Le nuove sfide del penale - TopLegal

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Le nuove sfide del penale 2

Annicchiarico Studio Legale 6

Astolfo Di Amato & Associati Avvocati 8

Studio Legale Baccaredda Boy 9

Studio Bolognesi Avvocati Penalisti di Impresa 11

Studio Legale Borgna 13

BRB Studio Legale 14

DeaLaw Tax, Legal & Advisory 16

Gebbia Bortolotto Penalisti Associati 18

Studio Giordanengo Avvocati Associati 19

Studio Legale Isolabella 21

Studio Legale Pisano 22

Puccio Giovannini - Penalisti Associati 24

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2 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

da affrontare nel diritto penale d’impresa è

quello della corretta attribuzione delle re-

sponsabilità nei processi penali. Secondo il

campione intervistato sarebbe utile accor-

ciare le distanze tra reale gestione e funzio-

namento dell’impresa e comprensione di

questo da parte degli inquirenti. Formando

un corpo di inquirenti in grado, fin dall’im-

postazione dell’indagine, di individuare i re-

sponsabili del settore nel quale è intervenuto

il reato e i soggetti che hanno effettivamente

agito.

Sempre restando in tema di maggiore con-

temperamento tra giustizia e impresa, c’è

chi reputa il “penale unico” non più sosteni-

bile sia in termini economici che in termini

di politica giudiziaria e penitenziaria. Sot-

tolineando l’importanza di differenziare i

processi per reati bianchi rispetto a quelli di

criminalità comune, in modo da adottare – in

assenza di prova certa – misure e strumenti

meno cruenti per il penale di impresa rispet-

to al penale tradizionale e di sangue. Questo

perché le cronache sono ormai dense di maxi

processi che colpiscono manager e impren-

ditori, dagli effetti devastanti e irreversibili

non soltanto sull’impresa oggetto d’indagine,

ma sul Sistema Paese, che perde d’attrattivi-

tà per gli investimenti esteri.

La sempreverde 231

Nonostante sia passato più di un decennio

dalla sua emanazione, il D.lgs 231/2001 sulla

responsabilità diretta delle aziende e degli

enti continua a essere di assoluta attualità.

Le nuove sfide del penale

FINO A UNA DECINA DI ANNI FA ERA

considerato un principe d’Aula. Oggi non

c’è settore della consulenza legale che non ne

veda il coinvolgimento diretto. Interpellato

non più solo in ottica processuale ma in ot-

tica preventiva, il penalista entra nella vita

aziendale a 360 gradi, dalla materia tutt’ora

attuale della 231 alla predisposizione di mi-

sure di sicurezza sul lavoro, passando per

questioni fiscali e finanziarie.

Ad aver agito da volano sono stati i tanti

interventi legislativi che si sono susseguiti

negli ultimi anni: dall’introduzione dei rea-

ti di disastro ambientale e omessa bonifica

all’innalzamento delle soglie per i reati fisca-

li, passando per la frenetica attività in tema

di anticorruzione svolta dall’Anac di Raffaele

Cantone. La materia penale ha così fatto in-

gresso a pieno titolo nella quotidianità ope-

rativa delle aziende. Tanto che alcune società

hanno iniziato a inserire nei propri organi-

smi di vigilanza i penalisti, ritenuti sempre

più utili anche all’interno di questi organi di

controllo.

Di fronte a un’evoluzione normativa e cul-

turale frenetica, però, la giustizia penale ita-

liana risulta ancora inadeguata nella gestio-

ne dei white collar crimes. È quanto emerge

da un’indagine condotta da TopLegal su un

campione di 24 insegne specializzate nella

materia, interrogate sull’evoluzione del dirit-

to penale d’impresa e sulle sfide in corso. Tra

maxi processi in cui sono indagate decine di

persone e altri casi in cui, invece, si ricorre

al semplificato meccanismo della responsa-

bilità per posizione, uno dei principali nodi

Non c’è ambito della vita aziendale che non lo chiami in causa. Un’indagine condotta da TopLegal su 24 insegne fotografa il diritto penale tra vecchie e nuove sfide

A cura di Maria Buonsanto

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3 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

L’ingorgo tributario

Se il D.leg. 231 è un tema sempre attuale da

ormai quindici anni, è diventato d’attualità

più cogente quello dell’incursione del pena-

lista nel terreno dei fiscalisti. La crisi macro-

economica e il tentativo di individui e società

di sottrarsi alla eccessiva pressione fiscale

sono stati un acceleratore per i delitti tribu-

tari sia in Italia che verso l’estero. Se non è

complesso, per inquirenti esperti, accertare il

fatto, è sempre più impegnativo e talvolta im-

possibile, sia per il riciclaggio che per i reati

tributari connessi con paesi stranieri, rinve-

nire il profitto, celato attentamente e sapien-

temente in paradisi fiscali attraverso catene

di società fiduciarie.

In un clima già teso, a dare il colpo di gra-

zia alla pressione sui reati fiscali ci hanno

pensato le quattro sorelle digitali – Apple,

Google, Facebook e Amazon – che nell’ar-

co di un decennio sono passate a essere da

piccole start-up a macchine da soldi. Un fe-

nomeno che ha avuto delle ripercussioni in-

discutibili in ambito penale tributario, come

testimoniato dalla campagna del procura-

tore Capo di Milano Francesco Greco contro

l’elusione fiscale delle multinazionali del di-

gitale. Ciò ha fatto sì che le contestazioni di

transfer pricing e di stabile organizzazione

occulta siano passate da terreno dei fiscali-

sti a raggio d’azione dei penalisti in quanto

le Procure della Repubblica, in particolare

Milano e Roma, hanno spesso utilizzato lo

strumento penale per cercare di recuperare

il più possibile sotto il profilo patrimoniale.

Sono tanti i temi che in passato riguarda-

vano più direttamente i tributaristi, che oggi

sono diventati generatore di nuovi mandati

per i penalisti, sia in ottica preventiva che

di assistenza giudiziale a posteriori. Si spa-

zia dalla voluntary disclosure, la procedura

di collaborazione volontaria per il rientro di

capitali illecitamente detenuti all’estero, al

D.lgs 158/2015, che ha escluso la punibilità di

La norma infatti solleva, tutt’oggi, accesi di-

battiti tra gli addetti ai lavori. Tra gli argo-

menti più discussi c’è la sua applicazione a

macchia di leopardo, che contrappone uffici

giudiziari molto attivi sul tema a procure

che, invece, applicano la normativa con mi-

nore severità. D’altronde, a distanza di 14

anni persistono piccole e medie imprese che

ancora non hanno ritenuto di adeguarsi non

investendo sulla confezione e l’aggiornamen-

to dei modelli organizzativi.

Effettivamente, all’imprenditore non è

chiesto solo di dotarsi di un modello 231 ma

di monitorarlo continuamente per mantener-

lo aggiornato, idoneo ed efficace. Soprattutto

a causa della crescente rilevanza assunta da-

gli orientamenti giurisprudenziali in relazio-

ne alla struttura e al contenuto dei modelli

organizzativi. Ad esempio, la giurisprudenza

ha sottolineato l’importanza di una corretta

formazione dell’Organismo di Vigilanza per-

ché il modello andrebbe letto come effettivo

ed efficace strumento di governance.

È quindi importante sottolineare il ruo-

lo delle funzioni di controllo interno quale

strumento di prevenzione della commissione

dei reati presupposto e di accertamento della

violazione.

Un altro tema d’attualità legato alla 231 ri-

guarda la sua applicazione a società con

sede all’estero e a gruppi multinazionali, che

renderebbe utile l’adozione di modelli cross

border e di protocolli di comunicazione tra le

varie funzioni di controllo del gruppo.

E, infine, c’è chi afferma che andrebbe

chiarita l’applicazione alle società delle ga-

ranzie processuali previste dal nostro or-

dinamento per la persona fisica perché no-

nostante l’art. 35 del decreto preveda che al

procedimento nei confronti delle persone

giuridiche debbano essere applicate le norme

processuali previste per le persone fisiche in

quanto compatibili, sul piano applicativo tale

equiparazione crea non poche difficoltà.

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4 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

nell’ambiente dallo stabilimento imputato, è

indispensabile il ricorso a studi epidemiolo-

gici. L’attenzione si fa massima, in particola-

re, quando si parla di responsabilità penale

per esposizione all’amianto.

Non soltanto perché negli ultimi tempi

i tribunali stanno prendendo una china di-

versa, più favorevole alle istanze delle difese,

portate avanti per anni senza apparente suc-

cesso; ma anche perché, secondo gli opera-

tori del settore, il tema sarà sotto i riflettori

ancora a lungo considerando che la latenza

della malattia è di quarant’anni e dunque, in

futuro, ci saranno presumibilmente ancora

molti processi.

Oltre alla responsabilità da amianto, sotto i

riflettori ci sono anche i cosiddetti nuovi eco-

reati, quali i delitti di inquinamento ambien-

tale (art. 452 bis c.p.) e di disastro ambientale

(art. 452 quater c.p.), introdotti dalla legge 68

del 2015. Le elevate cornici edittali di pena, l’e-

stensione della disciplina della confisca e l’in-

clusione dei nuovi reati tra i reati presupposto

per la responsabilità delle persone giuridiche

ai sensi della 231, contribuiscono a rendere

davvero “caldo” il tema della portata applica-

tiva delle nuove norme. A mantenere vivo l’in-

teresse sul tema ci pensano anche le questioni

interpretative ancora aperte. Molti addetti ai

lavori sottolineano, infatti, che la formulazio-

ne delle nuove norme rischia di lasciare ampio

margine di discrezionalità applicativa. E c’è

chi arriva a sostenere che «la riforma è scritta

male e lascia spazio a questioni di incostitu-

zionalità».

Leva e finanza nell’occhio del ciclone

Oltre a essere stata un driver per i reati di na-

tura tributaria, la crisi economica ha prodot-

to centinaia di processi per reati fallimentari.

Quando si parla di penale fallimentare, i temi

d’interesse per gli addetti ai lavori spaziano

dal più classico reato di bancarotta agli illeci-

ti posti in essere anche nell’ambito di proce-

alcuni reati tributari nell’ipotesi in cui i de-

biti tributari siano stati interamente estinti

anche in seguito a procedure conciliative o di

adesione all’accertamento.

In questa lotta di contrasto ai reati tribu-

tari, in Italia si è proceduto sul doppio binario

penale-amministrativo, con la coesistenza di

sanzioni sia penali sia amministrative per

le stesse condotte a carico delle medesime

persone. Ma proprio in questi mesi è arrivato

dall’Europa un colpo di piccone che ha mes-

so sull’allerta i penalisti. Lo scorso settembre

l’Avvocato generale della Corte Ue si è espres-

so su tre casi che riguardano l’Italia.

E la conclusione è stata la medesima: la

doppia repressione amministrativa e penale

delle medesime condotte, priva di un mecca-

nismo processuale per evitarla, non garan-

tisce il rispetto del diritto al ne bis in idem

(no alla doppia punizione) statuito dall’arti-

colo 50 della Carta per i diritti fondamentali

dell’Unione. Una conclusione che implicherà

fare i conti con il fatto che la normativa ita-

liana non prevede il coordinamento tra pro-

cedimenti penali e amministrativi e non

impone un vincolo di collaborazione alle au-

torità giudiziaria e tributaria.

Ecoreati e binomio penale-scienza

Oltre a penale e tax, c’è un altro binomio che

sta assumendo un ruolo sempre maggiore

nell’attività del penalista: quello tra penale e

scienza. Tutti i professionisti interpellati da

TopLegal concordano nel sottolineare la cre-

scente attenzione ai reati di natura ambien-

tale e l’imprescindibile necessità di coniu-

gare il sapere giuridico a quello scientifico.

I motivi sono molteplici e spaziano dal com-

plesso tema del nesso eziologico all’onere di

una prova rigorosa che eviti errori giudiziari.

Poiché nei processi per disastro ambien-

tale il fulcro dell’istruttoria è l’accertamen-

to dell’effettiva pericolosità per la salute

pubblica delle sostanze inquinanti diffuse

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5 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

per i penalisti non è banale, considerando la

velocità con le quali circolano attualmente

le informazioni, l’inadeguatezza del sistema

nazionale in presenza di operazioni sempre

più transnazionali, l’impatto dell’informa-

tica nell’esecuzione di azioni su strumenti

finanziari e l’uso di sofisticati programmi in-

formatici per mettere a punto condotte mani-

polative.

Cybercrime, il reato corre in rete

Quando si parla di white collar crimes il rea-

to informatico è un tema ancora di frontiera

in Italia. Le peculiarità proprie dei crimini

informatici, connotati da transnazionalità,

rapidità di esecuzione e livelli di sofisticazio-

ne degli attacchi sempre più elevati, palesano

infatti l’inefficacia degli strumenti offerti dal

sistema penale, la cui reazione è di regola ste-

rile e tardiva.

Si pensi, ad esempio, ai frequenti sequestri

di interi archivi informatici, con la successiva

diffusione dei loro contenuti a seguito della

chiusura della fase di indagine: circostanze ido-

nee a provocare un gravissimo pregiudizio per

le imprese interessate, ben superiore rispetto

alla portata stessa del procedimento penale che

le vede coinvolte. È chiaro, quindi, che anche la

tutela dei dati personali è entrata nell’orbita del

diritto penale.

E, con essa, non pochi interrogativi su quello

che sarà il ruolo del penalista alla luce dei con-

tenuti del Regolamento sulla privacy che entrerà

in vigore a maggio 2018, soprattutto in relazione

alla figura del data protection officer quale figu-

ra di riferimento nella gestione degli strumenti

di tutela e delle policy adottate dalla società,

nonché con riguardo all’analisi del rischio e dei

conseguenti adempimenti richiesti dalla norma-

tiva. Se ne dibatte da poco in Italia, ma nei pros-

simi mesi il bisogno di procedure e policy che

permettano un’attività di controllo più efficace

dei dati è destinato a diventare un argomento

dirompente.

dure diverse dal fallimento. In quest’ultimo

caso, si fa riferimento in particolare al tema

della concessione del credito, degli strumenti

di soluzione della crisi d’impresa e del loro

impatto sul versante penalistico, nonché del-

la valutazione preventiva della loro utilizza-

bilità con la nomina dell’esperto valutatore.

Una delle novità del diritto penale falli-

mentare è, inoltre, la relazione sempre più

stretta che sussiste tra il diritto penale e l’at-

tività d’impresa svolta dalle banche. Negli

ultimi mesi, infatti, hanno assunto massi-

ma rilevanza, anche numericamente, i casi

di reati fallimentari in cui è rinvenibile una

responsabilità delle banche per concessione

abusiva di credito a imprese decotte.

Un fenomeno che non ha precedenti in

ambito di diritto fallimentare. In effetti, il

fermento del settore bancario è altissimo e si

sono moltiplicati i processi legati a respon-

sabilità degli ex vertici per reati di varia na-

tura (associazione a delinquere, aggiotaggio,

appropriazione indebita e riciclaggio). Tra

le vicende più note degli ultimi mesi ci sono

l’inchiesta Cian Ban (fiume di denaro), in cui

la Bank of China era accusata di coinvolgi-

mento in una presunta maxi operazione di ri-

ciclaggio da due miliardi di euro, e i processi

a Credit Suisse e IW Bank. Volendo allargare

il discorso, si può dire che il fermento non ri-

guarda solo l’attività strettamente bancaria,

ma più in generale il mondo della finanza. Ne

è un esempio il processo di Trani alle agenzie

di rating Standard & Poor’s e Fitch, accusate

di manipolazione del mercato per aver dif-

fuso intenzionalmente negli anni più critici

della crisi del debito informazioni “distorte

e tendenziose” sull’affidabilità creditizia ita-

liana.

Negli ultimi mesi, quindi, la tutela penale

delle manovre finanziarie è stata nell’occhio

del ciclone. Il problema sta nel tutelare il

pubblico dei risparmiatori in una realtà ra-

dicalmente diversa e di gran lunga più com-

plessa rispetto al passato. Una questione che

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6 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

strato esercita le proprie funzioni (o le esercitava al

momento del fatto), la competenza va radicata in

capo al Giudice il cui Ufficio Giudiziario ha sede nel

capoluogo di un differente distretto di Corte d’Ap-

pello, individuato ex lege.

Le regole dettate dall’art. 11 c.p.p. si applicano

anche in caso di coinvolgimento nel procedimen-

to dei Giudici Onorai, quali ad esempio i Giudici di

Pace ovvero i membri laici delle Sezioni Agrarie

del Tribunale, atteso il carattere non episodico

dell’esercizio della giurisdizione e l’inserimento

di tali figure professionali tra gli organi deputati

all’amministrazione della giustizia. Sul punto si

sono pronunciate anche le Sez. Unite statuendo

che: “L’art. 11 c.p.p., che prevede una deroga alle re-

gole generali sulla competenza per territorio per i

procedimenti nei quali sia parte un magistrato, si

applica anche ai procedimenti nei quali siano

parte magistrati onorari, come il giudice di pace

ovvero i membri laici delle Sezioni Agrarie del

Tribunale …”.

L’applicazione di tale norma, e dei predetti ar-

resti giurisprudenziali, è stata invocata dalle Dife-

se degli imputati nel procedimento c.d. Ambiente

Svenduto in corso di celebrazione dinanzi alla

Corte d’Assise di Taranto, a seguito della costitu-

Processo ILVA, Magistrati parti civili: conseguenze

L’art. 11 del codice di procedura penale pre-

vede che l’incompetenza funzionale del

Magistrato (la quale determina il necessario

trasferimento del procedimento ad altra sede

distrettuale) si realizza nell’ipotesi in cui tale

Magistrato assuma “la qualità di persona sotto-

posta ad indagini, di imputato ovvero di perso-

na offesa o danneggiata dal reato”.

In altri termini, quando un procedimento

penale coinvolge un Magistrato e la competenza

a trattarlo spetti ad un ufficio giudiziario com-

preso nel distretto di Corte d’Appello in cui il Magi-

L’eccezione difensiva e la decisione della Corte d’Assise di Taranto

Non determina l’applicabilità dell’art. 11 c.p.p. la costituzione quale Parte Civile di un Giudice di Pace del Distretto, se questi, al momento della celebrazione del processo nel quale si costituisce, ha dismesso le funzioni: dall’avvenuta cessazione dell’appartenenza all’ordine giudiziario discenderebbe la possibilità di esclu-dere possibili condizionamenti sulla decisione finale.

A cura di Pasquale Annicchiarico

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7 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

zietà del Giudice agli occhi della collettività e di

“evitare che il rapporto di colleganza e normale

frequentazione nascente dal comune espletamen-

to delle funzioni nello stesso plesso territoriale

possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’im-

parzialità del giudizio” (Cass. Sez. Unite 292/2004

Scabbia), l’applicabilità del meccanismo di cui

all’art. 11 c.p.p. non si presta ad alcun tipo di sin-

dacato nelle ipotesi in cui il soggetto che assume il

ruolo di imputato, indagato, persona offesa o dan-

neggiata dal reato, sia un magistrato e quest’ulti-

mo svolga, o abbia svolto, le funzioni giudiziarie

al momento del fatto-reato nello stesso distretto

di Corte di Appello del procedimento che lo vede

assumere una delle predette qualità. Per conso-

lidato orientamento dei Giudici di Legittimità ai

fini dell’applicazione della competenza specia-

le ex art. 11 c.p.p., ciò che rileva è che vi sia stato

esercizio delle funzioni giudiziarie al momento

della commissione del fatto-reato, a nulla rile-

vando l’intervenuta cessazione delle funzioni

giudiziarie al momento della costituzione di

parte civile. “È irrilevante la questione relativa al

momento di pensionamento del magistrato, sia

esso insorto prima, o dopo la costituzione di parte

civile. Per un verso, la costituzione di parte civile

non è condizione di operatività dell’art. 11 c.p.p.

per altro verso, ciò che rileva è la condizione del

magistrato al momento del fatto, come emerge

dall’espressione “esercitava” le funzioni al mo-

mento del fatto; mentre è del tutto irrilevante che

la cessazione sia intervenuta in un momento suc-

cessivo. Come confermato dalla Corte di Cassa-

zione, la deroga alla competenza fissata dall’art.

11 c.p.p., opera anche qualora il magistrato abbia

già cessato dal servizio (Cass. 4 maggio 1977, De

Vivo)”. Qualora l’eccezione difensiva, fondata su

di un orientamento allo stato univoco e consoli-

dato, dovesse trovare accoglimento in Appello o

in Cassazione, il processo ILVA sarebbe annullato

e trasferito dinanzi al Tribunale di Potenza per la

celebrazione, dall’inizio, di un nuovo Giudizio.

zione quale Parte Civile sia del dott. omissis che

ha esercitato le funzioni di Giudice di Pace di Ta-

ranto dal 1995 al 2015 (durante il periodo nel qua-

le si sarebbero consumati i fatti oggetto di impu-

tazione), sia del dott. omissis, come documentato

attraverso la produzione dei decreti ministeriali

di nomina e di numerose sentenze a loro firma.

La Corte d’Assise, tuttavia, ha rigettato l’eccezione

difensiva sostenendo che dall’avvenuta cessa-

zione dell’appartenenza del dott. omissis e del

dott. omissis all’ordine giudiziario al momento

della celebrazione del processo, discendereb-

be la possibilità di escludere condizionamenti

sulla decisione finale (“ … deve sussistere un

concreto ed attuale pericolo che il rapporto di col-

leganza incida sulla effettiva o apparente (presso

la pubblica opinione) imparzialità e terzietà del

giudice. Sicchè la cessazione della appartenenza

all’ordine giudiziario senza dubbio incide su det-

to rapporto di colleganza, ormai cessato e, quindi,

sul condizionamento, effettivo ma anche solo ap-

parente, che detta appartenenza potrebbe avere

sulla decisione finale del giudice … la accertata

cessazione dall’Ufficio di omissis, fa si di poter

ragionevolmente concludere per la inapplicabi-

lità del disposto di cui all’art. 11 c.p.p..”). Si tratta

di una decisione che offre interessanti spunti di

riflessione, atteso che l’ordinanza in questione

pare discostarsi tanto dalla ratio dell’art. 11 del

codice di rito, quanto da tutti i precedenti arresti

in materia.

Ed invero, premesso che la finalità perseguita

dalla norma in esame è indiscutibilmente quella

di garantire l’immagine di indipendenza e ter-

MilanoVia Cormons, 11Tel. 02 33491042

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Annicchiarico Studio Legale

Avv. Pasquale Annicchiarico

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8 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

legittimità costituzionale. Le modifiche, infatti, si

sono incentrate su altri aspetti tra cui l’amplia-

mento della platea dei soggetti destinatari delle

misure (corrotti, stalker, truffatori, indiziati di

aver aiutato latitanti di associazioni a delinque-

re); la previsione di una trattazione prioritaria

del proc. di prevenzione patrimoniale; l’introdu-

zione dell’istituto del controllo giudiziario delle

aziende; la modifica del sistema di nomina/revo-

ca degli amministratori giudiziari.

Il punto dolente della disciplina continua,

dunque, a ravvisarsi in quella cultura del sospetto

che è alla base del sistema delle misure di preven-

zione. La riforma, ad esempio, non ha modificato

le previsioni in materia di confisca permanendo

la possibilità di confiscare i beni - di cui si sia ti-

tolari e che abbiano un valore sproporzionato

rispetto al proprio reddito dichiarato ai fini delle

imposte o alla propria attività economica - solo

sulla base di un generico accertamento della pe-

ricolosità. La conseguenza è che l’ablazione del

patrimonio del proposto, essendo ancora fonda-

ta su presunzioni, continua a porsi in contrasto -

anche a seguito della riforma - con diritti costitu-

zionalmente e convenzionalmente tutelati quali

la proprietà, il diritto di difesa ed il diritto ad un

equo processo.

La riforma “mancata” del Codice Antimafia

La legge n. 161/2017, entrata in vigore il 19 no-

vembre scorso, ha modificato la disciplina in

materia di misure di prevenzione contenuta nel

D.lgs. 159/2011 (cd. codice antimafia).

La riforma si pone al termine di un complesso

iter legislativo che ha preso le mosse dalle nume-

rose censure formulate con riferimento al prece-

dente testo legislativo, soprattutto in termini di

violazione dei principi costituzionali e conven-

zionali. Più precisamente, profili di illegittimità

sono stati ravvisati con riferimento ai presup-

posti applicativi della disciplina di prevenzione

che consente l’inflizione di misure personali e

patrimoniali particolarmente afflittive (quali il

sequestro e la confisca) sulla base di un giudizio

meramente presuntivo di pericolosità del sogget-

to, fondato su elementi indiziari ed ispirato alla

cd. logica del sospetto. Si è, altresì, criticata la

“distorsione” del sistema di prevenzione caratte-

rizzato da standard probatori molto bassi e dalla

totale assenza delle garanzie tipiche del proces-

so penale. Pertanto, si è auspicata una modifica

dell’intero sistema.

Nel riformare la disciplina in parola il Legisla-

tore non ha, tuttavia, recepito le istanze di revi-

sione - in senso garantistico - dell’intero sistema

della prevenzione, lasciando irrisolti i dubbi di

I pericoli per i diritti fondamentali

Astolfo Di Amato & Associati Avvocati00198 Roma – Via Nizza n. 59 Tel. 06.8550010 Fax 06.84242253

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A cura di Astolfo Di Amato

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9 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

aprire la strada all’incriminazione di condotte

ascrivibili alla categoria del post-fatto non pu-

nibile.

L’introduzione dell’art. 648ter.1, in sostanza,

è il risultato di una scelta di compromesso che

nei fatti ha soltanto ridimensionato il “privile-

gio di autoriciclaggio”, continuando a prevede-

re l’esclusione della punibilità in caso di “mera

utilizzazione o di godimento personale” (al co.

4) e richiedendo la sussistenza di un concreto

ostacolo all’identificazione della provenienza

delittuosa dei beni (al co. 1).

Il frutto di questa scelta è una fattispecie che

non brilla per chiarezza nella formulazione e

che, senza dubbio, lascia molti nodi interpreta-

tivi da risolvere a dottrina e giurisprudenza.

Nella propria opera di contrasto all’economia

dell’illegalità, la L. 186/14 ha modificato anche

l’impianto del d.lgs 231/01, inserendo l’art. 648

ter.1 c.p. nel catalogo dei c.d. reati presupposto.

Tale inclusione, operata mediante il sempli-

ce richiamo all’art. 648ter.1 nel corpo dell’art.

25-octies, desta non poche perplessità. Provia-

mo a fare qualche esempio.

In primo luogo, non è chiaro come la clau-

sola modale dell’art. 648ter.1 co. 1 (laddove si

richiede che la condotta debba essere tenuta

“in modo da ostacolare concretamente l’iden-

Autoriciclaggio e responsabilità degli enti

All’esito di un lungo processo di evoluzione

normativa in tema di riciclaggio, l’art. 3

della L. 15.12.2014, n. 186 ha introdotto nel codice

penale l’art. 648ter.1 c.p.

Con questo intervento normativo il legisla-

tore si è proposto di superare il principio del

c.d. “privilegio di autoriciclaggio” che impediva

l’incriminazione dell’autore o del concorrente

nel reato che pone in essere condotte di rici-

claggio o reimpiego.

Sulla base delle indicazioni ricevute in sede

consultiva dalla Commissione Giustizia della

Camera dei Deputati, il Parlamento ha prefe-

rito però non procedere alla radicale elimina-

zione della clausola di non punibilità di cui agli

artt. 648bis e 648ter c.p., per non rischiare di

L’autoriciclaggio nel d.lgs 231/01, tra i dubbi della dottrina ed il silenzio giurisprudenziale

A tre anni dall’entrata in vigore nell’ordinamento nazionale della normativa in tema di autoriciclaggio, le questioni interpretative da risolvere in relazione all’inclusione della fattispecie all’interno del catalogo dei c.d. reati presupposto ex d.lgs 231/01 per la responsabilità degli enti risulta-no ancora molto numerose.

A cura di Carlo Baccaredda Boy

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10 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Frebbraio 201810 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

clausola pensata per ipotesi tipiche delle perso-

ne fisiche.

Infine, risulta problematica la potenziale

violazione del principio di tassatività in tema

di responsabilità degli enti.

Ci si chiede, infatti, se la responsabilità

dell’ente per autoriciclaggio debba essere limi-

tata ai casi in cui il reato-base (da cui deriva il

bene o le altre utilità reimpiegate) sia già com-

preso nel catalogo del d.lgs 231/01 o si configuri

anche in presenza di delitti diversi (quali, ad

esempio, i reati tributari). Tale aspetto è ov-

viamente molto rilevante sul piano pratico: si

pensi all’elaborazione del modello organizzati-

vo e alla predisposizione da parte dell’ente dei

presidi a contenimento del rischio reato. Una

questione simile, relativa all’inserimento nel

catalogo 231 degli artt. 416 e 416bis c.p., è stata

risolta dalla Suprema Corte in ossequio al prin-

cipio di tassatività, circoscrivendo l’operatività

di tali reati ai soli casi in cui l’associazione ab-

bia reati-fine contemplati dal catalogo del d.lgs.

231/01 (Cass. Pen., Sez. VI, 24.01.2014, n. 3635).

La dottrina sul punto è divisa tra autori

che sostengono l’applicabilità di una soluzio-

ne analoga anche per l’autoriciclaggio ed altri

che, invece, argomentano l’insussistenza della

lesione del principio di tassatività sulla base

della diversità strutturale tra i reati associati-

vi e il 648ter.1. Ancora una volta, non risultano

pronunce specifiche sul punto.

In conclusione, come si desume da questa

breve esemplificazione, a tre anni dall’entrata

in vigore della L. 186/14 gli orizzonti applicativi

dell’autoriciclaggio nel d.lgs 231/01 risultano

ancora da delineare e l’interpretazione è affida-

ta agli sforzi dei primi commentatori. Ad oggi, i

dubbi rimangono numerosi ed è auspicabile un

intervento chiarificatore della giurisprudenza.

tificazione” della provenienza delittuosa dei

beni o altre utilità) si declinerà nell’ambito

della responsabilità delle persone giuridiche,

specialmente in relazione alle realtà più gran-

di che – si pensi alle imprese multinazionali –

pongono quotidianamente in essere operazioni

finanziarie di elevata complessità.

Le prime pronunce sul tema (tutte relative

a persone fisiche) offrono alcuni utili spunti

di riflessione e cercano di valorizzare l’intento

del legislatore; Cass. Pen., Sez. II, 28.07.2016 n.

33074, ad esempio, afferma che con l’avverbio

concretamente “il legislatore richiede […] che la

condotta sia dotata di particolare capacità dis-

simulatoria [ossia] un impiego di qualsiasi tipo

ma sempre finalizzato ad occultare l’origine il-

lecita del denaro o dei beni oggetto del profitto”.

In attesa di pronunce specifiche sull’argomen-

to, la questione è da considerarsi aperta. La

speranza è che la giurisprudenza non ceda ad

interpretazioni abroganti dell’avverbio “con-

cretamente”.

Una seconda criticità, inoltre, è ravvisabile

nell’interpretazione da dare all’art. 648ter.1, co.

4 (non punibilità “per mera utilizzazione o go-

dimento personale”), qualora l’autoriciclaggio

sia realizzato nell’interesse o a vantaggio di un

ente. Come si osserva in dottrina, infatti, ipotiz-

zare il caso in cui il provento dell’illecito a mon-

te sia stato meramente utilizzato o destinato al

“godimento personale” dell’ente risulta molto

complesso, se non impossibile, essendo stata la

Studio LegaleAvvocato Carlo Baccaredda Boy

Viale Bianca Maria n. 2520122 Milano

www.studiolegalebaccaredda.it

Avv. Carlo Baccaredda Boy

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11 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

pericolo la salute dei soggetti interessati. Sotto

questo profilo, l’intervento legislativo può rite-

nersi positivo poiché contiene quella tendenza

della giurisprudenza a sostituirsi al legislatore

evocando, non sempre a proposito, le fattispe-

cie appena richiamate. Del resto, questa prassi

giurisprudenziale era stata criticata anche dalla

stessa Corte Costituzionale che nel 2008 aveva

auspicato un intervento del legislatore penale in

grado di disciplinare in modo autonomo tali fatti-

specie criminose, garantendo quella certezza del

diritto che il ricorso alla figura del disastro inno-

minato aveva compromesso. La necessità di un

intervento legislativo di ampio respiro risponde

altresì agli obblighi comunitari indicati dalla di-

rettiva 2008/99/CE. Qualche perplessità sussiste,

invece, in ordine alla introduzione delle figure

dell’ “Inquinamento ambientale” e del “Disastro

ambientale” (art. 452 bis e quater c.p.), sotto il

profilo della certezza del diritto.

Si pensi, infatti, all’impiego dell’avverbio

“abusivamente” e al ricorso a formule lingui-

stiche vaghe e poco precise (“equilibrio di un

ecosistema”, alterazione irreversibile”), che dif-

ficilmente potranno essere meglio precisate in

via ermeneutica e che stridono con il principio

di determinatezza.

Un aspetto innovativo e sicuramente rilevan-

I reati ambientali a due anni e mezzo dalla riforma

La riforma doveva rispondere ad un primo com-

pito: superare l’inadeguatezza del sistema

sanzionatorio previgente. Tale assetto era, infatti,

incentrato su fattispecie di carattere contravven-

zionale chiamate a sanzionare anche condotte

connotate da una certa gravità che venivano però

punite con pene pecuniarie o di modesta entità.

Questo esiguo apparato repressivo si mostra-

va foriero di ricadute negative almeno sotto due

versanti. Da un lato, era assai frequente il ricorso

al procedimento di oblazione, che portava alla

estinzione del reato attraverso il pagamento di

una sanzione amministrativa di carattere pe-

cuniario; dall’altro, si era diffusa la prassi delle

Procure della Repubblica di ricorrere, a fronte

della scarsa efficacia repressiva e deterrente del-

le sanzioni previste dal T.U. Ambiente, alle fatti-

specie poste a tutela dell’incolumità pubblica

(artt. 439, 440 c.p.), con la conseguenza di evocare

pene sproporzionate rispetto al reale disvalore

di fatti di inquinamento che non ponevano in

Analisi critica e risvolti applicativi della nuova disciplina

La riforma ha lati oscuri e propone questioni irrisolte. Il compito del pro-fessionista sarà quello di fornire alle imprese una guida nella prevenzione del rischio penale

A cura di Dario Bolognesi

Page 13: Le nuove sfide del penale - TopLegal

12 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

nero della responsabilità a fronte della adozione

di compliance programs che abbiano positiva

ricaduta nel settore ambientale. Già nel 2011 il

legislatore era intervenuto, anche sotto la spinta

degli obblighi comunitari, inserendo alcune ipo-

tesi, al tempo contravvenzionali, nell’ambito dei

reati presupposto. Tuttavia, la scelta di non inclu-

dere le fattispecie codicistiche, tradizionalmente

deputate alla tutela dell’ambiente (getto pericolo-

so di cose ex art. 674 c.p.; avvelenamento di acque

destinate all’alimentazione ex art. 439 c.p.; lo stesso

disastro ex art. 434 c.p.; etc.), aveva depotenziato la

riforma dando luogo ad effetti paradossali poiché

veniva integrata la responsabilità dell’ente in pre-

senza di offese bagatellari, mentre nulla si poteva

dinnanzi agli illeciti più gravi. Attualmente, sul

piano sanzionatorio, gli illeciti amministrativi di-

pendenti da reato sono puniti attraverso sanzioni

pecuniarie calcolate secondo il sistema delle quote

previsto dall’art. 10 d.lgs. 231/2001 che il legislatore

ha fissato entro limiti edittali di una certa rilevan-

za e non sono, peraltro, oblazionabili. Poiché la

responsabilità dell’Ente può riguardare non solo i

soggetti di notevole capacità economica ma anche

realtà aziendali di modesto spessore, si rileva che

per queste ultime le sanzioni previste possono ri-

sultare eccessivamente afflittive. Perciò le aziende,

anche di medie o piccole dimensioni, debbono do-

tarsi di Modelli di organizzazione e controllo ade-

guati ed efficaci, idonei a prevenire i reati e ad ave-

re efficacia esimente, al fine di prevenire chiamate

in causa e condanne a sensi del decreto 231/2001.

Per cogliere questo obbiettivo gli Studi legali che

si occupano della redazione dei modelli per l’im-

presa dovranno, anche rispetto agli ecoreati di cui

stiamo trattando, svolgere unitamente ai clienti

ed a consulenti esperti una approfondita analisi

dell’area a rischio in questione.

te è senza dubbio rappresentato dall’inserimento

dei reati ambientali tra i reati presupposto che

configurano una responsabilità dell’ente ai sen-

si del d.lgs. 231/2001. La scelta del legislatore è

senz’altro condivisibile nell’ottica di estendere

la responsabilità ex d.lgs. 231/2001 a tutti i settori

in cui è necessario responsabilizzare l’impresa,

ma d’altro canto sembra giustificata la preoccu-

pazione di quest’ultima a fronte dei sopra citati

dubbi in ordine al perimetro applicativo delle

nuove norme ed alla loro interpretazione: sus-

siste cioè ancora una volta il rischio che sia de-

mandata alla giurisprudenza la definizione della

volontà del legislatore, con la verosimile conse-

guenza di decisioni almeno in un primo tempo

eterogenee che non gioveranno alle certezze ne-

cessarie all’imprenditore per valutare il rischio e

fare scelte ed investimenti importanti.

Sotto diverso profilo bisogna riconoscere che

l’inserimento della nuova normativa nel sistema

231 consente di dare risposta sanzionatoria alla

scorretta politica di impresa anche quando non

sia possibile individuare il singolo responsabile,

costituendo contemporaneamente argine a spin-

te criminogene e maggiori garanzie di tutela per

l’ambiente, quest’ultime rinforzate dalla intro-

duzione da parte del legislatore di meccanismi

premiali a favore degli enti che si adoperino per

il ripristino dello stato delle matrici ambientali

al momento antecedente la commissione dell’il-

lecito; è stata altresì prevista una causa di eso-

MilanoVia Gabrio Serbelloni 1

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BolognaVia Massimo D’Azeglio 42

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13 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

no cagionato un danno od un pericolo concreto

ed attuale di danno alle risorse ambientali, ur-

banistiche o paesaggistiche protette.

La prescrizione impartita è un atto di ini-

ziativa posto in essere prima che l’autorità giu-

diziaria venga investita della notizia di reato; il

conseguente procedimento penale resta sospeso

dall’iscrizione fino al momento in cui il Pubblico

Ministero riceve comunicazione dell’adempi-

mento o dell’inadempimento delle prescrizioni

impartite.

Solo qualora venga accertato l’adempimento

delle prescrizioni, il contravventore sarà ammes-

so al pagamento, in sede amministrativa, di una

somma pari al quarto del massimo dell’ammen-

da stabilita per la contravvenzione commessa. Il

Pubblico Ministero, ricevuta notizia dell’estin-

zione della contravvenzione, provvederà a chie-

dere l’archiviazione del procedimento penale.

Va rilevato che, qualora, come più volte si è

verificato accadere nella pratica, gli organi di

polizia non attivino la procedura di cui sopra,

ormai divenuta invece rutinaria in materia an-

tinfortunistica, l’attività di difesa può stimola-

re l’applicazione delle norme citate, evitando

così l’inizio di un vero e proprio procedimento

penale.

L’estinzione delle contravvenzioni ambientali

La legge 68/2015 ha riformato in maniera si-

gnificativa il sistema dei reati ambientali,

introducendo nuove ipotesi delittuose, punite

molto severamente. Per quanto concerne, invece,

gli illeciti contravvenzionali previsti dal codice

dell’ambiente (d. l.vo 152/06), la normativa in esa-

me ha proposto una novità di rilievo e, cioè, un

meccanismo estintivo che ricalca quello previsto

in materia di sicurezza sul lavoro (art. 301, d.lgs.

81/2008). Una procedura, quindi, di notevole in-

teresse e di rilevante impatto pratico.

L’art. 318 ter, al I comma, prevede, infatti,

che, allo scopo di estinguere la contravvenzione

accertata, l’organo di vigilanza in materia am-

bientale, nell’esercizio delle funzioni di polizia

giudiziaria, ovvero la polizia giudiziaria stessa,

impartisca al contravventore un’apposita pre-

scrizione, fissando per la regolarizzazione un

termine, che può venir prorogato, a richiesta del

contravventore ed in presenza di specifiche e

documentate circostanze, non imputabili, ovvia-

mente, al contravventore stesso, tali da determi-

nare un ritardo nella regolarizzazione.

La nuova procedura estintiva trova applica-

zione nelle ipotesi contravvenzionali punite con

la sola pena dell’ammenda o con la pena alterna-

tiva dell’arresto o dell’ammenda, che non abbia-

Un’opzione extra processuale per le imprese

A cura di Giovanni Borgna

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14 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

lo statuto delle garanzie processuali, in www.

dpei.it). Nonostante, infatti, l’art. 35 del Decreto

preveda che al procedimento nei confronti delle

persone giuridiche debbano essere applicate le

norme processuali previste per le persone fisiche

in quanto compatibili, sul piano applicativo tale

equiparazione crea non poche difficoltà.

Senza pretesa di esaustività, si prenda qua-

le esempio la presunzione di innocenza di cui

all’art. 27, c. 2 della Costituzione, posto a raffron-

to con l’art. 6 del D. Lgs. 231/01, che prevede un’in-

versione dell’onere della prova nel caso in cui il

reato presupposto sia commesso da soggetto

apicale. Un’anomalia, va detto, opportunamente

corretta in via interpretativa dalla Corte di Cas-

sazione che sul punto ha precisato che grava <<

comunque sull’Accusa l’onere di dimostrare la

commissione del reato .. e la carente regolamen-

tazione interna dell’ente. Quest’ultimo ha ampia

facoltà di fornire prova liberatoria>> (Cass., sez

VI, 16 luglio 2010, n. 27735). Ancora, è il caso di

citare il diritto di difesa, che si estrinseca (anche)

attraverso il principio del nemo tenetur se dete-

gere: detto principio non trova la medesima, pie-

na applicazione anche per le persone giuridiche,

poiché l’incompatibilità assoluta a testimoniare

vale solo per la persona fisica imputata per il rea-

to presupposto (art. 44, c. 1, lett. a) D. Lgs. 231/01),

D. Lgs. n. 231/2001: considerazioni processuali e (criticità) applicative

Un tema meritevole di interesse per il nume-

ro crescente dei procedimenti pendenti nei

confronti degli enti ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001

riguarda l’individuazione delle garanzie pro-

cessuali previste dal nostro ordinamento per

la persona fisica applicabili anche alle Società

(oggetto proprio di recente delle acute riflessioni

di un attento autore: V. Mongillo, Responsabilità

da reato degli enti collettivi ed attività difensive:

La trama giurisprudenziale ancora non consistente (seppur progressiva-mente si assiste, come è inevitabile che sia, ad un aumento dell’esperien-za applicativa), in uno con le limitate indicazioni legislative, contribuisce a connotare di incertezza la disciplina della responsabilità dell’ente ex de-licto. I temi irrisolti sono molteplici e ben lontani dall’essere definiti a livello interpretativo: tra questi, su tutti, l’in-dividuazione di quali siano le garanzie processuali previste dal codice di rito per le persone fisiche applicabili anche alle Società.

A cura di Stefano Bruno e Gino Bottiglioni

Page 16: Le nuove sfide del penale - TopLegal

15 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

autoriciclaggio – può ritenersi soggetto concor-

rente nel reato presupposto ed, in quanto tale,

usufruire di tali meccanismi premiali? Occorre

innanzitutto considerare che le sezioni unite

intervenute nella vicenda c.d. ThyssenKrupp

hanno affermato che la responsabilità dell’ente

consiste in un nuovo sistema di responsabilità

sanzionatoria, non riconducibile al paradigma

penale stricto sensu inteso, con ciò discendendo

che non è configurabile il concorso di persone nel

reato tra persona fisica ed ente. Inoltre, il sistema

delineato dal D. Lgs. n. 231/2001 disciplina la re-

sponsabilità da reato dell’ente come diretta ed

autonoma rispetto a quella della persona fisica,

tanto che ai sensi dell’art. 8 del decreto in parola,

essa sussiste anche quando l’autore persona fisi-

ca del reato non è stato identificato o non è im-

putabile ed il reato (presupposto) si estingue per

una causa diversa dall’amnistia. E a tale proposi-

to, si deve segnalare che la relazione allo schema

del D. Lgs. n. 231/2001 afferma <<che le cause di

non punibilità e, in generale, le vicende che ine-

riscono quest’ultima, non reagiscono in alcun

modo sulla configurazione della responsabilità

in capo all’ente, non escludendo la sussistenza

di un reato>> (F. Sgubbi – L. Mazzanti, Le cause

di non punibilità, in F. Sgubbi - L. Mazzanti – N.

Ferrara Micocci, La voluntary disclosure. Profili

penalistici, Piacenza, 2015). Non pare, dunque,

superabile il dualismo a cui verosimilmente si

assisterà nel prossimo futuro tra persona fisica

(amministratore di una società, tanto per fare un

esempio), che ha aderito alla procedura di col-

laborazione volontaria, beneficiando di tutte le

relative coperture e garanzie, ed ente, all’interno

del quale sono stati reinvestiti i proventi di pre-

cedenti attività delittuose, sprovvisto invece di

tali guarentigie.

mentre per il legale rappresentante opera solo se

quest’ultimo ricopriva la medesima carica anche

al momento del fatto (art. 44, c. 1, lett b del me-

desimo Decreto). Altra questione meritevole di

riflessione attiene al requisito di interesse e van-

taggio di cui all’art. 5 del Decreto. Sebbene, infat-

ti, si tratti di un elemento costitutivo dell’illecito

amministrativo da reato, spesso si assiste ad un

insufficiente approfondimento di tale aspetto in

sede processuale. La riflessione vale sia avendo

riguardo alla contestazione dell’illecito da parte

della Pubblica Accusa, poiché sovente non si rin-

viene nel capo di imputazione una individuazio-

ne dell’interesse o vantaggio sufficientemente

determinata (tale da consentire il pieno eserci-

zio del diritto di difesa), sia avendo riguardo alla

fase di accertamento processuale, ove spesso

l’attenzione è focalizzata sulla valutazione circa

la sussistenza della esimente di cui agli artt. 6 e

7 del Decreto, in luogo della valutazione sul re-

quisito di interesse e vantaggio, che, per ragioni

logiche e di coerenza sistematica, dovrebbe co-

stituire un accertamento di tipo propedeutico.

In ultimo, è opportuno fare cenno all’istituto

della Voluntary Disclosure bis che incoraggia al-

cune interessanti riflessioni con riferimento alla

responsabilità degli enti. Partendo dai dati noti

dell’esclusione della punibilità di taluni reati per

i soggetti che abbiano optato per l’emersione

dei capitali e della estensione di tale beneficio

anche ai concorrenti, l’ente imputato ex D. Lgs.

231/2001 - ad esempio, per i reati di riciclaggio o

Avv. Stefano Bruno

BRB Studio Legale

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16 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

L’EPPO sarà una vera e propria “procura euro-

pea” con una sede centrale in Lussemburgo e avrà

strutture decentrate in ciascuno Stato membro

dell’UE. La direzione di EPPO sarà affidata ad un

Procuratore europeo, mentre le indagini verranno

svolte generalmente dai Procuratori delegati no-

minati in ciascuno Stato membro ove opereranno

stabilmente.

In merito alle loro attribuzioni, si osserva che

quest’ultimi disporranno degli stessi poteri dei

procuratori nazionali in materia di indagine, azio-

ne penale e di rinvio a giudizio per le ipotesi di rea-

to di propria competenza.

In particolare, l’EPPO sarà competente a

perseguire i reati fraudolenti che ledono inte-

ressi finanziari dell’UE, così come indicati nella

Direttiva (UE) 2017/1371 (c.d. “Direttiva PIF”). Si

tratta inter alia delle ipotesi di corruzione attiva

e passiva, di frode che abbracceranno anche il

settore IVA, nonché le ipotesi di partecipazione

ad un’organizzazione criminale, quando l’atti-

vità di questa sia incentrata sulla commissione

dei reati di cui alla Direttiva PIF.

Al riguardo, va precisato che l’EPPO potrà pro-

cedere, altresì, con riferimento a qualsiasi altro

reato “indissolubilmente legato” ad uno dei reati

indicati nella citata Direttiva, solo laddove però

venga constatata la maggior gravità del reato di

“EPPO”: la prima procura dell’Unione europea

Il 20 novembre 2017 è entrato in vigore il Rego-

lamento (UE) 2017/1939 che prevede l’istituzione

della Procura europea c.d. “EPPO”, da European

Public Prosecutor Office.

Il Regolamento nasce dalla volontà di 20 Paesi

membri dell’UE, tra cui l’Italia, di instaurare una

“cooperazione rafforzata” per l’istituzione dell’EP-

PO. Al momento dell’entrata in vigore del Rego-

lamento, pertanto, oltre a Danimarca, Irlanda e il

Regno Unito (che già secondo il Trattato godono di

un regime diverso in materia di giustizia), risultano

estranei all’iniziativa la Polonia, Malta, l’Ungheria,

la Svezia e i Paesi Bassi nei quali, ad oggi, non tro-

verebbero applicazione le disposizioni in parola.

La nuova procura (c.d. “EPPO”) avrà il compito di indagare e perseguire le frodi comunitarie

Secondo le recenti stime della Com-missione europea, le frodi comunitarie graverebbero sul bilancio UE per più di 50 miliardi di euro all’anno. In tale contesto paneuropeo, l’EPPO giocherà un ruolo primario nel contrasto alle frodi a tutela degli interessi finanziari dell’UE. A tale scopo, l’EPPO intreccerà strette relazioni con altri organi di co-operazione e di indagine UE, in primis Eurojust, nonché Olaf e Europol.

A cura di Antonio De Luca

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17 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

Il Regolamento contempla, altresì, la possibili-

tà di limitare le misure delle intercettazioni e del

tracciamento unicamente a specifici reati gravi, a

patto che lo Stato che intenda limitare l’utilizzo di

dette misure notifichi all’EPPO l’elenco di questi

reati.

L’EPPO potrà intervenire anche sulle misure

volte alla restrizione delle libertà personali. I Pro-

curatori europei competenti – tenuto conto anche

delle attribuzioni ad essi spettanti in ragione del

diritto nazionale – potranno infatti disporre di-

rettamente o richiedere l’emissione di misure di

arresto o di custodia cautelare, nonché emettere o

chiedere un mandato di arresto europeo.

Mentre dal punto di vista delle garanzie pro-

cedurali, gli indagati potranno invocare le tute-

le previste nella Carta dei Diritti fondamentali

dell’Unione europea e nelle Direttive (già) adottate

dall’Unione in materia di garanzie difensive.

A queste devono aggiungersi altrettante garan-

zie processuali previste dal diritto nazionale nel

singolo Stato membro applicabili unitamente alla

esplicita menzione del diritto al silenzio, alla pre-

sunzione di innocenza, al diritto dell’accusato a

presentare prove, nonché di chiedere alla Procura

di raccoglierne, di chiedere la nomina o l’audizio-

ne di periti e l’escussione di testimoni.

In sostanza, l’EPPO – che diverrà operativa

non prima del 2021 – sarà un vero ufficio di pro-

cura addetto a condurre indagini penali. Non un

ufficio di coordinamento e di cooperazione giudi-

ziaria come Eurojust; non un ufficio per indagini

amministrative, come l’OLAF; ma – appunto – un

ufficio di indagini penali che, invero, si avvarrà del-

le informazioni e dell’assistenza di Eurojust, delle

analisi e del sostegno operativo dell’OLAF, nonché

dell’intelligence di Europol.

frode rispetto a quello connesso. Non si può non

costatare, pertanto, come le competenze di EPPO

copriranno un ventaglio molto ampio di ipotesi

di reato che verranno – parimenti – indagate, ac-

certate e perseguite. Con specifico riferimento ai

poteri di indagine, si osserva come i procuratori

delegati potranno disporre di un “minimo” di mi-

sure investigative, nonché – su richiesta – di quelle

ulteriori previste dal diritto nazionale applicabile.

Il Regolamento prevede che – per i reati san-

zionati con una pena massima di almeno quattro

anni – gli Stati membri debbano in ogni caso porre

a disposizione dei procuratori le seguenti misure:

i) perquisizioni (ivi quelle sui sistemi informati-

ci), nonché qualsiasi misura cautelare necessaria

a preservare le prove; ii) produzione di qualsiasi

oggetto o documento ritenuto pertinente; iii) pro-

duzione di dati informatici, inclusi quelli bancari;

iv) congelamento o confisca degli strumenti o dei

proventi del reato; v) intercettazione delle comu-

nicazioni; vi) tracciamento e rintracciamento di

oggetti e beni merce.

Le suesposte misure investigative “base”, inve-

ro, possono subire delle limitazioni nelle disposi-

zioni normative applicabili nello Stato membro.

Tali limitazioni possono assumere un carattere

“soggettivo”, se si pensa a soggetti o a categorie di

soggetti che godono di particolari immunità, ov-

vero anche “oggettivo”, è questo il caso di norme

imperative relative alla produzione di dati infor-

matici, alle intercettazioni delle comunicazioni

elettroniche e al tracciamento delle stesse.

DeaLaw Tax, Legal & Advisory

Milano, Largo Augusto, 7, 20122 Salerno, Corso Vittorio Emanuele, 74, 80123

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Avv. Antonio De LucaExecutive Partner DeaLaw Tax, Legal & Advisory

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18 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

Ciò posto, in termini operativi, la novella in

esame potrà comportare l’esigenza di rivedere

ed integrare le prassi e le politiche concernenti

la gestione dei flussi informativi già operanti

nelle Società. In questo senso, deve sottolinear-

si l’opportunità di esplicitare in una procedura

l’ambito della segnalazione (che deve avere ad

oggetto temi esclusivamente attinenti al perime-

tro di cui al D.lgs. 231/2001 e, pertanto, rivolgersi

direttamente all’Organismo di Vigilanza), al fine

di evitare che lo strumento venga utilizzato per

portare alla luce vicende che non hanno alcuna

rilevanza ai fini del D.lgs. 231/2001. A tal fine, po-

trebbe rendersi necessario dedicare ampio spa-

zio all’attività formativa rivolta ai dipendenti, in

relazione alle tutele agli stessi spettanti nonché,

e soprattutto, alle ipotesi ed alle modalità delle

segnalazioni, al fine di garantire il corretto e con-

creto sviluppo del sistema di whistleblowing.

Non dimentichiamo, infatti, che un’efficace

sistema di flussi informativi può individuare un

indice di effettiva applicazione del Modello, ido-

neo a “fare la differenza” nel caso di procedimen-

to nei confronti dell’ente per i reati di cui al D.lgs.

231/2001, dove centrale attenzione viene data

alle modalità di attuazione del Modello da parte

del personale.

Il Whistleblowing nel modello 231

La segnalazione di illeciti è in primo luo-

go espressione del senso civico del whist-

leblower, oggi concretamente tutelato anche nel

nostro ordinamento da una riforma sentita da

molti come necessaria.

A quasi 150 anni dalla prima disciplina del

fenomeno del whistleblowing – individuato

dai più nel False Claim Act del 1863, voluto da

Abramh Linconl, per contrastare gli approfitta-

tori che sovraccaricavano il prezzo dei carichi

per le forniture governative - è infatti in attesa

di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale la se-

conda tappa del percorso legislativo in materia

di whistleblowing, che interviene istituendo

non solo un vero e proprio sistema di garanzie

per il dipendente pubblico, ma anche nel settore

privato.

Viene infatti integrato l’art. 6 del D.lgs. 231/01

in relazione ai contenuti del MOG ove dovran-

no essere esplicitati, oltre ad uno o più canali di

segnalazione idonei a garantire la riservatezza

dell’identità del segnalante, espresse sanzioni in

risposta alla violazione del divieto di atti di ritor-

sione o discriminatori correlati alla segnalazio-

ne, nonché nei confronti del soggetto che opera

dolosamente o con colpa grave segnalazioni in-

fondate.

Tutela del Whistleblower: tra etica d’impresa ed esigenza di concretezza

A cura di Maurizio Bortolotto

Gebbia Bortolotto Penalisti AssociatiTorino - Roma - Milano

Sede Legale: 10121 Torino - Corso Vittorio Emanuele II n. 64 [email protected] - www.gbpenalisti.it

Page 20: Le nuove sfide del penale - TopLegal

19 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

i provvedimenti adottati da una autorità naziona-

le dovranno avere attuazione diretta ed immedia-

ta all’interno di altri ordinamenti senza la necessi-

tà di rogatorie o di procedimenti di conversione.

In altri termini, verrà attribuita alla decisione

adottata da un giudice penale di un altro Stato

membro la stessa efficacia giuridica propria dei

provvedimenti adottati dai giudici nazionali.

Per quanto riguarda specificamente l’ordine

di indagine europeo, esso consentirà di richiedere

all’autorità giudiziaria di un altro Stato di procede-

re ad attività di indagine da utilizzare nell’ambito

del procedimento penale in corso nello Stato emit-

tente. Ne consegue, pertanto, che elementi di pro-

va acquisiti alla luce delle norme e delle garanzie

esistenti nello Stato richiesto diventeranno utiliz-

zabili all’interno di un altro ordinamento giuridico

processuale.

Si tratta di una innovazione rivoluzionaria at-

teso che potranno essere richieste attività di inda-

gine estremamente rilevanti quali il trasferimento

temporaneo di persone detenute, l’esecuzione di

operazioni sotto copertura, l’acquisizione di in-

formazioni e documenti presso banche ed istituti

finanziari e l’acquisizione in tempo reale di flussi

di dati informatici e telematici provenienti o diretti

a banche ed istituti finanziari.

Non solo, l’autorità straniera potrà richiedere

La rivoluzione “silenziosa”del diritto penale europeo

Il decreto legislativo n. 108/2017 ha introdotto nel

nostro ordinamento l’ordine europeo di indagi-

ne penale. Si tratta di uno strumento investigati-

vo assolutamente innovativo che consentirà alle

autorità giudiziarie nazionali di compiere atti di

indagine e di acquisizione probatoria in un altro

Stato membro.

A norma dell’articolo 82 del Trattato sul fun-

zionamento dell’Unione Europea, la cooperazione

giudiziaria tra gli Stati dell’Unione si basa, infatti,

sul principio del mutuo riconoscimento delle sen-

tenze e delle decisioni giudiziarie. Ciò significa che

L’ordine europeo di indagine penale: un nuovo tassello nella creazione del diritto processuale penale europeo

Il 13 luglio 2017 è stato pubblicato in G.U. il decreto legislativo n. 108/2017 che recepisce nell’ordinamento italia-no la direttiva del Consiglio europeo n. 41/2014 sull’ordine di indagine euro-peo. Il nuovo strumento di cooperazio-ne è entrato in vigore il 28 luglio 2017. Si tratta di uno strumento di acquisi-zione probatoria che avrà certamente un notevole impatto operativo nell’at-tività giudiziaria degli stati nazionali e che richiede, pertanto una accurata riflessione.

A cura di Gugliemo Giordanengo e Simona Carosso

Page 21: Le nuove sfide del penale - TopLegal

20 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

si coglie appieno dalla lettura dell’articolo 27 del

decreto che consente al Pubblico Ministero ed al

Giudice italiano di emettere l’ordine di indagine

e trasmetterlo direttamente all’autorità straniera

per l’esecuzione.

Allo stato attuale non hanno aderito alla diret-

tiva Danimarca ed Irlanda e l’ordine di indagine

è stato implementato da poco più della metà dei

Paesi aderenti. Questo istituto è in vigore nei con-

fronti del Regno Unito sino alla definizione degli

accordi connessi alla Brexit.

L’adozione di un sistema di mutuo riconosci-

mento giudiziario crea, tuttavia, numerosi dubbi e

perplessità interpretative.

E’ stato, infatti, osservato che questo sistema

postula un elevatissimo livello di fiducia reciproca

tra gli ordinamenti giuridici quanto alle garanzie

processuali esistenti, tanto da imporre agli Stati

aderenti di eseguire decisioni adottate altrove sen-

za alcuna procedura di riconoscimento.

Qualche dubbio è d’obbligo ove si consideri che

si è pervenuti ad adottare il principio del mutuo ri-

conoscimento senza assicurare preventivamente

un livello omogeneo di armonizzazione normati-

va tra i diversi sistemi giudiziari e tra le disposizio-

ni processuali in materia di validità ed utilizzabili-

tà della prova penale.

Paradossalmente, mentre la libera circolazione

delle merci è stata preceduta dall’imposizione agli

Stati membri di rigidi standard di qualità produt-

tiva, così non è avvenuto per la circolazione di un

materiale così “delicato” quale la prova di un pro-

cedimento penale che ha un impatto diretto sulle

libertà dell’individuo e sul diritto di difesa. (in

questo senso Marafioti L., “Orizzonti investigativi

europei, assistenza giudiziaria e muto riconosci-

mento”, pag. 14 - Mazza O., “Il principio del mutuo

riconoscimento nella giustizia penale, la mancata

armonizzazione e il mito taumaturgico della giuri-

sprudenza europea”, pag. 155-156).

di eseguire provvedimenti di sequestro probato-

rio, nonché di effettuare intercettazioni in Italia

con l’assistenza dell’autorità giudiziaria italiana.

E’ possibile, infine, procedere all’acquisizione

dei verbali di prova di altri procedimenti, dei dati

contenuti in banche dati accessibili all’autorità

giudiziaria, all’audizione di persone informate sui

fatti, dei consulenti o periti, della persona offesa

e della persona sottoposta ad indagini o imputata

che si trovi sul territorio nazionale.

Un caso particolare di attività di indagine è

costituito dalla previsione dell’immediata comu-

nicazione all’autorità richiedente dell’identifica-

zione di persone titolari di un specifico numero

telefonico o di un indirizzo di posta elettronica o di

un indirizzo IP.

L’ordine investigativo europeo può essere uti-

lizzato, entro determinati limiti di pena, in rela-

zione a reati per i quali si è ormai giunti ad una

armonizzazione europea quali l’associazione a de-

linquere, la corruzione, il riciclaggio, reati ambien-

tali, frodi, nonché per tutte le fattispecie di reato

che siano previste da entrambi gli ordinamenti in

ossequio al principio della doppia incriminazione.

Va rilevato che l’ordine potrà essere emesso anche

con riferimento a violazioni tributarie, valuta-

rie o doganali indipendentemente dall’esistenza

nell’ordinamento italiano della medesima tipolo-

gia di imposizione fiscale o di regime valutario o

doganale.

La portata dirompente di questo strumento

Studio Giordanengo Avvocati Associati

Via de Sonnaz 11, 10121 TorinoTel. 011/5628081 Fax 011/5628623

[email protected]

Foto in alto Avv. Guglielmo Giordanengoin basso lo studio

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21 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

te le attività cross border a rischio reato (da

individuarsi ex ante attraverso un Risk Asses-

sment mirato sulle operazioni originate/ge-

stite all’estero ma realizzate o aventi effetti in

Italia).

La costruzione del Modello cross border richie-

derà un lavoro di coordinamento (da verificar-

si attraverso la c.d. Gap Analysis) tra i proto-

colli 231 cross border e le procedure aziendali

verosimilmente già esistenti all’estero. La cor-

retta applicazione del Modello 231 cross bor-

der, inoltre, dipenderà dall’adozione di uno

strumento (c.d. Alert System) capace di indi-

viduare, all’interno dell’operatività societaria

estera, le condotte cross border di rilevanza

231. L’attivazione dell’Alert System in relazione

ad una determinata operazione, infatti, avver-

tirà la Società del “rischio 231” e dunque della

necessità di gestirla nel rispetto del Modello

231 cross border.

Il Modello dovrà inoltre essere presidiato

da uno specifico Organismo di Vigilanza no-

minato dall’Ente straniero. L’esistenza di una

Società controllata o una branch in Italia (già

dotate di propri Modelli 231 italiano), infine,

imporrà il coordinamento tra i Modelli (quello

italiano e quello cross border) e tra OdV.

L’imputabilità “231” delle società straniere

Il D.lgs 231/01 è applicabile anche alle Società

e ai Gruppi aventi sede all’estero che opera-

no in Italia, ancorché privi di una branch o di

una sede italiana. Su questo – come provano i

molti procedimenti a carico di Enti stranieri –

non vi è più alcun dubbio. In particolare, ci si

riferisce a tutti quegli Enti che pongono in es-

sere attività c.d. cross border, ossia operazioni

di qualsiasi natura che, ancorché originate e

gestite all’estero (ad esempio, in quanto idea-

te, attuate, registrate presso la sede straniera o

realizzate da un soggetto che funzionalmente

agisca nell’interesse o per conto della Società

estera), producano un qualche effetto o si rea-

lizzino anche solo in parte in Italia.

La Società straniera, infatti, potrà essere

imputata ex D.lgs 231/01 tutte le volte in cui al

responsabile (persona fisica) del reato presup-

posto sia applicabile la legge penale italiana ai

sensi dell’art. 6 c.p. (si applica la legge italiana

quando in Italia è avvenuta in tutto o in parte

l’azione o l’omissione o si è verificato l’evento).

Ne deriva che anche una Società straniera

che operi in Italia potrà tutelarsi da eventuali

contestazioni 231 solo attraverso l’adozione di

uno specifico Modello 231 cross border, quale

strumento essenziale capace di presidiare tut-

L’essenziale adozione di Modelli 231 cross border negli Enti esteri che operano in Italia

Studio Legale Isolabella Via Fontana 4 - 20122 Milano - T. +39 02.5992101 - F. +39 02.55181791

[email protected]

A cura di Francesco Isolabella e Matteo Pozzi

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22 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

bio’… quando il dato probatorio acquisito lascia

fuori soltanto eventualità remote, pur astratta-

mente formulabili e prospettabili come possi-

bili in rerum natura, ma la cui effettiva realiz-

zazione, nella fattispecie concreta, risulti priva

del benché minimo riscontro nelle emergenze

processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine

naturale delle cose e della normale razionalità

umana” (ex multis, Cass. pen., sez. I, 31 maggio

2011, n. 35107).

In sintesi: la prova della colpevolezza dell’im-

putato deve essere fornita dalla Pubblica Accu-

sa con certezza; e la ricostruzione alternativa

dei fatti (rispetto alla ricostruzione in termini

di colpevolezza), che condurrebbe all’assolu-

zione dell’imputato, deve risultare “priva del

benché minimo riscontro nelle emergenze

processuali”, e deve porsi “al di fuori dell’ordi-

ne naturale delle cose e della normale raziona-

lità umana”.

2. La prova del reato di corruzione

Con specifico riferimento al reato di corruzio-

ne propria, “per un atto contrario ai doveri di

ufficio”, la condotta vietata è prevista dall’art.

319 c.p., e si riferisce al pubblico ufficiale che

riceva denaro o altra utilità, o ne accetti la

promessa, per compiere (o aver compiuto) un

Corruzione e responsabilità degli enti

1. La responsabilità delle persone fisiche e la

prova “oltre ogni ragionevole dubbio”

In primo luogo, è noto che principio fonda-

mentale ai fini dell’accertamento di respon-

sabilità penale in capo a una persona fisica è

quello dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”,

cristallizzato nell’art. 533 c.p.p.: vale a dire, ai

fini dell’emissione di una sentenza di condan-

na, la Pubblica Accusa ha l’onere di fornire la

prova della colpevolezza dell’imputato “al di là

di ogni ragionevole dubbio”.

Tale formula, secondo la consolidata giuri-

sprudenza della Suprema Corte, deve inten-

dersi nel senso che “il giudice deve ritenere

intervenuto l’accertamento di responsabilità

dell’imputato ‘al di là di ogni ragionevole dub-

L’accertamento di colpevolezza alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte

Con numerose ed apprezzabili pro-nunce, la Corte di Cassazione ha pro-gressivamente formulato alcuni criteri fondamentali in tema di requisiti e standard probatorio per la responsa-bilità delle persone fisiche e degli enti, in rapporto ai reati di corruzione. Se ne offre nelle righe seguenti essenziale e schematica sintesi.

A cura di Roberto Pisano, fondatore e managing partner Studio Legale Pisano

Page 24: Le nuove sfide del penale - TopLegal

23 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la

mera circostanza dell’avvenuta dazione” (Cass.

pen., sez. VI, 22 giugno 2017, sopra citata).

3. La responsabilità degli enti ai sensi del d.l-

gs. n. 231/2001

Per ciò che concerne la responsabilità degli

enti ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, rispetto a

reati di corruzione commessi dai propri diri-

genti o dipendenti nell’interesse o a vantaggio

dell’ente, del pari pregevole è l’elaborazione

della Suprema Corte in ordine all’individua-

zione di alcuni fondamentali principi direttivi.

In primo luogo, nell’ottica della Corte di Cas-

sazione, il sistema di cui al d.lgs. n. 231/2001

“costituisce un corpus normativo di peculiare

impronta, un tertium genus, se si vuole. Col-

gono nel segno, del resto, le considerazioni

della Relazione che accompagna la normativa

in esame quando descrivono un sistema che

coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di

quello amministrativo nel tentativo di contem-

perare le ragioni dell’efficienza preventiva con

quelle, ancor più ineludibili, della massima ga-

ranzia” (Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n.

38343, caso ThyssenKrupp).

In secondo luogo, “è da escludere che il siste-

ma violi il principio di colpevolezza… Si deve

considerare che il legislatore, orientato dalla

consapevolezza delle connotazioni crimino-

logiche degli illeciti ispirati da organizzazioni

complesse, ha inteso imporre a tali organismi

l’obbligo di adottare le cautele necessarie a

prevenire la commissione di alcuni reati, adot-

tando iniziative di carattere organizzativo e

gestionale. Tali accorgimenti vanno consacrati

in un documento, un modello che individua i

rischi e delinea le misure atti a contrastarli.

Non aver ottemperato a tale obbligo fonda il

rimprovero, la colpa di organizzazione”.

atto contrario ai doveri di ufficio; ed è punita,

anche per il corruttore, con la reclusione da

sei a dieci anni.

In armonia con il fondamentale standard pro-

batorio sopra illustrato, la Pubblica Accusa ha

l’onere di fornire la prova, in termini di certez-

za (“al di là di ogni ragionevole dubbio”), del-

la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi

della indicata fattispecie incriminatrice: tra

cui, in particolare, la prova dell’esistenza di un

accordo corruttivo intervenuto tra il privato e il

pubblico ufficiale, che si sia sostanziato quan-

tomeno nella promessa di pagamenti illeciti a

favore dell’indicato pubblico ufficiale, accettata

dal medesimo (in cambio del compimento, da

parte di tale pubblico ufficiale, di un atto con-

trario ai doveri del proprio ufficio).

Ciò è confermato espressamente dalla Supre-

ma Corte, secondo la quale vi è “l’esigenza che

la prova dell’accordo illecito, quale fatto tipico

costituente il reato di corruzione propria, sia

raggiunta in termini di certezza al di là del ra-

gionevole dubbio” (ex multis, Cass. pen., sez. VI,

22 giugno 2017, n. 41768).

Ulteriormente, sempre ai sensi della consoli-

data giurisprudenza della Suprema Corte, an-

che allorquando “risulti provata la dazione di

denaro o di altra utilità in favore del pubblico

ufficiale, è necessario dimostrare che il com-

pimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio

sia stato la causa della prestazione dell’utilità

e della sua accettazione da parte del pubblico

Studio Legale Pisano

Via Cino del Duca, 5 - 20122 MilanoTel. 02/76002207 Fax 02/76016423

[email protected]@pisanolaw.com

Avv. Roberto Pisano

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24 • TOPLEGAL FOCUS Penale d’impresa - Febbraio 2018

nere concreto il pericolo che vengano commes-

si illeciti della stessa indole di quello per cui si

procede” (art. 45 D.Lgs. 231/01).

Come noto, peraltro, le sanzioni interdit-

tive non possono essere irrogate in via tem-

poranea qualora, oltre ai presupposti ex art.

45, non sussistano anche le condizioni di cui

all’art. 13 del Decreto (profitto di rilevante en-

tità e illecito commesso da soggetto apicale,

ovvero reiterazione degli illeciti).

Né bisogna mai dimenticare il cd. “prin-

cipio di gradazione” delle misure. Infatti, in

base all’art. 46 del Decreto, il Giudice, nel di-

sporre la misura cautelare, deve tenere conto

della specifica idoneità di ciascuna di esse in

relazione alla natura e al grado delle esigenze

cautelari da soddisfare, nonché della propor-

zionalità all’entità del fatto e alla sanzione che

si ritiene possa essere irrogata nei confronti

dell’ente.

Nel caso di specie, il Giudice per le Indagini

Preliminari, in accoglimento delle prospet-

tazioni formulate dalle difese, ha rigettato la

richiesta presentata dal Pubblico Ministero, in

ragione dell’insussistenza di un concreto peri-

colo di reiterazione delle attività criminose, ex

art. 45 D.Lgs. 231/01.

Le misure cautelari ex d.lgs. 231/01 nei confronti degli enti:“maneggiare” con cautela!

È un tema di grande attualità quello relativo

alle condizioni di applicabilità agli enti, in

via cautelare, delle misure interdittive, ex art.

9, D.Lgs. 231/01.

La delicatezza dell’argomento deriva dal

fatto che, sempre più di sovente, le Procure

ricorrono a tale strumento per reprimere il

fenomeno della criminalità d’impresa. Invero,

tali misure possono avere effetti dirompenti

per l’ente ancora sub judice (si pensi all’in-

terdizione dall’esercizio dell’attività, che può

determinare la paralisi dell’attività della so-

cietà), per cui appare indispensabile “maneg-

giarle” con cautela, verificando attentamente

che sussistano tutti i presupposti applicativi.

Recentemente, nell’ambito di un procedi-

mento penale per reati ambientali, la Procura

di Brescia ha chiesto l’applicazione dell’inter-

dizione temporanea dall’esercizio dell’attività

nei confronti di quattordici società, tra le quali

alcune di rinomanza nazionale.

A parere dello scrivente, la Procura non ha

fatto buon uso dei criteri previsti dal Decreto,

focalizzando la sua attenzione unicamente sul

requisito dei “gravi indizi di colpevolezza” e

trascurando l’esame relativo alla sussistenza

di “fondati e specifici elementi che fanno rite-

PUCCIO GIOVANNINI – PENALISTI ASSOCIATI 20121 Milano - Via Quintino Sella, 4 - Tel. +39 02 899 52 632 Fax +39 02 45 50 37 30

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A cura di Andrea Puccio, socio fondatore di Puccio Giovannini – Penalisti Associati

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