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ASSOCIAZIONE NAZIONALE INSEGNANTI SCIENZE NATURALI LE SCIENZE NATURALI NELLA SCUOLA Periodico quadrimestrale ANNO XXII - N. 48 - NUMERO SPECIALE - FASCICOLO I - 2013 LOFFREDO EDITORE NAPOLI Il Progetto Fibonacci Per la diffusione in Europa dell’Insegnamento Scientifico Basato sull’Indagine (IBSE)

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE INSEGNANTI SCIENZE NATURALI

LE SCIENZE NATURALI NELLA SCUOLA

Periodico quadrimestraleANNO XXII - N. 48 - NUMERO SPECIALE - FASCICOLO I - 2013

LOFFREDO EDITORE NAPOLI

Il Progetto FibonacciPer la diffusione in Europa dell’Insegnamento

Scientifico Basato sull’Indagine (IBSE)

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE INSEGNANTI SCIENZE NATURALI LE SCIENZE NATURALI NELLA SCUOLAPeriodico quadrimestraleANNO XXII - N. 48 - NUMERO SPECIALE - FASCICOLO I - 2013

Direttore Responsabile: Pietro Grecoe-mail: [email protected]

Direttore: Alessandra Magistrelliemail: [email protected]

Comitato di redazioneLuigi D’Amico, Fabrizia Gianni, Anna Lepre, Mariada Muciaccia.

Sede: Istituto di Zoologia “Federico Raffaele”Dipartimento di Biologia Animale e dell’UomoViale dell’Università, 32 - 00185 Roma

Comitato scientificoBertolini B., Manelli H., Omodeo P., Parotto M., Sica S.

Ritocco del logo eseguito daMarina Comandini

In copertina: Logo de “Il Progetto Fibonacci”

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Anno XXII - Periodico quadrimestraleAbbonamento annuo: per l’Italia € 30,00; per l’estero € 40,00Costo di un fascicolo: per l’Italia € 10,00; per l’estero € 15,00

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere tradotta, riprodotta, copiata o trasmessa senza l’autorizzazione scritta dell’editore.

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L’ANISN si pone da trent’anni come soggetto attento e promotore instancabile di processi di insegnamento-apprendimento innovativi mediante la creazione di gruppi di lavoro dedicati, scuole estive, corsi di formazione, progetti specifici, pub-blicazioni. Negli ultimi anni, relativamente alla mia Presidenza nazionale, si sono succeduti il Piano Insegnare Scienze Sperimentali - ISS (http://www.anisn.it/piano_iss.php), il Progetto Fibonacci (www.fibonacci-project.eu) ed il recente Programma Scientiam Inquirendo Discere - SID (www.linceieistruzione.it) che hanno fatto in qualche modo coagulare, capitalizzare ed accrescere esponenzialmente tali esperien-ze coinvolgendo numerosissimi soci e sezioni.

Il grande consenso nell’accogliere da parte dei tutor le impostazioni e gli assi del Piano ISS o le complesse dinamiche esplicite ed implicite indotte dalla pratica dell’Inquiry Based Science Education - IBSE con il Progetto Fibonacci e con il Programma SID, la ferma convinzione nell’intraprendere volontariamente un viaggio condiviso fatto di “messa in comune e in discussione”, di “scelta studiata” di strade possibili, di “pause e osservazioni” in punti panoramici… per poi riparti-re con visioni accresciute e condivise in comunità di pratica, ha dato valore alle im-prese di sistema che partono dalla scuola, dai professionisti umili del fare scienze giorno dopo giorno in classe con i propri allievi. Si sono innescati riconoscimenti, risonanze e senso di appartenenza permettendo coaguli, capitalizzazioni e sodalizi potenti ed efficaci. Si sono creati così “movimenti orizzontali profondi” che sono riusciti a fluire senza subire sino all’annientamento, l’influenza anche deviante dei “venti”, che possono spingere in direzioni sovente non convergenti, che possono arrivare come turbini, distruggendo non solo germogli, ma anche rami antichi e frutti maturi, con raffiche talmente repentine ed inaspettate da sorprendere sino a “spezzare”.

La centralità del valore dell’educazione scientifica dei nostri giovani, la centrali-tà della informazione e formazione continua dell’insegnante quale “core” del pro-cesso di innovazione e sostegno dell’insegnamento-apprendimento, la comunione sinergica e continua anche con la Scienza “alta” è la chiave, e noi l’abbiamo indivi-duata da tempo e usata per aprire a nuovi orizzonti, visioni e mete…

Questo volume contiene documenti e risorse che sono stati sviluppate sia nell’ambito del Progetto Fibonacci dell’FP71, nel quale l’ANISN è partner italiano, che durante le fasi di avvio del Programma nazionale di cooperazione con l’Accademia Nazionale dei Lincei e con il MIUR denominato Scientiam Inquirendo Discere - SID2 che rappresen-ta la implementazione del modello strutturale e funzionale di diffusione dell’Inquiry Ba-sed Science Education - IBSE in Italia creato con il Progetto Fibonacci.

La partecipazione dell’ANISN in tali progetti affonda le sue radici nelle nume-rose connessioni internazionali sviluppate con continuità a partire dal 2008. In par-ticolare fondamentale è stata ed è la collaborazione con il programma francese La main à la pâte e con altri programmi internazionali sull’IBSE sviluppati in Europa

1 The Seventh Framework Programme (2007-2013)2 Documenti di base del Programma SID a cura di A. Lepre, I. Marini, A. Pascucci, S. Zanetti e

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lee nel mondo anche in collaborazione con l’Inter Academy Panel-IAP e con l’ALLEA (ALL European Academies)3.

La comprensione del senso delle strategie utilizzate sia nel lavoro svolto nel Pro-getto Fibonacci che in quello in corso per il Programma Programma Scientiam In-quirendo Discere - SID impone una introduzione più esplicita rispetto ad alcuni pi-lastri strutturali e funzionali che permettono la comprensione piena di un program-ma sistemico e sistematico frutto di una squadra di rigorosi ed instancabili profes-sionisti costituita negli anni 2010 e 2011 da Antonella Alfano, Maria Alfano, Pao-la Bortolon, Giulia Forni, Isabella Marini, Laura Salsano, Anna Lepre, Rosanna La Torraca, Franca Pagani, Ernesta De Masi, Silvia Zanetti, a cui va il mio senti-to ringraziamento per questa impresa che non poteva, non può e non potrà essere che collettiva. Caratteristica ineludibile per un contributo significativo per l’Educa-zione scientifica delle giovani generazioni del nostro Paese.

E così ad alcune tracce essenziali sull’IBSE nel paragrafo L’insegnamento e appren-dimento delle Scienze con L’Inquiry Based Science Education - IBSE segue la breve de-scrizione del Il Programma La main à la pâte considerato indiscutibilmente l’espres-sione più organizzata e reticolare di un programma cooperativo a livello internazio-nale. Viene poi descritto il Progetto Fibonacci con i maggiori aspetti dell’architettu-ra organizzativa e strutturale. Il paragrafo successivo mira alla focalizzazione nell’am-bito del Progetto Fibonacci sul modello dei Centri Pilota, che rappresenta l’idea e la struttura chiave su cui è stato costruito l’impianto operativo della partecipazione dell’ANISN al Progetto Fibonacci, la costruzione progressiva a Napoli del modello strutturale e funzionale di un centro pilota per la diffusione dell’IBSE in Italia che viene poi usato ed amplificato nel Programma SID. Si approda cosi al paragrafo Dal Progetto Fibonacci al Programma Scientiam Inquirendo Discere - SID Che offre un quadro dell’architettura e delle prospettive del Programma SID.

Anna Pascucci Presidente ANISN Responsabile nazionale Progetto Fibonacci Responsabile didattica nazionale Programma SID

3 A. Pascucci, F. Pastrone “A renewal of science education in Europe” Views and Actions of Na-tional Academies Analysis of surveys conducted in 2010 and 2011 A report of the ALLEA Working Group Science Education (IAP Science Education Programme Regional European Council), 2012 pg. 61-64

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Anna Pascucci

Il progetto Fibonacci: una sfida per l’innovazione didattica nell’insegnamento delle Scienze in Italia

Elementi di contestoMolte indagini europee hanno evidenziato un allarmante calo dell’interesse dei

giovani per gli studi scientifici. Questo preoccupa sia per lo sviluppo delle potenzia-lità cognitive dei singoli ragazzi ma anche per il ruolo di principale leva economica che la Scienza ha assunto nell’attuale società della conoscenza (knowledge-based so-ciety).

L’Unione Europea ha ripetutamente sollecitato i governi degli Stati membri ad intervenire con iniziative atte a migliorare i sistemi di formazione degli insegnanti e la preparazione scientifica degli studenti.

Numerosi studi1-2 concordano nell’indicare nella qualità dell’insegnamento sco-lastico delle Scienze l’elemento cruciale per invertire la tendenza e la comunità di esperti di educazione scientifica ha individuato come valida pratica educativa l’ap-proccio IBSE (Inquiry Based Science Education) le cui esperienze internazionali di implementazione si sono mostrate efficaci sia a livello di scuola primaria che secon-daria.

La creazione di programmi strategici stabili, sinergici e cooperativi con altri pae-si europei e con paesi americani o asiatici che stanno investendo fortemente nel-l’educazione scientifica, si configura pertanto come un modo efficace per far fronte ad urgenze specifiche del nostro paese e nel contempo offre interessanti e preziose opportunità di cooperazione internazionale per l’educazione scientifica.

In Italia non si parte da zero, anzi molte sono state le iniziative e i progetti, an-che di grande qualità, elaborati e realizzati nel corso degli ultimi anni, ma i segnali di miglioramento sono ancora modesti. La mancata connessione tra le azioni svilup-pate non ha condotto ad una capitalizzazione sinergica in una dimensione naziona-le sistemica e sistematica, l’unica, a mio avviso, capace di avere come tratto domi-nante la “sostenibilità” intesa come capacità di durare, di incidere nel profondo, di

1 European Commission, High Level Group on Science Education (2007). Science Education NOW: A renewed Pedagogy for the Future of Europe. Brussels, Directorate-General for Research, Infor-mation and Communication Unit. From: http://ec.europa.eu/research/science-society/document_li-brary/pdf_06/report-rocard-on-science-education_en.pdf.

2 Osborne, J., & Dillon, J. (2008). Science Education in Europe: Critical Reflections. London: The Nuffield Foundation. From: http://hub.mspnet.org/index.cfm/15065. o

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propagarsi, di promuovere la diversità e la coesione, di non dissipare risorse, di va-lorizzare il passato nel creare il futuro.

Questa la grande sfida ed ambizione della partecipazione dell’ANISN al Proget-to Fibonacci www.fibonacci-project.eu

Nel 2010 l’ANISN diventa partner italiano nel Progetto Fibonacci del 7° Program-ma Quadro dell’EU e crea a Napoli presso la Stazione zoologica Anton Dohrn il primo centro pilota italiano per la diffusione dell’IBSE in Italia, coniugando la sua pluridecen-nale esperienza nella didattica delle Scienze e la possibilità di esplorare, modificare ed implementare esperienze internazionali consolidate, disegnando e validando in campo un modello italiano di centro pilota per la diffusione dell’IBSE.

1. L’insegnamento e apprendimento delle Scienze con l’Inquiry Based Science Education - IBSE

Secondo l’OCSE, “Gli studenti non possono imparare tutto ciò di cui avranno bisogno in età adulta. Ciò che devono acquisire sono i requisiti per un apprendi-mento di successo nel futuro”.

L’istruzione scientifica dovrebbe, quindi, permettere agli studenti di:

1. acquisire le principali linee di pensiero per capire gli aspetti del mondo che li circonda, essere in grado di effettuare scelte e prendere decisioni che riguardano la loro salute e la loro relazione con l’ambiente;

2. capire, in modo elementare, ciò che la scienza è, “come funziona”, quali sono i suoi punti di forza e i limiti, per rendersi conto che principi e le teorie avan-zate per spiegare i fenomeni sono temporanei e riconoscere l’influenza della pseudo-scienza che spesso offrono pubblicità e media;

3. sviluppare la capacità di comunicare esperienze e idee nella scienza per espri-mere pensieri e idee, condividerli e difenderli attraverso la discussione e l’ar-gomentazione;

4. essere in grado di continuare ad apprendere. Più che l’accumulazione delle conoscenze teoriche, che si possono facilmente recuperare tramite le fonti di informazione ampiamente disponibili oggi, ciò che è realmente necessario so-no le competenze necessarie per accedere a queste fonti, selezionare le informazio-ni pertinenti e dar loro un significato”.

1.1. Quale approccio metodologico favorisce lo sviluppo di tali competenze e qua-li indicazioni emergono dai dati delle ricerche?

Nei vari report della ricerca didattica internazionale sull’insegnamento delle scienze è ben documentato il contributo positivo delle attività pratiche nell’appren-dimento delle scienze: tuttavia, più tali attività risultano aperte, più permettono agli alunni di accrescere le competenze cognitive complesse. Lo sviluppo di un ragiona-mento scientifico si basa su un insegnamento e su apprendimenti che privilegiano il processo di indagine.

Alcune ricerche, inoltre, considerano la capacità di argomentazione, nell’ambito

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dei dibattiti socio-scientifici, una valida occasione per apprendimenti concettuali ed epistemologici della disciplina (Sadler e Zeidler 2005). Un altro dato che emerge è che i giovani non riescono a mettere in relazione ciò che fanno a scuola con la lo-ro vita reale di tutti i giorni, non riescono a comprendere l’utilità e la fruibilità di ciò che imparano e, di conseguenza, sono anche molto critici nei confronti dell’in-segnamento delle scienze. I metodi basati sull’investigazione, rispetto ai metodi de-duttivi, aumentano l’interesse verso le scienze (v. Rapporto Rocard) che molto spes-so vengono vissute come un qualcosa di separato dalla vita reale.

Alla luce di quanto affermato si può inferire che un approccio didattico che sod-disfa sia la natura della struttura sintattica delle discipline scientifiche sia tutte le raccomandazioni che emergono dai vari studi condotti sull’insegnamento/appren-dimento delle scienze è quello investigativo o Inquiry-Based Science Education (IB-SE). Infatti, valutazioni formulate sui risultati di alcuni monitoraggi, lo indicano come l’approccio che meglio di altri permette lo sviluppo di competenze scientifi-che di alto livello.

1.2. Apprendere ed insegnare le scienze attraverso l’IBSEIn un ambiente di apprendimento IBSE i problemi, significativi per i ragazzi,

perché legati alla loro realtà, hanno un ruolo centrale. Si tratta di problemi per la cui soluzione i ragazzi hanno bisogno di raccogliere le opportune informazioni, identi-ficare le possibili strategie, arricchire il proprio bagaglio conoscitivo, valutare le op-zioni, formulare congetture e verificarle, presentare le conclusioni, in un’atmosfera di confronto vivace e costruttivo con le idee dei compagni e di sapiente stimolo e supporto del docente.

IBSE si basa sulla convinzione che sia importante accertarsi che gli allievi ap-prendano in modo significativo e che non memorizzino semplicemente contenuti ed informazioni.

IBSE si sviluppa attorno ai seguenti principi:

u l’esperienza diretta è al centro dell’apprendimento della scienza.

Gli allievi devono avere un’esperienza diretta con i fenomeni che stanno studian-do perché:

– l’esperienza diretta è la chiave alla comprensione dei concetti– gli allievi acquisiscono una conoscenza del mondo intorno a loro più cor-

retta, attraverso le loro esperienze;– le parole da sole hanno spesso poco potere per cambiare le misconcezioni;

u gli allievi devono capire e fare propria la domanda o il problema che è il ful-cro del loro lavoro.

Affinché siano partecipi e attivi nelle indagini scientifiche, gli allievi devono comprendere la domanda o il problema su cui stanno lavorando ed esso deve essere significativo per loro;

u condurre un’indagine scientifica richiede che gli allievi sviluppino molte abi-lità.

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Ci sono molte abilità importanti in una indagine scientifica, quali quelle di os-servare, di porre domande, di fare previsioni, di progettare indagini, di analizzare dati e supportare le affermazioni con le evidenze sperimentali. Tra queste numerose abilità, una delle più importanti è quella di osservare con attenzione e di saper de-terminare che cosa è importante da osservare;

u apprendere la scienza non significa soltanto “sperimentare”, ma anche ragio-nare, comunicare e scrivere sia per sé che per gli altri.

Affinché l’esperienza diretta conduca alla comprensione, gli allievi devono pen-sare in modo pratico al loro “compito”, discutere e dibattere con altri e redigere re-lazioni scritte delle loro esperienze e dei loro ragionamenti sia di gruppo sia perso-nali; l’uso di fonti alternative è complementare all’esperienza diretta.

Gli allievi non possono scoprire tutto ciò che debbono sapere attraverso l’inda-gine. Le fonti alternative in IBSE sono al servizio della ricerca degli studenti, ma non possono sostituire l’esperienza diretta;

u la scienza è un’attività di cooperazione.

La ricerca scientifica è solitamente un’attività di collaborazione. Quando gli al-lievi lavorano assieme in piccoli gruppi, condividono le idee, discutono e riflettono su che cosa devono fare e su come devono farlo, confrontano le proprie ipotesi, ar-gomentano le proprie posizioni, ecc.

Come operano gli alunni?Attraverso l’IBSE gli studenti sviluppano concetti che consentano di compren-

dere da soli gli aspetti scientifici del mondo intorno a loro, grazie alla riflessione che fanno, applicando alle informazioni che hanno raccolto un ragionamento logico e critico.

Ciò implica per ognuno:

– la manipolazione diretta di oggetti e strumenti e l’osservazione di eventi;– l’utilizzo di dati provenienti da altre fonti, come i libri, Internet, insegnanti o

gli scienziati:– fare domande derivanti dalle proprie indagini, fare previsioni, progettare e

condurre una ricerca, risolvere i problemi che ne derivano, testare altre idee, tenere conto di nuovi risultati e sviluppare nuove ipotesi;

– collaborare con gli altri, condividere idee, progetti e risultati, far progredire la propria comprensione attraverso il dialogo con gli altri.

Come opera l’insegnante?L’insegnante aiuta gli studenti a sviluppare le proprie competenze nell’investiga-

zione e nella comprensione di concetti scientifici attraverso le loro attività e il loro ragionamento. Ciò comporta l’organizzazione del lavoro di gruppo, l’incentivazione all’argomentazione, al dialogo e alla discussione, e si forniscono anche strumenti e fonti di informazioni necessari per un’esplorazione e una sperimentazione diretta.

L’obiettivo è quello di rendere gli studenti più indipendenti nel loro apprendi-mento. Ciò implica che gli insegnanti devono fornire ai propri studenti situazioni

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che permetteranno loro di sviluppare una migliore comprensione del mondo che li circonda utilizzando l’approccio investigativo. Nello specifico si riportano di segui-to le principali azioni e strategie didattiche che gli insegnanti debbono mettere in atto per poter implementare in modo corretto l’IBSE.

Organizzare la classe.Se gli allievi sono impegnati in attività pratiche a gruppi, l’aula deve essere pre-

disposta in modo da rendere accessibili agli allievi tutti i materiali necessari e da ave-re lo spazio sufficiente. Se gli allievi devono lavorare ed imparare assieme, tutti de-vono sentirsi a loro agio ed avere l’opportunità di contribuire a tutti gli aspetti del lavoro scientifico – la fase operativa, la riflessione, la discussione e la documentazio-ne scritta.

Formulare e rivolgere le domande.Le domande poste dagli insegnanti giocano un ruolo molto importante nel-

l’IBSE. Domande produttive spingono gli studenti verso un livello di lavoro e di ri-flessione più profondo. Le domande non produttive sono quelle che spesso richie-dono solo una breve risposta verbale.

Utilizzare le idee e le conoscenze già acquisite dagli studenti.Gli studenti generalmente hanno molte concezioni sui fenomeni che sperimen-

tano nella vita quotidiana.Spesso queste concezioni sono incomplete o contrarie alle spiegazioni scientifi-

che del fenomeno in questione (misconcezioni). Gli insegnanti devono prendere in considerazione queste idee e adattare le attività in modo da fornire agli studenti de-gli stimoli che portino a far emergere nuove e più ragionevoli spiegazioni.

1.3. Alcune misconcezioni sull’IBSELa mancanza di una formazione adeguata degli insegnanti, di uno studio pro-

fondo, di un accompagnamento e della creazione di una comunità di pari che per-mettono l’appropriazione progressiva dell’IBSE porta di frequente alle seguenti mi-sconcezioni:

1. Tutto l’insegnamento delle scienze a scuola deve avvenire attraverso l’IBSE.

L’applicazione dei metodi investigativi non esclude l’utilizzo dei tradizionali metodi deduttivi, anzi l’integrazione dei due diversi approcci nell’insegnamento delle scienze può soddisfare i diversi stili cognitivi e di apprendimento degli stu-denti.

u L’IBSE è l’applicazione del metodo scientifico (inteso come una sequenza li-neare di fasi)

u L’IBSE richiede che gli allievi generino e investighino solo sulle loro do-mande.

u L’IBSE si può applicare senza attenzione alla scelta accurata dei concetti scien-tifici.

u L’IBSE può essere realizzato facilmente a scuola, basta disporre di percorsi con descrizione di attività pratiche e kits.

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u L’interesse dell’allievo è generato dalle attività pratiche, sono esse che assicu-rano che si sta realizzando una didattica basata sull’IBSE.

u L’IBSE è troppo difficile da realizzare nell’aula

1.4. L’IBSE e la comunità scolasticaL’educazione basata sull’inquiry richiede capacità di insegnamento e di relazione

in aula che variano considerevolmente da quelle associate con l’insegnamento tradi-zionale. Ciò che si sostiene con ampie argomentazioni nella relazione IAP del grup-po di lavoro su Science Education (2009) è rilevante per ogni apprendimento:

“Gli obiettivi della formazione moderna e della educazione basata sull’inquiry, richiedono specificatamente agli studenti di diventare più “learner” indipendenti. Questo significa che gli insegnanti devono sviluppare nuove relazioni con gli stu-denti e devono consentire agli studenti di sviluppare le proprie idee”.

La maggior parte degli insegnanti impiegheranno un tempo considerevole per appropriarsi dell’approccio IBSE ad un sufficiente grado di profondità. Questo ri-chiede anche cambiamenti nella concezione e visione dell’apprendimento sia da parte delle strutture amministrative dell’educazione che dell’intera comunità scola-stica (dirigenti, colleghi, alunni, genitori). L’intima trasformazione che impone l’IB-SE richiederà tempi diversi, certamente estesi su un arco pluriennale, essi possono variare in modo anche significativo a seconda dei contesti nei quali verrà introdotta sia in termini di livello scolare che di storia contestuale a livello di docente, istituto, contesto locale, sia per l’architettura organizzativa di formazione, sostegno e accom-pagnamento che verrà costruita e mantenuta con continuità.

2. Il Programma La main à la pâte*3

2.1. Come nasce e che cos’è “La main à la pâte”“La main à la pâte” nasce, come operazione di rinnovamento dell’insegnamento

delle scienze, nel 1996 per iniziativa di Georges Charpak, premio Nobel per la fisi-ca 1992, e dell’Accademia delle scienze, con il patrocinio del ministero de l’Éduca-tion nationale francese. Questa sperimentazione aveva come scopo la divulgazione di un efficace approccio didattico per l’insegnamento delle scienze nella scuola pri-maria, fondato sull’investigazione, sulla problematizzazione e sulla sperimenazione. In 4 anni La main à la pâte ha coinvolto quasi 5000 classi volontarie e nel 1999 un rapporto dell’ispezione generale dell’Éducation nationale stese un bilancio positivo dell’operazione.

La main à la pâte è ormai diffusa su tutto il territorio francese e mira a promuo-vere, nel seno della scuola primaria, un metodo d’insegnamento-apprendimento ispirato all’Inquiry Based Science Education (IBSE).

L’originalità e l’efficacia, che le sono proprie, sono dovute ad alcuni principi es-senziali, come:

1. l’approccio pedagogico che privilegia l’IBSE;

3 A cura si Silvia Zanetti

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2. il coinvolgimento della comunità scientifica attraverso l’istituzione di pater-nariati di prestigio;

3. le interazioni tra pari;4. le risorse offerte dalla rete di siti Internet;5. il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche, particolarmente quelle nazio-

nali dell’educazione;6. la diffusione e l’organizzazione a livello territoriale attraverso i centri pilota;7. la gratuità.

La main à la pâte costituisce ormai una dinamica potente di cui l’educazione na-zionale si è impossessata, soprattutto attraverso i nuovi programmi della scuola e un riferimento come polo innovatore.

2.2. I 10 principiL’impianto epistemologico, che sta alla base dell’approccio pedagogico-didattico

per l’insegnamento delle scienze della scuola primaria sostenuto e diffuso da La main à la pâte, si basa su 10 principi:

u I bambini osservano un oggetto (di studio) o un fenomeno del mondo reale, a loro vicino e per loro significativo, e sperimentano su di esso.

u Durante le loro investigazioni i bambini riflettendo e argomentando, discu-tendo le proprie idee e risultati confrontandosi con gli altri, costruiscono le proprie conoscenze, poiché un’attività puramente manuale non è sufficiente.

u Le attività proposte dagli insegnanti agli allievi sono organizzate in sequenza, in vista di un apprendimento progressivo; riprendono i temi dei programmi nazionali e lasciano un grande spazio all’autonomia degli allievi.

u Un tempo minimo di 2 ore per settimana, per numerose settimane. Per tutte le attività scolastiche va garantita una continuità nell’approccio pedagogico-didattico.

u Ogni alunno possiede un quaderno delle esperienze dove queste sono raccon-tate utilizzando il loro linguaggio naturale.

u Il principale obiettivo consiste nell’appropriazione progressiva, da parte degli alunni, di concetti scientifici e di tecniche operatorie, accompagnata da un consolidamento dell’espressione scritta e orale.

u Le famiglie e/o le agenzie e i soggetti che operano nel territorio sono coinvol-ti nelle attività realizzate in classe.

u A livello locale, partner scientifici (università, grandi scuole) accompagnano il lavoro di classe mettendo a disposizione le loro competenze.

u A livello locale, gli IUFM4 mettono a disposizione degli insegnanti le loro esperienze pedagogiche e didattiche.

u L’insegnante può ottenere presso il sito Internet http://www.inrp.fr/lamap dei moduli (lezioni) da mettere in opera, delle idee di attività, delle risposte alle sue domande. Può anche partecipare a un lavoro cooperativo con dei col-leghi, dei formatori e degli scienziati.

4 Institut Universitaire de Formation des Maîtres, istituti universitari dove viene svolta la forma-zione iniziale degli insegnanti.

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2.3. I centri pilotaI centri pilota sono i nodi nevralgici dell’operazione La main à la pâte, quelli che

garantiscono sia la diffusione delle idee e dei principi dell’operazione e quindi il rin-novamento sia la permanenza nel tempo del rinnovamento messo in atto, grazie all’assistenza continua agli insegnanti e alle scuole. Le azioni messe in atto dai cen-tri pilota fanno riferimento principalmente a due ambiti:

u la produzione e diffusione delle risorse pedagogiche.

La maggioranza dei centri pilota mettono a disposizione delle scuole della loro zona geografica delle risorse pedagogiche, che possono essere documenti, diffusi at-traverso i siti Internet, o dei kit di materiale sui differenti temi dei programmi che possono essere presi in prestito per un dato tempo dagli insegnanti e utilizzati in classe con gli alunni;

u l’accompagnamento degli insegnanti.

In tutti i centri pilota sono organizzati degli stages di formazione continua che si prolungano spesso con gli insegnanti anche nelle loro classi attraverso l’Accompagna-mento in scienza e tecnologia nella scuola elementare (ASTEP) che prevede la collabo-razione di ricercatori, ingegneri, tecnici delle imprese e studenti di Scienze della for-mazione.

Le varie forme di sostegno offerte dall’ASTEP sono: l’accompagnamento in classe, a distanza, in formazione, il tutoraggio, i progetti di collaborazione, la produzione di ri-sorse.

3. Il Progetto Fibonacci

3.1. Che cos’è il Progetto FibonacciIl Progetto Fibonacci, finanziato nell’ambito del Settimo Programma Quadro

del l’Unione Europea, si pone come finalità di contribuire alla diffusione nell’Unio-ne Europea dell’approccio all’Insegnamento della Matematica e delle Scienze basa-to sull’Indagine (IBSE), con modalità che si adattino alle specificità nazionali o lo-cali. l Progetto, iniziato il 1° gennaio 2010 e della durata di 3 anni, viene coordina-to dal programma francese La main à la pâte (Académie des Sciences, Institut Na-tional de Recherche Pédagogique, École Normale Supérieure – quest’ultima è l’Isti-tuzione legalmente responsabile di Fibonacci); mentre il coordinamento scientifico è condiviso con l’Università di Bayreuth (Germania).

Il Progetto prevede la diffusione da 12 Centri di Riferimento (RC) a 24 Centri Gemelli (TC: Twin Centres), sulla base di un approccio globale e di qualità. La dis-seminazione avverrà grazie all’abbinamento dei RC, selezionati sia per la loro coper-tura estesa sulle scuole che per la loro capacità di trasferimento dell’approccio IBSE, con 12 Twin Centres 1 e 12 Twin Centres 2, che sono da considerare RC in forma-zione. Quindi il fine ultimo è quello di tradurre il Progetto Fibonacci in un model-lo per il trasferimento di una organizzazione metodologica che consenta di formare altri RC in Europa.

Il Consorzio comprende 25 membri da 21 paesi con l’approvazione o il pa-

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trocinio da parte delle grandi Istituzioni scientifiche come le Accademie delle Scienze.

Come partner italiano è stato scelto l’ANISN, in gemellaggio con l’Ecole Natio-nale Supérieure des Mines de Saint-Etienne, che ha il compito di costituire un Twin Centre 2 con sede a Napoli.

Sono considerati quali elementi strutturali di base tre pilastri e nove modelli fon-damentali:

pilastro I. La didattica della Matematica e delle Scienze basata sull’investigazione e la ricerca (IBSE) per l’alfabetizzazione scientifica;pilastro II. Iniziative locali per l’innovazione e la sostenibilità del Progetto;pilastro III. Il gemellaggio come strategia per la diffusione dell’IBSE.

I modelli fondamentali di Fibonacci, che i partner coinvolti nel Progetto utilizze-ranno quali elementi di riferimento per ottenere un cambiamento nella didattica e per l’apprendimento attraverso IBSE, prevedono:

u Sviluppare una cultura basata su problemi.u Lavorare scientificamente.u Imparare dagli errori.u Garantire le conoscenze di base.u Apprendere in modo cumulativo (v. teoria Robert M. Gagné).u Affrontare sia lo specifico disciplinare che adottare approcci interdisciplinari.u Promuovere la partecipazione delle ragazze e dei ragazzi.u Promuovere la cooperazione tra studenti.u Apprendere autonomamente.

Il sito web del Progetto Fibonacci, www.fibonacci-project.eu, fornisce informa-zioni, risorse e strumenti per il Progetto. Tutti i documenti sono liberamente acces-sibili e disponibili in lingua inglese nella sezione Resources (Risorse). Alcuni docu-menti saranno anche disponibili sulla piattaforma europea multilingue Scientix per la comunità dell’educazione scientifica (http://scientix.eu).

3.2. I Centri di Riferimento, i Twin Centres e il gemellaggio come strategia per la diffusione dell’IBSE

La strategia di diffusione del Progetto Fibonacci si basa su una rete di 12 RC in tutta Europa, tutti dotati di una riconosciuta competenza nella realizzazione ed at-tuazione dell’IBSE a livello locale o nazionale.

La qualifica di Centro di Riferimento è riconosciuta in base a:

– esperienza nell’attuazione di un approccio IBSE sistemico a livello locale;– attuazione dell’IBSE nelle classi;– disponibilità dei materiali didattici nelle scuole;– unità di apprendimento basate sull’IBSE;– apprendimento tra pari e sviluppo professionale dei docenti;– coinvolgimento della Comunità Scientifica;– coinvolgimento delle autorità istituzionali nel campo dell’Istruzione;– coinvolgimento di soggetti non istituzionali (genitori, municipalità).

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Ciascun RC è costituito da un coordinatore locale ed un nucleo di esperti e for-matori di insegnanti.

Le iniziative locali e regionali, infatti, sono particolarmente adatte per riformare l’educazione scientifica in Europa:

u le dimensioni ridotte aumentano il potenziale di innovazione grazie alla gran-de concentrazione di attori e la migliore integrazione nelle politiche locali;

u il coinvolgimento progressivo dell’intera comunità locale in uno sforzo con-giunto consente la capitalizzazione delle risorse provenienti dai diversi sog-getti all’interno e all’esterno del sistema di istruzione formale;

u i sistemi e gli strumenti possono essere messi alla prova prima della loro repli-cazione su vasta scala.

La diffusione dell’innovazione non avviene né dall’alto né dal basso, ma piutto-sto mediante il trasferimento di pratiche semi-formalizzate e di esperienze che han-no raggiunto un soddisfacente livello di riconoscimento, di competenza e di soste-nibilità su scala locale. Quindi:

u devono essere compiuti particolari sforzi per privilegiare l’applicazione delle strategie di successo suggerite dai RC;

u le chiavi per il successo di un’ampia diffusione sono i gemellaggi e l’appren-dimento tra pari mediante visite, tutoring, condivisione delle risorse e strate-gie di trasferimento;

u è importante concentrarsi sia sulla strategia attuativa che sul contenuto peda-gogico.

Il Progetto prevede, infatti, che ciascun Centro di Riferimento formi e accompa-gni (gemellaggio e tutoraggio) due tipi di TC:

u i TC1, membri del consorzio e primi beneficiari del gemellaggio;u i TC2, identificati dall’inizio del Progetto, ne costituiranno la seconda linea

di diffusione.

Tutti i Centri (RC, TC1 e TC2) simultaneamente, devono applicare l’IBSE in un significativo numero di classi (per un minimo totale di 660 ogni anno) fornen-do materiale scientifico, favorendo lo sviluppo professionale dei docenti ed attuan-do monitoraggio e valutazione.

Nel Progetto, secondo la loro competenza IBSE, sono stati individuati tre livelli di TC. Oltre TC1 e TC2, 24 TC3 diventeranno membri durante l’ultimo anno del progetto, portando così ad un totale di 60 il numero delle Istituzioni coinvolte in tutta Europa, saranno così coinvolti anche circa 3000 insegnanti e 50000 studenti.

3.3. Le principali tematiche affrontateIl lavoro comune tra i partner è strutturato su 5 principali tematiche:

1. Approfondimento delle specificità della ricerca scientifica in matematica (co-ordinato dall’Università di Bayreuth).

2. Approfondimento delle specificità della ricerca scientifica in scienze naturali (coordinato da La main à la pâte).

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3. Attuazione ed espansione di un Centro di Riferimento (coordinato dalla Li-bera Università di Berlino).

4. Approcci interdisciplinari (coordinato dall’Università di Leicester).5. Utilizzare l’ambiente esterno della scuola (coordinato dall’Università di Hel-

sinki).

Ogni gruppo di studio organizzerà seminari e sessioni di formazione europee e produrrà un libretto con le linee guida per proporre ed attuare su ciascun argomen-to un approccio comune a livello europeo.

4. Il modello dei Centri pilota

Dal momento che l’obiettivo ultimo è coinvolgere una larga parte degli inse-gnanti, la fase iniziale del progetto è molto delicata; per mobilitare e mettere a di-sposizione tutte le risorse professionali e finanziarie necessarie, la definizione com-pleta del piano di un Centro pilota potrebbe richiedere anche un anno.Sono indispensabili:

u una convinzione condivisa a lungo termine del progetto e delle relative pro-spettive;

u la volontà delle istituzioni politiche, compreso il supporto vitale del sistema di istruzione nazionale e locale;

u un efficace coinvolgimento degli attori locali (enti locali, ricercatori, genitori, associazioni, ecc);

u un chiaro impegno da parte di tutti i partner a stanziare le risorse umane e fi-nanziarie necessarie per sostenere il progetto per tutta la sua durata (almeno tre anni);

u supporto e riconoscimento professionale per gli insegnanti;u un piano di sviluppo che comprenda gli aspetti strategici del progetto, le suc-

cessive azioni e un calendario;u un accordo ufficiale tra tutti i partner coinvolti nel progetto.

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Il centro pilota ha:

u competenza in ricerca didattica;u esperienza nella formazione iniziale e in servizio dei docenti;u capacità nel coinvolgere una rete locale di partecipanti motivati;u approccio sistemico a IBSE da attuare a livello locale;u disponibilità di risorse pedagogiche e di materiale scientifico per le scuole;u stretto collegamento con le istituzioni, l’università, centri di ricerca, musei

scientifici.

Azioni del centro pilota:

u gestione del progetto;u formazione docenti:u organizzazione e coordinamento di un network per la formazione IBSE;u offrire agli insegnanti accesso alle risorse e ai materiali scientifici;u organizzazione di visite sul campo nelle scuole (sia per sostegno dell’azione

che per la valutazione della qualità);u partecipazione a conferenze e seminari europei.

Il tutto adattato al contesto locale, ai bisogni ed alle risorse.

5. Dal Progetto Fibonacci al Programma Scientiam Inquirendo Discere - SID

Il Programma Scientiam Inquirendo Discere - SID parte operativamente nel 2011 a seguito sia del protocollo d’intesa tra l’Accademia Nazionale dei Lincei e Acadé-mie des Sciences nel quale è esplicitamente contemplata la cooperazione tra l’ANI-SN e La main à la pâte per la diffusione dell’IBSE in Italia nell’insegnamento del-le Scienze Naturali, che dell’accordo quadro tra L’Accademia Nazionale dei Lincei ed il MIUR che prevede, tra l’altro, anche la cooperazione per il programma SID con l’ANISN. Esso ha previsto la strutturazione di una governance multilevel con la costituzione di organi consultivi e operativi nazionali a Roma presso l’Accade-mia dei Lincei e nuclei organizzativi ed operativi locali, centri pilota, che si confi-gurano come centri di ricerca didattica coordinati da responsabili scientifici e re-sponsabili didattici e gestiti nelle scuole da docenti trainers appartenenti al grup-po di coordinamento del centro pilota stesso. Ogni centro pilota elabora un piano annuale che prevede la formazione di insegnanti sperimentatori con riunioni ple-narie, per favorire anche la discussione ed il confronto tra pari sull’approccio, in-contri nelle scuole e supporto al lavoro in classe da parte del gruppo di coordina-mento nazionale in un’ottica di applicazione rigorosa, di estensione e diffusione del programma.

Il Programma è principalmente rivolto ai docenti (e di conseguenza agli studenti) della Scuola Primaria e Secondaria di 1° grado ma è aperto anche alla Scuola dell’In-fanzia mirando ad una sostanziale continuità nell’approccio nell’insegnamento/appren-dimento delle Scienze Naturali.

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Fasi, strutture e destinatariL’elaborazione del progetto è stata preceduta da una indagine esplorativa a di-

stanza e in presenza a cura dell’ANISN - Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali www.anisn.it che ha permesso l’accesso alle risorse elaborate dal Progetto La main à la pâte sia organizzative che metodologiche e scientifiche e la in-dividuazione delle strategie collaborative con l’equipe francese in un quadro di va-lorizzazione sinergica con il contesto italiano. Il programma è organizzato in fasi operative che possono temporalmente essere simultanee o sequenziali. Esse richie-dono specifici gruppi di lavoro per ciascuna azione ed organi di coordinamento ge-nerale nazionale ed internazionale.

Il programma prevede la strutturazione di una governance multilevel con la costi-tuzione di organi consultivi e operativi nazionali e nuclei organizzativi ed operativi locali denominati “centri pilota”. L’individuazione delle istituzioni ed enti che pos-sono ospitare centri pilota sarà definita nel corso del primo anno del programma di concerto con le istituzioni firmatarie del protocollo d’intesa con l’Accademia dei Lincei e terrà conto della loro disponibilità ad offrire risorse strutturali, organizzati-ve e umane, della esperienza attiva maturata in seno ad altre iniziative documenta-bili di attivazione e collaborazioni con reti di scuole e di promozione di comunità di pratiche nell’ambito delle Scienze.

Schematicamente le fasi operative sono le seguenti:Fase I: organizzazione di strutture e organi nazionali. Sito web. Formazione.Tempi: a partire dal primo annoFase II: operatività dei centri pilotaTempi: a partire dal primo annoFase III: implementazione e diffusione tramite altri centri pilotaTempi: a partire dal secondo anno

Nel primo anno scolastico 2011-2012 sono stati attivati tre centri pilota: a Na-poli, a Pisa, a Venezia e una rete di scuole a Roma, nel 2012/2013 sono attivi 5 cen-tri pilota: Napoli, Roma, Pisa, Venezia, Milano

Il programma prevede come azioni principali:

1. cicli di incontri di formazione da svolgersi presso l’Accademia dei Lincei e presso i “centri pilota”;

2. fornitura gratuita di materiali e strumentazioni per le sperimentazione nelle classi;

3. azioni di sostegno e tutoraggio per i docenti coinvolti, sia in presenza che on-line;

4. azioni di osservazione in classe e di autovalutazione;5. seminari tematici di scienziati ed incontri specifici per piccoli gruppi.

Gli incontri sia a livello nazionale che locale sono strutturati su gruppi di partecipanti che, grazie alle diverse formazioni ed esperienze professionali, pos-sono supportarsi ed arricchirsi attraverso il confronto, la riflessione e la ricerca-azione.

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STRUTTURA ORGANIZZATIVA E GOVERNANCE

Responsabili scientifici: prof. Giuseppe Macino, prof. Giancarlo Vecchio

Responsabile didattico: prof.ssa Anna Pascucci

Gruppo di coordinamento didattico nazionale: prof.ssa Antonella Alfano, prof.ssa Paola Bortolon, prof.ssa Giulia Forni, prof.ssa Rosanna La Torraca, prof.ssa An-na Lepre, prof.ssa Isabella Marini, prof.ssa Franca Pagani

Gruppo nazionale di ricerca didattica: prof.ssa Antonella Alfano, prof.ssa Maria Al-fano, prof.ssa Paola Bortolon, prof.ssa Ernesta De Masi, prof.ssa Maria Angela Fontechiari, prof.ssa Giulia Forni, prof.ssa Rosanna La Torraca, prof.ssa Anna Lepre, prof.ssa Isabella Marini, prof.ssa Franca Pagani, prof.ssa Barbara Scapella-to, prof.ssa Silvia Zanetti

Coordinatori dei centri pilota:Napoli: prof.ssa Giulia Forni, prof.ssa Antonella Alfano;Pisa: prof.ssa Isabella Marini;Venezia: prof.ssa Paola Bortolon;Roma: prof.ssa Anna Lepre;Milano: prof.ssa Rosanna La Torraca, prof.ssa Franca Pagani

I corsi sono strutturati: a livello centrale, presso l’Accademia dei Lincei, con in-contri per gruppi omogenei rivolti a tutti i soggetti coinvolti a livello nazionale; a li-vello decentrato, presso i centri pilota. Ciascun centro pilota sviluppa un piano pro-grammatico in modo autonomo e sinergico con gli altri, con costanti azioni di co-operazione in presenza e a distanza, sia nazionali che internazionali con centri pilo-ta del Programma La main à la pâte. A ciascun centro pilota afferiscono una rete di istituzioni scolastiche, docenti formatori, docenti sperimentatori, scienziati ed esperti in ricerca didattica.

I CENTRI PILOTA DEL PROGRAMMA Scientiam Inquirendo Discere - SID

CENTRO PILOTA SID NAPOLI Sede: Stazione zoologica Anton Dohrn, Villa Comunale - NapoliResponsabili didattici: Antonella Alfano e Giulia ForniCENTRO PILOTA SID VENETO Sede: Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Palazzo Loredan - VeneziaResponsabile didattica:Paola BortolonCENTRO PILOTA SID ROMA Sede: Accademia Nazionale dei Lincei - RomaResponsabile didattica: Anna LepreCENTRO PILOTA SID PISA Sede: Scuola Normale Superiore - PisaResponsabile didattica: Isabella MariniCENTRO PILOTA SID MILANO Sede: Istituto Lombardo di Lettere e Scienze MilanoResponsabili didattici: Rosanna La Torraca e Franca Pagani

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Bibliografia

Académie des sciences (2007). La formation des professeurs à l’enseignement des sciences: Re-commandations de l’Académie des sciences. Paris.

Consiglio dell’Unione Europea (2007), Conclusioni del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, sul miglioramento della qualità del-la formazione degli insegnanti. Bruxelles, 26 ottobre 2007.

European Commission, High Level Group on Science Education (2007). Science Educa-tion NOW: A renewed Pedagogy for the Future of Europe. Brussels, Directorate-General for Research, Information and Communication Unit. From: http://ec.europa.eu/research/science-society/document_library/pdf_06/report-rocard-on-science-education_en.pdf

Eurydice Unità europea, (2006). L’insegnamento delle scienze nelle scuole in Europa. Poli-tiche e ricerca. Bruxelles, da http://www.eurydice.org

Harlen W. & Allende J.E. (2006). Rapport du Groupe de travail sur la Collaboration Inter-nationalep our L’Évaluation des Programmes D’Enseignement Scientifique Fondés sur L’In-vestigation (ESFI). Santiago del Chile: GraficAndes®

Harlen W. & Allende J.E. (giugno 2009). Teacher Professional Development in Pre-Secondary School Inquiry-Based Science Education (IBSE). Santiago del Chile: GraficAndes®Osborne, J., & Dillon, J. (2008). Science Education in Europe: Critical Reflections. Lon-

don: The Nuffield Foundation. From: http://hub.mspnet.org/index.cfm/15065Harlen W. (Ed 2010). Principles and Big Ideas in Science Education. Published by the Asso-

ciation for Science Education College Lane, Hatfield, Herts. Disponibile nel sito: http://www.ase.org.uk/bookshop/books-for-subject-leaders/ (In francese: 10 notions-clés pour enseigner les sciences de la maternelle à la 3e, tradotto da Pierre Léna, Le Pommier, Paris, 2011 – alcuni capitoli sono disponibili nel sito di La main à la pâte http://lamap.inrp.fr/Page_Id=18&Action=1&Element_Id=1278&DomainPedagogyType_Id=1)

Sitografia

http://www.academie-sciences.frhttp://www.anisn.it/http://www.apprendereconletecnologie.it/file.php/1/KB/KB%20sulle%20SD/SD_06_

scoperta_interrogazione_DEF.htm (OCSE. Apprendimento attraverso scoperta ed in-terrogazione - guided discovery and inquiry learning)

www.ase.org.uk (Associazione per l’educazione scientifica (ASE), opera nel Regno Unito e ne fanno parte docenti, tecnici e altri si occupano di educazione scientifica.)

http://www.cc.gatech.edu/projects/lbd/home.html: Learning By Design™ is a project-based inquiry approach to science aimed at the middle school grades - 6th through 8th

http://www.edu-design-principles.org/dp/viewPrincipleSummary.php: per approfondire “the inquiry process” secondo Linn, Davis, & Bell

http://www.eurydice.org (sito della rete Eurydice che fornisce informazioni sui sistemi educativi europei)

http://ec.europa.eu/research/science-society/document_library/pdf_06/report-rocard-on-science-education_en.pdf (Rapporto Rocard)

http://www.exploratorium.edu/ifi/ (Institute for Inquiry)http://www.fibonacci-project.eu/ (Sito del progetto Fibonacci)http://www.inrp.fr/lamap: (Sito di La main à la pâte)http://www.nap.edu/openbook.php?record_id=4962&page=R1: National Research Coun-

cil USA. Standards for Professional Development for Teachers of Sciencehttp://scene.asu.edu/habitat/inquiry.html (inquiry process)http://science-techno-college.net/?page=3 (sito di «Science et technologie au collège», lo

sviluppo di Le main à la pâte alla scuola superiore di primo grado)

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Giulia Forni, Antonella Alfano

I moduli e i kit: tracce per sperimentare e discutere l’IBSE

Il Progetto Fibonacci è nato con l’obiettivo di disseminare l’IBSE – Inquiry Ba-sed Science Education – in Europa attraverso i centri pilota, centri di formazione e di risorse per gli insegnanti.

Noi abbiamo coordinato le attività del Centro Pilota di Napoli che ha sede pres-so la prestigiosa Stazione Zoologica Anton Dohrn.

L’IBSE presuppone in molti casi una modifica sostanziale della didattica curricu-lare ed un cambiamento di atteggiamento considerevole da parte dei docenti.

Il problema non è tanto di tipo teorico e culturale, ma piuttosto di tipo pra tico. Infatti, tra i docenti più preparati professionalmente, è ormai largamente diffusa la convinzione che le scienze vadano insegnate in modo laboratoriale e che il laborato-rio non si identifichi con l’esperimento da cattedra, né con l’applicazione di proto-colli o la verifica sperimentale di leggi o ancora con l’addestramento all’uso di stru-menti, ma rappresenti un ambiente d’apprendimento in cui gli studenti siano coin-volti attivamente nella costruzione della conoscenza ed il docente svolga il ruolo di facilitatore: è quanto si legge ormai in quasi tutte le programmazioni.

La didattica IBSE, inserita in questo contesto è più in dettaglio “un approccio all’insegnamento ed all’apprendimento delle Scienze Naturali che scaturisce dall’analisi delle modalità di apprendimento degli studenti, dalla natura della ricerca scientifica e da un’attenta riflessione sui contenuti fondamentali da imparare ed è finalizzato alla co-struzione graduale di significati, di idee o concetti mediante una comprensione che si fa sempre più profonda man mano che gli studenti crescono”. Se dichiarazioni di questo tipo tracciano una strada, indicano una direzione ed anche una meta, tuttavia non sono sufficienti per indirizzare i docenti sul cosa fare in classe, domani, su come far-lo, con quali strumenti, quali tempi…

Così, quando abbiamo incominciato a coordinare e programmare le attività del centro pilota di Napoli, abbiamo individuato nei moduli della Fondazione francese “La Main à la Pâte” gli strumenti che ci avrebbero permesso di incominciare a stu-diare l’IBSE direttamente, facendolo in classe, insomma mettendo le mani in pasta. Abbiamo perciò scelto i moduli che ci sono sembrati più adatti, li abbiamo tradot-ti e curvati alla realtà italiana. Poi li abbiamo sperimentati in classe insieme a tanti altri docenti del Polo di Napoli e dopo la sperimentazione ci siamo confrontati e di nuovo li abbiamo rimaneggiati.

Abbiamo inoltre allestito dei box-kit, scatole contenenti tutti i materiali necessa-ri per la realizzazione in classe dei moduli didattici, secondo un modello ampiamen-oS

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te sperimentato in Francia, con lo scopo di agevolare il lavoro del docente e di favo-rire la disseminazione del-l’Inquiry.

Pubblichiamo di seguito i moduli nella loro ultima ver-sione.

Ve li proponiamo perché ci sembrano utili strumenti pratici per incominciare concretamente a dibattere di IBSE.

I moduli sono stati scelti perché mettono in evidenza aspetti specifici dell’IBSE.

Il modulo “Un seme, una pianta?” è dedicato ad attività di germinazione ed è perciò semplicissimo da realizzare, ma è tra i più interessanti tra quelli che propo-niamo.

In esso si individuano bene gli elementi fondamentali della didattica basata sul-l’Inquiry: discutere, osservare, progettare, sperimentare, prevedere test di controllo, raccogliere dati ed individuare evidenze, modellizzare, documentare, trarre conclu-sioni condivise ed esporle, porre infine nuove domande, punto di partenza per una ulteriore investigazione.

Perciò, nello svolgere il modulo, gli alunni svilupperanno le capacità tipiche del-l’approccio all’indagine scientifica ed i docenti avranno l’opportunità di sperimen-tare e riflettere sull’IBSE.

La ricchezza del modulo non sta solo nella chiarezza con cui l’IBSE viene espli-citato, ma anche nella profondità delle riflessioni disciplinari che lo punteggiano…ed attenzione anche alle note!

Il modulo “Allevamento di insetti stecco” guida docente ed alunno in un’attivi-tà di allevamento in classe. Quando un piccolo organismo viene adottato le doman-de che gli alunni si pongono sono sempre le stesse e si riferiscono essenzialmente al-la morfologia, all’alimentazione, alla locomozione, alla crescita. È fondamentale trovare subito la risposta ad alcune domande per poter ricreare in classe un ambien-te adatto all’animaletto; successivamente si avrà modo di esplorare altri aspetti, co-me il ciclo vitale, l’adattamento all’ambiente, l’etologia.

I percorsi di allevamento permettono una sistematica osservazione, abituano i ragazzi al rispetto per gli animali e sviluppano l’approccio all’esplorazione e alla spe-rimentazione: “Allevamento di insetti stecco” ne è un modello.

“La classificazione degli animali” è un percorso che affronta un problema senti-to dai ragazzi come astratto, lontano e tutto interno alla scienza: in questi casi qual è l’approccio giusto con la classe? È questa domanda che ci ha indotto a lavorare su questo modulo, ma non è la sola, ci è sembrato importante introdurre anche ai li-

Figura 1. Box-kit per la sperimentazione in classe di un modulo didattico.

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velli scolari iniziali la classificazione filogenetica, ancora definita “nuova classifica-zione”. La classificazione tradizionale, basata sulla distinzione vertebrati /invertebra-ti e la definizione di cinque classi di vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) nella tassonomia moderna non è più utilizzata, quindi non dovrebbe essere più insegnata neanche nella scuola primaria.

Lo studio del corpo umano è spesso straordinariamente noioso per i ragazzi e problematico per gli insegnanti più accorti.

Sul tema abbiamo scelto due moduli che esemplificano bene aspetti diversi del-l’IBSE.

Caratteristica fondamentale del modulo “Il nostro corpo in movimento” è la ri-flessione sull’uso dei modelli, anzi di più modelli per individuare caratteristiche e parti diverse di uno stesso oggetto naturale. Non esiste “Il Modello”, ma “un model-lo per…”; ad esempio non basta il classico scheletro da laboratorio per capire il mo-vimento, ma anche il modello di ginocchio con i suoi legamenti, quello di braccio con ossa, muscoli e tendini: a seconda del problema avrò un modello che mi per-mette di capire qualcosa in più.

L’uso del modello è poi accompagnato al confronto con la realtà in un continuo passaggio dalla semplificazione dello schema alla complessità del reale – una radio-grafia, una coscia di pollo – in modo che l’alunno divenga consapevole che il mo-dello è utile per interpretare la natura, ma che questa è un’altra cosa ed è questa che dobbiamo conoscere.

Infine il modulo è interessante per lo studio dei disegni dei ragazzi come esplici-tazione dell’avvenuta interiorizzazione dei concetti. Sia il docente che l’alunno de-vono saper leggere nei disegni la progressione degli apprendimenti.

“Cosa succede al cibo che mangiamo?” è ancora un modulo sullo studio del cor-po umano che esplora un altro punto importante dell’IBSE: poiché non è sempre possibile rispondere ad un quesito con una investigazione pratica, il ragazzo deve sa-per attingere da documenti e fonti, deve saper scegliere, interpretare correttamente, selezionare le informazioni utili.

Il modulo fornisce metodi e strumenti per una ricerca in rete o bibliografica e per l’uso e l’interpretazione di documenti quali radiografie ed altre indagini clini-che. Inoltre attraverso domande ben poste, le cosiddette domande produttive, si evidenziano misconoscenze diffuse tra gli studenti e rilevate essenzialmente attraver-so il disegno. È questo il punto di partenza delle investigazioni, che metteranno tra l’altro in risalto le interrelazioni tra diversi apparati del corpo umano.

Abbiamo infine lavorato su due moduli: “Affonda o galleggia?” e “Come fun-ziona la leva” che affrontano classici temi della fisica.

“Affonda o galleggia?” offre l’opportunità di studiare le condizioni che permet-tono ad un corpo di galleggiare o di affondare quando viene immerso in un liquido. Gli studenti impareranno che il galleggiamento di un corpo immerso in un liquido, non è solo una questione di massa, di forma o di volume, ma piuttosto di densità relativa tra sistemi…e la densità è una variabile complessa.

Si tratta dunque di individuare queste variabili, separale e trattarle una alla vol-

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ta, per poi ricomporre il tutto; i ragazzi verificano che la profondità dell’acqua non ha alcuna influenza sul galleggiamento e che un oggetto può avere un diverso com-portamento in relazione al liquido nel quale è immerso; la costruzione di un model-lo di sottomarino consente di rinforzare in modo divertente i concetti affrontati.

“Come funziona la leva” parte da una situazione che può suscitare l’interesse e la curiosità degli studenti: come sollevare un oggetto pesante, per esempio la catte-dra. I ragazzi fanno le loro previsioni – rigorosamente messe per iscritto – progetta-no dispositivi adatti allo scopo e li discutono collettivamente. Attraverso la manipo-lazione di righe, bulloni, basi di legno e ripetuti tentativi, gli alunni riusciranno a comprendere le leggi che spiegano il funzionamento delle leve.

Il modulo propone modelli di leve poco usuali, come la costruzione del ponte le-vatoio di un castello, l’articolazione dell’ala di un insetto o l’apertura di una conchi-glia da parte di un granchio.

Lo studio, a seconda dei livelli di scuola, da qualitativo diventa anche quantita-tivo.

Infine vogliamo fare una piccola annotazione stilistica. I moduli francesi usano un linguaggio semplice, familiare, forse a volte ripetitivo, ma solo quando si affron-ta un nodo importante; i termini sono sempre corretti, il lessico mai altisonante ed accademico. Sembrano acuti appunti di un maestro che vuole trasmettere la sua esperienza ad altri con competenza ed umiltà. Ne emerge l’immagine della classe dove il centro dell’attenzione è il bambino e dove il maestro non ha bisogno di es-sere autoreferenziale. Questo stile ci è molto piaciuto e l’abbiamo mantenuto.

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Antonella Alfano, Maria Alfano, Giulia Forni, Anna Pascucci, Laura Salsano

Un seme, una pianta?

Livello scolare: scuola primaria e primo anno della scuola secondaria di primo gradoTempo di realizzazione: 10\15 ore

Sintesi del modulo

Il modulo è progettato perché gli alunni amplino e affinino la riflessione sui viventi, individuino progressivamen-te gli indizi che consentiranno loro di ri-conoscere la vita e per costruire il concet-to di seme, organo di riproduzione e di-spersione. Il seme può essere definito co-me una pianta disidratata, vivente, costitui-ta da un embrione in uno stato inattivo di vita, circondato da riserve di cibo e protetto da un tegumento. L’allievo sarà quindi por-tato a interrogarsi sulle condizioni neces-sarie per un ritorno alla vita attiva che si concluderà nello sviluppo di una pianta adulta. Le attività sono facili da realizzare e i materiali poco costosi.

Le lezioni favoriscono lo sviluppo dell’approccio all’indagine scientifica.

Nel modulo si individuano bene gli elementi fondamentali della didattica ba-sata sull’Inquiry: discutere, osservare, progettare, sperimentare, prevedere test di controllo, raccogliere dati ed individuare evidenze, modellizzare, documentare, trar-re conclusioni condivise ed esporle, porre infine nuove domande, punto di parten-za per una ulteriore investigazione.

Perciò, nello svolgere il modulo, gli alunni svilupperanno le capacità tipiche dell’approccio all’indagine scientifica ed i docenti avranno l’opportunità di speri-mentare e riflettere sull’IBSE.

Obiettivi

Obiettivi di conoscenza1. distinguere tra ciò che è vivo e ciò che non lo è attraverso l’esempio di uno

stadio del ciclo vitale della pianta, il semeoS

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Figura 1. Semi di fagiolo.

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2. acquisire il concetto di seme come organo di riproduzione3. conoscere gli elementi essenziali dell’anatomia del seme4. conoscere alcune condizioni che permettono la germinazione5. conoscere le fasi della germinazione e della crescita6. acquisire il concetto che il seme ha le sue riserve di cibo7. acquisire il concetto di seme come mezzo di dispersione

Obiettivi metodologici– Osservare la realtà– Rappresentare ciò che si osserva– Mettere in relazione la realtà, l’immaginario e il lessico– Costruire o riformulare domande– Formulare ipotesi– Utilizzare e\o costruire modelli esplicativi– Utilizzare test di controllo– Argomentare– Confrontare la realtà con il modello– Strutturare le conoscenze– Usare le conoscenze in contesti nuovi

Obiettivi di atteggiamento:– Usare l’immaginazione– Saper affrontare le critiche– Dubitare delle proprie idee e di quelle degli altri– Integrarsi in un gruppo per scambiare idee e condividere i compiti di lavoro

Riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo - 1° ciclo d’istruzione (2012)

Obiettivi di apprendimento

Al termine della classe terza della scuola primaria.

Osservare i momenti significativi nella vita di piante e animali, realizzando (…) semine in terra-ri e orti, ecc. Individuare somiglianze e differenze nei percorsi di sviluppo di organismi animali e ve-getali.

Al termine della classe quinta della scuola primaria.

Proseguire nelle osservazioni frequenti e regolari, a occhio nudo e con appropriati strumenti, con i compagni e autonomamente, di una porzione di ambiente vicino; individuare gli elementi che lo caratterizzano e i loro cambiamenti nel tempo.

Al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado.

Realizzare esperienze quali ad esempio: in coltiva-zioni (…) osservare la variabilità in individui della stessa specie.

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Un modo possibile in cui il modulo può essere realizzato

Attività Domanda iniziale

Attività svolte con gli studenti

Approccio scientifico

Attività di comunicazione

e condivisione

Attività 1

È un seme o non è un

seme?

Preconoscenze.

Osservazione e sperimentazione.

Comunicazione orale.Scrittura individuale

e disegni.Scrittura collettiva.

Attività 2Facoltativa

Organizzazione di una uscita in campo per la raccolta di campioni.

Attività 3

Osservazione di cam-pioni di “semi” e “non semi” e formulazione di ipotesi.Semina.

Attività 4Osservazione dei ger-minatoi ed interpreta-zione.

Attività 5Che cosa c’è dentro un seme?

Preconoscenze.Osservazione con una lente

d’ingrandimento e dissezione.

Comunicazione orale.Disegni individuali.Attività 6

Dissezione di semi.Interpretazione, di scri-mi na zione dei campio-ni.

Attività 7

Cosa fa germogliare

un seme?

Preconoscenze.

Sperimentazione.Osservazione.

Controllo.

Comunicazione orale.Scrittura e disegni

individuali.Scrittura collettiva.

Attività 8

Ipotesi.Procedura sperimenta-le: semina con e senza acqua ed osservazione.

Attività 9 Analisi dei risultati e conclusione.

Attività 10Come

germinano i semi?

Preconoscenze. Scrittura individuale.Comunicazione orale.

Scrittura collettiva.Lettura

Attività 11Elaborazione protocolli sperimentali, osserva-zione.

Osservazione continua e ricerca

documentaria.

Attività 12Di cosa si nutre il seme?

Elaborazione protocolli sperimentali, osserva-zione.

Attività 13 I semi viaggiano?

Attività collettive cen-trate sulla dispersione dei seme.

Osservazioni e ricerca

documentaria.

Comunicazione orale.Lettura.

N.B. Tra le attività 4 e 5 e le 11 e 12, sarà necessario un periodo di osservazione continua per segui-re gli sviluppi dei semi. Le attività linguistiche possono essere svolte con la classe in piccoli gruppi o individualmente.

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Attività 1.È un seme o non è un seme? PreconoscenzeDurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.

Si inizia la lezione chiedendo ad ogni allievo di disegnare sul quaderno uno o più semi come li ricorda e poi di scrivere in gruppo cosa pensano che siano i semi.

2b. Il seme per me è come un figlio che farà riprodurre altri semi di frutti e così ci sarà

sempre quel tipo di frutto.

Figura 2a-2b. Gli alunni rappresentano l’idea che essi hanno dei semi.

2a. La piccola pianta cresce nel seme e il seme scoppia e non si vede più.

Fase di condivisioneUn rappresentante per gruppo legge la definizione condivisa di seme.L’insegnante confronta i disegni e individua quelli che meglio descrivono l’idea

che i ragazzi hanno del seme, li mostra ai ragazzi e li discute con loro.

Attività 2 (Facoltativa)-Raccolta di materiale sperimentale con uscita in campoDurataCirca 45 minuti.MaterialeBuste in cui inserire i semi, penne.

Durante un’uscita in campo o anche nel giardino della scuola, l’insegnante chie-de ai bambini di raccogliere quello che pensano siano semi. Per stabilire la natura dei campioni suggerisce agli allievi di prendere attentamente nota del luogo in cui è av-venuta la raccolta del seme (sopra/sotto un albero o una pianta, sul terreno, sotto le foglie…). Dopo la raccolta la classe ha una grande quantità e varietà di campioni.

Per le classi che non possono effettuare questa raccolta in campo, l’insegnante prepara in anticipo una collezione di semi e di vari altri campioni in più esemplari. In questo caso, dato che il materiale sperimentale è noto in anticipo, l’insegnante può essere quasi certo della vitalità dei semi e la sperimentazione sarà più soddisfa-cente.

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Attività 3. Seme o non seme? - Cernita del materiale, formulazione di ipotesi e sperimentazioneDurata:Circa 45 minuti.MaterialeCampioni di semi e “non semi”, vaschette da utilizzare come germinatoi, terreno sterile, aste ed etichette per contrassegnare i campioni, innaffiatoi.ObiettiviDistinguere tra ciò che è vivo e ciò che non lo è attraverso l’esempio di uno stadio del ciclo vitale della pianta, il seme.Acquisire il concetto di seme come organo di riproduzione.

Gli alunni ora dispongono di un certo numero di campioni e riflettono su come riconoscere i semi e distinguerli.

In piccoli gruppiL’insegnante presenta i vari campioni (semi e non semi) agli alunni, senza dire se

sono o meno semi. Chiede a tutta la classe: «Che cosa è questo?», «Quali di questi ele-menti pensate che siano semi?». Dopo la riflessione e la discussione in piccoli gruppi che termina con una prima cernita dei campioni è molto probabile che non tutti siano d’accordo sul fatto che un particolare campione è da considerare un seme.

Consegno ad ogni gruppo i semi e i non semi: inizia l’indagine. Mentre i ragazzi annusa-no, schiacciano, tagliano, bagnano per capire se sono semi o no (un po’ di confusione ma tanta concentrazione e attenzione), annoto sul foglio murale la domanda: “È O NON È UN SEME” “…SCRIVO CIÒ CHE PENSO, FACCIO IPOTESI” e rivolgendomi, poi, ai ragazzi chiedo loro di annotare, sia sul foglio murale che sul loro quaderno-diario, i “SECONDO ME (questo è un seme perché…)”.“SECONDO ME… per vedere se è un seme dobbiamo seminarlo con un po’ di terreno (Ma-nolo)“SECONDO ME…i semi germinati dovranno fruttificare” (Raffaele)“SECONDO ME…dopo aver seminato, nascerà una pianta” (Giacomo)“SECONDO ME…i semi seminati dovranno dare una nuova vita” (Giuseppe)“SECONDO ME…i semi seminati dovranno riprodursi” (Daniele)Dal diario di bordo di una docente sperimentatrice – classe prima di scuola secondaria 1° grado.

CollettivamentePer coinvolgere gli alunni in più ragionamenti, l’insegnante chiede: «Come pos-

siamo verificare se si tratta di ciottoli, di…, o di semi?». L’accordo può essere raggiun-

Figura 3. Esempi di picco-li campioni (semi, zucche-ro, ciottoli).

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to rapidamente: «Per saperlo abbiamo bisogno di seminare», «Se cresce, vuol dire che è un seme».

Gli alunni definiscono la procedura sperimentale e annotano le loro previsioni sul risultato, esplicitandone le motivazioni, quindi organizzano la semina e la colti-vazione in vaschette.

In piccoli gruppiUn gruppo di 2-4 studenti si occupa di un germinatoio di semi, ad esempio, con

due campioni.Nel recipiente riempito con un impasto umido di terra sterile si delimitano due

settori. Per ogni settore si seminano i campioni, distanziandoli e contandoli. Ogni settore è identificato da una bandierina (base di legno o fil di ferro o cannucce da bibita ed etichetta) su cui è indicato il numero di elementi seminati nel settore, la data e su cui viene incollato un campione di ciò che è stato seminato.

Figura 4. Esempi di coltivazioni degli allievi.

L’insegnante potrebbe suggerire l’idea di usare un calendario sul quale gli allievi attaccheranno un campione identico a quello del settore in corrispondenza del gior-no in cui il seme ha germogliato.

Figura 5. Calendario murale per le semine.

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In questa fase è difficile distinguere tra un seme e un frutto che contiene un se-me, come il frutto dell’acero. Le distinzioni saranno effettuate successivamente. Per fugare ogni ambiguità ci occuperemo soltanto dell’osservazione sistematica di “veri semi”, quando si studia la germinazione.

Attività 4. Seme o non seme? Osservazione dei germinatoi di semi, interpretazioneDurata:Brevi osservazioni.MaterialeGerminatoi, innaffiatoi, pennarelli, quaderno.ObiettiviDistinguere tra ciò che è vivo e ciò che non lo è attraverso l’esempio di uno stadio del ciclo vitale della pianta, il seme.Acquisire il concetto di seme come organo di riproduzione.

Gli alunni si impegnano in osservazioni continue dei germinatoi per trarre le prime conclusioni. Riconoscono un seme perché può cambiare: cresce quando vie-ne posto in terra, un seme che cresce produce una pianta, due semi che si assomi-gliano producono due germogli che si assomigliano.

IndividualmenteCirca un quarto d’ora di attività (osservazione e documentazione scritta), due

giorni a settimana per 10 giorni, a seconda dello sviluppo dei semi nei germinatoi; gli alunni osservano i cambiamenti. Ogni volta ciascun alunno disegna e scrive ciò che vede, segnando la data. Dopo ogni osservazione, gli alunni che lo desiderano co-municano ciò che hanno notato alla classe.

Si notano le differenze nello sviluppo dei semi nei vassoi, alcune piantine emer-gono dal suolo a partire dal terzo giorno, altre solo alla fine del settimo giorno. In alcuni vassoi, le piante non compaiono. Gli alunni suggeriscono di `togliere il ter-reno ‘per osservare meglio cosa è cresciuto; individuano ciò che è cambiato.

CollettivamenteCirca 4-5 giorni dopo la semina può essere fatto un primo bilancio rilevando:

– ciò che non è cresciuto1;– quanto è cresciuto.

Gli alunni notano che in un determinato settore i giovani germogli appaiono quasi tutti nello stesso momento e che vi sono differenze tra i settori (a volte di più giorni). In un settore unico tutti i germogli si assomigliano, proprio come i semi che sono stati seminati e ci sono tanti germogli quanti erano i semi o, a volte meno (se un seme non si è sviluppato), ma mai di più.

1 I settori in cui non è cresciuto nulla, possono rappresentare aree in cui sono stati piantati ele-menti che non erano semi, ma potrebbe essere anche un settore di semi non vitali o di semi per i quali le condizioni di germinazione non erano favorevoli: l’ipotesi iniziale che «se questi sono semi cresceranno…» sembra essere confermata, ma non è sufficiente: altri criteri di discriminazione de-vono essere trovati…

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Sintesi collettivaL’insegnante invita gli studenti a leggere i quaderni perché ricordino la situazio-

ne iniziale, le domande e le previsioni. Gli studenti cercano di spiegare ciò che l’esperienza ha dimostrato in riferimento alla domanda iniziale. Ogni gruppo pre-senta poi la sua spiegazione alla classe. L’insegnante propone un dibattito che porte-rà alla costruzione di una frase appropriata, formulata dal gruppo/classe e approva-ta dal docente. Una frase del tipo “Le piante sono cresciute. Ciò significa che erano semi. Si può riconoscere un seme dal fatto che può cambiare2.

Ognuno scrive la conclusione raggiunta al termine del dibattito.Queste prime osservazioni costituiscono la base per un nuovo interrogativo rela-

tivo ai criteri per distinguere un seme.

Attività 5. Che cosa è dentro un seme? Conoscenze inizialiDurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.ObiettiviConoscere gli elementi essenziali dell’anatomia del seme.

Dopo aver distinto le caratteristiche morfologiche (relative all’aspetto esterno) e ontogenetiche (relative alle fasi di svi-luppo del seme) gli allievi si interessano a ciò che c’è all’interno del seme.

Disegnano l’idea che essi hanno sull’or-ganizzazione interna del seme.

CollettivamenteDalla formulazione delle domande de-

rivanti dalle loro osservazioni e dalle diffi-coltà derivanti dalla precedente lezione, l’insegnante raccoglierà le opinioni inizia-li degli allievi:

– come separare elementi “non seme” da elementi “seme non vitali”?– come spiegare la relazione tra un seme e una pianta?– come (e con quali mezzi) far crescere un seme?

“Bisogna guardare dentro i semi…”, “vi è una piccola pianta dentro il seme…” pro-babilmente diranno gli alunni. Si può proporre agli allievi di disegnare cosa essi im-maginano vi sia dentro un seme prima della semina e di dire ciò che accade quando germoglia.

Alcuni dei lavori degli alunni possono essere analizzati e confrontati collettiva-

2 Questa capacità di cambiare nel tempo e di interagire con l’ambiente sono i segni che possono essere utilizzati per riconoscere i viventi. Il concetto di essere vivente può essere costruito solo progres-sivamente attraverso numerose altre attività.

Figura 6. Gli alunni rappresentano l’idea che essi hanno dello sviluppo di una pianta dal seme.

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mente. Alcuni disegni mostrano sia un seme che una pianta matura, senza nessuna relazione tra i due: l’idea della trasformazione del seme non è ancora presente. Inol-tre, alcuni studenti possono disegnare all’interno del seme non un germoglio, ma una pianta adulta in miniatura: anche l’idea di un embrione che si trasforma ha bi-sogno di essere costruita.

Per confrontare la realtà con le loro rappresentazioni mentali e per rispondere al-le domande precedenti si decide di osservare l’interno di un seme. Per dare un sen-so all’osservazione e al confronto, si dovrebbe comparare un campione di «seme» con altri campioni tra cui «non semi» e semi non vitali. La scelta del campione di seme è quindi di importanza fondamentale.

Il campione di riferimento è scelto in modo che sia facilmente osservabile, pre-feribilmente un seme di grandi dimensioni come un pisello, un fagiolo, una lentic-chia o una fava, che si apre facilmente in due parti. È più facile proporre come pri-mo passo, l’osservazione dello stesso seme per tutta la classe3.

Attività 6. Cosa c’è dentro un seme? Anatomia del seme.DurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze, lenti, stereomicroscopio (facolta-tivo), semi (consigliamo fagioli) messi a bagno dalla sera prima.ObiettiviConoscere gli elementi essenziali dell’anatomia del seme.

Gli alunni sezionano e osservano l’interno di vari semi utilizzando uno strumen-to di ingrandimento; scoprono vari organi: l’embrione, le riserve di cibo e la strut-tura protettiva. Fanno una distinzione definitiva tra seme e non-seme.

Un seme, preso come riferimento, può essere sezionato dal docente al fine di di-mostrare agli alunni la tecnica da utilizzare che può rivelarsi delicata a causa delle di-mensioni del seme. I campioni da confrontare sono messi a bagno la sera preceden-te per ammorbidire i tegumenti e rendere più facile per gli alunni la loro apertura.

IndividualmenteDopo aver sezionato i semi, gli alunni per un breve periodo li osservano. A se-

conda del materiale a disposizione, gli allievi possono, in prima istanza, intrapren-dere l’osservazione a occhio nudo e poi utilizzare uno strumento di ingrandimento (lente di ingrandimento, stereomicroscopio).

Contemporaneamente all’osservazione, viene chiesto loro di fare un disegno per confrontare le proprie concezioni iniziali con ciò che vedono.

Sintesi collettivaUna fase di riflessione collettiva porta ad uno strutturato e ragionato disegno in-

dividuale. Questo disegno potrebbe riportare l’embrione con le sue due piccole fo-

3 In riferimento alla sperimentazione precedente, l’elemento di riferimento è un campione che ha germinato e che (in parte) conferma l’ipotesi. Così, in previsione di questa lezione, l’insegnante avrà accuratamente conservato esempi di campioni non germinati.

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glie bianche embrionali (che possono essere menzionate col termine cotiledoni o prime foglie4) che sono chiaramente visibili nel seme di fagiolo (le due metà inter-ne del seme), e la ‘pelle’ o ‘cappotto’ (o tegumento).

IndividualmentePer giungere a una generalizzazione, gli alunni individualmente osservano altri

semi per identificarne le parti.Vengono osservati anche i campioni dell’attività 5 che non sono cresciuti, ma

che erano stati accuratamente conservati e che probabilmente non contenevano em-brioni. Si può controllare schiacciando (se possibile) i piccoli grani di natura mine-rale: si sbriciolano e non contengono alcun embrione, per di più non c’è il tegumen-to intorno al seme.

Identiche osservazioni sono effettuate con campioni di natura organica che non sono più viventi (zucchero, polenta…). Si osserva anche che alcuni campioni che non sono cresciuti sono in fase di decomposizione (se aperti, emanano un cattivo odore). Questi semi sono quindi `non vitali’ (non maturi) o morti (a causa delle av-verse condizioni di germinazione).

Attività 7. Che cosa serve ad un seme per germogliare? Concezioni inizialiDurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.ObiettiviConoscere alcune condizioni che permettono la germinazione.Utilizzare test di controllo.

Ora che la nozione di seme è stata chiarita da un punto di vista morfologico, on-togenetico ed anatomico, ci si può interrogare sulle sue esigenze fisiologiche, vale a dire sulle ‘condizioni ambientali’5 necessarie per il suo sviluppo.

I bambini cercano di determinare ciò di cui il seme ha bisogno per riuscire a ger-mogliare. L’osservazione delle differenze di sviluppo dei semi nei germinatoi condu-ce gli alunni a formulare la domanda: ‘Che cosa fa crescere certi semi più rapida-mente rispetto ad altri?’

IndividualmenteIn primo luogo l’insegnante chiede a ciascun alunno di scrivere quello che pen-

sa sulle esigenze del seme. La maggior parte degli alunni utilizza la frase “Forse…”.Nel gruppo classe nel suo insieme, alcuni alunni esprimono una sola idea, altri

parecchie.

4 Nei legumi (fagioli, piselli, lenticchie, ecc), dicotiledoni (embrione con due cotiledoni), le due fo-glie embrionali diventano sempre più piccole (le riserve alimentari che esse costituiscono sono progres-sivamente esaurite) fino a scomparire completamente quando la piantina si sviluppa. Nel mais e nelle graminacee (frumento, semi di prato, ecc.), monocotiledoni (embrione con un solo cotiledone), uno dei due cotiledoni non si sviluppa e solo una foglia embrionale emerge dal seme, l’altra funge da riserva.

5 Si sceglierà di trattare solo due o tre fattori di crescita (acqua, luce, nutrimenti, temperatura). Un lavoro più completo sulla crescita delle piante può essere intrapreso nella scuola secondaria.

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CollettivamenteIn un secondo momento, le idee degli alunni sono messe in comune e diventa-

no “le idee della classe”. Ecco un esempio di ciò che gli allievi possono suggerire:

– Forse dovrebbero essere piantati non troppo in profondità?– Forse dovrebbero essere messi alla luce?– Forse non dovrebbero avere troppa acqua?– Forse non sono le stesse piante?– Forse non dovrebbe stare all’aria fredda?– Forse non dovrebbero essere pressati?

Ognuno scrive le idee della classe.Dopo che gli alunni hanno formulato le domande, l’insegnante ne sceglie una e

la pone al gruppo classe6. La domanda scelta è «Forse non dovrebbe avere troppa ac-qua?»

Le successive lezioni sono centrate su questa scelta, ma possono essere adattate ad altri fattori ambientali come temperatura, luce, nutrienti.

Attività 8. Di cosa ha bisogno il seme per germinare? SperimentazioneDurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze, semi, germinatoi, terreno, innaf-fiatoi.ObiettivoConoscere alcune condizioni che permettono la germinazione.

Partendo dalla domanda «Forse non dovrebbe avere troppa acqua?» i bambini de-finiscono una procedura sperimentale per determinare se l’acqua è un fattore neces-sario per la germinazione.

Inizia un dibattito e la discussione gira intorno all’espressione ‘non troppa acqua’. Alcuni studenti suggeriscono che ‘non troppa acqua’ non significa ‘una grande quan-tità’. Non sappiamo quanto sia ‘non troppa acqua!’ Lo scambio continua ed emerge un’idea: dovremmo dire “senz’acqua e con l’acqua”.

La domanda iniziale diventa: ‘Quando si mette l’acqua, il seme cresce o non cre-sce?’ e ‘Il seme non cresce quando non viene data acqua?’. Queste domande permet-teranno agli alunni di lavorare sulle condizioni di germinazione dei semi e anche su una competenza metodologica, la realizzazione di un esperimento e di un contro-esperimento, un controllo, al fine di poter confrontare i risultati e giungere a con-clusioni.

È preferibile scegliere due o tre tipi di semi diversi come materiale sperimentale. Questo permette di notare che i requisiti per la germinazione sono comuni a tutti i semi.

6 La scelta di una domanda può essere motivata da diverse ragioni:– la fattibilità del corrispondente esperimento dal punto di vista del materiale e della sicurezza;– il concetto che può essere costruito in riferimento ai programmi;– le competenze metodologiche che saranno messe in atto.

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In piccoli gruppiGli alunni seminano semi di diversi tipi sia in contenitori irrigati che non irriga-

ti, segnando su una piccola etichetta il tipo di seme, la data, l’ora e la presenza o me-no di acqua.

I bambini schematizzano la procedura sperimentale sui loro quaderni non di-menticando di spiegare e di aggiungere una legenda ai propri disegni.

Attività 9. Di cosa ha bisogno il seme per germinare? ConclusioneDurataNumerose, brevi osservazioni.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.ObiettivoConoscere alcune condizioni che permettono la germinazione.

Gli alunni analizzano i risultati che hanno ottenuto dalla sperimen-tazione e scrivono le loro conclu-sioni: un seme ha bisogno di acqua per germinare, senza acqua non germina.

CollettivamenteDopo alcuni giorni, si può vede-

re che i semi non sono germinati nei settori in cui non c’era acqua. Al contrario, nei settori irrigati, i germogli sono apparsi. Sono spun-tate una o due piccole foglie verdi, il(i) cotiledone(i) e anche un piccolo sistema radicale bianco.

Si possono quindi confrontare i settori in cui sono stati piantati semi dello stes-so tipo; gli alunni notano che le piante sono simili e che semi diversi producono piante anche molto diverse. Anche i tempi di germinazione sono simili.

IndividualmenteOgni alunno scrive nel quaderno di scienze i risultati della sperimentazione del

suo gruppo e le conclusioni del gruppo classe.È possibile ampliare questo esperimento sull’acqua come fattore necessario per la

crescita delle piante7.

7 Diversi approcci sperimentali sono possibili; ecco due esempi:– Lasciar continuare la crescita, ma non aggiungere acqua. Il livello dell’acqua scenderà (v. nota

precedente), quindi la giovane pianta appassirà quando il livello dell’acqua è al minimo. La piantina ha bisogno di acqua per lo sviluppo (e non solo il seme per germinare).

– Mettere a bagno i semi durante la notte in un bicchiere d’acqua e poi distribuirli in tutti i set-tori non irrigati; osservare il giorno successivo. Si vede “qualcosa” che sta per uscire dal seme (la radi-chetta). Se non si aggiunge acqua, il seme non si svilupperà ulteriormente e alla fine morirà. Se l’ac-qua viene poi aggiunta, il processo non si avvia di nuovo.

Figura 6. Gli alunni confrontano la germinazione dei semi in presenza e in assenza di acqua.

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Attività 10. Come germinano i semi? SperimentazioneDurataNumerose, brevi osservazioni.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.ObiettivoConoscere le fasi della germinazione e della crescita.

Questa fase permette di definire la germinazione come il primo stadio nello svi-luppo di una nuova pianta a partire dal seme. Questo concetto verrà ripreso nel cor-so dello studio delle fasi di sviluppo di una pianta con fiori, annuale o perenne. Al termine del modulo, gli alunni avranno osservato una trasformazione biologica e scritto alcune fasi dell’evoluzione di un essere vivente, di come il seme ‘si sveglia’ e come diventa una piantina.

CollettivamenteÈ difficile osservare le prime fasi della germinazione quando il seme si trova sot-

to terra, nascosto dalla terra. Si discute il problema con i ragazzi. Gli alunni sanno

Figura 8. Esempio di una rappre-sentazione schematica che mo-stra i risultati della sperimenta-zione.Ecco il risultato dell’esperimento del mio gruppo - lunedì 13 marzo.Con l’acqua la pianta è cresciuta - Senza acqua la pianta non è cresciuta.

Figura 9. Buste di accrescimento.

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che le piante hanno bisogno di acqua per germinare e che la trovano nel terreno che è tenuto umido.

È possibile sostituire il terreno con un qualcos’altro che mantenga umido il seme, che ne permetta la germinazione e nello stesso tempo ci permetta l’osservazione dello svilup-po? L’insegnante può aiutare gli alunni in questa ricerca, ci sono tante possibilità: la semina su cotone idrofilo (con il rischio che ciò che viene coltivato possa marcire), su carta da filtro, carta assorbente o, meglio ancora, su blocchi di polistirolo con fo-ri – uno per ogni seme – e galleggianti sulla superficie dell’acqua o buste di accresci-mento.

Nel corso di questa prima fase, l’insegnante può ugualmente organizzare con gli allievi una documentazione dell’osservazione continua che si andrà a intraprendere8.

Individualmente o in piccoli gruppiSi possono proporre osservazioni continue per circa 15 minuti (osservazione e

documentazione) nei momenti più significativi dello sviluppo dei semi, ad esempio a giorni alterni per 10 giorni.

Attività 11. Come germinano i semi? Uso dei datiDurataNumerose, brevi osservazioni.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.ObiettivoConoscere le fasi della germinazione e della crescita.

I bambini scoprono che gli organi che hanno osservato nel seme hanno tutti un ruolo ben definito: la radice si sviluppa per prima e si dirige verso il basso; lo stelo si sviluppa dopo, verso l’alto; le due metà del seme contemporaneamente servono come ‘prime foglie’ e come organo di ‘riserva’ per lo sviluppo della piantina.

Singolarmente o in piccoli gruppiOgni allievo, lavorando da solo, dopo aver rivisto tutto il percorso sul quaderno

di scienze, produce un breve testo scritto che corrisponde al suo resoconto dell’os-servazione.

CollettivamenteSi utilizzano i lavori precedenti di descrizione di quanto è stato osservato duran-

te lo sviluppo dell’embrione.Un video che mostra la germinazione accelerata dei piselli o dei fagioli può aiu-

tare nella sintesi. Lo stesso risultato potrebbe essere ottenuto anche con una succes-sione di immagini riprese da una fotocamera digitale. Si potrebbero anche utilizza-

8 Vi sono diverse possibilità:– disegni delle osservazioni formulate, con date, misure e con annotazione delle osservazioni sin-

golarmente o in piccoli gruppi– fotografie scattate dal docente o dai ragazzi;– per ogni osservazione, prelievo di un seme nei vari stadi di sviluppo e sua collocazione in un er-

bario, al fine di costruire una sequenza di campioni essiccati che possono essere usati per seguire le va-rie fasi della germinazione.

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re fotocopie per mostrare le varie fasi di germinazione (piselli o fagioli) e commen-tarle collettivamente o individualmente.

IndividualmenteGli alunni possono tornare al disegno fatto in precedenza durante l’osservazione

anatomica del seme e dare una migliore descrizione delle diverse parti del seme. Il concetto di seme è stato costruito9.

Attività 12. Il seme e le sue riserve di ciboDurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.ObiettivoAcquisire il concetto che il seme ha le sue riserve di cibo.

Una volta che il concetto di seme è stato acquisito, il docente può proporre nu-merosi ampliamenti.

Le prossime due lezioni costituiscono percorsi di approfondimento centrate su due temi: le riserve alimentari del seme ed il ruolo biologico della forma seme.

9 Il seme contiene un embrione di piantina e delle sostanze di riserva protette da un involucro. Nel corso della germinazione il seme assorbe acqua. La piantina si sviluppa utilizzando le sue riserve di cibo: essa non ha bisogno della terra, ma ha bisogno di acqua. Dopo lo sviluppo della plantula, il seme non esiste più (questa precisazione permette anche di sensibilizzare gli allievi sulla nozione di fe-nomeno biologico irreversibile).

Figura 10. Le varie fasi di germinazione (DIA - Banca dati immagini ANSAS).Germinazione e prime fasi di crescita di un fagiolo.

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È possibile realizzare degli esperimenti per confermare il ruolo delle riserve di ci-bo nel momento dello sviluppo della pianta: si potrebbe seminare un embrione sen-za le sue riserve di cibo o con solo la metà del seme.

La classe può avviare un esperimento, facile da eseguire, che mira a confrontare le prime fasi di germinazione alla luce e al buio. Si può così dimostrare che l’esposi-zione alla luce non è obbligatoria, dal momento che il seme è fornito delle riserve di cibo necessarie per le prime fasi di sviluppo della piantina. Questo esperimento po-trebbe rafforzare l’idea che il seme è una forma di riserva di cibo.

Lo sviluppo della giovane pianta può essere seguito anche dopo che questa ha esaurito le sue riserve di cibo: gli studenti possono confrontare lo sviluppo delle gio-vani piantine che crescono nel suolo o su un altro supporto (cotone idrofilo o carta da filtro). Possono anche notare il momento in cui le foglie giovani diventano di co-lore verde. Tutte queste osservazioni servono come punti di partenza per lo studio delle esigenze nutrizionali delle piante verdi.

I semi contengono riserve di cibo che l’uomo può utilizzare per se stesso. Si po-trebbe, per esempio, guardare i menu del pasto dei ragazzi o della scuola e stabilire tutti i semi e cereali che si mangiano così come sono (fagioli, piselli, ceci, lentic-chie…) o dopo trasformazione (chicchi di grano).

Si potrebbe fare un collegamento con la storia: i semi in passato hanno sempre svolto un ruolo importante nella dieta umana perché cibi naturalmente disidratati si conservano facilmente, se mantenuti al riparo dall’umidità.

Attività 13. I semi viaggiano?DurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, quaderno di scienze.ObiettiviAcquisire il concetto di seme come mezzo di dispersione.

Gli studenti cercano di determinare l’importanza del ruolo specifico del seme nella diffusione della specie.

CollettivamentePer avviare la discussione si potrebbe organizzare un’uscita in un ambiente natu-

rale. Al loro ritorno in classe gli alunni scoprono che hanno portato inconsapevol-mente in classe semi e frutti indeiscenti (semi contenuti all’interno di un frutto) che si sono attaccati ai loro indumenti (suole delle scarpe e abiti di lana).

Se un’uscita non è possibile, l’insegnante raccoglie semi provvisti di sistemi di anco-raggio per una dimostrazione in classe della loro efficacia come mezzo di dispersione.

Si potrebbe evidenziare la somiglianza tra i modi in cui i semi sono trasportati dagli alunni e dagli animali (zampe, pelliccia dei mammiferi, piume degli uccelli, scarpe degli alunni e vestiti). Frutti indeiscenti e semi possono anche essere traspor-tati dal vento o portati via dall’acqua.

In classe, gli alunni incollano la loro raccolta essiccata su rettangoli di cartone bianco e così costruiscono una collezione varia e quindi svolgono un’attività di clas-

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sificazione: frutti indeiscenti e semi trasportati dal vento (sono leggeri e dotati di si-stemi di planata in aria), dall’acqua (hanno un rivestimento impermeabile e sistemi per galleggiare sull’acqua) o dagli animali (i semi e i frutti possono attaccarsi alle piume e soprattutto alla pelliccia ed hanno un meccanismo di attacco che può esse-re osservato con la lente d’ingrandimento.

Spesso, i semi sono ingeriti dagli animali e talvolta possono essere trovati nelle loro feci, se l’involucro del seme è resistente alla digestione.

Il ricorso a risorse documentarie conferma la classificazione proposta per alcune famiglie di piante.

Possono essere utilizzati testi o fumetti che illustrano la colonizzazione di un ha-bitat da parte delle piante (per esempio, la colonizzazione di un’isola deserta).

Si può citare la vegetazione generata da semi trasportati da tronchi di albero pro-venienti da altre zone, usati per esempio per puntellare le gallerie o ancora la vege-tazione pioniera di un’isola vulcanica recente che si spiega con semi e frutti indei-scenti portati dal mare, dagli animali e dal vento.

Tutte le piante da fiore producono semi, ma i semi e i frutti indeiscenti possono avere una serie di meccanismi anatomici per assicurare la diffusione delle specie nei dintorni vicini o lontani. Può essere utile far notare agli alunni che il seme è una for-ma di diffusione che è specifica per le piante terrestri (anche se non per tutte). Que-sta fase del ciclo di vita (la forma seme) è sviluppata sulla Terra nelle piante fiorite, consentendo loro di sopportare periodi senza acqua e di colonizzare nuovi habitat.

Conclusione

Questo modulo è molto ricco e non richiede costose attrezzature. Le conoscen-ze acquisite si riferiscono esclusivamente al concetto del seme: sono semplici, ma devono essere rigorose, dal momento che successivamente saranno utilizzate come punto di partenza per il ciclo di sviluppo di una pianta con fiori e per il concetto di insediamento della vegetazione in un habitat.

Le competenze metodologiche sviluppate, associate con la realizzazione di un approccio investigativo, sono fondamentali a questi livelli scolari; il ragazzo entra in prima persona in un processo dinamico di apprendimento, stimolato dalla sua cu-riosità per l’ambiente e dai suoi stessi interrogativi. Familiarizza con l’uso dell’osser-vazione, con l’esperienza di mettere in discussione le sue concezioni, con la verifica della sua ipotesi e la costituzione di un corpus di conoscenze e di know-how.

Fonti

Scuola primaria «Pasteur», VénissieuxScuola «Marianne Cohn», AnnemasseJean-Marie Bouchard dell’équipe “La main à la pâte”

Le immagini delle figure 2, 3, 4, 6 e 9 sono di Rita Cortese, docente dell’I.C. “Volino - Cro-ce - Arcoleo” di Napoli.

La foto in figura 7 è di Gabriella Cerielli, docente dell’I.C. “Volino - Croce - Arcoleo” di Napoli.Il brano tratto dal diario di bordo e le foto delle figure 5 e 8 sono di Carmen Della Monica,

docente della Scuola secondaria 1° grado “Giovanni XXIII” di Cava de’ Tirreni (Salerno).

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Scuole sperimentatrici del TC2-Napoli

I.C. “2° De Amicis - Diaz”, Pozzuoli (Na).

I.C. “Volino - Croce - Arcoleo”, Napoli.

I.C. “San Rocco”, Marano (Na).

I.C.D. “G. Marconi”, Pozzuoli (Na).

I.C. “Augusto-Console”, Napoli.

Scuola secondaria 1° grado “Falcone”, Napo-li. 6 classi prime coinvolte nell’a.s. 2011-2012.

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Sitografia e bibliografia

Un video accelerato sulla germinazione www.youtube.com/watch?v=Pti6yDmDWZQ-La riproduzione nelle piante: www.lettere.unito.it/didattica/att/4ddf.6332.file.pdfIl seme: www.federica.unina.it/smfn/biologia-vegetale-laboratorio/seme/Testo consigliato: Silvertown Jonathan, La vita segreta dei semi, Bollati Boringhieri

Scuola secondaria 1° grado “Giovanni XXIII”, Cava de’ Tirreni (Sa).

Scuola Secondaria di 1° grado “F. Dati”, Bo-scoreale (Na).

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Antonella Alfano, Maria Alfano, Giulia Forni, Anna Pascucci, Laura Salsano

Allevamento di insetti stecco

Livello scolare: dalla scuola d’infanzia alla secondaria di secondo gradoTempi di realizzazione: almeno 8 ore; è preferibile distribuire le attività su più mesi.

Sintesi del modulo e indicazioni metodologiche

Il modulo propone di allevare in classe inset-ti stecco per osservarne e descriverne le caratteri-stiche morfologiche, la nutrizione, la locomozio-ne, il ciclo vitale, l’etologia.

L’allevamento dei piccoli viventi educa i ra-gazzi al rispetto per gli animali, favorisce lo svi-luppo dell’approccio all’esplorazione e alla speri-mentazione, contribuisce a sviluppare una capa-cità critica di pensiero e offre la possibilità di compiere una profonda esplorazione nel mondo dei viventi che solo un’osservazione non occasio-nale può consentire.

L’insetto stecco si presta ad essere studiato a vari livelli di complessità, modulan-do gli interventi didattici in relazione all’ordine di scuola.

La maggior parte delle attività sono autoconsistenti, quindi il docente può deci-dere di svilupparne solo alcune o di modificarne l’ordine, sulla base delle curiosità degli allievi e dei fenomeni che si osservano nel proprio allevamento.

Si può introdurre l’allevamento in classe a novembre e distribuire le attività pro-poste su diversi mesi. Un’ipotesi di pianificazione:

– Novembre/dicembre: prime osservazioni, primi disegni spontanei e descrizio-ni del terrario con il suo contenuto; osservazioni sull’alimentazione, sulla lo-comozione, sulla crescita.

– Gennaio: osservazione di insetti stecco morti; scoperta delle uova.– Marzo/ Aprile: schiusa delle uova; osservazione delle mute. Nuovi disegni di

osservazione.

Concetti chiave

– nascita, crescita, riproduzione;– nutrizione e abitudini alimentari;– locomozione; oS

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Figura 1. I bambini osservano un in-setto stecco ad occhio nudo.

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– interazione con l’ambiente;– allevare esseri viventi.

Obiettivi

Obiettivi di conoscenza– Definire le caratteristiche anatomiche e fisiologiche di un vivente, cogliendo

la relazione tra forma e funzione di un organo.– Riconoscere i bisogni vitali di un essere vivente.– Acquisire il concetto di “dieta”.– Individuare e comprendere la riproduzione di un vivente e i diversi tipi di svi-

luppo.– Conoscere il fenomeno della muta.

Obiettivi metodologici– Osservare, utilizzando vari strumenti.– Confrontare.– Manipolare.– Affrontare situazioni problematiche, costruendo e verificando ipotesi, inter-

pretando e valutando i dati.– Effettuare misure, costruire tabelle e grafici.– Disegnare basandosi sull’osservazione.– Essere in grado di fare una ricerca bibliografica anche con strumenti informa-

tici, leggere documenti ed elaborare informazioni.– Argomentare.

Riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo - 1° ciclo d’istruzione (2012)

Traguardi per lo sviluppo della competenza

Nella scuola del-l’infanzia.

Osserva con attenzione il suo corpo, gli organismi viventi e i loro ambienti, i fenomeni naturali, accorgendosi dei loro cambiamenti.

Obiettivi di apprendimento

Al termine della classe terza della scuola primaria.

Osservare i momenti significativi nella vita di piante e animali, rea-lizzando allevamenti in classe di piccoli animali, semine in terrari e orti, ecc.Riconoscere in altri organismi viventi, in relazione con i loro am-bienti, bisogni analoghi ai propri.

Al termine della classe quinta della scuola primaria

Riconoscere, attraverso l’esperienza di coltivazioni, allevamenti, ecc. che la vita di ogni organismo è in relazione con altre e differen-ti forme di vita.

Al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado.

Riconoscere le somiglianze e le differenze del funzionamento delle diverse specie viventi.Realizzare esperienze quali ad esempio: in coltivazioni e allevamen-ti osservare la variabilità in individui della stessa specie.

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Un modo possibile in cui il modulo può essere realizzato

Attività Domanda iniziale

Attività svolte con gli studenti

Approccio scientifico

Attività di comunicazione e condivisione

Attività 1

Che cos’è? (Dove allevarlo?)

Problematizzazione.(Costruzione teca).

Osservazione macroscopi-ca.Osservazione con lenti e stereomicro-scopio.Sperimenta-zione.Osservazione e confronto.Ricerca do-cumentaria.

Comunicazione orale.Discussione collettiva.Discussione nei gruppi.Scrittura individuale.Disegni.

Attività 2

Com’è fatto, co-me e quando si muove, di cosa si nutre, come cresce e si ripro-duce l’insetto stecco?

Allevamento dell’in-setto.Esplicitazione di domande.Suddivisione degli studenti in 4 grup-pi: morfologia, mo-vimento, nutrizione, crescita.

Discussione collettiva.Disegno, testi scritti ed esposizione orale.

Gruppi 1 e 2

Come è organiz-zato l’insetto stecco?Come si muove?

Osservazione libera e guidata dell’in-setto.

Disegno, testi scritti.

Gruppo 3

Che cosa man-giano gli insetti stecco?Come mangia-no?

Elaborazione proto-colli sperimentali per scoprire le abi-tudini alimentari del l’insetto.

Comunicazione orale.Scrittura individuale.

Gruppo 4

Come crescono gli insetti stecco?

Misurazione d’in-setti.Monitoraggio della crescita d’insetti stecco.Costruzione di gra-fici.

Attività 3

Come nascono gli insetti stecco?

Osservazione schiu-sa delle uova.

Attività 4

Come si difen-dono dai preda-tori?

Osservazione e in-terpretazione del comportamento an-tipredatorio dell’in-setto.Progettazione e spe-rimentazione per indagare sul mime-tismo di colore dell’animaletto.

Discussione collettiva.Scrittura individuale.

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Attività 1. Contesto iniziale

Il punto di partenza è una situazione di scoperta del ter-rario portato dall’insegnante con l’allevamento al comple-to, che comprende il nutri-mento (rami di rovo o di ro-sa), insetti stecco (possibil-mente in diversi stadi di svi-luppo), uova, escrementi1.

L’arrivo dell’allevamento in classe è un avvenimento! Du-rante questa fase è probabile che l’osservazione sia poco scientifica e prevalentemente emozionale; bisognerà atten-dere che il momento di sor-presa sia passato, prima di chiedere agli studenti una pri-ma rappresentazione grafica.

L’insegnante propone alla classe:“Per 15 giorni ci prenderemo cura, durante la ricreazione, di questi animaletti: si

pulisce la carta sul fondo del terrario cambiandola una o due volta la settimana e si rin-nova il cibo quando è necessario” 2.

Le cure di cui necessitano gli animaletti sono momenti importanti per l’osserva-zione. La manutenzione del terrario può essere fatto a rotazione da piccoli gruppi di studenti in modo da consentire un’osservazione più diretta ed attenta. È nel corso di questi momenti privilegiati che avranno luogo alcune scoperte (la differenza tra uova ed escrementi, per esempio).

Si tratta di un allevamento collettivo situato in un “angolo natura” della classe.

Attività 2. Osservazione dell'insetto stecco

Gli allievi formulano problemi biologici

Ogni ragazzo annota sul quaderno di scienze le sue esperienze, le osservazioni e gli interrogativi.

1 In alternativa, il docente porta a scuola uno o più insetti stecco; i ragazzi progettano e costrui-scono un terrario.

Per poter tenere in classe gli insetti stecco è necessario costruire un microambiente adatto:Quali sono le condizioni microclimatiche degli ambienti naturali nei quali vive l’insetto stecco?

Come ricostruirle?Il terrario dovrà soddisfare i bisogni di aria, illuminazione, temperatura, umidità, nutrimento,

spazio vitale.2 L’insegnante starà attento che gli studenti non gettino insetti stecco quando si sostituiscono le

foglie, soprattutto se ci sono i piccoli!

Figura 2. Terrario con allevamento di insetti stecco.

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Al termine del periodo di osservazione libera, si chiederà agli studenti di dise-gnare l’animaletto; poi si farà una sintesi dei loro commenti e delle loro domande:

– Che cosa è?– Una locusta.– Non sono locuste; quelle saltano.– Sembra un bastoncino.– Si tratta di insetti stecco, li ho visti in un’altra classe.– Sono difficili da vedere.– Cambiano colore?– Quando sono nascosti tra foglie gli animali e gli uccelli che li vorrebbero mangia-

re, non li vedono.– Dove vivono?– Hanno sei zampe. Non corrono?– Non si muovono molto!– Alcuni hanno solo 5 zampe– Non pungono e non mordono.– È perché non hanno i denti!– Li hanno, altrimenti non potrebbero mangiare le foglie.– Abbiamo messo foglie di rosa nel terrario, possono mangiare qualcosa di diverso?– Si potrebbe dare loro altre foglie, per vedere se le mangiano.– Non bevono?– Non fanno i nidi, come le formiche?– Fanno il nido tra le foglie?– Ci sono insetti stecco piccoli e grandi.– Sono giovani, vecchi, genitori.– Come si fa a distinguere i maschi dalle femmine?– Vi sono più specie di insetti stecco?

Analisi delle osservazioni e delle domande degli studenti

L’insegnante annota su un cartellone le osservazioni e le domande degli studenti e chiede loro di raggrupparle in base alle tematiche. In genere emergono le seguen-ti problematiche: morfologia, movimento, nutrizione, crescita.

Il docente aiuta i ragazzi a formulare le domande, a partire dalle quali si avviano le ricerche.

Ogni attività si articola in diverse fasi:

u Vengono raccolte le questioni suggerite dagli studenti e avviate le discussioni di gruppo.

u Se necessario, si cercano informazioni su Internet.u Continuano le discussioni sugli esperimenti da effettuare e sulla loro utilità.u Vengono dettagliati gli esperimenti.u Viene stilata la lista degli esperimenti e dei materiali necessari.u Vengono organizzati ed effettuati gli esperimenti.u Si favorisce la formulazione di nuovi problemi.u Si modificano gli esperimenti iniziali sulla base delle discussioni.

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La classe lavora divisa in gruppi di investigazione

Gruppo 1. Morfologia

Si lavora sui disegni degli stu-denti e sulle loro osservazioni. Gli studenti, in genere, hanno già capi-to che la forma di stecco permette all’insetto di difendersi, ma spesso chiedono se possono anche cam-biare colore, cosa che aumentereb-be ulteriormente il loro camuffa-mento.

Qualche alunno conta il nume-ro di zampe (6 o 5), alcuni ragazzi disegnano 4 zampe; questa è una rappresentazione classica dell’idea di un animale che si riferisce a quelli più noti agli studenti, i ver-tebrati.

Le antenne sono frequentemen-te ben disegnate (anche se ci può essere confusione con il primo paio di zampe, che l’insetto spesso pro-tende in avanti).

L’insegnante, tra le tante, rilancia domande del tipo:“Com’è organizzato il corpo l’insetto stecco?”“Quali sono le diverse parti del suo corpo, quante zampe ha? Dove si trovano? Cos’ha

sul capo?”“La forma di stecco gli permette di nascondersi tra i rami, ma può anche cambiare

colore secondo il substrato sul quale si trova (come il camaleonte, per esempio)?”Per rispondere alle domande e per individuare le diverse parti del corpo, gli alun-

ni osservano di nuovo e liberamente l’insetto stecco.Il capo porta due antenne e due occhi.Osservando ventralmente l’insetto, possiamo vedere le mandibole.Il torace, diviso in tre parti, porta tre paia di zampe.L’addome è composto da molti “anelli”.Si osserveranno i movimenti (più facile con gli esemplari giovani, perché più

mobili degli adulti) delle sue 3 paia di zampe.L’insegnante chiede di ridisegnare l’insetto osservato.

Gruppo 2. Movimento

Domande iniziali“Si muovono”? “Come camminano?” “Corrono?” “Saltano?” “Come si arrampi-

cano?”

Figura 3. Gli alunni osservano la morfologia del-l’insetto stecco.

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Gli studenti osservano che gli insetti stecco si muovono poco3; spesso essi chie-dono se possono correre.

L’insegnante pone le seguenti questioni:“Quali sono i differenti modi di muoversi degli insetti stecco?”“Come vederli muoversi?”“Di giorno sono fermi, ma cosa fanno di notte?”La locomozione degli insetti è spesso difficile da analizzare a causa del numero di

zampette (6 in tutti gli insetti). Tuttavia negli insetti stecco la lentezza di movimen-to, la lunghezza delle zampe e il fatto che essi camminano utilizzando prevalente-mente le due ultime paia di zampe, agevola l’osservazione dell’andatura.

Durante la deambulazione, il primo paio di zampe è spesso sollevato e proteso in avanti ed è utilizzato, insieme alle antenne, per rilevare ostacoli.

Durante il giorno, gli insetti stecco sono in genere immobili nella vegetazione con cui si confondono; la maggior parte delle specie ha infatti abitudini di vita not-turne.

Di fronte a un pericolo si lasciano cadere e rimangono immobili – con le zampe allungate lungo il corpo – a volte anche per 15-20 minuti.

Per studiare come l’insetto cammina, si può cospargere un grande foglio bianco di polvere di gesso colorato, analizzando così le impronte che le zampette lasciano e riconoscendo che l’animaletto le muove indipendentemente l’una dall’altra.

Gruppo 3. Nutrizione

Domande iniziali“Che cosa mangiano gli insetti stecco?” “Qual è il loro regime alimentare?”

3 Gli insetti stecco sono animali che si muovono molto lentamente, a volte oscillano come ramo-scelli agitati dal vento.

Rappresentazione dell’insetto stecco dopo una prima osservazione libera e dopo un’osserva-zione guidata dall’insegnante.

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Dalle osservazioni libere gli stu-denti sanno che l’insetto stecco mangia foglie di rosa e ne sono cer-ti poiché hanno potuto osservare le foglie mangiate ai margini.

La domanda sulla quale investi-gare è:

“Abbiamo messo foglie di rosa nel terrario, ma gli insetti stecco possono mangiare qualcosa di diverso?”4

Gli studenti sono invitati a pro-gettare e a realizzare un esperimen-to fattibile in classe per rispondere alle domande.

Esempi di esperienze proposte e realizzate dagli alunniDopo aver verificato che il bordo è intatto, si introducono nel terrario foglie di

specie diverse: lauro, tiglio, rovo, vite americana.Il giorno dopo si osserva quali sono state mangiate e quali sono rimaste intatte.Si ripete l’osservazione nei giorni successivi.I risultati sono registrati in una tabella. È probabile che gli studenti propongano di

provare ad offrire agli insetti stecco bucce di frutta, carne, un pezzetto di patata …

Gli insetti stecco Mangiano Non mangiano

Bucce di mela ×

Rovi ×

Patata ×

Foglie di rosa ×

Carne ×

I bambini costruiscono e compilano una tabella: ESSI MANGIANO rovi, rose… ESSI NON MANGIANO bucce di mela, patata…

Gli studenti notano che ci sono incisioni sul bordo delle foglie mangiate dagli insetti stecco, perciò molti ragazzi sostengono che gli insetti hanno denti.

“In che modo l’insetto mangia?” “Hanno i denti?”È difficile vedere un insetto stecco mentre mangia perché in genere lo fa di not-

te. Dobbiamo quindi isolarne uno mantenendolo a digiuno per un giorno e una notte per poi reintrodurlo il giorno dopo nel terrario. Possiamo quindi osservarlo

4 Gli insetti stecco si nutrono di vegetali e, più esattamente, di foglie. A seconda della specie, pos-sono essere foglie di rovo, edera, quercia, biancospino, rosa, lampone, lattuga. Per l’alimentazione in allevamento, è necessario fornire loro le piante appropriate.

Figura 5. Osservazione allo stereomicroscopio del capo di insetto stecco.

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mentre mangia una foglia. Avvicinando l’orecchio si può anche sentire il rumore che fa quando mangia.

Gli studenti notano che gli insetti non usano le zampe per mangiare; inoltre pos-sono guardare le mandibole di insetti stecco (non è facile!) con lenti o allo stereomi-croscopio. Ciò che non può essere direttamente osservato si chiarisce attraverso una ricerca da libri o internet.

Dai quaderni di scienze degli alunni:– L’insetto stecco è un vegetariano, si nutre di foglie. Predilige le foglie di rose e rovi

e non mangia le foglie di tiglio o di ligustro.– Mangia con le mandibole che si comportano come forbicine che tagliano in picco-

li pezzi le foglie.– Lo stecco inizia a mangiare la foglia da un suo margine, procede fino a raggiun-

gere l’altro margine, poi torna indietro, spostando la testa, riprendendo a cibarsi dal margine da cui aveva iniziato. Alla fine del suo pranzo alla foglia manca un pezzo semicircolare.

Gruppo 4. Crescita

Gli studenti osservano che ci sono insetti stecco di varie dimen-sioni.

Il docente pone le seguenti do-mande:

“Come possiamo seguire la crescita degli insetti stecco?”

“Quando diventano adulti?”Il monitoraggio della crescita di

un insetto stecco può essere fatta isolando un insetto nello stadio gio-vanile in un terrario5 e misurando la lunghezza e il peso regolarmente (una volta a settimana).

L’insegnante chiede di misurar-ne la lunghezza e si mette d’accordo su ciò che si andrà a misurare dell’insetto (dal-la testa fino alla punta dell’addome). Gli studenti sono liberi di proporre il loro me-todo di misurazione.

Si eseguono quindi le misure degli insetti.Il docente deve garantire che non vi siano errori nei rilevamenti. Gli studenti la-

vorano in coppia; poi si confrontano le misure.L’osservazione sistematica d’insetti stecco permetterà di assistere alle mute; esami-

nando attentamente il terrario durante le “pulizie” si può rinvenire qualche esuvia.

5 Si possono isolare gli insetti stecco in singoli terrari o sistemare dei setti longitudinali di carto-ne all’interno di uno stesso terrario, così da separare i singoli esemplari, o ancora disegnare un punto di colore diverso sulle loro “schiene”, con dei pennarelli atossici, rendendo possibile differenziarli tra loro (fino alla successiva muta).

Figura 6. I ragazzi misurano la lunghezza dell’inset-to stecco su carta millimetrata.

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Si può chiedere agli studenti di confrontarne la lunghezza di un insetto stecco, prima e dopo la muta.

S 1 S 2 S 3 S 4 S 5 S 6 S 7 S 8 S 9 S 10 S 11

1 cm 1 cm 9 cm 9 cm 8 cm 8 cm 9 cm 7 cm 8 cm 7 cm 5 cm

Misure degli 11 insetti stecco presenti in un terrario.

Si può anche fare un grafico con le misu-razioni effettuate in classe per mostrare la cre-scita dell’insetto; si rende così più evidente la crescita discontinua, a “scatti” dell’anima-letto.

Si propone ai ragazzi una ricerca in inter-net o la lettura di un documento sul fenome-no delle mute.

“L’insetto stecco (femmina) cresce fino a raggiungere una lunghezza di 11-12 cm. Poi inizia a deporre le uova”.

Attività 3. Come nascono gli insetti stecco?

Si analizza quello che si è raccol-to sul fondo del terrario durante le pulizie6. Gli studenti potranno fa-cilmente trovare dei granelli (uova) che metteranno in un contenitore insieme alle foglie secche di rosa o di rovo. Aspetteranno per vedere la schiusa delle uova.

La tendenza naturale dei ragazzi è di pensare che dall’uovo di un in-setto nasca una larva, simile a un verme, che va incontro a metamor-fosi, trasformandosi in un insetto adulto – facendo riferimento alla farfalla.

In primavera le uova di insetto stecco si schiudono numerose e si può assistere alla nascita di agili neanide, vere e proprie miniature dell’adulto.

Si chiede ai ragazzi di avviare delle ricerche per un confronto tra il ciclo vitale dei fasmidi (metamorfosi incompleta) con quello di altri insetti, per esempio il mosce-rino della frutta (metamorfosi completa).

6 Si osserva ad occhio nudo, con lente d’ingrandimento, poi allo stereomicroscopio.

Figura 7. Curva di crescita in taglia e in peso di un insetto stecco.

Figura 8. Sul fondo di un terrario si evidenziano fo-glie secche, uova “le sferette” ed escrementi “i fila-menti allungati”.

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Per crescere essi cambiano la “pelle” (sono paragonati con altri animali co-me i serpenti). Diventati adulti gli in-setti iniziano ad accoppiarsi e la fem-mina a deporre le uova7.

Anche se i gruppi operano separata-mente e su temi differenti, la condivi-sione continua delle esperienze permet-te a ogni studente di seguire quanto è svolto dagli altri gruppi e integrare il proprio lavoro con quello degli altri. La condivisione arricchisce il dibattito e fa-vorisce l’emergere di nuove questioni.

Si chiede ai bambini di raccogliere tutte le informazioni riguardanti l’allevamento degli insetti stecco nel quaderno di scienze, utilizzato come strumento priori tario.

Attività 4. Come si difendono dai predatori?

Le osservazioni del terrario permettono agli studenti di capire subito che gli insetti stecco sono protetti dalla loro somiglianza con un ramoscello: essi si nascondono tra i rami8.

L’insegnante introduce il termine mime-tismo e raccoglie tutti i commenti che gli studenti fanno al riguardo.

I ragazzi hanno notato che l’animaletto quando è preso in mano, “gioca” a «fare il morto». Può anche oscillare avanti e indietro come un ramo agitato dal vento, può trave-stirsi da scorpione, inarcando l’addome, per far credere di essere pericoloso e velenoso o può sacrificare un’appendice – una zampa o un’antenna – in situazioni di pericolo.

Essi hanno compreso che anche le uova si mimetizzano: non è facile distinguere le uova d’insetto stecco da semi.

Talvolta i ragazzi si domandano:“Cambia anche colore secondo l’ambiente in cui si trova?”Si chiede ai ragazzi di progettare e realizzare un esperimento per rispondere alla

domanda.

7 A questo punto i ragazzi riconoscono le femmine ed i maschi del loro allevamento e possono individuare le caratteristiche del dimorfismo sessuale: La femmina è più lunga e più grossa.

L’insetto stecco si riproduce sessualmente, ma in mancanza del maschio la femmina si riproduce per partenogenesi.

8 Il termine “Fasmidi” – l’ordine al quale appartengono gli insetti stecco- deriva dal greco pha-sma (= fantasma) e indica la loro capacità di confondersi con l’ambiente.

Figura 9. Pagine del quaderno di scienze di un alunno di scuola secondaria.

Figura 10. Insetto stecco in tanatosi: l’in-setto finge di essere morto.

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Esempi di esperienze proposte e realizzate dagli alunniSi potrà mettere un insetto stecco su superfici di diversi colori e vedere se l’inset-

to cambia anch’esso colore.Gli studenti spesso propongono di metterli su foglie di diversi colori o su petali

di fiori.Nell’insetto stecco non c’è un vero mimetismo del colore; non diventa né rosso né

viola o giallo o rosa! Può essere più o meno scuro secondo l’ambiente in cui si trova; sa-rà più scuro in un terrario poco illuminato e più chiaro se l’illuminazione è più forte.

Dal diario di bordo di una docente di scuola d’infanzia

I bambini esplorando liberamente nell’“angolo della natura” trovano una novità (il terrario contenente gli insetti).Una serie di domande nascono spontanee: Che cos’è questa gabbia? Cosa c’è dentro? Che cosa sono, piantine? Guarda c’è anche un rametto secco!Hanno quindi individuato gli insetti.Nei giorni successivi i bambini sono tornati a trovare gli ospiti sconosciuti. Osservando i vari individui hanno notato che gli animaletti sono spesso immobili ed hanno posto alcune do-mande: Ma perché? Ma è una formica gigante? No è un ragno? Guarda le zampe! … Dopo varie ipotesi, hanno capito che l’insetto assomiglia a un rametto. È stato così proposto ai bam-bini di riprodurli con disegni e plastilina e di costruirne uno finto con dei rametti, per indi-viduare somiglianze e differenze.Dopo alcuni giorni che non era inserito alcun cibo all’interno del terrario, i bambini hanno problematizzato tra di loro e con gli insegnanti riguardo a cosa potessero mangiare. Ma man-giano? E cosa mangiano? Ma non gli diamo da mangiare? Come mangiano? Hanno però no-tato la presenza di foglie e rovi nel terrario che risultavano un po’ rosicchiate… Ecco! Ma al-lora mangiano le foglie!Poiché gli insegnanti ed i bambini inumidivano periodicamente il terrario con uno spruzza-tore, altre domande sono state: Le foglie sono bagnate… Ma sa bere? Ma usa la bocca?I bambini, osservando una lumaca, hanno notato che si spostava stisciando, invece, l’insetto si muoveva ulilizzando le sue lunghe zampe. Hanno quindi confrontato i due diversi tipi di locomozione. Che zampe strane? Come sono lunghe…I bambini hanno notato delle palline nere sul fondo del terrario … con la lente di ingrandi-mento hanno distinto due tipi di palline. Cosa sono? Sono semi? Con l’aiuto dei docenti ed il supporto dello stereomicroscopio hanno scoperto che alcune erano escrementi ed altre erano uo-va. Immediatamente altre domande sono sorte spontanee: Ma è una mamma? Il piccolino è il figlio? E dov’è il papà?Hanno anche costruito con l’aiuto degli insegnanti una incubatrice per le uova.

Conclusioni

Allevare in classe gli insetti stecco richiede attrezzature poco costose e facilmen-te reperibili. Le peculiarità dell’animaletto – innocuo, immobile e di grandi dimen-sioni – ne favoriscono lo studio delle caratteristiche e l’osservazione. Il suo alleva-mento pone il ragazzo di fronte a continue scoperte e permette di esplorare fonda-mentali tematiche delle scienze. Grazie alla rapidità di crescita, i ragazzi possono os-servare l’intero ciclo vitale nel corso dell’anno scolastico.

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Il modulo permette anche di considerare diversi aspetti del fattore tempo:

– Simultaneità: all’interno dello stesso allevamento si possono trovare insetti stecco di taglie differenti.

– Ritmo di vita: si osserva l’allevamento tutti i giorni o un giorno la settimana.– Successione: la cronologia delle osservazioni permette di ricostruire pezzi di

vita.– Durata: alcune operazioni sono più o meno lunghe, come ad esempio la schiu-

sa delle uova: bisogna attendere a lungo prima di assistere a un cambiamento.– Ciclo vitale: insetti nascono, altri muoiono; si hanno sempre dei fasmidi, ma

non sono più gli stessi.

Lo sviluppo del modulo prevede un approccio di tipo investigativo e la centrali-tà dello studente nel processo di apprendimento. Il ragazzo osserva, progetta, speri-menta, raccoglie dati, trae conclusioni condivise, pone nuove domande, documen-ta, sviluppando le capacità tipiche dell’approccio all’indagine scientifica.

Ampliamentiu Rispondere alla domanda: ci sono diverse specie di insetti stecco?u Tornare sul concetto di insetto e confrontarlo con altri insetti.u Classificazione.u Costruzione di una carta d’identità dell’insetto.u Partenogenesi.

Valutazioneu Fare uno schema di insetto stecco con didascalia.u Fornire una serie di misure di lunghezza di un altro insetto, ad esempio una

cavalletta, chiedere agli studenti di costruire un grafico a barre e poi spiegare come la cavalletta cresce.

u Fornire disegni o foto di insetti stecco e di altri animali e chiedere agli studen-ti come si proteggono dai predatori.

Fontiu Documentazione “La main à la pâte” – Attività di classe “L’élevage de pha-

smes”.u Documentazione della sperimentazione realizzata in scuole della Campania a

partire dall’a.s. 2008-2009.

Il brano del diario di bordo e le immagini delle figure 1, 2 e 3 appartengono al team della scuola d’infanzia “Montessori” - I.C. “2° De Amicis - Diaz” - Pozzuoli

Le immagini – tratte dai quaderni dello studente – relative all’attività 2 (figura 4) e all’attività 3 (figura 9) sono della docente Loredana Gargiulo - I.C. “G. Falco-ne”, Napoli.

Sitografia

http://phasmes.comhttp://www.insettostecco.it/allevamento.phphttp://web.romascuola.net/piccinini/insettistecco.htm

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ica Liceo scientifico Statale “A. Genoino”, Cava

dè Tirreni. Il modulo è stato sperimentato per due anni consecutivi nelle classi seconde. Il suo allevamento ha posto l’interrogativo sul controllo e la gestione di un terrario, nonché sulla classificazione di un vivente. La riprodu-zione per partenogenesi del l’insetto ha per-messo di riflettere e discutere sul concetto di specie, sulla clonazione e sulla variabilità ge-netica.

Scuola dell’Infanzia “M. Montessori”, I.C. “2° De Amicis - Diaz”, Pozzuoli. Il modulo è stato sperimentato da gruppi di bambini di tre, quattro e cinque anni.

Scuola secondaria 1° grado “Giovanni XXIII”, Cava de’ Tirreni. La scuola ospita stabilmen-te due terrari; la sperimentazione in genere si svolge nelle classi prime, come approccio al-lo studio dei viventi.

I.C. “G. Falcone”, Napoli. Il modulo è stato sperimentato nelle classi prime. L’osserva-zione delle caratteristiche morfologiche dell’insetto, sconosciuto ai più, e del suo ci-clo vitale ha stimolato fortemente la curiosità, introducendo così gli allievi naturalmente all’indagine scientifica.

I.C. Augusto Console, Napoli. Nel laboratorio scientifico della scuola è presente una teca in cui vengono allevati gli insetti stecco. Tutti gli alunni della scuola conoscono questi piccoli organismi. Ogni anno almeno due classi pri-me sperimenta il modulo.

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Antonella Alfano, Maria Alfano, Giulia Forni, Anna Pascucci, Laura Salsano

La classificazione degli animali

Livello scolare: ultimi anni scuola primaria e scuola secondaria di primo gradoTempo di realizzazione: 8 ore circa

Sintesi del modulo e indicazioni metodologiche

La classificazione scientifica utilizzata in que-sto modulo è la classificazione filogenetica, anco-ra definita “nuova classificazione”. Essa si basa sulle recenti scoperte della genetica, come il se-quenziamento del DNA. La classificazione tradi-zionale, basata sulla distinzione vertebrati / in-vertebrati e la definizione di cinque classi di ver-tebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) nella tassonomia moderna non è più utilizzata, quindi non dovrebbe essere più insegnata nean-che nella scuola primaria. Per approfondire le conoscenze scientifiche si può leggere il testo “Le chiavi della filogenesi per la scuola del primo ciclo” a fine modulo.

Questo modulo pone le basi del metodo del-la classificazione scientifica attraverso la realizza-zione di semplici esercizi.

Prima di iniziare le attività, gli insegnanti do-vrebbero incoraggiare gli studenti a scoprire un approccio investigativo ai principi inerenti la classificazione. I caratteri che permet-tono di classificare gli animali sono un tema scientifico; come tali, sono oggetto di dibattito tra gli studenti per discuterne la validità.

In un primo momento l’insegnante può lasciare che i criteri di classificazione emergano spontaneamente, per arrivare infine alla consegna di classificare solo in base a ciò che gli animali hanno. In effetti, se si lascia che i criteri di classificazione emergano liberamente, si otterrà una miscela di criteri eterogenei. Gli animali sa-ranno classificati insieme, perché:

– Fanno la stessa cosa (“volano”, “sono carnivori”…)– Vivono nello stesso luogo (“vivono in fattoria”, “vivono nel bosco”…) oS

SeV

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did

at

tiC

aFigura 1. I bambini individuano crite-ri per classificare animali domestici.

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– Sono (per definizione) questo o quello (“sono insetti”, “sono vermi”)– Servono allo stesso scopo (“si possono mangiare”, “ fanno compagnia”…)– Non hanno questo o quello (“non hanno vertebre” o “non hanno zampe”),– Hanno questo o quello (“hanno sei zampe”).

Si potrà lasciar emergere tutti questi criteri e poi ordinarli collettivamente.Se l’obiettivo è quello di raggiungere una classificazione in relazione con la sto-

ria evolutiva degli organismi, l’insegnante dovrà raccomandare agli studenti di clas-sificare solo in base a quanto gli animali hanno (l’ultimo dei sei criteri di cui sopra). L’esperienza dimostra che, naturalmente, e anche senza essere specificamente istru-iti a non farlo, i bambini non classificano sulla base di ciò che gli animali non han-no. I gruppi “privativi” senza alcun valore scientifico, come “invertebrato” o “agna-ti” sono un “inquinamento culturale” e rappresentano un problema più per gli adul-ti che per i bambini.

La tendenza naturale sarà quello di creare solo insiemi disgiunti, non inclusivi. Quindi bisogna indirizzare gli studenti a concentrarsi sulla creazione di gruppi in-clusi gli uni negli altri. Questo induce a gerarchizzare le caratteristiche: tutte le spe-cie con i peli avevano già quattro zampe, ecc.

Un modo per ottenere dai bambini l’inclusione senza dare esplicitamente la con-segna, è di cominciare da ciò che hanno tutti gli animali; per esempio, hanno tutti una testa. La caratteristica testa, fa emergere il gruppo più inclusivo. Gli altri gruppi necessariamente saranno contenuti nel primo.

Questioni iniziali

Conoscere un organismo vivente, significa innanzitutto essere in grado di ri-spondere alla domanda “quali sono le sue caratteristiche?”, prima di passare a doman-de del tipo “come funziona?”. Rispondere alla domanda “che cosa è che lo caratteriz-za?” significa, in ordine:

1. sapere come è composto un organismo e ciò che ha in comune con altri;2. da dove proviene, cioè quali sono i suoi progenitori;3. dove si inserisce nella classificazione.

Le due ultime domande possono trovare risposta grazie alla prima. In altre paro-le è impossibile definire un gruppo di esseri viventi e discutere della loro origine, senza dedicare del tempo ad osservare concretamente come sono fatti.

Si classifica sulla base di ciò che gli organismi hanno, e non sulla base di ciò che essi non hanno/su cosa fanno/ dove vivono/ come sono utilizzati. In questo modo si elimina ogni classificazione utilitaristica (“frutti di mare”), antropocentri-ca (“invertebrati”), ecologica (“scavatori”, …) per un approccio che miri ad essere scientifico.

Non avrebbe senso raggruppare organismi sulla base di ciò che essi non hanno: ciò che non hanno non può distinguerli in alcun modo e non può testimoniare la loro origine.

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Per giustificare questo approccio con gli studenti, si può partire dal seguente principio: conoscersi è in parte sapere come si è fatti e da dove si proviene.

Si può invitare un bambino a tentare di descrivere un compagno di classe affer-mando cosa egli non ha, poi di creare gruppi di compagni basati su ciò che non han-no. I risultati possono essere successivamente confrontati con quelli ottenuti quan-do i compagni di classe sono descritti e raggruppati sulla base di ciò che hanno. Si giunge molto rapidamente alla conclusione che il secondo approccio ha senso, men-tre il primo non lo ha.

Obiettivi

– Descrivere la specie: stabilire il livello di descrizione e far emergere il «vocabo-lario» anatomico;

– Far emergere dei criteri di classificazione per arrivare a raggruppare sulla base a ciò che gli organismi viventi hanno;

– Stimolare un dibattito in cui si confrontano e si confermano le osservazioni fatte;

– Raggruppare gli animali sulla base di caratteri esclusivi;– Individuare i sottoinsiemi;– Far emergere il nesso di causalità sottostante alle caratteristiche che essi condi-

vidono;– Mostrare i legami di parentela tra gli orgasnismi viventi.

Riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo - 1° ciclo d’istruzione (2012)

Obiettivi di apprendimento

Al termine della classe terza della scuola primaria.

Seriare e classificare oggetti in base alle loro pro-prietà.

Al termine della classe quinta del-la scuola primaria.

Elaborare i primi elementi di classificazione anima-le e vegetale sulla base di osservazioni personali.

Al termine della classe terza della scuola secondaria di primo grado.

Comprendere il senso delle grandi classificazioni, riconoscere nei fossili indizi per ricostruire nel tem-po le trasformazioni dell’ambiente fisico, la succes-sione e l’evoluzione delle specie.

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Un modo possibile in cui il modulo può essere realizzato

Attività Domanda iniziale Attività svolte con gli studenti

Approccio scientifico

Attività di comunicazione e condivisione

Fase

1 -

Com

e cl

assifi

care

? Attività 1

Come classifica-re?Quali animali si possono mettere insieme e perché?

Raccolta di nomi di ani-mali e raggruppamento se-condo criteri scelti dagli studenti (alimentazione, comportamento, distribu-zione geografica, ecc.).

Osserva-zione.Confron-to.Simboliz-zazione.

Comunicazio-ne orale.Scrittura indi-viduale.Disegni.Rappresenta-zione grafiche.Di scus s ione nei gruppi.Di scus s ione collettiva.

Attività 2

Quale sistema di c la s s i f i caz ione scegliere e per-ché?

Raggruppare 4 animali utilizzando un solo criterio di classificazione.

Fase

2 -

Cos

trui

amo

sotto

insie

mi.

Attività 3

Come rappresen-tare raggruppa-menti?

Classificare gli animali sul-la base delle loro caratteri-stiche («ciò che hanno»).

Attività 4

Quale rappresen-tazione mi con-sente di utilizzare ogni animale una sola volta?

Costruire sottoinsiemi.Attribuire nomi scientifi-ci.

Attività 5

Esercizio formati-vo.

Racconto dei 4 musicanti di Brema.Classificazione sulla base di 2 caratteristiche: peli e denti aguzzi.

Fasi

3 e 4

- C

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chiam

o alc

uni a

nim

ali.

Attività 6

Come classificare 7 animali sulla base di 5 caratte-ristiche?

Classificare alcuni anima-li.

Attività 7

Come classificare 12 animali sulla base di 10 carat-teristiche?

Applicare i criteri di classi-ficazione (Approfondi-mento).

Fase

5 -

Albe

ro fi

loge

netic

o. Attività 8

Perché le specie hanno caratteri in comune?

Individuare le parentele, i caratteri ereditati da ante-nati comuni. Elabora-

zione di criteri ba-se di clas-sificazio-ne.

Attività 9

Come costruire l’albero genealo-gico/filogenetico?

Rappresentare un albero filogenetico a partire da insiemi e sottoinsiemi.

Attività 10

Dove inserire una nuova specie?

Collocare un animale estinto nell’albero filoge-netico.

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Fase 1: Come classificare?

Obiettivi di conoscenzau Gli esseri viventi si classificano sulla base di ciò che hanno (peli, colonna ver-

tebrale, piume…).u Non dobbiamo classificare gli esseri viventi in base a ciò che non sono, cosa

fanno, (nuotano, volano, mangiano piante…), dove vivono.

Obiettivi di metodou Osservare e confrontare gli esseri viventi per classificarli.u Classificare in base a criteri diversi.

Materiali occorrentiu Fogli A3, adesivi riposizionabili.u Immagini di 4 animali domestici.

Attività 1Dopo che gli studenti sono stati sensi-

bilizzati al tema della diversità degli ani-mali, attraverso un video o libri illustrati, l’insegnante invita a scegliere un animale e annota tutti i nomi alla lavagna, oppu-re su LIM o ancora su un cartellone, chie-dendo di tener conto della varietà dei vi-venti, in quanto i bambini generalmente pensano solo ai mammiferi.

L’insegnante tenta di precisare i ter-mini generici come “insetto” per giun-gere per esempio a “mosca”. Quando si hanno 12-15 nomi, si propone di met-tere un po di “ordine”1:

«Chi si può mettere insieme e perché?».Ogni gruppo di di 3 o 4 studenti raggruppa gli animali su fogli A3 che possono

essere fissati al cartellone ed annota i criteri utilizzati.La diversità e la pertinenza dei criteri di classificazione vengono esaminati e di-

scussi dalla classe riunita in un grande gruppo. L’insegnante prepara un cartellone con tutte le classificazioni proposte.

L’essenziale è dimostrare che secondo i sistemi proposti (alimentazione, ambien-te di vita, morfologia, dimensioni…), i gruppi non sono costituiti dagli stessi ani-

1 Attenzione alla terminologia:– Discriminare = Ci si basa sulla presenza o assenza di un attributo. Per esempio, l’animale fa par-

te o non fa parte di un determinato gruppo (vive/non vive in acqua, ha/non ha un guscio).– Classificare = si prendono in considerazione solo le caratteristiche presentate e condivise dai di-

versi organismi.– Ordinare = mettere le specie in ordine secondo un criterio (es. taglia, ordine alfabetico).– Determinare = riconoscere una specie già inserita in un gruppo, trovare il suo nome, la sua fa-

miglia.

Figura 2. Nomi di animali citati dai bambini e annotati alla lavagna.

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mali. Il fatto di utilizzare diversi sistemi contemporaneamente, provoca incongruen-ze e l’impossibilità di operare una classificazione senza inserire più volte lo stesso or-ganismo in gruppi diversi. Si dimostra che l’ordinamento (dal più piccolo al più grande, dal più bello al più brutto…) o raggruppamenti del tipo “uccelli / altri” non sono classificazioni.

Dal diario di bordo dell’insegnante

Ogni gruppo descrive brevemente alla classe i criteri adottati, che vengono trascritti alla lavagna:– tipo di alimentazione: sono erbivori, sono carnivori, mangiano foglie– tipologia di movimento: corrono veloci, striscia, vola– ambiente di vita: sulla terra, nella savana, al freddo, in Antartide, animali polari, anima-

li domestici– comportamento: si mimetizzano, sono aggressivi, sono forti– caratteristiche morfologiche: zampe piccole, 4 zampe, tante zampe, 6 zampe, hanno il cor-

po nero e a forma di mandorla, hanno la stessa taglia e occhi, si assomigliano fisicamente.

C’è anche un accenno alla filogenesi: un bambino scrive che “hanno la stessa derivazione”.Emerge una grande varietà di criteri. I bambini raggruppano gli animali sulla base delle abitudini alimentari (carnivori, erbivori), dell’ambiente in cui vivono (animali polari, animali che vivono nella savana), del tipo di movimento (striscia, è veloce…), ecc.Molti bambini inseriscono lo stesso animale in diversi raggruppamenti: Sofia ha messo l’orso e il rinoceronte sia tra gli animali a 4 zampe che tra gli animali aggressivi; Giorgia ha inserito il leone e il giaguaro sia tra i quadrupedi, che tra gli animali forti e veloci che vivono nella savana.Classe IV - scuola primaria.

«Quale sistema scegliere e perché» diventa il problema della classe.

Attività 2Quattro animali domestici.

L’insegnante propone di lavorare con un piccolo campione per facilitare il com-pito, che è quello di accordarsi su un sistema di classificazione. Viene data a cia-scun gruppo una scheda con le im-magini di 4 animali familiari: pesce rosso, tartaruga, coniglio e gatto.

Viene data qualche informazione su ciascun animale in modo da forni-re elementi per formare i raggruppa-menti: una breve descrizione, cosa fa, cosa mangia. Il compito è sempre ”chi possiamo mettere insieme e perché?”.

Gli studenti formano i gruppi su fogli A3. Il docente ricorda che non si dovrebbero usare più sistemi contem-poraneamente, ma cercare un sistema di classificazione coerente. Figura 3. Scheda con le immagini di 4 animali.

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Le diverse soluzioni sono discusse dalla classe.

u Se classifichiamo secondo ciò che mangiano: la tartaruga e il gatto vengono in-seriti nello stesso gruppo perché mangiano carne, coniglio e pesce rosso for-mano un secondo gruppo poiché mangiano pane.

u Se classifichiamo secondo l’ambiente in cui vivono: pesci rossi e tartarughe si trovano nello stesso gruppo in quanto vivono nell’acqua.

u Se classifichiamo seconda ciò che non hanno: gatti, conigli e pesci rossi sono posti nello stesso gruppo in quanto non hanno carapace.

u Se classifichiamo secondo «ciò che hanno»: gatto e coniglio sono nello stesso gruppo in quanto hanno peli e orecchie, gatto, coniglio e tartaruga sono po-sti nello stesso gruppo «4 zampe».

La classe esamina le proposte e dibatte sui vantaggi e gli svantaggi dei criteri di classificazione: il gruppo «alimentazione» o «ambiente di vita» non sono stabili (il pesce rosso è onnivoro e la tartaruga può uscire dall’acqua).

Dopo aver ascoltato le opinioni degli studenti, l’insegnante guiderà la discussio-ne: gli scienziati classificano gli animali e più in generale tutti gli organismi viven-ti sulla base di «ciò che hanno», i caratteri. Gli studenti lo annotano sul loro qua-derno.

Si ottiene pertanto la seguente classificazione:

– Gatto e coniglio sono nello stesso gruppo in quanto hanno peli e orecchie;– Gatto, coniglio e tartaruga sono nello stesso gruppo in quanto hanno 4 zampe.

L’obiettivo non è quello di ottenere una classificazione, ma di mostrare la relati-vità dei sistemi. Questa fase non dovrebbe essere troppo lunga e si dovrebbe evitare di girare intorno alla scelta di soluzioni per le quali gli studenti non hanno sufficien-ti argomenti metodologici.

Classifichiamo gli esseri viventi su:

– Ciò che hanno (peli, vertebre, guscio).

Non classifichiamo gli esseri viventi su:

– Ciò che non hanno;– Cosa fanno (nuotano, volano, mangiano piante…);– Dove vivono.

Suggerimenti per l’insegnamento del modulo

Alcuni studenti possono mettere in evidenza che i pesci e le tartarughe marine hanno squa-me o pinne che permettono di raggrupparli insieme. Questi caratteri non sono omologhi – cioè uguali per struttura anatomica e per origine embrionale – e quindi non devono es-sere considerati, perché non sono stati trasmessi attraverso antenati comuni. Non useremo con i bambini la parola, «omologo» ma una perifrasi: “È lo stesso / non è lo stesso”.È facile dimostrare che le pinne della tartaruga non sono omologhe con le pinne dei pe-sci: la tartaruga ha 4 zampe, come il gatto e il coniglio. Questi 4 arti hanno la stessa strut-tura scheletrica; è la stessa cosa, essi sono chiamati zampe o pinne (o braccia e gambe se

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si tratta di un essere umano). Più comples-so è il ragionamento sulle squame – legate tra loro nelle tartarughe e libere nei pesci rossi – che non derivano dallo stesso tessu-to: le squame della tartaruga derivano dall’epidermide, le squame dei pesci rossi dal derma; quindi non sono la stessa cosa. Il docente per ogni animale prescelto deve pa-droneggiare le conoscenze scientifiche, di qui la necessità di lavorare con campioni controllati e caratteri validati. La presenza di una coda riportata da alcuni studenti è una omologia. Si tratta della regione poste-riore della colonna vertebrale presente nei 4

animali proposti nell’esercizio, che sono vertebrati. Se emerge questa osservazione a pro-posito della coda, si coglierà l’occasione per parlare di colonna vertebrale e vertebrati, una conoscenza da costruire.Attenzione: il gruppo degli “Invertebrati” non esiste nella classificazione scientifica, il ter-mine appartiene al linguaggio comune. Su questo tema si veda “Le chiavi per la filogene-si per la scuola del primo ciclo”.

Fase 2: Costruire sottoinsiemi

Obiettivi di conoscenzau Il gatto e il coniglio appartengono al gruppo dei mammiferi perché hanno

peli e orecchie.u Coniglio gatto e tartaruga appartengono al gruppo dei tetrapodi perché han-

no 4 arti.u I mammiferi sono tetrapodi.u I quattro animali hanno una spina

dorsale. Sono vertebrati.

Obiettivi di metodou Comprendere che un gruppo può

essere incluso in un gruppo più grande.

u Padroneggiare la rappresentazione grafica di inclusione.

Materiali occorrentiu Tavola dei 4 animali domestici

utilizzata nell’attività precedente.u Tavola dei 4 animali di Brema: ca-

ne, gatto, gallo, asino.u Testo della fiaba dei fratelli Grimm

«I musicanti di Brema».Se occorre, delle «scatole cinesi».

Figura 4. Insiemi costruiti da un gruppo di bambini.

Figura 5. Tavola dei 4 animali di Brema.

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Attività 3L’insegnante fa riepilogare ciò che si è acquisito nell’attività precedente. Sono

stati formati due gruppi in base ad una caratteristica che li definisce. La classe si ac-corda su una rappresentazione che definisce un gruppo e appone un’etichetta del ca-rattere.

Si fa osservare che in questa rappresentazione un animale può appartenere a di-versi raggruppamenti; per esempio il gatto si trova sia nell’insieme degli animali che hanno 4 arti, sia nell’insieme degli animali che hanno i peli.

Attività 4L’insegnante chiede ora di trovare una rappresentazione che utilizzi ogni anima-

le una sola volta.Bisogna formare dei sottoinsiemi.

Suggerimenti per l’insegnamento del modulo

La difficoltà degli studenti in questo tipo di rappresentazione è a due livelli:

– la padronanza grafica della rappresentazione degli insiemi, tra cui la loro dimensione, che deve permettere di contenere le immagini;

– la comprensione simbolica dell’inclusione, chiaramente situata nel campo della mate-matica.

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L’insegnante attribuisce un nome ai gruppi che sono stati costituiti.

– Quelli che hanno i peli sono i mammiferi.– Quelli che hanno quattro zampe sono i tetrapodi.

Gli studenti rappresentano sui loro quaderni i gruppi formati e aggiungono i lo-ro nomi.

Si mostrerà agli studenti che si può formare un gruppo contenente tutti e quat-tro gli animali. Tutti hanno una spina dorsale e sono dei vertebrati.

Anche se l’obiettivo non è quello di fare un vocabolario, ma di fare scienza, oc-corre dare il nome esatto ai gruppi e quando possibile spiegare l’etimologia (tetra = 4, podi = piedi). Generalmente il nome non è un ostacolo quando il concetto è sta-to compreso. Non importa se i termini più complessi vengono memorizzati o me-no dagli studenti.

Attività 5Esercizio formativo

L’insegnante racconta la storia dei quattro musicanti di Brema e fornisce i caratteri per la classifica-zione di asino, gatto, gallo e cane: peli e denti aguzzi.

Gli studenti classificano e for-mano i raggruppamenti.

Attenzione: Il docente non chie-de agli studenti di trovare dei carat-teri perché non è questo lo scopo dell’esercizio e anche perché po-trebbero nascere alcuni problemi. Il carattere ‘artiglio’ non è valido per-ché gli artigli del gallo e del gatto

non sono omologhi, il carattere “4 arti” non è uti-le in un primo momento perché i 4 animali han-no tutti quattro arti.

Una volta che i raggruppamenti sono stati for-mati, si potrà mostrare che possiamo racchiuderli in un unico insieme – quello dei tetrapodi – ma per fare questo occorrerà dimostrare l’omologia delle ali del gallo con le zampe anteriori degli al-tri 3 animali, facendo vedere lo scheletro di un uccello.

Figura 6. Gli studenti raggruppano gli animali sulla base delle caratteristiche prescelte.

Figura 7. Scheletro di uccello.

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Fase 3: Classifichiamo alcuni animali

Obiettivi di metodou Applicare i principi

metodologici della classificazione.

u Osservare e validare caratteri che permet-tono la classificazione.

u Individuare gruppi in-clusivi.

u Elaborare alcuni crite-ri base di classificazio-ne, approccio alla clas-sificazione scientifica.

Materiali occorrentiu Immagini di animali da classificare: elefante, cervo, topo, struzzo, piccione,

carpa, trota.u Fotocopie A3 che rappresentano gli insiemi vuoti.u Libri per le ricerche, se necessario.

Attività 6Si distribuiscono ai ragazzi le foto degli animali da classificare. Gli studenti effet-

tuano una prima classificazione che rappresentano sul loro quaderno. Se necessario, si possono raccogliere informazioni sugli animali da libri (o Internet). Poi si con-frontano i diversi risultati.

In una seconda fase, l’insegnante fornisce i caratteri per la classificazione:

– Possiede una colonna vertabrale.– Possiede 4 zampe.– Possiede pinne raggiate.– Possiede peli.– Possiede piume.

Figura 8. Scheda con immagini di animali da classificare.

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Si chiede agli studenti di costruire una tabella che descriva le caratteristiche che ogni animale possiede:

Colonna vertebrale 4 arti Pinne raggiate Peli Piume

Struzzo × × ×

Carpa × ×

Elefante × × ×

Piccione × × ×

Renna × × ×

Topo × × ×

Trota × ×

Si distribuisce ad ogni gruppo un foglio A3 con la rappresentazione grafica dei sottoinsiemi dei caratteri individuati (o delle scatole che possono essere inserite l’una nell’altra, se necessario). Gli studenti collocano le immagini degli animali sul foglio A3. I risultati vengono poi discussi in classe.

Suggerimenti per l’insegnamento del modulo

L’ordine di classificazione procede dal carattere più generale (carattere condiviso dalla maggior parte degli animali) verso caratteri più specifici.Nell’esempio precedente, la “colonna vertebrale” è il carattere condiviso da tutti gli ani-mali della collezione. Segue il carattere “arti” perché è condiviso da tutti gli animali con pelo o piume, poi «peli» e «piume».

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Nell’esempio riportato di seguito, l’ordine dei caratteri è il seguente:

– occhi e bocca (caratteristica comune a tutti gli animali);– scheletro interno (colonna vertebrale) / esoscheletro (insetti, aracnidi);– arti;– piume, peli, zampe con 4 dita.

Fase 4: Approfondimenti

Obiettivi di metodou Applicare i principali metodi di classifica zione.

Materiali occorrentiu Immagini di animali

da classificare utiliz-zati nell’attività prece dente.

u Immagini di animali da classificare: rana, salamandra, cocci-nella, formica, ape, ragno, scorpione.

u Fotocopie A3 che rappresentano gli in-siemi vuoti.

u Tabella degli animali da classificare.Libri per trovare informazioni, se necessario.

Attività 7Procedimento

Stesso procedimento dell’attività precedente.I caratteri da suggerire ai ragazzi sono:

– Ha occhi e bocca (carattere comune a tutti gli animali).– Ha una colonna vertebrale (scheletro interno).– Ha uno scheletro esterno.– Ha 4 arti.– Ha 6 zampe e 2 antenne.– Ha 8 zampe.– Ha pinne raggiate.– Ha i peli.– Ha piume.– Ha 4 dita per ogni zampa.

Figura 9. Scheda con immagini di animali da classificare.

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Struzzo × × × ×

Carpa × × ×

Elefante × × × ×

Piccione × × × ×

Renna × × × ×

Topo × × × ×

Trota × × ×

Rana × × × ×

Salamandra × × × ×

Coccinella × × ×

Formica × × ×

Ape × × ×

Ragno × × ×

Scorpione × × ×

Figura 10. Animali disposti negli insiemi vuoti sulla base delle loro caratteristiche.

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Fase 5: La classificazione dice qualcosa sul mondo - La causalità sottostante

Attività 8Alla classe può essere chiesto perché le specie hanno caratteri in comune. Le ri-

sposte sono del tipo:

– Perché Dio li ha fatti in quel modo (con l’occasione, si potrà definire ciò che ca-ratterizza le affermazioni scientifiche).

– Perché sono nello stesso ambiente.– Perché fanno figli.– Perché fanno parte della stessa famiglia.– Perché sono cugini.– Perché provengono dalla pancia della stessa madre; ma questa madre viveva in

epoca preistorica?

I bambini possono essere spinti a ricor-dare la storia di una famiglia, che su perio-di di tempo molto lunghi, è chiamata ge-nealogia. Il termine può venir fuori dalla classe. Che cosa comporta la genealogia? Degli antenati.

Perché ciò che hanno, lo hanno in comu-ne? Perché lo hanno ereditato dai loro an-tenati e più precisamente da antenati co-muni.

Non appena viene lanciato il termine “genealogia”, i bambini spontaneamente parlano di alberi. Alcuni bambini arrivano anche a dire che le specie si trasformano. Dietro i sottoinsiemi, c’è la trasformazio-ne degli animali nel corso della loro genealogia.

Una volta che le parole chiave “antenati”, “cugini”, “genealogia”, “trasformazione” o “evoluzione”, o anche “albero” sono venute fuori, ci sono tutti gli ingredienti per spiegare che ciò che essi hanno in comune (e che altri non hanno) deriva dal fatto che lo hanno ereditato da antenati comuni. Ad esempio, le sei zampe sono state ere-ditate da un animale che è stato l’antenato dell’ape, della coccinella, della formica, ma non è l’antenato degli altri (renna, piccione, trota, ecc), altrimenti gli altri avreb-bero ugualmente sei zampe. Tutto è pronto a spiegare che cosa hanno in comune, perché ereditato da antenati comuni (che non sono gli antenati degli altri).

Attività 9Dalla classificazione all’Albero

Gli insiemi con i loro sottoinsiemi rappresentano un albero visto dall’alto. Ogni insieme è un ramo. Più l’insieme è inclusivo più è profondo il ramo corrisponden-te. Due raggruppamenti allo stesso livello gerarchico sono gruppi fratello (figura seguente). Una serie di gruppi, se proiettata nella terza dimensione, diviene un al-bero.

Figura 11. Rappresentazione di insiemi e sottoinsiemi su LIM.

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Da un punto di vista pratico, l’insegnante può disegnare l’albero dietro i rag-gruppamenti.

In alternativa si può pianificare una sessione in modo che i bambini possano dise-gnare il loro albero. In tal caso, utilizzando un colore diverso per ogni insieme e il ra-mo corrispondente, si aiuterà a riposizionare visivamente i rami. Si può proporre al-lo studente che ha disegnato l’albero giusto di spiegare il suo approccio, quindi con-trollare che nessuna informazione è stato persa nel passaggio dagli insiemi all’albero.

Oppure si può disegnare l’albe-ro su un cartellone, lasciando che gli studenti stessi vadano a colloca-re gli animali alle estremità dei ra-mi, in maniera conforme agli insie-mi; è un esercizio che passa necessa-riamente per la comprensione del rapporto che c’è tra i rami e gli in-siemi. In seguito si possono aggiun-gere le caratteristiche sui rami dell’albero. Così si potrà constatare per esempio che uccelli e pipistrelli hanno imparato a volare due volte, ciascuno per conto proprio.

Attività 10Inserire una nuova specie nella classificazione

Si può suggerire di collocare un mammut nella struttura finale. È sufficiente che i bambini controllino le caratteristiche che presenta il mammuth e lo collochino di conseguenza: ha una testa, uno scheletro interno, quattro zampe, le mammelle e i peli. Quello che può vedere qui è che i fossili non saranno messi in un nodo dell’al-bero, ma alla punta di un ramo, come gli animali attualmente viventi.

Figura 12. Dagli insiemi alla rappresentazione dell’albero.

Figura 13. I ragazzi costruiscono l'albero filogeneti-co su LIM.

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Imparare nuove paroleL’obiettivo non è quello

di insegnare ai bambini i ter-mini scientifici esatti, ma di garantire che essi siano in grado di definire gruppi di animali costituiti in classi:

– La testa, gli occhi: gli ani-mali (o metazoi).

– Sei zampe, antenne, sche-letro esterno: insetti.

– Quattro ali: farfalle.– Elitre: coleotteri.– Scheletro interno: verte-

brati.– Pinne raggiate: pesci con

pinne raggiate (o actinop-terygiens).

– Quattro arti: gli animali a quattro zampe (o tetra-podi).

– Piume: gli uccelli.– Mammelle, peli: mammiferi.

Conclusioni

Questo modulo ha contribuito a raggiungere una serie di obiettivi:

– si è discusso di classificazione filogenetica, senza dirlo;– sono stati eliminati i gruppi privativi e antropocentrici (invertebrati, agnati,

ecc);– si è sviluppato un approccio alla classificazione che va dall’osservazione alla

classificazione, piuttosto che l’approccio contrario – basato su preconcetti;– si è posta l’idea che la classificazione dice qualcosa sul mondo – la trasformazio-

ne nel corso della genealogia – e la metafora dell’albero contribuisce a questo;– si sono forniti dei risultati compatibili con la scienza moderna.

Su questo modello si possono inventare decine di diverse lezioni, in funzione della raccolta di specie da classificare. Si possono raccogliere le specie in riva al ma-re, nella foresta, sul bordo di uno stagno, ecc., progettando questo tipo di attività con un numero limitato di campioni.

Tuttavia, la difficoltà principale, per l’insegnante, consiste nel trovare il giusto equilibrio tra le somiglianze dovute a convergenze evolutive e quelle che testimonia-no una vera parentela.

Per motivi didattici, l’equilibrio è effettuato a monte, quando si selezionano le specie da classificare. La preparazione di una lezione richiede una grande quantità di

Figura 14. Schema di classificazione basata sulle caratte-ristiche condivise da un campione di animali di diverse specie.

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lavoro documentario: è necessario sottoporre a controllo le collezioni di specie da classificare, per dosare le difficoltà derivanti da affermazioni potenzialmente con-traddittorie tra loro, e verificare se quelle che potrebbero più facilmente emergere dalla classe sono davvero caratteristiche che conducono ad una classificazione filo-geneticamente corretta.

Fontiu «Classer les animaux» - Ecole des sciences di Bergeracu «La classification des animaux (Cycle 3) - Pollen

Le foto “Les bases de la classification phylogénétique” - Didier Pol delle attività 8 e 9 sono di Sabina Luchini, docente presso IC “Augusto-Console” di Napoli.

Scuole sperimentatrici del TC2 - Napoli

I.C. “Augusto-Console”, Na-poli. Il modulo è stato speri-mentato per due anni. Nel se-condo anno, una classe ha la-vorato su una variante al mo-dulo, utilizzando le piante co-me materiale di studio per la classificazione scientifica.

Scuola secondaria 1° grado “Giovanni XXIII”, Cava de’ Tirreni. Il modulo è stato spe-rimentato per due anni con-secutivi in alcune classi pri-me dell’istituto.

III Circolo Didattico, Cava de’ Tirreni. La sperimentazione del modulo si è svolta nell’ambito dell’azione di dis-seminazione del Progetto Fi-bonacci in una classe quarta di scuola primaria.

Approfondimento

Le chiavi della filogenesi per la scuola del primo ciclo

Classificare gli esseri viventi è sempre stata una delle maggiori preoccupazioni per gli uomini.

Aristotele, precursore della scienza moderna, è stato uno dei primi ad aver avuto il grande merito di privilegiare l’osservazione oggettiva, superando i pregiudizi e le credenze del suo tempo. Tuttavia, nonostante alcune brillanti intuizioni, la sua clas-sificazione al giorno d’oggi è in gran parte inficiata dalle attuali conoscenze scienti-fiche. La chiave che permette di comprendere e che ha radicalmente cambiato la no-stra visione dei viventi è stata proposta da Charles Darwin sotto forma di una teoria scientifica rivoluzionaria – la teoria dell’evoluzione – esposta nel suo libro “Origine delle specie”, pubblicato nel 1859. La classificazione moderna si basa sul concetto di evoluzione che ha dimostrato scientificamente che gli esseri viventi portano nelle lo-

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ro caratteristiche le tracce di questa evoluzione. Pertanto, una classificazione dei vi-venti deve ricostruire la storia della loro evoluzione, cioè la loro filogenesi.

La teoria dell’evoluzione è un fondamento essenziale delle scienze naturali ed è fondamentale fornire questo approccio, fin dalla scuola primaria. Non è ammissibi-le dal punto di vista etico che gli studenti costruiscano nella scuola primaria una co-noscenza che sarà confutata nel corso degli studi, come la classificazione ormai su-perata in vertebrati / invertebrati.

Non si tratta di parlare di evoluzione di punto in bianco, ma di osservare i sin-goli caratteri condivisi dalle specie e di procedere a raggruppamenti sulla base di cri-teri scientifici oggettivi. Questo permette di far nascere l’idea che gli esseri viventi sono apparentati gli uni agli altri in ragione dei caratteri comuni trasmessi da ante-nati comuni. Le relazioni di parentela tra le specie o le relazioni filogenetiche rap-presentano il concetto fondante della classificazione scientifica degli esseri viventi. Questo concetto sarà sviluppato nel corso della formazione degli studenti.

L’analisi filogenetica

L’analisi di ogni campione di animali è basata sull’osservazione di caratteri esclu-sivi che consentono di raggruppare le specie.

Si classificano gli organismi sulla base di

Non si classificano gli organismi sulla base di

– Ciò che essi hanno (peli, verte-bre, un guscio diviso in 2 par-ti…).

– Ciò che essi non hanno (assenza di vertebre).– Cosa fanno (nuotare, volare, mangiare piante…).– L’ambiente in cui vivono.

Queste distinzioni sono importanti perché in passato il loro non rispetto ha con-dotto ad una impasse nel lavoro dei sistematici e quindi nell’insegnamento della classificazione a qualsiasi livello, fino all’università.

In realtà, basarsi su “ciò che hanno” porta ad utilizzare prove, argomentazioni, cioè ad avere un approccio scientifico. Al contrario, fare riferimento a “ciò che non hanno” porta ad utilizzare una mancanza di prove per giustificare un argomento. Il gruppo degli invertebrati, tradizionalmente definito dall’assenza di vertebre, è uno pseudo gruppo che riunisce organismi molto diversi come lombrichi, polpi e libellule.

Allo stesso modo, basandosi su “quello che fanno” o “dove vivono” si utilizzano ar-gomenti di tipo ecologico che non sono ammessi in una classificazione. Infatti, rag-gruppare gli organismi sulla base del “luogo in cui vivono” o di “quello che fanno” equivale a dimenticare che gli organismi possono migrare o svolgere diverse funzio-ni con diversi organi. Classifichereste insieme una formica e un passero per il solo fatto di averli trovati tutti e due su un albero? Oppure una libellula e un pipistrello per il fatto che volano? Per restare su quest’ultimo esempio, questi due organismi in effetti volano, ma con organi di struttura diversa, trasmessi da antenati diversi. Essi quindi NON hanno la stessa cosa, anche se noi la chiamiamo con il termine gene-rico di “ala” e non possono essere classificati insieme.

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Un semplice esempioNella fiaba dei fratelli Grimm I musicanti Brema, quat-

tro animali uniscono i loro destini per sopravvivere. C’è l’asino, il cane, il gatto e il gallo. Noi aggiungeremo ad es-si la trota, una specie dei nostri fiumi ben nota ai pesca-tori.

Classificare:

u sulla base di ciò che non hanno: Asino, cane, gatto e gallo saranno inseriti nello stesso

gruppo in quanto non hanno pinne.u sulla base di ciò che fanno: cane e gatto saranno inseri-

ti nello stesso gruppo in quanto mangiano carne. Asino e trota formeranno un se-condo gruppo perché essi mangiano pane. Il gallo è onnivoro, dove lo mettiamo?

u A seconda del luogo in cui vivono: La trota vive in acqua, gli altri quattro vivono sulla terra. Il gallo è certamente

terrestre, ma a differenza degli altri è in grado di svolazzare e può quindi trovar-si sul ramo di un albero. Non abbiamo alcuna possibilità di trovare l’asino e il ca-ne su un ramo, ma il gatto è perfettamente in grado di unirsi al gallo. In defini-tiva, questa classificazione è fonte di incongruenze e contraddizioni: nessun gruppo stabile può essere definito. Si ottengono al contrario gruppi che raccol-gono animali così diversi come l’asino e la trota o il gallo e il gatto. Tutti i cani possono nuotare. Dobbiamo raggruppare il cane e la trota? Tutti e due nuotano, ma con organi molto diversi. Per quanto riguarda un gruppo di animali che non hanno pinne… sarebbe un enorme guazzabuglio che comprende tra gli altri il ri-noceronte, il grillo e il pipistrello. È esattamente ciò che accade quando si forma il gruppo degli invertebrati.

Viceversa, se ci si basa su ciò che essi hanno:Cane e gatto hanno denti aguzzi (carattere C1);Asino, cane e gatto hanno dei peli (carattere C2), l’orecchio esterno o padiglio-

ne (carattere C3).Asino, cane, gatto e gallo hanno 4 arti (carattere C4) e una testa che sormonta

un collo mobile (carattere C5).

Riassumendo in una tabella:

Cane Gatto Asino Gallo Trota

C1 denti aguzzi × ×

C2 peli × × ×

C3 padiglioni auricolari × × ×

C4 4 arti × × × ×

C5 collo mobile × × × ×

Figura 15. I quattro ani-mali di Brema.

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Il carattere C1 è esclusivo per cani e gatti. Esso permette di raggrupparli. I carat-teri C2 e C3 sono esclusivi per il cane, il gatto e l’asino. Essi consentono di riunirli in un gruppo che include il precedente. I caratteri C4 e C5 sono esclusivi di cane, gatto, asino e gallo. Essi possono essere riuniti in un gruppo che include il preceden-te. Senza coinvolgere alcuna struttura interna (presenza di ossa, vertebre, forma e struttura della mascella…), otteniamo tre sottoinsiemi:

I carnivori2: con il cane e gatto, caratterizzati dalla presenza di denti aguzzi;I mammiferi: con il cane, l’asino e il gatto, caratterizzati dalla presenza di peli e

del padiglione auricolare;I vertebrati tetrapodi: l’asino, il gallo, il cane e il gatto, caratterizzati dalla pre-

senza di quattro arti e una testa su collo mobile.Dal punto di vista evolutivo, il carattere esclusivo di un gruppo è stato trasmesso

da un singolo antenato comune. L’albero delle relazioni di parentela, cioè la filogene-si delle specie nel campione, permette di individuare non solo i legami di parentela e il carattere trasmesso da un antenato comune, ma anche il percorso storico dell’evolu-zione delle specie. I punti d’incontro tra i rami rappresentano gli antenati comuni tra le specie e la presenza di caratteri trasmessi dagli antenati. L’antenato comune al cane e al gatto (A1) ha trasmesso la presenza di denti aguzzi (C1). Si presenta come il più vicino – il più recente nella storia dell’evoluzione – rispetto all’antenato comune con-diviso con l’asino (A2 / C2 e C3). In effetti, è molto improbabile che la comparsa dei peli in cani e gatti sia posteriore a quella de denti aguzzi in quanto l’asino ha i peli ma non i denti aguzzi. Analogamente, l’antenato comune A3 – che ha trasmesso le 4 zam-pe ai suoi discendenti – è ancora più antico di quello che ha trasmesso i peli, in quan-to il gallo è uno dei suoi discendenti. Il più lontano è l’antenato comune A4 che ave-va ed ha tramandato ai suoi discendenti una scheletro interno stutturato in una spina dorsale (C6). Tutti i discendenti di A4 costituiscono il gruppo dei vertebrati.

2 La parola carnivoro ha due significati. Nella Sistematica è l’ordine di mammiferi caratterizzati dalla presenza di denti aguzzi. In ecologia, indica un regime alimentare a base di animali (sinonimo: zoofago).

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Questa seconda rappresentazione, ad albero, ha il grande vantaggio di permette-re di costruire il concetto di evoluzione sulla base di dati oggettivi e attraverso un ri-goroso ragionamento piuttosto che su discorsi di autorità da parte dell’insegnante.

L’obiettivo finale è l’utilizzazione razionale del metodo di classificazione basato sull’osservazione delle caratteristiche degli organismi viventi. Si aggiunge alla com-prensione dei principi fondamentali del concetto di evoluzione (specie, parentela, trasmissione e mescolanza dei caratteri per riproduzione sessuale, trasformazione delle specie…) che sono alla base della classificazione scientifica degli organismi vi-venti. Non è importante l’uso di parole la cui etimologia è spesso complicata; la ter-minologia legata alla classificazione nella scuola primaria sarà limitata ai gruppi più noti: mammiferi, uccelli, carnivori, ungulati, ruminanti… e ai caratteri esclusivi che li definiscono: peli, piume, denti, zoccoli, corna… Una classificazione semplificata dei viventi (necessariamente incompleta a questo livello di scolarità) può essere co-struita attraverso le attività proposte nel modulo.

I limiti del metodo

Dopo la classificazione degli organismi utilizzando caratteristiche osservabili, si potrebbe essere tentati di continuare a usare lo stesso metodo con un campione co-stituito da diverse razze di cani… ma in questo caso, non può essere applicato lo stesso metodo.

Infatti, nell’esempio qui presentato, gli animali appartengono a specie diverse: essi non si riproducono tra loro. Anche se il concetto di specie è complesso e anco-ra oggetto di dibattito fra gli specialisti, una semplice definizione potrebbe essere “insieme di organismi che possono incrociarsi in condizioni naturali”. Un cane e un gatto, un gallo e una trota non possono avere una discendenza comune. Essi appar-tengono chiaramente a specie differenti.

Nel caso di una singola specie di fauna selvatica soggetta a selezione naturale, ci sono variazioni da un individuo all’altro (dimensioni, colorazione, sviluppo di alcu-ni organi…) che, per trasmissione sessuale e selezione naturale possono spesso for-mare popolazioni costituite da varietà geograficamente isolate. Si distinguono, per esempio, 7 varietà o sottospecie della specie leone, Panthera leo, uno dei quali, Pan-thera leo persica, sopravvive solo nella riserva Gir in India. Attualmente è l’unica po-polazione naturale di leone che non vive in Africa. Gli individui di queste differen-ti varietà sono interfertili: un leone africano e una leonessa indiana possono incro-ciarsi e la loro prole sarà fertile. Tuttavia, se in futuro l’evoluzione separata di queste due varietà accresce la varianza genetica al punto tale che la riproduzione tra di loro diventa impossibile, avremo due specie distinte il cui legame di parentela sarà costi-tuito dalla specie attuale, Panthera leo, che sarà il loro antenato comune.

Nel caso di una specie domestica come il cane, Canis familiaris, discendente del lupo, Canis lupus, le caratteristiche rilevabili in diverse varietà (dimensioni, forma delle orecchie, colore del mantello…) possono trasmettersi, essere selezionate o re-spinte dall’allevatore. Un maschio ed una femmina di due varietà diverse possono essere incrociati al fine di creare una terza varietà che possiede i caratteri desiderati dall’allevatore. Lo stesso carattere, come la lunghezza o il colore del pelo, può esse-

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re stato selezionato varie volte in diversi contesti e non segna quindi lo sviluppo evo-lutivo di queste varietà. Queste varietà sono le razze, nel senso che sono state il frut-to di una decisione e di una selezione controllata dall’uomo. I loro caratteri non si-gnificano nulla in termini di ricostruzione a lungo termine dell’evoluzione di que-ste razze. Il corso della storia evolutiva di queste razze può essere descritto con l’aiu-to di documenti (incisioni, testi, repertori di pedigree…) o mediante l’analisi del DNA di questi animali… il che ci allontana notevolmente dai programmi di scien-ze nella scuola elementare e media.

E noi esseri umani?

L’uomo è un animale come gli altri… beh quasi, è l’unico che può scrivere e leg-gere libri!

Gli insegnanti della scuola, dovranno probabilmente rispondere a domande degli studenti sull’origine dell’uomo ed è quindi utile dare qui alcuni elementi per farlo. L’argomento è da oltre 15 anni in costante evoluzione ed è oggetto di numerose ope-re divulgative, viste dagli studenti (“The Odyssey of the Species”, pubblicato nel 2005, per esempio). Recenti scoperte, sia di geologia che di biologia, stanno modificando la visione della nostra storia evolutiva e hanno sconvolto alcune ipotesi e modelli en-trati nella nostra mente. Uno dei più consolidati è quello di una rappresentazione li-neare dell’evoluzione che porta all’uomo moderno a partire dalla scimmia.

Questa visione è naturalmente completamente falsa, soprattutto perché una specie attuale, lo scimpanzé, Pan troglodytes, non può essere l’antenato di specie fos-sili come Homo erectus e Homo neanderthalensis. La filogenesi della stirpe umana è ad albero come tutte le discendenze dei viventi. È interessante notare che l’Homo sapiens è l’unica specie attuale nell’albero genealogico dell’uomo, tutte le altre spe-cie sono specie fossili. Ma non è sempre stato così. Homo neanderthalensis è stato il contemporaneo della nostra specie, ma si è estinto, solo 32000 anni fa. L’uomo di

Figura 16. Rappresentazione filogeneticamente errata: evoluzione linea re dell'uomo a partire dalla scimmia.

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Neanderthal non è dunque l’antenato dell’uomo moderno, ma il suo parente più prossimo. Il loro antenato comune risale a 120000 anni. Andando indietro nel tempo con l’albero di relazioni filogene-tiche della stirpe umana, si troveranno gli antenati comuni della no-stra specie e di diverse specie fossili conosciute fino ad oggi. Il nostro parente più stretto, oggi in natura, è lo scimpanzé e il nostro antena-to comune risale a 8 milioni di anni. Ogni nuova scoperta chiarisce

questa ricostruzione storica e a volte destabilizza delle conoscenze che si ritenevano ben consolidate.

Lucy è Australopithecus afarensis, una delle molte specie di Australopithecus conosciute.Toumai è Sahelanthropus tchadensis, il nostro cugino più lontano oggi conosciuto dopo la

diversificazione della stirpe dallo scimpanzé.Fonti: Bruno Chanet, François Lusignan, CRDP Bretagne.

Figura 17. Albero delle relazioni di parentela della stirpe umana.

Figura 18. Toumaï.

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Antonella Alfano, Maria Alfano, Giulia Forni, Anna Pascucci, Laura Salsano

Il nostro corpo in movimento

Livello scolare: scuola primaria e secondaria di primo gradoTempo di realizzazione: 7 ore circa

Sintesi del modulo e indicazioni metodologiche

Un’attività di danza o di gioco è il punto di partenza per studiare lo scheletro, per comprendere come i muscoli siano collegati alle ossa e come permettano il movimento.

L’insegnante guida i ragazzi in una alternanza di fasi di osservazione, di formula-zione di ipotesi, di discussione, d’investigazione e di strutturazione delle conoscenze.

Caratteristica fondamentale del modulo è la riflessione sull’uso dei modelli, sul loro confronto con la realtà, sulla necessità di più modelli e sullo studio dei disegni dei ragazzi.

Il testo scritto, a volte prodotto individualmente, altre collettivamente o rifor-mulato con l’insegnante nelle fasi di condivisione, svolge un ruolo importante per comunicare idee, riorientare il dibattito e strutturare le conoscenze.

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Obiettivi

Obiettivi di conoscenza1. Distinguere le varie parti del corpo che si muovono (arti o parti di essi, occhi,

bocca,…) e quelle che permettono di effettuare il movimento (articolazioni, muscoli, cervello).

Figura 1. Disegni degli stu-denti: prime rappresenta-zioni del movimento.

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2. Conoscere le principali parti dello scheletro.3. Mettere in relazione ossa e articolazioni.4. Comprendere il funzionamento di una articolazione.5. Identificare i muscoli.6. Capire come i muscoli sono collegati alle ossa e come possono mettere in mo-

vimento le ossa.7. Comprendere che la contrazione muscolare provoca il movimento.8. Comprendere che i muscoli antagonisti hanno azioni complementari.

Obiettivi metodologici– Osservare la realtà.– Rappresentare ciò che si osserva.– Mettere in relazione la realtà, l’immaginario e il lessico.– Costruire o riformulare domande.– Formulare ipotesi.– Utilizzare e\o costruire modelli esplicativi.– Argomentare.– Confrontare la realtà con il modello.– Strutturare le conoscenze.– Usare le conoscenze in contesti nuovi.

Obiettivi di atteggiamento– Usare l’immaginazione.– Saper affrontare le critiche.– Dubitare delle proprie idee e di quelle degli altri.– Integrarsi in un gruppo per scambiare idee e condividere i compiti di lavoro.

Riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo - 1° ciclo d’istruzione (2012)

Obiettivi di apprendimento

Al termine della classe terza della scuola primaria

Descrivere semplici fenomeni della vita quotidiana legati (…) alle forze, al movi-mento (…)Osservare e prestare attenzione al funzio-namento del proprio corpo (…movimen-to…)

Al termine della classe quinta della scuola primaria

Descrivere e interpretare il funzionamento del corpo come sistema complesso situato in un ambiente; costruire modelli plausibi-li sul funzionamento dei diversi apparati.

Al termine della classe terza della scuola se-condaria di primo grado

Riconoscere le somiglianze e le differenze del funzionamento delle diverse specie di viventi.

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Un possibile modo in cui il modulo può essere realizzato

Attività Domanda iniziale Attività svolte con gli studenti

Approccio scientifico

Attività di comunicazione e condivisione

Attività 1

“Che cosa ci permette di compiere

i movimenti?”

Problematizzazione. Osservazione. Riflessione.Disegno.

Comunicazione orale.

Scrittura individuale e disegni.

Scrittura collettiva.

Attività 2

Disegno e riflessione.Esplicitazione di do-mande.Modello uomo artico-lato.

Uso di modelli (manichino di le-gno articolato, scheletro e disegno di scheletro).

Attività 3

Osservazione dello scheletro.Uso individuale del disegno di scheletro.Radiografia ginocchio e spalla.

Confronto tra mo-dello e realtà.

Osservazione di re-ferti clinici (radio-grafie).

Attività 4 “Come sono

collegate le ossa?”

Osservazione di un modello di ginocchio.Disegno modello gi-nocchio.

Studio di un nuovo modello adatto al problema (ginoc-chio).

Attività 5

“Cosa fa muovere le ossa?”

Dissezione del sotto-coscia di pollo.

Osservazione con una lente d’ingran-dimento e dissezio-ne.Nuovo confronto modello-realtà.

Attività 6

“Come i muscoli fanno muovere

le ossa?”

Modelli muscoli anta-gonisti del braccio

Costruzione mo-delliDisegni modelli

Attività 7

Sintesi collettiva

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Attività 1 - Che cosa ci permette di compiere dei movimenti?ProblematizzazioneDurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni alunno: pennarelli, il quaderno di scienze.

Situazione di partenzaDopo una sequenza di danza o di un’al-

tra attività di movimento o la visione di un filmato, l’insegnante chiede agli stu-denti di rappresentare un movimento con un di segno.

Fase di condivisioneSi confrontano i disegni e si individua-

no quelli che meglio descrivono il movimento.

Analisi delle conoscenze individualiL’insegnante chiede agli studenti di rispondere per iscritto alla domanda “Che

cosa ci permette di compiere dei movimenti?” e suggerisce di disegnare il loro brac-cio mentre solleva un peso o sta scrivendo e quello che immaginano stia accadendo all’interno del braccio.

L’insegnante raccoglie i lavori per analizzarli.

Figura 2. Attività di movimento.

Figura 3. Disegni di studenti: prime rappresentazioni del movimento.

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Attività 2 - Primo approccio alla risoluzione del problemaCostruzione delle prime conoscenze: ossa, articolazioni e muscoliDurataCirca 45 minuti.MaterialePer ogni gruppo di 4 alunni, una copia dei disegni più significativi scelti dall’inse-gnante tra quelli realizzati nell’attività precedente ed un modellino di corpo artico-lato.

Obiettivo di conoscenza 1Distinguere le varie parti del corpo che si muovono (arti o parti di essi, occhi,

bocca,…) e quelle che permettono di effettuare il movimento (articolazioni, musco-li, cervello).

Situazione di partenza e condivisioneDopo un veloce riepilogo del la-

voro svolto nell’attività precedente, l’insegnante chiede di individuare le parti del corpo che possono muo-versi e le zone di movimento, utiliz-zando anche un manichino artico-lato di legno.

La discussione comune condur-rà probabilmente1 gli alunni a di-stinguere:

– Le parti del corpo che posso-no muoversi.

– I punti intorno a cui parti del corpo si muovono; molti ra-gazzi probabilmente sanno che si chiamano articolazioni, ma senza conoscerne appieno il significato.

Infine gli alunni sono invitati a formulare ipotesi sulle cause del movimento: “forse le ossa, oppure i muscoli o il cervello …” suggeriscono.

Lavoro di gruppoL’insegnante distribuisce i disegni selezionati2 (individuati con le lettere da A ad

D) e chiede agli studenti di osservarli, confrontarli ed esprimere le loro idee (dire cioè se sono d’accordo o no, spiegandone il perché). Le risposte devono essere scrit-te sul cartellone di gruppo.

1 La sceneggiatura della lezione non è rigida, tuttavia, in base alle precedenti esperienze, è proba-bile che le risposte degli alunni siano molto simili a quelle riportate

2 Disegni e discussioni hanno un carattere solo esemplificativo

Figura 4. Osservazione di un modello: il manichino di legno.

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Esempio di risposte di un gruppo:A: “Non si vede la differenza del muscolo quando tira”B: “D’accordo”C: “Non è chiara la spiegazione”D: “Il muscolo esce troppo”

Fase di condivisioneI disegni utilizzati nei gruppi e ingranditi, insieme ai commenti vengono fissati

su un cartellone. Gli studenti leggono successivamente le annotazioni dei gruppi e discutono delle idee espresse ma anche dei termini utilizzati. L’insegnante coglie l’occasione per guidare gli studenti a distinguere tra un fatto (è stato descritto sola-

Figura 5. “Ciò che ci permette di muoverci sono i muscoli”.

Figura 6. “Ciò che ci permette di muoverci sono i muscoli e il cervello”.

Figura 7. “Ciò che ci permette di muovere i muscoli è il cibo”.

Figura 8. “Ci muoviamo per i muscoli e le ar-ticolazioni”.

A B

C D

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mente ciò che è stato visto) e una opinione (siamo d’accordo o no). Incoraggia gli alunni ad argomentare nel momento in cui esprimono una opinione. Così l’inse-gnante fa riformulare alcune frasi e le riscrive sui cartelloni.

Dopo aver osservato di nuovo i disegni e i testi di gruppo, l’insegnante invita gli alunni a formulare con chiarezza quello che pensano di sapere e le domande emerse.

In genere si registrano divergenze circa la durezza delle ossa, il modo in cui sono unite, la natura ed il ruolo dei muscoli.

L’insegnante scrive su un cartellone, in una tabella, ciò che gli studenti dettano:

Quello che pensiamo sia vero in merito ai movimenti del corpo:

Le domande che ci poniamo per capire meglio come il nostro corpo effettua i movimenti:

Le ossa devono essere collegate. Vi è un osso nell’avambraccio e un osso nel braccio. Vi è una collaborazione tra i due. Le ossa sono dure e fragili, non si posso-no piegare. Le ossa servono per fare dei movimenti.Le ossa sono dritte, ma forse non tutte.Non c’è spazio tra le ossa (a livello delle articolazioni).

Le ossa sono incollate tra loro o sono collegate? Sono saldate o incastrate? Perché le ossa crescono? Abbiamo molti muscoli? Ci sono muscoli ovunque? Come crescono i muscoli? Che cosa è un muscolo? Qual è il suo scopo? Come funzionano i muscoli?

L’insegnante chiede: “Come possiamo rispondere?”.

Gli studenti propongono di ricercare sui libri, in internet, su enciclopedie, di chiedere a qualcuno che lo sappia, un me-dico per esempio, di osservare uno schele-tro, ecc.

L’insegnante propone di iniziare dal-l’osservazione dello scheletro.

Attività 3: Osservazione dello scheletroOsservazione dello scheletro e nuove domandeDurata Circa 45 minuti.MaterialePer la classe: il testo dell’attività precedente, 1 scheletro, 1 disegno di scheletro per ogni alunno, 5 fotocopie di una radiografia di ginocchio, 5 fotocopie di una radio-grafia della spalla.

Figura 9. Opinioni della classe raccolte su LIM.

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Obiettivo di conoscenza 2Conoscere le principali parti dello scheletro.

Osservazione dello scheletroGli alunni osservano lo scheletro e cer-

cano di rispondere alle domande emerse nel corso dell’attività precedente. Ogni alunno disegna lo scheletro sul suo quader-no e scrive ciò che pensa di aver capito.

Discussione:Nel corso della discussione, l’insegnan-

te introduce i nomi delle principali ossa: cranio, mandibola, vertebre, costola, ome-ro, radio, ulna, femore, tibia, perone, ro-tula, ossa delle dita e ossa del piede.

Con l’aiuto dell’insegnante, gli alunni riepilogano ciò che hanno imparato e pongono nuove domande.

Una discussione che spesso si presenta riguarda i rapporti tra le ossa e le articola-zioni. Nel modello dello scheletro le ossa sono unite tra loro da viti e bulloni, ma gli alunni sono ben consapevoli che questo non è vero nella realtà: c’è differenza tra modello e realtà, ma osservare entrambi può farci capire meglio. Lo scheletro serve allo studio delle ossa, ma non ci fornisce informazioni sulle modalità con cui queste sono unite tra loro, né ci dice qualcosa sui muscoli. Si riflette anche sulla diversità dei due modelli – scheletro e manichino articolato di legno – e di come modelli di-versi dello stesso oggetto naturale e complesso rispondano a diverse esigenze sempli-ficative ed esplicative.

Non tutti sono d’accordo sul fatto che le ossa del cranio sono sempre dure, in quanto ricordano ciò che hanno sentito dire riferito ai neonati.

L’insegnante scrive, sotto la dettatura degli alunni, su un cartellone:

Quello che pensiamo sia vero in merito ai movimenti del corpo: Le domande che ci poniamo

Abbiamo tutti un bacino.Abbiamo tutti lo stesso numero di ossa. Lo scheletro è l’insieme di ossa. Le ossa dei piedi servono per stare in piedi. Le costole sono collegate alla colonna verte-brale.

Perché le ossa del cranio sono morbide?Le ossa sono attaccate o sovrapposte?A cosa servono le ossa?Che cos’è la cartilagine? A cosa serve?Cosa sono i legamenti? A cosa servono?

È importante sottolineare che non è sufficiente osservare la realtà per cambiare i propri concetti e che una investigazione non solo porta a risposte, ma anche a nuo-ve domande.

Figura 10. Osservazione di un modello: lo scheletro.

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Insieme agli alunni l’insegnante decide di conti-nuare le investigazioni per capire come sono colle-gate le ossa.

Saranno usate:

– radiografie di ginocchio e spalla per osservare nel dettaglio la forma delle ossa nella zona del-le articolazioni

– libri, enciclopedie, internet per trovare le ri-sposte alle altre domande sulle ossa.

Documentazione finaleL’insegnante distribuisce il disegno di uno sche-

letro; ciascun alunno deve inserire la legenda attin-gendo da un elenco di parole scritte alla lavagna: scriverà i nomi delle ossa e delle articolazioni sul la-to sinistro e il nome delle parti del corpo sul lato de-stro (cranio, braccia…)3.

Si confrontano le radiografie (la realtà) con il modello di scheletro, si concorda che anche le radiografie non permettono di rispondere alla domanda “Come sono collegate le ossa?”

Attività 4: Osservazione del modello di ginocchioLe articolazioniDurataCirca 45 minuti.Materiale

– Un modello di ginocchio.– Due ossa di pollo staccate dalla stessa articolazione.

Obiettivo di cono-scenza 3

Mettere in relazio-ne ossa e articolazioni.

Obiettivo di cono-scenza 4

Comprendere il funzionamento di una articolazione.

Si procede con una discussione guida-ta del tipo:

– La congiunzione di due ossa si chiama ar-

3 Si possono utilizzare le immagini di scheletro o il modello di scheletro prima di analizzare le ra-diografie, operazione che richiede conoscenze preliminari. Le radiografie potrebbero essere utilizzate successivamente come esercizio per applicare conoscenze.

Figura 11. Radiografia di ginoc-chio.

Figura 12. Schele-tro.

Figura 13. Osservazione di modelli: il ginoc-chio.

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ticolazione, ma è facile osservare che mettendo semplicemente a contatto le estremità di due ossa (ad esempio di pollo) senza unir-le, queste non si tengono insieme.

– Come sono legate tra loro le ossa?

Si utilizza l’articolazione del ginocchio e si mettono in evidenza i legamenti, robusti cordoni fibrosi che tengono unite le ossa.

Si potrebbe poi osservare la complementarietà della forma delle estremità di due ossa che si incastrano, che presentano cioè un’arti-colazione fissa.

Testo scrittoGli alunni realizzano

un disegno di ciò che han-no osservato per fissare meglio ciò che hanno vi-sto e scrivono le loro os-servazioni.

Disegni ed osservazione saranno utiliz-zati per elaborare la sintesi che sarà even-tualmente integrata da uno schema di spalla umana, che permetterà di trovare alcune caratteristiche in comune: la pre-

senza di legamenti, cartilagine e liquido sinoviale.Conclusione possibile per questa sessione: la cartilagine e il liquido sinoviale per-

mettono di evitare lo sfregamento delle ossa a livello dell’articolazione.

Attività 5: Ossa, articolazioni e muscoliDissezione della sottocoscia di polloDurataCirca 45 minuti.

MaterialePer la classe:– Testo scritto dell’attività precedente.– Coscia e sottocoscia di pollo.– Strumenti per dissezione.

Per gruppo di quattro:Un arto inferiore di pollo (femore e tibia) conosciuto in macelleria come “Coscia

e sottocoscia di pollo”, guanti di lattice monouso, pinzette, lenti d’ingrandimento.

Obiettivo di conoscenza 5Identificare i muscoli.

Obiettivo di conoscenza 6Capire come i muscoli sono collegati alle ossa e come possono mettere in movimen-to le ossa.

Figura 14. Di-segno di gi-nocchio.

Figura 15. Schema di articolazione.

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Si richiamano le domande non risolte:

u Utilizzando i cartelloni prodotti durante le attività precedenti, l’insegnante chiede agli studenti di ricordare le domande sollevate e le risposte già ottenu-te. Si concorda che resta da stabilire chi fa muovere le diverse parti del no-stro corpo.

u L’insegnante propone di dissezionare “coscia e sottocoscia” di pollo per cerca-re di capire meglio come sono collegate le ossa, come\cosa le fa muovere e per confrontare il modello con la realtà.

Lavoro di gruppo– Ogni gruppo lavora sulla sottocoscia di pollo (la carne è rimossa delicatamen-

te per esporre le due ossa unite da legamenti). I ragazzi ricevono pochi stru-menti (pinzette e lenti di ingrandimento).

Dopo l’osservazione il gruppo disegna e scrive ciò che ha osservato.

Condividere informazioniA turno, ciascun gruppo – sulla base dei disegni e degli scritti realizzati – spiega

ciò che ha fatto e capito. Le diverse risposte vengono confrontate.A seguito di tali attività si discutono e si condividono le prime conoscenze:

– le ossa sono unite tra loro da una sorta di “cordicella” che è leggermente ela-stica e che è stata osservata durante la dissezione

– i muscoli sono la carne (sottocoscia di pollo)– i muscoli sono attaccati alle ossa– quando si tira un muscolo è possibile spostare l’osso a cui è collegato

Condividere informazioniL’insegnante scrive alla lavagna ciò che dicono gli alunni, se necessario, aiutan-

doli a riformulare il concetto.

Figura 16. Dissezione.

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Attività 6 - Modellizzare il movimentoDurataCirca 45 minuti.Materiale

– Kit modello di braccio– Modello delle ossa: strisce di cartone

rigido, assi di legno, …– Modello dei muscoli: palloncini,

corde, spago, elastici, …– Modello dei tendini e dei legamenti:

fermagli, chiodini, spago, nastro adesivo, …

Obiettivo di conoscenza 7Comprendere che la contrazione muscolare provoca il movimento.

Obiettivo di conoscenza 8Comprendere che i muscoli antagonisti hanno azioni complementari.

La costruzione di modelli di braccio, con gli elementi del kit e con materiale di facile consumo, permette di capire che le ossa si muovono perché sono tirate dai muscoli che si accorciano e si allungano e di individuare i punti in cui i muscoli so-no attaccati alle ossa affinché possa avvenire il movimento. Si introduce la nozione di muscoli antagonisti.

Alcuni materiali sono più efficaci di altri, ma è necessario proporre un materiale versatile poiché un unico modello offre opportunità limitate per la discussione.

Figura 17. Modello di braccio.

Figura 18. Costruzione di modelli di braccio con materiali diversi.

ModellizzareGli alunni sono invitati a formulare delle risposte al problema: come si verifica-

no i movimenti di flessione ed estensione dell’avambraccio. Quali sono gli organi coinvolti e quali sono le funzioni di ciascuno?

Per stimolare la riflessione, si propone di utilizzare “un modello” raffigurante il sistema braccio /gomito/avambraccio per cercare di trovare una correlazione tra il lavoro del muscolo e la flessione dell’avambraccio sul braccio.

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Questo lavoro è eseguito dagli alunni attraverso prove ed errori utilizzando il ma-teriale a disposizione (un supporto concreto ed il disegno favoriscono la riflessione).

L’insegnante si sposta di gruppo in gruppo e stimola la ricerca ponendo doman-de che permettano di superare gli ostacoli. Il ruolo dell’insegnante è anche molto uti-le per dare indicazioni, in caso d’incertezza, sulla scelta del materiale da utilizzare.

SchematizzareOgni alunno produce lo schema del modello di movimento. Le difficoltà sono

numerose, è possibile stimolare delle sintesi collettive o dare assistenza agli studenti in difficoltà.

DiscussioneOgni gruppo presenta il proprio lavoro alla classe cioè il modello e le rappresen-

tazioni del movimento che è possibile dedurre. L’insegnante svolge un ruolo di me-diazione nel favorire un discorso centrato sul problema da risolvere o nel contribui-re a far emergere rappresentazioni corrette o sbloccando situazioni di stallo. Una strategia molto efficace per stimolare un dibattito attento e vivace è quello di far commentare il lavoro da un gruppo diverso da quello che lo ha realizzato.

Conclusione possibile per questa attivitàDurante la contrazione, l’accorciamento dei muscoli fa muovere le ossa che ri-

mangono inerti.In un arto i muscoli che avvicinano le parti sono chiamati flessori. Quando le al-

lontanano sono classificati come estensori. I muscoli che lavorano in opposizione so-no chiamati antagonisti.

Nota: durante la sintesi, si terranno in gran conto le formulazioni degli alunni:

– i legamenti, che sono un po’ elastici, danno un forte sostegno alle ossa;– i muscoli quando si contraggono fanno muovere le ossa;– i muscoli quando si contraggono si accorciano e si gonfiano, diventano duri;

ma l’insegnante dovrà introdurre i termini specifici: muscoli flessori, estensori ed antagonisti.

Figura 19. Disegno errato di modello di braccio.

Figura 20. Disegno corretto di modello di braccio.

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CommentoQuesta attività non ha tanto l’obiettivo di far capire come funzionano i musco-

li, ma sopratutto che i muscoli sono i motori del movimento.

Attività 7 - Sintesi comuneStrutturazione di un testo esplicativoDurataCirca 45 minuti.

Gli alunni partendo dalle domande-problemi, costruiscono una spiegazione fa-cendo una sintesi di tutte le “risposte” ottenute durante l’attività di problem-sol-ving.

Testo finale

u Il nostro scheletro è composto di 206 ossa.u Le articolazioni permettono alle ossa di muoversi le une rispetto alle altre.u I legamenti mantengono le ossa unite durante il movimentou La “testa” delle ossa a livello delle articolazioni sono coperte da cartilagine che

le protegge.u Le ossa si muovono le une rispetto alle altre per l’azione dei muscoli.u I muscoli terminano con i tendini che connettono i muscoli alle ossa.u Quando un muscolo si contrae si ingrossa e si accorcia, nello stesso tempo “ti-

ra” l’osso, che quindi si muove.

NotaL’insegnante può chiedere agli studenti di elaborare l’intero testo finale esplicati-

vo o fornire agli alunni un testo contenenti spazi vuoti da completare, con diversi li-velli di difficoltà, individualizzando l’attività.

FontiColette Gouanelle e Jacques Soustrade dell’équipe “La main à la pâte”

NotaLe immagini del modulo sono tutte tratte dalla sperimentazione dell’IC “Volino-

Croce-Arcoleo” di Napoli nell’a.s. 2012-13.Sebbene altre scuole abbiano sperimentato il modulo si è scelto di utilizzare il

materiale fornito da un solo istituto per poter meglio apprezzare la progressione dell’acquisizione di alcune competenze, quali osservare la realtà e rappresentare ciò che si osserva. Dal confronto dei primi disegni (movimenti dei bambini, braccia in movimento) con gli ultimi (ginocchio, modello braccio) emerge chiaro il passaggio da una osservazione non mirata ad una focalizzata e da una descrizione iconica e ste-reotipata (bambina con cerchio) sommaria ad una più matura e scientifica (model-lo di ginocchio).

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Scuola dell’Infanzia “Montessori” I.C. “2° De Amicis - Diaz”, Pozzuoli (Na).

I.C. “2° De Amicis - Diaz”, Pozzuoli (Na). Scuola primaria.

I.C. “Augusto - Console”, Napoli. Scuola Secondaria 1° Grado “Stabiae - Sal-vati”, Castellammare di Stabia (Na).

I.C. “Volino - Croce - Arcoleo”, Napoli. I.C. “San Rocco”, Marano (Na).

Scuole sperimentatrici del TC2 - Napoli

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Antonella Alfano, Maria Alfano, Giulia Forni, Anna Pascucci, Laura Salsano

Cosa succede al cibo che mangiamo?

Livello scolare: scuola dell’infanzia e primaria, scuola secondaria di primo grado.Tempo di realizzazione: 8 ore circa.

Sintesi del modulo

Per tutti gli organismi viventi, nutrirsi è un bisogno fondamentale. L’alimentazione umana, tema interdi-sciplinare per eccellenza, riveste una dimensione sia in-dividuale che collettiva. Poiché ogni bambino, ogni fa-miglia, ogni società mantiene un rapporto particolare con il cibo, comprendere cosa succede al cibo nel cor-po offre l’opportunità di costruire una base scientifica comune, condivisa da tutte le culture e connessa con l’educazione alla salute. La progressione proposta non pretende di essere un modello; suggerisce come può es-sere condotta un’investigazione, con momenti di ricer-ca personale – individuale o in gruppo – alternati a momenti di sintesi per tutta la classe. A seconda degli obiettivi di studio, può essere dedicato più o meno tempo alla produzione di lavori testuali, grafici o tec-nologici.

Le attività proposte possono essere adattate ai diver-si livelli di scolarità e implicano obiettivi di apprendi-mento trasversali: padronanza del linguaggio verbale, scritto, per immagini; ricerca documentaria; argomen-tazione; confronto dei saperi elaborati dai bambini con i saperi stabiliti, documentati e pubblicati.

Si suggerisce un approccio funzionale, che parta da domande come: “Cosa diven-ta nel tuo corpo ciò che bevi, ciò che mangi, l’aria che respiri?” in modo da stabilire del-le relazioni tra le diverse funzioni (respirazione, digestione in sostanze in grado di at-traversare la parete del tubo digerente, loro circolazione in tutti gli organi del corpo).1

1 Il box kit fornito ai docenti – oltre ai materiali per la sperimentazione in classe – contiene un CD di risorse complementari utilizzabili con gli alunni: documenti, animazioni e video.oS

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Figura 1. Rappresentazione schematica del percorso del cibo.

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Obiettivi

Obiettivi di conoscenza

1. Comprendere cosa succede al cibo nel nostro corpo.2. Descrivere il percorso degli alimenti nel tubo digerente.

Descrivere le trasformazioni degli alimenti nel tubo digerente e il loro passaggio nel sangue.

Obiettivi metodologici

– Osservare la realtà.– Disegnare basandosi sull’osservazione.– Manipolare.– Argomentare.– Formulare ipotesi e verificarle sperimentalmente.– Comunicare attraverso testi, schemi e oralmente.– Confrontare i saperi elaborati personalmente con il sapere scientifico.– Ricercare informazioni: sui libri, in Internet.– Ricavare informazioni da documenti (radiografie, video, animazioni).– Usare le conoscenze in contesti nuovi.

Collocazione nel curricolo dei diversi ordini di scuola

u Scuola dell’infanzia Alcune esperienze culinarie ed attività di scoperta sensoriale potrebbero susci-

tare una serie di constatazioni e domande sull’alimentazione. “Che cosa posso mangiare e cosa non posso mangiare? Cosa mi piace mangiare e che cosa non mi piace? Da dove viene il vomito? Che cos’è che dà forza?” I bambini distinguono i sapori: dolce, salato, acido, amaro. A volte hanno osservato che un piccolo oggetto ingoiato per errore (nocciolo di ciliegia, pallina di plastica) si ritrova nella cacca. Sanno che i bambini piccoli possono soffocare se ingeriscono per esempio caramelle nel modo sbagliato. Hanno constatato che se bevono mol-to, urinano di più.

u Primo ciclo della scuola primaria Quando in classe si affronta la tematica “alimentazione” emergono sicura-

mente domande del tipo: “Che cosa è bene mangiare? Come si può mangiare be-ne? A cosa servono i denti? Come possiamo proteggerli?”. Gli alunni hanno spes-so modo di constatare in famiglia o a scuola che alcune persone seguono re-gimi alimentari particolari per motivi di salute (intolleranza a certe sostanze, necessità di dimagrire), per ragioni estetiche o nel quadro di un’attività spor-tiva intensa.

u Secondo ciclo della scuola primaria Un’investigazione più approfondita sui bisogni alimentari porta a scoprire

l’organizzazione generale dell’apparato digerente e la funzione della nutrizio-ne. L’educazione alla salute si sviluppa così su una base scientifica.

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u Scuola secondaria di I grado Si indaga sugli aspetti chimici – oltre che meccanici – della trasformazione

degli alimenti; si approfondiscono i concetti di solubilizzazione e diffusione.

Riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del 1° ciclo d’istruzione (2012)

Traguardi per lo sviluppo della competenza

Nella scuola dell’infanzia. Il bambino vive pienamente la propria cor-poreità, ne percepisce il potenziale comu-nicativo ed espressivo, matura condotte che gli consentono una buona autonomia nella gestione della giornata a scuola. Rico-nosce i segnali e i ritmi del proprio corpo (…)e adotta pratiche corrette di cura di sé, di igiene e di sana alimentazione.

Obiettivi di apprendimento

Al termine della classe terza della scuola primaria.

Descrivere semplici fenomeni della vita quotidiana legati ai liquidi, al cibo…Osservare e prestare attenzione al funzio-namento del proprio corpo (fame, sete…) per riconoscerlo come organismo comples-so, proponendo modelli elementari del suo funzionamento.

Al termine della classe quinta della scuola primaria.

Descrivere e interpretare il funzionamento del corpo come sistema complesso situato in un ambiente; costruire modelli plausibi-li sul funzionamento dei diversi apparati (…)Avere cura della propria salute anche dal punto di vista alimentare e motorio.

Al termine della classe terza della scuola se-condaria di primo grado.

Riconoscere le somiglianze e le differenze del funzionamento delle diverse specie di viventi.Sviluppare la cura e il controllo della pro-pria salute attraverso una corretta alimen-tazione.

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Un possibile modo in cui il modulo può essere realizzato

Una lezione preliminare sul cibo introduce il modulo.

Domanda iniziale

Attività svolte con gli studenti

Organizzazione della classe

Attività di comunicazione

e condivisione

Attività 1

Dove vanno l’acqua e il pane?

ProblematizzazioneRaccolta e confron-to delle diverse ti-pologie di rappre-sentazione del per-corso del cibo

Lavoro individua-le, in coppia e con l’intera classe (confronti).

Disegno, testi scritti ed esposizione orale.

Attività 2

Come ci si sente quando si mangia?

Investigazione sul proprio corpo.Investigazione at-traverso radiogra-fie.

In coppia.Individuale.

Comunicazione orale, scritta (resoconto), schematizzazione.

Attività 3

Cosa succede quando si deglutisce?

Modellizzazione del tubo digerente.

In piccoli gruppi. Comunicazione orale, disegno.

Attività 4

Come fun-ziona l’appa-rato digeren-te?

Osservazioni sul pro-prio corpo.Osservazioni su fo-to e video.Simulazione del pro-cesso di assorbi-mento.

Intera classe.Individuale.

Testo scritto (il rac-conto delle osservazio-ni).Comunicazione orale.

Attività 5

Cosa succede al cibo nel corpo?

Ricerca documen-taria (bibliografica e in internet)Sintesi

IndividualeIn piccoli gruppiClasse intera

Lettura, scrittura ed esposizione oraleDiario di bordo

Introduzione e discussione iniziale sulla nutrizione

A proposito di alimentazioneEsistono molti modi per introdurre il tema dell’alimentazione.Si potrebbe iniziare con un gioco sui gruppi di alimenti oppure si potrebbe pro-

porre agli allievi di esprimere il loro punto di vista su questioni relative al cibo.Si potrebbe notare che non si mangia in qualsiasi momento.Si potrebbe pensare alle conseguenze di un consumo eccessivo di bevande gassa-

te e spuntini. Mentre l’obesità minaccia un numero crescente di individui, la mal-nutrizione per mancanza di cibo è dilagante in molti Paesi.

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Alcune delle domande che i ragazzi rivolgono ai loro compagni durante la di-scussione in classe vengono scritte su un cartellone: servono ad ampliare la riflessio-ne individuale. Ogni bambino risponde per iscritto nella parte personale del suo quaderno di scienze e utilizzerà le sue annotazioni per partecipare alla discussione che seguirà.

Dibattito e domandeEcco alcuni esempi di domande suggerite dal docente:

– “Qual è il tuo cibo preferito?”.– “Cosa non ti piace?”.– “Quale cibo ti dà forza?”.– “Cosa non ti piace, ma devi mangiare? Perché?”.– “Cosa succede quando non si mangia?”.

Qui di seguito sono riportati alcuni brani tratti dai quaderni di esperienze di alunni di scuola primaria.

Quale cibo ti dà forza?

– “Gli alimenti che danno forza sono: frutta come kiwi o arance, perché nella frut-ta ci sono vitamine ed energia; il latte perché dà il calcio, il pesce, perché aiuta la memoria, lo zucchero perché dà lo zucchero al sangue, gli spinaci danno forza. Tutte le verdure danno la forza”.

– “Penso che i cibi che danno forza sono le verdure, perché contengono molto calcio e vitamine, ecco perché è necessario mangiare molta verdura”.

– “Quello che non mi piace e dà forza, sono gli spinaci”.– “I cereali sono efficaci per essere in forma, ma non mi piacciono”.

Resoconto di una discussione di gruppo tra quattro allievi:

– Se non si mangia, si ha fame, si ha mal di stomaco, lo stomaco gorgoglia, si perde peso e tutte le ossa sporgono, non riesci a dormire, pensi al cibo buono, si prendo-no le malattie, sei malato, hai nausea, diventi pallido, non hai energia, poi si muore.

Gli alunni hanno tutti una loro opinione sulla questione dell’alimentazione. In questa fase, la parola “forza” non significa niente di molto preciso, non è connessa con il concetto scientifico di forza. Sarà gradualmente sostituita dalla parola “ener-gia”. In questa classe, i bambini pensano che siano le vitamine ed il calcio a “dare forza”; questa convinzione è spesso veicolata da messaggi pubblicitari. Inoltre, pen-sano che danno “forza” proprio i cibi che a loro non piacciono, probabilmente per-ché questo è uno degli argomenti che utilizzano i genitori per convincerli a mangia-re quei cibi poco graditi.

All’inizio della discussione, si pone una domanda: Come i cibi che noi mangiamo possono dare “forza” al corpo e anche “far crescere”?

L’insegnante può suggerire ai bambini di rivolgere la domanda a degli atleti (se c’è un centro sportivo vicino alla scuola) o ad un medico scolastico o di cercare su un libro ciò che si deve mangiare e bere prima e durante una gara per fornire ener-

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gia al proprio corpo. Anche una conversazione con il responsabile della mensa del-la scuola potrebbe essere utile.

Questa discussione introduce diversi filoni possibili e quindi diversi percorsi pos-sibili. Questi filoni, già affrontati nel primo ciclo, possono essere approfonditi nel secondo ciclo della scuola primaria e nella scuola secondaria.

Il percorso sviluppato di seguito (attività 1-5) ha un approccio “meccanicistico”, mentre nella scuola secondaria la digestione è considerata anche sotto l’aspetto “chi-mico ed energetico”.

Si includono suggerimenti per attività opzionali.

In che modo il nostro corpo si “nutre” con il cibo? Questo è il problema principale da risolvere.

Attività 1. Dove vanno il pane e l’acqua?Formulazione del problema e raccolta delle concezio-ni iniziali.

L’insegnante verifica innanzitutto che nessuno dei bambini segua un regime dietetico particolare. Distri-buisce ad ogni alunno, come spuntino, un dolcetto e un bicchiere di acqua. In alternativa il docente colloca l’attività dopo la ricreazione, quando i ragazzi consu-mano la propria merenda. Segue poi una discussione su cosa ne sarà di quello che si è mangiato.“In quale parte del corpo vanno l’acqua e il pane?”

Distribuisce quindi un foglio di carta che mostra la sagoma di un bambino, con le istruzioni:

Disegna il percorso del pane e quello dell’acqua. Scrivi il nome delle parti del corpo in cui questi alimenti passa-no. Cosa succede a questi alimenti nel corpo durante il lo-ro percorso?

Analisi collettiva delle produzioni dei bambiniIl confronto delle rappresentazioni dei bambini può

iniziare con uno scambio di fogli tra compagni di ban-co. Durante la discussione i bambini più piccoli proba-bilmente useranno una terminologia infantile, come “pipì” e “cacca”. Il docente sceglierà il momento opportuno per far acquisire loro i termini scientifici corrispondenti: urina e feci, prendendo ogni precauzione per evi-tare situazioni che gli allievi potrebbero sentire come imbarazzanti.

L’insegnante raccoglie i disegni, li classifica in varie categorie, forma gruppi di bambini che condividono le stesse idee e chiede loro di preparare un poster per cia-scuna principale categoria di rappresentazione.

Raccolta delle domande degli allievi ed elaborazione delle ipotesiOgni gruppo individua il relatore che spiega a tutta la classe l’ipotesi condivisa.

Segue una discussione collettiva in cui ogni gruppo, a turno, può difendere il suo punto di vista liberamente.

Figura 2. Sagoma di bambi-no.

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Non si cerca di trovare subito la giusta risposta, ma si cerca ciò che potrebbe es-sere.

L’insegnante scrive alla lavagna o su un cartellone le domande poste dagli alunni durante la fase di scambio e confronto di rappresentazioni. Ciò è facilitato dalla pre-sentazione – utilizzando una lavagna luminosa o una LIM – di alcune immagini si-gnificative prodotte dalla classe, fotocopiate su lucidi, fotografate o scansionate.

Ecco alcuni esempi tipici di rappresentazioni.

2 ingressi, 2 tubi e 1 uscita 1 ingresso, 1 tubo e 1 uscita 1 o 2 ingressi, senza uscita

Figura 3. Rappresentazioni del percorso del cibo realizzate da bambini di classe terza di scuo-la primaria.

Gli alunni non sono d’accordo tra di loro o sembrano bloccati su:

Percorso Trasformazioni Altre domande

Uno o due ingressi?Uno o due uscite?Uno o due tubi?

Nello stomaco?Come si svolge la digestione?Che cosa significa digerire?Che cosa è una indigestione?Che cos’è il vomito?

Ci sono buoni e cattivi ali-menti?L’acqua produce l’urina?A cosa serve il sangue?

La sessione di confronto delle rappresentazioni consente a ciascuno di rimettere in discussione le proprie idee e di essere motivato a ricercare prove e valide argomen-tazioni per rispondere alle questioni sollevate dalla classe.

Gli ostacoli identificati nel corso di questo confronto potrebbero portare la clas-se ad intraprendere una serie di attività, proposte dai bambini o suscitate dal docen-

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te. È necessaria una scelta al fine di non avviare un processo troppo lungo o com-plesso. Alcuni dei fenomeni in gioco possono essere dimostrati sperimentalmente o attraverso la manipolazione di modelli, il resto sarà sviluppato durante una fase di ricerca documentaria.

Al termine di questa attività, la classe potrebbe formulare la seguente ipotesi: “Si suppone che i liquidi vadano in un sacco per liquidi e producono l’urina, mentre i cibi solidi prendano un’altra strada e producano le feci”. L’ipotesi sarà testata nell’attività successiva.

Attività 2. Cosa si sente quando si mangia?

2.1. Investigazione sul proprio cor-po

L’insegnante distribuisce del pa-ne, dell’acqua e uno specchio a cia-scun gruppo di alunni. Si tratta di ricercare indizi sensoriali, in parti-colare per sapere se ci sono uno o due tubi, uno per i liquidi e uno per i solidi.

Che cosa avverte ciascuno quan-do mangia?

Durante la preparazione collet-tiva della lezione, l’insegnante chie-de se a qualcuno della classe è capi-tato che – inghiottendo qualcosa – “gli è andato di traverso” e come essi spiegano questo fenomeno.

L’osservazione del fondo della gola e una palpazione del collo durante la degluti-zione non forniscono una risposta alla domanda, ma sembrano indicare che l’in-gresso degli alimenti liquidi e quello dei solidi sia lo stesso. Sia i cibi liquidi sia quel-li solidi possono andare di traverso. Una volta masticati, anche i cibi solidi diventa-no una sorta di poltiglia, né propriamente liquida, né solida. È dunque poco proba-bile che sia valida l’ipotesi di un tratto distinto per liquidi e solidi.

2.2. Investigazione attraverso immagini scientifiche (radiografie)Questa fase potrebbe essere integrata con l’osservazione di radiografie dell’appa-

rato digerente fornite da un medico o da un genitore.Si proietta il breve video “Il tragitto degli alimenti” (contenuto nel CD allegato al

kit), preceduto da un commento e una domanda destinata a orientare le osserva zioni:«Questo video è stato realizzato in un ospedale. Al paziente viene fatta ingerire una

polenta molto densa; è possibile seguire il percorso della polenta nel corpo del malato, uti-lizzando una particolare tecnica che sfrutta i raggi X, potenti radiazioni invisibili che possono attraversare il corpo. Si presume che la polenta segua lo stesso percorso di tutti gli altri cibi. Qual è questo tragitto?»

Per rispondere a questa domanda, gli alunni effettuano sul video il fermo-imma-

Figura 4. I bambini si palpano il collo mentre deglu-tiscono.

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gine quante volte lo ritengono necessario e cercano di organizzare un testo e uno schema nella parte personale del loro quaderno di esperienze. Ci sono diversi modi di organizzare il dibattito. Se si dispone di una LIM, su un’immagine fissa del video si può far tracciare, con lo strumento “pennarello” della lavagna, il contorno della polenta ingerita e il suo tragitto, in modo da visualizzarlo sullo schermo. La stessa cosa può essere realizzata da gruppi di studenti mediante fogli lucidi posizionati su monitor Tv o del pc.

Poi si confrontano le varie immagini. L’osservazione obiettiva richiede un lavoro di rimessa in discussione dei punti di vista personali e di frequenti ritorni al video per confutare o confermare le affermazioni fatte da ciascun alunno nel suo quader-no di esperienze.

La discussione permette di evidenziare numerosi elementi concordanti che po-tranno essere confermati dopo una seconda osservazione del video. Dopo la discus-sione, i bambini annotano nella parte collettiva del quaderno di esperienze:

1. la polenta passa per la gola, sembra esitare tra due percorsi, ma poi va verso il tu-bo situato nella parte posteriore del collo;

2. scende in questo tubo;3. raggiunge un sacco;4. passa in un tubo contorto.

L’ipotesi secondo la quale i liquidi e i solidi seguirebbero due percorsi differenti non è stata confermata. Esistono due tubi, ma solo uno serve a far passare il cibo, siano essi liquidi o solidi. Una ricerca documentaria – per esempio su un atlante di anatomia, in internet, sul libro di testo o nelle sue risorse multimediali – rivela che questo tubo, nel quale passa tutto il cibo, è chiamato esofago. Il sacco si chiama sto-maco e il tubo contorto si chiama intestino.

Il secondo tubo, situato nella parte anteriore del collo, si chiama laringe a cui se-gue la trachea. Essa porta l’aria ai polmoni; i bambini potrebbero chiedere come il cibo viene indirizzato verso il tubo esofago piuttosto che verso il tubo trachea o cosa succede quando qualcosa “va di traverso”. Un’attività di modellizzazione fornisce elementi di risposta.

Attività 3. Cosa succede quando si deglutisce?

3.1. Costruzione di un modelloSi costruisce un modello di fun-

zionamento delle valvole naturali, cioè il palato molle e l’epiglottide nella faringe, al fine di fornire una migliore comprensione del croce-via delle vie respiratorie e digeren-ti. Per questo, l’insegnante chiede agli allievi di notare la parte della gola che si muove durante la de-glutizione (è l’epiglottide che si

Figura 5. Un modello di faringe e laringe con lin-guetta mobile (epiglottide).

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sposta in posizione di chiusura sopra l’apertura del-la laringe, situata davanti all’esofago) e quando un’inspirazione nasale viene bruscamente bloccata (è il palato molle che si muove per isolare la cavità nasale dalla bocca). Un modello della gola, proposta attraverso immagini o video2, viene costruita dagli alunni – che hanno a disposizione cartoncini, colla, fermacampioni – secondo le loro ipotesi. Tutte le soluzioni che non concordano con l’osservazione diretta o con le immagini del video sono progressi-vamente scartate.

3.2. Seguire il percorso del ciboLe fasi successive saranno arricchite da radiogra-

fie distribuite sotto forma di fotocopie che possono essere ricalcate. Si tratta di ricercare – a partire da queste immagini “grezze” – ele-menti di risposta alla ‘questione tubi’. Il video dà una migliore idea del tubo digeren-te in funzione dinamica e in particolare delle contrazioni dell’intestino. Le immagi-ni ferme del video e le radiografie sono più facili da disegnare e interpretare. In que-sto modo, gli allievi saranno in grado di scoprire il profilo frastagliato dell’intestino – le anse – in alcuni punti particolari e di generalizzare per tutto l’intestino l’aumen-to della superficie di scambio, causato dalle numerose pieghe.

3.3. Come si muove il cibo dalla bocca fino alla fine dell’intestino?Se viene posta questa domanda, le spiegazioni suggerite dagli alunni sono diver-

se: in genere essi pensano che il cibo scenda per gravità. Ma questa ipotesi è messa in discussione, quando si constata che il tratto digerente è arrotolato e ripiegato più volte su se stesso e che la digestione avviene anche di notte, quando si è sdraiati. La visione del video “Il tragitto degli alimenti”, mostra che esistono dei movimenti che i bambini possono ascoltare (brontolii) mettendo la testa sulla pancia del compagno di banco.

Le ipotesi che vengono avanzate possono essere testate utilizzando un dispositi-vo molto semplice da realizzare. Il problema che si pone è il seguente: dato un ma-

2 Un’animazione sulla “deglutizione” è contenuta nel CD allegato al kit.

Figura 6. Radiografia.

Figura 7. Simulazione della peristalsi.

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nicotto ricavato da un calza di nylon e palline da ping-pong, come si fa a far passare le palline da un’estremità del manicotto all’altra?

Attraverso questa manipolazione, gli alunni simuleranno il principio della peri-stalsi, cioè le onde di contrazione che avanzano lungo l’intestino.

3.4. Modellizzazione del tubo digerenteDalle immagini radiografiche si possono dedurre altre informazioni:

– stima delle dimensioni dello stomaco, per confronto con recipienti noti;– stima della lunghezza dell’intestino, attraverso calcoli in scala su una immagine

fissa (attività di matematica).

Si può costruire un modello del tubo digerente usando un tu-bo di gomma da giardino o una corda della lunghezza di circa 10 metri, dei sacchetti di plastica, sagome ed etichette che indicano i diversi organi dell’apparato di-gerente. Questo modello consen-te di dare meglio l’idea delle di-mensioni del tubo digerente quando è srotolato. Esso aiuta a capire come una grande superfi-cie di scambio favorisca il passag-gio di nutrienti nel sangue. Oc-corre essere consapevoli che que-sto modello ha i suoi limiti: il diametro della corda (o del tubo di gomma) è co-stante, è senza pieghe, non ha alcun collegamento con il sistema sanguigno. È auspicabile accompagnare a questa altre esperienze, al fine di dare un’idea del-le dimensioni e della forma reale del tubo digerente e delle sue relazioni con al-tri organi.

3.5. Schematizzazione del tubo digerenteLa distribuzione di schemi incompleti da ricostruire e da etichettare consente al-

la classe di concludere quest’attività, acquisendo i concetti essenziali.Il sistema digerente così ricostruito può essere collocato in uno schema più gene-

rale in cui saranno coinvolti progressivamente il sistema respiratorio e il sistema cir-colatorio.

Attività 4. Come funziona l’apparato digerente?

4.1. Osservazioni sul proprio corpoSi può confrontare la quantità di cibo ingerito con la quantità di feci espulse.

Utilizzando misure approssimative, è possibile fare una stima dell’ordine di gran-dezza.

Figura 8. Un pezzo di corda che ha approssimati-vamente la lunghezza del l’intestino.

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Un cucchiaio di zucchero o una zolletta di zucchero: 5 g

Quantità giornaliera di feci: 200 g

Quantità giornaliera di urine: circa 1 kg per un bambino, ma più del doppio per un adulto

Un piatto di pasta: 200 g

Una fetta di carne: 150 g

Un panino: 50 g

Una merendina: 50 g

Un’arancia: 100 g

Una tazza di latte: 150 g

Un bicchiere d’acqua: 100 g

Da questo tipo di confronto emerge che gran parte del cibo non è eliminato dalle feci e dalle urine.

Si richiamano allora le ipotesi sul ruo-lo del cibo, raccolte durante la prima atti-vità: esse forniscono una parziale risposta alla questione; una parte del cibo viene utilizzata per riparare e sostituire i capelli e la pelle morta (le pellicine…) che il nostro corpo produce continuamente e per con-sentire la crescita, mentre un’altra parte del cibo viene consumata per la produzione di energia attraverso la respirazione.

Resta da capire dove e come il cibo passa nel corpo per svolgere il suo ruolo nu-trizionale3.

Ricerche da svolgere a casa:

– Quali sono i rimedi impiegati per i più comuni problemi digestivi?– Prodotti farmaceutici a base di bicarbonato di sodio per combattere un’indige-

stione.– I rimedi contro la diarrea e il vomito.– I medicinali o i cibi ricchi di fibre per contrastare la stitichezza.

Queste informazioni raccolte a casa fanno prendere coscienza dell’importanza sociale della digestione. Si potrebbero anche raccogliere i modi di dire relativi alla nutrizione, come ad esempio “Buon appetito!”

3 Il ruolo dietetico degli alimenti e il concetto di dieta equilibrata non sono discusse in questo modulo. Questa tematica – fondamentale per l’educazione alla salute degli alunni – può essere affron-tata in seguito.

Figura 9. Dissezione di coniglio.

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4.2. Osservazioni su foto o video di dissezioniIl video “Dissezione di un coniglio” contenuto nel CD allegato al kit o una serie

di documenti iconografici consentono di verificare le ipotesi degli alunni. Si posso-no anche confrontare gli apparati digerenti di diversi animali.

A differenza del tratto gastrointestinale dei mammiferi, quello del pollo contie-ne il ventriglio, uno stomaco “trituratore” molto spesso e muscoloso, che contiene a volte pietruzze – ingerite dall’uccello – che favoriscono la triturazione meccanica del cibo.

L’apparato digerente del coniglio è costituito da un intestino voluminoso, che fa-cilita la digestione dell’erba, in particolare a livello del cieco (ingresso all’intestino crasso). Attraverso il video si possono seguire tutte le trasformazioni del bolo ali-mentare, fino all’uscita; si può anche osservare la ricca vascolarizzazione delle pareti del tratto digestivo.

4.3. Una simulazione dell’assorbimento a livello dell’intestinoUn esperimento di simulazione utilizzando una bustina di tè o camomilla im-

mersa in una tazza di acqua dimostra che l’acqua porta con sé le particelle fini, men-tre i pezzi più grandi rimangono bloccati all’interno della bustina. Si può fare la stessa esperienza usando una garza o carta da filtro e filtrare un cucchiaino di tè.

Una zolletta di zucchero, anche se ridotta in polvere, non passerà attraverso il fil-tro. Ma se si aggiunge acqua questa scioglie lo zucchero, che potrà così passare attra-verso la garza o la carta da filtro.

4.4. Fase di valutazioneSi interroga il gruppo classe, le parole chiave sono annotate su un cartellone e si

tenta una sintesi iniziale. Alcuni alimenti resistono alla digestione e non sono smi-nuzzati, come ad esempio le fibre vegetali. Altri non offrono resistenza e sono ridot-ti in pezzi molto piccoli.

Gli alimenti subiscono trasformazioni meccaniche, ma anche trasformazioni chimiche. Una discussione circa l’origine del sapore dolce di un boccone di pane che viene masticato a lungo o sull’odore del vomito può introdurre questo concet-to, senza tuttavia approfondirlo. Le trasformazioni chimiche sono affrontate nella scuola secondaria.

Attività 5. Cosa succede al cibo nel corpo?

Restano da risolvere ancora alcuni problemi. Dove finisce il cibo trasformato quan-do esce dall’apparato digerente? Come sono utilizzati i cibi ingeriti dal corpo nel suo complesso?

5.1. Ricerca documentariaGli approcci metodologici precedentemente utilizzati (osservazioni su video e

immagini radiografiche, sperimentazione, costruzione di modelli) non sono suffi-cienti a rispondere a queste domande. È necessaria una ricerca di conoscenze scien-

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tifiche sull’argomento che sarà utilizzata per sviluppare una sintesi più articolata di idee e per confrontare i risultati della classe con quelli accertati dagli scienziati, che si basano su casi clinici e tecniche investigative a cui gli alunni non hanno accesso.

La classe è divisa in due gruppi ognuno dei quali svolge attività di ricerca, la pri-ma metà in biblioteca e la seconda metà su Internet.

La consegna per la ricerca:Trova dei testi semplici (massimo 10 righe), delle immagini scientifiche, degli

schemi in grado di rispondere, in maniera completa o parziale, alle due domande:Come avviene il passaggio del cibo nel corpo? Come i cibi ingeriti sono utilizzati dal

corpo nel suo complesso?

Scheda 1 - Ricerca in Internet

1. Ho scelto il motore di ricerca: www

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2. Le parole chiave che ho scelto:

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3. Tra tutti i siti suggeriti, ho scelto il primo sito nel quale la sintesi è sembrata più semplice e più adeguata:

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4. Sul sito che mi è sembrato più interessante, ho trovato le informazioni riguar-do a

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5. Testo selezionato dal sito: (la frase più interessante per la nostra indagine)

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6. Immagine trovata: (descrizione e indirizzo)

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7. Schema scelto: (descrizione e indirizzo)

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5.2. Sintesi collettiva a partire dalla ricerca documentaria4

I due gruppi, che hanno lavorato separatamente, restituiscono alla classe ciò che hanno trovato; l’insegnante ha precedentemente raccolto i fogli della ricerca docu-mentaria e ha preparato una serie di testi, immagini e schemi estratti dai lavori de-gli studenti. Poi distribuisce a gruppi di sei-otto allievi, i seguenti quattro temi:

– gruppo 1: cosa diventa il cibo nell’apparato digerente;– gruppo 2: il ruolo del sangue;– gruppo 3: cosa diventa il cibo nel corpo;– gruppo 4: schema generale della nutrizione (digestione, circolazione, escre-

zione).

Questa fase di restituzione fornisce ad ogni allievo la possibilità di scrivere nel suo quaderno delle esperienze ciò che ha imparato dalla sintesi collettiva. L’insegnan-te prepara uno schema completo dell’apparato circolatorio e dell’apparato digestivo.

4 Può essere realizzato anche come compito a casa e quindi in biblioteche diverse.

Scheda 2 - Ricerca in biblioteca

1. Sono andato nella biblioteca4

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2. Ho usato lo scaffale etichettato:

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3. Il libro che ho scelto ha il seguente titolo che sembra corrispondere alla mia ricerca:

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4. Dall’indice degli argomenti ho scelto il capitolo:

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5. Il testo selezionato è:

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6. Immagine trovata: (descrizione e pagina)

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7. Schema scelto: (descrizione e pagina)

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Usa il foglio lucido per poter sovrapporre questi apparati al fine di evidenziarne le connessioni.

Ecco alcuni esempi di frasi che possono essere annotate nella parte collettiva del quaderno sperimentale:

u “Il cibo che mangiamo è trasformato e tagliato a pezzetti fini. Non c’è sepa-razione tra cibi solidi e liquidi. Il cibo di piccole dimensioni passa poi attra-verso l’intestino tenue nel sangue, che lo trasporta a tutti i nostri organi, for-nendo energia (zuccheri, grassi), elementi plastici (calcio, proteine) ed ele-menti regolatori (acqua, vitamine)”.

u “Gli alimenti non sufficientemente sminuzzati (non digeriti) passano nell’in-testino crasso e poi espulsi attraverso l’ano, sotto forma di feci”.

u “I rifiuti scaricati nel sangue da parte di tutti i nostri organi sono filtrati dai reni e si ritrovano nell’urina”.

La digestione indica la trasforma-zione del cibo in sostanze di piccole di-mensioni. L’assorbimento indica il pas-saggio delle sostanze attraverso la pare-te dell’intestino. A queste due fasi se-gue il trasporto da parte del sangue e l’apporto delle sostanze agli organi (che consente la liberazione di energia, la crescita e il rinnovamento dei tessuti).

Il ruolo della respirazione nella nu-trizione sarà studiato dopo un’attività sulla ventilazione polmonare e lo stu-dio della respirazione. È fondamentale integrare respirazione ed alimentazione, poiché lo scopo della respirazione è quello di fornire a tutte le cellule del corpo l’ossigeno. L’ossigeno permette l’ossidazione dei nutrienti trasportati dal sangue, reazione chimica che libera energia. Inoltre, la re-spirazione permette di eliminare dal corpo l’anidride carbonica prodotta dalla ossi-dazione delle sostanze nutritive. Queste due affermazioni corrispondono a un livel-lo di formulazione che è possibile affrontare a partire dalla scuola secondaria di 1° grado.

A livello di scuola primaria è sufficiente capire che ci sono collegamenti tra que-ste due funzioni: un esercizio sportivo richiede un’alimentazione adeguata e una buona ventilazione polmonare, per evitare crampi a causa dell’ossidazione inade-guata del cibo e la produzione di acido lattico nei muscoli.

Valutazione

A partire dalla sagoma di bambino, gli studenti sono nuovamente invitati a dise-gnare il percorso del cibo nel corpo.

Domande “aperte” consentono di stabilire se l’alunno è in grado di applicare le conoscenze acquisite.

Figura 10. Torso umano smontabile.

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– Spiega perché quando mangi del coniglio o una carota non diventi parte di coni-glio o di carota.

Gli alimenti subiscono delle trasformazioni, entrano nel nostro corpo e vengono utilizzati come materiale con cui costruire il nostro corpo (crescere, ingrassare) e di fornire energia (il bisogno energetico aumenta quando ci muoviamo).

– Osserva la curva di crescita di un bambino. Che cosa gli consente di crescere e di aumentare di peso?

Un bambino cresce e aumenta di peso grazie al cibo. Il latte contiene tutte le so-stanze necessarie. Ci sono anche delle perdite. Solo una parte di ciò che un bambi-no ha mangiato entra nel suo corpo attraverso il sangue. L’alimentazione permette ai bambini di crescere e fornisce energia.

Questo tema riguarda il corpo del bambino, la sua vita privata e anche la sua sa-lute. È quindi essenziale rispettare la sensibilità di tutti.

Conclusioni

Un lavoro troppo concentrato sulla masticazione (digestione meccanica del cibo) e sul ruolo della saliva (digestione chimica del cibo) rischia di dare agli alunni l’idea errata che tutta la digestione avvenga in bocca. Conviene sottolineare che questo ri-guarda solo gli zuccheri. La masticazione è solo una fase preliminare della digestio-ne meccanica. La maggior parte della digestione meccanica avviene nello stomaco, altrimenti si dovrebbero passare delle ore a masticare (il vomito, che corrisponde al-lo stato fisico del cibo presente nello stomaco, a volte contiene pezzi di grandi di-mensioni). La digestione è molto facilitata dall’idrolisi acida del cibo (lo stomaco se-cerne acido cloridrico). Questa conoscenza può essere introdotta mostrando che lo stomaco è un muscolo capace di triturare, anche se lo stesso non vale per l’intestino, e che quando si versa dell’acido sul cibo, quest’ultimo viene ridotto in poltiglia ab-bastanza rapidamente. La maggior parte della digestione chimica degli alimenti si svolge nell’intestino tenue, grazie agli enzimi digestivi. Lo stomaco è essenzialmen-te un sacchetto chiuso da una valvola (sfintere pilorico) che impasta e riduce il cibo in uno stato simile alla polenta. È solo quando il cibo è ridotto a una poltiglia (so-spensione) che la valvola si apre periodicamente per consentire alla poltiglia di pas-sare nell’intestino. La durata della fase gastrica è lunga (alcune ore).

L’acqua non è un alimento come gli altri. Si tratta di un solvente che è indispen-sabile alla vita delle cellule, quindi dei nostri organi (muscoli, cervello, apparato di-gerente, vasi sanguigni…). C’è un piccolo “lago interno” nel nostro corpo (che com-prende lo spazio extra-cellulare), in cui si bagnano tutte le nostre cellule. L’acqua rappresenta circa il 60% del peso del nostro corpo. L’acqua che beviamo passa nel sangue e quindi nel “lago interno”, quella in eccesso (quando beviamo troppo) vie-ne versata nelle urine (come una vasca traboccante!). Si può essere assetati senza aver fame, ad esempio dopo una traspirazione eccessiva (il livello nella vasca è basso). Questo è fondamentale perché l’acqua è un solvente per i sali e quando non abbia-mo abbastanza acqua l’aumento della concentrazione di sali porta alla sete. L’urina contiene alcuni dei prodotti di scarto dell’attività delle cellule dell’organismo (per esempio l’urea) di cui l’acqua è il solvente. L’urina è il risultato del filtraggio del san-

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gue, che consente l’eliminazione di questi prodotti di scarto (il resto è l’anidride car-bonica, eliminata attraverso i polmoni).

I processi di evacuazione delle feci da un lato e delle urine dall’altro, differiscono nella loro natura. Le feci contengono prodotti di scarto del cibo che è rimasto nell’“ambiente esterno” dell’organismo (in effetti, il tubo digerente, dalla bocca all’ano, è direttamente collegato con l’esterno). Viceversa, l’urina contiene i prodot-ti di scarto provenienti dalle attività degli organi, quindi dall’interno del corpo, dall’“ambiente interno”. Questi sono immessi nel sangue e quindi filtrati ed escreti dai reni.

FontiIl modulo integra la proposta del modulo del “Progetto Fibonacci” con attività

tratte da “La main à la pâte”Le foto in figura 1, 4, 5, 7 sono a cura di Carmela Donnarumma, docente del

Plesso Serao, I.C. “2° De Amicis - Diaz” - Pozzuoli.

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Scuole sperimentatrici del TC2 - Napoli

I.C.D. “G. Marconi”, Pozzuoli (Na) - plesso C. Ro sini.

Scuola secondaria 1° grado “Giovanni XXIII”, Cava de’ Tirreni (Sa).

Scuola Secondaria di primo Grado “Stabiae - Salvati”, Castellammare di Stabia (Na).

I.C. “2° De Amicis - Diaz”, Pozzuoli (Na). Il modulo è stato sperimentato in classi della scuola d’infanzia, plessi “M. Serao” e “M. Montes sori”.

Istituto Comprensivo “Volino-Croce-Ar co leo”, Napoli. Il modulo è stato sperimentato in classi della primaria e della secondaria di 1° grado.

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Ernesta De Masi, Antonella Alfano, Maria Alfano, Giulia Forni, Anna Pascucci

Affonda o galleggia?

Livello scolare: scuola primaria e secondaria di primo gradoTempo di realizzazione: 8 ore

Sintesi del modulo

Il modulo offre l’opportunità di stu-diare le condizioni che permettono ad un corpo di galleggiare o di affondare quando viene immerso in un liquido. Gli studenti impareranno che il galleg-giamento non è una questione di massa, di forma o di volume, ma piuttosto di densità relativa tra sistemi.

Il modulo è costituito da sette atti-vità.

Si parte con delle semplici investiga-zioni esplorative con lo scopo di incu-riosire, stimolare domande ed ipotesi interpretative, per far emergere le pre-conoscenze degli studenti sul galleggiamento. Successivamente, gli alunni immergono in acqua un palloncino (o una bottiglia di plastica tappata e vuota) che, lasciato andare, viene spinto verso l’alto: in tal modo sperimentano in maniera immediata che l’acqua esercita una forza verso l’alto sui cor-pi in essa immersi. Con una successiva attività, gli alunni sperimentano che il galleg-giamento non dipende dalla profondità dell’acqua.

Queste prime tre attività sono adatte anche alla scuola dell’infanzia e alle prime classi della scuola primaria.

Si passa poi ad attività che mettono in evidenza che il galleggiamento dipende dalle proprietà dell’oggetto e del liquido in cui è immerso, guidando i ragazzi alla conclusione che un corpo immerso in un liquido riceve una spinta diretta dal basso verso l’alto e che la spinta dipende dal peso del volume di liquido spostato.

Infatti, le attività 4, 5 e 6 sono destinate a studiare come il galleggiamento dipenda da due variabili connesse, massa-volume dei corpi immersi e del liquido, per giungere (Scuola media o ultimi anni scuola primaria) alla definizione della variabile complessa densità che permette di individuare le condizioni per il «galleggiamento» di un corpo. o

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Figura 1. I bambini esplorano il diverso com-portamento degli oggetti in acqua.

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L’attività 7 è dedicata alla costruzione di un sottomarino che può sia galleggiare che affondare e il cui funzionamento è spiegabile con i concetti appresi.

Obiettivi

u Sperimentare il comportamento di alcuni oggetti se messi in acqua.u Effettuare semplici previsioni e verificarle.u Sviluppare la capacità di osservare e mettere in relazione fatti e fenomeni.u Sviluppare la capacità di formulare ipotesi non solo per spiegare fatti e feno-

meni, ma anche per organizzare attività laboratoriali.u Comprendere che il galleggiamento dipende da una relazione tra sistemi (il

corpo che galleggia o va a fondo e il liquido in cui è immerso).

Riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo (2012) - 1° ciclo d’istru-zione

Obiettivi di apprendimento

Al termine della clas-se terza della scuola primaria.

Attraverso l’interazione e la manipolazioni diretta, individuare qualità e proprietà di oggetti e materiali […], riconoscendovi sia grandezze da misurare, sia relazioni qualitative […].Descrivere semplici fenomeni della vita quotidiana legati ai li-quidi […].

Al termine della clas-se quinta della scuola primaria.

Individuare, nell’osservazione di esperienze concrete, alcuni con-cetti scientifici quali: peso, forza, […].Individuare le proprietà di alcuni materiali come, ad esempio: peso, volume, densità, […].

Al termine della clas-se terza della scuola secondaria di primo grado.

Utilizzare i concetti fisici fondamentali quali: volume, peso, pe-so specifico, […] in varie situazioni di esperienze; raccogliere da-ti su variabili rilevanti […], trovarne relazioni quantitative […].Realizzare esperienze quali: galleggiamento, […].

Figura 2. “Scopriamo se galleggia o af-fonda”.

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Sequenze Domanda iniziale Attività svolte con gli studenti

Approccio scientifico

Attività di comunicazione e condivisione

Attività 1 Che cosa galleggia?Conosci qualche og-getto che galleggia?Qual è il contrario di galleggiare?

Ricerca d’ipotesi in un contesto aperto.Esplorazione speri-mentale su oggetti che galleggiano e oggetti che non galleggiano.

Osservazione Confronto

Esplorazione

Discussione nei gruppiRappresenta-zione con dise-gniComunicazio-ne oraleD i s c u s s i o n e collettiva

Attività 2 L’acqua «spinge» solo gli oggetti che galleg-giano, o anche gli og-getti che affondano?

Esplorazione speri-mentale per esamina-re l’effetto del l’acqua sugli oggetti

EsplorazioneOsservazioneSpiegazioneRappresentazioneSperimentazioneElaborazione

Attività 3 La profondità del-l’acqua influenza il galleggiamento?

Esplorazione speri-mentale per verificare che la profondità dell’acqua non in-fluenza il galleggia-mento di un oggetto

Attività 4 La massa di un oggetto influenza il suo galleg-giamento?

Esplorazione speri-mentale con oggetti con lo stesso volume ma con masse diverse. Esplorazione speri-mentale per determi-nare la densità.

Attività 5 La forma di un oggetto influenza il suo galleg-giamento?

Esplorazione speri-mentale con oggetti con la stessa massa ma con volumi differenti tali da spostare quan-tità di liquido diverso quando vi vengono immersi. Esplorazio-ne con oggetti con la stessa massa e volume, forma diversa ma tali da spostare quantità di liquido uguale

Attività 6 La densità del liquido influenza il galleggia-mento?

Costruzione di un densimetro

Attività 7 Conosci oggetti che possono sia galleggia-re che affondare?

Costruzione di un sottomarino

Costruzione di modelli esplica-tivi

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Attività 1: Galleggia o affonda?

Gli alunni discutono intorno alle domande poste dal docente, disegnano ogget-ti di uso quotidiano che, secondo la loro esperienza, affondano o galleggiano e, suc-cessivamente, verificano sperimentalmente le ipotesi di galleggiamento: in questa fase emergono le loro pre-conoscenze su ciò che galleggia e ciò che affonda.

Materiali (per gruppo):

– Vari piccoli oggetti che si usano in aula: matita, forbici, chiodo, pezzo di le-gno, nastro di gomma, sughero, plastica, pezzi di polistirolo, sassi, argilla espansa, ecc.

– 1 contenitore riempito per metà con acqua.

L’attività inizia con una discussione:

– Che cosa galleggia?– Conosci qualche oggetto che galleggia?– Qual è il contrario di galleggiare?

Successivamente vengono mo-strati agli alunni un certo numero di oggetti di uso quotidiano (mati-ta, forbici, chiodo, pezzo di legno, nastro di gomma, sughero, plastica, pezzi di polistirolo, sassi, ecc) e ven-gono invitati a disegnare gli oggetti che galleggiano e quelli che affon-dano su un foglio su cui è fotoco-piato un contenitore pieno d’acqua (fig. 3).

Al termine vengono condivisi tutti i risultati. La discussione può essere focalizzata, per esempio, su

dove gli oggetti sono posizionati nel disegno (in superficie, sul fondo del conteni-tore…).

Dopo aver esaminato i ri-sultati, inizia la sperimenta-zione immergendo nell’ac-qua i vari oggetti: gli alunni vengono invitati ad osservare attentamente gli oggetti che galleggiano e quelli che af-fondano.

Alla fine dell’attività, è previsto un dibattito per in-dividuare alcuni criteri per il

Figura 3. I ragazzi disegnano la loro rappresenta-zione mentale: quali oggetti pensano che galleggi-no e quali che affondino.

Figuta 4. Schema per attività di gruppo.

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galleggiamento: tutti gli oggetti utilizzati durante l’esperimento sono riesaminati e agli alunni viene chiesto di spiegare perché ciascuno di essi galleggia o affonda.

Per concludere, i bambini possono realizzare un poster di grandi dimensioni co-me quello mostrato (fig. 4).

Oggetti che galleggiano

Perché gli oggetti galleggiano

Oggetti che affondano

Perché gli oggetti affondano

conclusioni

È possibile che i ragazzi si accorgano che non tutti gli oggetti affondano nello stesso modo.

Le conclusioni metteranno in evidenza i criteri più importanti, dal punto di vi-sta degli studenti, per stabilire se un oggetto galleggia o affonda (il materiale, il pe-so, la densità dell’oggetto, la forma, la quantità di acqua, ecc.).

Attività 2: Come l’acqua influenza il galleggiamento degli oggetti

Gli studenti esaminano l’azione dell’acqua sul galleggiamento di un oggetto: l’acqua esercita una forza su un oggetto immerso spingendolo verso l’alto.

All’inizio dell’attività agli studenti viene chiesto che cosa pensano circa l’influen-za dell’acqua sul galleggiamento di un oggetto.

L’acqua ha qualche effetto su ogni tipo di oggetto?Influenza solo gli oggetti che galleggiano, o tutti gli oggetti?Influenza anche gli oggetti che affondano?

Per osservare l’effetto che l’acqua ha su gli oggetti in differenti situazioni, agli studenti viene offerta la possibilità di lavorare su una sequenza di 3 workshop. Al termine di ogni workshop, i ragazzi formulano ipotesi su quanto hanno osservato.

Workshop 1

Materiali per il wor-kshop 1:

– 1 contenitore di pla-stica contenente ac-qua;

– bottiglie di plastica da 0,33 l o 0,5 l (o palloncini gonfiati).

Figura 5. L’acqua spinge il palloncino verso l’alto.

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I ragazzi (fig. 5) immergono un palloncino gonfiato (o una bottiglia di plastica), poi lo lasciano andare. Il palloncino viene immediatamente spinto verso l’alto.L’acqua esercita una spinta verso l’alto sull’oggetto che galleggia.

Workshop 2

Materiali per il workshop 2:

– 1 contenitore di plastica;– una canna da pesca o un bastone

flessibile di legno;– una cordicella;– una bottiglia di plastica da 1,33 l o

0,5 l;– acqua o sabbia.

Una piccola bottiglia riempita con ac-qua o sabbia è attaccata ad una canna da pesca (fig. 6). Fuori dell’acqua la canna è incurvata e la cordicella è tesa. Quando la bottiglia è immersa in acqua, si può nota-re che la canna perde l’incurvatura e la cordicella sembra meno tesa.

Questo esperimento consente agli studenti di cogliere l’azione che l’acqua esercita su un oggetto che sta affondan-do.

L’acqua esercita una spinta verso l’alto sulla bottiglia che affonda.

Workshop 3

Materiali per il workshop 3:

– 1 bilancia di Roberval, oppure dina-mometri;

– sabbia;– 1 contenitore di plastica;– 1 sasso;– 1 rete con cordi-

cella in cui inse-rire il sasso.

Gli studenti metto-no in equilibrio una bilancia, come indica-to nel disegno, ponen-do in un piatto la

Figura 6. La canna da pesca perde la curva-tura perchè l’acqua spinge la bottiglia verso l’alto.

Figura 7. Bilancia di Roberval a bracci uguali.

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quantità di sabbia opportuna a bilanciare un sasso appeso con una cordicella all’al-tro piatto (fig. 7).

Successivamente gli studenti osservano come si sposta l’ago della bilancia quan-do il sasso è immerso in un recipiente pieno d’acqua; in mancanza della bilancia si può utilizzare un dinamometro (fig. 8).

Figura 8. Con la bilancia o con il dinamometro si misura la spinta esercitata dall’acqua sul-l’oggetto immerso.

L’acqua esercita una spinta verso l’alto sul sasso che sta affondando.

Far notare che il livello dell’acqua sale quando un corpo affonda.Terminare l’attività condividendo tutti i commenti con lo scopo di mostrare

l’importanza dell’azione dell’acqua su un oggetto immerso.

Attività 3: Come la profondità dell’acqua influenza il galleggiamento

Gli studenti verificano che la profondità dell’acqua non ha alcuna influenza sul galleggiamento di un oggetto.

Materiali per il gruppo

– 2 tazze di plastica;– plastilina (zavorra per le tazze);– 2 contenitori di plastica;– acqua.

Inizialmente ogni studente scrive quello che pensa su come la profondità dell’ac-qua influenza il galleggiamento. Dopo la condivisione delle opinioni, i ragazzi sono chiamati a realizzare una investigazione che dimostri il ruolo della profondità dell’ac-qua su un oggetto che galleggia.

Durante la fase di sperimentazione, essi zavorrano con la plastilina le tazze per produrre un oggetto che galleggia parzialmente in acqua, immergono poi la stessa tazza in un contenitore riempito con molta acqua e successivamente in uno riempi-

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to con poca acqua (bisogna mettere una quantità di plastilina in modo che la tazza galleggi mantenendosi diritta).

Gli studenti disegnano sulla tazza il livello di immersione ed osservano che, in entrambi i casi, il livello è lo stesso (fig. 9).

La profondità dell’acqua non influenza il galleggiamento.

Nota: l’esperimento può essere ripetuto con un oggetto che affonda.

Attività 4: Il galleggiamento di un oggetto immerso in un liquido non dipen-de SOLO dal suo volume

Gli studenti verificano che due oggetti della stessa forma e volume, ma con di-versa massa, non galleggiano nello stesso modo.

Materiali (per gruppo):

– contenitori tipo falcon, o vasetti uguali di marmellata;– una varietà di materiali (sabbia, sementi, riso, farina, cotone, creta per model-

lare, ecc.);– una bilancia;– un sacchetto di plastica.

In primo luogo, agli studenti viene chiesto: Due oggetti della stessa forma e volu-me, ma con masse diverse, galleggiano allo stesso modo?

I ragazzi prima osservano e maneggiano i contenitori che sono vuoti e chiusi. Po-sti nell’acqua, tutti galleggiano nello stesso modo. Quindi, viene chiesto loro di ese-guire un esperimento nel quale possono confrontare il galleggiamento degli oggetti con la stessa forma e volume, ma con masse diverse. Vengono mostrati diversi ma-

Figura 9. Le due tazze gal-leggiano nello stesso mo-do indipendentemente dal-la profondità dell’acqua.

Figura 10. I due contenitori sono riempiti con differenti materiali, hanno lo stesso volume ma masse diverse, quello con massa maggiore affonda completamente e si dice che ha densità maggiore. L’alunno comprende che il galleggiamento di un oggetto non dipende solo dal suo volume.

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teriali che possono utilizzare per riempire i contenitori. Gli studenti discutono di questo nei gruppi. Devono porre attenzione nel riempire i contenitori completa-mente, qualunque sia il materiale utilizzato. Ad essi viene poi chiesto di fare delle previsioni circa ciò che accadrà quando metteranno i contenitori nel recipiente pie-no d’acqua; con le prove sperimentali, immergendo i contenitori in acqua, verifi-cheranno se le ipotesi formulate sono corrette. (Può essere utilizzata una bilancia per confrontare la massa di ciascuno di essi).

Attraverso questa attività viene introdotto un protoconcetto di densità che può essere meglio definito con i ragazzi delle medie.

Dopo la discussione e se i ragazzi dimostrano di aver capito che il galleggiamen-to di un corpo dipende da una variabile complessa legata sia alla massa che al volu-me, si propone di riempire la seguente tabella 2.

OggettoGalleggia\

non galleggia

Massa (gr) Volume (cm3= ml)

Densità = M: V

Densità acqua= 1gr/

cm3

Il volume degli oggetti viene misurato per immersione in un cilindro graduato pieno d’acqua: il volume di cui s’innalza il livello dell’acqua quando vi viene immer-so l’oggetto è la misura del volume di questo. I corpi che galleggiano vengono im-mersi spingendoli nell’acqua con un bastoncino.

Dall’analisi dei risultati si potrà dedurre che i materiali che affondano hanno una densità maggiore di quella dell’acqua, mentre quelli che galleggiano hanno una den-sità minore.

Attività 5: Il galleggiamento di un oggetto immerso in un liquido non dipen-de SOLO dalla sua massa.

Gli alunni verificano che due oggetti con la stessa massa e volume ma forgiati in modo da spostare differenti quantità di liquido si comportano in modo diverso ri-spetto al galleggiamento; riflettono sull’influenza dello spazio occupato dall’oggetto in acqua.

Materiali (per gruppo):

– plastilina;

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– vaschette per l’acqua;– una bilancia (per la classe).

Ai ragazzi viene chiesto: “Secondo te, se due oggetti hanno la stessa massa e volume, se uno affonda, affonderà anche l’altro?”.

Gli studenti eseguono l’esperimento in gruppi. Usano una bilancia per ottenere pezzi di plastilina con la stessa massa: questi pezzi avranno anche lo stesso volume

visto che sono stati ricavati dallo stesso pezzo di plastilina (stessa sostanza, stessa densità). Sono quindi invitati a modellare in modo diverso i pezzi di plastilina e a controllare così che immer-si in acqua ne spostino quantità differenti.

I ragazzi discutono nei loro gruppi e successi-vamente con la classe per cercare di spiegare l’esperimento. Si discuterà dello spazio occupato dall’oggetto in acqua, che varia a seconda della forma dell’oggetto e che, di conseguenza, sposta quantità differenti d’acqua.

L’alunno capisce che il galleggiamento di un corpo non dipende solo dalla massa.

Attività 6: Come la densità del liquido influenza il galleggiamento

Gli studenti affrontano il concetto di densità di un liquido e verificano che un oggetto che affonda in acqua di rubinetto galleggia in acqua salata e che, in genera-le, uno stesso oggetto si comporta in modo diverso in liquidi differenti (ad esempio acqua, acqua salata, olio, alcool).

Materiali per gruppo:

– 1 bottiglia di plastica piena di acqua dolce di rubinetto;– 1 bottiglia di plastica riempita con acqua salata (aggiungere abbondante sale);– 1 cannuccia di paglia;– plastilina per modellare;– olio;– alcool;– candela o altri oggetti;– contenitore.

All’inizio dell’attività, gli studenti esprimono le loro ipotesi sul differente com-portamento di oggetti in acqua di rubinetto ed in acqua salata. Successivamente l’insegnante guida gli alunni a costruire un densimetro (strumento per misurare la densità) con una cannuccia zavorrata con plastilina. I ragazzi costruiscono un den-simetro per ciascun gruppo e lo immergono in una bottiglia di acqua di rubinetto e in una bottiglia di acqua salata (vedi figura 12): più alta è la densità del liquido mag-giore sarà la parte di cannuccia che fuoriesce dal liquido.

Figura 11. Pezzi di plastilina di ugua-le massa ma forgiati in modo da spo-stare quantità differenti di acqua quando si immergono in questa.

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Gli studenti disegnano quanto osservano e formulano una spiegazione.Si può ora proporre di studiare il comportamento di una candela, o di altri og-

getti, immersi in contenitori riempiti con acqua, olio e alcool e di compilare la ta-bella 1.

OggettoIn acqua dolce galleggia\non

galleggia

In acqua salata galleggia\non

galleggia

In olio galleggia\non

galleggia

In alcool galleggia\non

galleggia

candela

Pezzi di legno (ebano, quercia)

Cubetti di ghiaccio

Dalla discussione collettiva emergerà che il galleggiamento dipende dalle carat-teristiche del corpo e del liquido.

Attività 7: Costruzione di un sottomarino

Gli studenti, per rafforzare i concetti affrontati, progettano e costruiscono un og-getto che può alternativamente galleggiare o affondare.

Materiali per gruppo:

– 1 piccolo contenitore di almeno 15 cm di profondità;– 1 bottiglia da 0,33 l di acqua;– un pezzo di tubo trasparente (Ø = 6 mm, L = 40 cm);– 1 chiodo in acciaio (Ø = 5 mm, L = 15 cm);– 2 elastici.

Il docente informa gli studenti che ad ogni gruppo verrà chiesto di progettare e realizzare un oggetto che alternativamente galleggi o affondi. Il docente potrebbe

Figura 12. Densimetro.

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porre agli alunni la domanda <Conosci oggetti che possono sia galleggiare che affonda-re?> e guidarli a riflettere che i sommergibili sono dispositivi che possono sia galleg-giare che affondare. Dopo aver deciso di realizzare sottomarini (fig. 13) e di concen-trare l’attenzione sui serbatoi che si possono riempire di aria o acqua, ogni gruppo elabora un proprio modello e passa alla fase di progettazione. Nella bottiglia devo-no essere ricavati dei fori, come in figura, in modo che essa si possa riempire di ac-qua. Quando questa si riempie d’acqua, affonda, soffiando aria nel tubo, l’acqua fuoriesce dai fori e la bottiglia si porterà a galla. Un chiodo lungo viene utilizzato per zavorrare la bottiglia di plastica e facilitarne l’immersione.

Il docente può anche dare qualche suggerito in modo che i ragazzi realizzino un oggetto ancora più somigliante ad un sottomarino.

Conclusioni

Al termine della sequenza di attività, il docente chiede agli studenti di riguarda-re il loro diario di bordo e di rispondere alla domanda:

– “Da cosa dipende la possibilità galleggiare di un oggetto?”

Dopo una discussione collettiva la classe arriva ad una conclusione comune, del tipo:

– “Un oggetto immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto. Liqui-di diversi spingono in modo diverso. La spinta non dipende dalla profondità dell’acqua.

– La possibilità di un corpo di galleggiare non dipende dalla forma o SOLO dal-la massa o SOLO dal volume, ma dalla densità del corpo rispetto a quella del li-quido”.

Possibili approfondimenti

Legge di Archimede.Galleggiamento di liquidi.

Figura 13. Costruzione e funzionamento del sottomarino.

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Bibliografia

M. Arcà, P. Guidoni “Guardare per sistemi, guardare per variabili”.

Fonti

Lavoro collettivo dell’equipe “La main à la pâte”

La foto in fig. 1 è del team della Scuola d’infanzia “Montessori” - I.C. “2° De Amicis - Diaz” - Pozzuoli.

La foto in fig. 2 è del team del I Circolo Didattico di Pozzuoli - Plesso Marconi.La foto della fig. 6 è di Carmen Della Monica, docente della scuola secondaria 1° grado “Gio-

vanni XXIII” di Cava de’ Tirreni.Le foto delle figg. 12 e 13 sono di Rita Cortese, Vincenza Marcarelli, Maria De Luca, Anna

Riccardi, docenti dell’I.C. Volino-Croce di Napoli.

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Scuole sperimentatrici del TC2 - Napoli

Scuola secondaria 1° grado Giovanni XXIII, Cava de’ Tirreni (Sa).

I.C. Volino - Croce, Napoli.

Liceo Scientifico Statale “A. Gatto”, Agropoli (Sa).

1° Circolo Didattico, Plesso Marconi, Poz-zuoli (Na).

2° Circolo “De Amicis”, Pozzuoli (Na).Scuola dell’Infanzia “Montessori”

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Ernesta De Masi, Antonella Alfano, Maria Alfano, Giulia Forni, Anna Pascucci

Come funziona la leva“Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo”

Livello scolare: scuola primaria, secondaria di primo grado e scuola secondaria di secondo gradoTempo di realizzazione: 7/9 ore circa

Sintesi del modulo e indicazioni metodologiche

Per sollevare un oggetto pesante può es-sere utilizzata una forza piccola. “Datemi un punto d’appoggio e solleverò il mon-do”, ha detto Archimede tre secoli a.C.

Le attività proposte hanno l’obiettivo di far comprendere che la rotazione di un corpo intorno ad un’asse prodotta da una forza di grandezza definita dipende dalla forza e dalla distanza tra l’asse di rotazione ed il punto in cui la forza è applicata.

Lo studio è condotto utilizzando un oggetto particolare: la leva. Essa è costitu-ita da una barra rigida che si muove attorno ad un asse di rotazione passante per un punto detto fulcro. Il principio di funzionamento di una leva costruita con materia-li molto semplici: righe e bulloni, spiega il funzionamento di altri dispositivi. Come esempio applicativo è stato scelto il ponte levatoio. Un’attività è dedicata al ricono-scimento delle principali leve negli organismi viventi.

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SeV

ato

rio

did

at

tiC

aFigura 1. Prime sperimentazioni.

Figura 2. Nella foto si può osservare che il ca-rico, dadi grandi, non può essere equilibrato con la forza esercitata dai dadi piccoli situati nella parte della riga che si trova a sinistra del fulcro.

Figura 3. Se si avvicinano i dadi grandi al ful-cro (punto intorno al quale avviene la rotazio-ne), diventa possibile sollevarli.

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icaAttraverso questi esempi, è possibile

mettere in evidenza che un principio ge-nerale si può applicare in contesti diversi (dispositivi tecnici, scienza della vita …).

Lo studio di questo argomento per-mette anche la trattazione di un impor-tante principio generale: il principio di conservazione dell’energia.

Le figure 2, 3, e 4 mettono in evidenza la relazione tra forze applicate e distanze dei punti di applicazione di queste dal fulcro.

Obiettivi

– Costruire una leva, individuarne il fulcro, la forza resistente e la forza equili-brante.

– Riconoscere le relazioni reciproche tra posizione del fulcro, distanza dal fulcro del punto di applicazione della forza resistente e della forza equilibrante.

– Riconoscere leve negli strumenti che ci circondano e la loro utilità.– Stimolare la capacità di fare previsioni, di rivederle e correggerle con senso cri-

tico, in base ai risultati ottenuti.– Saper fare supposizioni in situazioni nuove, ma fenomenologicamente simili

a quelle già studiate.

Riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo (2012) - 1°- 2° ciclo d’istruzione

Obiettivi di apprendimento

Al termine della classe terza della scuola prima-ria.

Individuare, attraverso l’interazione diretta, la struttura di oggetti semplici, analizzarne qualità e proprietà, […], descri-verli nella loro unitarietà e nelle loro parti, […], riconoscer-ne funzioni e modi d’uso.

Al termine della classe quinta della scuola pri-maria.

Individuare, nell’osservazione di esperienze concrete, alcuni concetti scientifici quali: peso, forza, […]Osservare, utilizzare e, quando è possibile, costruire semplici strumenti di misura […] imparando a servirsi di unità con-venzionali.

Al termine della classe terza della scuola secon-daria di primo grado.

Utilizzare i concetti fisici quali: […], peso, forza, […], in va-rie situazioni di esperienza; raccogliere dati su variabili rile-vanti di differenti fenomeni, trovarne relazioni quantitative ed esprimerle con rappresentazioni formali di tipo diverso.

Al termine del biennio della scuola secondaria di secondo grado.

Raccogliere dati attraverso l’osservazione diretta dei fenome-ni naturali (fisici, […], ecc.) o degli oggetti artificiali […]Individuare una possibile interpretazione dei dati in base a semplici modelli

Figura 4. Se i dadi di sinistra vengono avvici-nati al fulcro, non si riesce più a sollevare il ca-rico costituito dai dadi grandi.

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Attività Domanda iniziale Attività svolte con gli studenti Approccio

Attività di comunicazione e condivisione

Attività 1

Come sollevare la cat-tedra dell’insegnante?

Ricerca d’ipotesi in un contesto aperto.

OsservazioneEsplorazioneConfronto

Discussione nei gruppi.Rappresentazio-ne con disegni.Comunicazione orale.Discussione col-lettiva.

Attività 2

Come gli uomini del-l’antichità sollevavano dei carichi?

Costruzione di un semplice dispositivo a partire dall’osser-vazione di immagini che raffigurano una macchina antica.

Attività 3

Come ridurre lo sforzo utilizzando una leva?

Esplorazione speri-mentale delle leggi che spiegano il fun-zionamento delle leve.

Attività 4

Come costruire un mo-dellino di ponte leva-toio?Dove fissare l’attacco del filo sul ponte?

Costruzione di un semplice dispositivo con materiale mo-dulare.Sperimentazione. Osservazione

ConfrontoAttività

5Che cos’è simile, che cos’è non simile?

Ricerca di analogie e differenze in due si-tuazioni che metto-no in gioco le leve

Attività 6

Ci sono delle leve negli organismi viventi?

Osservazione di modelli di articola-zione. Applicazione in altri contesti di quanto appreso.

Modell izza-zione

Figura 5. Inserire didascalia.

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Attività 1: Come sollevare la cattedra dell’insegnante?

L’insegnante avvia il lavoro evo-cando le inondazioni, le loro tragi-che conseguenze e la necessità di sollevare i mobili per proteggerli dall’azione dell’acqua.

Propone successivamente una sfida: sollevare la cattedra.

Consente solo a uno o due alun-ni di testare l’operazione e rilevare le impressioni:

“È pesante;“Fa male alle mani e alla schiena;“Non ho abbastanza forza musco-

lare…”Da qui il problema: immaginare come si possa facilitare il compito.

Per piccoli gruppiGli studenti immaginano dei di-

spositivi. Scrivono brevemente le loro idee sul diario di bordo e le il-lustrano con disegni.

Di seguito si riporta quanto pro-dotto in alcune classi di scuola pri-maria (fig. 7):

– Due alunni sollevano la catte-dra mentre un altro mette una zeppa;

– Si pianta un gancio sotto al soffitto e si solleva la cattedra con una catena;

– Si utilizza una gru, un crick…:– Si mette una tavola sotto la scrivania e un mattone sotto la tavola e si salta!

Sintesi collettivaOgni gruppo presenta le sue idee. Esse sono classificate in una tabella a due co-

lonne:

u dispositivi azionati dall’uomo e dispositivi azionati in modo diverso.

Gli alunni sono informati che il modulo si interesserà dei dispositivi della prima colonna.

Nota. In questa fase, l’insegnante non tenta di “far apparire” a tutti i costi l’idea di leva. Se si propone, è classificata con lo stesso titolo come gli altri nella colonna n. 1.

Figura 6. Proviamo a sollevare la cattedra.

Figura 7. Dispositivi ipotizzati per sollevare la cat-tedra.

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Attività 2: Come gli uomini dell’antichità sollevavano dei carichi?

Gli alunni costruiscono semplici dispositivi a partire dall’osservazione di imma-gini che raffigurano dispositivi usati nell’antichità per sollevare carichi pesanti. L’at-tività è una prima investigazione sul funzionamento di una leva.

È conveniente avere dei pezzi di materiale da costruzione. In caso di impossibi-lità, bastoncini di legno e della corda sono sufficienti.

CollettivamenteL’insegnante parla di alcuni edifici costruiti fin dagli albori dell’umanità quando

non esistevano le macchine motorizzate. Può parlare della costruzione delle pirami-di mostrando alcune immagini o qualche foto, evidenziando che non ci sono tutto-ra notizie certe sulle tecniche utilizzate per sollevare masse enormi1.

Per piccoli gruppiL’insegnante distribuisce immagini come quelle riportate (fig. 8 e fig. 9) che rap-

presentano due dispositivi per sollevare o spostare grossi blocchi.

Gli alunni costruiscono modelli di macchine rappresentate nella figura 8.A turno, vengono alla cattedra a testare i dispositivi costruiti sotto la supervisio-

ne dell’insegnante che garantisce la sicurezza.

CollettivamenteL’insegnante pone la seguente domanda:

– questi dispositivi permettono di ridurre lo sforzo necessario?

Il modello della figura 8 non permette necessariamente di rispondere: il piacere della costruzione e il gioco è spesso dominante rispetto alla ricerca di risposte. Non si cerca di arrivare a una conclusione ma ci si accontenta, in questa fase, di formu-lare la domanda e di mantenerne la memoria. La parola “leva” (vale la pena ricorda-re che deriva da “alzare”) è introdotta a partire dall’esame di ciò che le due vignette hanno in comune.

1 L’insegnante che vuole dedicare più tempo a questa attività può chiedere agli alunni di cercare informazioni riguardo a questo problema e di portare in classe i documenti più interessanti trovati.

Figure 8-9. Due diversi dispositivi usati nell’antichità per sollevare massi.

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Attività 3: Come ridurre lo sforzo utilizzando una leva?

Gli alunni comprendono che la leva permette di ridurre lo sforzo a condizione di utilizzarla in modo opportuno. Scheda 1 per la scuola primaria. Scheda 2 per la scuola secondaria di primo grado e per il primo biennio della scuola secondaria di secondo grado.

L’insegnante spiega agli alunni che costruiranno delle leve che somigliano a quel-le rappresentate in figura 8, ma che sono più semplici, più pratiche e robuste.

Distribuisce il materiale:

– righe da 30 cm di lunghezza;– righe da 50 cm di lunghezza;– bulloni piccoli e grandi;– perni (asse di rotazione) intorno a cui far ruotare le righe.

Utilizzando il materiale fornito, essi devono riuscire a sollevare più dadi utiliz-zandone un numero minore appoggiato all’altra estremità della riga.

La consegna è inizialmente aperta.L’insegnante si assicura che gli studenti percepiscano correttamente la corrispon-

denza tra gli elementi della figura 8 (l’immagine della macchina reale) e quelli della figura 10 (il modello).

Figura 10. Modello per simulare il dispositivo della fig. 8.

Per piccoli gruppiGli studenti sono incoraggiati a ricercare, in molti modi, situazioni di equilibrio

guidati dalle domande:

– “Puoi equilibrare più dadi con un minor numero di dadi?”– “È possibile sollevare il carico più in alto?”– “Dove hai appoggiato i dadi?”– Hai provato ad appoggiarli più vicino o più lontano?”– L’insegnante consegna ai gruppi più veloci una seconda riga di 50 cm.– “Prova con un’altra riga. Che differenza noti?”

È importante che gli alunni comprendano, attraverso le esperienze che fanno, l’influenza dei vari parametri (posizione del fulcro, posizione dei dadi che si aggiun-gono, lunghezza della riga) e le loro conseguenze (aumento o riduzione del numero

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di dadi necessari, altezza di solleva-mento).

Discussione e sintesi collettivaLo scopo di questa fase è di met-

tere in comune le differenti osserva-zioni. La sintesi porterà ad indivi-duare il principio di funzionamen-to delle leve. L’insegnante guiderà gli alunni a notare che quando un carico (un certo numero di dadi) è vicino al fulcro, “è più facile solle-varlo”, si fa meno forza, ma lo si al-za di meno, quando il carico è più distante dal fulcro, si fa più forza, ma lo si alza di più.

Nota: Gli alunni sono portati a credere che le leve permettano di “ri-sparmiare energia”. L’insegnante de-ve sottolineare che se si può solleva-re un grande carico posto nel punto B, come in figura 12, mettendo nel punto D un carico più piccolo, il punto B si sposta su un arco BG mentre il punto D si sposta su un arco DI (fig. 13).

Figura 11. Ragazzi al lavoro in piccoli gruppi.

Figura 12. Un carico piccolo in D è in grado di sol-levare un grande carico in B.

Figura 13. La leva permette di applicare uno “sforzo” minore ma non di “rispar-miare” energia.

Possibili difficoltàAlcuni alunni ritengono che, quando il perno si avvicina al carico, questo diven-

ta meno pesante.Si può invitare gli alunni a sperimentare ancora una volta il sollevamento della

cattedra (come nella seconda attività) agendo in prossimità del perno e poi più lon-tano. Essi devono rendersi conto che il compito è più facile nel secondo caso grazie alla diversa posizione del perno.

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A questo punto il docente può propor-re un’attività di approfondimento sulla bi-lancia e sull’altalena per reinvestire le pro-prie conoscenze sulle leve in un differente contesto.

Partendo dalla classica situazione di un bambino che vuole bilanciarsi (altalena) con un adulto (più grande, più pesante), si può chiedere: “Dove mettere il perno della bilancia?” – “Con un perno fisso, dove collo-care l’adulto e dove collocare il bambino?”. A seguito di questo lavoro, si potrà suggerire la realizzazione di una bilancia romana (fig. 14) costituita da un’asta sospesa ad un anello in un punto vicino ad una estremi-tà. Si cercherà di ottenere l’equilibrio tra un carico fissato alla fine e un contrappeso (argilla, rondelle…) che si farà scorrere lungo l’asta attaccato con una graffetta.

Attività 4: Come costruire un ponte-levatoio?

Costruendo un ponte levatoio e discutendo sul suo funzionamento, gli alunni reinvestono le loro conoscenze in un contesto diverso.

CollettivamenteL’insegnante presenta l’attività agli alunni – Costruire un ponte-levatoio, come in

un castello – senza precisare che si tratta di una prosecuzione dello studio sulle leve.Se gli alunni si rendono conto che esiste continuità tra questa attività e quel-

la precedente sulle leve, il docente li incorag-gerà a seguire l’idea chiedendo loro quali so-miglianze vedono tra un ponte-levatoio e la leva.

In piccoli gruppiGli alunni progettano la loro costruzione co-

me meglio credono.L’insegnante può aiutarli a risolvere piccole

difficoltà tecniche: costruzione della passerella, la collocazione di un meccanismo che permetta la sua rotazione, le guide dei fili, ecc. Tuttavia, non interviene nella scelta del punto di attacco del filo al ponte.

Può essere mostrata ai gruppi in difficoltà un’immagine di come costruire il ponte levatoio come quella mostrata in figura 16.

Figura 14. Bilancia romana.

Figura 15. Ponte levatoio.

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CollettivamenteI diversi gruppi mostrano i loro

lavori, spiegano le difficoltà incon-trate e come sono state risolte. Non è certo che tutti i gruppi raggiunga-no il risultato in una sola attività. Sarà l’insegnante a decidere se pro-porre una sessione supplementare o se concedere del tempo in più, in modo che tutti gli alunni possano completare la loro costruzione.

L’insegnante propone la discussione:

– Dove fissare l’attacco del filo sul ponte?

CollettivamenteL’insegnante ha cura di individuare due costruzioni in cui il filo per alzare il pon-

te è stato fissato alla fine (per uno) e in mezzo (per l’altro) alla barra di traino. Do-manda, poi, alla classe qual è la soluzione che richiede il minimo sforzo. Lascia qualche minuto per esprimere le opinioni senza convalidare alcun punto di vista. Propone in seguito di ricercare, per piccoli gruppi, il modo di provare la soluzione migliore.

Se si verifica che tutti i gruppi hanno attaccato il filo all’estremità del ponte, l’insegnante introduce l’attività chiedendo agli alunni perché hanno scelto questo punto di attacco e non un altro. A seconda delle risposte, invita poi gli alunni a giustificarle sperimentalmente. Tuttavia, come ulteriore vincolo, precisa che per condurre le loro indagini, gli alunni non dovranno costruire dei ponti-levatoi. Essi dovranno condurre la loro indagine a partire da alcuni materiali messi a loro disposizione: diverse righe, bastoni di legno, elastici, masse diverse, corda, graf-fette, ecc.

Lo scopo di questa limitazione è quello di guidare gli alunni a riflettere sul prin-cipio, a prescindere dall’oggetto impiegato.

Nella pratica industriale, ad esempio, quando è necessario studiare l’efficacia di un nuovo sistema frenante automobilistico, lo studio è condotto sul banco di prova e non su vere automobili, in quanto lo renderebbe troppo lungo e troppo costoso.

Per piccoli gruppiGli alunni realizzano un dispositivo. L’insegnante li guida per giungere ad

un’esperienza convincente. Durante la realizzazione dei dispositivi, gli alunni non rilevano particolari difficoltà nel riprodurre il ponte e nel fissare il filo a metà o al-la fine della “barra”, ma, in alcuni casi, mostrano difficoltà a comprendere i vin-coli imposti. Essi cercano di completare i loro dispositivi, guidando lo spago fino ad una manovella, come nei modelli di ponte che hanno realizzato precedente-mente.

La sperimentazione in classe evidenzia altri aspetti. Gli studenti cercano di va-

Figura 16. Modello di ponte levatoio.

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lutare “a mano” lo sforzo richiesto per sollevare il ponte, qualcuno afferma: “È troppo leggero, le differenze non sono evidenti”. Altri alunni non pensano ad effettua-re confronti: essi sollevano il ponte (il filo è fissato per esempio all’estremità), poi concludono: “Sì, è più facile in questo modo…” Per tutte queste ragioni, ed even-tualmente altre, può essere utile organizzare un gruppo intermedio di discussione collettiva.

Gruppo intermedioEsso è destinato a fare il punto sulle difficoltà incontrate, a confrontare le solu-

zioni previste e a sistemare le idee:

– Quale materiale scegliere per sperimentare? Sono esaminate le diverse proposte e la discussione dovrebbe individuare la struttura più semplice: una bacchetta poggiata su un supporto ad una estremità e sostenuta da un filo all’altra estre-mità; il filo è semplicemente tenuto in mano.

– Come dobbiamo costruire i dispositivi per rispondere alla domanda? In generale, tutti i gruppi comprendono la necessità di un confronto tra due

dispositivi che differiscono solo per la posizione del punto di attacco del filo.– Come risolvere il fatto che il ponte è troppo leggero? Si può pensare di aumentare il peso mettendo sopra una scatola piena di noci

(o qualsiasi altro oggetto idoneo).

Rispondere a queste tre domande è sufficiente per allestire un esperimento con-clusivo che convalida l’idea che la soluzione più conveniente è quella di collegare il filo il più lontano possibile dall’asse. Tuttavia, l’insegnante può avviare una discus-sione più scientifica concernente il confronto delle forze: “Misurare la forza con la mano non è scientifico, possiamo trovare un metodo migliore?”

La risposta in genere richiede un intervento dell’insegnante che può proporre l’utilizzo di un elastico non molto rigido, sensibile alle forze in gioco o di un dina-mometro. Il metodo è illustrato in figura 17.

Dopo questo attività di consolidamento, tutti i gruppi sono in grado di riprendere la loro espe-rienza.

Ritorno ai piccoli gruppiGli studenti rivedono

le loro esperienze, le ripor-tano sul diario degli espe-rimenti e registrano i loro risultati.

Sintesi collettivaL’obiettivo di questa fase è di giungere a una risposta condivisa alla domanda ini-

ziale:

È più facile sollevare il ponte se il filo è attaccato lontano dall’asse?

Figura 17. Utilizzo di un elastico sensibile alle forze in gioco.

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Attività 5: Che cos’è simile, che cos’è non simile?

Gli alunni riflettono sulle attività condotte e riconoscono tra le differenti espe-rienze un principio comune da formulare in maniera più generale.

CollettivamenteL’insegnante prepara due dispositivi:

1. la riga sostiene una scatola di dadi e poggia su un perno;2. la passerella (riga) del ponte-levatoio è resa pesante da una scatola di dadi.

Il tutto è riprodotto sche-maticamente nella figura 18. Lavorando in piccoli gruppi, gli alunni confrontano i due modelli e annotano in una tabella a due colonne: “quello che è simile” e “quello che non è simile” nei due dispositivi.

Per piccoli gruppiGli alunni discutono tra di loro e ricercano risposte alla domanda posta dall’in-

segnante.Se la loro attenzione si focalizza solo sulla descrizione degli oggetti e non sui

principi che sono alla base, l’insegnante li guida alla riflessione con una domanda appropriata:

– “Come fare affinché lo sforzo necessario per sollevare le scatole sia il più piccolo pos-sibile?

– È lo stesso in entrambi i casi?”

Sintesi collettivaL’insegnante raccoglie e convalida le diverse proposte. È interessante rilevare la

somiglianza tra i rispettivi ruoli dell’asse di rotazione del ponte levatoio e del perno. In alcuni dispositivi il perno è situato tra i punti in cui si applicano le forze (la mac-china della figura 10, per esempio); mentre in altri, è situato ad una dell’estremità (questo è il caso del ponte levatoio).

L’insegnante conferma e rafforza poi la somiglianza essenziale: una stessa forza “ha più effetto sulla rotazione” se è applicata ad una distanza maggiore dall’asse; una grande forza “ha più effetto” di una piccola forza, se viene applicata alla stessa di-stanza dall’asse.

Attività 6: Ci sono delle leve negli organismi viventi?

Gli alunni riflettono se sono presenti leve anche negli organismi viventi.L’insegnante constaterà, una certa difficoltà per gli alunni nell’isolare il meccani-

Figura 18. Modelli a confronto.

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smo di base di una leva in un organismo vivente complesso, egli dovrà fornire le ne-cessarie schematizzazioni.

Una difficoltà è quella di individuare i punti di attacco dei tendini e delle ossa, molti studenti commettono l’errore di collegare i tendini dei muscoli dell’avam-braccio sull’osso dell’avambraccio e non sulle ossa del braccio.

Un lavoro completo sul ruolo dei muscoli in movimento, a livello delle articola-zioni, richiede parecchio tempo.

Il docente, come esempi complementari, in cui interviene il principio di funzio-namento delle leve, può proporre l’articolazione dell’ala di un insetto e l’apertura di una conchiglia da parte del granchio.

L’articolazione dell’ala di un insettoIl docente consegna agli alunni il foglio di lavoro e fornisce tutte le informazio-

ni utili (possibilmente con un video L’articolazione dell’ala di un insetto). In partico-lare, si assicura della comprensione dello schema che rappresenta una sezione del to-race di un insetto e del cambiamento di scala nel rappresentare lo spessore della cu-ticola (strato esterno dell’insetto).

Invita, inoltre, gli alunni a ricordare come funziona l’articolazione dell’avam-braccio nell’uomo e il ruolo dei muscoli.

Gli alunni lavorano vicini per poter condividere e riflettere tra loro. Realizzano individualmente il lavoro ri-chiesto.

Collettivamente, l’inse-gnante ricapitola a partire dai modelli realizzati dagli stu-denti o da un modello più grande che lui stesso ha co-struito (figura 19).

La forma del torace, i muscoli contratti, è mostrata nella figura 20 (a destra) ed è confrontata con la figura che rappresenta i muscoli rilassati (a sinistra)

Figura 19. Forme in cartone per rappresentare il torace.

Figura 20. Torace.

L’apertura di una conchiglia da parte di un granchioDurante una prima fase, l’insegnante distribuisce ai suoi allievi delle conchiglie.

Egli chiede loro di provare a mano la consistenza della conchiglia e di spiegare co-me fa un granchio a romperla per accedere al suo nutrimento.

Nella figura 21, il disegno mostra come la pinza del granchio può essere parago-

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nata alle leve studiate precedentemente. Dopo aver correttamente posizionato la conchiglia, il granchio incastra il dente ro-busto e potente della sua pinza nell’aper-tura della conchiglia, poi esercita una for-za sul bordo del guscio per romperla. At-traverso questa apertura può frugare all’in-terno del guscio e accedere al suo nutri-mento che prende con l’aiuto delle dita lunghe e sottili della pinza sinistra.

A conclusione del modulo, agli alunni, vengono proposti elementi di verifica per valutare le conoscenze e le competenze ac-quisite.

Gli alunni dovranno indicare se il prin-cipio della leva è presente nelle diverse im-magini (di difficoltà variabile) contenute nella scheda.

Durata

Abbiamo proposto un percorso prati-cabile in sei attività. Gli insegnanti che intendono approfondire l’argomento posso-no sviluppare gli spunti presentati di seguito. Viceversa, coloro che desiderano effet-tuare un percorso minimo possono fermarsi alle prime quattro attività.

Approfondimenti

La costruzione delle piramide: leve o piano inclinato?È possibile presentare gli elementi del dibattito con un breve testo e qualche foto.“Nuovi studi rimettono in discussione l’uso di rampe per la costruzione delle pi-

ramidi d’Egitto.Voi siete gli architetti del faraone Cheope che desidera che venga costruita la più

grande piramide mai realizzata. I suoi desideri sono ordini divini. Come possiamo as-semblare migliaia di blocchi di calcare di 2,5 tonnellate e 90 blocchi di granito di 25 tonnellate?…

Gli egittologi dibattono ancora su congetture sui metodi degli architetti egizia-ni. Due sono le teorie che si contrappongono. Una propone la costruzione di una rampa inclinata con una pendenza progressiva, su cui gli uomini tirano i blocchi di pietra. La seconda teoria prevede la costruzione di macchinari di legno che, utiliz-zando il principio della leva, alzano i blocchi di pietra da un livello orizzontale all’al-tro. Tra i sostenitori della seconda tesi, l’architetto Pierre Crozat ha recentemente proposto un sistema coerente con gli scritti dello storico greco Erodoto (- 484-420). (…)”. © Scientific American, n. 265, novembre 1999.

Figura 21. La pinza del granchio è un esem-pio di leva.

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Il lavoro degli alunni, per piccoli gruppi, consiste nell’esaminare l’ipotesi alter-nativa alle leve mostrando sperimentalmente che lo sforzo richiesto per sollevare un carico è inferiore quando si prende la precauzione di ridurre l’attrito (superficie li-scia o lavata) e quando lo si trasporta lungo un piano inclinato, rispetto a quando lo si solleva verticalmente.

FontiLavoro collettivo dell’equipe “La main à la pâte”

La foto della fig. 1 è del team della scuola d’infanzia “Montessori” - I.C. “2° De Amicis - Diaz” - Pozzuoli.

La foto della fig. 11 è di Maria Boccia e Mariarosaria Nappi, docenti della scuola secon-daria 1° grado “Maiuri” - Pompei.

Figura 22. Due diverse modalità per trasportare blocchi di pietra.

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Scuole sperimentatrici del TC2 - Napoli

Scuola dell’Infanzia “Montessori” I.C. “2° De Amicis - Diaz”, Pozzuoli (Na).

Scuola secondaria 1° grado “Falcone”, Na-poli.

Scuola secondaria 1° grado “Giovanni XXIII”, Cava de’ Tirreni (Sa).

Scuola Secondaria 1° grado “Maiuri”, Pom-pei (Na).

Liceo Scientifico Statale “A. Gatto”, Agropoli (Sa).

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NOTIZIE SUGLI AUTORI

1. AntonellA AlfAno. Docente di matematica e scienze nella scuola secondaria di 1° grado. Coordinatore del Centro Pilota di Napoli del Progetto FIBONACCI per la diffusione dell’Inquiry Based Science Education nelle Scienze e nella Matematica (IBSME), Responsabile didattico del Polo di Napoli e membro del gruppo di coor-dinamento didattico del Programma SID per la diffusione dell’IBSE in Italia. Tutor nel Piano ISS, tutor d’Istituto nel Piano Nazionale “Qualità e Merito” PQM, con-duttrice di corsi di formazione in presenza e on-line, moderatrice di forum meto-dologico nell’ambito della formazione scientifica on-line INDIRE ed autrice di per-corsi mutimediali di biologia per INDIRE.

2. MAriA AlfAno. Docente di matematica e scienze nella scuola secondaria di 1° gra-do, tutor del piano ISS ed in corsi di formazione in presenza ed on-line, nell’ambi-to del PON Educazione scientifica B10, membro del gruppo di ricerca didattica per il Centro Pilota di Napoli del Progetto FIBONACCI, membro del gruppo nazio-nale di ricerca didattica del Progetto SID (Scientiam Inquirendo Discere), autrice di percorsi mutimediali di biologia per INDIRE, vincitrice del 1° premio “Concor-so Cesare Bonacini”.

3. ernestA De MAsi. Docente di Matematica e Fisica nella scuola secondaria di 2° gra-do, supervisore di tirocinio nella SSIS e tutor coordinatore per il TFA, Membro del gruppo di ricerca didattica per il Centro Pilota di Napoli del Progetto FIBONAC-CI e Membro del gruppo di coordinamento didattico nazionale del Programma SID per la diffusione dell’IBSE in Italia, formatrice nel Piano ISS, autrice di percor-si mutimediali per INDIRE, autrice di pubblicazioni di didattica delle scienze, do-cente esperta in corsi di formazione, membro della commissione internazionale per le prove di Fisica nel Baccalaureato Europeo. Ha ottenuto riconoscimenti an-che in ambito internazionale per la sua attività nella divulgazione scientifica e nel-la ricerca in didattica delle scienze.

4. GiuliA forni. Docente di matematica e scienze nella scuola secondaria di 1° gra-do. Consigliere dell’ANISN Campania. Coordinatore del Centro Pilota di Napoli del Progetto FIBONACCI per la diffusione dell’IBSE, Responsabile didattico del Po-lo di Napoli e membro del gruppo di coordinamento didattico del Programma SID per la diffusione dell’IBSE in Italia. Formatrice nel Piano ISS (Insegnare Scien-ze Sperimentali), in corsi di formazione rivolti a docenti nell’ambito della didattica delle scienze, delle NTD e della LIM, formatrice INVALSI per il Progetto OCSE PI-SA ed autrice di numerosi articoli di didattica delle Scienze e di percorsi multime-diali INDIRE.

5. AnnA PAscucci. Presidente nazionale dell’ANISN - Associazione Nazionale Inse-gnanti di Scienze Naturali. Responsabile e coordinatore per l’Italia del Progetto FIBONACCI sulla diffusione dell’Inquiry Based Science Education - IBSE. Il Proget-to è del VII Programma Quadro dell’UE www.fibonacci-project.eu ed è basato sul-la cooperazione di 25 partners di 21 paesi europei coordinati dal programma La main a la pate francese (École normale supérieure). Responsabile didattico nazio-nale del Programma Scientiam Inquirendo Discere - SID, programma di coopera-zione tra l’Accademia nazionale dei Lincei, il MIUR e l’ANISN per la diffusione n

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dell’IBSE – Inquiry Based Science Education – in Italia mediante la creazione di “centri pilota” secondo il modello sviluppato nel Progetto Fibonacci. Membro del-la Commissione per la diffusione della cultura scientifica presieduta da Luigi Ber-linguer. Membro del Gruppo di Pilotaggio Nazionale e del Comitato Scientifico del Piano ISS. Membro del CTS del Pon Ed. Scientifica 1° ciclo dell’INDIRE, forma-tore INVALSI per il Progetto OCSE-PISA. Autrice di numerosi articoli di didattica delle Scienze e di percorsi multimediali tra cui alcuni dell’INDIRE.

6. lAurA sAlsAno. Docente di scuola secondaria di 2° grado, membro del gruppo di ricerca didattica per il Centro Pilota di Napoli del Progetto FIBONACCI, membro del gruppo di coordinamento didattico del Polo di Napoli del Programma Scien-tiam Inquirendo Discere - SID per la diffusione dell’IBSE in Italia, tutor nel Piano ISS, autrice di percorsi mutimediali di biologia pubblicati dall’Agenzia Nazionale INDIRE e tutor di corsi di formazione nell’ambito del PON Educazione scientifica, incaricata della costruzione e sperimentazione di percorsi didattici laboratoriali di scienze in trienni di Scuole Secondarie di II Grado in “Laboratorio di Progettazio-ne Didattica” (LPD) indetto dal CIRED.

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XVI Convegno Nazionale ANISN

“Innovazione Didattica e Scelte Sostenibili per lo Sviluppo del Territorio”

Puglia 9-13 settembre 2013

Locorotondo (Bari), Centro di Ricerca, Sperimentazione e Formazione in Agricoltura “Basile Caramia)

Bari, Università “Aldo Moro”

Locorotondo, 9 settembre

9.00 Apertura della Segreteria

9.30-10.30 Apertura del Convegno e saluto delle Autorità

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Il Manifesto del Convegno

10.30-11.00 Sessione plenaria. “Le competenze e la loro didattica nel riordino dei cicli”

“Innovazione didattica e valutazione delle competenze” Paola Bortolon

Pausa caffè

11.15-12.30 “Progetti europei per l’innovazione didattica e lo sviluppo delle com-petenze”

Ferdinando Palmieri, Ordinario di Biochimica nell’Università di Bari Vincenzo Melilli, referente PON USR per la Puglia Anna Pascucci, Presidente nazionale ANISN

12.30-13.00 “Esempi di innovazione didattica funzionali allo sviluppo di compe-tenze generali”

Rosa Roberto, Presidente ANISN Puglia

Dibattito

Pausa pranzo

15.00-15.30 Sessione plenaria. “Competenze scientifiche e valorizzazione delle risorse del territorio per lo sviluppo sostenibile”

“Innovazione didattica e mondo del lavoro” Vito Nicola Savino, Dipartimento di Scienze del Suolo della Pianta e

degli Alimenti - Università degli Studi Bari Aldo Moro

15.30-16.00 “Nuovi strumenti per lo studio della geografia fisica e del territorio” Mimmo Capolongo

16.00-16.30 “Patrimonio geologico: tutela della geodiversità” Giuseppe Mastronuzzi, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

17.00-17.30 “Salvaguardia della biodiversità e sviluppo del territorio” dott. D. Pignone, CNR - Istituto di genetica vegetale, Bari

Dibattito

Visita ad Alberobello e cena in loco

Bari, 10 settembre

8.00-9.00 Trasferimento da Locorotondo all’Università degli studi “Aldo Moro”, Bari

9.00 Apertura della Segreteria

9.30-10.00 Sessione plenaria: “Biodiversità vegetale:didattica ed educazione scientifica”

“Biodiversità molecolare: aspetti di base e nuove tecnologie” prof. G. Pesole, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

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10.00-10.30 “Biodiversità microbica e biotecnologie alimentari” prof. M. Gobbetti, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

10.30-11.00 “Biodiversità e salute” prof.ssa P. Avato, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

11.00-11.30 “La filogenesi delle piante: tutto acquista senso alla luce dell’evolu-zione”

dott. Mario De Tullio, Lead Editor della Topic Room Cell Origins and Metabolism del portale Scitable

Pausa caffè

Sessioni parallele

I sessione: Visita guidata all’Herbarium Horti Botanici Barensis al Museo di Scienze della Terra dell’Università di Bari a cura del prof. Alessandro Monno e del dott. Ruggero Francescan-

geli

II sessione: Workshop e poster Progetti didattici realizzati dagli insegnanti partecipanti al Convegno.

Coordina prof.ssa Gabriella Colaprice, referente regionale ANISN per i “Giochi delle scienze sperimentali”

III sessione: Tavola rotonda/ focus on “Innovazione didattica e riordino dei cicli” Coordina: (il nome del coordinatore è da definire) Partecipano: docenti universitari, docenti del primo e secondo ciclo,

giornalisti, rappresentanti della politica, delle Associazioni (Natura viven-te, Scienza under 18, Agorà scienza, ecc.) dei musei della scienza, ecc.

14.00-15.30 Sessione plenaria

Riflessioni finali sui risultati della Tavola rotonda /Focus on a cura del coordinatore

Dibattito

Pranzo a sacco

Visita guidata nel borgo antico della città di Bari

Escursione alla riserva naturale di Torre Guaceto

Cena a Pezze di Greco

Locorotondo, 11 settembre

9.00 Apertura della Segreteria

9.30-10.00 Sessione plenaria: “Geodiversità, didattica e sviluppo del territorio”

“La Paleontologia ed il suo ruolo didattico-educativo” Rafael La Perna, Università degli studi di Bari “Aldo Moro”

10.00-10.30 Intervento da inserire

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10.30-11.00 “Cavità naturali e antropiche: indagini speleologiche” Mario Parise, CNR-IRPI, BariPausa caffè

Sessioni parallele

I sessione: Visita guidata Campi di Conservazione del germoplasma frutticolo e viticolo dott. Pasquale Venerito, Centro di Ricerca, Sperimentazione e For-

mazione in Agricoltura “Basile Cramia”, Locorotondo Mostra “Paesaggi Geologici della Puglia” prof. Salvatore Valletta, presidente SIGEA Puglia

II sessione: Workshop e poster Progetti didattici realizzati dagli insegnanti partecipanti al Convegno.

Coordina: (il nome del coordinatore è da definire)

III sessione: Tavola rotonda/focus on “Nuove competenze e nuove sfide per la professione docente” coordina: D.S ITIS “Majorana” di Brindisi partecipano: Docenti universitari, Rappresentanti del MIUR /USR,

Dirigenti scolastici, Docenti, giornalisti, politici, rappresentanti delle Associazioni, ecc.

Sessione plenaria

Riflessioni finali sui risultati della Tavola rotonda a cura del coordina-tore

DibattitoPranzo a saccoVisita alle Grotte di Castellana e a Polignano a MareCena (grigliata all’aperto) a Locorotondo offerta dal GAL (Gruppo Azione Locale)

Locorotondo, 12 settembre

9.00 Apertura della Segreteria

9.30-10.00 Sessione plenaria: “Salvaguardia della Biodiversità: occasione di ri-lancio delle economie locali”

“Il ruolo delle Regioni per la salvaguardia del germoplasma autocto-no: il caso Puglia”

dott. Luigi Trotta, Dirigente dell’Ufficio Innovazione e Conoscenza in Agricoltura della Regione Puglia

10.00-10.30 “Valorizzazione della biodiversità” dott. Pierfederico La Notte, CNR - Istituto di Virologia Vegetale -

Sez. di Bari

10.30-11.00 “Il Progetto Olviva: un caso concreto di recupero e valorizzazione del germoplasma locale”

dott.ssa Maria Saponari, CNR - Istituto di Virologia Vegetale - Sez. di Bari

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11.00-11.30 “Recupero, conservazione ed utilizzazione del germoplasma” prof. Vito Nicola Savino, Dipartimento di Scienze del Suolo della

Pianta e degli Alimenti - Università degli Studi Bari “Aldo Moro”Pausa caffè

Sessioni parallele

I sessione: Visita guidata Mostra pomologica dott. Pasquale Venerito, Centro di Ricerca, Sperimentazione e For-

mazione in Agricoltura “Basile Cramia”, Locorotondo Centro Regionale di Premoltiplicazione delle drupacee dott. Francesco Palmisano, Centro di Ricerca, Sperimentazione e

Formazione in Agricoltura “Basile Cramia”, Locorotondo

II sessione: Workshop e poster Progetti didattici realizzati dagli insegnanti partecipanti al Convegno Coordina: (il nome del coordinatore è da definire)

III sessione: Tavola rotonda /focus on “La riforma degli ordinamenti, la valutazione delle competenze e le

prove nazionali ed internazionali”. coordina: prof.ssa Anna Lepre partecipano: docenti universitari, docenti del primo e secondo ciclo,

giornalisti, rappresentanti della politica, delle Associazioni, ecc.

Sessione plenaria

Riflessioni finali sui risultati della Tavola rotonda a cura del coordina-tore

DibattitoPausa pranzo

15.30-17.30 Assemblea dei soci e votazioni per il rinnovo del Consiglio direttivo

Cena sociale

Locorotondo, 13 settembre

8.30 Apertura della Segreteria - rilascio attestati

Escursione per l’ intera giornataPranzo a saccoChiusura ConvegnoCena libera

Locorotondo, 14 settembre

Visita facoltativa (fuori quota e su prenotazione) al parco delle Pianelle e alla città di Martina Franca. Saluto del sindaco della città e degustazione di prodotti tipici locali.

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