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Viale Ceccarini e il suo filare di pini domestici hanno accompagnato l’evoluzione e la trasformazione della città di Riccione nel tempo. Le peculiarità del Pinus pinea Il pino domestico (Pinus pinea) è sicuramente una delle specie più rappresentative del paesaggio italiano. Tuttavia, la sua ormai irrinunciabile presenza nel contesto urbano si traduce sia in un apparentemente insanabile danneggiamento dei manufatti, sia in un rischio per le persone, esposte all’imprevedibile verificarsi di cedimenti strutturali. Purtroppo, le peculiari caratteristiche anatomiche, morfologiche e fisiologiche di questa specie la rendono particolarmente refrattaria all’impiego delle più note pratiche diagnostiche e arboricolturali per la sua adeguata gestione di lungo periodo. In questo senso, il patrimonio arboreo di Viale Ceccarini a Riccione rappresenta un caso emblematico nel quale l’importanza storica del Pinus pinea si coniuga con la riconoscibilità del sito e con i più comuni disagi causati da questo albero. Forte del patrimonio di informazioni relative all’impianto arboreo del viale, a partire dal 2009 Geat Spa, azienda al servizio di diverse municipalità tra cui la città di Riccione, ha commissionato un approfondito studio di questi pini, coinvolgendo un gruppo di lavoro internazionale di professionisti, costituito da Pierre Raimbault, Mark Duntemann, Stefania Gasperini e Giovanni Morelli. ACER 3/2011 • 20 SARA PANELLI A ©IL V

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Viale Ceccarini e il suo filare di pini domestici hannoaccompagnato l’evoluzione e la trasformazione della città di Riccione nel tempo.

Le peculiaritàdel Pinus pinea

Il pino domestico (Pinus pinea)è sicuramente una dellespecie più rappresentative del paesaggio italiano.Tuttavia, la sua ormaiirrinunciabile presenza nel contesto urbano si traduce sia in unapparentemente insanabiledanneggiamento deimanufatti, sia in un rischioper le persone, esposteall’imprevedibile verificarsidi cedimenti strutturali.Purtroppo, le peculiaricaratteristiche anatomiche,morfologiche e fisiologiche di questa specie la rendonoparticolarmente refrattariaall’impiego delle più note pratichediagnostiche e arboricolturali per la sua adeguata gestione di lungo periodo. In questo senso, il patrimonio arboreo di Viale Ceccarini a Riccionerappresenta un caso emblematiconel quale l’importanza storica del Pinus pinea si coniuga con la riconoscibilità del sito e con i più comuni disagi causatida questo albero.Forte del patrimonio diinformazioni relative all’impiantoarboreo del viale, a partire dal2009 Geat Spa, azienda al serviziodi diverse municipalità tra cui la città di Riccione, ha commissionato un approfonditostudio di questi pini, coinvolgendoun gruppo di lavoro internazionaledi professionisti, costituito daPierre Raimbault, MarkDuntemann, Stefania Gasperini e Giovanni Morelli.

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PARLIAMO DI... PINO DOMESTICO IN AMBITO URBANO

Testo ed elaborazioni grafiche di Giovanni Morelli, agronomo; Pierre Raimbault, esperto di fisio-morfologia delle piante arboree

Un cittadinosconosciuto

I l pino domestico (Pinus pinea), albero emblema-tico del paesaggio costiero italiano, deve la suafortuna alla capacità di sviluppare il suo incon-

fondibile profilo in tutte le condizioni pedoclimaticheche gli vengono offerte, comprese quelle più ostili,proprie del contesto urbano. D’altro canto, l’onni-presenza di questa specie nei centri abitati della costaadriatica centro-settentrionale evidenzia almeno dueben note problematiche: il sollevamento sistematicodelle pavimentazioni e l’occasionale, talvolta inspie-

Lo studio, partendo dall’analisi delle caratteristiche generali del Pinus pineae arricchito dall’esame ipogeo ed epigeo di numerosi impianti arborei, ha cercato di svelare i meccanismi biologici che sottendono al suo peculiare comportamento,al fine di ottenere indicazioni utili per la sua corretta gestione in città

gabile cedimento strutturale di esemplari ritenutifisiologicamente sani e meccanicamente stabili.

La città di Riccione, di fronte al cronico ripropor-si di questi fenomeni su Viale Ceccarini, l’asse stra-dale più rappresentativo del noto centro turistico,ha quindi deciso di condurre uno studio orientatoalla determinazione delle poco approfondite causedella loro insorgenza. Questa decisione, tuttavia,poneva evidentemente un primo quesito di caratteremetodologico: come può essere affrontato lo t

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studio di una specie arborea presso-ché sconosciuta? In termini generali,infatti, lo studio degli alberi si articola intre fasi tra loro sinergiche pur se concet-tualmente ben distinte: analisi fitosanita-ria, analisi meccanica (valutazione distabilità) e, più recentemente, analisimorfo-fisiologica. Tuttavia, questa conso-lidata consuetudine diagnostica non risul-ta soddisfacente nel caso del pino dome-stico. Quali conseguenze trarre da questaconstatazione? Il pino domestico presen-ta forse caratteristiche che lo distinguonoda altre specie? Di fatto, tali interrogativihanno guidato questo studio alla definizio-ne delle peculiarità morfogenetiche siadella porzione aerea che dell’apparatoradicale, alla scoperta delle singolari carat-teristiche strutturali del legno e degli origi-nali comportamenti meccanici dellaspecie; il tutto nell’intento di proporre unaspiegazione delle attitudini plastiche estrutturali del pino.

Le peculiarità della porzione aerea

Lo sviluppo individuale di ogni alberosegue alcune regole generali, il cui risul-

Più che un viale, un’istituzione …

V iale Ceccarini, Riccione, più che un viale, un’istituzione…”. Ci è rimasto nelleorecchie, a noi riccionesi, questo ritornello di una delle canzoni più note di

Dino Sarti, che è stato uno chansonnier bolognese, innamorato della nostra città.Ci raccontava a modo suo il fascino che questo viale, con i suoi locali eleganti, isuoi bar, lo “struscio” delle passeggiate estive, esercitava sul bagnante venuto dafuori. Non è stato ancora spiegato come è accaduto che un semplice viottolo al-berato, che collegava l’abitato, il Paese, alla marina, sia poi assurto alla dignità diun luogo-simbolo del saper vivere. In realtà, raccontare la storia di viale Ceccari-ni, significa ripercorrere la storia della città di Riccione.La prima data da citare è il 1865: la fermata regolare del treno omnibus al passag-gio a livello in fondo al viottolo. Uno dei primi a scommettere sul futuro fu il conteGiacinto Martinelli che elabora un “piano regolatore” da città-giardino, con ampi via-li alberati, generosi di ombreggiatura nei mesi estivi. Lungo il viale aprono i primi ri-storanti sulla marina. Una benefattrice venuta dalle Americhe, Maria Boorman inCeccarini, mette a disposizione le sue ricchezze per costruire un ospedale e ungiardino d’infanzia. Siamo nel 1893, e il generatore elettrico dell’ospedale accendeanche i lampioni del viale. Riccione deve tutto a questa signora, e al marito Giovan-ni, medico e patriota pesarese, e nel 1912 il viale le viene ufficialmente dedicato.Nel frattempo, il viale è già assurto a luogo di passeggio elegante. C’è il teatroSghedoni, dove si tengono le feste, e si rispecchia l’aristocrazia del denaro e delleprofessioni. L’avvento del Fascismo porta a Riccione, al seguito del Duce, tutto il belmondo romano, lo star-system del Ventennio. Gli anni Sessanta, con le loro folliecolorate, confermano Riccione nel suo ruolo di vetrina internazionale.Quello che rimane oggi di tanto splendore, è lo spirito di una città che vuole rima-nere al top. Che si propone come laboratorio di idee per sperimentare il nuovo, glistili di vita che segneranno gli anni a venire, le tendenze e le mode che si evolvo-no e si rinnovano senza posa. Viale Ceccarini oggi deve essere per noi il simbolodi questa ricerca, il luogo di un’identità e di una tensione continua verso il nuovo.Perché questo Riccione vuole continuare a essere un posto in cui vivere bene.

Massimo Pironi, Sindaco di Riccione

Figura 1 - Sviluppo del pino domestico. A, B. Negli stadi 3 e 4, la dominanza apicale del tronco (freccia) è troppo forte per permettere lo sviluppoipotono delle branche laterali, tutte spiccatamente plagiotrope (orizzontali). C. Allo stadio 5, il fisiologico indebolimento della dominanza apicalepermette il progressivo sviluppo ipotono degli assi secondari e terziari. La struttura del pino rappresentato è segnata da due bruschi arresti delladominanza apicale, coincidenti con altrettanti livelli di biforcazione a tronchi ineguali (frecce rosse). D. Allo stadio 6, l’ormai marginale azione delladominanza apicale porta, nel giro di alcuni anni, allo sviluppo isotono delle branche principali; l’ipotonia resta fortemente rappresentata solo sullebranche secondarie.Si osserva anche una precoce comparsa dell’epitonia sul tronco secondario inclinato, frutto di un primitivo disturbo della domi-nanza apicale. E. Allo stadio 7, l’isotonia si generalizza alle estremità delle branche principali, le cui ramificazioni secondarie, tuttavia, mantengo-no una spiccata ipotonia. Le branche più basse, invece, sviluppano contemporaneamente ed in reciproca concorrenza, sia un asse principaleche si raddrizza isotonicamente, che delle branche epitone che si incurvano verso la luce; sopravvivono anche i vecchi ipotoni.

interruzionedelladominanzaapicale

ipotoniaforte

ipotoniaforte

ipotoniamoderata

A STADIO 3

B STADIO 4 C STADIO 5

FIGURA 1 - STADI 3, 4, 5

AP

PA

RA

TO

AE

RE

O

isotonia

brancheipotone

vecchiabrancaipotona

vecchiebrancheipotone

brancheepitone

brancheipotone

branche epitone,incurvate perraggiungere lavolta della chioma

isotonia

D STADIO 6

E STADIO 7

FIGURA 1 - STADI 6, 7

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tato architettonico è codificabile in diecistadi di sviluppo (indicati con numeri da1 a 10), espressione plastica del succeder-si di quattro diverse strategie di sviluppo:crescita in altezza (stadi da 1 a 4), cresci-ta in volume (stadi 5 e 6), mantenimentodella struttura (stadi 7 e 8) e riorganizza-zione dell’intera struttura (stadi 9 e10).

Anche il pino domestico segue questoschema generale che però, a causa di alcu-ne sue specificità, non è in grado dicondurre a pieno compimento.La crescita in altezza

La crescita in altezza, responsabile dellaformazione del tronco, è dovuta alla domi-nanza apicale dell’asse principale, lacosiddetta “freccia”, sulle branche latera-li. Nella maggior parte delle specie arbo-ree, tale meccanismo si traduce in un tipi-co profilo allungato e assurgente dellachioma giovanile. Nel pino domestico,invece, gli assi dominanti, anche se didiametro maggiore, sono più corti degliassi dominati, portando alla predisposizio-ne di un tronco massiccio ma di lunghez-za inferiore a quella delle branche latera-li e a un profilo della chioma da subitotipicamente arrotondato (figura 1-A, B).

Peraltro, questo anticipato allargamentodella chioma risulta ulteriormente accen-tuato dalla crescita privilegiata delle bran-che che si sviluppano sulla “faccia” infe-riore o esterna degli assi principali, secon-do un modo di sviluppo che prende ilnome di ipotonia (figura 1-C).La crescita in volume

La crescita in volume, responsabiledella formazione della chioma, è legataal progressivo affievolirsi della dominan-za apicale. In questa fase, infatti, le bran-che principali, finalmente libere di svilup-parsi, raddrizzano la loro estremità einiziano a ramificarsi in modo simmetri-co, secondo una modalità di sviluppodetta isotonia. Il pino domestico, invece,presenta uno sviluppo ipotono talmentepronunciato e persistente che il comples-sivo allungamento delle branche princi-pali si realizza per accumulo successivodi ramificazioni ipotone e non, comeaccade nella maggior parte delle altrespecie, a causa dell’effettiva crescitadell’asse principale. In questo modo,dunque, l’albero procede rapidamenteall’allargamento della chioma che divie-ne tipicamente ovoidale con asse princi-

pale parallelo alla superficie del suolo(figura 1-C, D).Il mantenimento della struttura

Nella maggior parte degli alberi, l’al-lungamento delle branche principali nonprosegue indefinitamente. In effetti, soli-tamente, a un certo punto della lorocrescita le branche laterali tendono asviluppare nuove vigorose ramificazionia partire da meristemi latenti collocatisulla loro “faccia” superiore e in posizio-ne arretrata: questo modello di ramifica-zione prende il nome di epitonia.

Le ramificazioni epitone, la cui cresci-ta è più vigorosa sia di quella dell’asseprincipale che dei vecchi ipotoni, destina-ti a morire, sono all’origine del rinnova-mento progressivo della chioma allostadio 7, inaugurando così la strategia dimantenimento della struttura arborea.

Il pino domestico, tuttavia, non ha lapossibilità fisiologica di questo rinnova-mento e l’allungamento della branca puòdunque proseguire indisturbato (figura 1-E). Per l’albero, si tratta di una “condan-na” meccanica: prima o poi, solo l’inevi-tabile collasso meccanico della strutturarameale metterà fine a questo proces-

radici cordiformi inposizione strozzante

rigonfiamentobasale

FIGURA 3 - STADIO F (VISTA DALL’ALTO)

Figura 2 - Sviluppo dell’apparato radicale del pino domestico. Schema di parte dell’apparato radicale di un pino domestico di circa 40 anni,sradicato naturalmente (Pineta di Cervia, Ravenna. Suolo sabbioso con probabile falda a 1,20 m di profondità). Oltre alle radici fittonantie fascicolate, sono indicate anche le radici cordiformi (reiterazioni centrali cordiformi) e il caratteristico rigonfiamento basale al colletto.

Figura 3 - Sviluppo dell’apparato radicale del pino domestico. A, B. Schema e fotografia dell’apparato radicale di un pino domestico dicirca 40 anni, scoperto a pressione d’aria (Parco della Resistenza a Riccione. Suolo sabbioso-limoso senza evidenti limitazioni). Oltrealle radici cordiformi (con andamento avvolgente e passibili di evolvere in radici «strozzanti») è indicato anche il caratteristico rigonfia-mento basale al colletto.

RA

DIC

AL

Erigonfiamento basale

radici appartenentiall’apparatofascicolato

reiterazionicentrali cordiformi

radici appartenentiall’apparatofittonante

fittone

FIGURA 2 - STADIO F (VISTA LATERALE)

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so. In pratica, il pino domestico, essen-do incapace di un reale rinnovo dellamassa fotosintetizzante, finisce letteral-mente per “morire di fame”, progressiva-mente indebolito dalla perdita successivadi tutte le sue branche; la senescenza diquesta specie è quindi un fenomeno dinatura squisitamente meccanica. Gli stadi9 e 10, infine, sono del tutto assenti: la stra-tegica ristrutturazione della struttura arbo-rea è del tutto preclusa al pino domestico.

Le peculiarità dell’apparato radicale

Così come accade per la porzioneaerea, anche lo sviluppo dell’apparatoradicale degli alberi è codificabile attra-verso una successione di dieci stadi disviluppo (indicati con lettere da A a K).In particolare, l’apparato radicale delpino domestico, almeno nel caso di indi-vidui derivati da seme, in condizioniindisturbate e in suolo favorevole, cioèun suolo a dominanza sabbiosa, sciolto,facilmente penetrabile, ben drenato eareato, segue quasi perfettamente ilcaratteristico modello di sviluppo di tipofittonante facilmente prevedibile.

Le radici in condizioni favorevoliFin dalla sua germinazione, il pino

domestico sviluppa una vigorosa radicefittonante (stadio A) che, almeno per iprimi dieci anni di vita dell’albero, eser-cita una decisa dominanza sulle radicisecondarie. Nei dieci anni successivi, alivello del colletto si sviluppa anche unrobusto apparato radicale fascicolato(stadi C e D), relativamente poco ramifi-cato, ma in grado di estendersi fino agrande distanza dall’inserzione al suolo.Nella terza decade di vita, queste radicifascicolate, pur mantenendo un diametrorelativamente modesto, si ramificanoprogressivamente originando nuovielementi verticali (stadio E) che, nel girodi trenta o quaranta anni, si inspessisconoper divenire veri e propri fittoni seconda-ri. Contestualmente, il vecchio fittone, purse ancora vitale e vigoroso, cessa di eser-citare la sua dominanza (stadio F, figure2, 3, pag. 23). Da questo momento in poi,il sistema fascicolato continua a emette-re nuove radici, tra cui numerosi fittonisecondari che finiscono per rappresenta-re la parte essenziale dell’apparato radica-le (stadio G). Nel pino domestico, tutta-

via, al contrario di quanto accade nellealtre specie fittonanti, non si assiste maialla morte del vecchio sistema fittonan-te; quest’ultimo, infatti, ormai caratteriz-zato da un diametro pari circa alla metà diquello del tronco, resta perfettamentefunzionale. Nella fase senescente, infine,si osserva la scomparsa di numerose radi-ci secondarie oblique in favore di elemen-ti orizzontali o verticali, comunquesempre affiancati dal vecchio ma attivofittone (stadio H, figura 4), che accom-pagnerà l’albero fino alla sua morte o alsuo cedimento strutturale.Le radici nel contesto urbano

Per quanto fondamentale, lo svilupponaturale dell’apparato radicale di unaspecie arborea è difficilmente riconoscibi-le in un esemplare urbano sul quale, inevi-tabilmente, agiscono i più diversi fattorilimitanti di origine antropica, a partiredalle consuetudini di origine vivaistica.Nel caso del pino domestico, in effetti,l’allevamento in vivaio, sia in contenitoriche in piena terra, si traduce nella sovrap-posizione di due gravi deformazioniipogee. Innanzitutto, il fittone, prima piùo meno ostacolato nel suo sviluppo verti-

radici orizzontalidell’apparato fascicolato reiterazioni

centralicordiformi

radice obliquadell’apparatofascicolato

radici fittonantidell’apparato fascicolato

ubicazionedel sistemafittonante

FIGURA 4 - STADIO H (VISTA LATERALE) FIGURA 5 - RADICI SVILUPPATE IN UN SUOLO COMPATTO

A B C

AP

PA

RA

TO

RA

DIC

AL

E

Figura 4 - Sviluppo dell’apparato radicale del pino domestico. Schema di parte dell’apparato radicale di un pino domestico di circa 80 annisradicato naturalmente (suolo sabbioso con probabile falda a 1,20 m di profondità).Oltre alle radici fascicolate orizzontali, oblique e verticali (radi-ci fittonanti dell’apparato fascicolato), sono indicate anche quelle cordiformi (reiterazioni centrali cordiformi); il sistema fittonante non è rappresen-tato. Figura 5 - I campioni rappresentano radici di conduzione perenni di due anni di età. La crescita dell’anno comprende anche radici di assor-bimento e conduzione caduche.A. La crescita dell’anno appare appiattita per meglio insinuarsi nello spazio tra due superfici rigide giustappostementre la parte di due anni di età ha già recuperato una forma cilindrica.La separazione tra la crescita dell’anno e quella dell’anno precedente èindicata dalla linea tratteggiata rossa.B.Qui, la parte di radice di due anni di età non solo ha recuperato una forma cilindrica ma appare localmen-te inspessita (freccia rossa). C. Il campione presenta una porzione biennale cilindrica ma corredata da noduli in formazione (frecce rosse) cheindicano porzioni di radice sottoposti a compressione localizzata e orientata perpendicolarmente all’asse principale dell’elemento radicale.

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cale dal contenitore stesso, viene sistema-ticamente eliminato all’atto del reinvaso odell’impianto in piena terra. La possibilenaturale ricostituzione di questo elemen-to viene quindi stabilmente impedita daiciclici trapianti cui il pino è sottoposto, afavore del precoce sviluppo di un sistemaradicale fascicolato. D’altro canto, anchele radici orizzontali sono ripetutamentetagliate e, comunque, impedite nel loroallungamento tanto dalle pareti del conte-nitore che dal terreno esterno alla zolla dilavorazione. In pratica, gli elementi fasci-colati tendono a seguire stabilmente ilprofilo della zolla stessa, divenendo radi-ci avvolgenti (figura 6). Quando il pinoviene piantato nella collocazione definiti-va, le radici avvolgenti proseguono nelloro sviluppo deviato e, complice il loroprogressivo ingrossamento diametrico,finiscono per divenire radici strozzanti(figura 5). Una volta messo a dimora inambito urbano, alle deformazioni diorigine vivaistica si aggiungono quellelegate all’ostilità delle condizioniipogee, al ripetersi di danni meccanicidovuti all’esecuzione di scavi, allapresenza di ostacoli insormontabili.

Nel caso del pino domestico, inoltre,una forte pressione laterale esercitatasulla radice può avere conseguenzediverse e sorprendenti. Innanzitutto, se lapressione è modesta e il suolo è costitui-to da elementi fini, la radice, dopo uneventuale rallentamento della crescita,prosegue nel suo ordinario sviluppo insezione cilindrica (figura 5-A). Se, inve-ce, la pressione è elevata e il suolocontiene elementi duri inamovibili, laradice può sia svilupparsi normalmen-te, anche se con una sezione tendenzial-mente inspessita (figura 5-B), che,soprattutto, formare caratteristici nodulilocalizzati (figura 5-C).

Proprio al proporsi di queste ultimealterazioni plastiche delle radici, posso-no attribuirsi i gravi danni potenzialmen-te arrecati dal pino ai manufatti che locircondano. Lo studio condotto in VialeCeccarini ha infatti permesso di scopri-re l’originale e spettacolare meccanismobiologico alla base del sollevamentodelle pavimentazioni e le specifichecontingenze legate alla sua insorgenza.In effetti, un’importante riqualificazio-ne urbanistica del Viale Ceccarini

condotta alla fine degli anni ’80 del seco-lo scorso, aveva comportato la soppres-sione della separazione tra marciapiedi esede stradale con allontanamento delcordolo, riempimento di sabbia dellatrincea così ottenuta e scasso superficia-le del vecchio marciapiede, seguito dallaposa di una nuova pavimentazione inautobloccanti su sabbia e geotessile.Ovviamente, queste operazioni aveva-no comportato anche il taglio più o menogeneralizzato di tutte le radici fascicola-te cui, tuttavia, gli alberi, all’epoca anco-ra vigorosi, avevano reagito con un ecce-zionale sviluppo di nuovi elementi radi-cali. L’evoluzione di queste nuove radi-ci, lungi dal riproporre un modello plasti-co aderente a quello proprio della speciein condizioni ottimali, ha portato allaformazione di elementi morfologica-mente alterati e apparentemente disorga-nizzati. L’insorgenza dei sollevamentisarebbe proprio da ricercarsi nellosviluppo di complessi intrecci radicali,costituiti da radici inspessite, radicinormali e noduli emersi da queste

Figura 6 - La fotografia rappresenta un giovane pino posto in piena terra dopo un periodo di allevamento in contenitore. Le primitive deforma-zioni indotte dalla costrizione dell’apparato radicale (radici avvolgenti e deviazione del fittone) condizionano in modo permanente lo sviluppodi quest’ultimo. Figura 7 - Scopertura dell’apparato radicale di un pino di Viale Ceccarini nel 2010, con indicazione dell’organizzazione stra-dale prima della riqualificazione del viale stesso del 1989. Si osservi la relazione tra organizzazione della sede stradale prima del 1989,interventi di scasso, innalzamento del piano di campagna, riempimento dell’alloggiamento del cordolo con sabbia, caratteristiche delsubstrato, diverso grado di sollevamento delle pavimentazioni e tipologie radicali. I sollevamenti più gravi riguardano la zona marginaledella vecchia carreggiata dove le radici si sono sviluppate tra la base del vecchio sottofondo e la nuova pavimentazione superficialeViceversa, il vecchio cordolo non mostra alcun sollevamento. Il vecchio marciapiede presenta una condizione intermedia (pochi noduliisolati).Le reazioni visibili sono tutte recenti in quanto i sollevamenti sono stati ripetutamente ripianati nel corso degli anni 2000.

crescita tangenziale di unaradice originariamentedeviata dalla parete di un contenitore

crescita rettilinea di radicisviluppatesi in pienocampo dopo un periodoin contenitore

ramificazioni del fittonedeviate orizzontalmentedal fondo del contenitore

profilo delcontenitore

FIGURA 6 - DEFORMAZIONI DI ORIGINE VIVAISTICA

vecchiocordolo

zona di elevazione del piano di campagna

zona di scasso per la posadella pavimentazione

radicicilindriche

zona pocoo nonsollevata

zona non sollevata

radici con noduli saldati aformare spesse placche o scudi

FIGURA 7 - ELIMINAZIONE DELLA PAVIMENTAZIONE E SCOPERTURA A PRESSIONE D’ARIA

vecchia aiuola(ante 1989)

zona poco sollevata

radici irregolari connoduli isolati o a rosario

zona sollevata

nuova aiuola(post 1989)

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ultime, reciprocamente “saldati” aformare una sorta di spessa placca legno-sa (figura 8). Le relazioni tra la formazio-ne delle placche e le condizioni del suolonon sono ancora del tutto chiarite; tuttavia,sulla base dell’esperienza maturata su VialeCeccarini si può affermare con certezza chelo sviluppo delle radici di pino domesticotra due strati rigidi più o meno continuirappresenta un pre-requisito fondamentaleper questo caratteristico fenomeno plastico(figura 7, pag. 25). In effetti, la formazio-ne di noduli radicali più o meno organizza-ti sarebbe una reazione fisiologica dell’ap-parato radicale del pino domestico allosviluppo in condizioni di specifica costri-zione.

Le peculiarità strutturali del legno

Il pino domestico offre molti indiziempirici che lasciano sospettare l’esistenzadi particolarità nell’anatomia e nel compor-tamento meccanico dei tessuti legnosi.Quali possono essere le basi anatomiche emorfologiche di tali particolarità?

Fasci legnosi obliqui e incrociati Innanzitutto, i fasci di tracheidi del

pino domestico appaiono perlopiù spira-lati. Si tratta di un fenomeno frequentetra gli alberi che, tuttavia, nel caso delpino domestico assume connotazioniparticolari; in questa specie, in effetti,le tracheidi variano il loro angolo diinclinazione in ragione della “profondi-tà” a cui si trovano. In altre parole, idiversi fasci di fibre non sono parallelitra loro, anzi, in alcuni casi, due stratisuccessivi possono avere sensi di torsio-ne opposti tra loro (figura 9), aumentan-do la rigidità del tronco e delle branche.Branche che affondano nel tronco

Diversamente da quanto si osservanella maggior parte delle specie arboree,questi pini non si sradicano per solleva-mento della semisfera radicale in posizio-ne sopravento, bensì per “affondamen-to” del colletto sottovento. D’altro canto,si può osservare come il pino domesticosia assai restio alla formazione di contraf-forti, specifiche strutture anatomiche che,almeno nella maggior parte delle specie,governano la traslocazione dei carichiverso le grandi radici di ancoraggio.

Negli alberi divenuti adulti (fine dellostadio 6) le branche principali, ormai verie propri tronchi secondari, rinforzano itessuti conduttori e di sostegno sulla lorofaccia inferiore, attraverso un’iperattivi-tà cambiale localizzata a livello dell’in-serzione sul tronco, formando così unostipite. Nella maggior parte delle speciearboree, questa iperattività cambiale“discende” lungo il fusto, formandocolonne cambiali (figura 10-C), e sicollega a una parte dell’apparato radica-le proprio grazie alla formazione di uncontrafforte, vero e proprio elemento diconsolidamento meccanico tra tronco edapparato radicale (figura 10-B).

Nel caso del pino domestico le colon-ne cambiali, pur se ben evidenti al disotto dell’inserzione delle branche, dopoaver percorso il fusto verso il basso peralcuni metri, scompaiono improvvisa-mente, quasi “affondassero” nei tessutidel tronco (figura 10-A). In questomodo, la formazione dei contraffortidiviene impossibile e il colletto conser-va quindi una spiccata linearità.Radici montate su molle

In assenza di contrafforti, anche l’inser-

Figura 8 - La placca radicale, proveniente da Viale Ceccarini, pulita a pressione d’aria e quindi lavata con idropulitrice, è stata appog-giata verticalmente a un albero. Da sottolineare che l’intera struttura è collegata all’albero solo tramite modeste radici non lignificate (frec-cia rossa in C); si ricorda ancora che l’intera struttura ha pochi anni di vita in quanto analoghe formazioni sono state ripetutamente allon-tanate nel tempo. A. Vista di profilo. Si notano numerosi nodi sovrapposti e saldati a creare dei “pilastri” portanti, tra i quali si insinuanoradici cilindriche orientate in tutte le direzioni. B. Vista dall’alto. I noduli sono reciprocamente saldati a formare una struttura continua.C. Vista da sotto. Si può apprezzare la complessità e la dinamicità della struttura; si distinguono radici inspessite, noduli variamentesaldati e, tra loro, giovani radici cilindriche che, occasionalmente, presentano tracce di nuovi noduli in formazione. D. Dettaglio di C conindicazione dei noduli impilati a formare i “pilastri” della placca (frecce rosse), le radici cilindriche che si insinuano negli spazi liberi (lineetratteggiate arancioni) e nuovi noduli in formazione (frecce blu).

faccia superiore della placcacon noduli anastomizzati

noduli “pilastro”

radici tra i noduli “pilastro”

noduli in formazione

faccia inferiore della placca con radici di crescita

profilo della placca

FIGURA 8 - DETTAGLIO DI UNA PLACCA RADICALE B A

D

C

fronte di avanzamentodelle radici

versol’a

lbero

t

PARLIAMO DI...

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zione delle grosse radici fascicolate sulcolletto appare cilindrica, non conica comeaccade invece nella maggior parte dellespecie arboree, e circondata da un caratte-ristico rigonfiamento circolare, il cuiesame in sezione trasversale rivela unapeculiare disposizione ondulata delle fibrelegnose, assai meno appressate di quantonon si osservi nel fusto o nella radice. Dalpunto di vista meccanico l’inserzione delleradici sul colletto risulta elastica e flessibi-le, quasi si trattasse di una “molla”, ingrado di permettere il movimento dellaporzione epigea rispetto alle radici fasci-colate. In che modo, tuttavia, questi diver-si indizi anatomici possono essere tra lorocorrelati a costituire un quadro coerente,ovvero un modello, del comportamentomeccanico di queste categorie specifiche?Questo modello, inoltre, risulta coerentecon quelle che sono le informazioni teori-che già oggi disponibili? Sinteticamente,possiamo rispondere a questi quesiti affer-mando che, grazie allo studio del pinocondotto a partire dagli esemplari di VialeCeccarini, disponiamo ora di almeno duediversi modelli arborei, tra loro meccani-camente opposti. Da un lato, abbiamo il

modello “tradizionale”, cui sono ricon-ducibili gli alberi più comuni, tipicamen-te rappresentati dalla famiglia delleCupressaceae, caratterizzato da un tron-co di rigidità media, saldato all’apparatoradicale fascicolato tramite robusticontrafforti, ma con un fittone pressochéinesistente e meccanicamente irrilevan-te all’età adulta. Dall’altro lato, abbiamoil pino, con un tronco molto rigido, lega-to in maniera flessibile con le radicifascicolate ma solidale con un fittonemolto sviluppato e meccanicamente atti-vo per tutta la vita dell’albero.

Le peculiaritàmeccaniche Perché i più comuni protocolli di valuta-zione strumentale della stabilità paionopoco affidabili nello studio di questaspecie? In termini meccanici, l’albero puòessere considerato come un “vettore”dell’energia derivata dalla spinta orizzon-tale del vento e captata dalla chioma. Unaquota rilevante di questa energia vienedissipata sia con i movimenti sia con ledeformazioni interne di tutta la porzioneepigea. L’energia residua viene quindi

trasferita verticalmente in direzionedell’apparato radicale. Infine, l’energiagiunta alla porzione ipogea dell’alberoviene dispersa nel suolo.

Per quanto detto, esiste dunque ungradiente di sollecitazione longitudinaledella struttura arborea, teoricamentedecrescente dall’alto verso il basso, cui,di norma, si sovrappone un gradiente disollecitazione radiale decrescente dallaparte più esterna degli elementi legnosiverso quella interna. Se, tuttavia, possia-mo disporre di due diversi modelli perl’interpretazione del comportamentomeccanico degli alberi, come si concre-tizzerà questo processo nel pino dome-stico e nelle altre specie arboree?La captazione di energia

La quantità di energia captata dallachioma di un albero nel vento dipende daquattro fattori (figura 11-A, B, pag. 28):il volume della chioma, corrispondente alvolume di aria potenzialmente “deviata”;la sua rugosità, ovvero la capacità difrenare i flussi d’aria; la permeabilità, cioèi vuoti che permettono il passaggiodell’aria attraverso la chioma e, infine, lasua forma, più o meno aerodinamica,

Figura 9 - Sono riportati i piu evidenti fasci vascolari (fvbs, fvle, fvh). A. Branca decorticata. B. Rappresentazione schematica della branca A.Si osservi il complesso orientamento delle fibre legnose. C. Interpretazione dell’organizzazione della branca sulla base di A, B e di altre osser-vazioni. A livello del tronco sono parzialmente rappresentati due strati di fibre spiralate in senso contrario (fvbs). Sulla branca sono rappre-sentati i due principali fasci vascolari (fvle, fvh); a causa della sua torsione, il fascio epitono (fvle) si inserisce lateralmente sul tronco (fascio late-ro-epitono). Mentre il fascio ipotono (fvh) si introduce al centro del tronco (E ), il fascio latero-epitono resta superficiale. Figura 10 - A. Sul pinosi osserva una vigorosa colonna cambiale che, originata alla base di un gruppo di branche principali (stipite), procede verso il basso fino a circa80 cm dal suolo, dove si immerge nel tronco e scompare.A livello del colletto non si osservano contrafforti. B.Nell’abete rosso le colonne cambia-li sono rare e poco sviluppate; i contrafforti sono molto pronunciati (tre o quattro, uno per ogni grande “polo radicale”). C. Il ginepro presentadue distinte colonne cambiali per ogni branca principale, ognuna delle quali si collega a due radici tramite contrafforti mediamente sviluppati.

fasci vascolari dellebranche superiori (fvbs)

fasci vascolari latero-epitonicidella branca (fvle)

fascio vascolare ipotonodella branca (fvh)

FIGURA 9 - INSERZIONE DI UNA BRANCA SUL TRONCO

fvbs

fvle

fvh

E

B

C A

FIGURA 10 - COLONNE CAMBIALI E CONTRAFFORTI

Viale Ceccarini: colonnacambiale con stipite. Pinuspinea di 80 anni circa

Parco di Versailles,Trianon (F):colonna cambiale concontrafforte. Juniperusvirginiana di 250 anni

Parco Finistère, Bretagna (F):contrafforte. Picea excelsadi 100 anni

t

A

C

B

E

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ovvero capace di deviare i flussi d’ariacon il minimo di perturbazione per capta-re una minore quantità di energia. Perquanto detto, l’interesse meccanicodell’albero esposto al vento sarà quello diridurre il proprio volume, ridurre lapropria rugosità, assumere un profiloaerodinamico, e, infine, conservareun’elevata permeabilità. In ossequio aquesto principio, in quasi tutti gli alberi,la spinta del vento finisce per indurre unadeformazione della struttura, coinvolgen-do progressivamente le diverse porzionianatomiche in funzione della loro intrin-seca elasticità, ovvero, come anticipato,secondo un gradiente decrescente dall’al-to verso il basso e dall’esterno verso l’in-terno. Con la sua rigidità e la modestapermeabilità, il pino domestico parte sicu-ramente svantaggiato nella sua lottacontro il vento. Tuttavia, man mano cheaumenta in altezza e volume, questaspecie, grazie al gioco di correlazioni dicrescita tra le diverse parti della sua strut-tura, tende a raggiungere una formasempre più aerodinamica. Nel caso delpino domestico, quindi, pur in assenza diefficaci meccanismi di adattamento plasti-

co all’azione del vento, siamo di fronte aun vero e proprio processo di pre-adatta-mento strutturale. La dissipazione di energia

L’energia captata dalla struttura arbo-rea viene dissipata secondo tre modali-tà principali: una dissipazione di movi-mento per l’oscillazione di foglie e bran-che flessibili; una dissipazione di colli-sione, derivata da foglie, rami e brancheche si colpiscono reciprocamente; unadissipazione di deformazione dei tessu-ti legnosi del tronco e delle brancheprincipali (attrito interno tra fasci difibre). Per quasi tutte le specie arboree,i fasci di fibre legnose, disposti paralle-lalmente gli uni agli altri, sono in gradodi deformarsi efficacemente, dissipandouna grande quantità di energia. Vicever-sa, nel caso del pino domestico, i fascidi fibre, ritorti, spiralati e con orienta-mento variabile, conferiscono granderigidità agli organi legnosi; in questocaso, è dunque lecito attendersi chequasi tutta l’energia sfuggita alla dissi-pazione nella parte distale della chioma,si ritrovi pressoché inalterata a livellodel colletto.

La traslocazione di energiaIn generale, quasi tutta l’energia non

dissipata nella porzione aerea degli albe-ri adulti, pur se in quantità diversa daspecie a specie, si ritrova accumulata alivello del colletto.

Nelle specie dotate di contrafforti,l’energia non dissipata nella porzioneaerea viene traslocata soprattutto nellaporzione più esterna del tronco, primafino ai contrafforti e poi, grazie a questiultimi, anche alle radici orizzontali eoblique del sistema fascicolato (e alleloro ramificazioni verticali), mentre ilvecchio fittone primario, anche se anco-ra presente, risulta invece assai pocosollecitato, essendo direttamente colle-gato meccanicamente solo con le fibreinerti interne del fusto.

Nel pino domestico, invece, l’enormefittone primario, in continuità istologicacon il fusto e alimentato dalle colonnecambiali che “affondano” nel tronco,garantisce la traslocazione di quasi tuttal’energia in profondità nel suolo, mentreil sistema fascicolato, collegato in modoflessibile alla struttura del tronco, vienesollecitato in modo solo marginale.

Figura 11 - A. Cipresso. Questo albero capta una quantità di energia proporzionale alla sua altezza e, dunque, alla sua capacità fotosin-tetica, più o meno direttamente correlata alle dimensioni della chioma. L’elasticità delle branche, dal canto suo, diminuisce la superficie diimpatto e aumenta la sua permeabilità; la rugosità, infine, è relativamente poco importante. Il regime turbolento si manifesta solo quandola permeabilità scende al di sotto del 50%. B. Pino domestico. La chioma dei pini adulti, a causa della sua forma naturale, non offre unagrande superficie al vento che, tra l’altro, non è direttamente correlata alla capacità fotosintetica. Analogamente, anche la rastremazionedella chioma nel vento è trascurabile così come è modesta anche la sua permeabilità (la permeabilità al di sotto della chioma è invecelegata al “sottobosco”). La rugosità, tuttavia, è significativa. In questo contesto, il regime turbolento si manifesta in ragione dello spessoree dell’irregolarità della chioma (e delle caratteristiche del “sottobosco”). In termini generali, dunque, l’assenza di “sottobosco” sarebbe unfattore stabilizzante per i popolamenti di pino.

regime laminare

volumecostante(strutturarigida) modesta permeabilità

aerodinamicita eccellente

elevata permeabilità

debole rugositàregime laminare

regime turbolento

t

Bpinodomestico

riduzione di volume(strutturadeformabile)

regime laminare

regime laminare

media permeabilità

regimeturbolento

med

iocr

eae

rodi

nam

icità

FIGURA 11 - ENERGIA EOLICA CAPTATA DAL VENTO

Acipresso

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La dispersione di energia In termini generali, per la maggior parte

delle specie arboree l’energia provenien-te dalla porzione epigea viene trasmessaal sistema fascicolato e quindi dispersa nelsuolo, secondo un gradiente di profondi-tà decrescente a partire dalla ceppaiaverso la periferia dell’apparato radicale(figura 12A). Nel pino domestico, inve-ce, quasi tutta l’energia viene trasmessa alfittone e dissipata in prossimità diquest’ultimo, più o meno a tutte le profon-dità (figura 12B).

I comportamentistrutturali

Tornando ora agli aspetti pratici legatialla presenza del pino domestico in ambi-to urbano, in che modo le sue numerosepeculiarità morfogenetiche, istologiche emeccaniche possono condizionarne lavalutazione di stabilità? E in che modo lecaratteristiche di questa specie possonoservire a illustrarne il comportamento?Il pino e la valutazione di stabilità

Le peculiarità meccaniche del pinodomestico si fondano su specifiche carat-teristiche di natura anatomica e morfolo-

gica. Poichè la fase visuale della valuta-zione di stabilità si basa sull’esame dellecaratteristiche esteriori di un determina-to esemplare nell’intento di comprender-ne le dinamiche strutturali, può dirsimetodologicamente corretto affrontare lostudio strutturale di un pino domesticoutilizzando il più tradizionale codiceinterpretativo, derivato dalle Cupressace-ae? Il medesimo principio logico puòessere esteso anche ai protocolli di appro-fondimento strumentale. Per esempio,parlando di prove penetrometriche otomografiche, come possiamo interpreta-re correttamente la presenza di una cavitànel tronco di un albero se trascuriamo leprofonde differenze tra gli “ordinari”meccanismi di traslocazione dei carichi equelli che si realizzano nel pino domesti-co? In altre parole, può un pino esserecavo? E, in caso affermativo, quali sono iparametri di sicurezza per questa specie?

Ancora più delicato è il tema delleprove strumentali a trazione controllata.Misurando l’inclinazione indotta allabase dell’albero e la deformazione dellefibre legnose, queste prove si prefiggonodi determinare sia il rischio di ribaltamen-

to che quello di rottura degli esemplariesaminati. Tuttavia, è evidente che l’ap-parato concettuale che sottende a questaprova si riferisce sia a una condizione disolidarietà meccanica tra fusto e sistemafascicolato che a una traslocazione deicarichi alla periferia del tronco, caratteri-stiche di fatto non verificate nel pinodomestico. Possiamo quindi utilizzarequesta modalità diagnostica secondo iprotocolli applicativi tradizionali? Sonodomande per le quali, al momento, nonvi è una risposta certa. Tuttavia, il nostrostudio del pino domestico fornisce alcu-ni determinanti spunti di riflessione.Ruolo del sistema fittonante e delle nodosità superficiali

La traslocazione dei carichi in profon-dità, il vincolo flessibile al tronco delleradici fascicolate, la loro capacità di ripa-rare i traumi e di aumentare in pocotempo la coerenza superficiale del suolo,appaiono come caratteristiche meccanica-mente indispensabili alla stabilità di unalbero in substrati profondi ma pococoerenti. Siamo forse di fronte all’appara-to adattativo di una specie che primeggianella colonizzazione dei suoli instabili?Questo ragionamento, se portato alle sueconseguenze pratiche, potrebbe spiegarela caduta di pini registrata in Viale Cecca-rini, a pochi mesi o settimane dall’aspor-tazione delle formazioni nodulari piùsuperficiali per il ripristino delle pavimen-tazioni. In questo caso, infatti, gli alberi,cronicamente privi di un ben sviluppatosistema fittonante, non sono sopravvissu-ti alla perdita dell’unico espediente disostentamento meccanico.

ConclusioniI principi esposti in questo articolo, per

quanto frutto di semplici osservazioni incampo appaiono sufficientemente fonda-ti e coerenti da poter essere utilizzati giàoggi a fini pratici. Innanzitutto, lo studiocondotto su Viale Ceccarini ha permes-so di appurare che il pino domestico ècaratterizzato da una senescenza essen-zialmente meccanica, incompatibile conil suo spiccato invecchiamento anagrafi-co e che il rischio di cedimenti struttura-li, segnatamente a sbrancamenti, apparerelativamente incomprimibile.

In secondo luogo, la fisio-morfolo-

PARLIAMO DI...

Figura 12 - A. Nel pino domestico, le derivazioni laterali del fittone disperdono quasitutta l’energia in prossimità del fittone stesso. B. In caso di ribaltamento, il pino si infos-sa sul lato sottovento; sul lato opposto, spesso non si osserva alcun sollevamento dellaceppaia. C. Nella maggior parte degli alberi, è il sistema fascicolato che dissipa quasitutta l’energia traslocata a livello ipogeo; tale dispersione avviene a una relativa distan-za dal colletto. D. Per gli alberi indicati in C il ribaltamento prevede il sollevamento dellaceppaia dal lato sopravento.

tronco

fittoneradici fascicolate

per attrito interno nei tessuti

per pressione/tensione nel suoloper deformazione dei tessuti

cerniera di rotazione

D

Insiemi anatomico-meccanici

Dissipazione dell’energia

Pinus pinea

angiosperme ecupressacee(qui Quercusrobur)

FIGURA 12 - DISPERSIONE DELL’ENERGIA NEL SUOLO E MODALITÀ DI SRADICAMENTO DEGLI ALBERI

A Bcerniera di rotazione

C

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gia del pino domestico denota unaspiccata adattabilità alle condizioni urba-ne che, tuttavia, si manifesta come un piùo meno evidente scostamento dai model-li di sviluppo teorico. In futuro, questaconsapevolezza avrà ricadute sulle prati-che vivaistiche, sulla preparazione del sitodi impianto definitivo e sulle tecniche dipotatura di questa specie.

In terzo luogo, la formazione di noduliradicali rappresenta l’esempio piùcompiuto della complessa e originale inte-razione tra evoluzione fisio-morfologica,caratteristiche anatomiche, potenzialitàadattative e originalità strutturale del pino.La gestione del problema non può chepassare attraverso pratiche preventive.

Infine, questa specie presenta peculia-rità anatomiche che ne determinano unoriginale comportamento meccanico; lostudio di detto comportamento a finidiagnostici, la valutazione di stabilità,richiede dunque conoscenze dettagliate,al momento non ancora concretizzate inuno specifico protocollo di esame. In talsenso solo uno studio dettagliato deipopolamenti urbani a Pinus pinea, potràgettare nuova luce su questo specificoaspetto. Perché, tuttavia, accentrare l’at-tenzione sul pino domestico, una specieevidentemente così “poco ortodossa” e,in fondo, relativamente marginale nelpanorama arboreo europeo?

La risposta è semplice. Innanzitutto,

alcune delle caratteristiche del pino dome-stico, come per esempio l’assenza dicontrafforti, si ritrovano presso numero-se in altre specie, pur se con un grado diespressione non sempre così esasperato.La conoscenza scientifica, l’arboricolturanon fa eccezione, procede sempre a parti-re dallo studio di casi semplici, potremmodire “puri”, comunemente denominatimodelli. La famiglia delle Cupressacaeaerappresenta un modello meccanico, esat-tamente come il pino domestico; tuttavia,difficilmente i modelli si manifestanopedissequamente in natura: il più dellevolte, infatti, il comportamento osservatosi presenta come un fenomeno intermediotra due o più modelli.

La domanda allora è un’altra, quantoPinus pinea c’è nel comportamentomeccanico delle altre specie arboree di piùampio e consolidato impiego in ambitourbano? Per esempio, ai principi generalidella stabilità arborea, captazione, dissipa-zione, traslocazione e dispersione, dobbia-mo forse aggiungere un nuovo principio:la stabilizzazione del substrato? n

BibliografiaMorelli G. et al., 2008. Giganti da

proteggere. Conservazione e gestione deglialberi monumentali. A cura di T. Tosetti,Istituto per i Beni Artistici Culturali e Natu-rali della Regione Emilia - Romagna. Ed.

Clueb Collana Materiali e ricerche n. 9.Morelli G., 2010. L’analisi fisio-morfo-

logica nella valutazione di stabilità deglialberi. Arbor - Sia, n. 29/10/2010: 5 -10.

Raimbault P., 1991. Quelques obser-vations sur les systèmes racinaires desarbres de parcs et d'alignements: diver-sité architecturale et convergence dans ledéveloppement. Naturalia Monspeliensian. h.s. 1991: 85 - 96.

Raimbault P., 1996. La gestione dell'ar-bero in città. Atti delle Giornate di Verbe-na, Sanremo, Italia, 15-16 novembre 1996.

Raimbault P., Tanguy M., 1993. Lagestion des arbres d'ornement. 1èrepartie: une méthode d'analyse et dediagnostic de la partie aérienne. Rev. For.Fr. : 45 (2): 97 - 117.

AbstractAn unknown town-dweller

This survey started with an analysis ofthe general features of Pinus pinea andwas enriched by the hypogeal and epige-al examination of numerous trees andtried to explain the biological mecha-nisms at the basis of this tree’s specificbehaviour in order to provide usefulindications for its correct managementin cities. This will be the only way toavoid damage to objects and injury topeople from the unforeseeable occurren-ce of its structural collapse.

t

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STUDIO SULLA MORFO-FISIOLOGIA E GESTIONE DEL PINO DOMESTICO IN AMBIENTE URBANO,CON PARTICOLARERIFERIMENTO AL CASO DI VIALE CECCARINI A RICCIONE

Committenti:Comune di Riccione e Geat Spa Responsabile del progetto:dott. agr. Giovanni Moretti (Geat Spa)Gruppo di studio:prof. Pierre Raimbault, dott. Mark Duntemann, dott. Stefania Gasperini dott. agr. Giovanni Morelli.

GLI ESPERTI Pierre Raimbault, professore del politecnico AgroParisTech oggi in pensione, è un esperto notoa livello europeo per gli studi di morfogenesi e fisiologia delle specie arboree e per aver messo apunto il concetto di “Dieci stadi di sviluppo epigeo ed ipogeo degli alberi”. La sua attività nel nostroPaese inizia nel 1995 e conta diversi interventi di grande rilievo sperimentale su alberi monumen-tali, parchi e alberate in contesti storici.Mark Duntemann è il titolare di Natural Path Urban Forestry Consultants, società di consulenzanata nel 1988. Laureato in Selvicoltura con successivo Master in Forestazione Urbana presso l’Uni-versità del Wisconsin. È presidente del gruppo di lavoro sull’International Tree Failure Database edel Consiglio di forestazione urbana e della Sezione ISA dello Stato dell’Illinois. È esperto peritodi tribunale, docente in corsi di formazione e specializzazione nel settore della gestione dellealberate e nella valutazione di stabilità.Stefania Gasperini, titolare della società AR.ES. di Ferrara, svolge attività di consulenza per entipubblici e committenza privata nel settore dell’arboricoltura e del verde ornamentale dal 1996. Esper-ta in censimenti e nella gestione delle alberate, propone un approccio integrato e interdisciplinareal management dei patrimoni arborei in ambiente urbano attraverso strumenti pianificatori quali iPiani del rischio e Piani del verde su scala comunale e su base informatica.Giovanni Morelli, agronomo titolare dello Studio Progetto Verde di Ferrara dal 1994, svolge attivi-tà di consulenza ed è autore di articoli e testi tra cui un manuale per la conservazione e gestionedegli alberi monumentali per la Regione Emilia–Romagna.Tiene corsi di formazione per tecnici delsettore e per laureati in Scienze agrarie e in Architettura. Tra le sue attività si ricorda la definizionedi programmi di tutela e recupero di esemplari monumentali, nonché la gestione pluriennale di inte-ri patrimoni pubblici di diversi comuni.

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