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3° Workshop dei Docenti e Ricercatori di Organizzazione Aziendale Genova, 7-8 febbraio 2002 L’INTERPRETAZIONE DELLA REALTÀ ORGANIZZATIVA Unità d’impresa, catene di valore, distretti, settori, profit e non profit IL NON PROFIT SOCIALE NELLAREA PROVINCIALE SPEZZINA di Angelo Gasparre bozza provvisoria da non citare

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3° Workshop dei Docenti e Ricercatori di Organizzazione Aziendale

Genova, 7-8 febbraio 2002

L’INTERPRETAZIONE DELLA REALTÀ ORGANIZZATIVA

Unità d’impresa, catene di valore, distretti, settori, profit e non profit

IL NON PROFIT SOCIALE NELL’AREA PROVINCIALE SPEZZINA

di Angelo Gasparre

bozza provvisoria da non citare

Angelo Gasparre Ditea Facoltà di EconomiaUniversità degli Studi di Genova [email protected]

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IL NON PROFIT SOCIALE NELL’AREA PROVINCIALE SPEZZINA

di Angelo Gasparre, Ditea, Università degli Studi di Genova

1. Introduzione – 2 Metodologia., fonti e contesto dell’indagine – 3. Imprenditoria sociale e associazionismo nella provincia della Spezia – 4. La cooperazione sociale – 5. Le organizzazioni di volontariato e l’associazionismo – 6. I punti di forza e di debolezza

1. INTRODUZIONE

Nel dibattito in corso in tema di riforma del welfare, un interesse crescente è assegnato a

modalità di produzione dei servizi sociali e socio-sanitari profondamente differenti rispetto a

quelle attuali (Fazzi e Messora, 1999). Si sottolinea da più parti, infatti, la necessità, da un lato

di verificare l’esistenza di soluzioni alternative e meno costose di produzione e di erogazione

delle prestazioni e, dall’altro, talvolta con meno enfasi, l’esigenza di predisporre un sistema

capace di produrre una migliore qualità degli interventi.

Il ruolo delle organizzazioni di terzo settore, in questo quadro, è da più parti valutato

positivamente, contribuendo, così, a delineare un’ipotesi di welfare mix caratterizzato da una

pluralità di soggetti di offerta, alternativamente attivabili in risposta ai diversi bisogni

dell’utenza. Alle istituzioni pubbliche ed all’economia di mercato, dunque, si vanno affiancando

organizzazioni in fatto diverse per obiettivi istituzionali e modalità operative rispetto sia all’ente

pubblico, sia alle imprese lucrative, contribuendo alla creazione ed allo sviluppo di un sistema

di protezione sociale più ampio ed efficace.

Dal punto di vista terminologico, ampio è il panorama dei termini con cui ci si riferisce

correntemente a queste realtà, risultato sia di un’attenzione crescente al riguardo da parte di

studiosi di diversa estrazione (economisti, sociologi, politologi, ecc.), sia di un’oggettiva

difficoltà definitoria rispetto ad uno spettro di forme organizzative e di modalità operative assai

ampio e complesso: cooperative sociali, organizzazioni di volontariato, associazioni di

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promozione sociale, fondazioni, comitati, organizzazioni non governative, enti di beneficienza,

circoli culturali, ecc. che insieme compongono il variegato universo del terzo settore.1

Ciò che emerge è un insieme alquanto eterogeneo, composto da una pluralità di soggetti che

rivestono una pluralità di ruoli ed operano in ambiti molto differenti: fianco a fianco convivono

organizzazioni che utilizzano pochissimo personale volontario (le cooperative sociali, in primo

luogo) ed altre che operano quasi esclusivamente con personale non retribuito (le organizzazioni

di volontariato), le modalità di finanziamento, inoltre, sono molto diverse, il convenzionamento

con l’ente pubblico piuttosto che la raccolta di donazioni da parte di privati e imprese o, ancora,

i corrispettivi per l’erogazione di servizi se l’offerta è a soggetti privati, talvolta in concorrenza

con organizzazioni for profit che operano nello stesso rapporto prodotto-mercato. Ciò che

accomuna le organizzazioni di terzo settore, quindi, non sono tanto le attività effettivamente

svolte, ma piuttosto le modalità con le quali sono poste in essere, funzione degli obiettivi che si

propongono di perseguire: non il raggiungimento di un livello soddisfacente di profitto ma un

insieme di obiettivi di diversa natura, per i quali l’ottenimento di un avanzo di gestione diventa

strumento per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali, più che obiettivo in sé.

2. METODOLOGIA, FONTI E CONTESTO DELL’INDAGINE

Il presente studio si inserisce in una ricerca più ampia, finalizzata ad individuare il grado di

appropriatezza organizzativa del sistema di offerta di servizi sociali e socio-sanitari dell’area

provinciale spezzina.

Il percorso di ricerca, nel suo complesso, si è sviluppato in:

1. Una preliminare analisi, documentale e per interviste, finalizzata a qualificare, sia

quantitativamente sia qualitativamente, i principali bisogni di interventi, la struttura dei servizi

sociali e socio-sanitari territoriali e le risposte del sistema pubblico e privato, for profit e non

profit. La ricerca documentale ha riguardato, in particolare, i piani di intervento sociale e

sanitario regionali e provinciali, i report di ricerche già effettuate sul tema in passato, i resoconti

delle proposte più recenti di revisione organizzativa dell’assetto attuale del sistema, oltre alle

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fonti ISTAT disponibili e ad alcuni documenti di settore. Sono stati intervistati, in questa fase, i

responsabili dell’Assessorato Provinciale alle Politiche Attive del Lavoro, i resposabili politici

competenti degli Enti Locali coinvolti, il portavoce dell’organismo provinciale di

rappresentanza delle organizzazioni non profit (Forum provinciale del Terzo Settore) ed alcuni

rappresentati delle organizzazioni sindacali.

2. Una fase di indagini sul campo, articolata in 40 interviste e 20 focus group, per fornire una

più approfondita e aggiornata rappresentazione delle variabili e delle dinamiche sottese al

sistema concreto esistente. In questa fase come nella precedente, si è diffusamente utilizzato lo

strumento dell’intervista aperta, mirata ma destrutturata. Questa scelta è derivata, dal punto di

vista del metodo, dalla necessità di agevolare il soggetto intervistato nell’espressione delle

proprie esigenze, lasciandolo libero di comunicare preoccupazioni ed orientamenti. Ciò ha

comportato la conseguente decisione di orientare la ricerca sul piano qualitativo, insistendo su

incontri diretti con testimoni privilegiati, per i quali diventava importante ciò che dicevano, ma

anche ciò che non dicevano, il contesto in cui operavano, le sensibilità dimostrate e quelle

sopite. Sono stati intervistati: le responsabili delle segreterie tecniche delle tre zone socio-

sanitarie in cui è ripartito il territorio provinciale (Zona 1: La Spezia, Zona 2: Val di Magra,

comune capofila: Sarzana, Zona 3 Val di Vara e Riviera, comune capofila: Bolano), le

assistenti sociali dei comuni di tutto l’ambito provinciale, gli assessori alle politiche sociali e

sanitarie dei comuni capofila delle tre zone, i dirigenti dell’Azienda Sanitaria Locale n. 5

“Spezzino” interessati (Unità Operative: Anziani, Disabili, Tossicodipendenze, Salute Mentale

e Minori), i responsabili di organizzazioni di terzo settore (dirigenti di cooperative sociali e dei

rispettivi consorzi, responsabili di organizzazioni di volontariato e di associazioni di

promozione sociale). Alle interviste dirette si sono affiancati i focus group., Caratterizzato per

il forte contributo in termini di profondità dell’analisi piuttosto che di significatività statistica,

strutturato come intervista guidata ad un gruppo limitato ed omogeneo di persone, il focus

group valorizza l’interazione tra i partecipanti e produce un approfondimento non confrontabile

rispetto alla singola intervista, riproducendo in maniera più realistica il processo che presiede

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alla formazione delle opinioni. Dei 20 focus group effettuati, 13 si riferivano alla domanda e 7

all’offerta. I focus group di domanda, destinati a far emergere gamme di bisogni ed a censire il

tipo di riconoscimento di cui godono i servizi sociali e socio-sanitari alla persona, sono stati

articolati in tre fasce socio-demografiche (adoloscenti-giovani, adulti-famiglie, anziani),2 per la

cui composizione si è tenuto conto della necessità di dare ampia rappresentatività alle diverse

zone socio-sanitarie in cui è suddiviso il territorio provinciale. I partecipanti erano cittadini non

utenti dei servizi, con i quali si sono sviluppate problematiche attuali ed evolutive del servizio

alla persona. A questi focus, sempre sulla domanda, si sono affiancati una serie di focus group

di controllo, a cui hanno partecipato, invece, categorie di utenti dei servizi, con i quali si è

discusso sulla dinamica reale bisogni - offerta. I focus group sull’offerta, invece, sono stati

organizzati per tematiche (sostegno famigliare; infanzia: problematiche evolutivo-educative; il

sostegno agli anziani; le politiche di inserimento sociale; il sostegno ai disabili) e hanno visto la

partecipazione di operatori di diversa professionalità e allocazione geografica, al fine di

ottenere una visione trasversale del fenomeno a seconda delle diverse situazioni geografico-

sociali. Nell’esame del sistema di offerta dei servizi, l’analisi si è concentrata sulla valutazione

della rete di servizi sociali e socio-sanitari in essere nelle tre zone socio-sanitarie in cui è

suddiviso il territorio provinciale, tenendo distinta l’offerta erogata direttamente dall’Ente

locale ed i servizi prodotti da soggetti del Terzo Settore, sia in convenzione con l’Ente

Pubblico, sia direttamente. Un’attenzione particolare è stata dedicata alla valutazione della

qualità organizzativa e professionale del sistema, alle modalità di erogazione dei servizi ed alla

verifica delle tendenze evolutive in atto, risutato delle più recenti ipotesi di riassetto adottate.

Ad ogni focus group ha partecipato da un minimo di 7 ad un massimo di 11 persone ed i

partecipanti sono rimasti rigorosamente anonimi.

La parte che segue rende conto dei risultati della ricerca con esclusivo riferimento all’offerta di

servizi sociali e socio-sanitari erogati dalle organizzazioni non profit, i dati riportati sono il

prodotto delle interviste e dei focus group considerati nel loro complesso.

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3. IMPRENDITORIA SOCIALE E ASSOCIAZIONISMO NELLA PROVINCIA DELLA SPEZIA

L’analisi del terzo settore nella provincia della Spezia si deve inserire nel più ampio esame del

fenomeno su scala regionale e nazionale. Secondo i risultati della prima rilevazione censuaria

sulle organizzazioni non profit, condotta dall’ISTAT al 31 dicembre 1999 (tab. 1), risultano

attive in Liguria 7.841 organizzazioni senza scopo di lucro, pari al 3,5 % del totale nazionale

(221.412).

Rapportando questo dato alla popolazione regionale (tab. 2), la Liguria mostra una densità

superiore alla media nazionale: 48,2 organizzazioni ogni 10.000 abitanti contro 38,4. Anche

parametrando il dato ligure rispetto all’area geografica con densità maggiore (le regioni

settentrionali: 44 unità ogni 10.000 abitanti) il tasso di diffusione delle organizzazioni di terzo

settore in rapporto alla popolazione rimane più elevato.

Un dato rilevante emerge dall’analisi delle risorse umane coinvolte (tab. 3): 20.336 soggetti

occupati stabilmente (18.551 con contratto di lavoro dipendente, 1.785 con contratto di

collaborazione coordinata e continuativa), a questi devono aggiungersi le folte schiere di

volontari (95.359), 662 obiettori di coscienza, 1.844 religiosi e 494 lavoratori distaccati oltre,

ovviamante, a coloro che prestano la propria attività lavorativa in maniera occasionale o in

assenza di base contrattuale.

Anche in questo caso, per agevolare il confronto, si sono rapportati i valori alla consistenza

della popolazione regionale, procedendo, inoltre, ad un raggruppamento delle classi di personale

sulla base della tipologia del rapporto, retribuito o volontario (tab. 4 e 5).3 Nel caso della

Liguria, su una popolazione di 1.625.870 abitanti, il personale retribuito rappresenta l’1,51 %,

mentre il volontariato pesa nella misura del 5,80 %. Rispetto alle medie nazionali, in entrambi i

casi, il settore non profit mostra una maggiore importanza relativa: per il personale retribuito,

infatti, la media italiana è dell’1,45 %, per il personale volontario, del 5,47 %.

La relativa importanza del’economia sociale in Liguria può essere desunta, inoltre, dall’analisi

di crescita del settore nel corso degli ultimi anni. Per quanto riguarda il settore della

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cooperazione sociale, ad esempio, fatturato e dipendenti si sono più che quadruplicati nel corso

dell’ultimo quinquennio (stime su dati Federsolidarietà, 1998). La numerosità delle cooperative

e dei consorzi iscritti all’albo regionale, poi, ha un andamento esponenziale: 65 nel 1995, 155

nel 2000, 171 nel 2001. Un fenomeno simile caratterizza il settore del volontariato organizzato:

425 le organizzazioni iscritte nel 1997, 604 nel 2000, 622 nel 2001.

Per quanto riguarda la consistenza del fenomeno nell’ambito provinciale spezzino, alcune stime

possono essere condotte sulla base dei dati riportati negli albi regionali delle cooperative sociali

e delle organizzazioni di volontariato.4 Per quanto riguarda la cooperazione sociale (tab. 6),

risultano iscritte all’albo regionale 26 cooperative sociali aventi sede legale nel territorio della

provincia.5 Rispetto al dato ligure (171), la cooperazione sociale spezzina pesa per il 15,2 %.

Rapportando questi dati alla popolazione regionale, il dato rilevante è la maggior densità che

caratterizza la cooperazione sociale spezzina (1,17 unità ogni 10.000 abitanti) rispetto sia alla

media regionale (1,05), sia al dato nelle altre tre aree provinciali (0,97 per Imperia, 1,04 per

Savona e 1,05 per Genova).

Per quanto riguarda il volontariato organizzato (tab. 7),6 risultano iscritte 15 organizzazioni di

volontariato operanti nel settore della sicurezza sociale aventi sede legale nel territorio della

provincia, con un peso dell’8,72 % rispetto al totale delle organizzazioni di volontariato liguri

operanti nello stesso settore (172). Rapportando questi dati alla popolazione regionale ripartita

per province i valori mostrano, in questo caso, una densità relativamente minore delle

organizzazioni di volontariato spezzine (0,68 ogni 10.000 abitanti) rispetto sia alla media

regionale (1,06), sia alla concentrazione nelle altre aree provinciali (1,11 per Imperia, 0,89 per

Savona e 1,19 per Genova).

4. LA COOPERAZIONE SOCIALE

Per rendere più chiaro il fenomeno della cooperazione sociale ed agevolare la lettura dei dati

che si presentano di seguito, è necessario precisare, in estrema sintesi, alcune caratteristiche che

questi soggetti assumono nell’ambito del terzo settore, distinguendo, in primo luogo, tra le due

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diverse tipologie previste dal legislatore (L. 381/91): le cooperative dette di “tipo A” e di “tipo

B”.

Le cooperative di tipo A erogano servizi socio-sanitari e educativi perlopiù a favore di soggetti

svantaggiati, le cooperative di tipo B, invece, svolgono attività diverse (a carattere agricolo,

industriale, commerciale o di servizio), finalizzate all’inserimento lavorativo di persone

svantaggiate (portatori di handicap, ex carcerati, ex tossicondipendenti, immigrati in condizione

di disagio, ecc.). Per entrambe le categorie è prevista la possibilità di unirsi in consorzi, scelta

spesso legata alla necessità di raggiungere soglie dimensionali necessarie nel rapporto con la

committenz pubblica.

Nella provincia della Spezia operano complessivamente 36 imprese sociali cooperative, di cui

19 di tipo A, 12 di tipo B, e cinque consorzi. Di queste, 9 fanno riferimento al consorzio

“Promos” (5 di tipo A e 4 di tipo B), 8 al consorzio “Campo del Vescovo” (6 di tipo A e 2 di

tipo B), quest’ultimo, poi, è a sua volta consorziato insieme alle cooperative che ne fanno parte,

al Consorzio “Alpe”, una struttura di servizio alle cooperative consorziate, risultato di una scelta

di razionalizzazione organizzativa e di migliore coordinamento rispetto alle funzioni

amministrative e logistiche.7 A questi soggetti si aggiungono 11 cooperative non consorziate e 5

soggetti esterni all’ambito regionale (4 cooperative di tipo A e un consorzio).

I due consorzi locali, “Promos” e “Campo del vescovo”, mostrano livelli dimensionali simili per

fatturato (stimabile in circa 10 miliardi annui ciascuno) e numero di soci, mentre limitata è la

consistenza media delle cooperative che ne fanno parte. Tale circostanza deve essere valutata

positivamente: l’integrazione consortile, infatti, permette alle cooperative di “unire le proprie

forze” nel rapporto con la committenza pubblica e di disporre di un organo di riferimento per la

gestione del livello politico, sia nel rapporto con l’ente locale, sia rispetto alla valutazione delle

scelte strategiche interne al comparto della cooperazione: la promozione di un’immagine

comune, la gestione informativa, la rappresentanza istituzionale, l’acquisizione di commesse, il

monitoraggio del territorio, ecc. La piccola dimensione a livello di singola cooperativa, invece,

permette di mantenere alto il livello di flessibilità interna, l’aggregazione sul territorio dal punto

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di vista delle capacità professionali, salvaguardando il senso di appartenenza all’organizzazione,

requisito indispensabile per una partecipazione attiva alla gestione.

In particolare, per quanto riguarda il consorzio “Promos”, tale soggetto nasce nel corso del 1995

ma la costituzione formale e l’iscrizione all’albo regionale avviene solo nel corso del 2000.

L’attività più rilevante nell’ambito del consorzio è svolta dalla cooperativa sociale “Il Girasole”

(A) la cui costituzione risale al 1985 per iniziativa del “Centro Disoccupati” della Camera del

Lavoro di La Spezia. La cooperativa eroga servizi di assistenza domiciliare ad anziani e

handicappati in convenzione con i comuni di La Spezia, Arcola, e Santo Stefano Magra. Per

quanto riguarda le altre cooperative di tipo “A”, esse erogano servizi di tipo educativo e sono

dotate di una vasta esperienza nel settore della prima infanzia,“Aurora” e “C.O.C.E.A.” in

particolare, e sul comparto minori. La cooperativa sociale “Aurora” nasce nel 1992 per

iniziativa di un gruppo di insegnanti che decidono di costituire un Centro per l’Infanzia (attivo

dal 1994) rivolto ai bambini di età compresa tra 1 e 6 anni. Successivamente, la struttura amplia

i propri settori di intervento in campo socio-assistenziale al comparto anziani e portatori di

handicap. Rispetto al segmento minori, oltre alla gestione del Centro per l’Infanzia, la

cooperativa organizza colonie estive e gestisce alcuni centri di socializzazione ed una scuola

estiva a Levanto. Simile ma precedente è l’esperienza della cooperativa sociale “C.O.C.E.A.”,

nata nel 1979 anche in questo caso per iniziativa di un gruppo di insegnanti. La struttura si

occupa dell’organizzazione e della gestione di servizi socio-educativi rivolti ai minori, asili nido

in particolare. Un’altra cooperativa di tipo “A” consorziata è “Natura Trekking”, costituitasi nel

1986 su iniziativa di un gruppo di studenti impegnati nel campo del turismo sostenibile a cui

aderirono alcuni animatori dell’associazionismo giovanile dell’ARCI. Il campo di attività

prevalente è l’erogazione di servizi socio-educativi ai minori oltre ad alcune attività formative

nelle scuole riguardo alla prevenzione delle tossicodipendenze. È attiva nel consorzio, inoltre, la

cooperativa sociale genovese “L’Arché”, nata nel 1995 da un gruppo di volontari della Croce

Rossa Italiana, la quale opera nel campo dell’affido educativo, della formazione alla

genitorialità e dell’assistenza domiciliare per gli anziani.

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Al consorzio “Promos” aderiscono, inoltre, 4 cooperative sociali di inserimento lavorativo (B):

“C.I.L.S”, “Impegno Sociale - C.I.S.”, “MA.RIS.” e “Patchwork”. “C.I.L.S” nasce nel 1976 ed

opera in particolare nel campo dell’inserimento lavorativo dei portatori di handicap, gestisce

una legatoria ed un centro di documentazione sull’handicap. Sullo stesso segmento operano la

cooperativa “Impegno Sociale - C.I.S.” e “Patchwork”. La prima nasce dall’impegno di alcuni

genitori di ragazzi portatori di handicap psichici medio-gravi, i settori di attività riguardano, in

particolare, la cura e la manutenzione di parchi e aree verdi. Nel caso di “Patchwork”

l’inserimento avviene nel campo della pulizia industriale e civile e della manutenzione del

verde, gestendo, inoltre, una legatoria, una copisteria ed un centro di elaborazione grafica

computerizzata oltre ad alcuni servizi informatici e telematici. La cooperativa sociale

“MA.RIS.”, poi, opera nel campo dell’inserimento lavorativo di ex-tossicodipendenti, anche in

questo caso gestendo alcune attività nel campo della manutenzione del verde e nella

ristrutturazione e manutenzione di fabbricati e strutture edili, sia in convenzione con enti

pubblici, sia per privati.

Sul totale delle attività svolte dal consorzio “Promos”, la maggior parte degli interventi è attuata

in convenzione con l’ente locale mentre una quota residuale è gestita direttamente dalle

cooperative che erano titolari della convenzione prima della costituzione del consorzio.

L’operatività sul comparto privato è pur sempre modesta ma maggiore nel caso delle

cooperative sociali di tipo “B” consorziate.

Il consorzio “Campo del vescovo” nasce, alla fine del 1998, da una collaborazione di

cooperative sociali di La Spezia e di Sestri Levante che facevano parte del consorzio Tassano,

con l’obiettivo di razionalizzare e coordinare le attività di intervento delle stesse in ambito

sociale, socio-sanitario e sanitario e per rafforzare il decollo di una struttura sanitaria-

riabilitativa, il centro psichiatrico “Monsignor Silvestri” di Rocchetta Vara. Questa struttura,

peraltro, rappresenta un progetto di notevole spessore, sia dal punto di vista della qualità

dell’intervento, sia dell’investimento delle risorse che ha richiesto, potendosi ben inquadrare tra

le strutture di eccellenza presenti sul territorio, risultato di una proficua collaborazione-

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integrazione tra pubblico e privato (la direzione sanitaria è competenza del servizio pubblico e

la struttura è completamente accreditata al bilancio del servizio sanitario regionale). Le altre

aree di operatività delle cooperative consorziate sono il comparto anziani (in particolare la

cooperativa “Casa Massà” (A) che gestisce una struttura residenziale diurna) e il settore delle

tossicodipendenze, sul quale è impegnata la cooperativa “Centro di crescita comunitaria”(A).

Questa cooperativa nasce nella metà degli anni ’80 sull’esperienza della Comunità “Barsoom”,

fondata alla fine degli anni ’70 con l’intento di sviluppare alcune attività nel campo del recupero

dei tossicodipendenti. La cooperativa attua programmi riabilitativi di tipo comunitario

residenziale, oltre ad alcune attività formative di tipo scolastico rivolte ai giovani sui temi della

prevenzione alle tossicodipendenze. La cooperativa sociale “Accoglienza” (A), poi, nasce nel

1987 dall’associazione “Gruppo di Padre Alfonso” e sviluppa le proprie attività in prevalenza

nel campo dell’assistenza domiciliare per anziani, gestendo inoltre una casa di riposo nel

comune di La Spezia. Per i portatori di handicap vengono organizzate colonie ed attività

ricreative per il tempo libero, in particolare nel comune di Portovenere. Altre cooperative sociali

di tipo “A” consorziate sono: “Il Ponte”, operativa fuori dal territorio provinciale, “L’isola che

non c’è” e la “Roberto Tassano”, queste ultime due in fase di costituzione.

Al consorzio “Campo del Vescovo” aderiscono, inoltre, 2 cooperative sociali di tipo “B”:

“Alpicella” e “Il Giglio”. Nel primo caso si tratta di una cooperativa nata, come per il “Centro di

crescita comunitaria”, dalla Comunità “Barsoom”, ed è attiva nel campo dell’inserimento

lavorativo di soggetti ex-tossicodipendenti, gestendo un’agenzia di pratiche automobilistiche,

una tipografia, un’area parcheggi e un’impresa di trasporti e di pulizie per immobili. La

cooperativa sociale “Il Giglio” è attualmente in fase di costituzione.

Come nel caso del Consorzio “Promos”, anche per il consorzio “Campo del Vescovo” la

commitenza è prevalentemente pubblica. Una quota non irrilevante in questo caso (stimabile in

circa il 30% sul fatturato complessivo del consorzio) è sviluppata sul privato.

Le cooperative non consorziate (5 di tipo “A”: “La Dimora”, “L’Albero dei Cuccioli”, “Mickey

House”, “R.O.S.A”, “Servizio Studi” e 6 di tipo “B”: “Agavos”, “Golfo Service”, “La Torre”,

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“Maùsi”, “P & L - Progresso e Lavoro”, “Il Castello”) pur rilevanti nel panorama territoriale dal

punto di vista della consistenza numerica (11 su un totale di 36), esplicano un’operatività

piuttosto modesta, spesso limitata alla conduzione di attività di tipo educativo sul comparto

minori (gestione di asili comunali) in convenzione con l’ente locale di riferimento.

Rilevante, invece, è l’operatività delle imprese sociali “esterne” (4 cooperative sociali di tipo

“A”: “Ambra” di Reggio Emilia, “PRO.GES” di Parma, “Quadrifoglio” di Pinerolo (TO),

“Elleuno” di Vercelli ed un consorzio, il “Consorzio Quarantacinque” di Reggio Emilia). Si può

stimare che, dal punto di vista della copertura del mercato, complessivamente, detengano circa

il 50% del volume totale dei servizi in convenzione, rappresentando un concorrente di rilievo

per l’imprenditoria sociale spezzina, soprattutto sul comparto anziani e su quello socio-

educativo.

5. LE ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E L’ASSOCIAZIONISMO

Accanto ai soggetti dell’imprenditotia sociale appena esaminati, un altro soggetto rilevante nel

terzo settore spezzino è costituito dalla rete dell’associazionismo solidale e del volontariato

organizzato operante nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria. Tra le altre, assumono

particolare significatività organizzazioni di rilevanza nazionale quali Caritas, A.U.S.E.R, la rete

dei circoli A.R.C.I. e A.C.L.I. oltre alle numerose delegazioni A.V.I.S. e le pubbliche

assistenze. Di rilievo, inoltre, è l’azione di alcune associazioni impegnate nel sostegno alle fasce

deboli, quali il Comitato solidarietà immigrati e l’Associazione Volontari di Crescita

Comunitaria, legata all’omonima cooperativa sociale del consorzio “Campo del Vescovo”.

Sotto il profilo della formazione attivo, tra gli altri, è il centro di servizio al volontariato “Vivere

Insieme”.

L’operatività di questi soggetti spesso funge da supporto ed integrazione rispetto all’azione, sia

dell’ente locale e della A.S.L., sia delle imprese sociali che operano nei medesimi settori di

intervento. Se nel caso dell’Associazione Volontari di Crescita Comunitaria tale circostanza è il

risultato di una comune matrice ideale e di legami espliciti risalenti alla nascita stessa delle

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organizzazioni, lo stesso può dirsi anche in altri casi, nei quali la scelta di coordinamento è il

risultato di una progettualità comune e di una sintonia di valori e di intenti spesso svincolata

dall’esistenza di legami formali. È il caso di A.R.C.I rispetto all’azione di alcune cooperative

legate al consorzio “Promos”, di numerose associazioni e comitati di matrice cattolica legate al

consorzio “Campo del Vescovo” e, ottimo esempio di collaborazione tra pubblico e privato non

profit, l’azione della delegazione A.V.I.S. di Follo rispetto agli interventi del distretto socio-

sanitario dello stesso comune.8

Così come per gli interventi della cooperazione sociale, e forse con maggior enfasi, i servizi

erogati dall’associazionismo incorporano una duplicità di obiettivi, sia assistenziali, sia di

promozione della personalità dell’individuo. Nel caso di Caritas, ad esempio, all’ufficio

pastorale si accompagna l’erogazione di alcuni servizi di base svolti essenzialmente da

personale volontario: le cd. mense dei poveri (due a La Spezia, una gestita dai frati di Gaggiola,

una dall’associazione “Missione 2000”, una a Sarzana gestita dal volontariato Vincenziano, una

a Levanto gestita dai frati), la distribuzione dei beni di prima necessità (alimenti, vestiario, ecc.),

un servizio di sportello sociale che affianca i patronati, il Centro di accoglienza per minori a

rischio gestito dall’ordine dei Cappuccini, i Centri di ascolto (uno a La Spezia e uno a Sarzana).

L’area di intervento di Caritas, poi, si sviluppa attraverso associazioni di diritto canonico ed

organizzazioni di volontariato ad essa legate: l’associazione “Gruppo di Padre Alfonso”, ad

esempio, che svolge attività ricreativa, di sportello sociale, di sostegno e di promozione della

persona handicappata fisica e psichica, il Centro di aiuto alla vita, la Fondazione Banco

Alimentare.

Per quanto riguarda A.U.S.E.R., i servizi erogati riguardano in particolare il segmento anziani e

disabili e si situano a supporto ed integrazione rispetto all’intervento dell’ente locale e della

cooperazione sociale in quest’ambito. Il livello di operatività nel territorio provinciale è

consistente: circa 160 volontari per 62.000 ore annue ripartite su diversi servizi nei quali la

dimensione relazionale fa premio rispetto al contenuto tecnico dell’intervento (servizi di buon

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vicinato, supporto alle pratiche domestiche, accompagnamento, ecc.) attivati, nella gran parte

dei casi, attraverso il cd. “telefono d’argento”.

Per quanto riguarda A.R.C.I. e A.C.L.I., pur non erogando direttamente alcun servizio in ambito

sociale e socio-sanitario, è rilevante il ruolo che ricoprono rispetto alla tutela ed alla promozione

dei diritti. La notevole diffusione della rete di circoli sul territorio, inoltre, è un elemento

importante dal punto di vista della diffusione delle informazioni circa la rete dei servizi

esistenti, oltre che un importante terminale di “ascolto” per il decisore pubblico rispetto al grado

di soddisfazione dell’utenza ed all’emergere di nuovi bisogni, sempre che vi sia la necessaria

sensibilità per accogliere questi segnali.

6. I PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA

Si propone, di seguito, una sintetica rassegna dei principali elementi che caratterizzano il

sistema di offerta non profit dell’ambito provinciale spezzino. La necessità di chiarezza

espositiva, e la conseguente schematizzazione che questa comporta, non possono rendere

appieno la complessità e le reali dinamiche che sottendono ad un settore ampio per forme

organizzative e per modalità operative, in cui l’idealità e la forte carica aggregativa spesso

rendono difficoltosa l’adozione delle categorie concettuali classiche dell’economia per valutarne

le performance. Per ognuno dei punti citati, dunque, valgono le considerazioni appena esposte,

oltre alla consueta necessità di leggere il contesto rappresentato come un sistema in divenire, nel

quale gli attuali punti di debolezza possono trasformarsi in opportunità di sviluppo e di crescita,

e nel quale alta deve essere l’attenzione rispetto agli attuali punti di forza, perché possano

saldarsi nel tempo e costituire la base di partenza per una crescita sostenibile nel tempo.

6.1. Punti di forza

1. buona integrazione tra volontariato organizzato e cooperazione sociale. A partire da una

situazione, nel recente passato, di lieve conflitto (peraltro estremamente ricorrente in altri ambiti

territoriali), la collaborazione ha prevalso rispetto alla logica della competizione, estremamente

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improduttiva e dannosa per la crescita del settore nel suo complesso. Il risultato è una coerente

“divisione del lavoro”, fondata sulle caratteristiche intrinseche del bisogno da soddisfare (il

contenuto professionale, la continuità dell’intervento, ecc.) il cui ottenimento è stato possibile

grazie anche ad un atteggiamento responsabile da parte degli enti locali in fase di selezione dei

soggetti titolari dei servizi esternalizzati;

2. alta specializzazione dell’imprenditoria sociale locale. Per le caratteristiche del mercato,

limitato dalla presenza di una forte concorrenza proveniente da soggetti esterni al contesto

regionale, ed a fronte di oggettive difficoltà a contrastarla, le scelte degli attori locali si sono

indirizzate nella logica della specializzazione e ciò ha permesso il raggiungimento di alti livelli

di professionalità degli operatori;

3. limitatezza dimensionale delle cooperative, presenza di consorzi. Se la piccola dimensione è

spesso un elemento di debolezza del sistema di offerta, la scelta di aggregazione valorizza la

flessibilità operativa che ne deriva e trasforma un potenziale agente negativo in un punto di

forza. La scelta associativa, poi, è funzionale all’ottenimento di vantaggi economici (economie

di scala e di scopo), oltre a rappresentare un elemento di razionalizzazione degli interventi e di

massimizzazione delle potenzialità strategiche delle singole cooperative (perseguimento della

specializzazione, contemporaneamente a strategie di differenziazione dell’offerta complessiva

del consorzio). La scelta consortile, inoltre, rappresenta un elemento funzionale alla

proliferazione dei soggetti della cooperazione, fungendo da incubatore di nuova

imprenditorialità;

4. buona diffusione del volontariato e dell’associazionismo. Questa valutazione proviene da

stime effettuate a partire dall’analisi dei trend a carattere regionale e nazionale più che dalla

mera osservazione dei dati degli albi regionali. A differenza di quanto avviene per la

cooperazione sociale, infatti, l’associazionismo dispone di una base informativa molto più

frammentaria e scarsamente attendibile: le organizzazioni di volontariato iscritte agli albi

regionali rappresentano un’esigua minoranza rispetto al dato reale, caratterizzato da un cospicuo

numero di associazioni non riconosciute o che non si sono costituite sulla base della legge

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istitutiva delle organizzazioni di volontariato (L. 266/91). In particolare è un elemento

fortemente positivo del sistema il radicamento territoriale dell’associazionismo di promozione

sociale legato alla difesa dei diritti. Ne è un esempio la rete dei circoli A.R.C.I. e A.C.L.I., i

quali rappresentano punti di prossimità rispetto alla cittadinanza, potenzialmente fruibili come

terminali informativi bidirezionali per il soggetto pubblico e come recettori di istanze sulle quali

costruire una progettualità integrativa dell’offerta pubblica;

5. cambiamento nelle modalità di valutazione dei progetti da parte degli enti pubblici. La

maggiore attenzione, recentemente individuabile, ai requisiti di qualità dei servizi oltre che alla

variabile costo nei criteri di aggiudicazione dei servizi esternalizzati, spinge ad una

competizione meno incentrata sulle variabile economiche e più sulle caratteristiche qualitative

dei servizi. La corresponsione di corrispettivi più ampi per i servizi resi (laddove è

riscontrabile), inoltre, favorisce l’accumulazione di risorse destinabili all’investimento,

momento fondamentale per la crescita del settore;

6. positiva valutazione del progetto sperimentale di accreditamento (buoni servizio). Tale

sperimentazione, avviata in una circoscrizione del comune di La Spezia, rappresenta il primo

passo verso un probabile cambiamento radicale nelle modalità di produzione e di erogazione dei

servizi sociali, in coerenza rispetto all’esperienza, ormai consolidata, in ambito sanitario. Il

meccanismo dell’accreditamento ed il trasferimento del potere di acquisto dall’ente pubblico

all’utente che ne deriva, sembra aprire notevoli spazi alla creazione di un vero e proprio mercato

sociale e, dunque, alla crescita ed al potenziamento del terzo settore. Se la valutazione è, allo

stato attuale, generalmente positiva, non sono comunque ancora chiare le modalità operative

(requisiti necessari per l’accreditamento, modalità di governo del sistema, ecc.) che a questo

meccanismo faranno seguito;

7. limitata concorrenza proveniente dal settore profit dell’economia. La scelta di inserire tale

elemento tra i punti di forza del sistema rispecchia due ordini di valutazioni: in primo luogo.

questa sembra essere la valutazione del fenomeno data dagli stessi attori, secondariamente, per

le caratteristiche specifiche del contesto di riferimento, ad opinione di chi scrive, questa sembra

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essere la collocazione più adeguata. Pur rivestendo, la concorrenza, un ruolo fondamentale nel

meccanismo di selezione dei soggetti di offerta e di miglioramento della qualità delle

prestazioni rese, una competizione accentuata tra l’imprenditoria sociale e le imprese for profit

potrebbe condurre, nel medio-lungo termine, ad un possibile snaturamento delle finalità sociali

riconosciute alla cooperazione, con possibile pregiudizio del sistema nel suo complesso. Se la

bassa concorrenza proveniente da tali soggetti, dunque, può configurarsi come un elemento

positivo, è da notare come tale condizione sia suscettibile di evolvere nel corso del tempo. A

seconda di come si svilupperà il dibattito sul tema dell’accreditamento, in particolare, diversi

sono gli spazi di mercato che si potranno creare per nuovi soggetti erogatori di servizi sociali e

socio-sanitari. Se da tale trend significative sono le opportunità di sviluppo per l’imprenditoria

sociale, è ipotizzabile un sostanziale aumento delle pressioni competitive (che rappresenta,

peraltro, un obiettivo del nuovo sistema ed è valutabile positivamente in quanto tale)

provenienti da soggetti esterni all’ambito della cooperazione;

8. elevata sintonia tra gli attori del sistema. È valutabile positivamente il grado di

collaborazione tra i protagonisti del sistema di offerta, risultato sia di un ambiente

tendenzialmente propenso alla composizione del conflitto, sia di un buon livello del dialogo e

del dibattito tra gli attori;

9. buon livello di soddisfazione degli utenti. Pur in ambiti di intervento fortemente influenzati

dalle scelte del soggetto pubblico (è minoritaria l’offerta extra-convenzione), che risentono di

una predefinizione dei bisogni dell’utenza da soddisfare, la qualità dei servizi erogati è

generalmente valutata in maniera positiva dall’utenza;

6.2 Punti di debolezza

1. forte dipendenza dall’ente pubblico in termini di risorse e mercato. È un dato comune alla

generalità delle organizzazioni di terzo settore a livello nazionale e rappresenta un elemento

fortemente negativo per lo sviluppo del sistema. Nel caso dell’imprenditoria sociale spezzina,

l’offerta non convenzionata rappresenta una quota residuale del volume d’affari complessivo dei

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due consorzi locali, mentre è praticamente inesistente per le cooperative non consorziate. Al

privato sociale, in linea teorica, si riconosce la capacità di cogliere i bisogni inespressi della

società e di operare una logica di segmentazione del mercato più vicina alle esigenze dell’utenza

potenziale proprio perché ne rappresenta la diretta espressione. Il fatto che ciò non avvenga

costituisce una sorta di “fallimento del non profit”, che non riesce a svolgere appieno il proprio

ruolo di promozione della società civile pur rappresentandone l’interlocutore più diretto. Se

operare in convenzione con l’ente pubblico mostra aspetti valutabili positivamente in prima

istanza (stabilità dei ricavi, garanzia rispetto alla consistenza del mercato di riferimento, ecc.),

numerose sono le conseguenze negative che tale circostanza comporta: forte squilibrio nel

fabbisogno finanziario dell’organizzazione (la corresponsione dei corrispettivi per i servizi

erogati spesso segue una tempistica fortemente sbilanciata rispetto al momento del sostenimento

dei costi), producendo, inoltre, pesanti conseguenze rispetto al ruolo che il terzo settore ricopre

nel sistema economico: mero erogatore di servizi la cui progettualità rimane esclusivo

appannaggio dell’ente pubblico, producendo, così, una sorta di circolo vizioso dell’innovazione;

2. inadeguatezza strutturale dell’imprenditoria sociale locale. A fronte di alti livelli di

specializzazione, l’imprenditoria sociale spezzina mostra pesanti problemi di debolezza

strutturale (bassissimi livelli di capitalizzazione, relativa giovinezza della maggior parte delle

organizzazioni, inadeguatezza delle capacità manageriali a livello di singola impresa, bassi

livelli di fatturato anche a livello di consorzio, ecc.). Il risultato di tale situazione è una

sistematica inadeguatezza a far fronte alla competizione proveniente dalle cooperative esterne

all’ambito regionale, le quali da tempo coprono una quota consistente del mercato locale. Anche

in questo caso, peraltro, si è in presenza di un circolo vizioso: l’incapacità di corrispondere ai

requisiti posti a base dell’aggiudicazione degli appalti non ha modo di migliorare, premiando,

questi ultimi, chi può dimostrare un’operatività pregressa nel settore e volumi di fatturato molto

superiori alla media dei consorzi locali. Il fatto che i concorrenti esterni impieghino, in ogni

caso, personale locale può aver rappresentato, inoltre, un freno per il livello politico alla presa di

coscienza del problema;

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3. limitata concorrenza interna alla cooperazione sociale locale. La scelta consortile (peraltro

troppo recente per poter essere valutata con cognizione di causa), accompagnata da una forte

specializzazione dei soggetti, pur rispondendo ad una necessaria esigenza di integrazione

strategica a partire da una situazione di estrema frammentazione del panorama competitivo,

sembra produrre un basso grado di dinamicità interna al settore, generando, così, limitati stimoli

all’innovazione. La recente nascita di alcune cooperative, peraltro, sembra rappresentare un

Il presente lavoro è parte, adattata, di uno studio, coordinato dal dott. Mauro Bini sotto la responsabilità scientifica del Prof. Pietro Genco, commissionato al Ditea da parte della Cassa di Risparmio della Provincia della Spezia su proposta dell’Area Politiche Attive del Lavoro dell’Ente Provincia. Il rapporto finale di ricerca, peraltro su un tema più ampio rispetto a quello qui preso in esame (“Lo stato dei bisogni reali di servizi sociali e socio-sanitari della comunità nella provincia della Spezia e le esigenze di supporto allo sviluppo dei soggetti di offerta”) non è ancora stato sottoposto al committente, il presente contributo, dunque, costituisce una bozza provvisoria da non citare.1 Alternativamente ci si riferisce a queste organizzazioni in termini di terzo settore, privato sociale, economia solidale, non profit, ecc. Ogni definizione, peraltro, risente delle finalità che il ricercatore si propone di perseguire così da risultare inadatta a spiegare fenomeni differenti od al perseguimento di altri obiettivi (Barbetta, 1996). Ormai consolidata a livello internazionale è la definizione proposta da Salamon e Anheier (cit. in Barbetta, 1996), la quale individua come caratterizzanti un’organizzazione non profit: la costituzione formale, la natura giuridica privata, l’autogoverno, il vincolo alla non distribuzione dei profitti e la presenza di una certa quantità di lavoro volontario. È sulla base di questa definizione che si è proceduto per individuare le organizzazioni non profit dell’area provinciale spezzina. 2 La composizione socio-demografica delle fasce sociali è un mix di condizioni così riassumibili: GIOVANI: età 15-25 anni, studenti di scuola media superiore o universitari, occupati o disoccupati, 50% uomini e 50% donne; ADULTI–FAMIGLIE: un rappresentante per nucleo famigliare, 50% uomini e 50% donne; ampio spettro di impiego o attività professionali, preferibilmente con figli, età compresa tra i 30 e i 50 anni; ETÀ ADULTA AVANZATA: uomini e donne ricompresi tra i 60 e i 75 anni, pensionati o ancora attivi, ampia provenienza sociale.3 Gli obiettori di coscienza ed i religiosi, a tal fine, sono stati equiparati al personale volontario. In entrambi i casi, infatti, la retribuzione eventualmente percepita prescinde da una diretta connessione con le attività svolte presso l’organizzazione non profit nella quale essi prestano la propia opera.4 L’attendibilità di queti dati, comunque, risente della scarsa frequenza nell’aggiornamento dei registri, spesso solo una volta l’anno.5 In realtà i soggetti che effettivamente operano in quest’ambito sono un numero maggiore, sia per effetto dell’azione dei consorzi, i quali aggregano spesso organizzazioni su base interprovinciale, (è il caso del consorzio “Campo del vescovo”), sia perché sul territorio operano cooperative aventi sede legale al di fuori del territorio regionale, iscritte nei rispettivi albi di provenienza.6 I dati che si propongono, in questo caso, necessitano di una precisazione: il registro regionale della Liguria è suddiviso in otto settori: ambientale, culturale, educativo, protezione civile, sanitario, sicurezza sociale, sportivo e ricreativo, altri. Sono state prese in considerazione, in questa sede, esclusivamente le organizzazioni di volontariato operanti nel settore della sicurezza sociale, nel quale sono ricomprese associazioni per immigrati, tossicodipendenti, donne in difficoltà, anziani, disabili, disoccupati, ecc. (ad es. centri Caritas, Auser). Marginalmente si è avuto contatto con organizzazioni di volontariato operanti nel settore sanitario. A fini statistici, tali organizzazioni pesano nella misura del 17 % circa rispetto al totale regionale e mostrano un livello di densità superiore rispetto alla media regionale: circa 2,4 organizzazioni ogni 10.000 abitanti contro 1,92 (Elaborazione su dati Regione Liguria). 7 Il Consorzio “Alpe”, dunque, non esplica un’operatività diretta nel campo dei servizi sociali e socio-sanitari.8 La scelta dei casi, necessariamente limitati, ha ovviamente valenza solo esemplificativa, mentre sono numerosi i casi di buona collaborazione tra le due anime del terzo settore, volontariato e cooperazione, e tra questi soggetti e l’intervento pubblico.

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segnale in controtendenza rispetto a queste valutazioni. Un giudizio più completo non può

prescindere, comunque, dalla valutazione dell’operatività dei consorzi quali incubatori di nuova

imprenditorialità sociale in un arco di tempo più consistente;

4. operatività limitata delle cooperative non consorziate. Pur numericamente rilevanti, le

cooperative non consorziate mostrano livelli di operatività minimali, spesso limitati alla

gestione di un’unica convenzione con l’ente locale di riferimento. Tale circostanza, se da un lato

sembra confermare l’ipotesi di efficacia della scelta consortile, rileva allo stesso tempo

l’esigenza imprescindibile di percorsi formativi di respiro manageriale focalizzati

sull’imprenditoria sociale che fungano da supporto per lo sviluppo dei soggetti esistenti,

irrobustendone le competenze di taglio strategico;

5. limitata operatività del Forum Provinciale del Terzo Settore. Per gli obiettivi che si propone,

e vista la buona sintonia tra gli attori del sistema che ne fanno parte, tale soggetto potrebbe

rappresentare un organo propulsore dello sviluppo del privato sociale nello spezzino. A fronte di

queste potenzialità, il livello di operatività effettiva di tale organo è indubbiamente molto

limitato, configurandosi come un soggetto ancora debole e, ad oggi, come un’occasione

mancata per l’intero settore non profit provinciale, pur avendo ottenuto un certo riconoscimento

a livello politico. Se per altri elementi di debolezza del sistema alcune responsabilità possono

essere condivise con l’ente pubblico, talvolta accusato dagli attori del privato sociale di scarso

interesse rispetto al ruolo ed alle prerogative del terzo settore, in questo caso (è un’opinione

condivisa dagli operatori stessi) difficilmente si può attribuire una responsabilità in tal senso ad

altri se non al terzo settore stesso. Evidenti sono i vantaggi dal punto di vista della visibilità e

del riconoscimento del valore culturale e sociale del non profit che da una concreta operatività

di tale soggetto potrebbero derivare. La disponibilità di un organo effettivamente

rappresentativo e dotato di un potere negoziale riconosciuto nei confronti dell’ente pubblico,

inoltre, sembra rappresentare, soprattutto in questa fase di trasformazione, un elemento

imprescindibile.

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BIBLIOGRAFIA

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TABELLE

Tab. 1: Organizzazioni nonprofit per regione - dati al 31/12/1999        

REGIONI ONP ONP ogni 10.000 abitantin. %

1 Lombardia 31.120 14,1 34,32 Veneto 21.092 9,5 46,73 Emilia-Romagna 19.160 8,7 48,14 Piemonte 18.700 8,4 43,65 Toscana 18.021 8,1 51,06 Lazio 17.122 7,7 32,57 Sicilia 16.524 7,5 32,58 Puglia 12.035 5,4 29,59 Campania 11.411 5,2 19,710 Trentino-Alto Adige 8.308 3,8 88,711 Sardegna 7.870 3,6 47,612 Liguria 7.841 3,5 48,213 Marche 7.476 3,4 51,214 Friuli-Venezia Giulia 6.119 2,8 51,615 Abruzzo 5.841 2,6 45,716 Calabria 5.300 2,4 25,817 Umbria 4.347 2,0 52,018 Basilicata 1.271 0,6 21,019 Molise 1.021 0,5 31,120 Valle d'Aosta 833 0,4 69,2

ITALIA 221.412 100,0 38,4NORD 113.173 51,1 44,0CENTRO 46.966 21,2 42,3MEZZOGIORNO 61.273 27,7 29,4

Fonte: elaborazione su dati ISTAT, 2001

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Tab 2: Organizzazioni nonprofit per regione - dati al 31/12/1999       

REGIONI ONP ONP ogni 10.000 abitantin. %

1 Trentino-Alto Adige 8.308 3,8 88,72 Valle d'Aosta 833 0,4 69,23 Umbria 4.347 2,0 52,04 Friuli-Venezia Giulia 6.119 2,8 51,65 Marche 7.476 3,4 51,26 Toscana 18.021 8,1 51,07 Liguria 7.841 3,5 48,28 Emilia-Romagna 19.160 8,7 48,19 Sardegna 7.870 3,6 47,610 Veneto 21.092 9,5 46,711 Abruzzo 5.841 2,6 45,712 Piemonte 18.700 8,4 43,613 Lombardia 31.120 14,1 34,314 Lazio 17.122 7,7 32,515 Sicilia 16.524 7,5 32,516 Molise 1.021 0,5 31,117 Puglia 12.035 5,4 29,518 Calabria 5.300 2,4 25,819 Basilicata 1.271 0,6 21,020 Campania 11.411 5,2 19,7

ITALIA 221.412 100,0 38,4NORD 113.173 51,1 44,0CENTRO 46.966 21,2 42,3MEZZOGIORNO 61.273 27,7 29,4

Fonte: elaborazione su dati ISTAT, 2001

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Tab. 3: Personale impiegato per tipologia - ripartizione regionale - al 31/12/1999             

REGIONI

Dip

ende

nti

Lavo

rato

ri di

stac

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man

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Vol

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ri

Rel

igio

si

Obi

etto

ri di

co

scie

nza

Abruzzo 5.680 317 1.118 55.071 2.347 465Basilicata 2.295 86 219 13.687 672 335Calabria 6.742 249 970 61.890 3.548 676Campania 14.929 382 1.821 117.927 3.726 1.141Emilia-Romagna 31.076 1.411 7.472 350.150 5.385 2.292Friuli-Venezia Giulia 9.853 531 2.046 128.403 1.214 294Lazio 117.496 4.568 16.951 207.903 32.381 7.347Liguria 18.551 494 1.785 95.359 1.844 662Lombardia 121.491 3.113 18.649 636.229 10.756 3.824Marche 9.161 319 1.744 94.966 1.029 612Molise 1.716 23 179 10.148 574 66Piemonte 36.770 1.470 4.840 268.007 7.226 1.698Puglia 20.038 334 1.971 121.952 3.643 1.633Sardegna 13.531 352 2.310 110.181 3.373 305Sicilia 35.799 485 1.889 111.283 4.037 1.390Toscana 24.853 948 5.353 305.403 3.639 2.611Trentino-Alto Adige 10.012 785 2.760 161.238 1.086 512Umbria 5.466 266 1.090 58.195 962 224Valle d'Aosta 1.109 72 306 8.150 575 62Veneto 45.358 1.341 6.467 305.043 8.031 1.639ITALIA 531.926 17.546 79.940 3.221.185 96.048 27.788NORD 274.220 9.217 44.325 1.952.579 36.117 10.983CENTRO 156.976 6.101 25.138 666.467 38.011 10.794MEZZOGIORNO 100.730 2.228 10.477 602.139 21.920 6.011

Fonte: elaborazione su dati ISTAT, 2001

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Tab. 4: Personale retribuito - ripartizione regionale - al 31/12/1999

REGIONI Personale retribuito in % sulla popolazione

1 Lazio 139.015 4,022 Valle d'Aosta 1.487 2,373 Lombardia 143.253 1,834 Trentino-Alto Adige 13.557 1,685 Veneto 53.166 1,576 Liguria 20.830 1,517 Sardegna 16.193 1,438 Piemonte 43.080 1,379 Emilia-Romagna 39.959 1,2910 Friuli-Venezia Giulia 12.430 1,2611 Toscana 31.154 1,0912 Umbria 6.822 1,0613 Molise 1.918 0,9914 Abruzzo 7.115 0,9815 Sicilia 38.173 0,9216 Marche 11.224 0,9217 Calabria 7.961 0,8118 Puglia 22.343 0,7419 Basilicata 2.600 0,6820 Campania 17.132 0,44

ITALIA 629.412 1,45NORD 327.762 1,58CENTRO 188.215 2,45MEZZOGIORNO 113.435 0,78

Fonte: elaborazione su dati ISTAT, 2001

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Tab. 5: Personale non retribuito - ripartizione regionale - al 31/12/1999

REGIONI Personale non retribuito

in % sulla popolazione

1 Trentino-Alto Adige 162.836 17,162 Friuli-Venezia Giulia 129.911 10,763 Emilia-Romagna 357.827 8,724 Toscana 311.653 8,615 Lombardia 650.809 6,946 Umbria 59.381 6,887 Veneto 314.713 6,638 Sardegna 113.859 6,499 Marche 96.607 6,4710 Valle d'Aosta 8.787 6,3711 Piemonte 276.931 6,1312 Liguria 97.865 5,8013 Abruzzo 57.883 4,1614 Lazio 247.631 3,5615 Molise 10.788 2,9416 Puglia 127.228 2,9417 Calabria 66.114 2,8918 Basilicata 14.694 2,2019 Sicilia 116.710 2,1320 Campania 122.794 2,00

ITALIA 3.345.021 5,47NORD 1.999.679 7,50CENTRO 715.272 5,78MEZZOGIORNO 630.070 2,81

Fonte: elaborazione su dati ISTAT, 2001

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Tab. 6: La cooperazione sociale in Liguria: composizione provinciale

Province n. % Popolazione coop. soc. ogni 10.000 abitanti

Imperia 21 12,28 216.386 0,97Savona 29 16,96 279.761 1,04Genova 95 55,56 907.583 1,05La Spezia 26 15,20 222.140 1,17

 Liguria 171 100 1.625.870 1,05

Fonte: elaborazione su dati ISTAT, 2001

Tab. 7: Le O.D.V. nel settore della sicurezza sociale in Liguria: composizione provinciale

 Province n. % popolazione ODV ogni10.000 abitanti

Imperia 24 13,95 216.386 1,11Savona 25 14,53 279.761 0,89Genova 108 62,79 907.583 1,19La Spezia 15 8,72 222.140 0,68

Liguria 172 100 1.625.870 1,06

Fonte: elaborazione su dati ISTAT, 2001

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