinente, di una precisa valutazione multidimensionale con strumenti idonei.

1 . 4 La Regione Lazio e il Comune di Roma

Il tasso di senilizzazione della popolazione residente nella Regione Lazio registra un dato che si situa nella media delle regioni italiane.

Dalla lettura dei dati Istat del Censimento generale della popolazione condotto nel 1991 si evince infatti che, nel complesso delle cinque Province, sul complesso della popolazione residente di 5.140.371 abitanti, il 14,14% è compreso nella fascia che va dai 65 anni in poi; l’8,5% ha un’età compresa tra i 65 e i 74 anni (435.102) unità ed il 5,67% è ultasettantacinquenne (291.652 unità).

La Provincia di Roma, con quella di Latina, è quella che ha la popolazione più giovane con una percentuale di ultrassessantacinquenni pari all’11,8%. Evidente, nel Lazio, risulta lo squilibrio tra i sessi: le persone anziane con più di 65 anni di età sono per il 59,1% donne. La forbice si allarga col crescere dell’età: la popolazione ultrasettantacinquenne del Lazio è costituita da donne per il 62,6%. In relazione ai dati rilevati ed alle proiezioni basate sull’incidenza dei fattori di natalità, mortalità e saldo migratorio, è stato calcolato che nel Lazio a fronte di un incremento annuo della popolazione che si aggira intorno al 4 per mille, tra il 1988 ed il 1999 gli anziani (soggetti con più di 65 anni di età) sarebbe passata da 677.400 a 862.550 con un incremento di circa il 27%.

La Regione Lazio è stata caratterizzata da una concezione della risposta ai bisogni delle persone anziane in termini prevalentemente di istituzionalizzazione e ospedalizzazione. Da ciò è derivato che, ancora agli inizi degli anni novanta, l’offerta assistenziale si articolava come segue:

Case di Riposo (10.500 posti letto, 7.470 dei quali a Roma) ove è stata registrata un’alta percentuale di ospiti non autosufficienti che non possono ricevere cure sanitarie adeguate;

strutture di ricovero e cura per lungodegenti che erogano assistenza di tipo ospedaliero, rilevatasi non idonea a mantenere o recuperare l’autosufficienza;

divisioni di medicina generale degli ospedali, che hanno risentito pesantemente, in termini organizzativi, di tale forma di ricovero improprio.

Tale organizzazione è avvalorata dalla circostanza che il Lazio presentava un tasso di ospedalizzazione che già nel 1980 era del 16,2% per gli anziani di età tra i 65 ed i 74 anni e del 22% per gli ultrasettantaquatrenni, mentre a livello nazionale la percentuale era attestata rispettivamente sul 15,86% e sul 17,7% (fonte Istat). Fino al 1989, vi era anche una notevolissima carenza di servizi territoriali: erano, infatti, 12 su 51 le USL che avevano attivato esperienze, non sistematiche, di assistenza domiciliare.

Con il combinato disposto dalla legge regionale 55/93 "Norme per la riorganizzazione della rete ospedaliera" e dal Regolamento Regionale 1/94 "Organizzazione, funzionamento e realizzazione delle R.S.A.", si inizia ad avere importanti novità anche per ciò che riguarda l’assistenza agli anziani.

Infatti, nel primo caso, perseguendo gli obiettivi di un più razionale utilizzo dei servizi ospedalieri e dell’eliminazione dei ricoveri impropri, si è introdotto nelle Case di Cura private per lungodegenti, previa riorganizzazione funzionale, posti letto (in convenzione) anche a ciclo diurno, di lungodegenza o riabilitazione post-acuzie e di R.S.A. specificando che la durata del ricovero autorizzato in convenzione non può superare i 60 giorni salvo proroga autorizzata dalla Unità Valutativa Multidisciplinare operante presso i Centri di Assistenza Domiciliare (Cad) delle ASL.

Spetta, infatti, al Cad, sempre secondo la l.r. 55/93, il compito di valutare l’esigenza del ricovero e fissarne la durata massima; di definire il piano di intervento per ciascun paziente in funzione delle condizioni sanitarie, sociali, familiari ed economiche e, conseguentemente, le soluzioni da adottare; vigilare sistematicamente presso la Casa di Cura sull’andamento del ricovero al fine di promuovere la dimissione del paziente.

Viene fissato il fabbisogno regionale di posti letto di RSA, per il decennio 1991-2001, in 18.000 unità. Non a caso, infatti, la Regione Lazio ha approvato (provvedimento del Consiglio regionale n. 1108 del 25.01.1990) il Programma regionale di interventi in

materia di edilizia sanitaria con riferimento al piano pluriennale di investimenti ai sensi della legge finanziaria 11.03.1988 n.67. Il piano prevede, tra l’altro, la realizzazione, nell’arco di un decennio, di 18.000 posti letto in Residenze Sanitarie Assistenziali, di cui 3.000 nel primo triennio per anziani non autosufficienti e 4 per handicappati.

Con il Regolamento Regionale 1/94, che disciplina operativamente la l.r.41/93, le istituende R.S.A. "concorrono a realizzazione, nel territorio regionale, di un sistema organico di servizi socio-sanitari, a favore delle persone non autosufficienti, in grado di rispondere agli specifici bisogni degli utenti e delle loro famiglie e di contrastare il ricorso improprio all’ospedalizzazione. Le R.S.A. possono essere realizzate nell’ambito di complessi pubblici o privati, previa autorizzazione della giunta regionale; quelle pubbliche sono gestite o dalle ASL o dai Comuni, o dall’Ipab, con un vincolo di destinazione sanitaria di almeno trent’anni. Il modello organizzativo di riferimento è stato quello di creare una rete di servizi integrati, atti a rispondere in modo personalizzato e diversificato alle effettive e specifiche esigenze dell’utenza in un unico percorso assistenziale. Il processo dovrebbe realizzarsi in ambito distrettuale, in collaborazione tra ASL e Comuni, in collegamento dipartimentale con le strutture ospedaliere (case di riposo, assistenza domiciliare, R.S.A., assistenza semi-residenziale, strutture per lungodegenza post-acuzie, strutture di riabilitazione in regime di degenza o ambulatoriale), con l’obiettivo di contrastare il fenomeno dell’istituzionalizzazione (sia essa socio-assistenziale o ospedaliera) e di mantenere l’anziano ed il disabile nel proprio contesto sociale, mediante un offerta di prestazioni di sostegno alla famiglia e non di totale sostituzione della stessa.

La carenza strutturale di R.S.A. è stata sopperita parzialmente dalle Case di Cura per lungodegenti e dalle Case di Riposo, strutture queste che hanno un peso quali-quantitativo rilevante nell’ambito dei servizi residenziali nel Lazio. Si consideri, infatti, che, secondo una stima dell’assessorato regionale alla Sanità, circa 6000 anziani attualmente ricoverati nel Lazio sono ospiti di case di cura private per lungodegenti.

Un’indagine del 1993 della regione Lazio aveva censito 5.245 posti letto convenzionati nelle 42 Case di Cura per lungodegenti presenti sul territori laziale. Di questi quasi, la metà sono stati censiti nel territorio capitolino (2.365 posti letto).

E’ evidente che le Residenze per Anziani e le Case di Riposo fungono da ammortizzatore rispetto alla domanda inevasa di posti in R.S.A..

Una ricerca condotta nel 1991 dalla Regione Lazio rilevava 231 Case di Riposo per un totale di 8.522 posti letto. Le ASL di Roma con loro 128 Case di Riposo, (pari al 55,4% del totale) e di 5.144 posti letto (pari al 60% di tutti i posti letto della Regione) costituiscono la parte significativa.

Relativamente alla modalità di gestione e alla proprietà delle strutture, la stessa indagine rileva che sono prevalenti le Case di Riposo appartenenti agli Enti religiosi o gestite da Ordini ecclesiastici (50,3% del totale), a fronte delle 953 residenze per anziani gestite da Enti locali come i Comuni (11,3%), delle 725 gestite dalle Ipab (8,5%) e delle 742 gestite da Fondazioni o Associazioni (8,7%). Una quota più che significativa risulta essere l’insieme delle Case di Riposo private che raggiungevano, sempre nel 1991, il 21,2% del totale delle strutture presenti nella Regione.

Risulta interessante, da un punto di vista tecnico, le metodologia applicata dalla Regione Lazio per l’ammissione nelle proprie RSA. Si prevede infatti una valutazione multidisciplinare fortemente orientata alla determinazione del grado di non autosufficienza basata essenzialmente sulle seguenti scale:

• valutazione delle attività basilari della vita quotidiana (scala A.D. L. di Katz) • valutazione delle attività strumentali quotidiane di Lawton e Brody ( scala

I.A.D.L.) • Mini Mental State Examination (test M.M.S.E.) • Scala di depressione Geriatrica (G.D.S.) • Scheda di valutazione socio-economica.

In generale, la valutazione multidimensionale si propone di garantire un corretto accesso al regime di assistenza continuativa e la interdisciplinarietà degli apporti, di coinvolgere, nella procedura valutatoria il medico curante di Medicina Generale o di Geriatria, permettendo, inoltre, di compilare per l’anziano ammesso in RSA un piano individualizzato di assistenza e di effettuare periodicamente controlli dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi fissati inizialmente.

Un ultimo aggiornamento sulla gestione delle Residenze Sanitarie Assistenziali si può riscontrare nel Decreto della Giunta Regionale del 6/5/1997 n.2499 concernente le "Proposte per una definizione del sistema di finanziamento tariffario per le residenze sanitarie assistenziali (R.S.A.) per anziani non autosufficienti".

In tale ambito, ai fini della compatibilità tra finanziamento e livello di attività previsto, viene determinata la dotazione standard tendenziale di riferimento individuata in 2,5 posti letto ogni 100 anziani con più di 75 anni (tenendo conto anche dell’attivazione degli altri servizi previsti per gli anziani sul territorio).

Per il futuro sono stati pertanto previste due influenze opposte sulla domanda per tale tipologia di strutture da ricondursi:

• da un lato, alle necessità di ridurre le giornate di degenza e i ricoveri impropri, imposte dal nuovo sistema di finanziamento tariffario;

• dall’altro, dalla nascita di servizi alternativi all’assistenza erogata in strutture residenziali ad anziani non autosufficienti, quali l’Assistenza Domiciliare Integrata.

Nei prossimi decenni saremo chiamati ad affrontare un crescente problema di assistenza a lungo termine, non solo prevedendo una maggiore spesa su questo versante, ma anche specializzando le risposte e riorganizzandone le funzioni e le relazioni operative con il sistema ospedaliero. Sul versante della specializzazione, che presuppone lo studio di tipologie edilizie, percorsi assistenziali, formazione specifica del personale, appare cruciale l’adozione di un sistema di finanziamento basato sul "case-mix" dei pazienti assistiti, da realizzare con particolare attenzione al carico assistenziale, più che alla diagnosi clinica, secondo il modello proposto dai RUG. È’ necessario, inoltre, prevedere la diffusione di strutture destinate alla gestione professionale di specifici problemi, come gli Hospice per i pazienti neoplastici, Nuclei Assistiti Speciali per pazienti Alzheimer, strutture per pazienti con Comi prolungati. Il problema del collegamento di queste strutture con il sistema ospedaliero è di tipo sia strutturale che organizzativo. Se la loro localizzazione più adeguata appare fuori dall’ospedale, può essere strategico che esse mantengano con l’ospedale una connessione funzionale, nell’ambito di programmi di Disease Management che garantiscano continuità assistenziale, appropriatezza delle cure e garanzia dei livelli assistenziali necessari.

Note

1A. Pasquarella, F. Mastrilli, P.Marra, E. Guzzanti "Indagine sui servizi di assistenza agli anziani in Italia" in Ricerca sui Servizi Sanitari – Vol.1 n° 4 1997

2Tannozzini T. in ASI n° 13 pag 8-10 del 18 aprile 1994

3Gli unici dati disponibili si riferiscono della presenza infermieristica e non ai tecnici della riabilitazione che in questo caso sarebbe assai più significativa

4Lamura G., Masera F. in. Telemedicina, realtà e prospettive di Paciaroni E. pagg. 61-74

5La ricerca si situa in un panorama sull’argomento fermo al 1994 (FNP - CISL MARCHE, I servizi agli anziani - indagine conoscitiva sui servizi per gli anziani delle Marche Ancona, 1994), cioè ad uno studio della Federazione Regionale dei Pensionati della Cisl. Precedentemente (nel ’93) il campo era stato toccato dall’I.N.R.C.A. con un’indagine sugli anziani istituzionalizzati delle Marche (M. Mengani - I.N.R.C.A., "Gli anziani negli istituti - Indagine sul grado di autosufficienza nella Regione Marche", in Prisma - Supplemento al n. 32, Ancona, dicembre 1993). Dedicato alle Case di Riposo

marchigiane anche una sezione di una ricerca svolta sempre dallo stesso Istituto nel 1990 (C. Renzi et al., Capitolo 6: "Le Case di Riposo", in Rilevazione della popolazione anziana e dei servizi socio-assistenziali dedicati, I.N.R.C.A, Ancona, 1995, pp. 128-154). Alla rilevazione effettuata dall’I.N.R.C.A. hanno aderito 53 delle 86 Case di Riposo attivate con il servizio di Telemedicina, benché anche tutte le altre siano state contattate. Dunque l’indagine vera e propria ha riguardato il 37% del totale delle Case di Riposo presenti nelle Marche (136).

6Mediamente, a livello regionale, il 77% degli Istituti ha una natura giuridica pubblica, con punte sopra l’80% nella Provincia di Ascoli Piceno, di poco sopra la media ad Ancona e Pesaro-Urbino e sotto la media solo a Macerata.

7"Piccole" (fino a 39 posti letto), "medio-piccole" (fino a 59), "medio-grandi" (fino a 79) e "grandi" (80 ed oltre posti letto).

8Mengani M. et al. "L’assistenza famigliare agli anziani. La situazione del Comune di Senigallia". Il lavoro Editoriale, Ancona, 1999

9Pesaresi F., Simoncelli M., "Le RSA nelle regioni italiane: tipologia e dimensioni. Agenzia Sanitaria Italiana, n. 1 e 2, 14-36, 7/14 gennaio 1999

10Nella sopracitata indagine è risultato che il 42% dei 2.500 posti letto messi a disposizione delle Case di Riposo prese in esame è riservato a soggetti non autosufficienti, dato a cui va ad aggiungersi che un Istituto su quattro accetta esclusivamente ospiti autosufficienti.

11Fries BE, Cooney LM. Resource utilization groups. A patients classifications systems for long term care. Med Care. 23 (2): 110-22, 1985

12Morris JN, Nonemaker S, Murphy K et al. A commitment to change: Revision of HCFA’s RAI. J. Am. Geriatr. Soc. 45: 1011-1016, 1997

13Ferrucci L, Brizioli E, Bernabei R, Di Niro G, Masera F. Validazione del sistema RUG III in Italia. Bollettino Nazionale delle Ricerche – in press.

14Ocse 2000: Anziani (oltre 65 anni) in % alla popolazione lavorativa (tra 15 e 64 anni)

15J.F. Van Nostrand, R. Clark., T. I. Romoren "Nursing Home Care in Five Nations", in Ageing International, Vol. XX, n. 2 pag 1-5, 1993

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Dai dati sopra riportati risulta chiaro che i Paesi in cui vi è un più basso tasso di Indice