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LA STAMPA SABATO 26 NOVEMBRE 2016 . VII guenza, strappando alla natura il primato del creare, «è diven- tato il creatore della tattica del- la sua vita: questa la sua gran- dezza; – e il suo destino». È nell’ultima parte del testo che Spengler viene problema- tizzando la questione della tec- nica, i risvolti più inquietanti della «civiltà faustiana». Egli si sofferma con insistenza su quel rovesciamento tra creatore e creato che fa sì che la tecnica, da prodotto del fare umano, si capovolga, in ultimo, in padro- na assoluta del mondo della vi- ta. Facendo dell’uomo stesso un suo oggetto o, come dirà Hei- degger, un suo «giocattolo». Nel trionfo della «meccanizzazione del mondo», accade, così, che «la stessa civiltà è diventata una macchina che fa o vuole ogni cosa per mezzo di macchi- ne». Il testo, strutturalmente aporetico, si chiude con doman- de di senso e con intuizioni cir- ca il possibile destino della tec- nica. Ci consegna, a maggior ra- gione oggi, una domanda che, variando la sintassi di Heideg- ger, così potremmo compendia- re: chi ci può ancora salvare? c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI LE SCELTE DEL REGISTA Vi sarà dolce naufragar nell’infinito di D’Avenia Così il bestseller su Leopardi è arrivato in palcoscenico la chiave del successo è lui, il prof in scena: riesce a tirare fuori pensieri e desideri dei ragazzi-pubblico U n amico, professore di letteratura al- l’Università, mi ha raccontato che ogni anno chiede ai suoi nuovi allievi i tre scrittori viventi che preferiscono. I più votati so- no Baricco, Saviano e… E non gli veniva il terzo nome. D’Avenia, gli suggerisco. Giusto! Mi fa lui: ma tu lo conosci? Si. Vale la pena leg- gerlo? Direi proprio di si. D’Avenia ho cominciato a leg- gerlo su La Stampa. Mi piaceva- no i suoi articoli che parlavano di padri e figli, del rapporto tra le generazioni, della rinuncia al- l’educazione di questo nostro mondo rapidissimo. Poi, mentre giravo un film con dei ragazzi, una di loro stava leggendo Bianca nia il suo libro l’ha scritto da pro- fessore. Un giovane professore, ma comunque un adulto. Non è facile per un adulto connettersi all’universo dei giovanissimi. Non è mai stato facile, ma con i nativi digitali è ancora più diffici- le. D’Avenia ci riesce perché si as- sume la responsabilità dell’edu- care. Lo si capisce guardandolo nella sua classe. Quando mi ha chiesto di curare il racconto del suo nuovo libro per il teatro, ho voluto vedere le sue lezioni nel li- ceo dove continua ad insegnare italiano e latino. La lezione su Le- opardi è stata subito una sorta di sintesi de L’arte di essere fragili. Vederlo parlare ai suoi allievi era come se il libro prendesse corpo. E’ una cosa rara quella che vede- vo accadere. Per spiegarla ho bi- sogno di Carmelo Bene. Lui dice- va: sulla scena io non parlo, sono parlato. Questo è quello che dovrebbe sempre accadere in teatro. C’è il corpo dell’attore e ci sono i corpi degli spettatori. L’attore che par- la può ascoltare coloro che lo ascoltano. Per cui, quello che di- ce, entra in un circolo di comuni- cazione profonda. E’ come se fos- sero gli spettatori stessi a parla- re. Quante volte pensiamo, leg- gendo un libro: sta scrivendo quello che penso anch’io, solo che io non riuscivo a trovare le paro- le. In teatro l’esperienza si inten- sifica: sta dicendo quello che pen- so anch’io, solo che io non riusci- vo a dirlo. Dire comporta un’as- sunzione di responsabilità più in- tensa di scrivere. Non che l’una cosa valga più dell’altra. E’ che quando si dice, chi ascolta è lì, presente. La presenza è il segreto del successo di Alessandro D’Ave- nia. Del suo successo editoriale come del suo successo di inse- gnante. E adesso anche di «atto- re» sul palcoscenico. Il narrato- re presente a sé stesso costringe chi ascolta, gli studenti a scuola, gli spettatori a teatro, ad essere a loro volta presenti. Così si compie il circuito della comuni- cazione reale. Quello che parla non può prescindere dall’ascol- tare quelli che ascoltano. Alla fi- ne viene da chiedersi: chi è che parla e chi è che ascolta? E’ qual- cosa di simile a quello che spiega Leopardi ne «L’infinito». Sem- pre caro mi fu quest’ermo colle, E questa siepe, che da tanta par- GABRIELE VACIS Alessandro D’Avenia, 39 anni, insegna Lettere al liceo. Ha esordito con «Bianca come il latte, rossa come il sangue», sono seguiti «Cose che nessuno sa», «Ciò che inferno non è» Alessandro D’Avenia «L’arte di essere fragili» Mondadori pp. 209, €19 Al Colosseo di Torino, il 5 dicembre Un disegno di Berruti sulle pagine di un’edizione del 1908 di «Come il vento tra i salici» Il volume sarà presentato venerdì prossimo al Centro studi Beppe Fenoglio (ore 18,30): l’artista in dialogo con Paola Farinetti IL LIBRO Nascita di uno spettacolo I l libro di D’Avenia «L’arte di essere fragili» è diventato anche spettacolo teatrale, gratuito, in giro per l’Italia. Non un semplice monologo, ma una Narr-Azione: parola che di volta in volta si nutre dei luoghi e degli incontri con le persone, diventando un racconto sempre nuovo, quante sono le serate. Al centro, la storia di Leopardi e della sua fragilità, che egli seppe trasformare in canto, in poesia universale ed eterna, senza trincerarsi dietro nessun alibi (sebbene ne avesse parecchi): perché decise di «fare qualcosa di bello al mondo, conosciuto che sia o no da altrui» come dice nello Zibaldone. Minuto dopo minuto il pubblico è inserito in un vero e proprio esercizio di meraviglia, quello di chi scopre la poesia incastrata nella vita quotidiana, il sublime nell’ordinario, e risponde all’appello della bellezza cercando di replicarla. Con la regia di Gabriele Vacis (autore dell’articolo di questa pagina) e le scenofonie di Gabriele Tarasco, D’Avenia prova a trasformare un teatro in una classe senza muri, a cielo aperto, perché chiunque partecipi, a qualsiasi età, accompagnato da parola, musica, immagini e lettura dei capolavori leopardiani, possa sperimentare che la notte dei desideri è ogni notte e che la letteratura salva la vita, solo quando siamo disposti ad ascoltarla davvero. In un’epoca in cui sembra che siano titolati a vivere solo i perfetti, questo messaggio è più che mai necessario. Lo spettacolo sarà a Torino, al teatro Colosseo, il 5 dicembre (ore 21), organizzato dal Festival Sottodiciotto e dal Circolo dei lettori. tutto misurarsi con la lingua di Grahame: «alta», comples- sa, di notevole ricchezza les- sicale. L’inglese mezzo inven- tato con cui Beppe scrive le prime stesure del Partigiano Johnny e poi di Primavera di bellezza deve molto al Vento, che gioca così bene con i suo- ni e le parole composte che tanto gli piacevano. Andata esaurita l’edizione cartacea, l’editore Gallucci ripropone il Vento nei salici in quella che è anche una specie di oggetto multimediale fir- mato dal giovane artista al- bese Valerio Berruti, che comprende una colonna so- nora firmata dall’amico Gian- maria Testa, coinvolto nel- l’impresa. Nel suo originale formato rettangolare, un flip- book, in cui alla traduzione fenogliana si accompagnano 71 disegni di Berruti, sovrim- pressi sulle pagine dell’edi- zione inglese del 1917, che sfo- gliati rapidamente in sequen- za creano una animazione, dove un bambino seduto in terra si gira a guardare verso il lettore-spettatore che inte- ragisce con lui. Un omaggio a Fenoglio, a Testa, alla Langa, un libro multiplo, che avreb- be rallegrato quello speri- mentatore sempre insoddi- sfatto di sé che era l’inglese di Alba. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Il romanzo di Kenneth Grahame sta a metà tra Alice e Beatrix Potter Ma il rischio è che essa diventi padrona assoluta dell’agire umano Veder parlare l’insegnante-scrittore fa venire in mente Carmelo Bene: non parlo, sono parlato te Dell’ultimo orizzonte il guar- do esclude. E’ una questione di articoli e preposizioni. Perché scrive da tanta parte? Perché scrive il guardo esclude? Se fos- se: …che tanta parte dell’ultimo orizzonte al guardo esclude, sa- rebbe tutto più chiaro, no? Inve- ce quel da ribalta la prospettiva: non è che Leopardi guarda e la siepe gli nasconde l’ultimo oriz- zonte. E’ che Leopardi è guarda- to. E’ che ci sono momenti in cui riuscire a vedere davvero quello che guardiamo permette all’uni- verso di vederci, di guardarci a sua volta. Ed è questo che ci fa naufragare dolcemente nel ma- re dell’infinito. Così gli allievi di D’Avenia, grazie alla «presenza» del pro- fessore, ma sarebbe meglio dire del maestro, sono guardati, sono ascoltati. Questo intendevo quando dicevo: assumersi la re- sponsabilità dell’educare, riusci- re veramente a tirare fuori i pen- sieri, i desideri, la presenza dei ragazzi. Connettersi con l’uni- verso dei giovanissimi. Leggen- do soprattutto gli ultimi due libri di D’Avenia, Ciò che inferno non è e L’arte di essere fragili, l’impres- sione è che scriva come parla, o meglio: come è parlato, a scuola e a teatro. Vale la pena leggerlo? Si, e anche ascoltarlo. c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI come il latte rossa come il sangue. Com’è? Le ho chiesto. Bellissimo, mi ha risposto. Vale la pena leg- gerlo? Direi proprio di si, appena l’ho finito te lo regalo. Leggere quel libro mi ha ricor- dato l’effetto che aveva avuto su di me, e su molti miei coetanei, Boccalone, storia vera piena di bu- gie di Enrico Palandri. Quando l’ho letto avevo più o meno l’età della ragazza che mi ha regalato Bianca come il latte rossa come il sangue. Sono libri «generaziona- li». Quarant’anni fa Boccalone eravamo noi. Quel libro aggrega- va un «noi» di ragazzi che voleva- no lasciarsi alle spalle gli anni di piombo. Che volevano passare dalle parole rivoluzionarie, alla rivoluzione dei rapporti tra le persone e dei sessi. Molti anni dopo il libro di D’Avenia aggrega- va un «noi» di ragazzi che voleva- no rompere la campana di vetro di sicurezze che noi genitori gli avevamo costruito. Che voleva- no affrontare da soli le ingiurie del diventare grandi. Sono libri che segnano. Dopo Boccalone Palandri ha scritto romanzi molto più belli ed importanti. Ma quel libretto là, occupa un posto speciale nella mia memoria. E lo stesso vedo capitare agli adolescenti che han- no letto Bianca come il latte rossa come il sangue. C’è una differenza, però, tra i due libri. Quando Pa- landri scrisse Boccalone aveva la stessa età dei suoi lettori. D’Ave- Gabriele Vacis, 61 anni, fondatore del Teatro Settimo all’inizio degli Anni 80, si è cimentato in svariati campi della regia, dal teatro, all’opera lirica, alla tv Nella foto a destra un’immagine dello spettacolo con D’Avenia Oswald Spengler (1880-1936) studiò matematica, filosofia, storia e storia dell’arte nelle università di Monaco e di Berlino. La sua fama è legata al «Tramonto dell’Occidente», concepito prima della guerra mondiale e pubblicato a Monaco subito dopo la sua fine, tra il 1918 e il ’22

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LA STAMPASABATO 26 NOVEMBRE 2016 .VII

guenza, strappando alla naturail primato del creare, «è diven-tato il creatore della tattica del-la sua vita: questa la sua gran-dezza; – e il suo destino».

È nell’ultima parte del testoche Spengler viene problema-tizzando la questione della tec-nica, i risvolti più inquietantidella «civiltà faustiana». Egli sisofferma con insistenza su quelrovesciamento tra creatore ecreato che fa sì che la tecnica,da prodotto del fare umano, sicapovolga, in ultimo, in padro-na assoluta del mondo della vi-ta. Facendo dell’uomo stesso unsuo oggetto o, come dirà Hei-degger, un suo «giocattolo». Neltrionfo della «meccanizzazionedel mondo», accade, così, che «la stessa civiltà è diventata

una macchina che fa o vuoleogni cosa per mezzo di macchi-ne». Il testo, strutturalmente aporetico, si chiude con doman-de di senso e con intuizioni cir-ca il possibile destino della tec-nica. Ci consegna, a maggior ra-gione oggi, una domanda che, variando la sintassi di Heideg-ger, così potremmo compendia-re: chi ci può ancora salvare?

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

LE SCELTE DEL REGISTA

Vi sarà dolce naufragarnell’infinito di D’AveniaCosì il bestseller su Leopardi è arrivato in palcoscenicola chiave del successo è lui, il prof in scena: riescea tirare fuori pensieri e desideri dei ragazzi­pubblico 

Un amico, professoredi letteratura al-l’Università, mi haraccontato che ognianno chiede ai suoi

nuovi allievi i tre scrittori viventi che preferiscono. I più votati so-no Baricco, Saviano e… E non gli veniva il terzo nome. D’Avenia, glisuggerisco. Giusto! Mi fa lui: ma tu lo conosci? Si. Vale la pena leg-gerlo? Direi proprio di si.

D’Avenia ho cominciato a leg-gerlo su La Stampa. Mi piaceva-no i suoi articoli che parlavano di padri e figli, del rapporto tra legenerazioni, della rinuncia al-l’educazione di questo nostro mondo rapidissimo. Poi, mentre giravo un film con dei ragazzi, una di loro stava leggendo Bianca

nia il suo libro l’ha scritto da pro-fessore. Un giovane professore, ma comunque un adulto. Non è facile per un adulto connettersi all’universo dei giovanissimi. Non è mai stato facile, ma con i nativi digitali è ancora più diffici-le. D’Avenia ci riesce perché si as-sume la responsabilità dell’edu-care. Lo si capisce guardandolo nella sua classe. Quando mi ha chiesto di curare il racconto del suo nuovo libro per il teatro, ho voluto vedere le sue lezioni nel li-ceo dove continua ad insegnare italiano e latino. La lezione su Le-opardi è stata subito una sorta di sintesi de L’arte di essere fragili. Vederlo parlare ai suoi allievi era come se il libro prendesse corpo. E’ una cosa rara quella che vede-vo accadere. Per spiegarla ho bi-sogno di Carmelo Bene. Lui dice-va: sulla scena io non parlo, sono parlato.

Questo è quello che dovrebbesempre accadere in teatro. C’è il corpo dell’attore e ci sono i corpi degli spettatori. L’attore che par-la può ascoltare coloro che lo ascoltano. Per cui, quello che di-ce, entra in un circolo di comuni-cazione profonda. E’ come se fos-sero gli spettatori stessi a parla-re. Quante volte pensiamo, leg-gendo un libro: sta scrivendo quello che penso anch’io, solo cheio non riuscivo a trovare le paro-

le. In teatro l’esperienza si inten-sifica: sta dicendo quello che pen-so anch’io, solo che io non riusci-vo a dirlo. Dire comporta un’as-sunzione di responsabilità più in-tensa di scrivere. Non che l’una cosa valga più dell’altra. E’ che quando si dice, chi ascolta è lì, presente.

La presenza è il segreto delsuccesso di Alessandro D’Ave-nia. Del suo successo editorialecome del suo successo di inse-

gnante. E adesso anche di «atto-re» sul palcoscenico. Il narrato-re presente a sé stesso costringechi ascolta, gli studenti a scuola,gli spettatori a teatro, ad essere a loro volta presenti. Così sicompie il circuito della comuni-cazione reale. Quello che parla non può prescindere dall’ascol-tare quelli che ascoltano. Alla fi-ne viene da chiedersi: chi è che parla e chi è che ascolta? E’ qual-cosa di simile a quello che spiegaLeopardi ne «L’infinito». Sem-pre caro mi fu quest’ermo colle,E questa siepe, che da tanta par-

GABRIELE VACIS

AlessandroD’Avenia,

39 anni,insegna

Lettere alliceo. Ha

esordito con«Bianca

come il latte,rossa come il

sangue»,sono seguiti

«Cose chenessuno sa»,

«Ciò cheinfernonon è»

AlessandroD’Avenia

«L’artedi esserefragili»

Mondadoripp. 209, €19

Al Colosseo di Torino, il 5 dicembre

Un disegno diBerruti

sulle paginedi un’edizione

del 1908di «Come il vento

tra i salici»

Il volume saràpresentato

venerdì prossimoal Centro studiBeppe Fenoglio

(ore 18,30):l’artista in

dialogo con PaolaFarinetti

IL LIBRO

Nascitadi unospettacolo

I l libro di D’Avenia «L’arte di esserefragili» è diventato anche spettacolo teatrale, gratuito, in

giro per l’Italia. Non un semplice monologo, ma una Narr-Azione: parola che di volta in volta si nutre dei luoghi e degli incontri con le persone, diventando un racconto sempre nuovo, quante sono le serate. Al centro, la storia di Leopardi e della sua fragilità, che egli seppe trasformare in canto, in poesia universale ed eterna, senza trincerarsi dietro nessun alibi (sebbene ne avesse parecchi): perché decise di «fare qualcosa di bello al mondo, conosciuto che sia o no da altrui» come dice nello Zibaldone.

Minuto dopo minuto il pubblico è inserito in un vero e proprio esercizio di meraviglia, quello di chi scopre la poesia incastrata nella vita

quotidiana, il sublime nell’ordinario, e risponde all’appello della bellezza cercando di replicarla.

Con la regia di Gabriele Vacis (autoredell’articolo di questa pagina) e le scenofonie di Gabriele Tarasco, D’Avenia prova a trasformare un teatro in una classe senza muri, a cielo aperto, perché chiunque partecipi, a qualsiasi età, accompagnato da parola, musica, immagini e lettura dei capolavori leopardiani, possa sperimentare che la notte dei desideri è ogni notte e che la letteratura salva la vita, solo quando siamo disposti ad ascoltarla davvero. In un’epoca in cui sembra che siano titolati a vivere solo i perfetti, questo messaggio è più che mai necessario.

Lo spettacolo sarà a Torino, al teatroColosseo, il 5 dicembre (ore 21), organizzato dal Festival Sottodiciotto e dal Circolo dei lettori.

tutto misurarsi con la linguadi Grahame: «alta», comples-sa, di notevole ricchezza les-sicale. L’inglese mezzo inven-tato con cui Beppe scrive leprime stesure del PartigianoJohnny e poi di Primavera dibellezza deve molto al Vento,che gioca così bene con i suo-ni e le parole composte chetanto gli piacevano.

Andata esaurita l’edizionecartacea, l’editore Gallucciripropone il Vento nei salici inquella che è anche una speciedi oggetto multimediale fir-mato dal giovane artista al-bese Valerio Berruti, che

comprende una colonna so-nora firmata dall’amico Gian-maria Testa, coinvolto nel-l’impresa. Nel suo originaleformato rettangolare, un flip-book, in cui alla traduzionefenogliana si accompagnano71 disegni di Berruti, sovrim-pressi sulle pagine dell’edi-zione inglese del 1917, che sfo-gliati rapidamente in sequen-za creano una animazione,dove un bambino seduto interra si gira a guardare versoil lettore-spettatore che inte-ragisce con lui. Un omaggio aFenoglio, a Testa, alla Langa,un libro multiplo, che avreb-be rallegrato quello speri-mentatore sempre insoddi-sfatto di sé che era l’inglesedi Alba.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Il romanzo di Kenneth Grahamesta a metà tra Alice e Beatrix Potter

Ma il rischio è che essa diventipadrona assolutadell’agire umano

Veder parlarel’insegnante-scrittorefa venire in menteCarmelo Bene: nonparlo, sono parlato

te Dell’ultimo orizzonte il guar-do esclude. E’ una questione diarticoli e preposizioni. Perchéscrive da tanta parte? Perchéscrive il guardo esclude? Se fos-se: …che tanta parte dell’ultimoorizzonte al guardo esclude, sa-rebbe tutto più chiaro, no? Inve-ce quel da ribalta la prospettiva:non è che Leopardi guarda e lasiepe gli nasconde l’ultimo oriz-zonte. E’ che Leopardi è guarda-to. E’ che ci sono momenti in cuiriuscire a vedere davvero quelloche guardiamo permette all’uni-verso di vederci, di guardarci asua volta. Ed è questo che ci fa naufragare dolcemente nel ma-re dell’infinito.

Così gli allievi di D’Avenia,grazie alla «presenza» del pro-fessore, ma sarebbe meglio dire del maestro, sono guardati, sono ascoltati. Questo intendevo quando dicevo: assumersi la re-sponsabilità dell’educare, riusci-re veramente a tirare fuori i pen-sieri, i desideri, la presenza dei ragazzi. Connettersi con l’uni-verso dei giovanissimi. Leggen-do soprattutto gli ultimi due libri di D’Avenia, Ciò che inferno non è eL’arte di essere fragili, l’impres-sione è che scriva come parla, o meglio: come è parlato, a scuola ea teatro. Vale la pena leggerlo? Si,e anche ascoltarlo.

c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

come il latte rossa come il sangue. Com’è? Le ho chiesto. Bellissimo,mi ha risposto. Vale la pena leg-gerlo? Direi proprio di si, appena l’ho finito te lo regalo.

Leggere quel libro mi ha ricor-dato l’effetto che aveva avuto su di me, e su molti miei coetanei, Boccalone, storia vera piena di bu-gie di Enrico Palandri. Quando l’ho letto avevo più o meno l’età della ragazza che mi ha regalato Bianca come il latte rossa come il sangue. Sono libri «generaziona-li». Quarant’anni fa Boccalone eravamo noi. Quel libro aggrega-va un «noi» di ragazzi che voleva-no lasciarsi alle spalle gli anni di piombo. Che volevano passare dalle parole rivoluzionarie, alla rivoluzione dei rapporti tra lepersone e dei sessi. Molti annidopo il libro di D’Avenia aggrega-va un «noi» di ragazzi che voleva-no rompere la campana di vetro di sicurezze che noi genitori gliavevamo costruito. Che voleva-no affrontare da soli le ingiurie del diventare grandi. Sono libri che segnano.

Dopo Boccalone Palandri hascritto romanzi molto più belli edimportanti. Ma quel libretto là, occupa un posto speciale nella mia memoria. E lo stesso vedo capitare agli adolescenti che han-no letto Bianca come il latte rossa come il sangue. C’è una differenza,però, tra i due libri. Quando Pa-landri scrisse Boccalone aveva la stessa età dei suoi lettori. D’Ave-

GabrieleVacis,

61 anni,fondatore del Teatro

Settimoall’inizio

degli Anni 80,

si è cimentatoin svariati

campi dellaregia, dal

teatro,all’opera

lirica, alla tv

Nella fotoa destra

un’immaginedello

spettacolocon D’Avenia

Oswald Spengler

(1880-1936) studiò

matematica, filosofia,

storia e storia dell’arte

nelle universitàdi Monaco

e di Berlino.La sua fama

è legataal «Tramonto

dell’Occidente», concepito

prima della guerra

mondialee pubblicato

a Monacosubito dopola sua fine,

tra il 1918 e il ’22